CORONE,
BLASONI
E NOBILTA'

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

PARTE PRIMA

 
SOMMARIO. PARTE PRIMA:UN' ANTICA LEGGENDA; IN GRECIA E A ROMA; FRANCHI E GERMANI; LA NASCITA DEI TITOLI; LA CAVALLERIA; PARTE SECONDA: IL PATRIZIATO; GIOSTRE E TORNEI; L'ARALDICA; GLI STEMMI; LE CORONE; MOTTI E IMPRESE; LA SITUAZIONE ITALIANA DOPO IL 1922; EPILOGO.
 

UN' ANTICA LEGGENDA


Un' antica leggenda nordica narra del dio Heindel che da tre diverse donne ebbe tre figli, i quali furono i capostipiti delle tre categorie sociali. Thraell, il servo che aveva ruvide le mani e la faccia, curve le gambe e la schiena, grosse le dita. Karl, il contadino rosso di capelli e di viso. Jarl, il conte dai chiari capelli, dalle guance lucenti e dagli occhi acuti come quelli di un giovane drago. Thraell sposò Tir, una fanciulla dal naso camuso e tutti i suoi figli e nipoti furono schiavi come lui. Karl sposò Sùor ed ebbe una lunga discendenza di contadini. Jarl, che sin da bambino si trastullava con le armi, conquistò terre e accumulò ricchezze, sposò la saggia Erna che gli diede molti figli, che conservarono di generazione in generazione il dominio e la signoria.
Il concetto di distinzione tra classi sociali è antico quanto l'uomo. In India, quando 2000/1500 anni a.C., un gruppo di guerrieri nomadi, gli Arya, avevano sottomesso la sua parte settentrionale e il Pakistan, (1), istituirono le caste: quella dei sacerdoti (brahmana), dei guerrieri o nobili (rajanya kshatriya) e degli uomini liberi che non erano discendenti nè dei sacerdoti nè dei guerrieri (2).

1) E' il caso di ricordare che l'idea della razza dominante collegata con questa migrazione è dovuto ad un errore storico, vale a dire all'erronea interpretazione del libro pubblicato nel 1926 e diventato all'epoca famoso (The Aryans), scritto dall'archeologo australiano Gordon Childe, sull'archeologia linguistica, il quale faceva derivare tutte le lingue da un unico ceppo. Questo libro era collegato a un precedente studio (1902) condotto da Gustav Kossinna, sulle origini preistoriche linguistiche, il quale aveva avanzato la teoria secondo cui l'espansione di un gruppo aveva determinato l'ampia dispersione degli indoeuropei in Germania. Da questi studi teorici, i nazisti giunsero alla conclusione che gli ariani alti e biondi avevano conquistato e sottomesso gli indigeni di pelle scura, e sarebbero stati poi i capostipiti della razza indoeuropea, con la conseguenza della superiorità di quella germanica.
2) Successivamente questa divisione andò trasformandosi, assumendo tutt'altro significato che aveva portato alla tragica conseguenza della divisione della società in caste in cui quella che originariamente era degli uomini liberi, era diventata dei paria. Erano coloro che esercitavano i mestieri più vili, facchini, minatori, spazzini, cuochi. Costoro, contrariamente a quanto si ritiene, non erano gli ultimi della gerarchia. Gli ultimi erano gli intoccabili considerati i fuori casta o senza casta. Ora queste caste sono state abolite, ma i pregiudizi rimangono!.

 

IN GRECIA E A ROMA

Nell'antica Grecia, tutte le famiglie reali si vantavano di discendere da Zeus, capostipite comune. Durante la dominazione degli Achei (XV sec. a.C.), il lavos, vale a dire il ceto dei nobili-guerrieri, costituiva l'aristocrazia che originariamente esercitava la sovranità sui paesi conquistati e l'assemlea degli anziani era formata dai capi delle famiglie più antiche e potenti. A Sparta, per un determinato periodo, il potere fu diviso tra le due famiglie aristocratiche (diarchia) che vantavano una genealogia divina, gli Agiadi e gli Euripontidi.
A Roma erano i patrizi (patres) ad esercitare le funzioni pubbliche e ricoprire tutte le cariche dello Stato. La distinzione tra <patres> e <populus> si fa risalire a Romolo, il quale tra i più ricchi e i più saggi scelse i <patres> e gli altri rimasero <populus>. I discendenti dei <patres> furono chiamati <patrizi>.
Ancora Romolo, tra i <patres>, ne scelse cento e con questi formò il <Senato>. Successivamente, tra le famiglie sia patrizie sia plebee, ne scelse trecento formando una terza classe di <cavalieri>. Si ebbero quindi tre categorie: senatori, cavalieri e plebei. Tra costoro, per il passaggio da una all'altra categoria, non vi erano preclusioni. Chi proveniva da una famiglia di patrizi-senatori e aveva le qualità richieste per essere cavaliere, diventava cavaliere; altrettanto si verificava per il cavaliere, che poteva diventare senatore. Invece, chi proveniva da famiglia patrizia e non aveva le qualità per essere nominato senatore o cavaliere (cioè una determinata quantità di beni e godere di una buona reputazione), passava nella categoria dei plebei (ciò avveniva solo per il singolo, non per gli altri appartenenti alla gens, che si potevano trovare in una situazione diversa).
Questo portò a ulteriori distinzioni in patrizi-senatori e plebei-senatori (costoro erano discriminati in quanto indicati come <gentes minores>!), patrizi-cavalieri, plebei-cavalieri e patrizi e plebei comuni.
Con la cessazione delle lotte tra patrizi e plebei, venne a sorgere accanto alla classe dei patrizi di nascita un altro tipo di patriziato, quello costituito dagli homines novi, vale a dire quei plebei che raggiungevano il consolato o che ricoprivano una delle cariche curuli.
I romani avevano molto sviluppato il senso del gruppo familiare, della gens e del vincolo di sangue che la univa, vincolo peraltro diffuso presso tutti i popoli <siano essi civili come i greci, che allo stato barbarico come i Tartari, tra i quali (dice Gibbon), gli infimi e i più ignoranti conservano con coscienza e orgoglio, il tesoro inestimabile della loro genealogia, e, per quante distinzioni di rango si possono essere introdotte per l'ineguale distribuzione delle ricchezze pastorali, essi si rispettano reciprocamente come discendenti del primo fondatore della tribù>.
La gens romana raccoglieva tutti coloro che si vantavano di discendere da un capostipite comune, che poteva essere individuato dal <nomen>. I membri della <gens>, infatti, avevano un <praenomen> che era il nome individuale; il <nomen> che era quello gentilizio o agnatizio, vale a dire della <gens>, e il <cognomen> che contraddistingueva la famiglia in seno alla gens; p. es. Quinto Fabio Massimo si ricollegava alla gens Fabia e Massimo era il nome della famiglia d'appartenenza. La <gens> raccoglieva numerosissimi gruppi familiari; p. es. alla gens Cornelia, alla quale apparteneva Lucio Cornelio Scipione, facevano capo le famiglie dei Lentuli, dei Silla, dei Cinna, dei Cassi e dei Colabella. Una famiglia così formata aveva evidentemente tutti i numeri per raggiungere posizioni di ricchezza, potere, nobiltà.
Per avere un'idea del numero dei componenti di una gens, Engels riprende (da Tito Livio) l'episodio della gens Fabia, che nel 300 dopo la fondazione di Roma aveva intrapreso una spedizione punitiva contro Veio ed era stato raccolto un numero di 306 discendenti dallo stesso capostipite. Tutti erano stati uccisi in un'imboscata; si era salvato un solo giovanetto che avrebbe poi perpetuato la <gens>. In seno a questa, vi era anche la tendenza ad incrementare il gruppo con le adozioni. Infatti, quando questa tendeva ad assottigliarsi, s'incrementava con questo sistema. Ciò si era verificato tra la gens Giulia, Claudia e Domizia: Nerone era stato adottato da Claudio; Tiberio aveva adottato Germanico-Cesare figlio di Druso, per non parlare della famiglia degli Antonini, o, nell' Impero d' Oriente, dei successori di Giustiniano.

 

FRANCHI E GERMANI

Presso gli antichi Germani, quello degli <adelingi> era il ceto più elevato degli uomini liberi, ritenuti di origine divina e di capacità sovrana. E di origine divina erano considerati i Franchi Merovingi, sui quali fiorirono tante ipotesi e teorie, (anche esoteriche) collegate con il Graal. Alcuni studiosi interpretano il Santo Graal come Sang-Raal/Sang-Real cioè sangue reale, ritenendo che questa storia vada collegata con i Merovingi che discenderebbero così da Gesù Cristo. Gesù, infatti, era ritenuto di sangue reale perché discendente dal re Davide e dalla Maddalena (Maria di Magdala), che sarebbe stata sua moglie, anch'essa di nobile origine e sposata nelle famose nozze di Cana. Gesù, poi, non sarebbe morto sulla croce, ma si sarebbe imbarcato con la moglie e uno o più figli, per la Francia. Nei Merovingi, quindi, si sarebbe perpetuata la stirpe di Gesù.

 

LA NASCITA DEI TITOLI

Il periodo aureo che vede il sorgere e l'istituzionalizzazione dei titoli nobiliari e dell'arte araldica è il medioevo.
I primi titoli sorgono in rapporto all'amministrazione di territori, province e città. Presso i Longobardi troviamo il titolo di duca che costituisce la più alta carica subito dopo il sovrano. Quando Alboino aveva conquistato Cividale del Friuli (VI sec) aveva concesso al nipote Gisulfo il titolo e gli onori di duca del Friuli. Così man mano che continuavano le conquiste longobarde erano nominati dei duchi che governavano le città e i territori conquistati (3).
Presso i Franchi troviamo il conte, derivato dal <comes> il comandante di origine romana, e il marchese.
Queste cariche furono istituite da Carlo Magno il quale, conquistando nuove terre, ne affidava l'amministrazione ai conti. Le marche erano distretti militari di confine, i cui comandanti erano i marchesi; sotto Carlo Magno erano otto (la Marca di Bretagna, quella di Spagna, il ducato - ex longobardo - di Spoleto, del Friuli, dell'Istria, della Norbaldigia e i due distretti della Baviera).
Presso i Normanni (4) troviamo il titolo di barone che in precedenza indicava genericamente i feudatari e vassalli (5) del sovrano.
Successivamente al disfacimento dell'impero carolingio, verso la fine del X sec., si ebbe quel grande movimento che prese il nome di feudalesimo (6). Si verificò infatti che in seguito alle lotte tra i discendenti di Carlo Magno, i signori che detenevano i beni in nome del sovrano, riuscirono ad ottenere i feudi a titolo personale per questo questi divennero ereditari. E questi titoli, che come abbiamo visto designavano gli amministratori che detenevano in nome del sovrano, vennero ora a designare i feudatari, titolari dei feudi .
Il sovrano aveva anche il diritto di revocare titoli e benefici nel caso in cui il vassallo, venendo meno agli obblighi di fedeltà, si macchiava di fellonia, cioè di tradimento.
Abbiamo visto che il titolo era strettamente legato ai benefici, costituiti da terre e castelli (donde derivava il predicato), concessi in cambio della fedeltà e dell'obbligo di fornire armi e cavalieri quando il sovrano ne avesse avuto bisogno per difesa o per conquiste.

Questi benefici, durante il regno di Carlo Magno, erano detenuti in nome del sovrano. Successivamente divennero ereditari, cioè trasmissibili in via maschile secondo il diritto franco (che seguiva la legge salica) oppure in via femminile, secondo la legge longobarda (e borgognona), purchè vi fosse un uomo che assumesse gli obblighi militari.

La funzione dei feudatari e quindi della nobiltà da essi derivata, era quella di combattere per difendere il territorio a loro assegnato, non solo, ma di portare aiuto al sovrano al quale il feudatario era legato dal vincolo del giuramento (7), e al quale doveva essere fedele e prestare assistenza in tempo di guerra e consigli in tempo di pace. Egli, in caso di necessità del sovrano si presentava con un proprio seguito che variava da 50 a 150 o più uomini e altrettanti cavalli (che provvedeva a foraggiare). La funzione quindi dei feudatari sfociati nella casta della nobiltà (feudale) era quella di difendere il sovrano e il territorio, mentre al clero spettava la salvezza delle anime e alla borghesia-terzo stato (che a comprendeva tutte le altre categorie sociali dal più ricco al diseredato), la produzione della ricchezza; non a caso ricadeva su questa categoria il pagamento delle tasse.

3) Paolo Diacono, nella sua Storia dei Longobardi, indica Zaban, duca di Pavia; Vallari di Bergamo; Alachis di Brescia; Evin di Trento oltre ad altri trenta ducati che comprendevano altrettante città con territorio circostante, come il ducato di Spoleto, ducato di Benevento, ecc..
4) Durante la conquista normanna del meridione d'Italia, Ruggero d'Altavilla, appena conquistata la Sicilia, prima di usurpare il titolo di duca di Puglia al fratello Roberto il Guiscardo, per breve periodo si fregò del titolo di Gran Conte di Puglia.
5) Oltre ai vassalli, che avevano rapporti diretti col sovrano, nella scala gerarchica vi erano i valvassori, che dipendevano dal vassallo e i valvassini che a loro volta dipendevano dai valvassori.
6) Era il grande cambiamento del feudalesimo che è stato quel complesso fenomeno verificatosi in periodo successivo alla morte di Carlo Magno, con lo smembramento dell'Impero da lui costituito. Infatti, mentre con Carlo Magno proprietario era il sovrano il quale assegnava i feudi ai suoi fedeli, che amministravano detenendo in suo nome, con i successori di Carlo, e quindi con il Feudalesimo, i detentori dei feudi ne diventarono proprietari, acquistando il diritto di trasmettere i feudi ai discendenti.
7) I benefici concessi al feudatario e il giuramento erano fatti con una sontuosissima cerimonia detta dell'investitura.

 

LA CAVALLERIA

Nel medioevo, per merito della <chanson de geste> si sviluppa la figura del cavaliere <chevalier> titolo molto ambito dagli esponenti della nobiltà di cui amavano fregiarsi principi e re, come Riccardo Cuor di Leone.
La cavalleria, costituita in <Ordine della Cavalleria>, aveva portato una ventata di sentimenti che avevano raffinato la rudezza d'animo e di comportamenti di uomini adusi a una vita il cui scopo principale era combattere.
Essa era fondata su principi di lealtà e di onore, con un misto di sacro e profano in quanto il cavaliere metteva la sua spada a difesa della Chiesa (8), della giustizia, dei deboli e degli oppressi da una parte, e dall'altra l'amor cortese che portava il cavaliere a struggersi d'amore per la donna amata, che non poteva essere la propria donna, ma la moglie di un altro, fosse questi il suo sovrano o il suo miglior amico, escludendosi che tale amore potesse esser riversato nel confronti di <pulzelle> (cioè di donne vergini e non sposate).
L'investitura di cavaliere (9) era quindi riservata ai soli nobili che venivano a formare una casta nella casta. Essa poteva avvenire dopo un apprendistato come scudiero e dopo aver superato una prova di coraggio.
Il figlio di un nobile passava normalmente il periodo dai sette ai quattordici anni , come scudiero (o paggio come si chiamerà successivamente), al servizio del sovrano o di un grosso feudatario, diventando poi cavaliere.
Con una fastosa cerimonia che si svolgeva nella cappella del castello, dopo un bagno purificatore e una veglia d'armi (la notte passata nella cappella), era armato cavaliere (nel nome di Dio, s. Michele e s. Giorgio ti faccio cavaliere, sii valoroso e leale), e gli erano donati <cingulum militaris > e speroni dorati. Al cavaliere si dava originariamente lo scappellotto (colée), sostituito in seguito dal colpo di spada sulla nuca e sugli omeri del neofita inginocchiato.
La cerimonia (10), per la quale si sceglieva la ricorrenza di qualche particolare festività, era accompagnata da tornei e festeggiamenti e terminava con un sontuoso banchetto e, spesso, finiti i festeggiamenti il novello cavaliere partiva in cerca di ventura.

Il cavaliere era tale perché legato indissolubilmente al suo cavallo. Senza cavallo sarebbe stato soltanto un uomo. Egli quindi allevava il suo destriero, che era un cavallo da battaglia o da giostra, forte, enorme, impetuoso, veloce e fedele, montato esclusivamente in combattimento. Nelle altre occasioni invece il cavaliere montava il palafreno che era un purosangue ma di indole più docile e il gentiluomo al suo servizio (palafreniere), che accompagnava sempre il suo signore, guidava il destriero dal suo lato destro. Da qui il nome.
In Italia verso la fine del 1400 il titolo di cavaliere non era più rigorosamente collegato a quello di nobile, tanto che, come scriveva un cronista <si vedeva far cavalieri meccanici, artieri, insino ai fornai…e ancora più giù, gli scardassieri, gli usurai e rubaldi barattieri>.

8) Le armi del cavaliere avevano anche un valore simbolico: la spada simbolo della croce, nel suo doppio taglio rappresentava la giustizia; la lancia significava la verità e l'acciaio della lancia la forza della verità; l'elmo, la vergogna del disonore senza la quale il cavaliere non poteva essere obbediente all'Ordine della Cavalleria; la corazza , castello e muraglia contro i vizi e gli errori; gli speroni, diligenza, prudenza e zelo che guidavano il cavaliere nel mantenere l'onore dell'Ordine; lo scudo significava l'ufficio del cavaliere; come infatti lo scudo era tra il combattente e il nemico così il cavaliere era il mezzo tra il suo re e il popolo.
9) Il titolo di cavaliere divenne ereditario. Questo principio fu codificato da Federico Barbarossa con un editto che stabiliva che il cavalierato spettava anche ai figli del cavaliere e da Federico II che ribadiva che avrebbe acquistato rango di cavaliere solo colui che fosse di famiglia cavalleresca e solo per grazia di speciale licenza e mandato.
10) Alla fastosità della cerimonia di nomina a cavaliere poteva seguire la umiliante degradazione durante la quale il cavaliere da un palco assisteva alla distruzione della sua armatura e della sua spada che veniva spezzata; il suo blasone veniva cancellato dallo scudo che legato alla coda di un cavallo era trascinato nella polvere e nello sterco. Gli venivano tolti gli speroni, gli araldi gridavano il suo nome chiamandolo traditore, villano e sleale, mentre i sacerdoti gli scagliavano le più tremende maledizioni recitando il Deus laudem meam.

 

 

continua...(seconda parte)

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