I^ E IV^ CROCIATA

UN BUSINESS PER I VENEZIANI

 
MICHELE DUCAS PUGLIA
 

PARTE PRIMA

SOMMARIO.PARTE PRIMA: VERSO L'INDIPENDENZA DA BISANZIO: I PRIMI DOGI; LA PRIMA CROCIATA; PIETRO L'EREMITA E I SACCHEGGI; L'ALLESTIMENTO DELLA FLOTTA E IL TRAFUGAMENTO DEL CORPO DI S. NICOLA; LA SPEDIZIONE PUNITIVA DEL 1172; IL PAPA INNOCENZO III; PARTE SECONDA: LA QUARTA CROCIATA; MESSAGGERI A VENEZIA; BISANZIO LA CITTA' D' ORO; LA PARTENZA DA VENEZIA: PRIMA ROTTA ZARA; ALESSIO SI RECA DAI CROCIATI PER RIAVERE COSTANTINOPOLI; ACCORDI PER LA SPARTIZIONE; IL SACCHEGGIO DI COSTANTINOPOLI E LA SPARTIZIONE DEL BOTTINO; IL DOGE DOMINATORE DELLA QUARTA PARTE E MEZZO DELL'IMPERO.

 

VERSO L'INDIPENDENZA DA BISANZIO: I PRIMI DOGI


V
enezia per raggiungere l'indipendenza da Bisanzio ha dovuto percorrere una strada costellata da rivolte sanguinose e avvenimenti tragici. Questi erano iniziati molto prima del quasi mitico Paoluccio Anafesto (697-717) e avevano accompagnato e spesso travolto gli stessi dogi, almeno fino all'anno 867, cioè fino a quando a Costantinopoli sale al trono l' imperatore Basilio I.
Quest'imperatore, con i veneziani, si trovò di fronte ad una scelta: l'uso della forza, per affermare ancora su Venezia la supremazia bizantina o la via della collaborazione nel campo commerciale e militare. Basilio fu saggio. Scelse quest'ultima via, evitando una guerra sanguinosa e dando a Venezia la possibilità di proseguire nello sviluppo finanziario, economico e navale intrapreso.
La prima conquista della Venezia (1), per affrancarsi dalla dominazione dell'impero bizantino, era stata quella della nomina del doge. Le nomine dei duces e magistrati militum (2), infatti, erano sempre arrivate direttamente e imposte da Bisanzio. Con Paulitius-Paoluccio, si ebbe il primo tentativo di nomina fatta in seno all'aristocrazia tribunizia locale.
Su Paoluccio si hanno notizie molto scarse. Egli è ritenuto il primo dei centoventi dogi che si sono susseguiti in circa mille anni di storia della Serenissima. Si suppone che il suo ufficio sia durato un ventennio e finito con la sua morte, probabilmente violenta (forse 717), uccisione che si confonde con quella dell'esarca di Ravenna, indicato su un cippo di confine e poco leggibile Paulu(s)-(patri)cius-Paulucius. Il governo bizantino però, dopo la morte di Paoluccio, avrebbe affidato l'amministrazione del ducato al magister militum dell'Istria, Marcello.

Successivamente a quest'intervallo d'affidamento al magister Marcello (indicato come Marcello Tegalliano e considerato il secondo doge), il ducato, a seguito d'elezione, confermata da Bisanzio, è affidato ad Orso, il quale, essendosi mostrato leale con il governo centrale, sarà gratificato del titolo di hypatos (console) imperiale. Forse, per questo motivo, anche Orso (737) muore assassinato.
Vi è quindi una specie d'interregno con Leo (Leone Domenico), e Felice Cornicula (costoro però sono considerati magistri militum e non duces), infine è eletto (742) Deusdedit (Diodato), figlio di Orso, il quale trasporta la sede ducale da Eracliana al ducato di Malamocco, decisione forse suggerita, in ogni modo accettata, da Bisanzio che così lo poteva tenere sotto controllo con la sua flotta. Anche Deusdedit dopo un anno è accecato e cacciato come il suo successore (756) Gaulus (Galla Lupanio). Viene quindi eletto Dominicus Monegarius, affiancato da due ufficiali di nomina imperiale.
Intanto aumenta l'immigrazione di profughi da Iesolo ed Eracliana (tra le due città vi erano antiche e risorgenti rivalità che sfociavano in scontri sanguinosi), che con queste emorragie continuavano a decadere, mentre le isole rialtine, che in origine avevano ospitato coloni poveri, incominciano a svilupparsi e con la prosperità commerciale assumono un aspetto cittadino.
Anche Domenico Monegario viene accecato e cacciato, seguito dall'elezione di Maurizio-Galbaio (764) il quale per primo afferma il principio monarchico-dinastico (3), associandosi, con l'assenso di Bisanzio, il figlio Giovanni (778) che continuerà, dopo la morte del padre (787) a mantenere la carica, associando a sua volta (795) il figlio Maurizio II.
Nel frattempo, viene creato il vescovado di Olivolo (che però non viene riconosciuto), il quale si stacca dalla giurisdizione di Malamocco, nel 774-775. A questa data si fa risalire la fondazione di Venezia, che però non ancora era arrivata all'autonomia, né aveva assunto una sua fisionomia.
Le vicissitudini non hanno termine, perché i territori longobardi vengono assorbiti dall'impero franco di Carlo Magno. Alla dinastia di Maurizio II, legata a Bisanzio, ne succede un'altra, fedele ai franchi, i quali appoggiano l'elezione di Obelierio che si associa subito il fratello Beato. Obelierio però, rivolge l'iniziale fedeltà verso i franchi, nei confronti di Bisanzio che gli assegnerà il titolo di hypatos imperialis. Egli si assocerà nella carica ducale un terzo fratello, Valentino.

La politica dei tre duces avrà una certa indipendenza, se pur sotto la sovranità formale bizantina. Ma questa indipendenza non doveva durare molto perché i franchi, per reazione nei confronti dei bizantini (809), assalirono furiosamente il ducato e Carlo Magno, consapevole di non poter tenere questo territorio sotto il suo stretto controllo, nel firmare il trattato di pace di Aquisgrana (812), restituiva all'Impero d'Oriente, dietro il riconoscimento della sua dignità imperiale, la Venezia, l'Istria, la Liburnia e la Dalmazia.
Il legato greco Ebersappio, assegnava il ducato a Agnello Parteciacio-Particiaco (Partecipazio), il quale trasferì la sede nell'isola di Rialto, che aveva iniziato il suo sviluppo a scapito di Malamocco, non solo come centro commerciale, con banche, fondaci, industria navale, ma anche come centro politico e religioso della Venezia, di cui successivamente prenderà il nome. Segue come doge, il figlio di Agnello, Giustiniano (4).
Alla morte di questo assume il dogado il fratello di Agnello, Giovanni I, che viene deposto e sostituito da Pietro Tradonico (5) il quale stipula (840) un accordo con l'imperatore Lotario in base al quale Venezia viene riconosciuta come ducato e il doge non sarà più l'umile duca della provincia di Venezia ma il gloriosissimo duca di Venezia.
Oramai Venezia è in grado di prestare aiuto con la sua flotta a Bisanzio per scacciare i saraceni da Bari e Taranto (842). Con l'emissione delle prime monete, senza l'effigie dell'imperatore e con la dicitura Criste salva Venecias, la sovranità di Bisanzio è ridotta a un sottilissimo filo formale, e la Repubblica prosegue nel suo cammino verso periodi di grandezza e di splendore.


1) Originariamente era così denominata la regione che comprendeva il territorio compreso tra il confine della Pannonia (Ungheria) e il fiume Adda e aveva per capitale Aquileia.
2) Queste magistrature a carattere militare e civile, avevano sostituito quelle di patricius et exarchus introdotte dall'imperatore Maurizio tra la fine del 500 e inizi del 600.
3) Il titolo assunto da Maurizio era di magister militum, consul et imperialis dux Venetiarum provinciae.
4) Sotto questo doge, il corpo di s. Marco fu trafugato a Venezia. Il racconto, farcito anche di elementi fantastici (e riprodotto nel mosaico della basilica), narra di due mercanti veneziani Buono di Malarico e Rustico di Torcello, che corrompendo il guardiano di un convento di Alessandria d'Egitto, dove si trovava da sette secoli il corpo si s. Marco ed era meta di pellegrinaggi da parte di veneziani, lo rubarono trasportandolo a Venezia. I mercanti sarebbero riusciti a sottrarsi al controllo della dogana musulmana, facendolo passare per carne di maiale. Giustiniano Partecipazio nel suo testamento dava disposizioni alla moglie di costruire una basilica dedicata a s. Marco, che fu poi costruita sotto il suo successore nell'832. La storia non finisce qui. Nel 976, dopo una rivolta contro il doge Pietro IV Candiano, durante la quale furono bruciati il palazzo ducale e la chiesa di s. Marco, per evitare che le reliquie fossero distrutte, furono trafugate in un'arca e nascoste. Il doge Vitale Falier (doge dal 1084 al 1095) che doveva inaugurare la nuova basilica, voleva che le reliquie fossero riportate alla adorazione dei fedeli. Non sapendo dove cercarle, aveva ordinato preghiere e digiuno per tre giorni. Alla fine di questi tre giorni a seguito di un cedimento di strutture (di una colonna) apparve un'arca che conteneva uno scheletro (ricordiamo che i morti venivano sepolti nelle chiese). Poiché le reliquie trovate non si sapeva di chi fossero, la conferma che fossero proprio di s. Marco venne data da alcuni miracoli che si verificarono in quei giorni. Si avvertì un meraviglioso profumo che si diffuse dall'arca (lo sentiremo più avanti anche per s. Nicola), una indemoniata guarì toccando l'arca, alcuni marinai si salvarono durante una tempesta!.
La storia dell'alto e basso medioevo è piena di racconti più o meno fantastici, collegati a trafugamenti e trasferimenti di corpi, non solo, ma anche a un nutrito commercio di membra, organi, reliquie, pezzi di vestiario, perfino il latte, attribuiti alla Vergine, allo stesso Gesù (pezzi di legno della croce, chiodi che lo avevano crocifisso o spine della corona e perfino un dente) e ai santi.
5) Anche Pietro Tradonico fu assassinato.

 

LA PRIMA CROCIATA


L
a città di Gerusalemme è stata sempre considerata, dalle tre le religioni monoteiste, città santa. In ordine di tempo, prima dagli ebrei, successivamente, dopo l'avvento di Gesù Cristo, dai cristiani (scissionisti dell'ebraismo) e infine, dopo la diffusione dell'Islàm da parte di Maometto, dai musulmani.
Essa era meta di pellegrinaggi dei cristiani, che da sporadici (III sec.) si erano incrementati nel secolo successivo, da quando l'imperatrice Elena, madre di Costantino, presa da fervore religioso e archeologico, si era recata a Gerusalemme e aveva creduto di scoprire la vera croce, i chiodi con cui Gesù era stato crocifisso e il luogo della crocifissione.
La città, dopo la conquista romana, successivamente alla scissione dell'Impero d'Oriente, era stata prima sotto la dominazione bizantina, poi era passata sotto la dominazione araba (califfo Omar), durante la quale vi era libertà di culto, perciò le tre realtà religiose convivevano senza problemi. Anzi, per i cristiani, durante la dominazione araba, le condizioni erano addirittura migliori di quando vi era stata la dominazione degli imperatori bizantini.
All'inizio del X sec. era cominciato il declino del califfato abbaside (la dinastia iniziata con Abu al Abbas è collegata all' epoca d'oro dell'Islam), ed avevano trovato il sopravvento i turchi selgiuchidi (provenienti dall'Asia centrale) che avevano conquistato i territori dall'Afganistan alla Siria e avevano istituito gli emirati. Le scorrerie dei predatori turchi rendevano instabili i confini orientali dell'impero bizantino, che confinavano con quelli turchi. L'imperatore bizantino Alessio, che voleva rafforzare e possibilmente estendere i suoi confini, aveva chiesto l'aiuto del papa per avere un esercito.
Al papa, Urbano II, questa richiesta era giunta gradita, perché egli si trovava a dover tenere a bada sovrani e feudatari dell'occidente che continuamente si combattevano tra loro: i suoi richiami ai cristiani, che non dovevano combattere contro altri cristiani (un cristiano che uccide un cristiano versa il sangue di Cristo), cadevano nel vuoto.
La nobiltà, dal sovrano al nobile più povero, era abituata a combattere (6). La selezione naturale lasciava vivere i più forti e sin da bambini i nobili giocavano con le armi ed erano educati a cavalcare e allenati al combattimento. Per loro era normale portare sotto il sole o la pioggia il peso dell'armatura, con spada (pesante) e scudo. Essi quindi erano sempre pronti a guerreggiare (quando non combattevano, facevano tornei che servivano oltretutto a tenersi in allenamento) per qualsiasi motivo e certamente non erano gli inviti del papa a trattenerli!.

Al papa non era sembrato vero di potersi liberare di questi cavalieri bellicosi, che avevano il gusto di combattere, non solo per la gloria militare, ma anche per ingrandire i loro possedimenti. Vi erano anche i numerosissimi e famelici figli cadetti, i quali non ereditavano beni a causa delle leggi che favorivano il maggiorasco e, quando non intraprendevano la carriera ecclesiastica, prestavano servizio presso i feudatari e cercavano anch'essi l'occasione per crearsi propri feudi.
Egli si sarebbe quindi tolto un peso mandandoli a combattere contro gli infedeli. Il mezzo, o come si direbbe oggi, la campagna promozionale, per far partecipare alla guerra il maggior numero di persone era basata sul sistema delle indulgenze.
Chi partecipava per un anno alla guerra contro gli infedeli (anche chi era stato condannato dalla Chiesa), avrebbe avuti condonati i propri peccati, morendo in guerra, oppure, chi riusciva a tornare, confessandoli. Non solo. Chi riusciva a conquistare un territorio ne diventava sovrano o feudatario e al papa questo non dispiaceva, perché la Chiesa estendeva ugualmente il suo potere sui nuovi territori, in quanto le terre conquistate sarebbero state governate sotto la suprema autorità del Papa. A quelli che partivano e lasciavano beni, era inoltre assicurata, con la tregua di Dio, la custodia della proprietà, che per il periodo di assenza, rimaneva affidata al vescovo locale.
Si erano creati tutti i presupposti perché la minaccia dei musulmani nei confronti di Bisanzio potesse essere, con una certa forzatura, ingigantita agli occhi degli occidentali. Perciò, al Concilio di Clermont (27.11.1095) il papa Urbano II, sventolando questa minaccia e mettendo in rilievo il carattere sacro di Gerusalemme e le sofferenze dei pellegrini che vi si recavano, invitò tutti i cristiani ricchi e poveri a smettere di combattere tra loro e andare a combattere contro gli infedeli, quando fosse giunta l'estate e dopo che erano state raccolte le messi.
Ciascuno (esclusi vecchi, donne, bambini e malati) doveva esser pronto per il 15 agosto dell'anno successivo (1096), giorno dell'Assunzione, a raccogliersi a Costantinopoli. Nessuno era autorizzato a partire se non aveva consultato il proprio direttore spirituale.
Era stata così bandita la prima della serie di guerre di conquista che va sotto il nome di crociate.

6) Si diceva, infatti, che la funzione della nobiltà era quella di combattere per il sovrano e per la difesa della proprietà. La funzione del clero era di pregare per la salvezza delle anime e quella del terzo stato, che comprendeva dal diseredato al più ricco mercante, di lavorare e pagare tributi e gabelle.

 

PIETRO L'EREMITA E I SACCHEGGI

 

L' invito del papa, rivolto ai vescovi fu raccolto e propagandato da un predicatore conosciuto come Pietro l'Eremita. Il suo aspetto era terrificante, con un mantello da eremita (da cui prese il nome), sporco, a braccia e piedi nudi, con barba e capelli incolti, la sua figura era simile all'asino (qualcuno parla di mulo) che cavalcava, ma con le sue prediche riusciva ad infuocare gli animi, e il popolo lo attorniava in folla e lo subissava di doni e qualunque cosa dicesse o facesse sembrava vi fosse alcunché di divino, al punto che strappavano i peli del suo mulo per conservarli come reliquie. Uomini e donne abbandonavano le loro case per seguirlo. A Colonia già nel mese di aprile, si raccolse un primo numeroso gruppo, con alcuni cavalieri, che si diresse verso l'Ungheria (Pietro lascerà Colonia successivamente, con un gruppo ancora più numeroso).
Una masnada di migliaia di persone, male in arnese, chi con carri tirati da buoi, chi a piedi, senza armi, con donne, malati e bambini (proprio quelli che erano stati interdetti dal papa), si mise in marcia, prima del periodo fissato dal papa, incamminandosi lungo il Reno, seguendo poi il Neckar fino al Danubio. In Ungheria da parte del primo gruppo iniziarono i litigi con gli abitanti del posto, che finirono in saccheggi, e questi continuarono fino a quando non sopraggiunse il secondo gruppo guidato da Pietro, il quale accoglieva tutti, banditi, avventurieri, vagabondi che si presentavano per ottenere il perdono!.
A Belgrado, si dette mano prima al saccheggio e poi si appiccò il fuoco. La marcia continuò con altri saccheggi, durante i quali furono uccisi quattromila ungheresi, ma anche i cristiani furono decimati (7). Quelli che rimasero raggiunsero Costantinopoli il 1° Agosto 1096.
Fu solo l'inizio di questa prima crociata, detta crociata dei pezzenti. Un altro massacro costoro lo subirono ad opera dei turchi, che gli tesero un'imboscata mentre si recavano a Nicea.
La crociata, col sopraggiungere dei baroni, nel giro di qualche anno, si volse positivamente in favore dei cristiani, che avevano conquistato Gerusalemme e Antiochia e che proseguirono nelle conquiste dei territori circostanti.

7) Sulle cifre i cronisti non sono d'accordo. Alcuni parlano di ventimila, altri di quarantamila; il numero in ogni caso è rilevante e almeno un quarto di costoro fu massacrato.

 

L'ALLESTIMENTO DELLA FLOTTA
E IL TRAFUGAMENTO DEL CORPO DI S. NICOLA


N
el dicembre del 1095 veniva eletto doge Vitale I Michiel, il quale pur a conoscenza dell'invito del papa non prende alcuna iniziativa. Nel frattempo il doge si era reso conto dei vantaggi che la crociata aveva offerto ai nemici pisani che con 120 navi avevano curato il trasporto del contingente e delle derrate di Goffredo di Buglione, e a Giaffa avevano ottenuto un'intero quartiere per il loro commercio. Il doge propone all'assemblea di organizzare una spedizione, più che altro per allontanare i pisani dalla Siria. La proposta fu accolta e venne armata una flotta di 208 navi che salpò nel luglio-agosto 1099 sotto la guida dell'ammiraglio Giovanni Michiel, figlio del doge.
La flotta non si diresse verso la Terrasanta, ma a Zara per sistemare problemi locali, e successivamente si fermava a Rodi per svernare, e qui dopo essersi scontrati con i pisani che disturbavano il loro commercio, salparono a maggio del nuovo anno. Forse per suggerimento del Vescovo Enrico Contarini che accompagnava la spedizione, la flotta si recò sulla sponda opposta, a Mira (Asia minore) dove si trovavano i resti di s. Nicola (o s. Nicolò), di uno zio di s. Nicola e di s. Teodoro e se ne impossessarono in quanto la chiesa di s. Nicola al Lido, costruita dal doge Domenico Contarini (padre del suddetto vescovo Enrico), non aveva reliquie del santo (8). I veneziani si erano così assicurati oltre al corpo del Leone (s. Marco), che li proteggeva in guerra, quello del Nocchiero (s. Nicolò) che li proteggeva in mare.
Le navi veneziane, prima di tornare, proseguirono per la Terrasanta dove offrirono il loro aiuto a Goffredo di Buglione,per la conquista di s. Giovanni d'Acri, assicurandosi un terzo della città di Haifa (dove ebrei e musulmani furono massacrati), l' esclusiva del commercio di Tripoli e fondando successivamente un piccola colonia ad Antiochia.

Alcuni anni dopo (1119) Baldovino, re di Gerusalemme, che aveva bisogno d'aiuto, avendo ricevuto una sanguinosa sconfitta, si rivolse direttamente al doge, chiedendo al papa di appoggiare la richiesta presso il doge. L'anno precedente (1118) era stato eletto doge Domenico Michiel (della famiglia dinastica, nipote di Vitale I), presentato dal cronista come <uomo bellicoso che fece molte stragi dei nemici>.

Il doge accolse l'invito allestendo una flotta (le cifre divergono tra 108 e 200 navi e quindicimila uomini), che partita nel 1122, non si diresse neanche questa volta verso la Terrasanta, ma verso l'isola di Corfù (9), che il doge tenne in assedio per tutto l'inverno senza riuscire ad espugnarla. Nella primavera successiva giunse notizia che Baldovino era stato fatto prigioniero dai musulmani, quindi la flotta si diresse verso Acri, scontrandosi con la flotta egiziana al largo di Ascalona e riportando (1123) una mirabile vittoria. Forti di questa vittoria, i veneziani aggiunsero alle loro richieste di ricompensa, una strada, una chiesa, le terme e un forno in ognuna delle città del regno di Gerusalemme. Dopo di che aiutarono a conquistare la città di Tiro, loro dal mare, i crociati dalla terra. La guarnigione si arrese (1124). Dopo quest'impresa ritennero assolti i loro impegni. Presero la via del ritorno, ma, non dimenticando la resistenza opposta da Corfù, si diressero verso Rodi che saccheggiarono col pretesto che gli abitanti si erano rifiutati di rifornirli di provviste. La flotta poi fece tappa a Chio dove svernò e dove venne trafugato il corpo di un altro santo, quello di s. Isidoro. Ripartendo la flotta mise a sacco le isole di Kos, Samo, Lesbo, Andro e infine Modone sulla punta sud-occidentale del Peloponneso. Risalendo l'Adriatico furono liberate numerose città occupate da guarnigioni ungheresi e nel mese di giugno del 1125 la flotta trionfante giunse a Venezia.
Il bottino in termini di concessioni era stato proficuo.
Rimanevano in sospeso i rapporti con l'imperatore, relativi al mancato riconoscimento della crisobolla. Il doge intanto determinò che i veneziani dovevano radersi la barba per non somigliare ai greci. Poi mandò una spedizione punitiva nell'isola di Cefalonia, che fu saccheggiata. In questa occasione fu trafugato il corpo di un altro santo, quello di s.Donato.
Fu così che l'imperatore si convinse ad emettere una nuova crisobolla, che confermava tutti i diritti riconosciuti da quella del padre.

8) E' noto che il corpo di s. Nicola, o almeno quello che era ritenuto il corpo di s. Nicola, era stato portato a Bari nel 1087, ma i veneziani sostenevano che il vero s. Nicola era loro apparso in una visione e aveva indicato dove si trovava la sua tomba, cioè a Mira. Quando si recarono a Mira dove s. Nicola era venerato, vi trovarono tre tombe. Aprendole però, in due trovarono i corpi dello zio di s. Nicola e di s. Teodoro, ma la terza era vuota. Il vescovo di Venezia si mise a pregare a voce alta invocando un miracolo, che non si fece attendere. Da una tomba vicina incominciò a espandersi un profumo di santità, fu aperta e in essa trovarono i resti di un corpo che a loro dire era quello vero di s. Nicola. La tomba trovata vuota poteva essere stata benissimo quella del corpo che di là sottratto era finito a Bari, dove si era sempre rivendicata la priorità del corpo che si trovava nella città. La diatriba tra Venezia e Bari è durata novecento anni.
Per farla cessare, in tempi recenti sono state fatte esaminare le spoglie del santo e il verdetto salomonico ha accontentato ambedue i contendenti, nel senso che una parte del corpo di s. Nicola è a Venezia e l'altra parte a Bari.
Nel frattempo è insorto un fatto del tutto nuovo! Il Governo turco ha fatto richiesta (a Bari) della restituzione del corpo di s. Nicola!
9) Questo assedio era punitivo nei confronti dell'imperatore Giovanni II Comneno, che non aveva voluto rinnovare una crisobolla (decreto imperiale di concessione di privilegi commerciali) che era stata loro concessa dal padre nel 1082.

 

LA SPEDIZIONE PUNITIVA DEL 1172


Venezia era in guerra con l'Ungheria da cinque anni per il possesso delle città sulla costa dalmata. Nel 1167 l'imperatore Manuele, che aveva contato sull'aiuto di Venezia, e non era arrivato, aveva riportato una vittoria nei confronti del re degli Ungari, Stefano III, assicurandosi tutto il territorio della Dalmazia e della Croazia. Con la Dalmazia e la Croazia nelle mani dei bizantini, l'impero bizantino era arrivato con i suoi confini vicino alla repubblica veneta, la quale rimaneva chiusa nell'Adriatico settentrionale in una morsa (a sud i normanni si erano impegnati a rispettare questa parte dell'Adriatico come riserva veneziana).
Nel rendersi conto di questo, il doge Vitale Michiel, per riparare all'errore, aveva pensato di avvicinare gli ungheresi, offrendo di far sposare i suoi due figli a delle principesse ungheresi. Nel frattempo quando l'imperatore aveva chiesto al doge l'aiuto della flotta veneziana, il doge aveva ritenuto opportuno temporeggiare. La reazione non si fece attendere. Non vi poteva essere modo migliore di vendicarsi che intaccare il monopolio tenuto dai veneziani a Costantinopoli, concedendo (1170) ai genovesi prima e ai pisani dopo, non solo i diritti commerciali, ma un intero quartiere per ciascuno. I veneziani reagirono saccheggiando e distruggendo il quartiere dei genovesi.
L'imperatore gli impose la ricostruzione del quartiere e il pagamento dei danni. I veneziani non accettarono e partirono in massa, lasciando deserto il loro quartiere. Subito dopo però Manuele (subdolamente) riconobbe di aver commesso un errore e invitò i veneziani a rientrare, promettendo il monopolio stabile del commercio bizantino. L'intento dell'imperatore però era solo quello di vendicarsi.
La reazione ebbe infatti luogo in gran segreto la mattina del 12 marzo 1171, quando contemporaneamente, in città e in tutto il territorio dell'impero, i veneziani furono arrestati (diecimila nella sola Bisanzio). Molti riuscirono a salpare. Alcune navi furono intercettate al largo, ma venti navi riuscirono a sfuggire e ad arrivare a Venezia.
Non poteva mancare neanche la reazione dei veneziani. In cento giorni allestirono una flotta di cento galee, oltre a venti navi più piccole che salparono a fine settembre sotto il comando dello stesso doge Michiel. La flotta toccò prima le città bizantine di Zara e Ragusa che si sottomisero. Poi proseguì verso l'isola di Chio dove i veneziani si fermarono per l'inverno e da dove partirono ambasciatori per trattare con l'imperatore, il quale però temporeggiava.

Nel frattempo scoppiò la peste, che in pochi giorni uccise un miglaio di soldati e marinai. In primavera il doge decise di partire, fermandosi nell'isola di Panagia dove li raggiunse la seconda ambasceria che tornava da Costantinopoli senza aver concluso nulla.
Il doge fu convinto da un funzionario bizantino di mandare un'altra ambasceria (era la terza). Fu con questa che partì Enrico Dandolo, il quale pare fosse rimasto ferito e parzialmente accecato, in una scaramuccia (o, secondo altri, era rimasto ferito nel tentativo di sottrarsi all' abbacinamento), mentre si dirigeva a Costantinopoli.
Intanto il doge salpava da Panagia dirigendosi a Lesbo, poi a Sciro e poi voleva raggiungere Lemno per essere più vicino a Costantinopoli. Lo seguiva ancora l'epidemia. I suoi, che continuavano a morire, non glielo permisero perché volevano tornare a casa.
La flotta, male in arnese, rientrò a Venezia (maggio 1172), portando anche qui la pestilenza. In città scoppiò un tumulto capeggiato da Marco Casolo. Michiel è abbandonato al suo destino e cerca di andare a rifugiarsi nel monastero di s. Zaccaria, ma viene raggiunto da Marco Casolo che lo uccide per strada (28 maggio 1172) con una pugnalata.

IL PAPA INNOCENZO III


Correva l'anno 1198 quando a Roma, dopo la morte del papa Celestino III, saliva al soglio pontificio Innocenzo III, un papa con forte personalità, il quale fin dal momento della elezione aveva la consapevolezza del potere raggiunto dalla Chiesa: essa in quel periodo esercitava la signoria sull'impero, e sui re e principi di tutta la cristianità. Quando venne eletto aveva trentasette anni e possedeva tutta la cultura del tempo. La sua idea del papato era fondamentalmente teocratica. Egli, infatti, riteneva che il Papa non fosse il rappresentante di Pietro, cioè di un uomo, ma addirittura di Cristo stesso, cioè di Dio. Come tale, la sua potestà discendeva direttamente da Dio ed egli era pertanto il tramite tra Dio e l'uomo, inferiore a Dio, ma superiore all'uomo; racchiudeva in sé i tre poteri temporali di (sommo) sacerdote, giudice (supremo) e re (dei re).
Un anno prima della sua elezione, moriva l'imperatore Enrico IV, figlio di Federico Barbarossa, il quale stava creando dei problemi agli equilibri internazionali avendo accentrato in sè un enorme potere. Egli non solo aveva creato dei regni in Oriente, ma aveva in animo di costituire un impero nel Mediterraneo e mirava a conquistare l'impero di Bisanzio. Se ciò si fosse verificato, sarebbe diventato il più potente sovrano della cristianità. Enrico stava organizzando una flotta di crociati, quando morì improvvisamente a Messina nel settembre del 1197, all'età di trentadue anni. Il nuovo papa che intendeva rafforzare la posizione della Chiesa, particolarmente nei confronti dell'impero, farà valere la sua fermezza nell'investire come nuovo imperatore Ottone IV, che si era mostrato malleabile nei suoi confronti, pur senza il consenso dei principi tedeschi. Ma, nel momento in cui Ottone aveva compiuto atti di ostilità, non solo lo scomunicherà ma proclamerà la sua decadenza e prospetterà la candidatura di Federico II.
Il suo papato, pur essendo stato di breve durata, sarà pieno di altre iniziative, come quella di decretare il primato papale non solo sulla chiesa occidentale ma sulla chiesa universale. Per la verità non tutte erano improntate a spirito di tolleranza, come quella della crociata contro gli albigesi (da non considerare nel numero di quelle d'oltremare), per la quale aveva elargito le stesse indulgenze accordate ai crociati che andavano in Terrasanta.
Questa iniziativa, carica di incomprensibile spirito di fanatismo, gli era sfuggita di mano e aveva scatenato nella Francia del sud massacri e violenze inaudite, tanto da muoverlo a un richiamo alla moderazione, che giungeva ormai troppo tardi e rimaneva inascoltato. L'opera di quei crociati era stata l'esecrabile occasione di una vera e propria pulizia etnica a carattere religioso.
Il primo pensiero di Innocenzo III, però, nello stesso anno della sua elezione, era stato quello di una nuova crociata in nome della Mater Ecclesia, per la liberazione del Santo sepolcro dagli infedeli. La crociata, in ordine di tempo, era la quarta (10) ed ebbe una destinazione diversa dal Santo Sepolcro.

10) La numerazione delle crociate era stata data dagli storici, in epoche posteriori. Per i cronisti arabi, poi, le crociate ovviamente non erano tali, ma erano considerate come pure e semplici invasioni.

 

FINE PARTE PRIMA

 

continua...(parte seconda)

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