SOMMARIO.PARTE
PRIMA: VERSO L'INDIPENDENZA DA
BISANZIO: I PRIMI DOGI; LA PRIMA CROCIATA; PIETRO L'EREMITA E
I SACCHEGGI; L'ALLESTIMENTO DELLA FLOTTA E IL TRAFUGAMENTO DEL
CORPO DI S. NICOLA; LA SPEDIZIONE PUNITIVA DEL 1172; IL PAPA INNOCENZO
III; PARTE SECONDA: LA QUARTA CROCIATA; MESSAGGERI A VENEZIA;
BISANZIO LA CITTA' D' ORO; LA PARTENZA DA VENEZIA: PRIMA ROTTA
ZARA; ALESSIO SI RECA DAI CROCIATI PER RIAVERE COSTANTINOPOLI;
ACCORDI PER LA SPARTIZIONE; IL SACCHEGGIO DI COSTANTINOPOLI E
LA SPARTIZIONE DEL BOTTINO; IL DOGE DOMINATORE DELLA QUARTA PARTE
E MEZZO DELL'IMPERO.
VERSO L'INDIPENDENZA DA BISANZIO: I PRIMI DOGI
Venezia per raggiungere l'indipendenza da Bisanzio
ha dovuto percorrere una strada costellata da rivolte sanguinose
e avvenimenti tragici. Questi erano iniziati molto prima del quasi
mitico Paoluccio Anafesto (697-717) e avevano accompagnato e spesso
travolto gli stessi dogi, almeno fino all'anno 867, cioè
fino a quando a Costantinopoli sale al trono l' imperatore Basilio
I.
Quest'imperatore, con i veneziani, si trovò di fronte ad
una scelta: l'uso della forza, per affermare ancora su Venezia
la supremazia bizantina o la via della collaborazione nel campo
commerciale e militare. Basilio fu saggio. Scelse quest'ultima
via, evitando una guerra sanguinosa e dando a Venezia la possibilità
di proseguire nello sviluppo finanziario, economico e navale intrapreso.
La prima conquista della Venezia (1), per affrancarsi dalla dominazione
dell'impero bizantino, era stata quella della nomina del doge.
Le nomine dei duces e magistrati militum (2), infatti,
erano sempre arrivate direttamente e imposte da Bisanzio. Con
Paulitius-Paoluccio, si ebbe il primo tentativo di nomina fatta
in seno all'aristocrazia tribunizia locale.
Su Paoluccio si hanno notizie molto scarse. Egli è ritenuto
il primo dei centoventi dogi che si sono susseguiti in circa mille
anni di storia della Serenissima. Si suppone che il suo ufficio
sia durato un ventennio e finito con la sua morte, probabilmente
violenta (forse 717), uccisione che si confonde con quella dell'esarca
di Ravenna, indicato su un cippo di confine e poco leggibile Paulu(s)-(patri)cius-Paulucius.
Il governo bizantino però, dopo la morte di Paoluccio,
avrebbe affidato l'amministrazione del ducato al magister militum
dell'Istria, Marcello.
Successivamente a quest'intervallo d'affidamento al magister
Marcello (indicato come Marcello Tegalliano e considerato il secondo
doge), il ducato, a seguito d'elezione, confermata da Bisanzio,
è affidato ad Orso, il quale, essendosi mostrato leale
con il governo centrale, sarà gratificato del titolo di
hypatos(console) imperiale. Forse, per questo motivo,
anche Orso (737) muore assassinato.
Vi è quindi una specie d'interregno con Leo (Leone Domenico),
e Felice Cornicula (costoro però sono considerati
magistri militum e non duces), infine è eletto
(742) Deusdedit (Diodato), figlio di Orso, il quale trasporta
la sede ducale da Eracliana al ducato di Malamocco, decisione
forse suggerita, in ogni modo accettata, da Bisanzio che così
lo poteva tenere sotto controllo con la sua flotta. Anche Deusdedit
dopo un anno è accecato e cacciato come il suo successore
(756) Gaulus (Galla Lupanio). Viene quindi eletto Dominicus
Monegarius, affiancato da due ufficiali di nomina imperiale.
Intanto aumenta l'immigrazione di profughi da Iesolo ed Eracliana
(tra le due città vi erano antiche e risorgenti rivalità
che sfociavano in scontri sanguinosi), che con queste emorragie
continuavano a decadere, mentre le isole rialtine, che in origine
avevano ospitato coloni poveri, incominciano a svilupparsi e con
la prosperità commerciale assumono un aspetto cittadino.
Anche Domenico Monegario viene accecato e cacciato, seguito dall'elezione
di Maurizio-Galbaio (764) il quale per primo afferma il
principio monarchico-dinastico (3), associandosi, con l'assenso
di Bisanzio, il figlio Giovanni (778) che continuerà,
dopo la morte del padre (787) a mantenere la carica, associando
a sua volta (795) il figlio Maurizio II.
Nel frattempo, viene creato il vescovado di Olivolo (che però
non viene riconosciuto), il quale si stacca dalla giurisdizione
di Malamocco, nel 774-775. A questa data si fa risalire la fondazione
di Venezia, che però non ancora era arrivata all'autonomia,
né aveva assunto una sua fisionomia.
Le vicissitudini non hanno termine, perché i territori
longobardi vengono assorbiti dall'impero franco di Carlo Magno.
Alla dinastia di Maurizio II, legata a Bisanzio, ne succede un'altra,
fedele ai franchi, i quali appoggiano l'elezione di Obelierio
che si associa subito il fratello Beato. Obelierio però,
rivolge l'iniziale fedeltà verso i franchi, nei
confronti di Bisanzio che gli assegnerà il titolo di hypatos
imperialis. Egli si assocerà nella carica ducale un
terzo fratello, Valentino.
La politica dei tre duces avrà una certa indipendenza,
se pur sotto la sovranità formale bizantina. Ma questa
indipendenza non doveva durare molto perché i franchi,
per reazione nei confronti dei bizantini (809), assalirono furiosamente
il ducato e Carlo Magno, consapevole di non poter tenere questo
territorio sotto il suo stretto controllo, nel firmare il trattato
di pace di Aquisgrana (812), restituiva all'Impero d'Oriente,
dietro il riconoscimento della sua dignità imperiale, la
Venezia, l'Istria, la Liburnia e la Dalmazia.
Il legato greco Ebersappio, assegnava il ducato a Agnello Parteciacio-Particiaco
(Partecipazio), il quale trasferì la sede nell'isola di
Rialto, che aveva iniziato il suo sviluppo a scapito di Malamocco,
non solo come centro commerciale, con banche, fondaci, industria
navale, ma anche come centro politico e religioso della Venezia,
di cui successivamente prenderà il nome. Segue come doge,
il figlio di Agnello, Giustiniano (4).
Alla morte di questo assume il dogado il fratello di Agnello,
Giovanni I, che viene deposto e sostituito da Pietro
Tradonico (5) il quale stipula (840) un accordo con l'imperatore
Lotario in base al quale Venezia viene riconosciuta come ducato
e il doge non sarà più l'umile duca della
provincia di Venezia ma il gloriosissimo duca di Venezia.
Oramai Venezia è in grado di prestare aiuto con la sua
flotta a Bisanzio per scacciare i saraceni da Bari e Taranto (842).
Con l'emissione delle prime monete, senza l'effigie dell'imperatore
e con la dicitura Criste salva Venecias, la sovranità
di Bisanzio è ridotta a un sottilissimo filo formale, e
la Repubblica prosegue nel suo cammino verso periodi di grandezza
e di splendore.
1) Originariamente era così denominata la regione che comprendeva
il territorio compreso tra il confine della Pannonia (Ungheria)
e il fiume Adda e aveva per capitale Aquileia.
2) Queste magistrature a carattere militare e civile, avevano
sostituito quelle di patricius et exarchus introdotte dall'imperatore
Maurizio tra la fine del 500 e inizi del 600.
3) Il titolo assunto da Maurizio era di magister militum, consul
et imperialis dux Venetiarum provinciae.
4) Sotto questo doge, il corpo di s. Marco fu trafugato a Venezia.
Il racconto, farcito anche di elementi fantastici (e riprodotto
nel mosaico della basilica), narra di due mercanti veneziani Buono
di Malarico e Rustico di Torcello, che corrompendo il guardiano
di un convento di Alessandria d'Egitto, dove si trovava da sette
secoli il corpo si s. Marco ed era meta di pellegrinaggi da parte
di veneziani, lo rubarono trasportandolo a Venezia. I mercanti
sarebbero riusciti a sottrarsi al controllo della dogana musulmana,
facendolo passare per carne di maiale. Giustiniano Partecipazio
nel suo testamento dava disposizioni alla moglie di costruire
una basilica dedicata a s. Marco, che fu poi costruita sotto il
suo successore nell'832. La storia non finisce qui. Nel 976, dopo
una rivolta contro il doge Pietro IV Candiano, durante la quale
furono bruciati il palazzo ducale e la chiesa di s. Marco, per
evitare che le reliquie fossero distrutte, furono trafugate in
un'arca e nascoste. Il doge Vitale Falier (doge dal 1084 al 1095)
che doveva inaugurare la nuova basilica, voleva che le reliquie
fossero riportate alla adorazione dei fedeli. Non sapendo dove
cercarle, aveva ordinato preghiere e digiuno per tre giorni. Alla
fine di questi tre giorni a seguito di un cedimento di strutture
(di una colonna) apparve un'arca che conteneva uno scheletro (ricordiamo
che i morti venivano sepolti nelle chiese). Poiché le reliquie
trovate non si sapeva di chi fossero, la conferma che fossero
proprio di s. Marco venne data da alcuni miracoli che si verificarono
in quei giorni. Si avvertì un meraviglioso profumo che
si diffuse dall'arca (lo sentiremo più avanti anche per
s. Nicola), una indemoniata guarì toccando l'arca, alcuni
marinai si salvarono durante una tempesta!.
La storia dell'alto e basso medioevo è piena di racconti
più o meno fantastici, collegati a trafugamenti e trasferimenti
di corpi, non solo, ma anche a un nutrito commercio di membra,
organi, reliquie, pezzi di vestiario, perfino il latte, attribuiti
alla Vergine, allo stesso Gesù (pezzi di legno della croce,
chiodi che lo avevano crocifisso o spine della corona e perfino
un dente) e ai santi.
5) Anche Pietro Tradonico fu assassinato.
LA PRIMA CROCIATA
La città di Gerusalemme è stata sempre
considerata, dalle tre le religioni monoteiste, città santa.
In ordine di tempo, prima dagli ebrei, successivamente, dopo l'avvento
di Gesù Cristo, dai cristiani (scissionisti dell'ebraismo)
e infine, dopo la diffusione dell'Islàm da parte di Maometto,
dai musulmani.
Essa era meta di pellegrinaggi dei cristiani, che da sporadici
(III sec.) si erano incrementati nel secolo successivo, da quando
l'imperatrice Elena, madre di Costantino, presa da fervore religioso
e archeologico, si era recata a Gerusalemme e aveva creduto di
scoprire la vera croce, i chiodi con cui Gesù era stato
crocifisso e il luogo della crocifissione.
La città, dopo la conquista romana, successivamente alla
scissione dell'Impero d'Oriente, era stata prima sotto la dominazione
bizantina, poi era passata sotto la dominazione araba (califfo
Omar), durante la quale vi era libertà di culto, perciò
le tre realtà religiose convivevano senza problemi. Anzi,
per i cristiani, durante la dominazione araba, le condizioni erano
addirittura migliori di quando vi era stata la dominazione degli
imperatori bizantini.
All'inizio del X sec. era cominciato il declino del califfato
abbaside (la dinastia iniziata con Abu al Abbas è collegata
all' epoca d'oro dell'Islam), ed avevano trovato il sopravvento
i turchi selgiuchidi (provenienti dall'Asia centrale) che avevano
conquistato i territori dall'Afganistan alla Siria e avevano istituito
gli emirati. Le scorrerie dei predatori turchi rendevano instabili
i confini orientali dell'impero bizantino, che confinavano con
quelli turchi. L'imperatore bizantino Alessio, che voleva rafforzare
e possibilmente estendere i suoi confini, aveva chiesto l'aiuto
del papa per avere un esercito.
Al papa, Urbano II, questa richiesta era giunta gradita, perché
egli si trovava a dover tenere a bada sovrani e feudatari dell'occidente
che continuamente si combattevano tra loro: i suoi richiami ai
cristiani, che non dovevano combattere contro altri cristiani
(un cristiano che uccide un cristiano versa il sangue di Cristo),
cadevano nel vuoto.
La nobiltà, dal sovrano al nobile più povero, era
abituata a combattere (6). La selezione naturale lasciava vivere
i più forti e sin da bambini i nobili giocavano con le
armi ed erano educati a cavalcare e allenati al combattimento.
Per loro era normale portare sotto il sole o la pioggia il peso
dell'armatura, con spada (pesante) e scudo. Essi quindi erano
sempre pronti a guerreggiare (quando non combattevano, facevano
tornei che servivano oltretutto a tenersi in allenamento) per
qualsiasi motivo e certamente non erano gli inviti del papa a
trattenerli!.
Al papa non era sembrato vero di potersi liberare di questi cavalieri
bellicosi, che avevano il gusto di combattere, non solo per la
gloria militare, ma anche per ingrandire i loro possedimenti.
Vi erano anche i numerosissimi e famelici figli cadetti, i quali
non ereditavano beni a causa delle leggi che favorivano il maggiorasco
e, quando non intraprendevano la carriera ecclesiastica, prestavano
servizio presso i feudatari e cercavano anch'essi l'occasione
per crearsi propri feudi.
Egli si sarebbe quindi tolto un peso mandandoli a combattere contro
gli infedeli. Il mezzo, o come si direbbe oggi, la campagna
promozionale, per far partecipare alla guerra il maggior numero
di persone era basata sul sistema delle indulgenze.
Chi partecipava per un anno alla guerra contro gli infedeli (anche
chi era stato condannato dalla Chiesa), avrebbe avuti condonati
i propri peccati, morendo in guerra, oppure, chi riusciva a tornare,
confessandoli. Non solo. Chi riusciva a conquistare un territorio
ne diventava sovrano o feudatario e al papa questo non dispiaceva,
perché la Chiesa estendeva ugualmente il suo potere sui
nuovi territori, in quanto le terre conquistate sarebbero state
governate sotto la suprema autorità del Papa. A quelli
che partivano e lasciavano beni, era inoltre assicurata, con
la tregua di Dio, la custodia della proprietà, che
per il periodo di assenza, rimaneva affidata al vescovo locale.
Si erano creati tutti i presupposti perché la minaccia
dei musulmani nei confronti di Bisanzio potesse essere, con una
certa forzatura, ingigantita agli occhi degli occidentali. Perciò,
al Concilio di Clermont (27.11.1095) il papa Urbano II,
sventolando questa minaccia e mettendo in rilievo il carattere
sacro di Gerusalemme e le sofferenze dei pellegrini che vi
si recavano, invitò tutti i cristiani ricchi e poveri
a smettere di combattere tra loro e andare a combattere contro
gli infedeli, quando fosse giunta l'estate e dopo che erano state
raccolte le messi.
Ciascuno (esclusi vecchi, donne, bambini e malati) doveva esser
pronto per il 15 agosto dell'anno successivo (1096), giorno dell'Assunzione,
a raccogliersi a Costantinopoli. Nessuno era autorizzato a partire
se non aveva consultato il proprio direttore spirituale.
Era stata così bandita la prima della serie di guerre di
conquista che va sotto il nome di crociate.
6) Si diceva, infatti, che la funzione della nobiltà
era quella di combattere per il sovrano e per la difesa della
proprietà. La funzione del clero era di pregare per la
salvezza delle anime e quella del terzo stato, che comprendeva
dal diseredato al più ricco mercante, di lavorare e pagare
tributi e gabelle.
PIETRO L'EREMITA E I SACCHEGGI
L' invito del
papa, rivolto ai vescovi fu raccolto e propagandato da un predicatore
conosciuto come Pietro l'Eremita. Il suo aspetto era terrificante,
con un mantello da eremita (da cui prese il nome), sporco, a braccia
e piedi nudi, con barba e capelli incolti, la sua figura era simile
all'asino (qualcuno parla di mulo) che cavalcava, ma con le sue
prediche riusciva ad infuocare gli animi, e il popolo lo attorniava
in folla e lo subissava di doni e qualunque cosa dicesse o
facesse sembrava vi fosse alcunché di divino, al punto
che strappavano i peli del suo mulo per conservarli come reliquie.
Uomini e donne abbandonavano le loro case per seguirlo. A Colonia
già nel mese di aprile, si raccolse un primo numeroso gruppo,
con alcuni cavalieri, che si diresse verso l'Ungheria (Pietro
lascerà Colonia successivamente, con un gruppo ancora più
numeroso).
Una masnada di migliaia di persone, male in arnese, chi con carri
tirati da buoi, chi a piedi, senza armi, con donne, malati e bambini
(proprio quelli che erano stati interdetti dal papa), si mise
in marcia, prima del periodo fissato dal papa, incamminandosi
lungo il Reno, seguendo poi il Neckar fino al Danubio. In Ungheria
da parte del primo gruppo iniziarono i litigi con gli abitanti
del posto, che finirono in saccheggi, e questi continuarono fino
a quando non sopraggiunse il secondo gruppo guidato da Pietro,
il quale accoglieva tutti, banditi, avventurieri, vagabondi che
si presentavano per ottenere il perdono!.
A Belgrado, si dette mano prima al saccheggio e poi si appiccò
il fuoco. La marcia continuò con altri saccheggi, durante
i quali furono uccisi quattromila ungheresi, ma anche i cristiani
furono decimati (7). Quelli che rimasero raggiunsero Costantinopoli
il 1° Agosto 1096.
Fu solo l'inizio di questa prima crociata, detta crociata dei
pezzenti. Un altro massacro costoro lo subirono ad opera dei
turchi, che gli tesero un'imboscata mentre si recavano a Nicea.
La crociata, col sopraggiungere dei baroni, nel giro di qualche
anno, si volse positivamente in favore dei cristiani, che avevano
conquistato Gerusalemme e Antiochia e che proseguirono nelle conquiste
dei territori circostanti.
7) Sulle cifre i cronisti non sono d'accordo. Alcuni parlano
di ventimila, altri di quarantamila; il numero in ogni caso è
rilevante e almeno un quarto di costoro fu massacrato.
L'ALLESTIMENTO DELLA FLOTTA
E IL TRAFUGAMENTO DEL CORPO DI S. NICOLA
Nel dicembre del 1095 veniva eletto doge Vitale I Michiel,
il quale pur a conoscenza dell'invito del papa non prende alcuna
iniziativa. Nel frattempo il doge si era reso conto dei vantaggi
che la crociata aveva offerto ai nemici pisani che con 120 navi
avevano curato il trasporto del contingente e delle derrate di
Goffredo di Buglione, e a Giaffa avevano ottenuto un'intero quartiere
per il loro commercio. Il doge propone all'assemblea di organizzare
una spedizione, più che altro per allontanare i pisani
dalla Siria. La proposta fu accolta e venne armata una flotta
di 208 navi che salpò nel luglio-agosto 1099 sotto la guida
dell'ammiraglio Giovanni Michiel, figlio del doge.
La flotta non si diresse verso la Terrasanta, ma a Zara per sistemare
problemi locali, e successivamente si fermava a Rodi per svernare,
e qui dopo essersi scontrati con i pisani che disturbavano il
loro commercio, salparono a maggio del nuovo anno. Forse per suggerimento
del Vescovo Enrico Contarini che accompagnava la spedizione, la
flotta si recò sulla sponda opposta, a Mira (Asia minore)
dove si trovavano i resti di s. Nicola (o s. Nicolò), di
uno zio di s. Nicola e di s. Teodoro e se ne impossessarono in
quanto la chiesa di s. Nicola al Lido, costruita dal doge Domenico
Contarini (padre del suddetto vescovo Enrico), non aveva reliquie
del santo (8). I veneziani si erano così assicurati oltre
al corpo del Leone (s. Marco), che li proteggeva in guerra, quello
del Nocchiero (s. Nicolò) che li proteggeva in mare.
Le navi veneziane, prima di tornare, proseguirono per la Terrasanta
dove offrirono il loro aiuto a Goffredo di Buglione,per la conquista
di s. Giovanni d'Acri, assicurandosi un terzo della città
di Haifa (dove ebrei e musulmani furono massacrati), l' esclusiva
del commercio di Tripoli e fondando successivamente un piccola
colonia ad Antiochia.
Alcuni anni dopo (1119) Baldovino, re di Gerusalemme, che
aveva bisogno d'aiuto, avendo ricevuto una sanguinosa sconfitta,
si rivolse direttamente al doge, chiedendo al papa di appoggiare
la richiesta presso il doge. L'anno precedente (1118) era stato
eletto doge Domenico Michiel (della famiglia dinastica, nipote
di Vitale I), presentato dal cronista come <uomo bellicoso
che fece molte stragi dei nemici>.
Il doge accolse l'invito allestendo una flotta (le cifre divergono
tra 108 e 200 navi e quindicimila uomini), che partita nel 1122,
non si diresse neanche questa volta verso la Terrasanta, ma verso
l'isola di Corfù (9), che il doge tenne in assedio per
tutto l'inverno senza riuscire ad espugnarla. Nella primavera
successiva giunse notizia che Baldovino era stato fatto prigioniero
dai musulmani, quindi la flotta si diresse verso Acri, scontrandosi
con la flotta egiziana al largo di Ascalona e riportando (1123)
una mirabile vittoria. Forti di questa vittoria, i veneziani aggiunsero
alle loro richieste di ricompensa, una strada, una chiesa, le
terme e un forno in ognuna delle città del regno di Gerusalemme.
Dopo di che aiutarono a conquistare la città di Tiro, loro
dal mare, i crociati dalla terra. La guarnigione si arrese (1124).
Dopo quest'impresa ritennero assolti i loro impegni. Presero la
via del ritorno, ma, non dimenticando la resistenza opposta da
Corfù, si diressero verso Rodi che saccheggiarono col pretesto
che gli abitanti si erano rifiutati di rifornirli di provviste.
La flotta poi fece tappa a Chio dove svernò e dove venne
trafugato il corpo di un altro santo, quello di s. Isidoro. Ripartendo
la flotta mise a sacco le isole di Kos, Samo, Lesbo, Andro e infine
Modone sulla punta sud-occidentale del Peloponneso. Risalendo
l'Adriatico furono liberate numerose città occupate da
guarnigioni ungheresi e nel mese di giugno del 1125 la flotta
trionfante giunse a Venezia.
Il bottino in termini di concessioni era stato proficuo.
Rimanevano in sospeso i rapporti con l'imperatore, relativi al
mancato riconoscimento della crisobolla. Il doge intanto
determinò che i veneziani dovevano radersi la barba per
non somigliare ai greci. Poi mandò una spedizione punitiva
nell'isola di Cefalonia, che fu saccheggiata. In questa occasione
fu trafugato il corpo di un altro santo, quello di s.Donato.
Fu così che l'imperatore si convinse ad emettere una nuova
crisobolla, che confermava tutti i diritti riconosciuti
da quella del padre.
8) E' noto che il corpo di s. Nicola, o almeno quello che
era ritenuto il corpo di s. Nicola, era stato portato a Bari nel
1087, ma i veneziani sostenevano che il vero s. Nicola era loro
apparso in una visione e aveva indicato dove si trovava la sua
tomba, cioè a Mira. Quando si recarono a Mira dove s. Nicola
era venerato, vi trovarono tre tombe. Aprendole però, in
due trovarono i corpi dello zio di s. Nicola e di s. Teodoro,
ma la terza era vuota. Il vescovo di Venezia si mise a pregare
a voce alta invocando un miracolo, che non si fece attendere.
Da una tomba vicina incominciò a espandersi un profumo
di santità, fu aperta e in essa trovarono i resti di un
corpo che a loro dire era quello vero di s. Nicola. La tomba trovata
vuota poteva essere stata benissimo quella del corpo che di là
sottratto era finito a Bari, dove si era sempre rivendicata la
priorità del corpo che si trovava nella città. La
diatriba tra Venezia e Bari è durata novecento anni.
Per farla cessare, in tempi recenti sono state fatte esaminare
le spoglie del santo e il verdetto salomonico ha accontentato
ambedue i contendenti, nel senso che una parte del corpo di s.
Nicola è a Venezia e l'altra parte a Bari.
Nel frattempo è insorto un fatto del tutto nuovo! Il Governo
turco ha fatto richiesta (a Bari) della restituzione del corpo
di s. Nicola!
9) Questo assedio era punitivo nei confronti dell'imperatore Giovanni
II Comneno, che non aveva voluto rinnovare una crisobolla (decreto
imperiale di concessione di privilegi commerciali) che era stata
loro concessa dal padre nel 1082.
LA SPEDIZIONE PUNITIVA DEL 1172
Venezia era in guerra
con l'Ungheria da cinque anni per il possesso delle città
sulla costa dalmata. Nel 1167 l'imperatore Manuele, che aveva
contato sull'aiuto di Venezia, e non era arrivato, aveva riportato
una vittoria nei confronti del re degli Ungari, Stefano III, assicurandosi
tutto il territorio della Dalmazia e della Croazia. Con la Dalmazia
e la Croazia nelle mani dei bizantini, l'impero bizantino era
arrivato con i suoi confini vicino alla repubblica veneta, la
quale rimaneva chiusa nell'Adriatico settentrionale in una morsa
(a sud i normanni si erano impegnati a rispettare questa parte
dell'Adriatico come riserva veneziana).
Nel rendersi conto di questo, il doge Vitale Michiel, per riparare
all'errore, aveva pensato di avvicinare gli ungheresi, offrendo
di far sposare i suoi due figli a delle principesse ungheresi.
Nel frattempo quando l'imperatore aveva chiesto al doge l'aiuto
della flotta veneziana, il doge aveva ritenuto opportuno temporeggiare.
La reazione non si fece attendere. Non vi poteva essere modo migliore
di vendicarsi che intaccare il monopolio tenuto dai veneziani
a Costantinopoli, concedendo (1170) ai genovesi prima e ai pisani
dopo, non solo i diritti commerciali, ma un intero quartiere per
ciascuno. I veneziani reagirono saccheggiando e distruggendo il
quartiere dei genovesi.
L'imperatore gli impose la ricostruzione del quartiere e il pagamento
dei danni. I veneziani non accettarono e partirono in massa, lasciando
deserto il loro quartiere. Subito dopo però Manuele (subdolamente)
riconobbe di aver commesso un errore e invitò i veneziani
a rientrare, promettendo il monopolio stabile del commercio bizantino.
L'intento dell'imperatore però era solo quello di vendicarsi.
La reazione ebbe infatti luogo in gran segreto la mattina del
12 marzo 1171, quando contemporaneamente, in città e in
tutto il territorio dell'impero, i veneziani furono arrestati
(diecimila nella sola Bisanzio). Molti riuscirono a salpare. Alcune
navi furono intercettate al largo, ma venti navi riuscirono a
sfuggire e ad arrivare a Venezia.
Non poteva mancare neanche la reazione dei veneziani. In cento
giorni allestirono una flotta di cento galee, oltre a venti navi
più piccole che salparono a fine settembre sotto il comando
dello stesso doge Michiel. La flotta toccò prima le città
bizantine di Zara e Ragusa che si sottomisero. Poi proseguì
verso l'isola di Chio dove i veneziani si fermarono per l'inverno
e da dove partirono ambasciatori per trattare con l'imperatore,
il quale però temporeggiava.
Nel frattempo scoppiò la peste, che in pochi giorni
uccise un miglaio di soldati e marinai. In primavera il doge decise
di partire, fermandosi nell'isola di Panagia dove li raggiunse
la seconda ambasceria che tornava da Costantinopoli senza aver
concluso nulla.
Il doge fu convinto da un funzionario bizantino di mandare un'altra
ambasceria (era la terza). Fu con questa che partì Enrico
Dandolo, il quale pare fosse rimasto ferito e parzialmente accecato,
in una scaramuccia (o, secondo altri, era rimasto ferito nel tentativo
di sottrarsi all' abbacinamento), mentre si dirigeva a Costantinopoli.
Intanto il doge salpava da Panagia dirigendosi a Lesbo, poi a
Sciro e poi voleva raggiungere Lemno per essere più vicino
a Costantinopoli. Lo seguiva ancora l'epidemia. I suoi, che continuavano
a morire, non glielo permisero perché volevano tornare
a casa.
La flotta, male in arnese, rientrò a Venezia (maggio 1172),
portando anche qui la pestilenza. In città scoppiò
un tumulto capeggiato da Marco Casolo. Michiel è abbandonato
al suo destino e cerca di andare a rifugiarsi nel monastero di
s. Zaccaria, ma viene raggiunto da Marco Casolo che lo uccide
per strada (28 maggio 1172) con una pugnalata.
IL PAPA INNOCENZO III
Correva l'anno 1198
quando a Roma, dopo la morte del papa Celestino III, saliva al
soglio pontificio Innocenzo III, un papa con forte personalità,
il quale fin dal momento della elezione aveva la consapevolezza
del potere raggiunto dalla Chiesa: essa in quel periodo esercitava
la signoria sull'impero, e sui re e principi di tutta la cristianità.
Quando venne eletto aveva trentasette anni e possedeva tutta la
cultura del tempo. La sua idea del papato era fondamentalmente
teocratica. Egli, infatti, riteneva che il Papa non fosse il rappresentante
di Pietro, cioè di un uomo, ma addirittura di Cristo stesso,
cioè di Dio. Come tale, la sua potestà discendeva
direttamente da Dio ed egli era pertanto il tramite tra Dio e
l'uomo, inferiore a Dio, ma superiore all'uomo; racchiudeva in
sé i tre poteri temporali di (sommo) sacerdote, giudice
(supremo) e re (dei re).
Un anno prima della sua elezione, moriva l'imperatore Enrico IV,
figlio di Federico Barbarossa, il quale stava creando dei problemi
agli equilibri internazionali avendo accentrato in sè un
enorme potere. Egli non solo aveva creato dei regni in Oriente,
ma aveva in animo di costituire un impero nel Mediterraneo e mirava
a conquistare l'impero di Bisanzio. Se ciò si fosse verificato,
sarebbe diventato il più potente sovrano della cristianità.
Enrico stava organizzando una flotta di crociati, quando morì
improvvisamente a Messina nel settembre del 1197, all'età
di trentadue anni. Il nuovo papa che intendeva rafforzare la posizione
della Chiesa, particolarmente nei confronti dell'impero, farà
valere la sua fermezza nell'investire come nuovo imperatore Ottone
IV, che si era mostrato malleabile nei suoi confronti, pur senza
il consenso dei principi tedeschi. Ma, nel momento in cui Ottone
aveva compiuto atti di ostilità, non solo lo scomunicherà
ma proclamerà la sua decadenza e prospetterà la
candidatura di Federico II.
Il suo papato, pur essendo stato di breve durata, sarà
pieno di altre iniziative, come quella di decretare il primato
papale non solo sulla chiesa occidentale ma sulla chiesa universale.
Per la verità non tutte erano improntate a spirito di tolleranza,
come quella della crociata contro gli albigesi (da non considerare
nel numero di quelle d'oltremare), per la quale aveva elargito
le stesse indulgenze accordate ai crociati che andavano in Terrasanta.
Questa iniziativa, carica di incomprensibile spirito di fanatismo,
gli era sfuggita di mano e aveva scatenato nella Francia del sud
massacri e violenze inaudite, tanto da muoverlo a un richiamo
alla moderazione, che giungeva ormai troppo tardi e rimaneva inascoltato.
L'opera di quei crociati era stata l'esecrabile occasione di una
vera e propria pulizia etnica a carattere religioso.
Il primo pensiero di Innocenzo III, però, nello stesso
anno della sua elezione, era stato quello di una nuova crociata
in nome della Mater Ecclesia, per la liberazione del Santo
sepolcro dagli infedeli. La crociata, in ordine di tempo, era
la quarta (10) ed ebbe una destinazione diversa dal Santo Sepolcro.
10) La numerazione delle crociate era stata data dagli storici,
in epoche posteriori. Per i cronisti arabi, poi, le crociate ovviamente
non erano tali, ma erano considerate come pure e semplici invasioni.