SOMMARIO.LA
QUARTA CROCIATA; MESSAGGERI A VENEZIA; BISANZIO LA CITTA' D' ORO;
LA PARTENZA DA VENEZIA: PRIMA ROTTA ZARA; ALESSIO SI RECA DAI
CROCIATI PER RIAVERE COSTANTINOPOLI; ACCORDI PER LA SPARTIZIONE;
IL SACCHEGGIO DI COSTANTINOPOLI E LA SPARTIZIONE DEL BOTTINO;
IL DOGE DOMINATORE DELLA QUARTA PARTE E MEZZO DELL'IMPERO.
LA QUARTA CROCIATA
Il papa Innocenzo
III, appena bandita la crociata (1198), aveva mandato suoi messi
in Francia, da Folco di Neully, perché la predicasse, con
promessa delle indulgenze. Costui era un frate predicatore, considerato
un santo uomo, il quale accolse subito la richiesta e si mise
in viaggio per la predicazione. Le prediche furono raccolte da
alcuni cavalieri, i quali incontratisi in un castello (Ecry),
in occasione di un torneo, decisero di prendere la croce
(cioè di partire per Gerusalemme). Tra i cavalieri Tibaldo
di Champagne (che aveva ventidue anni) fu considerato il promotore.
A costoro si aggiungeranno altri cavalieri, tra i quali Goffredo
di Villardhuin (che della crociata fa una piacevole e affascinante
cronaca), e altri, provenienti dalla Germania. L'unico ad accorrere
dall'Italia fu il marchese Bonifacio di Monferrato con un suo
vassallo, Gherardo, e un conte di Lombardia, (il gruppo era di
circa ottanta cavalieri).
Successivamente a quel primo incontro al castello di Ecry, i cavalieri
si riunirono una prima volta a Soisson, poi a Compiègne
dove si decise di fare il viaggio via mare. Furono incaricati
Goffredo di Villardhuin con cinque nobili cavalieri. Essi ebbero
credenziali che garantivano la conferma del loro operato. Costoro
decisero di recarsi a Venezia, sicuri che lì avrebbero
trovato un maggior numero di navi che in qualsiasi altro porto.
MESSAGGERI A VENEZIA
AVenezia il
21 giugno 1192 era stato eletto doge Enrico Dandolo il quale era
arrivato al dogado quando aveva superato gli ottant'anni, dopo
aver ricoperto cariche pubbliche ed essere stato ambasciatore
a Ferrara e bailo a Costantinopoli, dove era stato inviato anche
come ambasciatore. Egli, col fisico eccezionale e le esperienze
della sua lunga vita, sarà il personaggio chiave di quella
che, iniziata come crociata per la conquista del Santo Sepolcro,
diventerà una brillante operazione che il doge saprà
cogliere da vero manager (11) e, da suo pari, sarà
in grado di gestire in modo tale da portare Venezia al periodo
di maggior splendore di tutta la sua storia.
I dogi arrivavano alla più alta carica preparati sia nell'amministrazione
dei loro patrimoni, che spesso erano ingenti, sia nella amministrazione
della cosa pubblica. I nobili infatti da giovanissimi (Marco Polo
era partito con i due zii all'età di 17 anni) venivano
imbarcati in modo da fare quelle esperienze che li portavano a
governare una nave. Si diventava così capitano della nave,
poi di una flotta come <capitano generale da mar>.
Essi erano quindi in grado di ricoprire tutte le alte cariche
pubbliche che erano riservate solo ai nobili, non solo a Venezia,
ma anche nelle città che a Venezia erano sottoposte, oppure
come ambasciatori presso i vari principi e sovrani dell'Italia
e dell'Europa.
Nella prima settimana di quaresima dell'anno 1098 gli si presentarono,
con le credenziali, i sei messaggeri partiti dalla Francia, i
quali richiesero la convocazione del Consiglio, per poter esporre
le loro richieste. Il doge fissò la convocazione, per il
quarto giorno successivo.
Il giorno fissato, i messaggeri si recarono a palazzo (molto
bello, osserva il cronista), dove trovarono il doge con il
Consiglio, a cui esposero la loro ambasceria: "Sire, veniamo
da parte dei grandi baroni di Francia che hanno preso il segno
della croce per vendicare l'oltraggio fatto a Gesù Cristo
e conquistare Gerusalemme".
I messaggeri chiesero quindi di far loro sapere a quali condizioni
avrebbero potuto avere delle armi e un'armata. Fu assicurata una
risposta entro otto giorni. Non stupitevi della lunghezza del
termine, precisò il doge, ma si tratta di cosa di
rilevante importanza E difatti l'affare era veramente
di ingente portata!.
Alla scadenza degli otto giorni, la risposta decisa in Consiglio
era positiva, a condizione, però, che vi fosse il consenso
del Gran Consiglio e dell'assemblea comunale. Veniva
quindi preannunciato che sarebbero stati forniti: uscieri (12),
che avrebbero potuto trasportare quattromilacinquecento cavalli,
novemila scudieri; navi per il trasporto di quattromilacinquecento
cavalieri e ventimila sergenti a piedi, nonché per il trasporto
di viveri, per tutti e per la durata di nove mesi.
Il prezzo sarebbe stato di quattro marchi per ogni cavallo
e due per ciascun soldato, in totale novantaquattromila
marchi.
Queste condizioni avrebbero avuto la durata di un anno dalla partenza.
Per amor di Dio, aggiunse il doge, forniremo cinquanta
galee armate, a condizione che, finché durerà l'alleanza,
avremo la metà di tutte le conquiste che faremo per mare
e per terra!
La risposta fu riservata all'indomani, e fu positiva. Il doge
a sua volta si riservò di riferire al Consiglio (cioè
prima alla Quarantìa, poi al Minor Consiglio e dopo al
Maggior Consiglio). Dopo aver avuto l'approvazione di queste magistrature,
occorreva avere il consenso della popolazione, che si riunì
nella chiesa di san. Marco ( la più bella che esista,
dice il cronista) e, dopo aver ascoltato la Messa, il doge fatti
chiamare i messaggeri li invitò a chiedere umilmente al
popolo (che li osservava con curiosità), che si stringesse
quel patto.
Al popolo così riunito, fu detto che i più nobili
e più potenti signori francesi supplicano di avere pietà
di Gerusalemme che è schiava dei Turchi, di accettare l'alleanza
e vendicare l'oltraggio fatto a Cristo. Siete stati scelti voi,
venne precisato, perché non c'è nessun altro
popolo marinaro che abbia tanto potere come voi e la vostra gente,
e ci hanno comandato di cadere ai vostri piedi e rialzarci finché
non abbiate acconsentito ad avere pietà della terra santa
in oltremare ..e tutti e sei i messaggeri caddero in ginocchio
in lacrime e il doge e il popolo, alzando le mani acconsentirono.
Furono così stilati gli accordi con l'intesa che i crociati
(baroni e pellegrini) avrebbero dovuto recarsi a Venezia,
il giorno di s. Giovanni dell'anno successivo (1202). I messi,
ripartirono dopo aver consegnato un acconto di duemila marchi,
presi in prestito in città.
In Francia fervono i preparativi. Il capo designato Tibaldo
di Champagne muore (1201) ed è sostituito dal marchese
Bonifacio di Monferrato. L'anno successivo a Pentecoste incominciano
le partenze per Venezia dove giungono le notizie che molti cavalieri
si erano imbarcati sulla flotta partita dalle Fiandre. Altri cavalieri
e pellegrini si erano invece imbarcati a Marsiglia e in altri
porti, col risultato che, a causa di queste defezioni, la flotta
allestita (nessun cristiano ne aveva mai vista una più
bella e più ricca) era tre volte superiore alle necessità.
Gli uomini, che man mano arrivavano, erano ospitati nell'isola
di s. Nicola. Fu l'occasione per i veneziani di vendere tutto
ciò che fosse necessario per le persone e per i cavalli.
I cavalieri, a causa delle defezioni si trovarono a fronteggiare
la questione economica. Infatti, a causa del numero che era venuto
a mancare, non avevano la possibilità di pagare quanto
pattuito, ma per mantenere la parola data consegnarono al doge
tutto il vasellame d'oro e d'argento di cui disponevano, non riuscendo
a pagare tutto l'importo e rimanendo debitori di 34mila marchi.
Dandolo ne approfittò per proporre un accordo. Il re d'Ungheria
(Bela III) si era impadronito di Zara, che senza l'aiuto dei crociati
non sarebbe stata ripresa. Propose quindi a costoro, che accettarono,
una dilazione nel pagamento se avessero riconquistato la città.
Le navi quindi si diressero verso Zara
11) Da parte di molti storici il comportamento di Dandolo era
stato pesantemente condannato (qualcuno lo aveva qualificato vilain
de la piéce), ma questi storici erano stati fuorviati
dalla componente religiosa di quelle guerre (convinti magari che
esse fossero veramente sante mentre tali non erano!), senza osservare
quegli avvenimenti con il dovuto distacco e pragmatismo. Essi
poi, relativamente ai comportamenti di ciascuno dei principali
personaggi, avevano attribuito dei secondi fini, non rendendosi
conto che i comportamenti erano stati invece determinati dagli
avvenimenti stessi man mano che questi andavano maturando.
12) Uscieri erano chiamate le navi che avevano boccaporti bassi
attraverso i quali entravano i cavalli (come gli attuali traghetti).
BISANZIO LA CITTA' D' ORO
Quando l'impero
romano si divise tra occidente e oriente, l'imperatore Costantino
decise di porre la nuova sede a Bisanzio, scelta per la sua posizione
strategica (v. in Schegge: Bisanzio la città d'oro). Egli
nel giro di tre anni e mezzo (326-330) ingrandì la città
con edifici pubblici, chiese, piazze, mercati, che, solennemente
inaugurata, l'11 maggio dell'anno 330 prese il nuovo nome di Costantinopoli,
dall' imperatore. Nel corso degli anni, fino all'anno mille, tutti
gli imperatori successivi l'avevano continuamente ingrandita (tanto
da fuoriuscire dalle mura costruite al tempo di Costantino),con
aumento della popolazione che intorno all'anno mille raggiunse
circa ottocentomila abitanti. La città veniva continuamente
abbellita con fontane, giardini, monumenti, opere d'arte, tanto
da essere considerata la più bella città del mondo
occidentale. Anche il palazzo imperiale fu col tempo ingrandito
e abbellito, ma nel secolo XII gli imperatori si trasferirono
a palazzo Blaquerne, per cui quello di Costantino col tempo decadde
fino a diventare, prima della dominazione ottomana, un cumulo
di macerie.
Già intorno all'anno mille (950 n.e.) era la città
d'oro, la più bella di tutto l'Occidente, la regina
delle città, una megalopoli che non aveva eguali al
mondo (solo a Oriente vi era Pechino), ricca di opere d'arte della
classicità, non solo, ma anche di opere tecniche
che lasciavano sbalorditi i visitatori.
Vi era infatti nella sala del trono dell'imperatore, un albero
in bronzo dorato, i cui rami erano pieni di uccelli, ugualmente
di bronzo dorato che emettevano ciascuno il canto della propria
specie. Il trono stesso dell'imperatore si sollevava automaticamente
(forse con un argano, riferisce il cronista); ai suoi lati
vi erano dei leoni ricoperti d'oro che, percuotendo la coda per
terra, emettevano un ruggito.
Dovevano aver creato degli effetti ottici, in quanto il cronista
e ambasciatore riferisce che dopo essersi prosternato per il saluto,
mentre prima aveva visto l'imperatore seduto ad altezza normale,
nell'alzare il capo, non solo il trono si era alzato fino al soffitto,
ma aveva visto l'imperatore rivestito con altre vesti e,
la ricchezza di oro, d'argento e di pietre preziose, non aveva
eguali!
Ai ricevimenti dell'imperatore si banchettava con vasellame d'oro
e anche in queste occasioni venivano usate delle macchine e venivano
anche introdotti dei giocolieri. Uno di questi giocolieri aveva
un palo a croce sulla fronte, senza aiuto delle mani, e sulle
braccia aveva due fanciulli, che dopo aver fatto evoluzioni ridiscendevano
a testa in giù, ma uno dei due, prima di scendere, faceva
altre evoluzioni, con meraviglia di tutti!
Durante la settimana delle Palme, vi era la cerimonia della donazione,
da parte dell'imperatore, ai funzionari dell'impero di
monete d'oro, a libbre (350/500 gr.) secondo la dignità
e mantelli di (preziosa) porpora... e la cerimonia durava tre
giorni!
I cittadini di Bisanzio avevano il gusto delle discussioni lunghe
e sottili (non a caso si parla di bizantinismo), tanto
che uno storico del V secolo raccontava che <quando si chiedeva
a qualcuno di barattare del denaro o l'indicazione di una strada,
quello iniziava con una dissertazione sulla differenza che passa
tra il Padre e il Figlio> (v. in Specchio dell' Epoca:
Libri Carolini, iconoclastia e culto delle immagini). Essi
erano anche impulsivi, irascibili e indisciplinati, per cui le
sommosse in città erano all'ordine del giorno (v. in Specchio
dell' Epoca: Partiti a Bisanzio: gli Azzurri e i Verdi).
Il governo imperiale, come i suoi cittadini, era della più
assoluta instabilità, fondata su intrighi di palazzo e
continui complotti e colpi di mano (v. Intrighi, complotti
e colpi di stato alla corte di Bisanzio), che normalmente
avvenivano nell'ambito della stessa famiglia imperiale, o da parte
di esponenti di famiglie aristocratiche o di generali, che deponevano
l'imperatore e poi dopo essere divenuti imperatori, venivano a
loro volta deposti.
LA PARTENZA DA VENEZIA
Navi e uscieri furono
spartiti tra i baroni. Quando le navi furono cariche di armi,
di tutte le macchine che servono per prendere una città
(tra cui ben trecento petrieri e mangani, per lanciare
pietre), di viveri, di cavalieri e di sergenti, su ciascuna nave
gli scudi furono disposti intorno ai bordi e ai castelli e furono
issate le bandiere, in una fantasmagoria di colori. Lo spettacolo
della partenza (nell'ottava della festa di s. Remigio,
primo ottobre 1202), non ebbe eguali. Il doge, che aveva con sé
cinquanta galee a sue spese, era sulla nave ammiraglia, tutta
colorata di vermiglio, con una tenda di sciamito anch'essa color
vermiglio col gonfalone di S. Marco. Sulla prua quattro trombettieri
con trombe d'argento e piccoli tamburi mandavano un suono quanto
mai gioioso.
<Mai, racconta il cronista, prima d'allora si era
sentita tanta letizia o si era vista un'armata di quel genere.
Sacerdoti e chierici salirono sugli alberi maestri delle navi
per cantare Veni Creator Spiritus. Il popolo che assisteva alla
partenza, col cuore colmo di gioia, pianse per la grande contentezza.
Quando la flotta salpò, fu lo spettacolo più bello
che mai si fosse visto dall'inizio del mondo. Ma quando giunse
in mare aperto e spiegò le vele e issò le bandiere
sul castello di prua delle navi, si ebbe l'impressione che il
mare intero brulicasse e fiammeggiasse>.
PRIMA ROTTA ZARA
Le navi giunsero
a Zara alla vigilia di s. Martino (10 novembre 1202). La città
era cinta da alte mura e alte torri ed era bella, ricca e forte,
tanto che i crociati (che si consideravano e venivano chiamati
sempre pellegrini e non crociati) dubitavano di
poterla conquistare.
Penetrarono di prepotenza nel porto (rompendo le catene) e se
ne impadronirono. I cavalieri uscirono dalle navi con i loro cavalli,
montarono le loro tende e padiglioni, e si accamparono mettendo
la città sotto assedio. Messaggeri della città furono
mandati dal doge, accampato nel suo padiglione, i quali dichiararono
che gli sarebbe stata consegnata la città e i loro averi,
salve le persone a sua discrezione. Il doge si era riservato di
consultare i conti e baroni. In sua assenza alcuni crociati francesi,
che già dalla partenza da Venezia avevano costituito un
gruppo d'opposizione che intendeva disgregare l'esercito, gli
suggerirono che i pellegrini non li avrebbero assaliti, perciò
non avevano nulla da temere se erano in grado di difendersi dai
veneziani. I messi furono fatti rientrare in città senza
aver avuto una risposta alle proposte avanzate al doge. Il doge
nel frattempo aveva prospettato ai conti e baroni le proposte
che gli erano state fatte, e costoro suggerirono di accettarle,
ma nel tornare al suo padiglione per concludere l'accordo aveva
trovato che i messi erano andati via.
Enrico Dandolo, che era accompagnato dai conti e baroni
(capi francesi), si era subito reso conto che la proposta dei
messi di Zara era saltata a causa del gruppo d'opposizione. Dandolo,
perciò, lo aveva fatto presente ai cavalieri francesi,
i quali gli confermarono che sarebbero stati disonorati se non
lo avessero aiutato a conquistare la città. Essi aggiunsero
anche di essere disposti <a conquistarla a dispetto di quelli
che l' hanno impedito > e, nonostante l'abate di Vaux
< lo proibiva a nome dell'apostolo di Roma>.
Davanti alle porte della città furono subito drizzati i
petrieri e i mangani, di cui la spedizione era ben fornita. Dalla
parte del mare vennero drizzate scale sulle navi e una particolare
piattaforma (echelle) che dall'alto dell'albero maestro
sporgeva sul mare e poteva essere avvicinata alle mura. S'incominciò
a lanciare pietre. L'assalto durò cinque giorni. Quando
i soldati-zappatori incominciarono a scavare la terra sotto
una torre per scalzarne il muro, i cittadini di Zara rinnovarono
la proposta precedente.
Così la città si consegnò al doge, salve
le persone. Essendo iniziato l'inverno il doge suggerì
di fermarsi fino a primavera dividendo i beni in due parti. I
veneziani ebbero la metà del porto dov'erano le navi, i
francesi l'altra metà. Tutti, levate le tende, andarono
a prendere alloggio in città nelle case singolarmente
assegnate come si conveniva. Dopo qualche giorno scoppiò
tra francesi e veneziani una feroce zuffa che durò una
settimana, finita con molti morti e feriti.
ALESSIO SI RECA DAI CROCIATI PER RIAVERE COSTANTINOPOLI
Quando i crociati
erano a Zara, sul trono di Costantinopoli si era insediato da
qualche anno (1195) Alessio III, il quale aveva cacciato dal trono
il proprio fratello Isacco II Angelo, facendolo accecare e imprigionare
con il figlio Alessio.
Isacco Angelo aveva governato debolmente per dieci anni, non migliorando
le sorti critiche dell'Impero e suscitando generale malcontento.
Anche Alessio III non riuscì a migliorare le sorti dell'Impero,
che con lui andrà completamente in rovina.
Il nipote Alessio riuscì a fuggire dalla prigione recandosi
a Zara dai crociati, chiedendo aiuto contro lo zio usurpatore
e promettendo grandi ricchezze.
Enrico Dandolo anche questa volta non si fece sfuggire l'occasione
dei grandi guadagni e accettò. Raggiunse con la flotta
Costantinopoli il 24 giugno 1203, che fu presa con facilità
al primo assalto (18 luglio). Alessio III si dette alla fuga e
sul trono fu rimesso Isacco II, liberato dalla prigionia, mentre
il figlio Alessio era rimasto nell'accampamento, con i veneziani
e i francesi, i quali decisero di mandare dei messi al padre per
chiedere di confermare i patti sottoscritti dal figlio.
Il giovane Alessio si era lasciato andare assumendo degli impegni
gravosi. Egli, infatti, aveva promesso che l'Impero di Romània
si sarebbe sottomesso all'autorità del Papa e quindi all'obbedienza
di Roma (dalla quale si era separato da tempo). Avrebbe inoltre
versato a tutto l'esercito duecentomila marchi d'argento (abbiamo
visto che per tutta la flotta veneziana i francesi si erano impegnati
a versarne novantaquattromila!), oltre a fornire viveri per un
anno; a condurre in Terrasanta diecimila uomini sui propri vascelli
e mantenerli a sue spese per un anno; a mantenere a sue spese,
per tutta la vita, cinquecento cavalieri in terra d'oltremare,
per difenderla. Questi patti furono ricordati dai messi all'imperatore,
il quale rispose che: <l'impegno é grave e non vedo
come possa essere assolto; tuttavia ci avete reso un tale servigio
che, se vi dessimo tutto l'Impero, l'avreste ben meritato>.
In ogni modo egli confermò l'impegno. L'Imperatore andò
spesso all' accampamento; un giorno si recò in privato
nella tenda di Baldovino e fece chiamare il Doge per dir loro
di non poter assolvere agli impegni in breve tempo (si era a fine
luglio, la flotta era stata impegnata dai francesi fino al 30
settembre e quindi l'imperatore doveva assolvere all'impegno entro
questa data). Egli poteva al momento pagare le spese ai veneziani
e mantenere l'esercito fino alla prossima Pasqua.
L'accordo fu raggiunto e il giovane Alessio (divenuto Alessio
IV) partì col suo esercito per assoggettare l'impero. Nel
frattempo in città avvenne un fatto increscioso. Fra greci
e latini (franchi) scoppiarono dei tafferugli e qualcuno appiccò
il fuoco che si sviluppò con tanta violenza che nessuno
era in grado di spegnerlo, e alte chiese e ricchi palazzi crollavano
e sprofondavano e le strade mercantili ardevano in fiamme. L'incendio
durò otto giorni e vi furono molti morti tra uomini, donne
e bambini. I latini che erano andati a vivere in città,
per maggior sicurezza, pensarono bene di tornarsene negli accampamenti.
L'imperatore rientrò dalla sua missione nel mese di novembre
e, insuperbito per il consolidamento della sua posizione, trascurò
di recarsi a trovare i crociati nel loro accampamento, per cui
essi pensarono di mandare messi per sollecitare i pagamenti. L'imperatore
li rimandò indietro senza mantenere fede agli impegni.
Fu riunito il consiglio tra baroni e doge. Ben sapendo che l'imperatore
non avrebbe mantenuto l'impegno preso, decisero di mandare un'ambasceria
per richiedere il pagamento oppure minacciare che avrebbero cercato
di ottenere con qualunque mezzo ciò che era stato loro
promesso.
I messi (tre francesi e tre veneziani) trovarono Alessio e Isacco
seduti su due troni e accanto a loro l'imperatrice moglie d'Isacco
(sorella del re d'Ungheria) e matrigna d'Alessio; parlò
Conon de Béthun, il quale disse che l'impegno era stato
sollecitato ripetutamente e, se fosse stato mantenuto, sarebbe
stato molto gradito. In caso contrario non avrebbero considerato
l'imperatore né signore né amico e avrebbero cercato
di ottenere il dovuto con ogni mezzo. La risposta fu che una tale
sfida era da considerare cosa inaudita e un grande oltraggio fatto
all'imperatore nella sua casa e nella sua città. I cavalieri
a questo punto lasciarono il palazzo e rimontati a cavallo tornarono
all'accampamento lieti di essere rimasti salvi.
Hanno inizio così le prime scaramucce tra franchi e greci.
Questi ultimi architettano di incendiare la flotta veneziana,
riempiendo diciassette navi di pezzi di legno, stoffa, pece e
sego; nel momento in cui il vento soffiava dalla parte delle navi
veneziane (era mezzanotte) spiegarono le vele e appiccarono il
fuoco. I veneziani, visto il fuoco, si dirigono verso le loro
navi per salvarle, uncinando quelle greche e lasciandole andare
lungo la corrente. Di tutte le navi, solo una, pisana e piena
di mercanzia, andò a fuoco.
I greci si resero conto che sarebbe stata la guerra, e non erano
d'accordo con l'imperatore. Costoro erano capeggiati da Alessio
Ducas Murzuflo (13), che si era impadronito dell'impero,dopo aver
fatto strangolare Alessio, facendosi subito incoronare imperatore,
con il nome di Alessio V. Isacco morì per il dispiacere.
Quest'uccisione non fu ben accetta ai francesi e veneziani e particolarmente
ai vescovi e clero che subito fecero presente che, <se essi
avevano la retta intenzione di conquistare il paese per metterlo
sotto l'obbedienza del papa, tutti quelli che si fossero confessati
avrebbero avuto il suo perdono. Sappiate>, dice ingenuamente
il cronista, <che questo fu di gran conforto per i baroni
e i pellegrini!>
Per rifornirsi di viveri un gruppo di francesi guidato dal fratello
di Baldovino, Enrico, partì di notte e raggiunse la città
di Filée sul Mar Nero, dove fecero bottino di bestiame,
abiti e viveri, che in parte spedirono all'accampamento con le
barche.
13) Murzuflo era il soprannome che derivava dalle ciglia folte.
ACCORDI PER LA SPARTIZIONE
Nel campo cristiano
si iniziarono i preparativi per l'assalto alla città. Anche
i greci incominciarono a fortificarla ulteriormente. Francesi
e veneziani decisero anche che se fossero riusciti a entrare in
città il bottino sarebbe stato riunito e diviso, e che
se si fossero impadroniti della città, ciascuna parte avrebbe
nominato sei elettori che avrebbero eletto a loro volta un imperatore.
Inoltre colui che sarebbe stato eletto imperatore avrebbe avuto
la quarta parte di tutta la conquista, dentro e fuori della città
e i due palazzi imperiali (Boukoleon, detto dai francesi Bouche
de lion, e Blaquerne). Le altre parti sarebbero state divise a
metà, l'una ai veneziani, l'altra ai francesi. Quindi sarebbero
stati nominati dodici saggi per parte che avrebbero spartito i
feudi e i possedimenti e stabilito il tributo da pagare all'imperatore.
I veneziani si assicurarono la nomina del patriarca.
Il venerdì mattina galee e vascelli si avvicinarono alla
città e vi fu un assalto alle mura che durò tutta
la giornata e verso l'ora nona (sei-sette di sera) fu respinto,
con perdite maggiori per i cristiani. Si riunì il consiglio
per decidere come prendere la città. Fu deciso di legare
le navi due a due per torre, in quanto ci si era resi conto che
una nave per torre non sarebbe stata sufficiente. L'imperatore
Murzuflo aveva fatto l'errore di andare ad accamparsi davanti
al fronte d'assalto per scontrarsi con i cristiani, lasciando
sguarnite le mura. Le navi, spinte anche dalla bora, si avvicinarono
alle mura; due di loro riuscirono tanto ad avvicinarsi a una torre
da permettere a un veneziano e un francese di salirvi. I soldati
che la difendevano si dettero alla fuga.
Furono conquistate quattro torri; i cavalieri a loro volta vennero
fuori dagli uscieri per attaccare l'accampamento dell'imperatore,
il quale fuggì verso la città. Vi fu una carneficina
di greci e gran bottino. L'imperatore raccolse i suoi uomini dicendo
che andava ad attaccare i franchi, invece si dette alla fuga.
I cristiani entrarono a Costantinopoli il lunedì delle
Palme e, non trovando resistenza, si dettero al saccheggio.
IL SACCHEGGIO DI COSTANTINOPOLI
E LA SPARTIZIONE DEL BOTTINO
Vi fu un altro
incendio, il terzo da quando erano arrivati i cristiani; bruciarono
tante case, quante se ne trovavano nelle tre più grandi
città di Francia. Case private, monasteri e chiese
furono svuotati dalle loro ricchezze; ai calici furono tolte le
gemme e furono usati come coppe per bere; le icone furono trasformate
come tavoli da gioco e da pranzo; le monache furono violentate
e rapinate nei loro monasteri. Fu saccheggiata la chiesa dei ss.
Apostoli, prototipo di quella di s. Marco e luogo di sepoltura
di Costantino il grande e molti dei suoi successori. Queste tombe
furono depredate. Nella chiesa di s. Sofia i soldati abbatterono
l'altare e spogliarono il santuario dell'oro e dell'argento, caricando
tutto su muli e cavalli, che erano stati fatti entrare direttamente
in chiesa e scivolavano sui pavimenti di marmo insozzati di sangue.
Una prostituta danzava sul trono del patriarca cantando canzoni
oscene. Statue antiche e opere d'arte vennero distrutte. Il marchese
di Monferrato dette ordine che tutto ciò che era stato
preso, fosse restituito sotto pena di scomunica e raccolto in
tre chiese. Non tutto venne restituito. Alcuni vennero impiccati.
A dire di Villharduin, <il bottino fu così grande
che nessuno potrebbe raccontarne la fine da quando il mondo
fu creato, non fu mai fatto bottino tanto grande in una città.
Oro, argento, vasellame, pietre preziose, drappi di raso e di
seta, vesti di vaio e di grigetto e di ermellino, e tutte le cose
più ricche che si trovavano in terra>.
Esso fu diviso come pattuito. I francesi versarono la loro parte
di cinquantamila marchi per saldare il debito e ne spartirono
circa centomila tra loro, nella proporzione, per un cavaliere
il doppio di un sergente a cavallo, un sergente a cavallo il doppio
di un sergente a piedi.
Enrico Dandolo si assicurò, oltre a oggetti profani come
corone e pettorali imperiali, coppe di diaspro e vasi, anche molte
reliquie e i quattro cavalli che ornavano lo stadio e li spedì
subito a Venezia su una nave al comando di Domenico Morosini.
Un piede si era staccato da uno dei cavalli e si diceva fosse
rimasto in possesso della famiglia Morosini. Essi rimasero per
cinquant'anni in Arsenale fino a quando il doge Raniero Zeno non
li fece mettere sull'entrata di s. Marco, dove ora si ammirano
di recente restaurati. Poi si passò alla spartizione dell'impero.
Prima però, come d'accordo, si riunirono nel palazzo
abitato dal doge (uno dei più belli del mondo, annota
il cronista) i dodici saggi, che elessero imperatore il conte
Baldovino di Fiandra ed Hainaut, che otto giorni dopo (16 maggio
1204) fu incoronato nella chiesa di s. Sofia. Patriarca, in base
agli accordi, fu eletto Tommaso Morosini. Questa nomina ebbe degli
strascichi con Roma. Il papa Innocenzo III aveva scomunicato i
veneziani fin da quando erano andati a Zara. Dandolo aveva scritto
al papa, protestando l'innocenza dei veneziani e chiedendo che
essa fosse tolta in riconoscimento dei grandi servigi resi alla
gloria di Dio e della Chiesa romana. Innocenzo al momento non
rispose, ma ordinò al clero latino di Costantinopoli di
assegnare le chiese, i cui preti erano fuggiti, a sacerdoti di
rito latino, invitandoli a procedere all'elezione di un rettore
o sovrintendente che li presiedesse. Innocenzo rimase anche indignato
per il fatto che un suo legato, Pietro Capuano, nel gennaio 1204,
recatosi a Costantinopoli, non solo aveva sciolto i veneziani
dal voto di crociati, ma aveva tolto loro la scomunica. Innocenzo
alla fine dovette riconoscere di essere stato sopraffatto dagli
eventi e di essere stato battuto in astuzia dai veneziani. Pertanto,
nel gennaio successivo (1205) scrisse ai veneziani, dicendo in
maniera molto diplomatica di essere disposto ad ammettere che
il Doge aveva reso grandi servigi alla cristianità e che
Dio lo avrebbe liberato dai voti di crociato, aggiungendo inoltre
di prestarsi a credere, dopo aver verificato i fatti, che il suo
legato aveva assolto tutti i veneziani dalla scomunica.
Entro l'anno il doge morì novantenne, senza avere più
sul capo la scomunica, che in verità non gli era pesata
più di tanto!
IL DOGE DOMINATORE
DELLA QUARTA PARTE E MEZZO DELL'IMPERO
La spartizione
dell'impero (che Dandolo conosceva bene e di cui aveva le carte
dei possedimenti) fu fatta in quattro parti. Un quarto al nuovo
imperatore, Baldovino, che ebbe la capitale, parte della Tracia,
le isole di Samotracia, Cos, Lesbo, Santo e Chio, la Bitinia e
la Misia, la sovranità sui principati latini assegnati
come feudi. Un quarto fu assegnato al Marchese di Monferrato.
Un quarto ai baroni e signori franchi e pellegrini-crociati, e
un quarto ai veneziani, aumentato ancora di un ottavo (dal che
un quarto e mezzo!) in revisione delle assegnazioni.
I veneziani quindi ebbero un quartiere a Costantinopoli sul Corno
d'oro; Gallipoli, Rodosto ed Eraclea sul Bosforo; un gran numero
d'isole nell'Egeo e nello Jonio fra cui Negroponte e Creta; territori
nella Morea, Acarnania e i domini bizantini della Dalmazia.
Successivamente all'assegnazione del quarto vi furono degli aggiustamenti
con il marchese di Monferrato dal quale Dandolo riscattò,
dietro pagamento di mille marchi d'argento e trasferimento di
possessi nel continente europeo, produttivi di un reddito 10mila
iperperi d'oro, i diritti che il marchese aveva su Creta e Salonicco.
Dandolo dopo l'assegnazione aggiunse al titolo che gli spettava,
di duca delle Venezie, dell'Istria e Dalmazia, quello originale
di dominator quarte et dimidie partis totius imperii Romànie
(titolo che i dogi conserveranno fino al 1356). Si costituiva
così l'Impero Latino d'Oriente che durerà appena
cinquantotto anni, durante i quali succederanno, a Baldovino I,
il fratello Enrico, seguito da Pietro di Courtenay, Roberto di
Courtenay e il figlio dodicenne di questo, Baldovino II, al quale,
essendo fanciullo, fu assegnato come reggente Giovanni di Brienne
(re di Gerusalemme).
Nel 1261 l'impero sotto la pressione dei bizantini sarà
ripreso da Michele III Paleologo, che cacciato il giovane e imbelle
Baldovino II (datosi alla fuga) fu incoronato nella Chiesa di
S. Sofia il 15 agosto1261. Man mano saranno ripresi tutti i feudi
che erano stati costituiti con la spartizione.
Le crociate continueranno, fino all'ottava (1270), che sarà
l'ultima. A parte gli esiti favorevoli della prima e della terza,
le altre spedizioni avranno risultati disastrosi. Con la presa
d'Acri, l'ultima roccaforte rimasta in mano ai cristiani (1291),
da parte del sultano al-Ashraf, figlio del sultano Qalawn e la
definitiva cacciata dei franchi dall'Oriente, finisce l'avventura
cristiana in Terrasanta.
L'impero bizantino sarà infine conquistato dai turchi,
nelle cui mani Costantinopoli cadrà nel 1493. Venezia nei
duecento anni successivi, perderà poco alla volta tutti
i suoi territori di Levante (14).
La grande repubblica cesserà di esistere con Ludovico Manin
nell'ultima riunione del Maggior Consiglio, il 12 maggio 1797.
Si chiuderà così la radiosa storia della Serenissima
Repubblica.
14) Salonicco sarà persa nel 1450; Negroponte nel 1470;
Durazzo nel 1501; nel 1539 saranno cedute ai turchi le isole di
Sciro, Paro e Nasso e le città di Malvasia e Nauplia; nel
1569 sarà presa dai turchi a Cipro (Candia) la città
di Nicosia e nel 1571 quella di Famagosta, e in Albania Dulcigno
e Antivari, e Valona nel 1690. Il 7 ottobre 1571 ci fu la famosa
battaglia di Lepanto tra la Lega cristiana e i turchi che fu la
più grande battaglia di navi a remi di tutti i tempi. In
essa la Lega riportò la vittoria contro i turchi ma, a
parte lo spiegamento di navi tra le due parti (*) e la soddisfazione
per la Lega cristiana di aver vinto, non vi furono grandi risultati.
Candia-Creta passò ai turchi nel 1669. Nel 1684 Venezia
occupò la Morea (Peloponneso) il cui possesso fu confermato
dalla pace di Karlowitz (1699), ma fu conquistata dai turchi nel
1714 e confermata ai turchi dalla pace di Passarowitz (1718).
*) 207 galere e 36 vascelli con 34.400 soldati, 12.000 marinai,
1800 cannoni per la Lega; 222 galere e 60 vascelli, 34.000 soldati,
13.000 marinai, 750 cannoni per i turchi. Caddero morti circa
8.000 turchi, e 10.000 furono fatti prigionieri; 50 galere furono
affondate o incendiate; 117 catturate. I cristiani perdettero
12 galere ed ebbero 7.500 morti. Furono liberati 12.000 galeotti
cristiani.