CARLOMAGNO E L'IDEA DELL'EUROPA

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

PARTE PRIMA

 

 

SOMMARIO: LA NINFA EUROPA; LA CRISTIANITA'; L'IDEA UNIFICATRICE E L'ORGANIZZAZIONE DELLO STATO; VASSI E MISSI DOMINICI; LA RINASCENZA: LA LINGUA; ISTRUZIONE E RELIGIONE; L'ARTE ARCHITETTONICA; I MEZZI DI COMUNICAZIONE; MONETE PESI E MISURE; SVILUPPO DELL'AGRICOLTURA E SISTEMAZIONE DELLA PROPRIETA' FONDIARIALA: IL CATASTO; LA RIFORMA LEGISLATIVA: I CAPITOLARI; E GIURISDIZIONALE: LE ASSISE; E I TRIBUNALI; LA RIFORMA MILITARE; EPILOGO.

 

LA NINFA EUROPA

Europa, secondo la mitologia greca, era una ninfa, figlia, per alcuni, di Fenice e Perimene, per altri di Agenore e Telefassa. Giove l'aveva vista mentre coglieva fiori e, preso dalla bellezza della fanciulla, com'era suo costume, volle possederla. Per riuscire nella impresa si trasformò in un bel torello, e, stendendosi ai suoi piedi, la invogliò a salire in groppa. La ninfa così invogliata salì sul torello: questi si avviò rapidamente verso il mare, che si aprì al suo passaggio. La coppia giunse così a Creta, dove Giove riprese le sue sembianze e si accoppiò con la ninfa. Da questa unione nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedone (o Sarpedonte). La fanciulla, dopo che Giove se n'era tornato sull'Olimpo, divenne sposa di Asterione, che adottò i tre fanciulli, i quali, in seguito, divennero famosi nella mitologia .
Nei suoi termini geografici l'Europa era per gli antichi un non ben definito territorio a nord dell'Egeo, in contrapposizione al Peloponneso. Successivamente, man mano che aumentavano le conoscenze territoriali, questi termini si estesero, fino a comprendere tutte le coste territoriali dal Mar Nero a Gibilterra ( Colonne d'Ercole).


LA CRISTIANITA'

Bisogna fare un salto di qualche millennio per trovare una entità spirituale e politica, estranea al mondo greco e a quello romano, con una propria fisionomia alla quale si era dato prevalentemente il nome di Cristianità. Questa definizione farebbe escludere che nel periodo dell'impero carolingio ci fosse stato un qualche riferimento a un impero europeo.
E' pur vero che l'idea dell'Europa in senso politico, cioè come coscienza europea è maturata più tardi, ma non si può disconoscere che essa sia iniziata con Carlomagno che, pur non avendo avuto la chiara consapevolezza della costituzione di una unità europea (i grandi non hanno mai l'idea della grandezza delle loro realizzazioni, che vengono valorizzate dai posteri), di essa ne aveva posto le basi. Se infatti con la costituzione dell'impero non si era mai pensato o parlato in termini di Regno o Impero d'Europa, ciò nondimeno si venivano ad affacciare i primi riferimenti a Carlo come rex pater Europae o Europae venerandus apex, che non erano riferimenti di carattere strettamente geografico, ma geo-politico, in quanto risultava per la prima volta unificato il mondo latino (cristiano) e quello germanico.
Con la costituzione dell'Impero Carolingio, il centro di gravità, che con l'Impero romano si trovava attorno al Mediterraneo, si era spostato a Nord, venendosi così a creare tre blocchi, con quello dominato da Bisanzio, e, l'altro costituito dall'Islàm. Quest'ultimo, piuttosto sottovalutato dagli occidentali, aveva dato una spinta vitale all'Occidente, secondo la tesi dello storico Pirenne (1), il quale riteneva che a seguito della espansione dell'Islàm (che aveva chiuso per tre parti il Mediterraneo) sarebbe stata tale chiusura a determinare lo spostamento a Nord del centro di gravità. Questa circostanza aveva dato una spinta allo sviluppo dell'Occidente.
Abbiamo visto come a tutto il territorio sottoposto a Roma e a Carlomagno, veniva dato il nome di cristianità. Per Carlo, infatti, non vi era una netta distinzione tra Stato e Chiesa ed essi non costituivano due corpi separati o subordinati, ma la religione era parte della vita dello Stato e si identificava col diritto canonico considerato la suprema norma civilistica. Con la conseguenza che per Carlo si trattava di rispettare una legge. Per questo motivo la religione costituiva la base della società e l'elemento unificatore basato sulla solidarietà e sulla unità.

1) Secondo Pirenne, Storia dell'Europa dalle invasioni al XVI sec.: <sans Mahomet, Charlemagne est enconcevable>, senza Maometto, Carlomagno è inconcepibile, nel senso che la spinta al progresso dell'Europa era stata data dalla conquista del Mediterraneo da parte dell'Islam.

 

L'IDEA UNIFICATRICE E L'ORGANIZZAZIONE DELLO STATO

La grande idea di Carlo era stata quella della unità del regno, (poi impero), che certamente non poteva essere considerato puro e semplice ingrandimento territoriale. L'impero aveva una impostazione amministrativa, giuridica ed economica centralizzata, ma, per quanto riguardava l'apparato legislativo, aveva una struttura che potremmo definire quasi-federativa: questa struttura era completamente diversa da quella dell'impero romano che lo aveva preceduto.
Infatti, la lex romana sostituiva immediatamente le leggi dei territori conquistati, con una sola legge, quella romana. Nell'impero carolingio ciascuna popolazione continuava ad avere le proprie leggi e istituzioni con l'auctoritas concentrata nella persona dell'imperatore. Vale a dire che Carlo lasciava che le genti sottomesse continuassero ad avere le proprie leggi e consuetudini, salvo ad emanare delle leggi di carattere generale valevoli per tutti, i capitolari.
Il cardine dell'ordinamento giuridico era costituito dalla personalità del diritto, nel senso che ogni popolo conservava l'uso della propria legge nazionale, ma nel contesto unitario delle disposizioni normative generali.
Una delle sue idee riformatrici di portata storica fu quella della impostazione della struttura statale, che era stata poi seguita nei secoli successivi.
L'intera organizzazione statale era basata su due fondamentali divisioni:
1. Una riguardava l'organizzazione e l'ordinamento del palazzo inteso come sede dell'amministrazione del governo centrale.2. L'altra riguardava l'organizzazione dell'intero regno (poi impero).


1. Il palazzo era così governato: Il re e la regina e la nobile prole (in ordine di importanza) erano assistiti negli affari spirituali e secolari da:

l' Apocrisario, (cappellano o custode di palazzo, una specie di Segretario di Stato). Era una carica ricoperta da un vescovo, ma preferibilmente da presbiteri o diaconi, per non togliere tempo al vescovo (dice il cronista) che si doveva occupare di altre funzioni. Egli aveva alle sue dipendenze tutto il clero di palazzo e di questo era il custode. Si occupava, inoltre, di tutto ciò che riguardasse la religione e la gerarchia ecclesiastica, monaci e canonici, e faceva in modo che arrivassero al re solo le questioni che non potessero essere risolte senza il suo intervento. Oltre ad amministrare il rituale religioso ed il cerimoniale, erano di competenza dell' apocrisario anche le questioni di carattere spirituale riguardanti tutti quelli che risiedevano a palazzo, ecclesiastici e secolari;

il Conte palatino (fungeva da Ministro degli interni), che aveva numerosi incarichi tra i quali le contese di ordine civile di competenza del re. Esse venivano decise con l' equità e sulla base dell'equità venivano risolti i giudizi errati. Se invece le questioni sottoposte non erano contemplate dalle leggi secolari, si sottoponevano al re che le decideva, o conciliandole o, se ciò non era possibile, decidendole con saggezza ed equilibrio. La legge umana passava in secondo piano per il trionfo della giustizia divina;
il Camerario, il quale con la regina e dopo di lei, aveva il compito di occuparsi del decoro del palazzo, degli ornamenti della regalità e dei doni (obbligatori) dei vassalli, ad eccezione del cibo, bevande e cavalli. I doni delle ambascerie erano di competenza del camerario, a meno che, per ordine del re, non dovesse conferirne con la regina;
il Siniscalco, che si occupava di tutti i rifornimenti alimentari del palazzo, escluso il foraggio e l' acqua per i cavalli;
il Connestabile, che aveva cura degli spostamenti del re e, in accordo con il Siniscalco, il compito di avvertire gli agenti reali sui luoghi dove avrebbe soggiornato e sulla durata del soggiorno;
il Maestro degli alloggi, che si occupava degli alloggi reali e anche degli spostamenti del re unitamente al Connestabile ed al Bottigliere;
Quattro Cacciatori principali, che si occupavano della caccia e provvedevano alla selvaggina per la tavola del re. Avevano anche il compito di stabilire il numero dei cacciatori che si dovevano tenere a palazzo e quanti dovevano uscire a caccia, di provvedere al loro mantenimento e di fissare il periodo di tempo in cui si sarebbero fermati in una qualsiasi località. Essi dovevano determinare anche il numero delle persone, cani e uccelli per ogni partita di caccia.
Vi era poi un Falconiere, oltre all' Usciere, al Tesoriere, al Dispensiere (addetto agli utensili di uso domestico): essi avevano alle loro dipendenze altri funzionari iuniores o decani, assistiti dagli Addetti ai cani, Guardacaccia, Cacciatori di castori e altri.

I funzionari di palazzo erano distinti in due categorie, quella di ordine superiore e quella di rango inferiore, e l'organizzazione era tale che anche i secondi erano in grado di sostituire i primi, per cui il palazzo non era mai sguarnito di personale idoneo ad affrontare qualsiasi problema si potesse presentare. Anche quello di accogliere ambascerie, da qualunque parte provenissero.
Tutto doveva funzionare alla perfezione e si dovevano prevedere anche casi in cui, dice il cronista, <giungesse a palazzo qualcuno oppresso dalla solitudine, soffocato dai debiti, perseguitato da calunnie e altre sofferenze che sarebbe troppo lungo enumerare, in particolare le vedove e gli orfani, siano stati essi grandi personaggi o individui comuni, ognuno che secondo le proprie necessità e la propria condizione potesse fare appello alla pietà e misericordia dei grandi, e avesse la possibilità per loro tramite di far giungere le sue lamentele alle pietose orecchie del principe>.

2. La seconda partizione era quella che si occupava del mantenimento dell'ordine del regno.
a. Si era affermata la consuetudine, di tenere due assemblee all'anno. In una di esse si stabiliva il governo di tutto il regno per l'anno in corso. Questa assemblea risaliva all'epoca dei Merovingi ed era quella dei martis campus, campi di marzo; da Pipino (775) era stata spostata a maggio per praticità in quanto in quel mese i campi erano pieni di erba e intorno agli accampamenti i partecipanti avevano foraggio per i cavalli, e anche perché la stagione era più propizia e non si andava incontro a piogge; per ciò fu chiamata dei campi di maggio. A queste assemblee partecipavano tutti i grandi personaggi, ecclesiastici e laici, i più importanti per prendere le decisioni, i meno importanti per ascoltare le decisioni prese e talvolta per discuterle in modo da non aderire per costrizione, ma di propria volontà e con intelligenza. In questa occasione si offrivano i doni all'imperatore.
b. L'altra, quella dei placiti generali era tenuta tra i signori e i più importanti consiglieri. In essa si discutevano programmi per l'anno successivo, se la situazione era tale da non dover prendere una decisione immediata e anticipata. (Queste due assemblee sono approfondite nel paragrafo della riforma legislativa).

IL CONSIGLIO. L'imperatore, aveva un gruppo di consiglieri, che venivano scelti tra chierici e laici; dovevano essere fidatissimi, moralmente ineccepibili e <non fossero sensibili ai rapporti di amicizia, a sentimenti di odio, alla parentela, ai doni, alle adulazioni o ai risentimenti che li distogliessero dal loro dovere>. Essi inoltre <non dovevano essere sofisti o astuti, né sapienti, di quella sapienza per così dire mondana, ma dovevano essere dotati di quella sapienza e intelligenza che fosse in grado di tenere a freno o annullare chi potesse far ricorso alla astuzia per raggiungere i suoi fini>. Questi consiglieri (che formavano una specie di Consiglio dei ministri) discutevano con l'imperatore gli affari (sui quali si doveva mantenere il segreto), che poi sarebbero stati sottoposti al consenso generale.
A questo punto viene spontaneo chiedersi come avvenissero le assunzioni. E' il cronista Incmaro a rispondere a questa legittima curiosità.
Per quanto riguardava l'assunzione dei funzionari, venivano scelti tra funzionari di nobile animo. Vale a dire a tutta prova di fedeltà che doveva essere cieca ed assoluta. Essi dovevano essere intelligenti, discreti e sobri. Venivano reclutati da tutte le parti del regno, su indicazione di quelli che a palazzo potessero garantire per loro, con cui erano legati da vincoli di parentela o da comuni origini etniche.
Poiché ogni funzionario gestiva se stesso, in quanto dipendeva esclusivamente dal re, o alcune volte dalla regina o dalla prole reale, poteva, nei limiti della sua competenza, e quando ve ne fosse stato bisogno, richiedere l'aiuto di altri.
I futuri funzionari, invece, erano reclutati tra i paggi che dall'età di quindici anni, o anche prima, venivano presi a Corte, e lì allevati ed educati. A Corte essi trovavano l'ambiente che li preparava a una mentalità che, al di là dei limiti provinciali, li abituava a spaziare verso quella più ampia, necessaria per l' amministrazione del multiforme impero.

Con questo spirito era stata realizzata l'Accademia (il nome era stato dato dai posteri, il termine più adatto sarebbe stato cenacolo), che raccoglieva uomini di cultura, dotti, ecclesiastici provenienti da tutta l'Europa e, nell'idea di una futura identità europea, era stata fondata la Schola Palatina (2) dove troviamo uomini prestigiosi come Teodulfo, d'Orleans, teologo e poeta (proveniente dalla Spagna), Paolino d'Aquileia, il poeta sassone Dungal il Sapiente, il grammatico Pietro da Pisa, lo storico longobardo Paolo Diacono, il filosofo e scienziato Alcuino, uno dei maggiori eruditi del tempo, che proveniva dalla scuola di York, il quale insegnava al suo re e imperatore, grammatica, retorica e astronomia e soprintendeva alla pubblica istruzione e infine Eginardo, suo segretario, autore della sua biografia.

2) In uno dei capitolari emanati da Carlo si legge: <Con vigile cura ci siamo adoperati per ricostruire l'Officina della scienza che la trascuratezza dei nostri predecessori aveva lasciato quasi deserta e noi invitiamo col nostro esempio, nel limite delle possibilità, a coltivare le libere arti>. Esse erano le arti del trivio che comprendeva grammatica, retorica, e dialettica e del quadrivio che comprendeva aritmetica, geometria, musica, e astronomia, vale a dire lettere e scienze.

 

MISSI E VASSI DOMINICI

Tutti questi personaggi seguivano la Schola Palatina, alla quale veniva preparata la classe dei funzionari imperiali, che allevati a corte (nutritus), avrebbero percorso la carriera civile e militare. I primi avrebbero raggiunto la carica di conti o marchesi (questi titoli esclusivamente amministrativi, sarebbero successivamente diventati nobiliari (per approfondire v. Blasoni, corone e nobiltà). Tra costoro venivano scelti i missi dominici che in coppia (un conte e un vescovo), viaggiavano per tutto l'impero, per sezioni di territorio, ascoltavano le lagnanze, curavano l'immediata esecuzione degli ordini del re, controllavano la applicazione delle leggi e, terminato il loro compito, rientravano redigendo le loro relazioni. Essi quindi, facendo da tramite tra il governo centrale e quello locale, erano portatori di notizie e di nuove idee, dispensando ovunque la saggezza dell'imperatore.
Per assicurare la loro indipendenza e impedire che ponessero radici nel distretto da ispezionare (motivo di trasparenza!), venivano scelti da altre parti e ogni volta veniva loro assegnato un distretto differente. Non solo, ma essi non dovevano chiedere (pretendere) alloggio né per sé né per i propri cani sia presso altri dipendenti che presso estranei, e non dovevano accettare doni, ma era consentito accettare solo qualche bottiglia di vino, ortaggi, frutta, polli e uova.
Vi erano poi i vassi dominici, che erano i vassalli, alti ufficiali sempre a disposizione del sovrano, in base a necessità di ordine militare.

Il regno, che dopo il famoso Natale dell'800, diventerà impero, era diviso in distretti che univano più contee, oppure in marchesati, territori di confine, che Carlo assegnava ai più fidati tra i nobili (e non solo a questi), i quali poi sovrintendevano alla loro amministrazione.
Le assegnazioni di Carlo riguardanti vasti territori erano di due specie, con due diverse funzioni. Vi erano le elargizioni fatte alla Chiesa e quindi ai vescovi, a titolo perpetuo. Le assegnazioni laiche, fatte a conti e marchesi, invece, erano a titolo di semplice detenzione e amministrazione per conto del sovrano, quindi temporanee, con possibilità di restituzione al sovrano in qualsiasi momento.
E' questo l'elemento distintivo del periodo carolingio dal feudalesimo (3) che si svilupperà dopo la morte di Carlo con la spartizione dell'impero tra i suoi discendenti. Mentre il primo era caratterizzato dalla detenzione del feudo a titolo personale e vitalizio, durante il feudalesimo il feudo diventò perpetuo e trasmissibile in via ereditaria.

3) Il feudalesimo. Fu quel fenomeno di carattere economico, politico e militare che ebbe inizio con il capitolare di Kiersy (877) in base al quale Carlo il Calvo concesse ai vassalli l'immunità con cui i feudi maggiori divennero ereditari. Esso andò sviluppandosi con il disfacimento dell'Impero che si frantumò completamente con la deposizione alla dieta di Tribur (887) di Carlo il Grosso (l'ultimo dei re carolingi). Da questo disfacimento nacquero i nuovi Stati indipendenti (Germania, Francia, Provenza e Borgogna, Italia, Spagna ). Carlomagno morì nell'814 e l'impero si frantumò settant'anni dopo!.

 

LA RINASCENZA

Il periodo del regno di Carlo è stato considerato di vera e propria rinascenza, in quanto si era data una forte spinta agli studi della lingua, alla riforma religiosa, all'arte architettonica, e non solo. Essa progredirà nei secoli successivi. Furono resi più spediti i mezzi di comunicazione e fu data una spinta allo sviluppo dell'agricoltura, del commercio e dei traffici, con riforme per le monete, pesi e misure, e nel campo legislativo, giudiziario e militare. Insomma, secondo Eginardo, Carlo si era preoccupato non solo di ingrandire, ma di rendere più splendido l'impero.

LA LINGUA

P er quanto riguarda gli studi, tra le grandi idee unificatrici di Carlo, nel periodo del basso impero, si era prestata una particolare attenzione al latino. Questo si era andato volgarizzando, soppiantato dalla vulgaris lingua, cioè dalla lingua parlata dal popolo, quella che poi sarebbe sfociata nelle lingue nazionali (si parlava il germanico nelle province di frontiera, altrove il latino nella forma delle lingue romanze: francese, provenzale, romancio, spagnolo, portoghese, italiano). Carlo aveva pensato di rivalutarlo come lingua internazionale (egli stesso lo parlava correntemente) e quindi come mezzo di comunicazione, per tutta l'amministrazione dell'impero. Tutte le sue disposizioni erano in latino ed erano richieste risposte in latino. Egli aveva a tale scopo incrementato non solo la diffusione delle scuole, ma anche la produzione libraria da parte degli amanuensi.
La parola scritta sarà uno degli strumenti della politica di Carlo. Essendosi reso conto che i manoscritti erano scritti male ed erano diventati pressoché indecifrabili, e occorreva pertanto una scrittura più leggibile, egli promuoveva ancora un'altra riforma, quella della scrittura, che verrà indicata come <minuscola carolina> : è una scrittura più chiara di quella precedentemente adottata e nel XV secolo darà origine al nostro alfabeto stampato.
Questa innovazione porta al rinnovamento della produzione libraria. Gli amanuensi ricopiano e correggono in quel periodo così tanti manoscritti che alla sua morte Carlo lascia un patrimonio di ottomila testi del sapere umano, in particolare di autori latini che, studiati in tutto il medioevo, si sono salvati e sono quindi giunti fino a noi.

4) La vulgaris lingua era in contrapposizione alla barbara lingua che era quella parlata dalle popolazioni germaniche e che genericamente venne indicata come theutisca-todesca. Su questo termine vi sono parecchie incertezze in riferimento alla specifica lingua alla quale essa si riferiva. Sta di fatto che il termine venne usato per la prima volta dall'annalista Flodoardo, il quale scriveva che al concilio di Ingheleim (948) una lettera dell'arcivescovo di Reims per il papa venne tradotta nella theotisca lingua. Non tutte le popolazioni germaniche parlavano la stessa lingua: il sassone, poi anglo sassone, era diverso dal francone o da quella dei goti ecc.

 

RELIGIONE E ISTRUZIONE

Carlo intendeva liberare la religione dalla superstizione, disciplinarla e definire dogmi e riti che avevano conosciuto le più assurde aberrazioni, sottomettendola a regole prestabilite. In ciò Carlo non ottenne risultati, nel senso che la riforma della Chiesa e del clero, che egli aveva operato, aveva avuto carattere effimero. Dopo la sua morte, nel secolo successivo tutto tornò come prima.
Ma un principio era stato affermato, quello che la religione e la Chiesa erano sotto la sua protezione, per cui il Papa era a lui sottoposto nel caso della difesa della religione.
Egli aveva inoltre riformato la liturgia. Reintroducendo il sacramentario romano (790) e proibendo gli usi del rito anglicano, sostituiva il canto gregoriano al canto ambrosiano. Il fatto che dal Nord della Gallia fino al sud dell'Italia si cantassero gli stessi salmi, anche se poteva essere considerato prova della genuinità della fede, era senz'altro un elemento unificante:
…<si formino scuole di ragazzi istruiti...si sottopongano ad accurati emendamenti i salmi, le note, il canto, i calcoli matematici, la grammatica e i libri cattolici... spesso alcuni pregano male perché i libri non sono corretti. E non permettete che i vostri allievi, leggendo o scrivendo, alterino il testo; se fosse necessario scrivere un vangelo, un salterio, un messale, il compito sia affidato ad uomini di età matura che vi si dedichino con ogni diligenza> (Admonitio generalis, 789).
Perché studiare i salmi e il canto? Il fine non era esclusivamente religioso. Studiare i salmi significava imparare a leggere. Studiare il canto significava apprendere le note musicali che corrispondevano alle c. d. note tironiane, che costituivano la stenografia dell'alto medioevo (5) e significava preparare gli studenti alla professione di notaio nell'amministrazione statale.
Vi era quindi una simbiosi tra religione e istruzione che era affidata alle gerarchie ecclesiastiche e che a partire dal 787 era stata resa obbligatoria per le Scuole episcopali e monastiche, statuendosi che i capi delle diocesi e delle abbazie dovevano vegliare oltre che sulla formazione religiosa e morale degli alunni anche sulla loro formazione letteraria. Un altro capitolare fa riferimento a coloro che servono lo Stato, non in battaglia, ma con la cultura e con l'insegnamento delle lettere e delle arti. I missi dominici avevano anche in questo caso il compito di vigilare sulla condizione delle scuole nelle diocesi che andavano a ispezionare. Rinnovando le prescrizioni (789) sull'apertura obbligatoria di una scuola, Carlo raccomanda di non limitare l'istruzione alle basse classi sociali, ma di estenderla ai figli delle famiglie agiate.

Questa disposizione fa meravigliare, ma in quell'epoca i ricchi erano i più refrattari allo studio al punto che il clero delle campagne si reclutava quasi esclusivamente tra i figli dei servi. E siccome non vi è scuola o insegnamento senza esami, nell'800 (De examinandis ecclesiastici) istituisce gli esami per gli ecclesiastici, con la conseguenza che l'ordinazione e l'avanzamento dei chierici si verificava sulla base del loro sapere. Se l'esito dell'esame non era positivo, l'esaminando rimaneva bloccato nella carriera fino a quando non superava l'esame. In questo esame ovviamente l'istruzione religiosa era fondamentale, ma questa era completata da quella di cultura generale. Questo perché l'allievo oltre che essere prete (con o senza voto) diventava anche maestro.
E' in questo periodo che nasce la polifonia, che da una iniziale rozzezza andò man mano perfezionandosi fino a raggiungere il periodo di splendore nel XV e XVI secolo.
Vi era un aneddoto che circolava sull'atteggiamento di Carlo con gli studenti, riportato nel racconto di Notcaro di s. Gallo (detto il balbulo per distinguerlo dal suo omonimo detto il labbrone).
Due Scoti (scozzesi) incomparabilmente eruditi nelle lettere, giunti sulle coste della Gallia, raccontavano in giro che mettevano a disposizione la loro sapienza e lo ripetevano di luogo in luogo. La notizia giunse a Carlo, il quale li convocò per sapere come mai offrivano la sapienza. Noi, risposero i due, la possediamo e siamo disposti a cederla. Carlo li prese a palazzo. Dovendo poi partire affidò a uno di essi, di nome Clemente, dei ragazzi sia di nobile che di media e povera stirpe. Dopo molto tempo Carlo rientrando volle che gli presentassero i fanciulli per rendersi conto dei loro progressi. I ragazzi di bassa estrazione dimostrano, al di là di ogni aspettativa, di aver fatto tesoro degli insegnamenti. Quelli di nobile nascita, avevano dato risposte poco interessanti e piene di futilità.
Carlo elogiò i primi dicendo loro di continuare e lui gli avrebbe dato <vescovadi e monasteri magnifici e sempre sarete meritevoli d'onori ai miei occhi>. Rivolgendosi agli altri li redarguì: <voi nobili figli di grandi del regno delicati e bellini, confidando nella vostra nascita e nella vostra ricchezza avete trascurato lo studio delle lettere, avete preferito indulgere alla lussuria, al gioco, all'ozio e alle occupazioni futili…non m'importa della vostra nobiltà e della vostra bellezza anche se altri vi ammirano, siate consapevoli di questo, se non porrete riparo alla vostra negligenza non vi conquisterete mai il favore di Carlo>.
L'aneddoto, ripetutamente riferito, gonfiato dai canoni retorici del tempo, nella sua essenza potrebbe risultare veritiero.

5) Consistevano nel mettere sulla parola degli inni o dei salmi dei piccoli riquadri di note, le cui code si stendevano in alto e in basso. I ragazzi, cantando, scolpivano le sillabe e i chierici facevano il basso. L'armonia era perfetta e l'imperatore andava in estasi, anche perché questi cori erano per la prima volta accompagnati dall'organo, che, sconosciuto ai Franchi, era stato regalato a Carlo dall'imperatore di Bisanzio. Altra novità giunta dall'Oriente era l'orologio meccanico, che il califfo di Bagdad aveva mandato all'imperatore. Altro regalo era stato il famoso elefante che Carlo portava sempre con sé durante le guerre.

 

continua...parte seconda

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