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La costruzione
del complesso del sacro palazzo (con la chiesa palatina,
unico monumento che sia a noi pervenuto) ad Aquisgrana-Aachen-Aix-la-chapelle
(in prossimità di Maastricht, importante centro con porto
fluviale, al centro tra Gallia, Francia, Germania e vicina alla
Sassonia, nonché centro termale) aveva dato l'avvio alla
costruzione di chiese, monasteri e castelli, che proseguì
nei secoli successivi. Da questo periodo si costruisce tutto in
pietra. Fino ad allora, a parte le sole chiese, tutto era costruito
in legno.
Carlo aveva preso la decisione di fissare finalmente una residenza
stabile, che in precedenza non aveva avuto, per le usanze nomadiche
dei franchi. L'idea di voler uguagliare Roma, che conosceva bene,
e Bisanzio, che gli era stata descritta dalle relazioni dei suoi
ambasciatori, era servita per dare inizio alla costruzione del
palazzo di Aix, di cui purtroppo si può avere solo una
idea molto vaga! Il palazzo aveva una biblioteca, archivi, camera
del tesoro, piscina, tutti difficilmente localizzabili, e vi erano
anche affreschi con scene della guerra di Spagna e raffigurazioni
delle arti liberali.
I monasteri avevano avuto la funzione di centri culturali e questo
determina l'incremento, il sorgere e l'espandersi di un loro numero
sempre maggiore. Tra i monasteri con scuole, diventeranno famose
quelle di Fontenelles, Ferrieres s. Germaine, Saint Benigne, Saint
Pierre le vif, Corbie, St. Wandrille, Fleury, Saint Martin di
Tours, Fulda, San Gallo (in Svizzera); Reichenau (in Germania);
Tegernsee, Corvey (in Sassonia) e Gaudersheim (in Baviera).
Si costruiscono nuovi centri abbaziali, dipendenti dalle case
madri, o si rinnovano completamente abbazie come quella di Saint
Denis. L'abate Angilberto, poeta e amico di Carlo, tra il 790
e 799 costruisce l'abbazia di S. Requier o Centula, in prossimità
di Abbeville. Lo stesso Eginardo fonda due basiliche a Hoscht
am Mein e Seligenstadt.
Negli ultimi anni del 700 oltre al palazzo di Aquisgana fu iniziata
la costruzione delle dimore imperiali di Inghelheim e Nimega.
Con gli scavi condotti dopo la seconda guerra mondiale sono venuti
alla luce diversi ritrovamenti, che sono stati raggruppati a seconda
delle scuole regionali, delle:
1. Chiese ad aula, in cui si riscontra la forma architettonica
più semplice, con ritrovamenti sotto le chiese di s. Gertrude
di Nivelles, s. Maria a Milletzell sull'isola di Reichenau, e
sotto la chiesa di Abdinghof a Padeborn, a Midehorst e la prima
chiesa conventuale di Lorsch (764). Dopo le forma ad aula, le
chiese furono ampliate con cappelle laterali (più basse
della navata) con un inizio di architettura a croce;
2. Basiliche. L'esempio è rappresentato dalla
Basilica di Saint Denis, considerata Chiesa di Stato, iniziata
quando Pipino era ancora in vita (754) e inaugurata da Carlo nel
775 (successivamente ricostruita nel XII sec.). Anche la chiesa
di s. Nazario dell'Abbazia imperiale di Lorch fu costruita tra
il 768 e il 774. A Ratisbona fu costruita la chiesa conventuale
di Saint Emmermann. Esempi di Chiese con <Westwerk>, in
cui il corpo occidentale della chiesa, ai lati della facciata,
era racchiusa da due torri scalarie che portavano a un loggiato
interno, da cui l'imperatore e la corte assistevano alle funzioni,
si ebbero ad Aquisgrana e Lorsch.
L'opera più importante giunta sino a noi (in parte ricostruita
e ampliata) è la Cappella palatina di Aquisgrana
a pianta ottagonale. Gli ambasciatori di Carlo gli avevano descritto,
anche con disegni, la Chiesa di San Vitale di Ravenna e Carlo
aveva voluto che ne fosse costruita una simile. In effetti non
era proprio uguale, lo era solo spiritualmente. Era ricca di oro
e d'argento, di lucerne e balaustre, con massicce porte di bronzo.
Erano state portate da Ravenna e da Roma (798), col permesso del
papa, colonne marmoree di porfido, simbolo imperiale, e marmi
pavimentali, oltre alla statua equestre di Teodorico (presa a
Ravenna).
Questo era stato solo l'inizio: l'arte in tutte le sue manifestazioni
continuerà a svilupparsi e perfezionarsi per tutto il periodo
carolingio. Ad essa verrà dato il nome di arte carolingia.
Per gli scambi
e per gli spostamenti, per i quali man mano che il regno si ingrandiva
si presentava la necessità di una maggiore celerità,
Carlo aveva compreso la necessità di avere mezzi di comunicazione
rapidi. La sua grande passione per i cavalli lo aveva spinto ad
adottarli come rapido mezzo di locomozione, che gli consentiva
di coprire in un'ora 16 km., contro i quattro del fante romano.
E' in questo periodo che il cavallo cessa di essere animale da
soma per diventare compagno dell' uomo.
Tutto il cuore del regno di Carlo, dalla Neustria all' Austrasia,
alla Alemannia e Sassonia, era ricca di corsi d'acqua. Oltre al
Reno, Meno, Mosa, Mosella, Danubio, vi erano corsi minori già
utilizzati da Carlo per la navigazione. Nel 791 imbarcatosi a
Ratisbona, dal Danubio entrò nell'Atmul, via terra raggiunse
il Renitz (o Regnitz) dove imbarcatosi raggiunse il Meno, fermandosi
a Virzbug e poi a Francoforte dove tenne una dieta.
Carlo si era convinto che collegando i due corsi del Regnitz e
Altmul si sarebbero potuti mettere in comunicazione il Reno con
il Danubio, congiungendo così le due civiltà dell'Occidente
e dell'Oriente, dal Mare del Nord a Bisanzio!. I canali di Druso
e di Corbulone, il primo che congiungeva il Reno all'Issel, il
secondo il Reno alla Mosa, gli fanno affrontare nel 793 l'impresa.
Ma l'opera non fu portata a termine, perchè per i lavori
fu infelicemente scelto il periodo autunnale; per le piogge e
per la qualità del terreno e comunque per i mezzi inadeguati
dell' epoca, non si riusciva a contenere gli argini. All'opera
si dovette rinunciare e rimase una fossa lunga duemila passi e
trecento piedi (cioè quasi due km di lunghezza per 9oo
mt. di larghezza), chiamata il canalone o gran fosso di
Carlomagno.
Il Baltico già era collegato con il mar Caspio a mezzo
del Volga, utilizzato dai mercanti scandinavi che raggiungevano
così le coste del mar Nero, ma essi (secondo Pirenne) dopo
la conquista dell'Islàm dovettero cambiar strada.
Carlo aveva
avuto anche l'idea di una moneta unica per tutto l'impero, sostituendo
così quella di pessima qualità (non solo come lega
ma anche per la tosatura), che circolava in quel tempo, e ciò
sulla base del principio, che egli riteneva fondamentale, che
gli scambi devono essere non solo facilitati ma praticati onestamente
(si affacciava così già nel VII sec. l'idea della
trasparenza!). Proprio per agevolare gli scambi e i traffici aveva
abolito ogni gabella per le merci, che dovevano esser franche,
sia quando viaggiavano per vie d'acqua, che per le strade, ad
eccezione del livello che si doveva pagare al monastero,
che metteva a disposizione lo spazio per farvi svolgere il mercato,
dove per antica consuetudine si vendeva ogni cosa.
A prescindere dalle monete d'oro che avevano funzioni di prestigio,
egli fa usare la libra d'argento, una moneta d'argento
di ottima qualità, pari a 240 once (6), divisa in 20 solidi
e questi a loro volta in 12 denarii (denarius) ciascuno,
cioè 240 denarii.
Per i pesi, poi, aveva adottato la libbra che aveva visto
in uso a Montecassino. Essa corrispondeva a poco più di
490 grammi e veniva divisa in dodici once. Per la lunghezza,
era stato adottato il piede corrispondente a 30,5 cm. (poi
detto piede di Carlo) (7).
Per i liquidi e le derrate invece l'unità di misura era
il moggio, che corrispondeva per i liquidi a circa 52 litri,
mentre per le derrate andava tra i 330 e 620 cl.
La scoperta di denarii carolingi in Oriente e di monete
bizantine e arabe in Occidente ha dimostrato che i traffici commerciali
si svolgevano nelle due direzioni.
La capillare organizzazione
amministrativa era patrimonio esclusivo del clero, ed era stata
direttamente ereditata dall'impero romano. L'organizzazione laica
invece si era ridotta a qualche rudimento di diritto consuetudinario
e si collegava alle leggende eroiche.
Carlo fu il primo sovrano che pretese dai funzionari la conoscenza
della legge, che doveva essere scritta. Dai funzionari e dalla
cancelleria imperiale venivano redatte liste e registrazioni di
ogni genere riguardanti le proprietà imperiali, i beni
della Chiesa, i censi, ecc. .
Tutta la proprietà fondiaria venne così inventariata
e documentata in base a cifre e misurazioni, con l'istituzione
di registri prebendari e urbaria costituenti elenchi di
beni immobili a carattere catastale. Sorge così il Catasto,
inteso come inventario di beni pubblici e privati.
L'unità posta a base della proprietà fondiaria era
la villa o curtis, la cui estensione andava da qualche
centinaio a migliaia di ettari ed era divisa in due parti:
1) la pars dominica o corte o mansus indominicatus,
che era coltivata dal proprietario o da suoi agenti, che per la
coltivazione utilizzavano in parte schiavi e in parte i coloni
assegnatari;
2) la pars massaricia, che era concessa a famiglie coloniche
le quali corrispondevano al signore un censo in natura e danaro
ed inoltre prestavano il lavoro per la pars dominica.
La curtis-corte era costituita dalla abitazione del proprietario
con cucina, fornace panetteria, frantoio, granai, stalle, capanne
per gli schiavi e quindi il giardino con frutteto. Quando vi era
uno stagno veniva coltivato l'orto, e se vi era un ruscello c'era
il mulino.
Carlo amava la natura e non si può non meravigliarsi delle
norme del capitolare (De villis) che potrebbero essere
applicate al giorno d'oggi! Erano state date disposizioni per
la conservazione del patrimonio dei boschi che erano sottoposti
alla sorveglianza delle guardie dei boschi: <i nostri
boschi e le nostre foreste siano ben custodite>. Solo in
caso di necessità si permetteva la estirpazione delle piante,
e non si doveva permettere che i campi fossero rosi dall'avanzata
del bosco. Là dov'era necessario tagliare il bosco bisognava
fare attenzione a non danneggiarlo troppo. Le guardie inoltre
dovevano vigilare con attenzione la selvaggina delle foreste e
dovevano (abbiano cura) aver cura degli avvoltoi e degli
sparvieri che servono per la caccia.
Il capitolare era minuzioso, con norme brevi, chiare e precise;
tra l'altro aveva un largo ventaglio di riferimenti, come quello
per l'allevamento dei cavalli, dei cani e di altri animali.
Relativamente ai cavalli, dava disposizioni per i giudici
(cioè gli intendenti reali), i quali dovevano prendersi
cura degli stalloni e non dovevano lasciarli stare per troppo
tempo sugli stessi pascoli, per non distruggerli. Se vi fosse
stato uno stallone inefficiente o troppo vecchio o se qualcuno
moriva bisognava comunicarlo a lui. Le giumente dovevano essere
ben curate e separate in tempo utile dai puledri, e se le puledre
si moltiplicavano dovevano essere radunate in branco separato.
I puledri poi dovevano essere consegnati a palazzo il giorno di
s. Martino (il santo, cavaliere, che aveva dato metà del
suo mantello a un povero infreddolito, era considerato protettore
dei guerrieri e la sua effigie veniva portata in guerra - nda.)
.
Per gli allevamenti di altri animali, cioè mucche, maiali,
pecore, capre e montoni, disponeva che tutte le terre imperiali
(quindi demaniali) non dovevano esserne prive e dovevano avere
vacche che sarebbero servite alla riproduzione (riservate al
loro servizio), in modo che le stalle non fossero impoverite
o gli aratri diminuiti, in alcun modo, dai servizi nei domini
signorili.
Al momento della fornitura delle carni, si potevano macellare
tutti gli animali che dovevano essere eliminati per selezione
e non guasti o malati, e, viene ripetuto, < non si devono
impoverire le stalle o i lavori d'aratura>. Anche per i
cani cuccioli veniva disposto che <i giudici devono provvedere
personalmente a nutrirli, oppure affidandoli a subalterni, maggiori,
decani e dispensieri> che dovevano nutrirli adeguatamente
a proprie spese <a meno che non vi sia stato un ordine nostro
o della regina di nutrirli nei nostri possedimenti a nostre spese,
in questo caso il giudice affidi questo compito a un uomo, che
li allevi adeguatamente e metta da parte il cibo destinato a loro,
in modo che l'addetto non sia obbligato a ricorrere ogni giorno
ai fienili>.
Per i prodotti agricoli, particolarmente per quello principale,
il grano, ad evitare lievitazioni di prezzi e accaparramenti in
periodi di carestia, Carlo aveva statuito che si proibiva a ecclesiastico
o laico di vendere i grani a prezzo maggiore della tariffa pubblicamente
assegnata e stabilita sia in tempo d'abbondanza sia di carestia.
<L'avena si pagherà un danaro il moggio, due il moggio
l'orzo, tre la segale, e quattro il frumento>. Per il grano
scambiato col pane, fissava per un denaro di grano dodici pani
di frumento, ciascuno del peso di due libbre; e con lo stesso
prezzo di un denaro per moggio, quindici pani di segale, venti
di orzo e venticinque di avena, ciascuno del medesimo peso (due
libbre). I prezzi di questi stessi prodotti, provenienti da proprietà
pubblica (del fisco), che erano acquistati dai mercanti, erano
anch'essi fissati in un denaro per due moggi d'avena, due denari
per l'orzo, due per la segale, tre denari per il frumento.
Infine erano state date disposizioni precise per orti e frutteti
(8).
I CAPITOLARI
Sotto il nome
di capitolari erano indicate non solo le leggi regie-imperiali,
ma anche editti, decreti, istruzioni ecc., emessi da Carlo e dalla
Cancelleria imperiale nelle grandi assise (placiti generali).
Essi non avevano una particolare catalogazione, che è stata
fatta successivamente, per cui tutti i capitolari risultano distinti
in due categorie quelli ecclesiastici e quelli laici.
Questi ultimi sono stati divisi in:
1. Capitularia legibus addenda destinati ad integrare testi
legislativi o amministrativi già esistenti;
2. Capitularia per se scribenda che codificano un determinato
argomento o materia ex novo, quindi capitolari veri e propri;
3. Capitula missorum, che erano quelli destinati ai missi
dominici, a titolo di istruzioni.
Con i capitolari Carlo aveva mirato a integrare i singoli
diritti soprattutto per supplire ai molteplici bisogni determinati
dalla vastità dell'impero, venendo a formare un corpus,
anche se non unitario, di legislazione regia che tendeva a unificare
l'amministrazione, tenendola più salda.
LE ASSISE
Le Assise
erano assemblee in cui si prendevano delle decisioni a carattere
generale, relative ai grandi temi della amministrazione dello
Stato, o a carattere più particolare (distrettuale).
Abbiamo visto che le assemblee erano di due ordini: i campi
di maggio (maii campus) e i placiti generali (conventus
generales).
I campi di maggio, indetti per la metà di maggio,
erano le assemblee presiedute da Carlo, alle quali partecipavano
i rappresentanti dell'aristocrazia franca e in cui si decidevano
le guerre da combattere all'inizio dell'estate (e si partiva dopo
qualche settimana). In queste assemblee non si discuteva, ma si
deliberava semplicemente per acclamazione; per quanto riguardava
l'amministrazione della giustizia, venivano emesse sentenze che
erano di condanna o assoluzione.
I placiti generali si tenevano o in un castello o in qualche
residenza reale o in qualche foresta, e vi si radunavano le gerarchie
laiche ed ecclesiatiche <ciascuno nella propria giurisdizione
- vescovi, abati, vassalli, avvocati e vicedomini delle badie,
e, ogni conte seguito dai suoi vicari e centenari e da tre o quattro
scabini>. In essi venivano dettati i capitolari.
In queste assemblee, dopo conosciuto lo stato della religione
e dell'ordine ecclesiastico, <i deputati si informeranno
del modo onde tutti quelli costituiti in potere adempiano al loro
uffizio, come amministrano il popolo secondo il volere di Dio
e gli ordini nostri e come operano d'accordo>.
Gli alti funzionari e i grandi del regno, in entrambe le assemblee,
ad evitare che vi fosse l'impressione che esse fossero convocate
senza motivo, ricevevano un memorandum suddiviso in capitoli,
in cui si comunicavano i provvedimenti presi dal re e le più
importanti notizie pervenute dopo la loro partenza, in modo che
ne potessero conferire e discutere tra loro, e ciò avveniva
nei giorni fissati nelle diete. Queste avevano luogo in forma
di conclave, nessuno degli estranei poteva avvicinarsi prima che
le decisioni fossero state prese e fossero state comunicate al
glorioso principe e sottoposte al suo pio sguardo.
Per i contatti con il sovrano, che rimaneva all'esterno, nel caso
di chiarimenti o nel caso fosse necessaria la sua presenza, ci
si serviva di domestici di palazzo. Le decisioni venivano prese
attenendosi a ciò che egli aveva deciso nella sua sapienza
di origine divina.
Gli ambienti destinati a ricevere i grandi erano divisi in due
parti, una destinata agli ecclesiastici, l'altra ai dignitari
laici, finché non arrivasse il momento di deliberare in
assenza o presenza del sovrano. Allora essi si disponevano in
sale a ciò destinate, in cui con gran decoro erano stati
approntati dei seggi, da un lato gli ecclesiastici dall'altro
lato i laici.
Il sovrano nel frattempo si tratteneva con i grandi che vedeva
più raramente, riceveva i doni, si informava sulle agitazioni
o rivolte, o sulle cause di insoddisfazione o malcontento tra
la popolazione.
Erano queste le occasioni per il sovrano di sentire direttamente
il polso del suo impero.
I TRIBUNALI
Con la riforma
del sistema giudiziario erano stati istituiti due tipi di tribunali.
sulla base della suddivisione delle cause, secondo criteri di
valore e materia, oltre al tribunale centrale presieduto
da Carlo, che giudicava i nobili che avevano commesso reati.
Valeva il principio che tutte le popolazioni dell'impero conservavano
l'uso delle proprie consuetudini e leggi nazionali, che per molte
popolazioni erano tramandate oralmente (i Goti, Burgundi e Franchi
Salii, avevano leggi scritte fin dal V sec., gli Angli-Sassoni,
dal VII sec.) prescrivendo che ne fossero fatte relazioni scritte.
I nobili invece, a qualunque popolazione appartenessero, dovevano
essere giudicati solo dal sovrano e dal collegio dei nobili.
Questi tribunali erano comitali e centenari. Il tribunale
comitale, che giudicava le cause maiores, era costituito
dal conte, il quale nel territorio affidato alla sua giurisdizione
(comitatus) amministrava la giustizia, affiancato da boni
homines (notabiles) eletti dall'assemblea locale degli uomini
liberi (mallus). Le sessioni erano tre annuali con competenza
per omicidi, adulterio e tradimento.
I tribunali centenari o vicarii si occupavano delle
cause minores ed erano costituiti da subordinati del conte,
che si occupavano di reati minori, tipo furti e cause di diritto
privato, quali le divisioni di immobili, ecc., che si riunivano
ogni quindici giorni. Questi componenti dei tribunali centenari
successivamente vennero affiancati da un collegio di tre scabini
(9), i quali erano preposti alla redazione delle sentenze.
Gli uni e gli altri, conti e centenari, (Capitolare missorum),
erano <spronati al raggiungimento della perfetta giustizia
non opprimano in nulla i poveri, nessuno di loro osi rendersi
complice di ladri, banditi, assassini, adulteri, maghi incantatori
o delle indovine che predicano il futuro e di coloro che commettono
sacrilegio, né per compiacenza né per lucro e nascondere
i loro delitti proteggendoli, li denuncino piuttosto, onde siano
corretti e castigati secondo la legge (10)
>.
Anche il diritto criminale viene riformato sostituendosi la pena
cruenta, con il risarcimento. Si poneva così un argine
al sistema delle faide gentilizie (ordalìa o vendetta
di sangue), sostituendole alla composizione, oltre alla punizione
del reo.
Il sistema a impulso di parte, veniva quindi sostituito da quello
c.d. inquisitorio (11) <
siano vietati e puniti
gli omicidi a causa dei quali muoiono molti componenti del popolo
cristiano. Dio stesso ha vietato ai suoi fedeli di coltivare odi
e inimicizie e a maggior ragione l'omicidio
nel caso che
per diabolica istigazione siano commessi omicidi il reo espii
la sua colpa e ripari al più presto il male prendendo giusti
provvedimenti nei confronti dei parenti
e i parenti dell'ucciso
si guardino dall'alimentare l'ostilità nei confronti di
chi ha commesso il delitto. Se qualcuno uccide fratelli o un parente,
subito si accolli la penitenza prescritta e risarcisca l'uccisione
e si accordi con i parenti sotto ogni rispetto e da quel momento
in poi nessuno osi mancare alla parola data
chi si sarà
rifiutato di pagare sia privato dei suoi beni finché non
sia sottoposto al nostro giudizio>.
La remunerazione per i componenti del tribunale comitale
comprendeva due elementi:
1. la dotazione di terre e il godimento temporaneo di possedimenti
reali;
2. le rendite derivanti dalle ammende inflitte dal tribunale.
Il conte acquisiva un terzo delle ammende inflitte e la nona parte
dei pagamenti giudiziari.
Carlo introduce
una sostanziale riforma in campo militare, con l'abolizione della
leva di massa di fanti male armati, adottando il sistema che costringeva
tutti i sottoposti a concorrere al mantenimento di un piccolo
esercito di cavalieri, muniti di armamento costoso (12). Dopo
Attila (*), fu Carlo a intravedere i vantaggi di una cavalleria
leggera che contrariamente al fante romano (4 km all'ora),
poteva avere rapidità di spostamento (16 km. all'ora).
Con questo sistema riuscì a conquistare, dopo cinque secoli
che Franchi e Sassoni si erano affrontati senza riportare sostanziali
modifiche di frontiera, la Germania; riprendendo poi la Pannonia
agli Avari, fondò la Marca dell'Est, dando origine all'Austria,
facendo partecipare la Boemia al processo di civilizzazione occidentale.
Come alti ufficiali dell'esercito primeggiavano i vassi dominici,
i quali, come abbiamo visto, erano istruiti presso la corte imperiale.
Carlo aveva affermato il principio secondo il quale ciascun
Franco dovesse cooperare alla difesa e presentarsi ogni qualvolta
venisse annunciata la chiamata (heriban), con punizione
(13) per chi, rimanendo a casa, non si presentava a fianco del
suo signore, per prestare il servizio militare. Se costui era
stato autorizzato dal suo signore, era lui ad essere considerato
responsabile per il pagamento, da moltiplicarsi per ciascuno,
se erano in più.
Il capitolare (bonomiense dell'811), specificava che, poiché
per quell'anno i signori erano stati autorizzati a lasciare a
casa (con funzioni di sorveglianza e custodia della proprietà
nda.) due uomini, i messi dovevano indicarli per nome,
perché solo essi potevano essere esentati dall'ammenda.
Altrimenti, scattava la sanzione.
La diserzione veniva condannata con la pena di morte e la confisca
dei beni.
La chiamata era articolata in modo che qualunque uomo libero che
possedesse cinque mansi di sua proprietà doveva
presentarsi presso l'esercito e così pure chi ne possedeva
quattro o tre (un manso equivaleva a dodici arpenti, circa
3,6 ha)...<e dove se ne trovano due, dei quali ciascuno
ha due mansi, l'uno contribuisca all'armamento dell'altro, e venga
all'esercito chi può meglio farlo: e dove si trovano due
di cui uno ha due mansi e uno soltanto uno, ugualmente si associno
e ne venga uno. Dove se ne trovano tre, dei quali ognuno ha un
manso, in due armino il terzo; di loro venga all'esercito chi
può meglio farlo. Di quelli che possiedono uno o mezzo
manso (pauperiores) in cinque armino un sesto>.
Un armigero doveva presentarsi con lancia e scudo o arco con due
cocche e dodici frecce, viveri per raggiungere l'esercito, raggiunto
il quale riceveva il mantenimento per tre mesi.
Chi partiva doveva portare vesti e provviste per un viaggio di
tre mesi oltre i territori di confine, con ulteriori precisazioni.
<Quelli che dal Reno dovevano raggiungere la Loira in marcia
di avvicinamento dovevano calcolare le provviste necessarie a
partire dalla Loira. Viceversa, quelli che partono dalla Loira
al Reno, devono calcolare le provviste a partire dalla Loira .
Chi oltre il Reno è diretto in Sassonia (indomabile: la
guerra per soggiogarli era durata trent'anni e costata migliaia
di morti oltre a decapitazioni di massa per quelli che non volevano
convertirsi al cristianesimo), sappia che il confine è
sull'Elba. Quelli che dimorano al di là della Loira e devono
partire per la Spagna, sappiano che il confine è ai Pirenei>!.
Carlo aveva dato anche precise disposizioni relativamente ai carri
da guerra, adibiti al trasporto di vettovaglie, che erano dei
veri e propri carri anfibi, detti basterne. Dovevano essere
ben costruiti, e gli opercoli dovevano essere coperti di cuoio,
cuciti in modo tale che, nel caso fosse necessario passare l'acqua,
potessero attraversare i fiumi senza che l'acqua riuscisse ad
entrare e le cose trasportate fossero danneggiate. Su ogni carro,
dovevano essere caricati dodici moggi di farina <per nostro
consumo>. Sui carri che trasportavano il vino dovevano
essere caricati dodici moggi e su ognuno dei carri dovevano essere
sistemati uno scudo e una lancia, una faretra e un arco.
Carlo Magno
aveva innescato una dinamica culturale, economica e geo-politica
che era stata il punto di partenza dell'idea dell'Europa. Essa
maturerà nei secoli successivi, purtroppo con un processo
molto lento, fino a trovare solo ora, (dagli anni cinquanta e
inizio di questo nuovo secolo), la sua realizzazione.
Anche se i popoli dell'Europa si sono combattuti per tanti secoli,
le idee che si sono formate hanno potuto superare questi secoli
e arrivare fino a noi, che abbiamo avuto la fortuna di assistere
a sconvolgimenti impensabili, per l'Est, ma anche a tante realizzazioni
nell'ambito della Unione Europea, che dovrebbero essere portate
a termine.
Carlo, come tante grandi figure della storia, vive oggi (anniversario
della sua incoronazione avvenuta il 25 Dicembre dell'anno 800
di questa e.v.), a distanza di milleduecento anni, nelle sue realizzazioni.
Unità di tanti e diversi popoli e paesi; leggi fondamentali,
uguali per tutti nel rispetto delle leggi e consuetudini locali;
abolizione dei dazi doganali; pesi, misure e moneta unici per
tutti, sono le realizzazioni che avevano reso grande Carlo e che
ci auguriamo facciano ora, a distanza di tredici secoli, grande
l'Europa.