CARLOMAGNO E L'IDEA DELL'EUROPA

 

 

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

 

 

PARTE SECONDA

 

L'ARTE ARCHITETTONICA

 

La costruzione del complesso del sacro palazzo (con la chiesa palatina, unico monumento che sia a noi pervenuto) ad Aquisgrana-Aachen-Aix-la-chapelle (in prossimità di Maastricht, importante centro con porto fluviale, al centro tra Gallia, Francia, Germania e vicina alla Sassonia, nonché centro termale) aveva dato l'avvio alla costruzione di chiese, monasteri e castelli, che proseguì nei secoli successivi. Da questo periodo si costruisce tutto in pietra. Fino ad allora, a parte le sole chiese, tutto era costruito in legno.
Carlo aveva preso la decisione di fissare finalmente una residenza stabile, che in precedenza non aveva avuto, per le usanze nomadiche dei franchi. L'idea di voler uguagliare Roma, che conosceva bene, e Bisanzio, che gli era stata descritta dalle relazioni dei suoi ambasciatori, era servita per dare inizio alla costruzione del palazzo di Aix, di cui purtroppo si può avere solo una idea molto vaga! Il palazzo aveva una biblioteca, archivi, camera del tesoro, piscina, tutti difficilmente localizzabili, e vi erano anche affreschi con scene della guerra di Spagna e raffigurazioni delle arti liberali.
I monasteri avevano avuto la funzione di centri culturali e questo determina l'incremento, il sorgere e l'espandersi di un loro numero sempre maggiore. Tra i monasteri con scuole, diventeranno famose quelle di Fontenelles, Ferrieres s. Germaine, Saint Benigne, Saint Pierre le vif, Corbie, St. Wandrille, Fleury, Saint Martin di Tours, Fulda, San Gallo (in Svizzera); Reichenau (in Germania); Tegernsee, Corvey (in Sassonia) e Gaudersheim (in Baviera).
Si costruiscono nuovi centri abbaziali, dipendenti dalle case madri, o si rinnovano completamente abbazie come quella di Saint Denis. L'abate Angilberto, poeta e amico di Carlo, tra il 790 e 799 costruisce l'abbazia di S. Requier o Centula, in prossimità di Abbeville. Lo stesso Eginardo fonda due basiliche a Hoscht am Mein e Seligenstadt.
Negli ultimi anni del 700 oltre al palazzo di Aquisgana fu iniziata la costruzione delle dimore imperiali di Inghelheim e Nimega.
Con gli scavi condotti dopo la seconda guerra mondiale sono venuti alla luce diversi ritrovamenti, che sono stati raggruppati a seconda delle scuole regionali, delle:
1. Chiese ad aula, in cui si riscontra la forma architettonica più semplice, con ritrovamenti sotto le chiese di s. Gertrude di Nivelles, s. Maria a Milletzell sull'isola di Reichenau, e sotto la chiesa di Abdinghof a Padeborn, a Midehorst e la prima chiesa conventuale di Lorsch (764). Dopo le forma ad aula, le chiese furono ampliate con cappelle laterali (più basse della navata) con un inizio di architettura a croce;

2. Basiliche. L'esempio è rappresentato dalla Basilica di Saint Denis, considerata Chiesa di Stato, iniziata quando Pipino era ancora in vita (754) e inaugurata da Carlo nel 775 (successivamente ricostruita nel XII sec.). Anche la chiesa di s. Nazario dell'Abbazia imperiale di Lorch fu costruita tra il 768 e il 774. A Ratisbona fu costruita la chiesa conventuale di Saint Emmermann. Esempi di Chiese con <Westwerk>, in cui il corpo occidentale della chiesa, ai lati della facciata, era racchiusa da due torri scalarie che portavano a un loggiato interno, da cui l'imperatore e la corte assistevano alle funzioni, si ebbero ad Aquisgrana e Lorsch.
L'opera più importante giunta sino a noi (in parte ricostruita e ampliata) è la Cappella palatina di Aquisgrana a pianta ottagonale. Gli ambasciatori di Carlo gli avevano descritto, anche con disegni, la Chiesa di San Vitale di Ravenna e Carlo aveva voluto che ne fosse costruita una simile. In effetti non era proprio uguale, lo era solo spiritualmente. Era ricca di oro e d'argento, di lucerne e balaustre, con massicce porte di bronzo. Erano state portate da Ravenna e da Roma (798), col permesso del papa, colonne marmoree di porfido, simbolo imperiale, e marmi pavimentali, oltre alla statua equestre di Teodorico (presa a Ravenna).
Questo era stato solo l'inizio: l'arte in tutte le sue manifestazioni continuerà a svilupparsi e perfezionarsi per tutto il periodo carolingio. Ad essa verrà dato il nome di arte carolingia.

 

I MEZZI DI COMUNICAZIONE

Per gli scambi e per gli spostamenti, per i quali man mano che il regno si ingrandiva si presentava la necessità di una maggiore celerità, Carlo aveva compreso la necessità di avere mezzi di comunicazione rapidi. La sua grande passione per i cavalli lo aveva spinto ad adottarli come rapido mezzo di locomozione, che gli consentiva di coprire in un'ora 16 km., contro i quattro del fante romano. E' in questo periodo che il cavallo cessa di essere animale da soma per diventare compagno dell' uomo.
Tutto il cuore del regno di Carlo, dalla Neustria all' Austrasia, alla Alemannia e Sassonia, era ricca di corsi d'acqua. Oltre al Reno, Meno, Mosa, Mosella, Danubio, vi erano corsi minori già utilizzati da Carlo per la navigazione. Nel 791 imbarcatosi a Ratisbona, dal Danubio entrò nell'Atmul, via terra raggiunse il Renitz (o Regnitz) dove imbarcatosi raggiunse il Meno, fermandosi a Virzbug e poi a Francoforte dove tenne una dieta.
Carlo si era convinto che collegando i due corsi del Regnitz e Altmul si sarebbero potuti mettere in comunicazione il Reno con il Danubio, congiungendo così le due civiltà dell'Occidente e dell'Oriente, dal Mare del Nord a Bisanzio!. I canali di Druso e di Corbulone, il primo che congiungeva il Reno all'Issel, il secondo il Reno alla Mosa, gli fanno affrontare nel 793 l'impresa. Ma l'opera non fu portata a termine, perchè per i lavori fu infelicemente scelto il periodo autunnale; per le piogge e per la qualità del terreno e comunque per i mezzi inadeguati dell' epoca, non si riusciva a contenere gli argini. All'opera si dovette rinunciare e rimase una fossa lunga duemila passi e trecento piedi (cioè quasi due km di lunghezza per 9oo mt. di larghezza), chiamata il canalone o gran fosso di Carlomagno.
Il Baltico già era collegato con il mar Caspio a mezzo del Volga, utilizzato dai mercanti scandinavi che raggiungevano così le coste del mar Nero, ma essi (secondo Pirenne) dopo la conquista dell'Islàm dovettero cambiar strada.

 

MONETE, PESI E MISURE

Carlo aveva avuto anche l'idea di una moneta unica per tutto l'impero, sostituendo così quella di pessima qualità (non solo come lega ma anche per la tosatura), che circolava in quel tempo, e ciò sulla base del principio, che egli riteneva fondamentale, che gli scambi devono essere non solo facilitati ma praticati onestamente (si affacciava così già nel VII sec. l'idea della trasparenza!). Proprio per agevolare gli scambi e i traffici aveva abolito ogni gabella per le merci, che dovevano esser franche, sia quando viaggiavano per vie d'acqua, che per le strade, ad eccezione del livello che si doveva pagare al monastero, che metteva a disposizione lo spazio per farvi svolgere il mercato, dove per antica consuetudine si vendeva ogni cosa.
A prescindere dalle monete d'oro che avevano funzioni di prestigio, egli fa usare la libra d'argento, una moneta d'argento di ottima qualità, pari a 240 once (6), divisa in 20 solidi e questi a loro volta in 12 denarii (denarius) ciascuno, cioè 240 denarii.
Per i pesi, poi, aveva adottato la libbra che aveva visto in uso a Montecassino. Essa corrispondeva a poco più di 490 grammi e veniva divisa in dodici once. Per la lunghezza, era stato adottato il piede corrispondente a 30,5 cm. (poi detto piede di Carlo) (7).
Per i liquidi e le derrate invece l'unità di misura era il moggio, che corrispondeva per i liquidi a circa 52 litri, mentre per le derrate andava tra i 330 e 620 cl.
La scoperta di denarii carolingi in Oriente e di monete bizantine e arabe in Occidente ha dimostrato che i traffici commerciali si svolgevano nelle due direzioni.

6) Sotto il padre Pipino il Breve una libbra era divisa in 264 denari, di cui 12 spettavano al monetiere che batteva la moneta; dei 252 denari che andavano al signore, questi ne tratteneva altri 12 e metteva in circolazione i rimanenti 240.
7) In Inghilterra l'uso di monete, pesi e misure era stato importato da re Offa di Mercia, che aveva rapporti commerciali con Carlo del quale aveva adottato il sistema, fissando il valore dello shelling in dodici pennies (questo sistema è durato fino al 1971, anno in cui è stato adottato il sistema decimale, mentre per pesi e misure solo verso la fine del 1995 -ottobre- il Regno Unito si è allineato al sistema europeo eliminando pinte, galloni, piedi, miglia e iarde).

 

SVILUPPO DELL'AGRICOLTURA E SISTEMAZIONE DELLA PROPRIETA' FONDIARIA: IL CATASTO


La capillare organizzazione amministrativa era patrimonio esclusivo del clero, ed era stata direttamente ereditata dall'impero romano. L'organizzazione laica invece si era ridotta a qualche rudimento di diritto consuetudinario e si collegava alle leggende eroiche.
Carlo fu il primo sovrano che pretese dai funzionari la conoscenza della legge, che doveva essere scritta. Dai funzionari e dalla cancelleria imperiale venivano redatte liste e registrazioni di ogni genere riguardanti le proprietà imperiali, i beni della Chiesa, i censi, ecc. .
Tutta la proprietà fondiaria venne così inventariata e documentata in base a cifre e misurazioni, con l'istituzione di registri prebendari e urbaria costituenti elenchi di beni immobili a carattere catastale. Sorge così il Catasto, inteso come inventario di beni pubblici e privati.
L'unità posta a base della proprietà fondiaria era la villa o curtis, la cui estensione andava da qualche centinaio a migliaia di ettari ed era divisa in due parti:
1) la pars dominica o corte o mansus indominicatus, che era coltivata dal proprietario o da suoi agenti, che per la coltivazione utilizzavano in parte schiavi e in parte i coloni assegnatari;
2) la pars massaricia, che era concessa a famiglie coloniche le quali corrispondevano al signore un censo in natura e danaro ed inoltre prestavano il lavoro per la pars dominica.
La curtis-corte era costituita dalla abitazione del proprietario con cucina, fornace panetteria, frantoio, granai, stalle, capanne per gli schiavi e quindi il giardino con frutteto. Quando vi era uno stagno veniva coltivato l'orto, e se vi era un ruscello c'era il mulino.
Carlo amava la natura e non si può non meravigliarsi delle norme del capitolare (De villis) che potrebbero essere applicate al giorno d'oggi! Erano state date disposizioni per la conservazione del patrimonio dei boschi che erano sottoposti alla sorveglianza delle guardie dei boschi: <i nostri boschi e le nostre foreste siano ben custodite>. Solo in caso di necessità si permetteva la estirpazione delle piante, e non si doveva permettere che i campi fossero rosi dall'avanzata del bosco. Là dov'era necessario tagliare il bosco bisognava fare attenzione a non danneggiarlo troppo. Le guardie inoltre dovevano vigilare con attenzione la selvaggina delle foreste e dovevano (abbiano cura) aver cura degli avvoltoi e degli sparvieri che servono per la caccia.
Il capitolare era minuzioso, con norme brevi, chiare e precise; tra l'altro aveva un largo ventaglio di riferimenti, come quello per l'allevamento dei cavalli, dei cani e di altri animali.

Relativamente ai cavalli, dava disposizioni per i giudici (cioè gli intendenti reali), i quali dovevano prendersi cura degli stalloni e non dovevano lasciarli stare per troppo tempo sugli stessi pascoli, per non distruggerli. Se vi fosse stato uno stallone inefficiente o troppo vecchio o se qualcuno moriva bisognava comunicarlo a lui. Le giumente dovevano essere ben curate e separate in tempo utile dai puledri, e se le puledre si moltiplicavano dovevano essere radunate in branco separato. I puledri poi dovevano essere consegnati a palazzo il giorno di s. Martino (il santo, cavaliere, che aveva dato metà del suo mantello a un povero infreddolito, era considerato protettore dei guerrieri e la sua effigie veniva portata in guerra - nda.) .
Per gli allevamenti di altri animali, cioè mucche, maiali, pecore, capre e montoni, disponeva che tutte le terre imperiali (quindi demaniali) non dovevano esserne prive e dovevano avere vacche che sarebbero servite alla riproduzione (riservate al loro servizio), in modo che le stalle non fossero impoverite o gli aratri diminuiti, in alcun modo, dai servizi nei domini signorili.
Al momento della fornitura delle carni, si potevano macellare tutti gli animali che dovevano essere eliminati per selezione e non guasti o malati, e, viene ripetuto, < non si devono impoverire le stalle o i lavori d'aratura>. Anche per i cani cuccioli veniva disposto che <i giudici devono provvedere personalmente a nutrirli, oppure affidandoli a subalterni, maggiori, decani e dispensieri> che dovevano nutrirli adeguatamente a proprie spese <a meno che non vi sia stato un ordine nostro o della regina di nutrirli nei nostri possedimenti a nostre spese, in questo caso il giudice affidi questo compito a un uomo, che li allevi adeguatamente e metta da parte il cibo destinato a loro, in modo che l'addetto non sia obbligato a ricorrere ogni giorno ai fienili>.
Per i prodotti agricoli, particolarmente per quello principale, il grano, ad evitare lievitazioni di prezzi e accaparramenti in periodi di carestia, Carlo aveva statuito che si proibiva a ecclesiastico o laico di vendere i grani a prezzo maggiore della tariffa pubblicamente assegnata e stabilita sia in tempo d'abbondanza sia di carestia.
<L'avena si pagherà un danaro il moggio, due il moggio l'orzo, tre la segale, e quattro il frumento>. Per il grano scambiato col pane, fissava per un denaro di grano dodici pani di frumento, ciascuno del peso di due libbre; e con lo stesso prezzo di un denaro per moggio, quindici pani di segale, venti di orzo e venticinque di avena, ciascuno del medesimo peso (due libbre). I prezzi di questi stessi prodotti, provenienti da proprietà pubblica (del fisco), che erano acquistati dai mercanti, erano anch'essi fissati in un denaro per due moggi d'avena, due denari per l'orzo, due per la segale, tre denari per il frumento.
Infine erano state date disposizioni precise per orti e frutteti (8).

 

8) Il capitolare elenca specificamente tutte le varietà, che sono indicate nell'articolo Il gineceo di Carlo, nella rubrica "Specchio dell'Epoca"

 

LA RIFORMA LEGISLATIVA:

I CAPITOLARI

Sotto il nome di capitolari erano indicate non solo le leggi regie-imperiali, ma anche editti, decreti, istruzioni ecc., emessi da Carlo e dalla Cancelleria imperiale nelle grandi assise (placiti generali).
Essi non avevano una particolare catalogazione, che è stata fatta successivamente, per cui tutti i capitolari risultano distinti in due categorie quelli ecclesiastici e quelli laici.
Questi ultimi sono stati divisi in:
1. Capitularia legibus addenda destinati ad integrare testi legislativi o amministrativi già esistenti;
2. Capitularia per se scribenda che codificano un determinato argomento o materia ex novo, quindi capitolari veri e propri;
3. Capitula missorum, che erano quelli destinati ai missi dominici, a titolo di istruzioni.

Con i capitolari Carlo aveva mirato a integrare i singoli diritti soprattutto per supplire ai molteplici bisogni determinati dalla vastità dell'impero, venendo a formare un corpus, anche se non unitario, di legislazione regia che tendeva a unificare l'amministrazione, tenendola più salda.

 

LE ASSISE

Le Assise erano assemblee in cui si prendevano delle decisioni a carattere generale, relative ai grandi temi della amministrazione dello Stato, o a carattere più particolare (distrettuale).
Abbiamo visto che le assemblee erano di due ordini: i campi di maggio (maii campus) e i placiti generali (conventus generales).
I campi di maggio, indetti per la metà di maggio, erano le assemblee presiedute da Carlo, alle quali partecipavano i rappresentanti dell'aristocrazia franca e in cui si decidevano le guerre da combattere all'inizio dell'estate (e si partiva dopo qualche settimana). In queste assemblee non si discuteva, ma si deliberava semplicemente per acclamazione; per quanto riguardava l'amministrazione della giustizia, venivano emesse sentenze che erano di condanna o assoluzione.
I placiti generali si tenevano o in un castello o in qualche residenza reale o in qualche foresta, e vi si radunavano le gerarchie laiche ed ecclesiatiche <ciascuno nella propria giurisdizione - vescovi, abati, vassalli, avvocati e vicedomini delle badie, e, ogni conte seguito dai suoi vicari e centenari e da tre o quattro scabini>. In essi venivano dettati i capitolari. In queste assemblee, dopo conosciuto lo stato della religione e dell'ordine ecclesiastico, <i deputati si informeranno del modo onde tutti quelli costituiti in potere adempiano al loro uffizio, come amministrano il popolo secondo il volere di Dio e gli ordini nostri e come operano d'accordo>.
Gli alti funzionari e i grandi del regno, in entrambe le assemblee, ad evitare che vi fosse l'impressione che esse fossero convocate senza motivo, ricevevano un memorandum suddiviso in capitoli, in cui si comunicavano i provvedimenti presi dal re e le più importanti notizie pervenute dopo la loro partenza, in modo che ne potessero conferire e discutere tra loro, e ciò avveniva nei giorni fissati nelle diete. Queste avevano luogo in forma di conclave, nessuno degli estranei poteva avvicinarsi prima che le decisioni fossero state prese e fossero state comunicate al glorioso principe e sottoposte al suo pio sguardo.
Per i contatti con il sovrano, che rimaneva all'esterno, nel caso di chiarimenti o nel caso fosse necessaria la sua presenza, ci si serviva di domestici di palazzo. Le decisioni venivano prese attenendosi a ciò che egli aveva deciso nella sua sapienza di origine divina.
Gli ambienti destinati a ricevere i grandi erano divisi in due parti, una destinata agli ecclesiastici, l'altra ai dignitari laici, finché non arrivasse il momento di deliberare in assenza o presenza del sovrano. Allora essi si disponevano in sale a ciò destinate, in cui con gran decoro erano stati approntati dei seggi, da un lato gli ecclesiastici dall'altro lato i laici.
Il sovrano nel frattempo si tratteneva con i grandi che vedeva più raramente, riceveva i doni, si informava sulle agitazioni o rivolte, o sulle cause di insoddisfazione o malcontento tra la popolazione.
Erano queste le occasioni per il sovrano di sentire direttamente il polso del suo impero.

 

...E GIUDIZIARIA:

I TRIBUNALI

Con la riforma del sistema giudiziario erano stati istituiti due tipi di tribunali. sulla base della suddivisione delle cause, secondo criteri di valore e materia, oltre al tribunale centrale presieduto da Carlo, che giudicava i nobili che avevano commesso reati.
Valeva il principio che tutte le popolazioni dell'impero conservavano l'uso delle proprie consuetudini e leggi nazionali, che per molte popolazioni erano tramandate oralmente (i Goti, Burgundi e Franchi Salii, avevano leggi scritte fin dal V sec., gli Angli-Sassoni, dal VII sec.) prescrivendo che ne fossero fatte relazioni scritte. I nobili invece, a qualunque popolazione appartenessero, dovevano essere giudicati solo dal sovrano e dal collegio dei nobili.
Questi tribunali erano comitali e centenari. Il tribunale comitale, che giudicava le cause maiores, era costituito dal conte, il quale nel territorio affidato alla sua giurisdizione (comitatus) amministrava la giustizia, affiancato da boni homines (notabiles) eletti dall'assemblea locale degli uomini liberi (mallus). Le sessioni erano tre annuali con competenza per omicidi, adulterio e tradimento.
I tribunali centenari o vicarii si occupavano delle cause minores ed erano costituiti da subordinati del conte, che si occupavano di reati minori, tipo furti e cause di diritto privato, quali le divisioni di immobili, ecc., che si riunivano ogni quindici giorni. Questi componenti dei tribunali centenari successivamente vennero affiancati da un collegio di tre scabini (9), i quali erano preposti alla redazione delle sentenze.
Gli uni e gli altri, conti e centenari, (Capitolare missorum), erano <spronati al raggiungimento della perfetta giustizia… non opprimano in nulla i poveri, nessuno di loro osi rendersi complice di ladri, banditi, assassini, adulteri, maghi incantatori o delle indovine che predicano il futuro e di coloro che commettono sacrilegio, né per compiacenza né per lucro e nascondere i loro delitti proteggendoli, li denuncino piuttosto, onde siano corretti e castigati secondo la legge (10)… >.
Anche il diritto criminale viene riformato sostituendosi la pena cruenta, con il risarcimento. Si poneva così un argine al sistema delle faide gentilizie (ordalìa o vendetta di sangue), sostituendole alla composizione, oltre alla punizione del reo.
Il sistema a impulso di parte, veniva quindi sostituito da quello c.d. inquisitorio (11) <…siano vietati e puniti gli omicidi a causa dei quali muoiono molti componenti del popolo cristiano. Dio stesso ha vietato ai suoi fedeli di coltivare odi e inimicizie e a maggior ragione l'omicidio…nel caso che per diabolica istigazione siano commessi omicidi il reo espii la sua colpa e ripari al più presto il male prendendo giusti provvedimenti nei confronti dei parenti…e i parenti dell'ucciso si guardino dall'alimentare l'ostilità nei confronti di chi ha commesso il delitto. Se qualcuno uccide fratelli o un parente, subito si accolli la penitenza prescritta e risarcisca l'uccisione e si accordi con i parenti sotto ogni rispetto e da quel momento in poi nessuno osi mancare alla parola data…chi si sarà rifiutato di pagare sia privato dei suoi beni finché non sia sottoposto al nostro giudizio>.

La remunerazione per i componenti del tribunale comitale comprendeva due elementi:
1. la dotazione di terre e il godimento temporaneo di possedimenti reali;
2. le rendite derivanti dalle ammende inflitte dal tribunale. Il conte acquisiva un terzo delle ammende inflitte e la nona parte dei pagamenti giudiziari.


9) Non si sa bene se gli scabini furono istituiti da Carlo o erano di epoca precedente; comunque essi erano stati ufficialmente riconosciuti con queste riforme e sostituirono i preesistenti rachimburghi. Gli scabini erano nominati a vita.
10) Queste belle disposizioni, almeno in un caso clamoroso (riportato da Fichtenau: L'impero carolingio), non vennero osservate in Italia, che sembra, mutatis mutandis, un fatto di cronaca recente: Un giudice che doveva amministrare i beni (certamente facenti parte di una proprietà consistente) di una vedova, aveva pensato di godersi quelle ricchezze che doveva tutelare (le vedove e gli orfani per disposizione sovrana avevano una particolare tutela).
La vedova presentò una querela all'Imperatore, per cui fu avviata una inchiesta, che però per l'intervento di dignitari ecclesiastici e laici che proteggevano il reo, non era arrivata ad alcuna conclusione. La vedova si mise in viaggio per andare ad Aquisgrrana e appellarsi alla corte di giustizia dell'imperatore. Fu incaricato un cugino di Carlo, Wala, per fare le indagini. Prima però che arrivasse a una conclusione, la vedova fu assassinata per incarico del querelante, che per essere più sicuro fece uccidere anche i due sicari. Wala riuscì a ricostruire il delitto, ma <tutta l'Italia con i suoi funzionari corrotti gli si mise contro per far dichiarare innocente colui che pubblicamente era conosciuto come assassino e prevaricatore. I notabili della corte italiana intrigarono, prima chiosando la legge, poi producendo testimoni subornati ed escogitando strani cavilli per convincere Wala ad assolvere il reo con la formula dell'innocenza>.
Il processo si concluse con giustizia.
11) Processo inquisitorio (abolito in Italia con la riforma del processo penale appena qualche anno fa! 1988).

 

LA RIFORMA MILITARE

Carlo introduce una sostanziale riforma in campo militare, con l'abolizione della leva di massa di fanti male armati, adottando il sistema che costringeva tutti i sottoposti a concorrere al mantenimento di un piccolo esercito di cavalieri, muniti di armamento costoso (12). Dopo Attila (*), fu Carlo a intravedere i vantaggi di una cavalleria leggera che contrariamente al fante romano (4 km all'ora), poteva avere rapidità di spostamento (16 km. all'ora).
Con questo sistema riuscì a conquistare, dopo cinque secoli che Franchi e Sassoni si erano affrontati senza riportare sostanziali modifiche di frontiera, la Germania; riprendendo poi la Pannonia agli Avari, fondò la Marca dell'Est, dando origine all'Austria, facendo partecipare la Boemia al processo di civilizzazione occidentale.
Come alti ufficiali dell'esercito primeggiavano i vassi dominici, i quali, come abbiamo visto, erano istruiti presso la corte imperiale.

Carlo aveva affermato il principio secondo il quale ciascun Franco dovesse cooperare alla difesa e presentarsi ogni qualvolta venisse annunciata la chiamata (heriban), con punizione (13) per chi, rimanendo a casa, non si presentava a fianco del suo signore, per prestare il servizio militare. Se costui era stato autorizzato dal suo signore, era lui ad essere considerato responsabile per il pagamento, da moltiplicarsi per ciascuno, se erano in più.
Il capitolare (bonomiense dell'811), specificava che, poiché per quell'anno i signori erano stati autorizzati a lasciare a casa (con funzioni di sorveglianza e custodia della proprietà nda.) due uomini, i messi dovevano indicarli per nome, perché solo essi potevano essere esentati dall'ammenda. Altrimenti, scattava la sanzione.
La diserzione veniva condannata con la pena di morte e la confisca dei beni.
La chiamata era articolata in modo che qualunque uomo libero che possedesse cinque mansi di sua proprietà doveva presentarsi presso l'esercito e così pure chi ne possedeva quattro o tre (un manso equivaleva a dodici arpenti, circa 3,6 ha)...<e dove se ne trovano due, dei quali ciascuno ha due mansi, l'uno contribuisca all'armamento dell'altro, e venga all'esercito chi può meglio farlo: e dove si trovano due di cui uno ha due mansi e uno soltanto uno, ugualmente si associno e ne venga uno. Dove se ne trovano tre, dei quali ognuno ha un manso, in due armino il terzo; di loro venga all'esercito chi può meglio farlo. Di quelli che possiedono uno o mezzo manso (pauperiores) in cinque armino un sesto>.
Un armigero doveva presentarsi con lancia e scudo o arco con due cocche e dodici frecce, viveri per raggiungere l'esercito, raggiunto il quale riceveva il mantenimento per tre mesi.
Chi partiva doveva portare vesti e provviste per un viaggio di tre mesi oltre i territori di confine, con ulteriori precisazioni. <Quelli che dal Reno dovevano raggiungere la Loira in marcia di avvicinamento dovevano calcolare le provviste necessarie a partire dalla Loira. Viceversa, quelli che partono dalla Loira al Reno, devono calcolare le provviste a partire dalla Loira . Chi oltre il Reno è diretto in Sassonia (indomabile: la guerra per soggiogarli era durata trent'anni e costata migliaia di morti oltre a decapitazioni di massa per quelli che non volevano convertirsi al cristianesimo), sappia che il confine è sull'Elba. Quelli che dimorano al di là della Loira e devono partire per la Spagna, sappiano che il confine è ai Pirenei>!.
Carlo aveva dato anche precise disposizioni relativamente ai carri da guerra, adibiti al trasporto di vettovaglie, che erano dei veri e propri carri anfibi, detti basterne. Dovevano essere ben costruiti, e gli opercoli dovevano essere coperti di cuoio, cuciti in modo tale che, nel caso fosse necessario passare l'acqua, potessero attraversare i fiumi senza che l'acqua riuscisse ad entrare e le cose trasportate fossero danneggiate. Su ogni carro, dovevano essere caricati dodici moggi di farina <per nostro consumo>. Sui carri che trasportavano il vino dovevano essere caricati dodici moggi e su ognuno dei carri dovevano essere sistemati uno scudo e una lancia, una faretra e un arco.

*) In Schegge: Attila e gli Unni .
12) Il prezzo della sola armatura del cavaliere e del destriero equivaleva a venti vacche.
13) L'ammenda detta eribano era di 60 soldi d'oro. Essendo questa ammenda superiore alle possibilità del contravventore, essa corrispondeva a trenta vacche o venti giumente; quando non veniva pagata, come si verificava normalmente, egli doveva mettersi al servizio del principe per il tempo necessario all'estinzione del debito. Se l'uomo moriva durante il servizio che prestava al principe, l'ammenda si estingueva e anche i figli venivano liberati dal debito.

 

EPILOGO

Carlo Magno aveva innescato una dinamica culturale, economica e geo-politica che era stata il punto di partenza dell'idea dell'Europa. Essa maturerà nei secoli successivi, purtroppo con un processo molto lento, fino a trovare solo ora, (dagli anni cinquanta e inizio di questo nuovo secolo), la sua realizzazione.
Anche se i popoli dell'Europa si sono combattuti per tanti secoli, le idee che si sono formate hanno potuto superare questi secoli e arrivare fino a noi, che abbiamo avuto la fortuna di assistere a sconvolgimenti impensabili, per l'Est, ma anche a tante realizzazioni nell'ambito della Unione Europea, che dovrebbero essere portate a termine.
Carlo, come tante grandi figure della storia, vive oggi (anniversario della sua incoronazione avvenuta il 25 Dicembre dell'anno 800 di questa e.v.), a distanza di milleduecento anni, nelle sue realizzazioni.
Unità di tanti e diversi popoli e paesi; leggi fondamentali, uguali per tutti nel rispetto delle leggi e consuetudini locali; abolizione dei dazi doganali; pesi, misure e moneta unici per tutti, sono le realizzazioni che avevano reso grande Carlo e che ci auguriamo facciano ora, a distanza di tredici secoli, grande l'Europa.

 

Bibliografia.
Non siamo soliti aggiungere la nota Bibliografica agli articoli che, come indicato in Presentazione, sono di diffusione, e le ricerche sugli argomenti vengono fatte su fonti principali, come nel caso del presente saggio, in cui si è fatto ricorso ai ben noti cronisti, oltre ad aver avuti presenti i testi dei padri storici moderni come Fichtenau, Calmette, Duby, Pirenne.
Carlomagno, in particolare , è un personaggio inossidabile che resiste al tempo che passa. Egli offre continuamente la possibilità di nuovi spunti, per cui è normale che vengano pubblicati libri a getto continuo, dei quali riconosciamo a ciascuno degli autori i propri meriti. Con la conseguenza che, chiunque volesse approfondire, basta che vada tranquillamente in libreria, dove potrà trovare una vasta gamma di scelta.
Tra i tanti libri in commercio, indichiamo il <Carlomagno> di Giuseppe Banchio* che ci è servito anche per alcuni spunti del saggio (come quello sui Tribunali), del quale non possiamo fare a meno di rilevare la completezza nella ricerca sulle fonti primarie, e l' ottima impostazione storica, ma anche grafica. Il libro è contenuto in 150 ricche pagine che lo rendono concentrato e nello stesso tempo completo, con interessanti chiose di margine.
Il libro lo abbiamo visto citato in bibliografie di altri testi, segno che il nostro parere (ci guardiamo dall'esprimere giudizi!) è obiettivo.
Non sappiamo se a distanza di anni sia stata fatta una nuova edizione, meritevole peraltro anche di una maggiore diffusione.

*Giunti Lisciani Editori -Teramo (1994).

 

FINE

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