![]() L’imperatrice Zoe |
I MILLE ANNI DELL’IMPERO BIZANTINO TRA INTRIGHI COMPLOTTI E COLPI DI STATO MICHELE DUCAS-PUGLIA |
CAP. VII
sommario parte prima: la dinastia basiliana: premessa; basilio conquista il potere; il crudele assassinio di michele iii; basilio mette ordine alle finanze e assicura i territori in italia e dalmazia; l’organizzazione dello stato bizantino; ricchezza dei bizantini e lotta di basilio e successori contro le usurpazioni dei ricchi; la riorganizzazione della legislazione; fozio crea la genealogia di basilio e pone le premesse dello scisma tra le due chiese; leone vi e le difficolta’ per sposare la terza e la quarta moglie; l’opera scientifica di leone vi; l’interregno del fratello alessandro.
parte secoNda: zoe e costantino vii porfirogenito; l’usurpatore romano i lecapeno; costantino vii al centro del movimento umanistico del xno secolo sue realizzazioni; romano ii e teofano - niceforo ii e le disavventure di liutprando-giovanni i zimisce; basilio ii bulgaroctono e costantino viii; zoe e gli associati: romano iii argiropulo-michele iv paflagone-michele v calafate; costantino ix monomaco; ancora teodora e mchele vi stratiotico .
PREMESSA
S |
econdo l’appassionata descrizione di C. Diehl, “con Basilio I ha inizio il periodo di centocinquant’anni (867-1056) di incomparabile splendore dell’impero bizantino, seguito da Niceforo Focas e Giovanni Zimisces, gloriosi usurpatori, anime energiche e dure, che governano con autorità e forza di volontà, senza scrupoli e a volte senza pietà, come principi legittimi, preoccupati più di farsi detestare che farsi amare. Ma sono uomini di Stato con la passione per la grandezza dell’impero, comandanti illustri che passano la vita negli accampamenti con i loro soldati nei quali essi amano la fonte della potenza della monarchia; sono degli abili amministratori di una energia tenace e inflessibile che non hanno nessuna esitazione quando si tratta di assicurare il bene pubblico. Essi non hanno il gusto delle spese inutili, unicamente preoccupati di accrescere la ricchezza nazionale: il fasto eclatante del palazzo, la pompa vana dei cortei e delle cerimonie non gli interessano fintanto che non servano alla loro politica e al mantenimento del prestigio”.
BASILIO
CONQUISTA
IL POTERE
B |
asilio non aveva avuto grandi natali; figlio di poveri contadini armeni, trapiantati in Macedonia, erano stati fatti prigionieri quando era appena nato dai bulgari con il re Krum (v. precedente Cap. VI)); con il successore di Krum i prigionieri si ribellarono e fuggirono.
Tornato in Macedonia Basilio aveva prestato servizio come scudiero (domestikos, v. in Schegge: Cariche di Corte e della Chiesa), presso il governatore della Macedonia Tzantzes. La paga però non era sufficiente per mantenere la famiglia e all’età di venticinque anni pensò di seguire il destino che lo chiamava a Costantinopoli.
Partito senza danaro e senza avere un protettore nella capitale, con la sola bisaccia e un bastone, dopo il lungo viaggio vi giunse di sera e avendo trovato chiuse le porte della chiesa di san Diomede dove pensava di chiedere ospitalità, si addormentò sul sagrato.
Si racconta che il padre guardiano, il monaco Nicola, mentre dormiva aveva sentito una voce che gli diceva “alzati e fai entrare l’imperatore”; il monaco andò ad aprire il portone ma vide che c’era un povero che dormiva, per cui chiuse il portone e tornò a dormire.
Dopo essersi addormentato, sentì come un colpo di spada al fianco e una voce che gli diceva “alzati e fai entrare l’imperatore”. Il monaco si alzò di nuovo e fece entrare Basilio; la mattina lo portò ai bagni e gli fece cambiare gli abiti. Questo monaco aveva un fratello medico al servizio di Teofilatze, favorito del giovane imperatore (Michele III), il quale era andato a fargli visita e avendo visto Basilio, colpito dal suo fisico gli chiese di lui.
Il monaco gli raccontò del suo arrivo e anche il suo segreto. Qualche giorno dopo il medico, a tavola con Teofilatze, gli chiese se conoscesse qualcuno che domava cavalli; il medico gli rispose di averne appena conosciuto uno facendogli il nome di Basilio che fu portato alla sua presenza.
Teofilatze ne apprezzò le fattezze: Basilio infatti era alto, dotato di un fisico atletico, di bellezza statuaria e di una forza prodigiosa, oltre ad avere un “intelletto vigoroso e sicuro” (come aveva scritto Gibbon). Teofiltze era stato colpito dalla sua grossa testa, e gli aveva dato il nome di “Kephala-Testa”, assumendolo nelle scuderie imperiali.
Durante una festa, l’ambasciatore dei bulgari si vantava con Teofilatze di avere tra i suoi domestici un uomo vigoroso, che nessuno era in grado di abbattere; Basilio, invitato dal suo padrone accettò la sfida e abbatté il bulgaro.
Questa vittoria solleticò la vanità dei greci che la considerarono come una vittoria sui bulgari e il popolo ne fu tanto eccitato da vantare l’audacia e la forza del giovane macedone.
In questo periodo all’imperatore era stato donato un cavallo superbo e tanto focoso che nessuno riusciva a montarlo; Teofilatze disse all’imperatore di avere la persona che poteva domarlo e l’imperatore comandò di chiamarlo.
Giunto Basilio (scrive il cronista), con una mano prese le briglie del cavallo e con l’altra accarezzò dolcemente le sue orecchie, rendendolo docile come una pecora; l’imperatore soddisfatto lo nominò capo delle scuderie imperiali (comes tou stàblou).
Basilio entrava così a far parte dell’ambiente di corte dove si distingueva per il suo spirito vivace, mentre in battaglia si distingueva per il suo coraggio: “ma per la sua carriera (commenta il cronista) scelse la strada del vizio e dell’intrigo”.
Michele III era giovanissimo e aveva come ciambellano l’eunuco Damiano che lo aveva circondato di eunuchi; Basilio ricopriva la carica di “parakoimomenos”, per cui dormiva nello stesso appartamento dell’imperatore.
In quel momento la carica di cesare era ricoperta da Bardas (fratello della madre dell’imperatore Teodora) che era più potente dell’imperatore in quanto aveva dalla sua parte le truppe di Costantinopoli comandate dal figlio Antigone.
Basilio con la testimonianza di Synbatios (genero di Bardas) convinse l’imperatore che Bardas voleva impadronirsi del trono e l’imperatore una volta convinto, per fare uscire Bardas da Costantinopoli annunciò una campagna in Asia contro gli arabi, per cui Bardas era costretto ad accompagnare l’imperatore.
Bardas era al corrente di tutti gli intrighi e i suoi stretti collaboratori lo sconsigliarono di seguirlo, anche tutti i presagi e i sogni erano sfavorevoli ma egli era sicuro di se stesso e partì ugualmente.
Durante una udienza dell’imperatore Basilio in qualità di gran ciambellano aveva l’incarico di ricevere il cesare che giunto vestito con un sontuoso costume e numerosa scorta, sceso da cavallo fu ricevuto da Basilio che lo condusse per mano facendolo sedere accanto all’imperatore. Durante la conversazione egli con un colpo d’occhio avvertì i suoi che il momento era giunto; Symbatios uscì dalla tenda e con la mano fece sul suo volto il segno della croce; i congiuranti così avvertiti entrarono nella tenda e con le spade colpirono ripetutamente Bardas (865).
Rientrati a Costantinopoli poiché l’imperatore non aveva figli lo adotta e qualche mese dopo lo associa come co-imperatore.
IL CRUDELE
ASSASSINIO
DI MICHELE III
L |
’uccisione di Bardas da parte di Basilio aveva provocato un’insurrezione da parte della guardia che appoggiava Bardas e Michele III, molto facile ai cambiamenti di umore, essendosi reso conto che Basilio non era amato dall’esercito e dagli ufficiali (ma vi è chi dice che Basilio lo avesse ripreso dicendogli che la vita che conduceva non fosse degna di un imperatore), aveva pensato di sbarazzarsi anche di lui.
Vi era già stato un tentativo di ucciderlo durante una caccia e poi l’imperatore si era tradito in quanto aveva dato i calzari di porpora (che denotavano la carica di cesare) a Basiliciano, un giovane che aveva come dote personale la bellezza,... ed era il più bello dell’impero!
Basilio capì che era giunto il momento di sbarazzarsi dell’imperatore e ne approfitta in occasione di una cena nella residenza imperiale di san Mama (Galata).
L’imperatore come al solito immerso nella ubriachezza viene portato nella sua camera. Durante la notte Basilio recatosi con alcuni suoi uomini presso la camera (il limitato numero della guardia non aveva potuto opporre resistenza) e forzata la porta chiusa a chiave, mentre l’imperatore si alza dal letto per il frastuono e alza le mani per disperazione, il primo che lo raggiunge gliele recide con un colpo di spada; egli cade sul letto piangendo pietosamente, ma uno degli uomini di Basilio, vedendolo ancora vivo si getta su di lui infilandogli la spada nello stomaco provocando la fuoriuscita delle viscere.
Michele III moriva (867) all’età di ventotto-ventinove anni, dopo un regno di circa venticinque, fu considerata come un atto di liberazione per tutti. “Fu così”, aveva scritto uno storico misericordioso, “questo tiranno della Nuova Roma che per i suoi vizi e i suoi crimini aveva fatto rivivere il detestabile figlio di Agrippina (Nerone). La sua fine è stata degna della sua vita; essa è stata il giusto castigo ai suoi vizi e agli oltraggi verso sua madre e verso la Chiesa, alle sue profanazioni sacrileghe delle cerimonie del culto e della sua sfrenate licenze. Si era reso così odioso che non fu né pianto né rimpianto da nessuno. Sotto il suo nome avevano regnato tutti i vizi.”.
Il suo corpo viene interrato senza pompa nella chiesa di Crysopoli. Sarà Leone VI (ritenuto figlio di Michele) che gli farà fare un degno funerale.
Basilio aveva fatto ricostruire molte chiese (si diceva per espiare il delitto commesso) danneggiate dal tempo o dai terremoti, e ne aveva fatto costruire una magnifica col nome di Nea-Nuova che poteva rivaleggiare con Santa Sofia, spogliando altre chiese di colonne e statue per ornarla. Egli vi si recava durante i lavori e un giorno avevano portato una statua che rappresentava un vescovo con un bastone pastorale attorno al quale era attorcigliato un serpente di bronzo con la bocca aperta. L’imperatore mette il dito nella bocca del serpente e viene morso da uno vero nascosto all’interno; la guarigione si presentò difficile e i medici lottarono molto per salvarlo.
Due anni prima della sua morte l’imperatore aveva fatto sposare a Basilio la sua concubina, Eudocia Ingerina (865) e Basilio si era dovuto separare dalla moglie, contadina di nome Maria, rimandandola in Tracia dopo averle assegnato una buona dote.
Poiché Michele continuava a frequentare Eudocia, aveva permesso a Basilio di frequentare la sorella Tecla...con scandalo della Corte per questo menage a quattro (ma Basilio si era 5nvece mostrato duro con la propria sorella Tecla che aveva rapporti con un proprio domestico di nome Neatocomete, facendola frustare e mandando l’amante in convento).
I primi due nati dopo l’unione di Basilio con Eudocia (al momento del matrimonio Eudocia era incinta), Costantino e Leone, nella opinione di cronisti e storici erano figli di Michele III (è ben strano che Michele prima del matrimonio di Basilio, non avesse avuto figli, tanto da averlo adottato): si potrebbe anche azzardare l’ipotesi che essendo un forte bevitore, pur essendo giovane. potesse essere affetto da impotentia generandi, per cui è da ritenere che effettivamente Costantino e Leone fossero suoi figli!
Costantino premoriva (879) e rimanevano Leone che diventerà imperatore, Stefano che sarà avviato alla vita ecclesiastica e Alessandro che governerà durante l’interregno durante la minore età del nipote Costantino e quattro femmine che furono votale alla vita claustrale.
Si raccontava che alla morte del figlio Costantino, Basilio, per il dolore si fosse rivolto a un monaco, Santabareno, dotato di facoltà soprannaturali, il quale promise al padre che gli avrebbe fatto rivedere il figlio che rimpiangeva. Qualche giorno dopo Basilio tornando da un bosco vide apparire un cavaliere vestito d’oro che gli andava incontro e credette di abbracciare suo figlio.
Il principe Leone che non aveva troppa credulità, trattò il monaco da impostore e stregone. Il monaco per vendicarsi (ma qualcuno dice che dietro di lui vi fosse Fozio) persuase Basilio che Leone aveva cospirato contro di lui (aveva suggerito a Basilio anche di accecarlo) e Leone fu imprigionato, ma i suoi amici lo discolparono e fecero rientrare Leone nelle grazie del padre.
Santabareno dopo essere stato crudelmente fustigato e accecato, fu rinchiuso in un convento; Leone (quando sarà imperatore, dopo molti anni, diede ordine che fosse trattato umanamente.
BASILIO METTE ORDINE
ALLE FNANZE
E ASSICURA I TERRITORI
IN ITALIA E IN DALMAZIA
B |
asilio pur senza cultura (non sapeva leggere e scrivere), aveva una visione d’insieme dell’impero e chiara l’idea di come organizzarlo. Pensò innanzitutto alle finanze che Michele III aveva lasciato esauste con qualche lingotto ottenuto dai gioielli di Palazzo e “nove sacchi di miliaresi per tredici centenari”.
Si fece consegnare i registri dal protosebasto-economo e sebbene il senato fosse del parere che dovessero essere restituite tutte le profusioni stravaganti e scandalose operate dall’imperatore, Basilio fece restituire la metà di ciò che il precedente imperatore aveva elargito, realizzando trecento centenari di solidi.
Quanto alla sicurezza dell’’impero, all’interno vi erano i ribelli (che oggi definiremmo fondamentalisti) “pauliciani” (i quali rifiutavano i sacramenti, la croce e le immagini ed erano confusi con gli iconoclasti).
Teodora (843) non era riuscita a domarli e costoro si erano asserragliati nella roccaforte di Tephrike da dove facevano incursioni in Asia minore.
Basilio incaricò l’altro fratello dell’imperatrice Teodora, Cristoforo, nominato “domestikos delle scholae” (generale comandante dei tagmata v. sotto Organizzazione dello Stato), di andare contro la loro roccaforte (873), ma Cristoforo non riuscì a domarli.
L’anno successivo fu lo stesso Basilio ad andare contro i pauliciani e per raggiungerli si spinse fino all’Eufrate, occupando Zapetra e Samosata, inseguendoli fino a Melitene dove però fu respinto dall’emiro.
All’estero l’esercito bizantino, comandato da Niceforo Focas, si assicurò i territori dell’Italia meridionale, sia nei confronti dei longobardi, in quanto il principato di Benevento si pose (873) sotto la protezione di Bisanzio (dopo la morte di Ludovico II l’875) sia nei confronti degli arabi dove a Bari si insediò il catapano e in parte della Sicilia.
Quivi Siracusa (878), come anche la Calabria, erano occupate dagli arabi, dopo un tentativo non riuscito dello stratego Stefano Massenzio, respinto a Santa Severina e Amantea, furono conquistate da Niceforo Focas che vi si recò (885) con una legione di pauliciani convertiti; nel nord fu occupata Venezia e quindi le città dalmate.
L’Oriente dominato dagli abbasidi, dopo gli splendori di Arun ar Rashid e al’ Mamun, era in dissoluzione e nelle province si erano creati regni locali come quello di Armenia con Ašot I; in Africa vi erano gli Aglabiti, in Egitto i Tulumidi, in Siria gli Hamudanidi: il potere era esercitato dagli ata-beg tutti divisi tra loro.
L’impero bizantino per ora, non aveva nulla da temere: Il commercio era florido e il danaro permetteva la costruzione di nuovi palazzi, nelle province i ricchi proprietari terrieri con i loro immensi latifondi (*), vivevano nel lusso delle loro ville e nelle raffinatezze dei loro palazzi nelle città.
*) Il sistema fiscale bizantino prevedeva una imposta fondiaria calcolata sull’unità di superficie sfruttabile (jugum) il cui ammontare era fisso e determinato dalla qualità del terreno; dalla popolazione delle campagne (e genti non cristiane) veniva riscossa una imposta di capitazione (kephaleion o kephalition); nei territori autonomi (autopratkoi), l’imposta si calcolava sul numero degli abitanti e non sul jugum; l’imposta era divisa per teste (kapnikon) di coltivatori e variava a seconda della quota di raccolto o di superficie coltivata.
L’ORGANIZZAZIONE
DELLO STATO BIZANTINO
A |
bbiamo già visto (Cap. V, par. Eraclio riforma lo Stato) la divisione del territorio in Temi (che subiscono anch’essi cambiamenti e verso la fine del sec. XI si assiste alla loro frantumazione), che nel periodo tra il IX e X sec è formato, nella parte asiatica, dai temi degli Opsiciani, Bucellari, Ottimati, di Paflagonia, Armenia, Caldia, Colonea, Carsianon, Anatolia, Tracia (asiatica), Cappadocia, Mesopotamia, Sebastea, Licando, Leontocomios, Seleucia e il tema marittimo dei Cibitreoti; verso il mare i temi di Samo, Aigaion, Pelagos; nella parte europea: i temi di Tracia, Macedonia, Srymon, Tessalonica, Ellade, Peloponneso, Cefalonia, Nicopoli, Durazzo, Dalmazia, Sicilia-Longobardia (del Sud) e Cherson.
L’apparato burocratico presentava una organizzazione (non stabilizzata in quanto subiva spesso cambiamenti) e nell’indicato periodo IX-X sec., presentava una distinzione tra titoli, che derivavano dalle cariche, eliminate nella sostanza ma dei quali ne erano rimasti di diciotto gradi dei quali i primi tre, riservati normalmente alla famiglia imperiale, vale a dire il caesar, nobilissimus e kuroplates; seguite dalla zoste patrika, la più alta dignità femminile; seguivano i titoli di magistoi, anthypatoi, patrikoi, protospatharioi, dishypatoi, spatharokandidatoi, spatharioi, hypatoi e alcuni altri (v. in Schede: cit. Cerimoniale e cariche ecc.).
La Corte era popolata da eunuchi patrizi che occupavano una posizione superiore a tutti gli altri patrizi e antipati. Essi potevano occupare qualsiasi carica ecclesiastica (patriarchi), civile o militare (v. cit. Cerimoniale e cariche ecc.), era esclusa solo quella imperiale.
La carica più importante era quella del parakoimomenos che dormiva vicino alla camera dell’imperatore (come abbiamo visto con Michele III la carica era ricoperta da Basilio), seguita dal protovestiarios, che si occupava del guardaroba imperiale.
Funzioni importanti ricoprivano il rector. titolo apparso nella corte macedone per gli insegnati, il maestro delle cerimonie (ò epì tes catastaséos) protostator, e il capo-stalliere (comes tou stàblou).
Tra gli alti funzionari l’eparca (prefectus Urbi) presiedeva alla amministrazione della capitale.
L’apparato militare era costituito dalle truppe divise in “tagmata” che costituivano il nerbo dell’esercito imperiale, residenti nella capitale e nei suoi dintorni di Tracia e Bitinia, e “temata”.
I “tagmata” erano divisi in “scholae”, excubito res arithmoi e Icanati, ognuna con a capo un domestikos; quello delle scholae era il comandante generale, ogni corpo era formato da quattromila uomini, a cui, in caso di necessità si aggiungevano i mercenari stranieri (russi, scandinavi,normanni, inglesi).
I temata erano divisi in tre gruppi denominati bandiere drongas e turmae, e un servizio d’avanguardia espletato dai cursores e trapeziti. Le bandiere erano formate da 2/300 uomini con a capo lo stratego. I drongas erano formati da 1000 uomini con a capo i comites, le turmae da 3000 uomini. Un corpo del temata comprendeva 16 divisioni di mille uomini e dodici squadroni di seicento: un corpo poteva avere 16mila uomini.
Come abbiamo visto con gli stratioti, in ogni tema vi erano territori militari dati alle famiglie che avevano l’obbligo del servizio militare ereditario, i cui appartenenti si dovevano presentare a prestare il loro servizio con la chiamata: questo sistema di origine romana, adottato da Carlomagno (v. Disfacimento dell’impero carolingio e Gli ultimi Carolingi) è all’origine del sistema feudale.
RICCHEZZA DEI BIZANTINI
E LOTTA DI BASILIO
E SUCCESSORI
CONTRO LE USURPAZIONI
DEI RICCHI
I |
l latifondo nell’impero era distribuito tra chiese, monasteri, ospedali che godevano di lasciti e donazioni e ricchi latifondisti (dunatoi-eminenti-potenti).
Le fertili terre con campi irrigati, fornivano una ricca produzione agricola nelle pianure della Tracia (che davano grano per il rifornimento di Costantinopoli), nelle pianure della Cilicia, della Cappadocia dove si coltivavano vigneti e vi erano grandi allevamenti come nella proprietà di san Filareto il Misericordioso (con una media di 600 vitelli da carne, 100 pariglie di buoi per coltivare i campi, 800 cavalli al pascolo, altrettanti cavalli da sella e muli da traino e dodicimila pecore).
Servi e coloni erano legalmente liberi ma economicamente oppressi e vivevano come schiavi. I latifondi erano delle piccole corti con guardie, clienti, schiavi e nelle ville e nei palazzi che i potenti avevano nelle città, si conduceva una vita lussuosa e raffinata che non aveva nulla da invidiare a quella che si svolgeva presso la Corte imperiale.
Una idea della ricchezza di questa aristocrazia terriera ci è data dalla donazione fatta a Basilio della vedova Danielis, che lo aveva beneficato (nei primi tempi in cui Basilio era giunto a Costantinopoli), con un appezzamento di terreno e trenta schiavi, col quale Basilio manteneva i suoi familiari.
Quando Basilio era divenuto imperatore, Danielis si era recata a visitarlo facendo un viaggio da Mille e una notte!
Partita da Patrasso aveva compiuto il viaggio fino a Costantinopoli (di cinquecento chilometri), in una soffice lettiga, portata da dieci schiavi che si alternavano (tra i trecento che la seguivano) lungo il tragitto.
La ricca vedova e madre adottiva, portò in dono al figlioccio, trecento giovinetti di cui cento eunuchi (“perché ben si sapeva”, commenta lo storico, “che l’aria della corte è più confacente a questa specie di insetti che la cascina di un pastore alle mosche d’estate”) e cento giovinette, seicento pezze di tessuti artistici e di varia qualità e per vari usi. Le stoffe di seta tinte con la porpora di Tiro erano ricamate ad ago e tanta era la finezza delle tele che una pezza intera poteva stare nella cavità di una canna Danielis aveva tra l’altro una industria di tessitura), oltre a un servizio da pranzo in oro e argento. Vi era tra i doni un tappeto di bellissima lana rappresentante una coda di pavone e tanto grande da coprire il pavimento della chiesa eretta in onore di Cristo, dell’arcangelo Michele e del profeta Elia!
La storia non finisce qui! Danielis morirà dopo Basilio, sotto il regno del figlio Leone VI; a questo, Danielis lascerà tutte le sue ricchezze: ottanta ville e fattorie, denaro, gioielli e argenteria, mobili preziosi e ricche merci, migliaia di schiavi e grandi quantità di bestiame.
E questa non era che soltanto una discreta parte della ricchezza rispetto a quella delle grandi famiglie feudali da dove provenivano i condottieri militari i cui esponenti occupavano le più alte cariche dello stato e della corte, e per di più godevano di alti proventi.
E ciò, nonostante costoro fossero ricchi, erano avidi e rapaci di terre delle quali si appropriavano a danno dei proprietari più poveri (che avevano una casa, un servo e una serva, dei campi, una coppia di buoi, un cavallo un asino una vacca con vitello e qualche centinaio di cassette di api), e di danaro, che estorcevano nell’esercizio delle loro funzioni, oltre a ciò che ottenevano in dono dalla benevolenza dell’imperatore!
Basilio I cerca di mettere ordine a questo stato di cose conducendo una lotta alle usurpazioni dei ricchi, che proseguirà per tutto il Xmo sec. con i suoi successori (Romano Lecapéno, Costantino VII, Niceforo Focas e Basilio II).
Furono infatti, pubblicate le “Novelle imperiali”, che miravano alla ricostituzione della piccola proprietà, impedendo ai potenti di estorcere la terra ai poveri, annullando i contratti di vendita conclusi illegalmente e costringendo i compratori alla restituzione e ciò anche senza restituzione del prezzo che spesso non veniva neanche corrisposto. Oppure abolendo la prescrizione quarantennale, che proteggeva gli acquisti fraudolenti (di coloro cioè che acquistavano i terreni con l’inganno e la mala fede, o a prezzo vile, che spesso neanche veniva corrisposto).
Il risvolto della ricchezza era la povertà di una folla di poveri della quale si prendevano cura i numerosi e ricchissimi monasteri che si occupavano anche delle vedove e degli orfani (e avevano le cure degli ospizi, orfanotrofi dove gli orfani venivano istruiti e educati fino al ventesimo anno), e ciò non solo in base alle raccomandazioni di Giovanni Crisostomo, ma perché avevano la funzione di assistenza pubblica (*).
*) Le elemosine venivano distribuite quotidianamente o a giorni alterni davanti alla porta del monastero dove ciascuno riceveva un gettone di metallo o una tessera che andava a scambiare con ciò che gli fosse utile al momento: pane, cibo, vestiti o moneta corrente (anche l’imperatore, i pubblici funzionari e i grandi proprietari erano moralmente obbligati a questo genere di distribuzioni).
LA RIORGANIZZAZIONE DELLA
LEGISLAZIONE
B |
asilio proseguì la politica culturale iniziata da Teoctistos e Bardas e progettò la riforma della Legislazione.
Quando Basilio aveva preso il potere, nell’impero era in vigore la legislazione giustinianea (v. Cap. III) e si utilizzava l’Ecloga di Leone III (v. Cap. precedente). Basilio raccolse una commissione di giuristi usciti dall’università di Bardas (v. Cap. precedente) perché raccogliesse e riorganizzasse le leggi che andranno sotto il nome di “Anacatarsis ton palaion nòmon” (Purificazione delle antiche leggi).
Nel frattempo pubblicò con il suo none e quello del figlio Leone co-imperatore un codice, “Procheyiron nòmoi”, (Introduzione alle leggi) manuale pratico per i giudici, contenente le principali norme di diritto civile e canonico, con l’elencazione delle pene da applicare ai vari reati redatto sulla base delle Istituzioni di Giustiniano e della bistrattata Ecloga di Leone III, alla quale non si dava riconoscimento ufficiale in quanto considerata “non una summa, ma un pervertimento del diritto”; ugualmente utilizzata nella pratica, essa rimarrà in vigore fino alla fine dell’impero.
Il Procheyron sarà tradotto in slavo, come lo era stato l’Ecloga, e sarà utilizzato da slavi, russi e bulgari.
Sotto Basilio I è anche redatta l’Epanàgoghe (879) che costituisce la introduzione ai Basilici che saranno pubblicati da Leone VI (*), in cui si nota l’influenza di Fozio che fa una chiara distinzione tra potere civile e potere ecclesiastico con le rispettive sfere di competenza.
I Basilici attingono al Digesto e al Codice (più che alle Istituzioni) e alle Novelle di Giustiniano, di Giustino II (565-578), di Tiberio (698-705), e ancora al Procheiron. I Basilici vogliono essere una raccolta generale di diritto canonico, di diritto pubblico, di diritto privato.
Essi ebbero larghissima diffusione e sostituirono in pieno il Corpus giustinianeo (v. in Specchio dell’Epoca, L’abbaglio dei ricercatori ecc) non solo perché scritti non più in latino ma in greco, ma perché più aggiornati contenevano una trattazione più sistematica nel senso che non occorreva fare ripetute ricerche per una sola questione.
L’opera di aggiornamento proseguì con Costantino VIII che aggiornò i Basilici, che così com’erano furono detti Priori o "antichi" quelli risalenti a Costantino VII, Posteriori (a Costantino VIII) o "recenti", relativi ai secoli XI-XIII.
Purtroppo una parte dell'opera era andata perduta, ma era stata ricostruita in un indice del XII secolo, estraendola dal Libro del Prefetto di Leone VI (v. sotto), nel cosiddetto “Tipocito” [Tipokitta] compilato da un giudice di nome Patze. Questo peraltro non era pervenuto integralmente e nel XIV sec. se ne era composta una tavola sintetica sotto il nome di “Tipucito” (tì poù xeitai).
*) L’opera giuridica di Basilio, Leone e Costantino VII avrebbe dovuto oscurare la fama di Giustiniano, senza peraltro riuscirvi, sebbene queste leggi fossero osservate a Bisanzio, non solo fino alla caduta dell’impero, ma successivamente erano state riprese dai turchi, mentre in Occidente a seguito della scoperta o riscoperta in Italia dell’opera di Giustiniano, i glossatori si erano buttati a capofitto ritenendolo puro diritto romano, mentre invece era solo una sua rielaborazione, costituendo diritto bizantino (e v. in Art. “Corpus Juris ecc.), comunque superato dall’opera basiliana.
Molti furono i giuristi greci che si dedicarono al commento dei Basilici, ma anche latini, indicati da Cuiacio nel suo Index (pag.541) che non si sa bene in quale epoca fossero vissuti e molti dei quali omonimi di commentatori del Digesto.
Giannone fa riferimento a Fozio che definisce coacervatore di leggi discordanti o antinonìe autore del Nomocanone diviso il 14 titoli e pubblicato nell’880.
L’Ecloga dei Basilici, detta Sinopsi, il cui autore sarebbe stato Romano il giovane, figlio del Porfirogenito, fu ritrovata in Taranto che faceva parte dell’impero bizantino ai tempi di Romano.
E’ in ogni caso lo studio dell’opera giustinianea che continua a tener banco nelle Università e non quella basiliana, pur essendovi stati in Italia commentatori come Genziano, Erveo e Annibale Fabrotto, mentre in Grecia ve ne furono numerosissimi i quali tolsero al Corpus di Giustiniano tutto ciò che era inutile e tutto ciò che era andato in desuetudine e aggiunto tutto ciò che era stato disposto dai successivi imperatori, pur mantenendo la disposizione delle materie così come era piaciuto a Triboniano (in maniera non razionale come invece avverrà per i Basilici).
FOZIO CREA LA GENEALOGIA
DI BASILIO E PONE LE PREMESSE
DELLO SCISMA TRA LE DUE CHIESE
B |
asilio, nel suo programma di riordino generale dell’impero aveva pensato anche a ristabilire la disciplina nella Chiesa bizantina divisa tra i seguaci di Ignazio e i seguaci di Fozio il quale, come abbiamo visto (precedente Cap.VI, par. Fozio e l’inizio della crisi fra le due Chiese), era stato estromesso e scomunicato dal papa (869), e l’attuale patriarca era Ignazio che il nuovo imperatore aveva lasciato a occupare la carica, mentre aveva richiamato Fozio a corte (875) solo per affidargli l’educazione dei figli.
Fozio era personaggio discusso e discutibile: oltre ad avere grandi pregi come intellettuale e oratore seducente, aveva altrettanti grandi difetti primo fra tutti una smodata ambizione (erano in molti a pensare che avrebbe voluto fare lui il papa!).
Di Fozio si dirà che “in fondo all’anima aveva la violenza di Lutero, la fredda crudeltà di Calvino e il nero furore di Enrico VIII”; l’abate francese Jager (1845) lo aveva qualificato “impudente, mentitore falsificatore di persone e di scritture e subornatore di testimoni”.
Oltretutto era gran tessitore di intrighi e per rientrare nelle grazie dell’imperatore e tornare a occupare il posto di patriarca (si era reso inviso all’imperatore che si era recato in chiesa per comunicarsi e Fozio lo aveva chiamato pubblicamente ladro, omicida indegno della comunione.
Basilio ottenuta da Roma una sentenza contro di lui, lo aveva scacciato sostituendolo con il patriarca Ignazio, così Basilio che pur facendo da precettore ai figli dell’imperatore non aveva la possibilità né di incontrarlo né di parlargli e per poterlo riavvicinare aveva architettato una ricercata e fantasiosa ricostruzione della sua genealogia.
Su vecchi fogli di pergamena che aveva affumicato in modo da farli sembrare antichi, aveva scritto, in antichi caratteri (alessandrini), una sorta di genealogia che appariva poter essere come quella dell’imperatore regnante.
Essa era preceduta da una lunga introduzione in cui erano indicati i nomi degli antenati di “un principe” discendente dal famoso Tiridate, primo re della Grande Armenia (della stirpe degli Arsacidi), che fu convertito al cristianesimo verso la fine del terzo secolo dal vescovo Gregorio (missionario e poi santo dell’Armenia).
Passando alla linea femminile, la ascendenza dell’imperatore (che non era nominato) era collegata con i re di Macedonia!
Poi, sotto forma di rebus, parlando del padre dell’imperatore, il libro raccontava che egli “aveva un figlio che sarebbe divenuto re e si sarebbe seduto sul trono e sarebbe stato così glorioso che avrebbe eclissato tutti quelli che lo avevano preceduto”.
Questo figlio era individuato nei tratti che rappresentavano fedelmente l’imperatore indicato con il nome di Beclas, nome ingegnosamente composto dalle iniziali del nome di Basilio, della moglie Eudocia e dei quattro figli Costantino, Leone, Alessandro e Stefano.
Questo fantasioso racconto faceva riferimento a circostanze che riguardavano l’imperatore, atte a solleticare la sua vanità.
Fozio aveva quindi rilegato i fogli con una preziosa copertina lavorata in argento presa da un vecchio manoscritto, potendo contare sulla collaborazione di Teofane, bibliotecario di Basilio, perché ne venisse a conoscenza.
Un giorno in cui l’imperatore si era recato in biblioteca, Teofane gli presentò il libro dicendogli che era il libro più prezioso della biblioteca ma era indecifrabile e l’unico a poterlo decifrare era Fozio!
L’imperatore gli fece dare l’incarico e dopo averne decifrato il contenuto Fozio per poter avere un colloquio, disse che il contenuto del libro avrebbe potuto riferirlo solo a lui “essendo la sua persona direttamente interessata”... e fu finalmente ricevuto dall’imperatore.
Fozio che era maestro nella “retorica” l’arte della convinzione rese Basilio tanto felice che, dimenticando le gravi offese, dopo poco tempo, essendo morto Ignazio (877, lo reintegrò nella carica di patriarca.
A sua volta Fozio grato al bibliotecario Teofane, lo nominò vescovo di Cesarea in Cappadocia.
E’ da dire però che Ignazio era morto improvvisamente, quando nessuno se lo aspettava in quanto la sua salute non faceva pensare a una morte improvvisa, che venne attribuita a Fozio (e in questi stessi termini fu comunicata al papa).
Fozio tre giorni dopo la nomina si presentava nella Chiesa grande, accompagnato da soldati, proprio nel momento in cui era in corso una funzione. I vescovi che stavano officiando interrompendo la funzione si dettero alla fuga temendo la vendetta nei confronti di chi aveva appoggiato Ignazio (che Fozio sostituì con i propri sostenitori).
La nomina di Fozio era stata approvata dal papa Giovanni VIII (872-882) il quale pur concedendogli l’assoluzione dalle censure precedenti (869), gli poneva delle condizioni, tra le altre quella di desistere dalla supremazia (con il rito ortodosso) sulla Bulgaria (*).
Fozio si comportò da par suo... non solo eluse tutte le condizioni poste dal papa, ma prenderà una iniziativa che tra le due Chiese avrà delle conseguenze a futura memoria! Esse infatti emergeranno dopo circa due secoli (**).
Egli infatti riunì a Costantinopoli (novembre 879) un Concilio (che la Chiesa greca conta come l’ottavo ecumenico, sostituendo quello dell’869 in cui Fozio era stato condannato, i cui atti furono annullati), con ben ottantatre vescovi, nel quale fu rinnovata la professione di fede di Nicea “con anatema nei confronti di chiunque avesse osato aggiungere o sottrarre qualcosa”: il papa lo scomunicherà (881) ma Fozio avrà il sostegno dell’imperatore.
Era evidente che con questo divieto si faceva riferimento al “filioque” (v. cit. par. Cap. VI, nota) che determinerà lo scisma definitivo (1054) tra le due Chiese dopo circa due secoli (v. in Schede di Religione: La chiesa ortodossa) e per tutti i secoli a venire.
N.B. Chi scrive, non crede che la riunione delle Chiese possa mai avvenire, non solo perché tutti i tentativi di unione – nei secoli – (estesi anche alla comunità ebraica), sono sempre falliti, ma perché una unione appare assolutamente inconcepibile in quanto la Chiesa cattolica ha sempre avuto un pontefice e mai accetterebbe che divenisse acefala come la Chiesa ortodossa, nelle diverse comunità, greca, russa, armena, non accetterebbe un pontefice.
*) Come abbiamo visto nell’articolo su Cirillo e Metodio (in Specchio dell’Epoca) con l'evangelizzazione della Bulgaria voluta dallo zar Boris (richiesta a Basilio I) e la costituzione della Chiesa bulgara, questa aveva abbracciato il rito greco per un errore di valutazione da parte del papa, il quale si era rifiutato di nominare arcivescovo di Bulgaria il vescovo di Porto, Formoso. La nomina dell'arcivescovo fu quindi fatta dalla Chiesa di Costantinopoli che imponeva il rito greco e disponeva la divisione in sette diocesi. Successivamente quando la Bulgaria si unificò con la Romania, i rumeni, che seguivano il rito latino (XI sec.) adottarono come lingua liturgica quella slava come terza lingua (v. in cit. art.) seguendo così il rito slavo.
**) E’ evidente che il destino della Chiesa di Bisanzio sarebbe stato quello di andare verso il distacco e l’indipendenza della Chiesa da Roma, come d’altronde era avvenuto con l’impero. Tutte le polemiche avvenute tra le due Chiese stavano tracciando un solco che portava verso lo scisma (1054), che avrà una maturazione molto lenta e si verificherà qualche secolo dopo.
La separazione, non rimarrà solo nell’ambito delle diverse posizioni dottrinarie, ma riguarderà anche la liturgia e il culto che assumeranno aspetti completamente diversi (v. cit. La chiesa ortodossa).
La Chiesa greca, infatti, nella liturgia, sostituirà il latino con il greco; la croce latina con un braccio più lungo, sarà sostituita dalla croce greca, con bracci uguali. Alle due diverse croci si adatterà l’architettura delle chiese. I greci pregheranno in piedi, i latini in ginocchio; il battesimo per i greci sarà fatto per immersione, per i latini, con l’aspersione. Anche i paramenti e gli oggetti sacri assumeranno forme diverse. Essi saranno più ricchi per i greci e nelle mani degli artigiani bizantini, lavorati con oro, argento, avorio e pietre preziose, diventeranno opere d’arte.
Anche riguardo al matrimonio e all’aspetto esteriore si assumeranno posizioni completamente diverse, perché i greci ammetteranno il matrimonio e si lasceranno crescere la barba, i sacerdoti latini si raderanno il viso e con l’obbligo del celibato, sarà loro negato il matrimonio, con tutte le complesse situazioni che le frustrazioni porteranno come conseguenze che si verranno a determinare nelle gerarchie ecclesiastiche cristiane come si sono verificate nel passato e si stanno verificando ai nostri giorni.
La diversità tra celibato e matrimonio era già operante all’epoca di Fozio, che in proposito, condannando l’usanza latina, aveva commentato che “da quest’usanza (il celibato), vediamo in occidente tanti figli che non conoscono il padre”.
LEONE VI E LE DIFFICOLTA’
PER SPOSARE
LA TERZA E LA QUARTA MOGLIE
B |
asilio un giorno tornava da una battuta di caccia e vide un cervo con una maestosa impalcatura e si mise a inseguirlo. Il cervo all'improvviso si rivoltò contro dandogli un colpo con le corna che rimasero impigliate alla cintura; il capocaccia lo liberò con un colpo di spada. Basilio non si riprenderà e morirà preso dalla febbre; durante il delirio aveva dato l’ultimo ordine, di uccidere il capocaccia che aveva osato alzare la spada contro di lui (886).
Gli succede il figlio Leone VI (886-912) il Saggio o il Filosofo, proprio il meno amato dal padre, che oltretutto quando aveva segregato per il falso complotto inventato dal monaco Santabareno (quando sarà imperatore Leone lo farà esiliare ad Atene e gli farà strappare gli occhi, ma in seguito revocherà l’esilio) e voleva escludere dalla successione; solo dopo la morte di Costantino (879) Leone divenne erede al trono.
Dopo la morte del padre dovette dividere l’impero col fratello minore Alessandro che comunque non aveva grande disposizione per il regno e pur essendo “associato”, aveva lasciato al fratello le cure del governo.
Leone non aveva neanche grandi simpatie per Fozio (v. sopra), sebbene fosse stato suo maestro, lo depose assegnando il patriarcato al fratello Stefano il quale avendo sedici anni fu nominato sincello (designato patriarca v. cit. art. in Schede S., Cerimoniale e Cariche ecc.)
Leone non aveva il fisico prestante del padre e non godeva neanche di buona salute e al contrario del padre era un sedentario e alle armi preferiva i libri e (in un bell’accoppiamento) amava le belle donne che stranamente gli morivano dopo averle sposate!..e questo gli creerà dei problemi con la Chiesa che proibiva i molteplici matrimoni condannati anche dagli scrittori ortodossi come “viziosi e scandalosi”!
La Chiesa infatti consentiva al vedovo di sposarsi una sola volta e considerava un secondo o un terzo matrimonio come vera e propria “fornicazione e pubblica relazione peccaminosa”; un quarto matrimonio era considerato non solo vero scandalo ma anche delittuoso, che peraltro non si era mai verificato nella chiesa d’Oriente!
Lo stesso Leone all’inizio del suo regno aveva condannato con una “Novella” i terzi matrimoni, senza però (per sua fortuna!) prevedere delle pene: egli stesso poi era venuto a trovarsi proprio in questa situazione, essendo rimasto vedovo per ben tre volte senza avere figli.
Aveva preso per volere del padre, come prima moglie Teofano, nobile e santa per aver sopportato, con l’aiuto della preghiera e delle opere caritatevoli che avevano portato sollievo alla miseria dei poveri, la infedeltà dell’imperatore.
In onore di Teofano, quando Leone sarà scomunicato, costruirà una chiesa e in suo nome, nei pressi del tempio dei SS. Apostoli, fece tumulare il suo corpo e fece costruire un’altra chiesa in onore di san Lazzaro, facendo portare il suo corpo dall’isola di Cipro, con quello della Maddalena (!).
Leone durante il matrimonio con Teofano, si era innamorato di Zoe, figlia di Zauze Stiliano, usciere (zaoutra) elevato alla carica di principe del dromo. Zoe da quanto ci vien detto dai cronisti era una donna impudica e famosa per la bellezza e per i suoi vizi, sposata al patrizio Teodoro Guzumiate, ciecamente sottomessa alla volontà del padre il quale servendosi della figlia gestiva il governo dell’impero.
Zoe seguiva Leone nelle campagne militari e una notte mentre dormivano, Zoe avvertiva un tramestio e guardando dalla finestra vede un movimento di soldati e avverte subito Leone il quale si mise in salvo salendo su un vascello e rientrando a palazzo, dove giunse all’alba del giorno successivo.
Si trattava di un tentativo di colpo di Stato organizzato proprio da Stiliano scoperto da Paudo, figlio di Nicola Eteriarca, promosso Drungario alla Veglia, in sostituzione del precedente Drungario, Giovanni; nentre Stliano sarà prima accecato e poi tonsurato e relegato in un convento.
Un altro complotto minacciava l’imperatore, svelato dal suo valletto di camera il saraceno eunuco Samona, ordito da Basilio Pecte, cugino di Stiliano (899) il quale fu arrestato con i congiurati e Samona gratificato della nomina di gran ciambellano e favorito.
Ancora un altro attentato colpì l’imperatore durante la festa di Pentecoste, mentre Leone si recava in gran pompa nella chiesa di san Mocio, un uomo sceso dal pulpito lo colpì con un grosso bastone, colpo attutito dalla presenza di un cavaliere, il colpo cadde sul collo ferendolo alla testa e l’imperatore riuscì a salvarsi.
Il fratello Alessandro quel giorno non si era recato in chiesa per cui fu sospettato di essere il mandante ma l’attentatore sotto tortura non rivelò complici e dopo che gli erano state tagliate le mani e i piedi, il suo corpo fu buttato nel fuoco all’estremità dell’ippodromo; la festa di quel giorno fu abolita.
Appena morta Teofano (897) Leone sposava Zoe onorandola col nome di Augusta. La felicità, scrive Zonaras, non doveva durare molto perché dopo un anno e otto mesi Zoe moriva. Nel momento in cui il suo corpo veniva messa nel sarcofago, una mano sconosciuta aveva scritto “Quì giace una sventurata figlia di Babilonia”.
Leone sposava Eudossia Bacona (900) proveniente dal Tema di Opsikion (Optimatoi), di rara bellezza, che però moriva con il bambino che portava in grembo.
L’imperatore era desideroso di avere un erede e studioso di astrologia, dalla osservazione degli astri aveva avuto la certezza che gli sarebbe nato un figlio maschio; con la disponibilità di un prete di palazzo, Tommaso, sposava un’altra Zoe Carbonopsina, incinta di Costantino, senza però riconoscerle il titolo imperiale.
Un quarto matrimonio era ritenuto scandaloso anche dal popolo e il patriarca Nicola (il Mistico), scomunicò l’imperatore impedendogli l’ingresso in chiesa.
Zoe nel frattempo partoriva (906) con tutti i crismi (vale a dire nella sala purpurea), un figlio maschio, Costantino, che il patriarca non volle battezzare: per farlo suggeriva una soluzione... soddisfacente...per la Chiesa! Mandar via la donna. “Egli avrebbe acconsentito a battezzare Costantino, solo se l’imperatore si fosse separato da Zoe”.
Ma Leone decise per proprio conto: dichiarò Zoe Augusta. Il patriarca reagì vietandogli di entrare in s. Sofia, anche nelle grandi festività di Natale ed Epifania.
Leone si rivolse al papa (riconoscendo a questo modo la superiorità della Chiesa romana) e il papa Sergio III (904-911) gli concesse la dispensa. e Leone ne approfittò per esiliare il patriarca Nicola sostituendolo con il monaco Eutimio (Sincello, v. Cerimoniale cit.), “uomo di rara pietà e di meravigliosa astinenza” il quale battezzò Costantino (911), giustificandosi col dire che lo aveva fatto “per ispirazione di Dio, per evitare una perniciosa eresia che stava per essere introdotta dall’imperatore che con una legge avrebbe permesso il terzo e quarto matrimonio”.
L’OPERA SCIENTIFICA
DI LEONE VI
D |
edito agli studi, si occupava di materie che andavano dalle scienze, alla matematica, alla filosofia, alla teologia scrivendo opere di vario genere (omelie, preghiere liturgiche, poesie, trattati), ed era anche inventore di marchingegni idraulici costruiti presso la Corte bizantina, leoni che ruggiscono, uccelli che cantano, dal che il soprannome di Sophos-Filosofo.
Il suo nome è in ogni caso legato alla sua attività legislativa con la pubblicazione dei Basilici (Basilikà).
Leone VI aveva riunito una commissione con a capo il protospataro Simbazio, che aveva riordinato tutto il “corpus” delle leggi, già avviate da Basilio con la pubblicazione del Procheiron e dell’Epanagoge, concluso con la raccolta e sistemazione parallela in 60 libri di tutta la legislazione del diritto greco-romano (rectius: bizantino-romano) da Giustiniano I a Basilio, sostituendo quindi il Corpus Juris, il Digesto e le Novelle giustinianee (v. Articolo: L’abbaglio dei ricercatori ecc.) Erano state inoltre aggiunte 113 Novelle di Leone VI costituite da legislazione consuetudinaria, priva però di valore giuridico, che contenevano disposizioni più particolari.
Di minore importanza “Consigli strategici” o “Tactica” opera di strategia militare per la quale Leone si servì degli antichi “Stratagemmi” di Polieno. Infine, Il libro del Prefetto dà notizie utili sulle organizzazioni corporative di tutte le arti e i mestieri di Costantinopoli.
Il testo pervenutoci contiene ventidue capitoli (probabilmente il numero era maggiore), il primo dei quali e il più lungo è dedicato alla corporazione dei notai (v. in Cerimomiale e cariche alla Corte di Bisanzio nel par. Una nota di attualità sul bizantinismo in Italia).
L’imperatore aveva anche la passione della Astrologia e aveva scritto un libro di Oracoli in versi.
L’INTERREGNO DEL
FRATELLO ALESSANDRO
L |
a vita di Leone VI stava volgendo al termine all’età di quarantasei anni, dopo aver regnato venticinque anni colpito da una colica: il cronista “cristiano vendicatore”, scriveva, ritenendo di sminuire la sua figura “Indebolito dall’eccesso dei vizi fu colpito da una dissenteria triste frutto delle sue intemperanze; i suoi vizi come le sue qualità non avevano niente di grande; i suoi successi erano dovuti ai suoi generali e le sue colpe alle donne. L’ultimo avvenimento del suo regno fu la disfatta della sua flotta da parte degli arabi (909). Il tempo ci ha conservato un suo scritto sulla “tattica” poco utile al progresso della scienza militare che non ha altro merito di quello di far conoscere con qualche dettaglio gli usi e costumi del secolo”!
In punto di morte aveva raccomandato il figlio Costantino di sette anni alla imperatrice, al Senato e al fratello Alessandro che fino a quel momento era rimasto estraneo agli affari pubblici e si era dedicato “ai piaceri della caccia, della tavola, del vino e alla vita dissoluta, paragonabile a quella di un maiale”.
Alessandro anche dopo la morte del fratello continuò a dedicarsi ai suoi piaceri circondato da astrologi e compagni che lo assecondavano nei vizi e nella corruzione.
Aveva affidato le principali funzioni dell’impero a eunuchi complici nelle dissolutezze e a preti libertini. Aveva esiliato l’imperatrice Zoe e richiamato il patriarca Nicola sostituendo il patriarca Eutimio e l’ammiraglio Himerio per risentimenti personali più che per la pesante sconfitta inferta dalla flotta saracena (comandata dai rinnegati Damiano e Leone) che aveva interamente distrutto la flotta imperiale (911) nei pressi di Samo.
Si diceva che avesse l’intenzione di scacciare il nipote dal trono facendolo evirare ma gli amici di Leone lo dissuasero dicendogli che era malaticcio e sarebbe morto in poco tempo.
La morte invece colpì lui dopo appena quattordici mesi di regno; aveva giocato durante il giorno a pallacorda, gioco che praticava con passione, tornando dai bagni dopo aver cenato, “aveva il ventre pieno di vino e di vivande e fu colpito da emorragia”, secondo il racconto del cronista, “dal naso e parti vergognose”; dopo aver nominato governatori dell’impero e costituito un consiglio di tutela con a capo il patriarca Nicola e altri personaggi suoi compagni di piaceri (uno Stefano, Giovanni Heladas, il Rettore e due personaggi che aveva fatto salire alla dignità del Senato e al rango di patrizi, Basilize e Gabrielopolo), spira il giorno seguente (913).
FINE
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