Carlo il Calvo e personaggi di corte

 Miniatura della Bibbia di Carlo il Calvo - Biblioteca Nazionale - Parigi

 

I CAROLINGI

E LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

SOMMARIO: CARLOMAGNO DIVIDE L’IMPERO TRA I FIGLI; SUCCESSIONE DI LUDOVICO IL PIO; LUDOVICO SPOSA LA GIOVANE GIUDITTA; L’AVVENENTE GIUDITTA PARTORISCE CARLO: MA CHI ERA IL PADRE? LO SCALTRO MONACO GONDEBALDO SALVA IL TRONO DI LUDOVICO;  ANCORA TRAME: LUDOVICO DETRONIZZATO; LUDOVICO MUORE DOPO AVER RIPRESO IL TRONO;  RIPRENDONO LE LOTTE FRATRICIDE TRA I FIGLI; LOTARIO I ASSOCIA ALL’IMPERO SUO FIGLIO LUDOVICO II RE D’ITALIA;  LUDOVICO II IMPERATORE - RIPUDIO DI TEUTBERGA E AMORI ILLECITI; 

MORTE DI LOTARIO II - LO ZIO CARLO OCCUPA LA LOTARINGIA; CARLO IL CALVO IMPERATORE; DESTITUZIONE DI CARLO IL GROSSO ED ELEZIONE DI ARNOLFO SEGNANO LA FINE DELL’IMPERO CAROLINGIO.

 

 

CARLOMAGNO DIVIDE

L’IMPERO TRA I FIGLI

 

C

arlomagno, dopo aver unificato l’impero nei suoi oltre quarant’anni di regno (768-814) e di  guerre che avevano comportato stragi e bagni di sangue (v. Articoli, Carlomagno e l’idea dell’Europa), sebbene avesse cercato di mantenere l’unità ideale dell’impero rifacendosi all’impero romano, seguendo la legge franca, aveva commesso il grave errore di dividere l’impero tra i figli, destinandolo così allo smembramento e dissoluzione.

D’altronde, come scrive il Sismondi, “se due o tre uomini come Carlomagno, avessero occupato il trono dei franchi, l’Europa si sarebbe più presto incivilita, ma sarebbe rimasta stazionaria come la Cina, senza energia, senza forza, senza genio e senza virtù”

Inutile era stata  l’idea dell’ unità del figlio Ludovico (il Pio), che rimaneva solo  ideale, dal momento che l’impero era in concreto diviso tra i figli disposti a sbranarsi e combattersi (come fecero) per aumentare ciascuno il proprio territorio:  e sarebbe stato veramente difficile trovare dei figli tra i quali vi fosse tanta armonia, da rispettare la volontà del fratello maggiore al quale l’impero era stato assegnato.

I figli di Ludovico il Pio, per legare a sé i grandi signori,  avevano prodigato privilegi, immunità, benefici e possessi fondiari con tanta larghezza che alla fine, da una parte il sovrano si era trovato a mani vuote, e dall’altra i signori avevano cumulato potere e proprietà terriera, diventando indipendenti.

Come scrive altro storico “lo spirito romano aveva prodotto l’unità imperiale, lo spirito germanico, la  frantumazione e lo sparpagliamento feudale. Del resto, quale rispetto dei vassalli e generale  potevano suscitare sovrani che dopo quello di Magno dato al primo, portavano i nomi di Bonario, Calvo, Balbo, Grosso,  Semplice, principi senza capigliatura, obesi, balbuzienti (e deboli di corpo e di mente come Ludovico il Balbo ndr.) o  dallo spirito ottuso?”.

Sin dall’anno 806 nella dieta convocata a Thionville, Carlomagno propose ai nobili dell’impero la divisione tra i suoi tre figli: al primogenito Lotario, Carlo assegnava la Francia, Turingia, Sassonia, Frisia e quasi tutta la Germania. Al secondogenito Pipino assegnava l’Italia con l’Istria e la Dalmazia, la Baviera e la parte rimanente della Germania, la Pannonia e la Schiavonia; al terzogenito Ludovico, la Settimania, la Guascogna, la Provenza, il lionese, la Savoia e la Val di Susa. I  nobili accettarono e l’atto fu mandato al papa per la sottoscrizione.

Essendo Pipino premorto al padre (nell’809, fu sepolto a Verona nella chiesa di s. Zenone), gli succedeva  il figlio Bernardo (nato da una concubina), da Carlo destinato al regno d’Italia che gli assegnava come consigliere e ministro, Wala (Valla), fratello di Adalardo, abate di Corbie, che era già stato ministro del regno d’Italia.

Carlomagno, sistemato il regno d’Italia, aveva organizzato un’altra dieta, ad Aquisgrana, (813) per l’assegnazione del titolo imperiale, riunendo  tutti i nobili di Francia, vescovi e abati, ai quali chiese se acconsentivano alla trasmissione del titolo imperiale al figlio Ludovico. Dopo il consenso, vi fu la cerimonia dell’incoronazione nella nuova cappella costruita di recente.

Carlo, durante la cerimonia, giuntovi con il manto reale e la corona, aveva fatto mettere un’altra corona sull’altare e dopo aver rivolto al figlio parole che gli suggerivano l’amore e la difesa della Chiesa, di essere misericordioso con i parenti, di onorare come il padre i sacerdoti e amare i popoli come figli, dopo gli ammonimenti, alla domanda sull’osservanza dei suoi precetti, avuta risposta affermativa, gli suggerì di prendere la corona e porla sulla propria testa, insegnandogli così che il potere sovrano gli veniva direttamente da Dio e non dal papa.

 

SUCCESSIONE DI

LUDOVICO IL PIO

 

L

udovico (poi detto il Pio, ma non lo era quando c’era da tagliar teste!), morto Carlomagno (814), come primo suo gesto, si recò ad Aquisgrana e distribuì il tesoro accumulato dal padre, di oro, argento e pietre preziose, fra le sorelle, la Chiesa, i sacerdoti, le vedove, gli orfani e i poveri.

Rivolgendo il suo pensiero alla corte del padre, nota per la vita dissoluta che vi si conduceva (v. cit. Carlomagno e l’idea dell’Europa), dopo aver beneficato le sorelle Gisela, Berta, Teodrada e Rotaide, le fece relegare in vari conventi. Fece anche mandar via tutte le donne non strettamente legate alla corte e tutti i mercanti ebrei e cristiani che vi si erano installati. 

Ludovico era dell’idea (espressa nella dieta di Aquisgrana nell’817) di mantenere l’unità dell’impero, ritenendo che “non fosse lecito per amore dei figli spezzare l’unità del regno ricevuto da Dio mediante una spartizione fatta dagli uomini” e nel placitum tenuto ad Aquisgrana (814), quando si era presentato il nipote Bernardo re d’Italia per rendergli omaggio, gli aveva confermato il titolo di re, ma si era riservato la potestà imperiale, per cui gli atti legislativi che riguardavano l’Italia, erano emanati in nome dall’imperatore.

 Anche nei confronti della Chiesa Ludovico aveva voluto far valere i diritti imperiali.

A  Roma regnava il papa Leone III che avendo scoperto una cospirazione nei suoi confronti, aveva mandato a morte i capi senza consultare l’imperatore. Ludovico ritenendo lesi i diritti imperiali, inviò subito il re d’Italia Bernardo e il conte Geroldo della marca orientale per indagare sul caso e il papa inviò dubito due suoi legati dando spiegazioni sull’accaduto e presentando le sue scuse (815).

Alla morte di Leone III (795-816) i romani elessero Stefano V (816-817) il quale fece giurare ai romani di essere fedeli all’imperatore e nello stesso tempo gli inviò legati per annunciare la sua elezione e chiedendo all’imperatore di incontrarlo.

Ludovico invitò il papa a recarsi in Francia e il papa accompagnato da Bernardo si recò a Reims dove Ludovico lo accolse con le vesti imperiali e lo aiutò a scendere tenendogli la staffa. Qualche giorno dopo il papa incoronò l’imperatore e l’imperatrice Ermengarda e quindi ripartì per Roma accompagnato da messi imperiali.    

 Nel disporre la successione con l’ “ordinatio imperii” Ludovico convocò una dieta ad Aquisgrana (817) dove propose di associare all’impero il figlio primogenito Lotario il quale fu acclamato imperatore. Assegnò quindi la parte occidentale dell’impero a Pipino; la parte orientale, a Ludovico, il rimanente era assegnato a Lotario.

L’atto di assegnazione regolava minutamente i rapporti che dovevano intercorrere tra i fratelli, e costoro in pratica erano incaricati solo dell’amministrazione dei territori assegnati e venivano quindi a trovarsi  in una posizione subordinata rispetto a Lotario: ma di ciò se ne dispiacquero gli altri due.

A questa dieta non era stato invitato Bernardo (figlio naturale di Pipino, fratello maggiore di Ludovico), il quale venuto a conoscenza della dieta, temeva per le sorti del regno mentre i suoi consiglieri gli avevano fatto intravedere la possibilità che il regno d’Italia, alla morte di Ludovico, sarebbe certamente passato a Lotario.

Inoltre Bernardo riteneva che, essendo il padre Pipino il fratello maggiore, il titolo imperiale dovesse spettare a lui, sicché fece subito chiudere i valichi alpini. Ludovico reagì immediatamente facendo a sua volta occupare i valichi  costringendo Bernardo alla resa e a chiedere  grazia.

Bernardo fu subito invitato da Ludovico a recarsi in Francia; egli richiese un salvacondotto e ottenutolo, vi si recò, ma appena superate le Alpi, fu arrestato con i suoi sostenitori che lo avevano seguito. Finiti tutti in carcere e processati, i laici furono condannati a morte, i vescovi alla degradazione e all’esilio. Per Bernardo e per il conte Reginaro, la pena di morte fu sostituita dall’accecamento, ma questo fu eseguito in maniera tanto crudele che i due morirono dopo tre giorni di spasmi (818).

La morte di Bernardo, del tutto sproporzionata, essendo poco più che ragazzo (di diciannove anni), era stata attribuita alla imperatrice Ermengarda, che si diceva l’avesse voluta perché desiderava che il regno d’Italia fosse assegnato a uno dei suoi figli e non avendolo potuto ottenere, aveva fatto in modo che l’accecamento procurasse al nipote la morte.

Ludovico, colse l’occasione per rivolgersi anche contro i suoi fratelli bastardi Ugo, Drogone e Teodorico che costrinse a prendere la tonsura e chiudersi in un convento.

Poco dopo Ermengarda moriva (818) e Ludovico che secondo la mentalità dell’epoca aveva considerato questa morte come una punizione divina, manifestò l’intenzione  di ritirarsi in un convento.

 

LUDOVICO SPOSA

LA GIOVANE GIUDITTA

 

I

 cortigiani contrari a questa decisione, gli presentarono un nugolo di belle fanciulle (820) e il monarca dal carattere debole e volubile, non seppe resistere alla bellezza femminile e scelse la più seducente, Giuditta, figlia del conte Welf (Guelfo, capostipite dei Guelfi di Germania) e per parte di madre appartenente a una delle grandi famiglie sassoni; educata nelle lettere, nella musica, nel ballo e in tutte le arti più colte. . “Questa imperatrice” scrive uno storico, “dotata di molta bellezza e di nessuna virtù, fu causa di molti mali al marito, ai figliastri e all’impero”.

Dopo questo matrimonio Ludovico assegnò il regno d’Italia, al quale erano collegate una parte della Schiavonia e della Pannonia, al figlio primogenito Lotario, e convocò una dieta a Nimega (821) che approvò la divisione degli stati dell’impero. A Lotario associato all’impero, fu assegnato il regno Italia, a Pipino fu assegnata l’Aquitania, la Guascogna, la Settimania e la marca di Tolosa (egli l’anno seguente, dopo aver sposato Engeltrude, figlia del conte Teodoberto, andò a prendere possesso dell’Aquitania);  a Ludovico detto il Germanico, fu assegnata la Baviera, la Carinzia, la Boemia e l’altra parte della Schiavonia e della Pannonia.

Dopo la dieta di Nimega fu convocata un’altra dieta a Thionville (821) nella quale Lotario sposò Ermengarda figlia del conte Ugo di Tours, (discendente da Eticone duca di Alemagna) e un’altra fu tenuta ad Attigny (822) in cui l’imperatore si riconciliò con i tre fratellastri Drogone, Teodorico e Ugo che aveva forzati a prendere l’abito monastico e alla presenza dei principali signori del regno e dei più importanti ecclesiastici (l’abate Eisachar, Adalardo e l’arcivescovo Agobardo) si umiliò pubblicamente dichiarando di voler fare penitenza per la crudeltà dimostrata nei confronti di Bernardo, Adalardo e Wala, dichiarando di fare pubblica penitenza ed elargendo elemosine.

La divisione fatta da Ludovico non valse a sopire i vecchi rancori dei figli nei suoi confronti, dissimulati ma pronti ad esplodere in qualsiasi occasione: erano i sintomi che preconizzavano la futura dissoluzione. E non erano gli unici. Altri sintomi erano gli attacchi all’impero che giungevano a nord dai normanni, a sud dai saraceni che attaccavano i litorali dell’Italia meridionale e nello stesso tempo avevano invaso la Catalogna e Pipino che era accorso con l’esercito non era riuscito a scacciarli; a est vi erano i minacciosi ungheri, mentre in Pannonia  i bulgari si  ribellavano ai duchi franchi.

 

L’AVVENENTE GIUDITTA

PARTORISCE CARLO

MA CHI ERA IL PADRE?

 

L

’avvenente Giuditta, che nel frattempo  aveva partorito il figlio Carlo, cominciava a reclamare per il figlio l’assegnazione di un regno. Ludovico ne aveva parlato con Lotario (padrino di Carlo), che inizialmente non si era mostrato  d’accordo, ma poi si convinse e  promise al padre che lo avrebbe sostenuto e difeso.

A Carlo (che in seguito sarà chiamato il Calvo) fu assegnata la Svevia che comprendeva tutta la Svizzera tedesca e come governatore fu nominato il duca Bernardo di Settimania, al quale era stata assegnata la difesa della Gothia, soggetta agli attacchi musulmani.

Bernardo era figlio di Guglielmo di Gellone (santificato col nome di san Guglielmo di Tolosa), nipote di Carlo Martello, era stato difensore di Barcellona al tempo dell’invasione dei saraceni ed era l’uomo più potente dell’impero.

Bernardo aveva la carica di ciambellano ed aveva l’amministrazione del palazzo e dei beni reali ed era quindi la persona più vicina all’imperatore. Si diceva che fosse l’amante di Giuditta, e si riteneva che Carlo fosse suo figlio. Comunque su di lei Bernardo aveva grande influenza in quanto Giuditta era debole di carattere e facilmente influenzabile e a corte si diceva che fosse lui a governare; per questo era detestato dai fratelli del nuovo nato.

Bernardo era marito di una delle celebri donne del medioevo, Dhuoda, che diventerà famosa per il libro educativo scritto per il figlio Guglielmo (v. in Specchio dell’Epoca: “L’educazione del nobile feudale”di prossima pubblicazione), che il marito aveva lasciato nel feudo di Provenza.

Dalle voci dei cortigiani contro Bernardo dovute a invidia e risentimenti, alla congiura, il passo era breve.

Ludovico dovendo sedare una ribellione in Bretagna (830) aveva dato disposizione che l’esercito a Pasqua si riunisse a Rennes. Ma la primavera era inclemente con le strade fangose e molti dei soldati franchi si erano mostrati maldisposti a marciare in quel periodo. I congiurati approfittando del malcontento incitarono i soldati a disobbedire. Le truppe quindi abbandonarono la marcia e si recarono a Parigi unendosi ai ribelli. Inoltre Wala aveva riferito falsamente a Pipino che il duca Bernardo approfittando di questa spedizione contro i bretoni, stava progettando di impossessarsi dell’Aquitania. 

I congiurati invitarono quindi Lotario che si trovava in Italia e Pipino che era in Aquitania, a rientrare essendo giunto il momento di liberare l’impero dall’inetto Ludovico, dall’impudica Giuditta e dall’adultero Bernardo e mentre Lotario era rimasto in Italia in attesa degli eventi, Pipino e Ludovico erano giunti a Verberie nei pressi di Senlis.

Ludovico si stava recando a Rennes con Giuditta e Bernardo, quando gli comunicano della rivolta, ma le forze rimaste fedeli non erano sufficienti per affrontarli. I congiurati però dichiararono di non avere nulla contro l’imperatore, ma erano contro Giuditta alleata di Bernardo, e chiedevano che essa fosse esiliata e i complici puniti. 

Ludovico che aveva lasciato la moglie ad Aquisgrana, dopo aver mandato Bernardo a Barcellona, mandò Giuditta in un convento e convocò una dieta a Compiègne.

Qui giunse Pipino con un seguito numeroso e d’accordo con i fratelli Lotario e Ludovico che approvarono, dichiarò il padre deposto; Giuditta fu trasferita in un altro convento e costretta a prendere i voti; i suoi fratelli Corrado e Rodolfo furono costretti a farsi monaci, mentre Eriberto, fratello di Bernardo fu accecato.

Lotario e Pipino avrebbero voluto bandire il padre dall’impero ma il fratello Ludovico si oppose e circondò l’imperatore di monaci per convincerlo a chiudersi in convento.

L’impero era in subbuglio in quanto molti vescovi, abati e signori si erano dichiarati contro Ludovico, e, perfino Wala, considerato uno degli uomini più saggi del suo tempo, era uscito dal convento per far sentire la sua voce contro Ludovico.

 

LO SCALTRO MONACO

GONDEBALDO

SALVA IL TRONO DI LUDOVICO

 

I

n tutto questo fermento venne fuori un monaco scaltro, di nome Gondebaldo al quale venne l’idea di riportare Ludovico sul trono. Ne parlò con l’imperatore che era così fiaccato da non essere in condizioni di reagire e tantomeno di voler riprendere il trono, ma Gondebaldo, risvegliando l’affetto che Ludovico  aveva per Giuditta, riuscì a ridargli fiducia e speranza.

L’astuto Gondebaldo, parlando con Pipino e Ludovico li convinse che sarebbe stato preferibile l’autorità del padre a quella di Lotario, sotto la quale sarebbero caduti, e fece loro intravedere un aumento dei loro regni. Così dopo averli convinti, Gondebaldo si rivolse ai vescovi, abati e baroni persuadendoli della bontà del vecchio imperatore rispetto alla superbia del nuovo, facendo intravedere anche la riconoscenza del vecchio imperatore che li avrebbe beneficati.

Preparato così il terreno, Gondebaldo convinse Lotario a convocare una dieta a Nimega per far riconoscere a tutti la sua autorità e ciò in presenza del padre.

L’assemblea ebbe molta partecipazione, con molti signori sassoni e germani che appoggiavano Ludovico e anche di popolo, e quando comparve il vecchio imperatore  tutti si commossero mentre il popolo tumultuava.

A questo punto Lotario si accorse di essere stato tradito. Quelli che gli erano fedeli, la notte seguente gli suggerirono di prendere una decisione: usare la spada o fuggire. Lotario non fece né l’una cosa né l’altra. Il giorno successivo Ludovico mandò a chiamare Lotario che giunto dal padre, rimase con lui così lungamente da far preoccupare i cortigiani e pensare a un tragico epilogo, ma mentre costoro stavano preparandosi con le armi, i due apparvero d’amore e d’accordo.

Non si sa ciò che i due avessero potuto dirsi, sta di fatto che Lotario aveva riconosciuto l’autorità paterna. Ma giunse anche la punizione per i capi della congiura e in una dieta tenuta ad Aquisgrana furono pronunciate condanne a morte. Wala fu costretto a restituire l’abbazia di Corbie e imprigionato, Ilduino abate di Saint Denis perse l’abbazia, i nobili Matfrid e Elisachar furono mandati in esilio. Le condanne a morte furono commutate, i laici dovettero prendere l’abito monastico, gli ecclesiastici rinchiusi in conventi periferici. I due fratelli di Giuditta Corrado e Rodolfo lasciarono i monasteri dove erano stati relegati e ripresero le loro cariche.

Quanto a Giuditta, le veniva consentito di togliere l’abito monastico e tornare a corte, ma doveva giustificare le colpe che le erano state attribuite. A tal fine essa presentò un campione che doveva provare la sua innocenza con l’ordalìa, il giudizio che Dio dava attraverso il combattimento. Il giorno fissato per il duello però, nessuno si presentò per combattere e ciò consentiva all’accusata di discolparsi col giuramento: Giuditta giurò e riprese il suo posto sul trono accanto all’imperatore. 

Ludovico fece delle concessioni (alle quali non fu data immediata esecuzione): Pipino,  ebbe i distretti tra la Loira e la Senna e a nord di questo fiume la città di Meaux; Ludovico si vide aumentare la quota della Sassonia e della Turingia e gran parte dei pagi che corrispondevano a quelli che attualmente costituiscono il Belgio e i Paesi Bassi; Carlo oltre all’Alemagna ebbe la Borgogna, la Provenza e la Gothia con una parte della Francia e l’importante provincia di Reims. Nulla fu assegnato a Lotario che ritornò in Italia dopo aver giurato che non avrebbe preso iniziative senza il consenso del padre.

Fu disposta un’altra dieta a Thionville (831) nella quale si presentò anche Bernardo di Settimania che sebbene si fosse liberato delle accuse che gli erano state mosse, non era stato reintegrato nelle cariche. Anch’egli chiese l’ordalìa per dimostrare la sua innocenza. Anche questa volta nessuno si presentò per contrastarlo e Bernardo, ammesso al giuramento, giurò e fu proclamato innocente, ma la sua autorità a corte fu sostituita da quella nascente del monaco Gondebaldo.

 

ANCORA TRAME:

LUDOVICO DETRONIZZATO

 

 

A

lla dieta di Thionville non era presente Pipino che il padre mandò a chiamare e giunto, fu accolto freddamente e rimproverato per l’assenza. Pipino risentito, se ne partì per l’Aquitania, senza accomiatarsi. Ludovico  decise allora di prendere misure contro di lui. Ludovico indisse quindi una dieta a Orleans (832) alla quale furono invitati Lotario e Ludovico il Germanico. Quest’ultimo però temendo di fare la fine di Pipino raccolse l’esercito e andò ad occupare l’Alemagna, appannaggio del fratello Carlo. Ma appena il padre lo venne a sapere, tralasciando il suo piano contro Pipino, raccolse l’ esercito a Magonza, mentre Ludovico il Germanico accampato a Lorsch si rendeva conto di non avere forze sufficienti da opporre al padre che con l’esercito raggiunse Augusta. Qui il figlio si recò dal padre e Ludovico promise al padre con giuramento che non si sarebbe più ribellato e di tornarsene in Baviera.

Ludovico si diresse verso l’Aquitania e raggiunto da Lotario, attraversata la Loira saccheggiò tutto il territorio che stava attraversando, fino a Limoges dove  si fermava nella residenza reale di Jonac (La Marche). Qui lo raggiunse Pipino che fece atto di sottomissione, ma il padre lo fece arrestare e portare prigioniero a Treviri. Pipino però riuscì a fuggire probabilmente aiutato da Bernardo di Settimania che avendo perso la sua posizione a corte, ora tramava contro l’imperatore a favore dei figli.

L’imperatore, scoprendo le sue intenzioni annesse l’Aquitania ai domini di Carlo al quale i signori presenti a Jonac prestarono giuramento di fedeltà

Ludovico poi convocò a corte Bernardo di Settimania ritenendolo colpevole di lesa maestà. Bernardo si presentò e invocò ancora una volta l’ordalìa come aveva fatto in precedenza per l’accusa di adulterio con Giuditta.

Anche questa volta nessuno si presentò per combattere con lui e Bernardo fu ammesso al giuramento, avendo così modo di discolparsi. Comunque, su consiglio dei suoi nemici, l’imperatore lo mandò via dalla corte togliendogli tutti gli onori e assegnandoli a Berengario conte di Tolosa.

Le trame dei fratelli continuavano: Lotario col fratello Ludovico approfittando del  fatto che il padre era adirato contro Pipino e gelosi dell’aumento dei territori assegnati a Carlo, pensarono di togliere il regno a Pipino per dividerselo tra di loro, assegnando anche una parte a Carlo. Di ciò rendevano consapevole lo stesso imperatore che però non aderì a  questo progetto; ma egli non seppe resistere alle moine di Giuditta che chiedeva un ulteriore quota da assegnare al giovane Carlo.

E Ludovico decise di togliere l’Aquitania a Pipino e darla a Carlo scontentando così gli altri tre fratelli che si unirono in rivolta con l’Italia, la Baviera e l’Aquitania, per marciare contro il padre.

L’imperatore radunò subito un esercito col quale si recò in Alsazia accampandosi  nei pressi di Colmar, nella pianura di Rothfeld, dove trovò i tre figli, con Lotario che aveva portato con sé il papa Gregorio IV che intendeva assicurare la pace all’impero ponendosi come arbitro e assicurare così al papato la funzione di potenza mediatrice.

L’imperatore chiamò il papa nel suo accampamento e lo rimproverò per aver lasciato Roma senza il suo permesso, rimasero poi a colloquio e non si sa quello che si dissero, ma alla fine il papa fu onorato con grandi doni.

I figli dell’imperatore nell’attesa delle decisioni, cercavano di attirare dalla loro parte i suoi soldati col risultato che l’esercito dell’uno si assottigliava per le diserzioni, mentre quello degli altri continuava ad accrescersi, tanto che Ludovico si rese conto di non essere più in grado di usare la forza. Egli chiese di recarsi presso la tenda di Lotario dove trovò gli altri due fratelli che lo trattennero come prigioniero. Il campo dove ebbero luogo questi avvenimenti è passato alla storia col nome di Lügenfeld (Campo della menzogna).

Il papa se ne tornò a Roma disgustato e scandalizzato per quello a cui aveva assistito; Pipino e il fratello se ne tornarono nei loro regni, il primo in Aquitania, il secondo in Baviera. Lotario dichiarò detronizzato il padre e lui imperatore, accompagnandolo nel monastero di san Medardo a Soisson per convincerlo a farsi monaco.

Giuditta fu confinata in Italia, a Tortona e il giovane Carlo fu mandato nel monastero di Prünn (833), ma era stata fatta correre voce che Giuditta era morta in Italia. e Carlo si era tonsurato.

Lotario volle essere generoso con i suoi seguaci ai quali assegnò cariche e onori e ai  fratelli assegnando, a Pipino il ducato del Maine e a Ludovico il Germanico la Turingia e l’Alsazia. Nello stesso tempo convocò una dieta a Compiègne dove chiamando vescovi e baroni che lo sostenevano, e principalmente il peggior avversario dell’imperatore, l’arcivescovo di Reims Ebbon, il quale tolto dall’imperatore dalla servitù in cui era nato, fatto abate e poi innalzato alla dignità di arcivescovo, ora mostrava tutta la sua ingratitudine. Costui si era venduto a Lotario in cambio della ricca abbazia di San Wart d’Aras e riuscì a convincere tutti i vescovi “impaurendo i vili e seducendo i deboli” a costituirsi in concilio che votò la deposizione dell’imperatore.

Seguì la vergognosa cerimonia con cui l’imperatore veniva umiliato pubblicamente ed ebbe luogo nella chiesta di Nôtre Dame, con Lotario in processione seguito da trenta vescovi e da numeroso stuolo di abati, preti e signori.

Introdotto Ludovico (prelevato dalla prigione di san Medardo), l’arcivescovo Ebbon gli chiese di deporre lo scudo, la spada, il manto e fattolo prostrare su un tappeto di crine ai piedi dell’altare, gli fu messo nelle mani uno scritto  da leggere col quale l’imperatore si accusava: di aver permesso la morte di Bernardo; di aver fatto tonsurare per forza i suoi fratelli; di aver cambiato la prima divisione dei suoi stati in modo da costringere i popoli a due giuramenti opposti; di aver fatto guerra durante la quaresima; di aver perseguitato chi lo avvertiva per il suo bene; di aver ordinato ingiuste spedizioni militari che erano state causa di omicidi, sacrilegi, rapine incendi, stupri, oppressione di poveri; di aver turbato la pace dell’impero e armati i popoli contro i propri figli.

Queste colpe in effetti erano quasi tutte veritiere in quanto la superficialità di Ludovico aveva effettivamente creato grandi mali all’impero, e questa indegna cerimonia avrebbe dovuto suscitare la generale riprovazione, ma tutti, specie gli ecclesiastici, dichiararono l’imperatore scomunicato e preda del demonio, indicandogli come unica via di salvezza una lunga penitenza. Piangendo Ludovico ricevette il cilicio: unico commosso era il popolo che assisteva impotente.

Questo avvenimento, che aveva coperto di obbrobrio Ludovico, aveva suscitato il generale risentimento nei confronti di Lotario che ne era considerato il responsabile. Di ciò ne approfittarono i fratelli Ludovico e Pipino che ora che il fratello era divenuto l’unico padrone dell’impero, covavano un maggior risentimento nei suoi confronti, e soffiando sul fuoco cercarono di accrescere la pubblica indignazione nei suoi confronti rivolgendola in proprio favore.

Per questo pregarono pubblicamente Lotario di usare umanità nei confronti del padre, di non tenerlo chiuso con tanto rigore e di non privarlo delle cure familiari. Lotario rispose con disprezzo e i due fratelli colsero l’occasione di unirsi  in una lega e marciare contro di lui.

Anche gli amici del vecchio Ludovico andarono a ingrossare l’esercito dei due fratelli contro Lotario. Questo aveva con sé il padre prigioniero ed era a Parigi, e non sentendosi sicuro, vi lascia il padre e si dirige in Provenza. Qui preso da furore commette molte crudeltà e fra le altre atrocità commesse, presa la sorella del duca Bernardo da un monastero, la fa chiudere in una botte e gettare in un fiume.

I due fratelli si recano a Parigi e preso il padre dal convento lo portano in trionfo. Ma il vecchio Ludovico rifiuta le insegne imperiali se prima i vescovi non lo dichiarano assolto e gli stessi vescovi che lo avevano scomunicato, ora gli rimettono nelle mani lo scettro imperiale.

 

 

LUDOVICO MUORE DOPO

AVER RIPRESO IL TRONO

 

 

Q

uando in Italia giunse la notizia della liberazione dell’imperatore, i suoi fedeli si recarono al monastero di Tortona a liberare Giuditta per riportarla da Ludovico. Questo però prima di riceverla pretese il giuramento sulla sua innocenza relativamente alle accuse nei suoi confronti: lei giurò e indossò il manto imperiale. Ora che Ludovico era tornato potente, tutti coloro che lo avevano osteggiato, signori, vescovi e cortigiani, si prostrarono ai suoi piedi.

I principali sostenitori di Lotario, Lamberto e Mantfried avevano radunato un esercito e insieme a Lotario mossero contro l’imperatore, dirigendosi a Orleans. Ludovico chiamò Pipino e Ludovico il Germanico e andò ad accamparsi di fronte all’esercito del figlio, ma prima di ricorrere alla forza, gli mandò il vescovo di Prünn per chiedere al figlio di sottomettersi. Lotario prima rispose minaccioso, ma poi avendogli il padre mandato un’altra e più autorevole ambasceria, venne a miti  consigli.

Si recò quindi nel campo del padre e trovatolo nel padiglione imperiale si prostrò ai suoi piedi e con lui il suocero Ugo e tutti gli altri che lo avevano seguito, chiedendo perdono. Ludovico dopo averlo abbracciato lo rimandò in Italia che rimaneva a lui assegnata come unico territorio, con l’obbligo di proteggere la Santa Sede, e di non attraversare più le Alpi senza il consenso paterno. Ai due principali suoi sostenitori, Lamberto e Matfried fu concesso di recarsi con lui in Italia, perdendo i possedimenti che avevano in Gallia.

L’anno seguente (835) Ludovico convocò una dieta per processare i vescovi che gli si erano ribellati, ma furono pochi a presentarsi perché la maggior parte si era recata in Italia per mettersi sotto la protezione di Lotario.

Contro di loro furono decretate le condanne. Ludovico nel corso di una cerimonia a Metz fattosi nuovamente incoronare decretò  le pene ai vescovi che lo avevano umiliato. Ebbon fu costretto a leggere pubblicamente il riconoscimento del proprio tradimento e la rinuncia alle cariche che ricopriva e fu esiliato a Fulda. Agobardo di Lione, Bernardo di Vienne e Bartolomeo di Narbona, non presenti, condannati in contumacia furono deposti dalle loro cariche. L’imperatore attese quindi al riordino dell’impero sconvolto da tante vicende. Nei suoi atti ebbe cura di non mettere più il nome di Lotario accanto al suo e Lotario in Italia fece altrettanto.

Ma la pace raggiunta era solo fittizia: le trame continuavano. Giuditta, preoccupata della tarda età del marito e della sua salute vacillante, cercò di riavvicinare Lotario che vedeva come futuro protettore del figlio Carlo, suo figlioccio, al quale mandò ambasciatori  per rinnovare i rapporti di pace con l’imperatore.

Un’altra decisione dell’imperatore doveva suscitare altre discordie. Carlo compiva i quindici anni (settembre dell’838) che per i franchi ripuari costituivano la maggiore età  e il padre a Quierzy lo cinse con la spada di cavaliere, incoronandolo re e donandogli. tutta la Neustria che corrispondeva a metà della Francia; ciò dispiacque agli altri tre fratelli e i rapporti erano divenuti tanto tesi che essendo corsa voce di un viaggio del padre in Italia, Lotario fece rafforzare le chiuse delle Alpi per impedirlo.

L’ imperatrice Giuditta, preoccupata per il procedere delle cose, fece proporre
a Lotario nuove condizioni di pace, offrendogli la metà degli Stati assegnati a  Carlo purché giurasse di difenderlo. Lotario accoglie l’allettante proposta e si reca a Worms dove si trovava l’imperatore e anche questa volta è firmata una ennesima solenne riconciliazione. Poi Ludovico divide in due gli Stati assegnati a Carlo e lascia la scelta a Lotario.

Dopo questa assegnazione il dominio di Lotario comprendeva l’Italia, la Provenza di qua dal Rodano fino al contado di Lione, e lungo la Mosa fino al mare, valle d’Aosta, il Vallese, l’Elvezia, l’Alsazia, la Rezia, la Svevia, l’Olanda e la Frisia.

Naturalmente  Ludovico il Germanico che aveva ora solo la Baviera con pochi pagi circostanti (il pagus era la circoscrizione o distretto rurale con a capo un conte assistito da vicario), si sdegna per l’accrescimento del territorio assegnato a Lotario, mentre a lui non era stata fatta alcuna assegnazione. Così raccoglie un esercito e occupa il territorio franco. Nel frattempo muore Pipino (838) e il maggiore dei suoi figli Pipino II era proclamato re d’Aquitania. Anche costui prende le armi contro Ludovico che voleva assegnare quel regno a Carlo.

A queste notizie l’imperatore sebbene vecchio, si prepara a sostenere la guerra.  Marcia prima contro il figlio Ludovico e passato il Reno gli si para davanti. Ma appena i sassoni, franchi, turingi e alemanni che seguivano il figlio Ludovico vedono le insegne imperiali, lo abbandonano e vanno a schierarsi con l’esercito del padre che  usando clemenza lo chiama a sé e lo perdona ancora una volta.

Ora rimane il problema degli aquitani, i quali vogliono come loro re Pipino II che parlava la loro lingua (romanza), seguiva i loro costumi e che essi conoscevano mentre non conoscevano Carlo che non avevano mai visto. 

L’imperatore entra con l’esercito in Aquitania, ma l’inverno particolarmente rigido e la resistenza del popolo lo costringono a ritirarsi. Poco dopo gli giunge notizia di un’altra ribellione del figlio Ludovico che aveva invaso la Sassonia e la Turingia.

Anche questa volta il vecchio Ludovico prende le armi e costringe il figlio a ritirarsi in Baviera. Ordina quindi una dieta a Worms per porre fine alle continue ribellioni del figlio. Ma  prima che giungesse il  giorno fissato per la dieta la sua salute peggiora da far temere per la sua vita.

Allora, prevedendo vicina la sua fine, si fece trasportare in un’amena  isoletta del Reno, che si trovava davanti al palazzo di Inghelheim e si mise a letto e vi rimase  per quaranta giorni cibandosi solo con la comunione (questa circostanza sarà considerata un miracolo).

Ludovico fece fare un elenco di tutte le sue suppellettili preziose, e ne lasciò parte ai figli,  parte alle chiese e parte ai poveri. Mandò a Lotario la corona, la spada e le altre insegne imperiali esortandolo a rimanere fedele all’imperatrice Giuditta e difendere il fratello Carlo.

Il fratello  Drogone, vescovo di Metz che lo assisteva, lo prega di perdonare il figlio Ludovico: l’imperatore gli rispose che lo perdonava purché riconoscesse i suoi torti,
tra i quali quello di aver condotto il padre a morire di dolore. Ludovico spirò il 20 giugno dell’840 all’età di sessantaquattro anni; aveva regnato ventisei anni e fu sepolto a Metz nella chiesa di san Arnolfo.

Ludovico fu detto il Pio da scrittori latini e italiani, invece dai francesi era detto Débonnaire (come bonario-facilone vale a dire con scarsa vivacità di mente; alcuni storici tendono a rivalutarne l’intelligenza, ma è veramente arduo cambiare i giudizi della storia).

E’ stato descritto di media statura, con grandi occhi azzurri, naso lungo e diritto, petto largo e braccia forti; nessuno pareggiava con lui nel vibrare la lancia e scoccare frecce. Era erudito aveva conoscenza della lingua greca e la latina la parlava correntemente. Sobrio nel cibo, semplice nelle vesti, a teatro non sorrideva mai, in chiesa pregava lungamente e piangeva tenendo la fronte abbassata. Il suo carattere era stato un misto di bontà e faciloneria, doppiezza, crudeltà e clemenza, ma la sua principale caratteristica fu la sua debolezza di carattere e la sua incostanza.

La sua politica incerta e le sue  debolezze, i suoi errori e le imprudenze (di cui se ne avvantaggiava l’aristocrazia terriera che andava così affermando la propria autonomia), furono tra le cause dello smembramento dell’impero al quale contribuirono la famelica avidità dei figli che egli non ebbe la capacità di tenere a freno e con i quali dovette continuamente combattere e gli riempirono  di amarezza tutta la vita.

Il suo regno oltre ad essere stato sconvolto dalle continue ribellioni dei figli, egli stesso aveva lamentato (829) che,il popolo oppresso dalla fame, dalle epidemie del bestiame, da malattie e sterilità  che hanno colpito tutti i frutti, tormentato e oppresso da malattie e miseria senza fine; ogni abbondanza è finita”. Sventure che ingenuamente - com’era nella mentalità del tempo - con estrema rassegnazione, attribuiva alla “collera divina che infuria senza posa sul regno da numerosi anni, perché Dio è stato offeso e provocato all’ira dalle nostre cattive azioni”.   

   

 RIPRENDONO LE LOTTE

FRATRICIDE DEI I FIGLI

 

L

otario I, appena venuto a conoscenza della morte del padre, manda messaggeri in tutto l’impero per annunciare che l’imperatore era lui e che avrebbe punito con la morte i ribelli, mentre avrebbe premiato quelli che gli sarebbero stati fedeli.

La sua sfrenata ambizione gli faceva desiderare di ricostituire sotto il suo dominio l’impero del suo avo Carlo Magno, togliendo i regni ai fratelli e nipoti, non appena se ne fosse presentata l’occasione. L’occasione gliela offre il fratello Ludovico il Germanico che occupa i territori che Lotario possiede in Germania.

Lotario per non combattere due nemici, si rivolge al fratello Carlo il Calvo per assicurarsi la sua neutralità, prodigando nei suoi confronti  lusinghe, manifestazioni di affetto e promesse di protezione. 

Marcia quindi contro Ludovico, che trova nei pressi di Francoforte, ma i due non si scontrano in battaglia e si accordano per una tregua in quanto Lotario ora intende rivolgersi contro il fratello Carlo che aveva appena finito di lusingare.

Entrato nei territori di Carlo, passa la Mosa e va a occupare, Parigi, senza che gli venga opposta resistenza.

Carlo era a combattere col nipote Pipino II per prendergli l’Aquitania, ma visto che il suo regno era stato nel frattempo occupato da Lotario, corre con il suo esercito per difenderlo e si accampa a Orleans. Qui trovandosi con forze inferiori a quelle del fratello, si accorda cedendogli la parte orientale della Francia, l’Alemagna, la Sassonia, la Turingia e buona parte della Borgogna, tenendo per sé la Settimania, la Provenza, dieci contadi fra la Senna e la Loira ed anche l’Aquitania che non aveva ancora preso al nipote. Dopo queste cessioni, i due fratelli stabiliscono di incontrarsi in una dieta per l’anno seguente, per firmarne gli accordi.

Questi accordi tra i discendenti di Carlo Magno anche se confermate da giuramenti, erano solo parole al vento, d’altronde la cessione di tutti quei territori, a meno che Carlo non volesse chiudersi in un monastero, non sembrava in sé stessa poter essere realizzata. Infatti, non passa  neanche l’anno fissato per la dieta che Carlo porta il suo esercito oltre la Senna.

Lotario lascia da parte Ludovico per combattere Carlo che a sua volta già si era collegato con Ludovico, e nello stesso tempo prende accordi con il nipote Pipino e per dargli tempo di raggiungerlo, intavola accordi con i due fratelli. Poi, appena Pipino lo raggiunge, interrompe le trattative con i due fratelli e viene con essi a battaglia presso Fontenay (841).

Lotario combatte accanitamente ma è vinto ed è costretto a fuggire: i morti secondo le fonti francesi, in quella battaglia fratricida furono quarantamila.

I due fratelli vincitori si mostrano temperanti, non inseguono il fuggitivo, si prendono cura dei feriti di ambo le parti e seppelliscono tutti i morti.

Nel campo di Lotario si trovava l’arcivescovo di Ravenna, Giorgio, ambizioso e vanitoso il quale aveva tenuto a battesimo Rortrude, figlia di Lotario e aveva spogliato la sua ricca chiesa di tutti i più preziosi ornamenti per donarli  all’imperatore e alla imperatrice. Il solo abito per la bambina era costato cinquecento soldi d’oro e la cerimonia era stata di una pompa. straordinaria 

Questo arcivescovo Giorgio aveva fatto in modo di inserirsi tra i componenti della missione di legati che il pontefice aveva mandato al campo per trattare le condizioni di pace tra i fratelli, e si era  presentato con un corteggio di trecento cavalieri, portando con sé corone, calici e patene d’oro e vasi d’argento della sua chiesa e finanche pietre preziose tolte dalle croci, e ciò perché voleva convincere Lotario di dichiarare la chiesa ravennate indipendente da quella di Roma.

Dopo la battaglia e la sconfitta dell’imperatore, l’arcivescovo che si trovava nel suo accampamento fu preso dai soldati vincitori che lo spogliarono del ricco piviale e della mitra piena di gemme, e tra beffe e scherni lo conducono alla presenza di Carlo che lo trattenne prigioniero, mentre gli altri legati riuscirono a fuggire recandosi a Auxerre. I suoi tesori furono ripartiti tra i soldati e dopo aver ottenuto la libertà dovette tornarsene a Ravenna a piedi e vivendo di elemosina.

Lotario si era ritirato ad Aquisgrana cercando di radunare un esercito che però non era sufficiente per combattere i fratelli, per cui si rivolse ai territori germanici saccheggiando le città che gli rifiutavano di sottomettersi.

I due fratelli Ludovico e Carlo confermarono a Strasburgo la loro alleanza contro Lotario il quale ritornato ad Aquisgrana, spoglia di tutti i tesori  il palazzo imperiale dirigendosi a Lione inseguito dai fratelli che lo costringono a firmare la pace.

I due fratelli quindi si recaro ad Aquisgrana dove convocano un concilio di vescovi dal quale fecero dichiarare Lotario decaduto dai regni di Francia e di Germania. Le colpe che gli furono attribuite erano l’inosservanza dei giuramenti, l’inettitudine del governo, la perfidia e gli insulti nei confronti del padre, che, neanche a farlo apposta, erano le stesse colpe di cui si era macchiato Ludovico, suo accusatore.

La pace finale fu conclusa (agosto 843) col trattato di Verdun col quale si fissava per la prima volta una netta distinzione tra la Francia e la Germania: a  Carlo era infatti assegnata tutta la Francia (corrispondente al territorio attuale, esclusa la Provenza); a Ludovico la Baviera con la Sassonia e parte della Pannonia, e tutte le province germaniche al di là del Reno (vale a dire il regno Germanico), a Lotario rimase la riva sinistra del Reno fino alla Mosa e all’Oceano, la Provenza, la Rezia e  il regno d’Italia compresa la città di Roma.

Il trattato di Verdun gettava il pomo della discordia tra la Francia e la Germania ponendo le basi di una serie interminabile di contese e di guerre.

Il regno di Carlomagno “una volta unito”, viene ora descritto “diviso in tre parti; invece di un re si vede un principotto, invece di un reame, un frantume di regno; il pubblico bene è annullato; ciascuno si occupa dei suoi interessi; ...che ne sarà dei popoli che abitano lungo il Danubio, il Reno, il Rodano, la Loira e il Po? Tutti una volta uniti col legame della concordia, ora che l’alleanza è rotta saranno tormentati da tristi discordie”. 

Moriva nel frattempo papa Gregorio IV (827-844) ed era eletto papa Sergio II (844-847), senza che la sua elezione fosse stata approvata dall’imperatore Lotario il quale risentito mandò un esercito a Roma con a capo il figlio Ludovico, già nominato re d’Italia.

Giunto in prossimità di Roma, l’esercito mise a ferro e fuoco il territorio romano giungendo fino al ponte della Cappella dove a causa di un terribile temporale scoppiato all’improvviso perirono i familiari di Drogone, vescovo di Metz che accompagnavano Ludovico, ma ciò non valse a fermare la ferocia dei soldati. Giunti alle porte di Roma, il papa mandò in  processione con i vessilli i magistrati con la milizia e il popolo, e il pontefice aspettava il re sull’atrio del Vaticano, con tutto il clero. Quando Ludovico  raggiunse il papa, questo lo abbracciò dicendogli che non avrebbe fatto aprire la porta della basilica se non gli assicurava che era venuto con intenzioni benevoli nei confronti della Chiesa e del popolo romano. Il re lo rassicurò e a un cenno del papa furono aperte le porte della chiesa e tutti acclamarono.

La domenica seguente vi fu la cerimonia dell’unzione e il papa mise la corona sulla testa di Ludovico e la spada al fianco, ma durante il corso della cerimonia, i franchi rimasti accampati fuori le mura mietevano nei campi il grano maturo e lo davano da mangiare ai cavalli, e quando partirono con Ludovico diretto a Pavia, lasciarono il territorio romano nella desolazione.      

Nell’anno 847 morto il papa Sergio II, fu eletto Leone IV che comunicò l’avvenuta elezione all’imperatore Lotario al quale fece anche sapere che intendeva mettere in sicurezza la basilica (di recente vi era stata una invasione di saraceni  che giunti alla foce del Tevere saccheggiarono le chiese di san Pietro e di s. Paolo che si trovavano al di fuori delle mura) costruendo la cinta muraria della città in modo che comprendesse la basilica e il vicino borgo (c.d. città leonina).

L’imperatore approvò, contribuendo alla spesa. Il papa ordinò a tutte le città del ducato di Roma, ai monasteri e alle campagne di mandare operai per costruire le mura in poco tempo. Nello stesso tempo provvide a restaurare le antiche mura di Roma, le porte i baluardi e fece innalzare due torri sulle opposte rive del Tevere facendo mettere tra di esse una catena in modo da impedire il passaggio a navi nemiche.

 

LOTARIO I ASSOCIA

NELL’IMPERO

IL FIGLIO LUDOVICO II

RE D’ITALIA

 

 

I

l papa non aveva buoni rapporti con Ludovico (o anche Luigi) II in quanto il  messo imperiale taglieggiava i pellegrini e l’idea di rivolgersi all’imperatore di Bisanzio non era peregrina. Peraltro i rapporti di Ludovico II con l’imperatore Michele III erano tesi in quanto Ludovico era venuto meno alla promessa di sposarne la figlia, sposando Engelberga. Ludovico come re d’Italia si era fatto una buona fama e gli mancava solo una impresa guerriera per consolidarla.

L’occasione fu data dai saraceni che si erano stabiliti a Bari e da lì conducevano scorrerie in Puglia e Calabria, raggiungendo Salerno e Benevento. A lui si rivolsero gli abati di Cassino e s. Vincenzo al Volturno per cacciarli. Ludovico accolse l’invito e con l’esercito si recò a Benevento e quindi a Bari che mise sotto assedio.

Dopo lungo assedio i suoi soldati riuscirono ad aprire una breccia nelle mura, ma i suoi consiglieri gli fecero notare che se vi fosse stato il saccheggio sarebbe andato disperso tutto il tesoro accumulato dai musulmani. Ludovico quindi rinunciò al saccheggio, ma gli operosi saraceni riuscirono di notte a chiudere la breccia e al mattino gli assedianti si accorsero che dovevano cominciare tutto da capo, per cui Ludovico, scoraggiato, se ne tornò con poca gloria in Lombardia.

I romani ne furono adirati e, fomentati da un certo Graziano si chiedevano se non fosse meglio rivolgersi all’imperatore bizantino. Daniello comandante delle milizie ne riferì all’imperatore che raggiunse Roma con l’esercito.

Il papa Leone IV  si recò ad accogliere con doni l’imperatore che volle tenere su questa questione un pubblico giudizio, al quale parteciparono romani e franchi. Daniello fu chiamato a sostenere l’accusa nei confronti di Graziano, ma tutti i romani si rivoltarono contro Daniello dicendo che mentiva. Daniello non avendo prove, si confessò  calunniatore e questo comportava che fosse consegnato al calunniato per farne ciò che volesse. Graziano però fu generoso e accondiscendendo alla intercessione dell’imperatore Daniello fu salvo.

Il papa Leone IV nel frattempo moriva (855) e i romani erano discordi sulla elezione del nuovo papa: i laici appoggiavano il prete Anastasio (il Bibliotecario), che però era stato precedentemente scomunicato da un concilio romano, mentre i chierici  sostenevano il cardinale Benedetto.

Non vi fu nessun accordo tra i due partiti, per cui ciascuno elesse il proprio papa. La parte clericale, per ottenere l’approvazione dell’imperatore, mandò presso Ludovico dei legati. Costoro passando da Gubbio si fermarono presso il vescovo della città, Arsenio, che li convinse ad appoggiare il papa eletto dall’altro partito e i legati quando furono alla presenza dell’imperatore, invece di fare il nome del cardinale Benedetto, indicarono il prete scomunicato Anastasio.

Ludovico mandò a Roma suoi messi per vedere come stavano le cose e i messi giunti a Orta  trovarono parecchi fautori di Anastasio e tutti insieme proseguirono il viaggio  per Roma. Benedetto inviò incontro due suoi legati che furono trattenuti prigionieri e i messi imperiali giunti nei pressi di Roma convocarono  il clero, il senato e il popolo perchè venissero a Ponte Molle.

Mentre qui si recarono tutti i fautori di Benedetto, i sostenitori di Anastasio si recarono in san Pietro, poi al Laterano dove trovarono Benedetto che spogliarono degli abiti pontificali che aveva indossato e lo trattennero prigioniero.

Il clero riunito a Ponte Molle avuta notizia di quanto stava accadendo, andò a radunarsi nella chiesa di santa Emiliana. Sopraggiunsero i messi imperiali che cercarono di far riconoscere Anastasio, ma i clericali riuscirono a convincere il popolo a riconoscere Benedetto che acquistò tanta preponderanza che la nomina fu appoggiata anche dagli imperiali, prendendo il nome  di Benedetto III (855-858), mentre  Anastasio fu scacciato dal palazzo del papa.

L’imperatore Lotario era rimasto vedovo per la morte della moglie Ermengarda, e poiché più che agli impegni di governo, era dedito ai piaceri dei sensi, aveva con sé due concubine che allietavano le sue giornate (duas sibi ancillas copulavit), e della morte della moglie non ebbe tanto da disperarsi; altrettanto facevano i suoi figli (filii eius similiter adulteriis inservierunt).

Lotario sentendo vicina la fine, convocò una dieta  in cui confermò l’assegnazione dell’impero e del regno d’Italia al figlio Ludovico, mentre al figlio Lotario, secondogenito, assegnò la parte della Francia delimitata dalla Mosa e il Reno che da lui prese il nome di Lotaringia e poi si chiamò Lorena; al figlio minore Carlo, assegnò la Provenza.

Come tutti i cristiani che prossimi alla morte pensavano di salvare l’anima dalle fiamme dell’inferno, Lotario I pensò di mondarsi dai peccati entrando nel monastero di Prünn nella diocesi di Treviri dove prese la tonsura e l’abito monastico e nell’arco di sei giorni cessò di vivere (855).

I  monaci ritennero che fosse morto in santità, ma come tanti peccatori che nonostante i peccati erano stati santificati, anche Lotario I nella sua vita aveva compiuto tante scelleratezze,  era stato sleale e aveva tradito tanti giuramenti nei confronti dei  suoi fratelli, era stato crudele e spietato nei confronti del proprio padre, oppressore dei sudditi, avaro e lussurioso.

 

LUDOVICO II IMPERATORE

 RIPUDIO DI TEUTBERGA

E AMORI ILLECITI

 

 

T

re anni dopo la morte dell’imperatore Lotario I, muore (858) il papa Benedetto III. Ludovico (il Germanico)  per essere presente alla nuova elezione, corre a Roma dove viene eletto Nicolò I (858-867)  e Ludovico lascia la città recandosi in una località detta Quinto, dove lo raggiunse il nuovo papa per fargli visita.

Ludovico gli andò incontro e presa la briglia del cavallo montato dal papa, lo “addestrò”accompagnandolo per un tratto di strada. Questo gesto, era indicato col termine addestrare  nel senso di cedere o dare la destra, ed era segno di grande rispetto.

Dopo un lauto pranzo il papa riparte accompagnato per un tratto di strada dall’imperatore che gli rende nuovamente omaggio con la stessa cerimonia iniziale e i due si salutano baciandosi le guance; in seguito i loro  rapporti non saranno così idilliaci.

Il motivo sarà determinato dalla vita scandalosa che si conduceva alla corte di Lorena, con il re Lotario II (fratello del nuovo imperatore Ludovico), dove sembravano ritornati i tempi della licenziosa corte di Carlo Magno che viveva anche in promiscuità con le figlie (v. cit. Carlomagno e l’idea dell’Europa).

Lotario II aveva sposato Teutberga figlia di Bosone, conte di una parte della Borgogna il quale dopo un anno di matrimonio si era stancato di Teutberga e l’aveva ripudiata scacciandola dal palazzo, avendo preso come concubina la giovane e bella  Gualdrada, di cui si era follemente innamorato.

Per giustificare il ripudio il re aveva accusato Teutberga di incesto con il fratello e  Teutberga aveva accettato la prova dell’acqua bollente (859), alla quale si sottopose, non personalmente, ma con un suo rappresentante: questa prova consisteva nell’estrarre col braccio una palla messa nel fondo di una caldaia di acqua bollente. La prova riuscì ma Lotario, preso dalla passione, appoggiato da Gunter arcivescovo di Colonia e da Teutgardo, arcivescovo di Treviri, fa riunire ad Aquisgrana un concilio di vescovi che riesce finalmente ad ottenere da Terutberga la confessione del commesso incesto; il concilio dichiara sciolto il matrimonio con Teutberga e gli permette di sposare Gualdrada.

Teutberga è rinchiusa in un monastero da dove fugge recandosi presso la corte di Carlo il Calvo (quarto figlio di Ludovico il Pio e zio di Lotario II), e si rivolge al papa Nicolò I, ritrattando la confessione che le era stata estorta.

Il papa manda in Francia come legati proprio i vescovi di Colonia e di Treviri che nel concilio di Colonia avevano accertato le accuse. I due legati corrotti erano dalla parte di Lotario che convoca un concilio a Metz, il quale, contro le aspettative del papa, conferma il ripudio di Teutberga, dichiarando valido il nuovo matrimonio. 

A questo scandalo, se ne aggiunge un altro del quale fu protagonista il conte Bosone. Costui che come abbiamo visto, era padre di Teutberga, aveva sposato in seconde nozze Engeltrude, figlia del conte italiano Malfredo. Engeltrude però aveva un amante col quale era fuggita, lasciando Bosone. Essa si era recata  nella dissoluta corte di Lotario, dove trova asilo, proprio dove sua figlia Teutberga  aveva subito le sue traversie.

Bosone dopo aver tentato di richiamare la moglie fuggiasca, si rivolge al papa il quale convoca un concilio a Milano,  dove è convocata anche Engeltrude che non si presenta, e i vescovi lanciano su di lei l’anatema

Non solo. Ma subito dopo il papa convoca a Roma un altro concilio di vescovi italiani in cui definisce le questioni sorte a Metz e Milano, annullando il decreto del concilio di Metz e processando i due arcivescovi di Colonia e di Treviri che  si erano fatti corrompere da Lotario, scomunicandoli,  e infine è confermato il concilio di Milano che aveva pronunciato l’anatema contro Engeltrude.

I due arcivescovi scomunicati non si danno per vinti e si rivolgono direttamente all’imperatore lamentandosi del modo di procedere del papa che ritenevano ingiusto e offensivo verso l’autorità imperiale.

L’imperatore, caduto nella trama dei due arcivescovi, andò su tutte le furie, assicurando che avrebbe punito l’arroganza del papa e preparato l’esercito parte per Roma, accompagnato dalla moglie Angilberga e dai due arcivescovi, dove, giunto da nemico si accampa presso la basilica di s. Pietro.

Il papa Nicolò che si trovava nella chiesa dei santi Apostoli, disponeva preghiere, processioni  e messe contro i principi cattivi.

I baroni del seguito dell’imperatore si recano dal papa chiedendogli di piegarsi alla volontà dell’imperatore, ma il papa resiste. I baroni stavano tornando all’accampamento quando incontrano una processione e si avventano contro i preti  con ingiurie e percosse. Tutti quelli che seguivano la processione si diedero alla fuga abbandonando croci e stendardi che furono calpestati dai cavalli dei baroni.

Dopo questo avvenimento si verificò che uno dei baroni che apparteneva alla famiglia dell’imperatore e aveva calpestato la croce di sant’Elena, all’improvviso muore e lo stesso Ludovico II si ammala.

Si credette subito alla punizione divina nei confronti degli imperiali che avevano offeso la sacralità della processione. L’imperatrice Angilberga che aveva ricevuto segretamente doni dal papa, manda un messaggero che navigando sul Tevere si reca in san Pietro e invita il papa, con sua personale garanzia, ad andare nel campo imperiale e raggiungere un accordo con l’imperatore.

Il papa recatosi nell’accampamento si riappacifica con l’imperatore, mentre i due arcivescovi se ne partono sdegnati scrivendo una ardita protesta (riportata da Incmaro) in cui avevano scritto: “Quantunque il signor Nicolò, sedicente papa e apostolico, voglia farsi imperatore di tutto il mondo e condannarci, noi intendiamo resistere alla sua insania”. E rivolgendosi al papa aggiungevano: “Tu hai decretato la nostra condanna con la tua sola autorità e arbitrio mosso da tirannico furore, ma la tua malefica sentenza aliena dalla paterna benignità e dalla carità fraterna, contro noi, ingiustamente e irragionevolmente pubblicata non secondo i canoni, non l’accettiamo e uniti ai nostri fratelli ti respingiamo dalla nostra comunione”. 

Il papa quando gli portano lo scritto, rifiuta di riceverlo ma il fratello dell’arcivescovo di Colonia Guntario, Ilduino, si recò con uomini armati in san Pietro e bastonando i custodi che intendevano opporsi, depose lo scritto sul sepolcro di san Pietro.

L’imperatore rientra con il suo esercito lasciando un ricordo di distruzioni, saccheggi stupri compiuti anche nei monasteri femminili. Il papa scomunica Gualdrada e ordina a Lotario di riprendere Teutberga che si era recata a Roma  per implorare la sua protezione.

Lotario a sua volta si umiliò dicendo che si sarebbe recato personalmente dal papa per giustificarsi, ma il pontefice fece sapere che prima di riceverlo, Gualdrada doveva essere mandata via dalla corte. E poiché Lotario esitava, il papa gli mandò come legato Arsenio, vescovo di Orta, minacciando la scomunica se avesse ritardava ad obbedire.

Il re obbedì richiamando Teutberga e consegnando al legato Gualdrada, che portò con sé anche Engeltrude. Costoro però quando giunsero a Pavia, lasciarono il legato del papa e si recarono alla corte di Lorena presso Lotario, Gualdrada riprendendo il posto di regina, mentre Engeltrude ritorna dal suo amante.

Teutberga, nuovamente offesa per il comportamento del marito chiese al papa di potersi dividere da uno sposo che la ricopriva di oltraggi e di scioglierla dal matrimonio, ma il papa non accolse questa richiesta.

Il conte Bosone, padre di Teutberga e marito abbandonato da Engeltrude sollecitava il papa reclamando il ritorno della moglie, mentre il papa minacciava i due adulteri. Ma le minacce, scrive lo storico, non si udivano  presso la corte che era il ricettacolo di tutti gli amori illeciti, dove aveva trovato rifugio anche il conte Balduino che aveva rapito una figlia di Carlo il Calvo, zio di Lotario.

Bosone poiché le sue richieste al papa erano risultate vane, si rivolse all’imperatore, ma inutilmente. Lo stesso Bosone (v. sotto) si renderà protagonista, in proprio, di un’altra avventura amorosa.

 

 

Carlomagno incoronato da Leone III

Miniatura da  «Grandes cronique de France »

 Parigi - Biblioteca Nationale

 

 

MORTE DI LOTARIO II

LO ZIO  CARLO OCCUPA

 LA LOTARINGIA

 

 

I

n Italia si stava prospettando il problema dei saraceni che avevano occupato Bari, Matera, Venosa e Canosa da dove compivano come loro usanza, razzie nei territori circostanti per cui l’imperatore, chiamati i vassalli aveva disposto che la parte dell’esercito proveniente dal nord, si raccogliesse a Ravenna, mentre la parte proveniente dal resto d’Italia, si raccogliesse a Nocera;  l’appuntamento per tutti era fissato a Roma.

Ludovico partì accompagnato dalla moglie Angilberga (866) e dopo essere stato a Montecassino si era recato a Capua per punirne il suo signore, il vescovo Landofo, tenendo sotto assedio la città per tre mesi, e dopo essere stato a Salerno, Amalfi e Pozzuoli dove si era trattenuto per i bagni, da Benevento era andato a svernare a Lucera (per questo viaggio Ludovico aveva impiegato sette mesi).

Egli da Benevento aveva  mandato un messo a suo fratello Lotario perché gli mandasse rinforzi (867), che comunque non valsero a fargli espugnare Bari, ma riuscì soltanto a liberare le città di Matera, Venosa e Canosa, tornando quindi a Benevento.

In quell’anno moriva il papa Nicolò I (867) e veniva eletto papa Adriano I, cardinale  di san Marco, il quale era regolarmente sposato (all’epoca era consentito prendere  gli ordini sacri a chi era coniugato), e aveva una figlia di rara bellezza.

Costei era stata promessa sposa a un nobile romano, ma di lei si era invaghito un certo Eleuterio che riuscì a sedurla, con gran dispiacere del pontefice che si  rifiutò di fargliela sposare. Eleuterio per rabbia si recò a casa della ragazza che viveva con la madre e le uccise tutte e due. Il papa si rivolge a Ludovico chiedendogli di mandare a Roma due messi imperiali per giudicare il colpevole che fu condannato a morte.

L’anno seguente (869) Ludovico era tornato ad assediare Bari, accampato sotto le mura, e accompagnato dalla moglie Angilberga, fu raggiunto dal fratello Lotario il quale gli chiese di lasciare che Angilberga lo accompagnasse a Montecassino per fargli da intermediaria  nelle trattative con il papa che doveva intercedere presso lo zio Carlo il Calvo.

Lotario temeva le ire dello zio Carlo il Calvo avendo accolto presso la sua corte la figlia fuggiasca  e il suo amante ed ora Lotario si aspettava una sua reazione, per cui voleva assicurarsi di avere il papa dalla sua parte.

Angilberga  che aveva talento per i rapporti diplomatici, anche con l’aiuto di regali riuscì a convincere il papa ad appoggiare Lotario, ma il papa che ben sapeva ciò che succedeva presso la corte di Lorena e considerava Lotario un pubblico peccatore, durante la messa, prima di somministrargli la comunione, gli disse: “Se non siete colpevole di un altro adulterio dopo essere stato avvertito dal papa Nicolò, e non continuate ad avere rapporti con la vostra concubina Gualdrada, avvicinatevi per ricevere il sacramento della vita eterna; ma se il vostro pentimento non è sincero non dovete avere la temerarietà di ricevere il corpo e il sangue di Cristo che sarà la vostra condanna e maledizione”.

E Lotario con i suoi accompagnatori prese ugualmente la comunione. Seguirono alcuni giorni di pranzi e festeggiamenti, dopo di che il re partì per Lucca dove fu preso da febbre e dopo alcuni giorni di malattia muore (agosto 869) seguito da molti suoi cortigiani.

La coincidenza non fece che avvalorare l’idea della punizione divina per lo spergiuro e sacrilegio della comunione e Lotario fu sepolto senza onoranze funebri (1).

Teutberga sebbene oltraggiata dal marito, fece doni alla chiesa per la salvezza della sua anima e si ritirò nel monastero di santa Glodorinda a Metz prendendo il velo. Anche Gualdrada quando venne a sapere della morte del suo amante, entra in convento facendosi monaca.

Quando Lotario II di Lotaringia  muore,  non avendo figli legittimi, lo zio Carlo il Calvo si affretta ad occupare parte della Lorena, facendosi incoronare a Metz.

L’imperatore Ludovico II a sua volta si riteneva il legittimo erede del fratello in quanto il regno Lotaringio proveniva dal padre Lotario I che a propria volta lo aveva ricevuto da Ludovico il Pio, ma non potendosi opporre allo zio in quanto impegnato a combattere i saraceni in Italia, si rivolge al papa Adriano II.

Il papa aveva preso le difese di Ludovico II sostenendo che era lui l’erede legittimo, ma in effetti il papa, mentre accusava pubblicamente Carlo di essere spergiuro, usurpatore e tiranno, segretamente gli aveva promesso alla morte di  Ludovico II, la successione dell’impero e questo impegno lo aveva scritto in una lettera in cui diceva: “Poiché le mie parole rimangano segrete e la mia lettera clandestina, vi raccomando di non farla vedere se non a persone fidatissime...Vi confido e vi informo, salva la fede dell’imperatore, che se voi gli sopravviverete ed io vivrò e qualcuno mi volesse dare delle moggia d’oro, giammai mi acquieterei, né le riceverei spontaneamente, essendo risoluto di non volere altro che voi. Voi che siete fornito di sapienza, giustizia, religione, virtù, nobiltà, forma, vale a dire di prudenza, temperanza, fortezza e pietà. Se dunque l’imperatore morrà, voi ed io vivi, io farò in modo che il clero, la plebe, la nobiltà di Roma e dell’orbe, non solo vi elegga duca e re, patrizio e imperatore, ma anche difensore di questa Chiesa e nella vita eterna concittadino dei santi”.

E comunque Carlo il Calvo alle lettere minacciose del papa, non se ne intimorì e gli rispose dicendogli: “Voi ci trattate da spergiuro, da tiranno e da usurpatore. Se pretendete segni di rispetto e di devozione dovete scrivere come i vostri predecessori solevano fare con i nostri, nei modi che convengono alla vostra santità e alla nostra autorità... Le minacce di scomunica contrarie alla Scrittura, alla tradizione e ai canoni, sono prive di forza e di effetto”.

Ludovico II  dal suo canto si rivolge all’altro zio, Ludovico il Germanico il quale gli promette di prendere le armi contro il fratello...e per la verità le armi le prese... ma non per proteggere i diritti del nipote, ma i suoi: andò infatti ad occupare una parte della Lorena e si fece prestar giuramento di fedeltà dagli abitanti.  

Il papa aveva mandato in Lotaringia due legati i quali tentarono di far osservare il decreto pontificio ma in risposta ottennero insulti da ambedue i sovrani e dai loro vescovi. Il vescovo di Reims, Incmaro rispondeva a una bolla del papa dicendo che “quando noi rappresentiamo ai grandi il potere di legare e sciogliere che è stato concesso a san Pietro e ai suoi successori, essi rispondono che i regni si acquistano con le guerre e con le vittorie, non già con le scomuniche del papa e dei vescovi”.

L’imperatore Ludovico II  prese la decisione  di recarsi direttamente a Roma per ricevere dal papa la corona della Lorena e Adriano II non gliela rifiutò e lo incoronò con una grande cerimonia.

L’imperatrice Angilberga che aveva un particolare talento per gli intrighi e i maneggi, per trovare una soluzione diplomatica alla questione lorenese, aveva fissato degli incontri con Carlo il Calvo e con Ludovico il Germanico i quali aspiravano alla successione di Ludovico II, malato e senza figli maschi, e tra i due, mentre gli italiani propendevano per Carlo, Angilberga intendeva favorire Ludovico il Germanico.

Angilberga si trovava in Lombardia, mentre il marito era a Roma. Approfittando della sua lontananza i cortigiani dell’imperatore gli presentarono una fanciulla  bella e seducente di cui l’imperatore si invaghì e i cortigiani ebbero così modo di suggerire all’imperatore di ordinare all’imperatrice di rimanere in Lombardia. Ma Angilberga non cadde nel tranello in quanto ben conosceva il debole del marito. Corse quindi a Roma e resasi subito conto della tresca, scacciò la rivale dal palazzo.

 

1) E’ da dire a proposito delle morti che spesso colpivano personaggi che si recavano a Roma provenienti dal nord, al loro ritorno, che il clima di Roma era pestifero e malsano perché Roma era circondata da paludi e mentre i romani erano naturalmente vaccinati contro la malaria, non lo erano invece i visitatori (la malaria si diffondeva anche tra gli eserciti accampati), i quali dopo la permanenza in quelle zone, se non si ammalavano già sul posto, venivano colpiti al ritorno e, poiché la malattia non era conosciuta, si sospettava del veleno che comunque in quei tempi era usato in abbondanza.

 

MORTE DI LUDOVICO II

CARLO IL CALVO

IMPERATORE

 

 

L

Le cronache dell’epoca, raccontano che “nell’agosto dell’873 una gran quantità di locuste apparve  nelle campagne di Vicenza, Brescia, Cremona, Lodi e Milano; giunsero anche in Campania, in particolare nel napoletano dove divorarono non solo il grano ma anche l’erba e tutte le foglie degli alberi. Anche la Francia e la Germania non rimasero indenni, e le locuste si propagarono fino alla Manica dove una grande tempesta, - secondo il racconto del cronista - le abbattè e portate sulle spiagge dal riflusso quell’ammasso di putredine ammorbò l’aria fino al punto da portare la moria tra la gente dei paesi vicini”.

Le locuste” raccontava il cronista, “venivano dall’Oriente e procedevano a grandi schiere, precedute da un piccolo numero quasi fossero condottiere. Era tanta la loro moltitudine che in un’ora riuscivano a distruggere cento iugeri (2520 ha) di terreno e  la nube era tanto fitta da oscurare il sole. Quando si posavano per terra coprivano i campi come pioggia di neve. Avevano bocca grande, denti durissimi con cui radevano perfino la corteccia degli alberi, intestino lungo e tanto da contenere un’intera spiga di grano: erano lunghe e grosse e avevano quattro ali e sei zampe”.

Altri fenomeni” - si raccontava - erano stati notati in quel tempo. Verso la Pasqua si notò che in alcune zone erano cadute ceneri; una brina gelata nel mese di maggio fece intristire i tralci delle viti; si parlò anche di una pioggia di sangue caduta per tre giorni e per tre notti. Tutti erano convinti della collera divina e si presagivano grandi sventure;  un altro fenomeno lo confermava: l’apparizione di una cometa (875). In mezzo alla generale costernazione Ludovico II cessava di vivere e così tutti si spiegarono i misteriosi segni dell’ira di Dio”. 

Ludovico II morì nel bresciano (875) e il vescovo di Brescia accorso sul luogo,  preso il cadavere lo trasportò in città e lo seppellì nella chiesa di santa Maria. Giunta la notizia a Milano, l’arcivescovo Ansperto mandò il suo arcidiacono a chiedere la consegna del cadavere, ma il vescovo lo rifiutò. Ansperto si recò quindi personalmente a Brescia accompagnato dai vescovi di Bergamo e Cremona e da tutto il clero milanese facendo  dissotterrare la salma e dopo averla imbalsamata, in processione, fu condotta a Milano e sepolta nella chiesa di s. Ambrogio.

Ludovico II fu imperatore d’Occidente solo di nome e in pratica era stato solo re d’Italia e come tale aveva cercato di porre un freno alla invasione dei saraceni.

Tra i discendenti di Carlo Magno può essere considerato il meno peggio; fu considerato “pio, misericordioso, semplice, difensore della chiesa, elemosiniere”, ma gli fu rimproverato di essersi fatto guidare “dalla moglie stoltamente avara e superba”

Egli lasciava solo una figlia, Ermengarda, per cui si fecero avanti come pretendenti dell’impero e del regno d’Italia i due zii, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo.

Costoro convocarono una dieta a Pavia alla quale partecipò l’imperatrice Angilberga. I signori italiani avrebbero potuto cogliere l’occasione per eleggere un re italiano, ma invidiosi com’erano ciascuno degli altri e bramosi di dominare i propri territori, ritenevano che un governo debole e contrastato avrebbe dato ad essi la possibilità di esercitare un potere incontrastato: offrirono quindi la corona ad ambedue i pretendenti non presenti alla dieta.

Intanto i due fratelli si stavano muovendo per venire in Italia, Carlo il Calvo dalla Francia scese in Italia attraverso il vallese, recandosi a Verona dove si fece proclamare re. Ludovico il Germanico avanti con gli anni, mandò il figlio Carlo (terzogenito) che  per l’obesità (era però anche alto), era chiamato “il Grosso”, il quale venne in Italia attraverso il Friuli e aiutato da Berengario e giunto nel bergamasco, i suoi soldati si diedero al saccheggio, stuprando e incendiando e suscitando il ricordo delle invasioni barbariche.

Carlo il Calvo dopo  essersi insediato nella reggia di Pavia, mosse contro il nipote e lo costrinse a ritirarsi.

Ludovico, dalla Germania, mandò con un altro esercito il figlio primogenito,  Carlomanno, il quale vedendo che lo zio aveva un esercito di maggior consistenza, si affrettò a firmare la pace e tornarsene in Germania.

Carlo il Calvo si recò quindi a Roma e donando una notevole quantità di oro al papa Giovanni VIII (che sarà accusato di essere stato corrotto), fu incoronato (Natale 875) imperatore, poi si recò a Pavia per prendere la corona del regno italico e convocata una dieta, fu eletto nel febbraio dello stesso anno, re d’Italia.

Anche in Francia Carlo convocò una dieta (giugno) dei signori di Francia, Aquitania, Settimania, Neustria e Provenza, che lo elessero imperatore: nell’occasione Carlo indossò l’abito degli imperatori d’Oriente e i messi papali gli consegnarono uno scettro dorato.

A questo punto Carlo si riempì di orgoglio e si imbaldanzì, e minacciò il fratello Ludovico, dicendogli che avrebbe condotto sul Reno tanti cavalli che (abbeverandosi e prosciugandolo) gli avrebbero reso facile il passaggio del fiume, e, venuto a sapere della sua morte  (876), radunato un esercito occupò  tutto il paese alla sinistra del Reno.

Il figlio di Ludovico il Germanico, Ludovico (III) gli andò incontro chiedendogli la pace e non avendola ottenuta, i due eserciti si scontrarono. L’esercito tedesco, pur essendo inferiore di numero combatté con valore e riportò la vittoria, facendo molti prigionieri e lo sconfitto Carlo il Calvo se ne tornò in Francia.

I tre figli di Ludovico il Germanico si divisero il regno paterno: Carlomanno ebbe la Baviera con la Pannonia, la Carinzia, la Schiavonia e la Moravia; Ludovico, la Sassonia, la Turingia, la Frisia la Franconia e parte della Lorena; Carlo il Grosso l’Alemagna (ossia la Svevia che comprendeva parte della Svizzera), con alcune città della Lorena.

Nel frattempo i saraceni insediati a Taranto avevano ripreso le loro scorrerie e Bari temendo di ricadere sotto i musulmani chiese aiuto all’imperatore che mandò il  generale greco Gregorio, il quale recatosi a Bari chiese alle città di Salerno, Gaeta, Napoli e Amalfi di fare un fronte comune, ma queste non aderirono alla richiesta temendo di suscitare l’ira dei musulmani.

Intervenne il papa, Giovanni VIII, anch’egli interessato in quanto i saraceni facevano scorrerie in Campania e nella Sabina, che si rivolse con una prima lettera a Carlo il Calvo che non rispose. Il papa quindi si rivolse a Sergio, duca di Napoli il quale aveva fatto lega con i saraceni che stazionavano nel suo territorio, chiedendogli di rompere la lega con i saraceni, e non essendo riuscito fece trucidare ventidue napoletani prigionieri  del duca di Benevento. Dopo di ciò Giovanni VIII riuscì a mettere contro il duca Sergio, il fratello Atanasio, vescovo di Napoli il quale seguendo i consigli del papa fece arrestare il fratello, lo fece accecare e lo mandò prigioniero a Roma dove Sergio morì 

L’imperatore, incalzato nuovamente dal papa si decise a venire in Italia e accompagnato dalla moglie Richilde, incontrato il papa a Vercelli, si diresse  a Pavia dove si doveva festeggiare una festa di nozze.

Ermengarda, figlia del defunto imperatore Ludovico II († 875) era stata accolta presso la corte di Berengario, marchese del Friuli, per compiacere la madre Angilberga avversa a Carlo il Calvo, mentre Angilberga alla morte del marito, si era ritirata nel  convento di santa Giulia a Brescia.

La corte di Berengario era frequentata dal conte di Provenza, Bosone, fratello di Richilde (quindi cognato dell’imperatore), il quale si invaghì di Ermengarda che era molto bella e la chiese in sposa a Berengario, che si mostrò lieto di poter servire il suo protettore. Ma al matrimonio si opponevano due ostacoli: Bosone era ammogliato e Berengario temeva di attirarsi le ire della madre di Ermengarda, Angilberga.

Bosone lo tolse d’impaccio liberandosi della moglie avvelenandola e finse di rapire Ermengarda che Berengario gli lasciò prendere. Bosone quindi presentò Ermengarda all’imperatore il quale volle che il matrimonio fosse benedetto dal papa (Giovanni VIII).

La cerimonia fu celebrata a Pavia con grandi feste e magnificenza di giochi e Carlo che aveva già gratificato Bosone con il titolo di duca di Lombardia, promosse la  contea di  Provenza in ducato.

Nel frattempo giunsero notizie che Carlomanno, nipote dell’imperatore, stava arrivando dalla Germania con un esercito e Carlo lasciando Pavia si diresse a Tortona dove il papa incoronata Richilde come imperatrice, se ne tornò frettolosamente a Roma, mentre Richilde con il tesoro imperiale andò a rifugiarsi in un inespugnabile castello delle Alpi e l’imperatore se ne tornò in Francia.

Carlomanno era venuto falsamente a sapere che lo zio Carlo e il papa gli stavano muovendo contro con un grosso esercito e anch’egli pensò di ritirarsi.

Carlo il Calvo durante il suo viaggio fu preso da febbre e costretto a fermarsi a Brios sul Moncenisio  dove lo raggiunse dall’imperatrice che assistette alla sua morte (13.X.877).

Il cadavere del re, dopo essere stato aperto e svuotato delle parti interne, fu lavato con vino aromatico e messo in una cassa  e trasportato per seppellirlo a Parigi, ma il fetore emanato era tanto insopportabile che si pensò di metterlo in una botte ricoperta di pelle. Anche questo accorgimento non servì ad eliminare l’inconveniente, per cui  trovata una chiesetta lungo il percorso, vi fu sepolto con tutta la botte. Sarà il figlio Ludovico il Balbo  a trasferirne le spoglie a Parigi dove fu sepolto nella chiesa reale di san Dénis. 

 

DESTITUZIONE DI

CARLO IL GROSSO ED

  ELEZIONE DI ARNOLFO SEGNANO

LA FINE DELL’IMPERO CAROLINGIO

 

 

C

arlomanno, saputo della morte dello zio, si recò in Lombardia dove si fece eleggere re d’Italia e fece sapere a Giovanni VIII (872-882) che si sarebbe recato a Roma per essere incoronato imperatore, aggiungendo che avrebbe gratificato la Chiesa come nessun altro prima di lui.

Il papa così allettato, non volendo andare incontro a sorprese di promesse non mantenute, gli rispose che lo avrebbe ricevuto volentieri “ma sarebbe stato opportuno che prima del suo arrivo gli avesse fatto sapere per iscritto ciò che avrebbe offerto alla Chiesa”.

Il papa era in fondo contrario alla casa di Germania e propendeva per quella di Francia e si apprestava a trattare con  Ludovico II il Balbo, quando Carlomanno, venutone a conoscenza, non potendo partire perché infermo, mandò i duchi Lamberto di Spoleto e Adalberto di Toscana che andarono ad occupare Roma con un grosso esercito.

I due duchi a Roma si misero a spadroneggiare tanto che il papa scrisse a Carlomanno e agli altri principi,  lamentandosi degli insulti ricevuti da costoro i quali si erano appropriati di quella potestà concessa al beato Pietro e ai suoi vicari dagli imperatori; che Lamberto aveva inviato nella città nemici del papa che avevano saccheggiato molti luoghi e che  era stato anche costretto ad accordarsi  finanche con i saraceni, ai quali pagava un grosso tributo  (venicinquemila mancusi).

Giovanni VIII si decise a lasciare Roma e prima di partire fece portare il tesoro del Laterano nella basilica vaticana che fu sprangata, salpando quindi per la Francia e portando con sé prigioniero il dotto vescovo Formoso (poi papa, v. Articoli: La costituzione del regno d’Italia, par. Corruzione del papato), che egli aveva scomunicato perché Formoso si era mostrato contrario ai Franchi.

Giovanni VIII fu ricevuto in Provenza da Bosone che lo accompagnò a Troyes da Ludovico il Balbo (figlio di Carlo il Calvo), re di Francia.

Quì il papa convoca un concilio  che scomunica i due duchi Lamberto e Adalberto, e confermata la scomunica a Formoso, incorona Ludovico il Balbo († 879), che il papa voleva incoronare anche re d’Italia e imperatore, ma Ludovico, debole e malato non accettò.

Il papa ripartì per l’Italia accompagnato da Bosone e dalla moglie Ermengarda, che voleva nominare re d’Italia e fermatosi a Milano convocò un concilio a Pavia dove convocò i feudatari italiani i quali avendo capito quali fossero le intenzioni del papa non si presentarono, per cui  il papa ripartì per Roma e Bosone ed Ermengarda ritornarono in Provenza.

Carlo il Grosso  venuto in Italia  con un esercito, a Pavia si faceva incoronare re d’Italia (880) e nell’anno successivo si recava a Roma facendosi incoronare imperatore (881).

Negli stessi anni morivano i fratelli Carlomanno (880), che lasciava un figlio illegittimo Arnolfo, e Ludovico III il Giovane (882), morto senza lasciare eredi (Carlo il Grosso morirà nell’888), e morti anche i  nipoti  (figli di Ludovico il Balbo), Ludovico III (882) e Carlomanno (884), anch’essi  senza eredi, Carlo il Grosso si trovava padrone di tutto l’impero d’Occidente, re d’Italia, di Germania, di Pannonia e di Francia e signore di tutto il territorio tra l’Ebro e i Pirenei, che in buona parte corrispondeva all’impero carolingio, che comunque egli non aveva la personalità di reggere.

Anche il papa Giovanni VIII moriva avvelenato (882) da un suo parente il quale, vedendo che il veleno non faceva effetto lo finì a colpi di martello sulla testa.

Gli succedette papa Marino (882-884) seguito dal papa Adriano III (884-885) che tenne per poco tempo il pontificato, seguito dal papa Stefano V (885-891) senza che l’imperatore fosse consultato, e appena conosciuta la notizia, Carlo mandò subito i suoi legati a Roma per deporlo; ma i romani resistettero adducendo che il papa era stato eletto all’unanimità. 

Carlo il Grosso dovette affrontare i normanni che minacciavano Parigi, e pur disponendo di un grosso esercito invece di ricacciarli, preferì raggiungere con loro degli accordi onerosi (nell’845 aveva versato settemila libbre d’argento; nell’856 quattromila libbre d’oro).

Carlo era di salute cagionevole in quanto epilettico e come detto non era in grado di reggere l’impero. Il regno d’Italia lo aveva affidato al vescovo di Vercelli Liutrando, superbo e tirannico, che abusava del suo potere facendo rapire fanciulle nei monasteri per darle in moglie ai propri parenti; fece anche sposare a un suo nipote la figlia di Berengario del Friuli, senza il consenso del padre.

Berengario reagì senza neanche rivolgersi all’imperatore come avrebbe dovuto, ma con i suoi uomini si recò a Vercelli, saccheggiò il palazzo vescovile e se ne tornò con un grosso bottino.

Questa azione diede coraggio ai feudatari che mal sopportavano la superbia di Liutrando e gli ordirono una congiura, accusandolo di eresia, infedeltà, estorsioni e coinvolgendo anche l’imperatrice Richilde che in tutto quel lupanare pare fosse proprio una santa donna.

L’imperatore punto sul suo onore, scacciò Liutrando privandolo di tutti gli onori, ma nello stesso tempo fece comparire l’imperatrice Richilde che accusò pubblicamente con parole villane, di adulterio, affermando che nei dieci anni trascorsi con lei non aveva mai avuto rapporti intimi.

Richilde si discolpò confermando di essere vergine e di volersi sottoporre alla prova  del duello o del fuoco, e si racconta che preso con le sue mani un ferro rovente, diede così prova della propria verginità.

Riconosciuta la sua innocenza, non accettando di continuare a convivere con chi non aveva avuto il coraggio di prendere le sue difese, si ritirò nel convento di Andela.

I grandi di Germania riuniti nella dieta di Tribur (887) destituirono l’imperatore ed elessero re di Germania Arnolfo di Carinzia figlio naturale di Carlomanno, già nominato re d’Italia.

La morte di Carlo il Grosso (888) determinava il completo disfacimento dell’impero dal quale ha inizio la nascita  dei vari regni nazionali che si svilupperanno da quel momento.

Eude (Oddone), conte di Parigi si fece eleggere re di Francia, considerata tale la parte dei dintorni di Parigi (Ile de France), perché di tutta la parte considerata Aquitania tra i Pirenei e la Loira, si proclamava re il duca Rainulfo; Ludovico, figlio di Bosone (discendente per via materna da Ludovico II), fu eletto re di Provenza e Rodolfo, pronipote dell’imperatrice Giuditta si fece nominare re di Borgogna.

I feudatari italiani (v. Articoli:Costituzione del regno d’Italia)  elessero re d’Italia il duca Berengario del Friuli, figlio di Everardo (poi santificato) e di Gisla (figlia di Ludovico il Pio), contro il quale si fece avanti Guido di Spoleto di famiglia oriunda franca, anch’egli discendente per via materna dalla stirpe carolingia i cui avvenimenti li ritroviamo nel citato articolo dedicato alla Costituzione del Regno d’Italia.

Seppur seguiranno esponenti della stirpe carolingia, non vi sarà più nessuno capace di reggere un regno, salvi i monarchi che si vanteranno di discendere dal grande Carlo (per via femminile come i Borboni v. in Genealogie). E forse la stirpe di Carlomagno  vive ancora oggi, dal momento che a Carlo si attribuiscono trentadue figli tra legittimi e non.

Oggigiorno sarebbe anche possibile individuarli con i mezzi attuali dell’analisi mitocondriale del DNA di cui parleremo in altra sezione della rivista.   

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

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