GLI ULTIMI

CAROLINGI

di

Michele Ducas Puglia

 

 

PARTE PRIMA

 

 

 

 

           

 

 

       

         

         Carlomagno sul letto di morte 

            miniatura del XVmo sec.

 

 

SOMMARIO PARTE PRIMA:  LUDOVICO IL PIO DIVIDE L’IMPERO ASSEGNANDOLO AI SUOI TRE FIGLI; I FIGLI DI LUDOVICO IL PIO DIVENTANO QUATTRO; L’AQUITANIA; LA  LOTARINGIA; RAMO DI FRANCIA; RAMO DI GERMANIA; LA LOTARINGIA RIVENDICATA DA FRANCIA E GERMANIA; CARLO III IL SEMPLICE: IL CARATTERE, LE SOFFERENZE PROVOCATE DALL’ANATEMA, L’INFIDO GISLEBERTO SEMPRE PRONTO A TRADIRE. L’ULTIMA GUERRA DI UN CAROLINGIO; L’ECLISSI DI LUNA  PREANNUNCIA LA DISCORDIA TRA ERBERTO E RAOUL-MORTE DEL RE;

 

SOMMARIO PARTE SECONDA:  LUDOVICO IV D’OLTREMARE  NIPOTE DI ATHELSTAN DI BRITANNIA    LUDOVICO IV PRIGIONIERO A ROUEN; LA “QUERELLE” DEL VESCOVADO CONTESO DAL NIPOTE DEL DUCA UGO DI FRANCIA; LUDOVICO V FENEANT;  IL SINODO DI INGHELHEIM E GLI ULTIMI GIORNI DI LUDOVICO D’OLTREMARE; LOTARIO; CARLO DI LORENA ESTROMESSO DALLA SUCCESSIONE; L’ASSEMBLEA DI SENLIS RIUNITA PER GIUDICARE ADALBERONE ELEGGE UGO CAPETO RE DI FRANCIA; UGO CAPETO E L’ORIGINE DELLE DINASTIE; CAUSE DELLA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO  CAROLINGIO.

 

 

LUDOVICO IL PIO

DIVIDE  L’IMPERO  ASSEGNANDOLO

 AI SUOI PRIMI TRE FIGLI

 

N

ell’articolo sul “Disfacimento dell’impero Carolingo” abbiamo visto come Carlomagno, lungimirante per tante realizzazioni, non lo era stato con la “renovatio imperi” alla quale aveva dedicato molti anni della sua vita, unificando territori (in “Carlomagno e l’Idea dell’Europa”) che avrebbero dovuto ricostituire l’impero romano (se mai egli avesse avuto una tale idea!) e avesse commesso il grave errore di dividere tra i figli viventi, tutto il territorio che costituiva l’impero conquistato.

Carlo, “augurandosi che tra i figli regnasse l’armonia”, aveva assegnato (nel placito di Thionville dell’806) a ciascuno di essi (seguendo la tradizione germanica fondarta sulla legge salica), i vari territori, vanificando l’idea di un impero fondato sull’unione territoriale, che di fatto, rimaneva un impero semplicemente ideale.

Il Caso aveva voluto che dei suoi tre figli maschi, due, Lotario e Carlo (le vicende di Pipino al quale era stato assegnato il regno d’Italia, le abbiamo esaminate nell’articolo “Storia sconosciuta dei primi re d’Italia”), morissero prematuramente, e  l’impero confluisse nelle mani di Ludovico il Pio che non solo aveva ripetuto l’errore paterno,  dividendolo tra i suoi figli, con l’aggravante della circostanza che egli stesso non aveva né la “spiccata” personalità del  padre, né la giusta “autorevolezza” nei confronti dei figli tra i quali non regnava “l’armonia” (come Carlomagno si era augurato per i suoi figli), ma, litigiosi e ribelli, tendevano a ingrandire, ciascuno il proprio territorio, non per ricostituire l’impero, come ha suggerito qualche studioso, perché non erano all’altezza neanche di pensarlo, ma per mera avidità: e solo per questo si erano combattuti tra di loro rivoltandosi anche contro il padre.

Il suo soprannome di “Pieux”, “Pio” era dovuto alla dedizione quasi maniacale di praticare i precetti cristiani, con la richiesta di continui perdoni pubblici e privati per i suoi peccati, umilianti per un imperatore. Tra le sue occupazioni quotidiane vi era la messa, la lettura di libri di pietà, il canto dei salmi e continue preghiere... ma quando c’era da tagliar teste in guerra non si risparmiava; era infatti stato scritto che “aveva l’anima di un monaco e il corpo di un guerriero”.

Gli era stato dato anche un altro soprannome di “Louis le Debonnaire” (Louis sta per Ludovico-Hludovic, o altre forme, usato dai cronisti), assegmaogli dai suoi detrattori, non con il significato di “buono” ma di “bonario”, vale a dire “dalla mente limitata, non molto acuta”.

Ma, a parte, come detto, la mancanza di personalità che gli avrebbe dato la caratura paterna,Ludovico aveva ricevuto una educazione degna di un principe (v. in Articoli: L’educazione del giovane feudatario  ecc.): conosceva il latino scritto e parlato e il greco da poterlo comprendere; tra le letture vi era s. Agostino ma conosceva gli storici antichi e i canti germanici. Di carattere era subdolo, indeciso, debole e indolente, peculiarità che  nascondeva sotto un aspetto di virilità e energia.

Era  stato messo sul cavallo a tre anni; a tredici anni aveva ricevuto l’educazione del futuro guerriero, “di media statura, era cresciuto robusto, dal petto forte con spalle larghe e braccia muscolose; aveva occhi chiari e grandi, naso lungo e dritto, carnagione chiara”.

Ludovico, quando Carlomagno lo aveva associato  all’impero (Aquisgrana, 813), si era pronunciato sulla indivisibilità dichiarando che “non era lecito spezzare l’unità del regno ricevuto da Dio, mediante una spartizione fatta dagli uomini”.

Ma quattro anni dopo la morte del padre (814) si smentiva, dividendo il suo regno (817) fra i figli e attribuendo anche questa decisione alla volontà di Dio: ma era stata la moglie Irmengarda a suggerirla dopo l’incidente che gli era occorso, del crollo della galleria che collegava il palazzo (di Aquisgrana) alla cappella, su cui egli si trovava con tutto il suo seguito.

Egli quindi associava al trono il figlio primogenito Lotario I (che si recava a Roma nello stesso anno, dove lo incoronava  il papa Pascale I appena eletto); assegnando a Pipino II l’Aquitania e la Guascogna;  a Ludovico il Germanico la Baviera, la Carinzia e le Marche Slave e  il resto dell’impero allo stesso Lotario (*).

 

*) La Gallia (secondo il cronista Richer-Richerius) era divisa in tre parti: Il Belgio (che prenderà il nome di Lotaringia-Lorena) si estendeva dai bordi del Reno fino alla Marna (il Reno la separava dalla Germania, così chiamata da “germer”, in quanto aveva germinato numerose popolazioni), e delimitata, di qua, dalle Alpi, di là, dal mare in cui si trova l’isola Britannica. La Celtica si estende in lunghezza dalla Marna alla Garonna, sui fianchi  essa ha per confini  l’Oceano e le isole Britanniche. Tutto ciò che si estende dalla Garonna ai Pirenei pende il nome di Aquitania territorio che tocca una parte dal Reno alla Saona, e l’altra  il Mediterraneo, sicché tutto il territorio della Gallia è limitato a oriente dal Reno, a occidente dai Pirenei, il mare Britannico a settentrione e al sud il Mediterraneo.

 

 

I TRE FIGLI DI LUDOVICO IL PIO

DIVENTANO QUATTRO

 

A

bbiamo visto (nel cit. Art. sulla Dissoluzione... ecc.) che dopo la morte della moglie di Ludovico il Pio, Ildegarda (818), i nobili del suo seguito gli avevano suggerito di sposare Giuditta (figlia di Welf di Baviera) e unanimamente riconosciuta dai cronisti dell’epoca di  rara bellezza.

Giuditta aveva evidentemente  fascino che unito alla scaltrezza usava nei maneggi di corte (per i suoi rapporti con Bernardo di Settimania v. cit. Articolo “L’educazione del giovame feudatario...ecc.), e nel momento in  cui le era nato il figlio Carlo (823), si era battuta per far valere i diritti che sarebbero spettati al figlio di una regina, nella difficile situazione di una divisione dell’impero già predisposta, e giunta inaspettata per gli stessi nobili che avevano suggerito il matrimonio e trovando degli oppositori, primo fra tutti il ministro Wala, che si opponeva alla modifica dei precedenti  accordi di divisione (817).

Giuditta non si era data pace, e agendo su Lotario, designato padrino e padre spirituale di Carlo (che diventerà Carlo il Calvo),  appoggiato dal padre, riuscì a ottenere da lui il giuramento di considerarsi tutore e difensore del giovane fratello contro tutti i suoi nemici e del territorio che il padre gli avrebbe assegnato.

Probabilmente all’assemblea di Worms (829), o con solo decreto scritto di proprio pugno, Ludovico il Pio modifica il precedente atto di divisione (817) fra i tre fratelli e assegna a Carlo il Calvo  l’ “Allemaniache comprendeva l’Alsazia, la Rezia e parte della Borgogna.

Per di più Ludovico mette il pargolo sotto la protezione di Bernardo di Settimania (che era stato a sua volta tenuto a battesimo dall’imperatore), nominandolo ciambellano di corte (v. cit. Articolo “L’educazione del giovane feudatario...ecc..).

Dopo gli  avvenimenti (esaminati nel cit. art. del Disfacimento dell’impero carolingio), che avevano coinvolto i figli di Ludovico il Pio († 840), vediamo ora il susseguirsi dei loro discendenti che nel giro di qualche generazione porteranno alla estinzione della dinastia (v. anche in Genealogie).

Dai primi tre figli della prima moglie Irmengarda, nascono:  (A): Lotario I; (B): Pipino II; (C): Ludovico il Germanico; e dalla seconda, Giuditta (D): Carlo il Calvo;

(A). Lotario I, imperatore  ha tre figli: (a1): Ludovico II, (a2): Lotario II, (a3): Carlo di Borgogna († 863).

(B): Pipino II re d’Aquitania (il cui territorio si estendeva dalla Loira ai Pirenei e come vedremo, suscitava le mire di Carlo il Calvo), muore (864) senza figli.  

(C) Ludovico il Germanico ( 876) al quale passava  il regno germanico; aveva avuto tre figli (C1): Carlomanno; (C2): Ludovico III e (C3): Carlo il Grosso;

Da Giuditta (che aveva avuto anche una figlia di nome Gisella), nasce:

(D): Carlo il Calvo (823-877), il quale, nonostante fosse stato malvisto, osteggiato e combattuto dagli altri fratelli, diveniva re di Francia, e per due anni anche imperatore, incoronato da Giovanni VIII il quale cercava di avere un protettore, titolo che, come vedremo, poi passerà a Carlo il Grosso e  rimarrà definitivamente alla Germania.

Carlo il Calvo († 879) ha tre figli, Ludovico II il Balbo, Ludovico III, morto (882) per  rottura di vena a seguito di uno sforzo durante un’azione, e Carlomanno, morto (884) a seguito  di emorragia causata da una ferita durante una partita di caccia.

Vediamo ora che nel contesto di tutti i territori ereditati da Carlomagno, due erano i principali regni che attiravano le mire altrui: l’Aquitania, che suscitava i desideri di chi regnava sui territori di Francia, e la Lotaringia che si trovava sul confine tra Francia e Germania, e  stimolava gli appetiti dei monarchi dell’uno e dell’altro regno.

 

L’AQUITANIA E LA LOTARINGIA

 

L’AQUITANIA

 

E

ra stata assegnata a Pipino II, appoggiato da Lotario II; contro costoro muovono Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo dai quali sono battuti a Fontenay presso Auxerre (841).

Carlo e Ludovico, al fine di contrastare Lotario II, con il giuramento (843) di Strasburgo (antica Argentoratus-Argentina, mentre il suo nuovo nome deriva da strasse e bourg per la sua posizione di strada di collegamento con l’Alemania), redigendo il celebre atto (*)  nelle due  lingue  todisca (l’atto di Carlo, per essere capito dagli uomini di  Ludovico) e francisca (l’atto di Ludovico, per essere capito dagli uomini di Carlo) sanciva ufficialmente la nascita delle due separate nazionalità, tedesca e francese: ma per il loro consolidamento ci vorrà ancora del tempo!

Nel mese di dicembre di questo stesso anno, Carlo (ventenne) celebra il matrimonio con Ermentrude figlia di Modone e Inghiltrude e nipote di Adalardo il quale, scrive Nitardo (**), “aveva avuto grande influenza su Ludovico il Pio facendogli accordare a chiunque, tutto ciò che a ciascuno piacesse ottenere” (si trattava nella maggior parte dei casi delle concessioni fatte ai vassalli che con le altre operate dai suoi figli, porteranno alla costituzione dei  feudi).  

In questa spartizione l’Aquitania era stata assegnata a Carlo il Calvo, senza tener conto che il titolare fosse Pipino II.

Quest’ultimo, come detto, era stato abbandonato da Lotario II, sostenuto solo dal suo braccio destro Bernardo di Settimania che, convocato da Carlo il Calvo, sarà da questo ucciso (v. cit. Articolo “Educazione del giovane feudatario...ecc..).

Carlo, a seguito di un compromesso con Pipino II al quale con il trattato di Sain Benoit sur Loire (845) aveva lasciato la Provenza, dopo essersi impossessato con la forza di Tolosa, fa prigioniero Pipino il quale però riesce a fuggire, ma è condannato in un giudizio svoltosi a Pitres (864) e va a finire i suoi giorni nel convento di Senlis, nello stesso anno. 

 

*) Per l’amore di Dio e per la salvezza del popolo cristiano è nostro comune...., da questo giorno in avanti, fin quando Dio mi darà il sapere-senno e  il potere, difenderò mio fratello Carlo (nell’altro: Ludovico) che qui, in suo aiuto e con ogni mezzo e anche per dovere, secondo equità difenderà suo fratello  a condizione che anch’egli faccia altrettanto nei miei confronti; e io non prenderò mai nei confronti di Lotario, di mia volontà,  nessuna iniziativa che possa danneggiare il detto mio fratello Carlo, ecc..

**) Nitardo annotava che in quell’anno (843) l’inverno era stato  eccessivamente lungo e rigoroso e abbondante nelle malattie, molto nocivo all’agricoltura al bestiame e alle api.

 

LA LOTARINGIA-LORENA

 

L

’imperatore Lotario I aveva assegnato al secondo figlio (A2): Lotario II (869), il territorio designato come la Belgique, che da lui prende il nome di Lotaringia o Lorena.

Egli muore (863) senza figli e il regno avrebbe dovuto passare a suo fratello (A1): Ludovico II, imperatore e re d’Italia,  il quale, sceso in Italia a combattere i saraceni che avevano invaso il Sud e i signori del ducato di Benevento, muore (875) a Brescia (v. in Articoli:  Il disfacimento dell’impero carolingio).

Già da prima (869), Carlo il Calvo, di propria iniziativa, all’insaputa del fratello, si era recato a Metz e si era fatto incoronare re della Lotaringia.

Il papa Giovanni  VIII, alla ricerca di un protettore, lo trova in Carlo il Calvo che stava scendendo in Italia (875 ) e lo incorona nel Natale dello stesso anno; nel febbraio successivo Carlo, sulla via del ritorno si fa incoronare a Pavia (876) re d’Italia.

Gli vengono però mandati inviati da parte di Ludovico il Germanico che gli ingiungono di ritirarsi dalla Lotaringia; Carlo a sua volta propone la spartizione del territorio, che è subito accettata.

I due convennero, con vescovi e vassalli, Carlo a Herstal e Ludovico a Meersen e dai loro vescovi fu stilato (870) l’atto di divisione che contiene la dettagliata indicazione di tutte le località a ciascuno assegnate, con la linea di demarcazione determinata dai due fiumi dell’Ourthe e della Mosa: a Carlo andava la parte che si trovava a occidente, a Ludovico la parte che si trovava a oriente, con l’impegno che i due monarchi “non avrebbero cercato di impadronirsi dei territori aggiudicati, né con la violenza né con scaltrezza”.

Ma tutti questi accorgimenti non valsero a saziare gli appetiti di Carlo il Calvo il quale alla morte di Ludovico il Germanico (876) andò a occupare il territorio della Lotaringia, precedentemente assegnato al fratello.

Il figlio di Ludovico il Germanico, Ludovico III re di Germania, gli chiese di rinunciare a questo disegno, ma Carlo rimase sordo a tali rimostranze, per cui il giovane principe andò ad affrontarlo con il suo esercito e lo sconfisse nella battaglia di Heyenfeld presso Andernach (876).

Questo fu l’ultimo tentativo di Carlo il Calvo di appropriarsi di territori altrui, perché l’anno seguente (877), tornando dall’Italia mentre attraversava il Moncenisio, moriva anche lui.

Vediamo ora le vicissitudini di ciascuno dei due delineati reami (ancora individuati nei territori dei Franchi Occidentali e Franchi Orientali) con gli ultimi discendenti di Carlomagno, di Francia e di Germania, considerando  che tutto il periodo dalla morte di Ludovico il Pio, fino alla fine dei carolingi, è un periodo  burrascoso di guerre intestine, disordine e anarchia, i cui avvenimenti risultano oscuri e complessi si riesce a ricostruirli con fatica.


LA LOTARINGIA RIVENDICATA

DA FRANCIA E GERMANIA

 

L

a disputa era sorta alla convenzione di Mersen (870) in cui la Lotaringia era stata assegnata alla Germania e costituirà il motivo della contrapposizione tra i due regni, in quanto rivendicata dalla Francia.

I grandi della Lotaringia, gelosi della loro indipendenza oscillavano tra l’uno e l’altro dei monarchi, salvo a invocare nel momento del bisogno, l’aiuto della Francia.

Ciò avvenne quando Raniero dal Lungo Collo, capo dell’aristocrazia lotaringa, fece appello (911) a Carlo III il Semplice eleggendolo re della Lotaringia.

Il figlio di Raniero, Gilberto, si rivolge contro Enrico il Germanico (919) e con il trattato di Bonn (921) si stabilisce lo statu quo” nel senso che Carlo è confermato re dei Franchi Occidentali e Enrico re dei Franchi Orientali.

Carlo  non aveva né risorse di uomini né di beni per opporsi ai feudatari e ciò provoca la sua deposizione (922), sostituito con Raul (Rodolfo) di Borgogna che però trova opposizione da parte dei principi del nord capeggiati da Erberto di Vermandois che detiene le due città di Reims e Laon.

Raul cerca di conquistare il viennese e lionese (che fanno parte del reame di Provenza) ma è troppo debole per poterlo realizzare.

La caduta di Carlo il Semplice, preannuncia quella della dinastia, dovuta alla sua ostinazione a riconquistare la Lotaringia, che alternativamente passa dai francesi ai tedeschi (925) e viceversa;  d’altronde costituisce l’unico territorio per questo ramo dei carolingi su cui poter avanzare pretese dinastiche...in mancanza dell’uso della forza!

 

RAMO DI FRANCIA

A

bbiamo visto che dei figli di (A) Lotario I: (a1) Ludovico II re d’Italia ( 875) mette al mondo solo due femmine, Ermengarda (il cui nome ricorda la sfortunata figlia di Desiderio, moglie ripudiata di Carlomagno, v. in Specchio dell’Epoca: Il Gineceo di Carlomagno) e, Angilberga, e con costoro il ramo da lui rappresentato si estingue.

Gli altri due fratelli, (a2) Lotario II re della Lotaringia ( 869)  sposa Teotberga figlia di Bosone (in Articoli, v. cit. Disfacimento dell’Impero ecc.), ripudiata e sostituita da Gualtrada, senza che nessuna delle due gli avesse procreto figli.

 E il terzo figlio di (a3) Carlo di Borgogna († 863), non ha discendenti e così quest’altro ramo  si estingue.

(D): Carlo il Calvo (823-877): dalla prima moglie Ermentrude (.869) aveva avuto  quattro figli, (d1) Ludovico II il Balbo ( 879) che gli succede, Lotario deceduto, (d2): Carlo  d’Aquitania morto senza eredi  (866); Carlomanno e Giuditta (che sposa  Baldovino I di Fiandra). In seconde nozze sposa la sua concubina Richilde dalla quale nascono quattro figli, tutti morti in giovane età

 (d1): Ludovico il Balbo a sua volta aveva avuto tre figli, dei quali,  i primi due dalla prima moglie Ansgarda (figlia del conte Arduino): Ludovico III ( 880) e Carlomanno (884)  che si dividono il regno, muoiono anzitempo. Ludovico III aveva sposato Ansgarda per volontà del padre il quale poi gli impone di ripudiarla e sposare Adelaide incinta del suo terzo figlio.

Infine  Carlo III il Semplice  (879-929), dopo varie vicissitudini, raccoglie nelle sue mani le eredità dei suoi fratellastri e diventa re di Francia (v. sotto).

 

RAMO DI GERMANIA

 

A

bbiamo visto che Ludovico il Germanico aveva avuto  tre figli: Carlomanno, re di Baviera e d’Italia, Ludovico III re di Germania e Carlo il Grosso che  da Carlo il Calvo, prende la corona di imperatore.

Carlo il Grosso (888) riconosciuto re di Francia all’assemblea di Ponthieu (885) si era trovato ad avere riunito nelle sue mani tutto l’impero carolingio, ma non fu in grado di mantenerlo nei tre anni che gli erano rimasti da vivere.

Grosso di corpo, debole di spirito e privo di coraggio, non fu capace di difendere il regno dai Normanni mostrando la sua viltà quando essi avevano posto l’assedio a Parigi (886) e i suoi sforzi per assicurare al figlio bastardo Bernardo, decisero la sua rovina.

Deposto alla dieta di Tribur (887), morì due mesi dopo (888), non senza aver avuto qualche anno prima (887) una disavventura familiare con la moglie Riccarda, accusata d’infedeltà: egli la ripudiò e la regina chiese il giudizio di Dio, ma lui la mandò nell’abazia di Andaleau in Alsazia che lei aveva fondato. Si dice che il suo cervello, negli ultimi tempi si fosse indebolito, ma la sua morte aveva eliminato ogni problema.   

Bernardo (890) muore senza eredi e rimane il ramo di Carlomanno il quale ha un figlio anch’egli illegittimo Arnolfo di Carinzia (887- 896) che assume, senza contrasti e resistenze, il titolo di re di Germania.

Con Arnolfo, si ha lo smembramento dell’antico regno di Ludovico il Germanico: Mentre la parte dei Franchi Occidentali seguiva le sue sorti, i territori che gli rimanevanto della parte orientale venivano ulteriormente smembrati.

Infatti, per fronteggiare le spinte autonomistiche dei grandi feudatari è costretto ad appoggiarsi alla Chiesa, in particolare ai vescovi, ai quali concede feudi e immunità, con la conseguenza che ha inizio la politica tipicamente tedesca dell’antagonismo tra feudalità laica e la potente feudalità ecclesiastica.

Arnolfo era stato a Roma per farsi incoronare, ma i romani gli opposero resistenza  che riuscì a vincere e fu incoronato da papa Formoso (896).

Tornando in Germania la trova nella più completa anarchia (la stessa che travagliava la Francia) e muore due anni dopo (899), con sospetto di avvelenamento.

Alla sua morte, gli succede come re di Germania, il figlio Ludovico IV il Fanciullo (896-911) avuto da una concubina, mentre l’altro figlio Sventiboldo († 900) diventa re della Lotaringia. 

Ludovico il Fanciullo, re di Germania  non aveva saputo far fronte agli attacchi dei Normanni, Moravi e Ungari, e i singoli feudatari erano stati costretti a difendersi per conto proprio. L’unità del paese subisce uno sgretolamento del quale ne approfittano i grandi feudatari per rendere autonomi i loro feudi, costituendo i ducati di Sassonia, Franconia, Baviera, Svevia e Lorena. Egli, dopo un attacco di Magiari fugge a Ratisbona dove muore all’età di venti anni (911).

Morto Ludovico il Fanciullo sale al trono il duca Corrado di Franconia (911-919) che per le sue particolari doti riesce a mantenere  l’unità dei feudatari, ma muore lasciando la Germania divisa e in preda a una quasi totale anarchia.

Gli succede Enrico l’Uccellatore (919-936), della casa feudale di Sassonia che riesce a sottomettere gli altri duchi, costringendoli all’omaggio feudale.

Con la cacciata degli Ungari, Enrico I riesce ad  aumentare il suo prestigio, ottenendo dai feudatari, alla sua morte, la elezione del figlio Ottone I (936-973) il quale provvede a consolidfare il suo potere in Germania, seguito dal nipote Ottone II (973-983) e pronipote Ottone III (983-1002) i quali pongono le basi  del futuro Sacro Romano Impero Germanico

 

CARLO III IL SEMPLICE

 

I

l soprannome gli era stato dato in senso spregiativo, per aver dovuto prendere la decisione, quando regnava, del riconoscimento al normanno Rollone, del ducato di Normandia,  ma di carattere era sincero e leale e dallo spirito lucido e risoluto”.

Di lui all’età di otto anni si era preso cura come un padre, Folco, arcivescovo di Reims, che per la giovane età non poteva metterlo sul trono.

Di questa  situazione ne approfittarono gli avidi vassalli, ciascuno dei quali cercava di ingrandire il proprio patrimonio a spese degli altri, e nessuno pensava a difendere il re e il regno con la conseguenza, come scrivono i cronisti,  che la discordia portò rovine,  incendi, saccheggi e devastazione”.

I vassalli (che in questo periodo, con le concessioni ricevute - come vedremo in apposito articolo - possiamo già definirli feudatari), riconosciuta la necessità, attesa la minore età di Carlo, elevano al trono Eude-Oddone (888), figlio di Roberto il Forte  discendente dal germano Vitichingo (Witichin), il quale aveva ottenuto (861) il titolo di duca  della Celtica (o Gaule o Neustria che diventerà Francia) .

Eude nello spazio di cinque anni, per sette volte (come scrive Richer) aveva combattuto  e disfatto i Normanni, e per nove li aveva messi in fuga, lasciando, dopo la loro espulsione, il territorio saccheggiato, seguito per di più da una gran carestia “la terra rimase incolta per tre anni,  non si faceva alcun commercio di vino in quanto le vigne erano state tutte  distrutte”.

Nel frattempo  Carlo (nato nell’anno 879), aveva raggiunto il quindicesimo anno di età (*) e il vescovo, Folco ritenendolo legittimato ad avere il regno, avuta la disponibilità dei principi del Belgio e della Celtica e approfittando della assenza di Eude che si era recato in Aquitania  per ridurre all’obbedienza quei signori pensò di incoronarlo. Riunì quindi a Reims (893) i vescovi del Belgio, i metropoliti di Colonia, di Treves e Mayence con i loro vescovi sostenitori, e i vescovi di Laon, Chalons, e Therouanne, con l’assenso dei conti Erberto di Vermandois e Pipino di Senlis, provenienti dalla schiatta di Carlomagno, lo  incoronò nella chiesa di Saint Remy.

Ma Eude rinetrato, costrinse il giovane re a darsi alla fuga e perseguì quelli che lo avevano eletto; Carlo cercò rifugio in Lotaringia e dopo, in Borgogna presso Arnolfo di Carinzia (v. in Ramo Germanico) dal quale sperava di ottenere soccorso...e Arnolfo intervenne ...ma solo per assicurare la corona della Lotaringia al figlio Sventiboldo.  

Arnolfo infatti aveva convocato Eude e Carlo all’assemblea a Worms, dando l’impressione di volerli conciliare; a questa assemblea (896) Carlo non partecipa personalmente (per la sua giovane età) ma vi giungono inviati in sua rappresentanza, mentre Eude giunto  di persona fu accolto con molti onori.

Egli ottenne, come scrivono le cronache, tutto quello che auspicava, vale a dire il suo riconoscimento di re della Neustria, ma dovette assistere alla elevazione di Sventiboldo al trono della Lotaringia, mentre a Carlo fu concessa una frazione di territorio (probabilmente la contea di Laon e il Rèmois).

Dopo due anni Eude preso da depressione (all’epoca era considerata malinconia), “aggravatasi” (come scrive il cronista) “in alienazione mentale, morì di follia, secondo alcuni  o di delirio secondo altri” (898) all’età di quarant’anni, e Carlo ottenne finalmente il regno.

I Normanni nel frattempo, invasero la Borgogna dandosi ai saccheggi e dovette intervenire l’imperatore per scacciarli, ma non si riuscì a mandarli oltre la Manica, e i Normanni si fermarono, nella  penisola di Bretagna, nella parte inferiore della Senna, col ricco bottino di donne, fanciulli e bestie. Carlo dovette riconoscere a Rollone la investitura ducale (trattato di Saint Claire sur Empte del 911) di quel territorio che  prese il nome di Normandia e diverrà la base per le future diramazioni e conquiste normanne in Inghilterra e sud Italia.

Nel frattempo muore Ludovico  il Fanciullo (912) e Carlo, dopo quattordici anni, raccolse anche l’eredità della Lotaringia, i cui vassalli chiedevano il riconoscimento dei loro diritti feudali, che riuscirono a ottenere.

 

*) Si tenga presente che non vi è nessun errore nell’indicazione del compimento dei quindici anni, come potrebbe apparire, essendo Carlo, nato nell’879, quindicenne nell’ 893 e non quattordicenne, in quanto alla nascita si riteneva che il neonato avesse un anno, e il nuovo anno non si calcolava dal mese di gennaio, ma dalla Paqùsqua.

 

IL CARATTERE

 

D

ivenuto re Carlo il Semplice si mostra pieno di benvolenza; egli aveva un bel corpo e di natura era semplice e buono; aveva poca attitudine per gli esercizi militari ma era molto versato per lo studio delle lettere; donava con liberalità e non conosceva l’avarizia. Aveva due grandi difetti: “amava in eccesso i piaceri e non aveva troppo a cuore rendere la giustizia”.

I principi della Gallia si legarono a lui per affetto e per giuramento: lo stesso Roberto, fratello di Eude, uomo abile e pieno di coraggio non gli rifiutò l’aiuto militare (tutti e due, con il padre avevano il titolo di duchi e di conti di Parigi) e lo accompagnò presso le piazzeforti di cui prese possesso senza difficoltà. Poi nominò per i Sassoni, Enrico (Enrico I l’Uccellatore), duca, di razza reale e originario del paese.

Il re aveva una predilezione particolare per Aganone,  e lo aveva tolto da un rango oscuro per elevarlo al potere.

Aganone era sempre con lui e spesso si divertiva pendendogli il cappello dalla testa e mettendolo sulla sua; questa intimità indispettiva i nobili del seguito che si lamentavano che il re avesse preso presso di sé come consigliere,  un uomo di nascita oscura che avviliva la dignità reale. Era come se essi avessero colpa della nobiltà e minacciavano, se non avesse eliminato tale familiarità, di ritirarsi da membri del consiglio. Carlo non teneva conto di tali rimostranze e non allontanava il suo favorito.

Una volta Enrico di Sassonia e e il duca Roberto si erano recati a palazzo per conferire con il re “e per  quattro giorni non avevano ricevuto risposta”. Enrico, irritato, aveva commentato:  o Aganone regna con Carlo o Carlo e Aganone  si sono ridotti alla condizione di semplici segretari”, e si allontanarono con indignazione “da questo re insensato”. Si era verificato anche un altro inconveniente.

Il re a Soissons riceveva pubblicamente tutte le persone di media condizione che vi accorrervano per visitarlo e alle udienze Carlo era seduto al centro, alla sua destra aveva Roberto e alla sua sinistra Aganone. In una di queste udienze Roberto “covava  una segreta indignazione nel vedere un uomo di bassa estrazione trattato come suo eguale e messo al di sopra dei grandi”.

Reprimendo la collera e dissimulando il suo risentimento, si allontanò per consigliarsi con i suoi, e mandò un messaggio a Carlo per dirgli “che non poteva sopportare che Aganone fosse messo sul suo stesso rango e preferito ai grandi del regno, e che gli pareva indegno che il re si legasse a un uomo di questa specie, mettendo da parte i più nobili della Gallia; e se Carlo non avesse fatto rientrare Aganone nella primitiva condizione, lo avrebbe fatto lui senza pietà”.

Il re, non potendo accettare l’oltraggio fatto al suo favorito, rispose “che avrebbe potuto più facilmente privarsi di tutti gli altri, che della intimità di Aganone”.

Ciò indispettì a tal punto Roberto che partì senza attenderne il permesso, con la maggior parte dei principi (a eccezione di Ervé, vescovo di Reims che si preccuperà di ricoconciliarli) e si ritirò a Tours con gran risentimento per la condotta del sovrano.

Roberto si rivolse quindi a Baldovino di Fiandra (la cui madre era Giuditta, figlia di Carlo il Calvo) che aveva abbandonato il partito del re, per legarsi a quello del duca Roberto.

 

LE SOFFERENZE PROVOCATE

DALL’ “ANATEMA

 

I

l re partì per una spedizione contro Baldovino di Fiandra (899) e mise l’assedio a Arras che tolse a Baldovino concedendola all’arcivescovo Folco con l’abazia di San Vasto, il quale, per la distanza e la scomodità per raggiungerla, la scambiò con l’abazia di san Medardo del conte Altmaro, unitamente al castello di Arras.

Baldovino indispettito fece ammazzare Folco da un suo sicario di nome Vinemaro (Winemare), contro il quale i vescovi lanciarono l’anatema, che all’epoca, nella ingenua credulità generale si riteneva fosse causa di indicibili sofferenze, che non solo allontanavano l’anatemizzato dai suoi cari e lo facevano morire senza i conforti religiosi, ma era considerato il peggiore dei mali (anche fisici) che potessero capitare, in quanto premessa delle sofferenze riservateal malcapitato, nell’Inferno!

Nel caso di Vinemaro sono descritte con abbondanza di particolari dal cronista, che, come monaco ci credeva anche lui: “Dio lo colpì con una incurabile idropisia; mentre il suo corpo si gonfiava, un fuoco lo bruciava esteriormente e all’interno un violento incendio lo divorava. I suoi piedi subirono un considerevole rigonfiamento e dalle sue parti naturali uscivano dei versi; le sue gambe erano gonfie e lucide, il suo alito fetido, la colica faceva uscire poco a poco i suoi intestini e con tutto questo egli provava una sete intollerabile; alle volte sentiva il desiderio di mangiare, ma ciò che gli veniva presentato gli suscitava disgusto; era in preda a una continua insonnia. Divenne insopportabile a tutti e per tutti oggetto di orrore. I suoi amici e i suoi domestici si allontanarono da lui non potendo sopportare il fetore del suo corpo, tale che nessun medico poteva avvicinarlo neanche per curarlo. Divorato da tutte queste afflizioni, privato della comunione cristiana, corroso dal suo  gesto infame e sacrilego egli fu respinto da questa vita”.

Roberto continuava a tenere alle strette Carlo, attraverso i grandi, i quali, nel suggerire di allontanare Aganone, agivamo piuttosto nell’interesse di Roberto, non perché  ritenessero possibile l’allontanamento, ma per preparare a Roberto l’accesso al trono.

Il re continuava a rispondere che mai si sarebbe separato da Aganone, e Roberto, alla fine, decise di inviare messaggeri da Enrico I perché lo aiutasse a detronizzare Carlo, e forte dell’adesione di Enrico,  incominciò a  prepararsi per impossessarsi del trono, facendo a tutti grandi liberalità e promesse.

Con i grandi, Roberto concordò di recarsi a palazzo dov’era il re, e di tenervelo prigioniero, e così fecero.

Ma il vescovo Ervé che vegliava sul re e aveva presentito una mossa del genere, giunse  al palazzo con i suoi soldati, chiedendo dove fosse il re; gli fu risposto che “era di là che teneva consiglio”. Il vescovo forzata la porta entrò trovando il re seduto con poche persone, che erano quelle messe lì per tenerlo sotto guardia.

Il  vescovo capita la situazione, si rivolse al re, dicendogli: “vieni mio re, segui i tuoi servitori” e lo portò via passando in mezzo a coloro che lo avevano fatto prigioniero. Il re montato a cavallo  e uscito dalla città con il seguito del vescovo (di centocinquanta uomini d’arme), fu portato a Reims.

Dopo la partenza del re, i sequestratori, furiosi per la vergogna di essere stati giocati,  tornarono confusi da Roberto al quale riferirono quanto era successo.

 

L’INFIDO GISLEBERTO

SEMPRE PRONTO A TRADIRE

 

C

arlo si rivolge a Gisleberto (duca di Lorena) il più potente vassallo del regno, tenuto in grande considerazione dal suocero Enrico di Sassonia, del quale aveva sposato (926) la figlia Gerberga.

Costui era figlio di Raniero dal Lungo Collo ( 910) che aveva un sercondo figlio con il suo stesso nome, Raniero II conte di Haineau, ognuno dei quali, dal re, al momento dell’insediamento, era stato riconfermato nel rango.

Gisleberto è stato descritto  di taglia media ma grosso con membra forti, il collo robusto,  gli occhi cattivi e strabici e talmente mobili che non si riusciva a vederne il colore; i suoi piedi in continuo movimento, il suo spirito leggero, il suo linguaggio oscuro, le sue domande fallaci, le sue risposte, equivoche: raramente vi era coerenza e chiarezza in ciò che diceva. Eccessivamente prodigo nei suoi beni, bramava avidamente quelli degli altri; mostrava benevolenza di fronte ai superiori e suoi pari ma in segreto aveva invidia nei loro confronti; le discordie e i litigi gli procuravano grande gioia”.

Egli nutriva nei confronti di Carlo una grande avversione e meditava continuamente la sua rovina, in quanto desiderava avere il regno, non per Roberto ma per stesso.

Con  i grandi era molto liberale e ad essi distribuiva parte dei suoi beni, ai più importanti donava terre o superbi palazzi; conquistava i piccoli con forti somme di oro e di argento; “a questo modo, aveva portato dalla sua parte un gran numero di persone, ma sconsideratamente, in quanto non le legava a sé con giuramento per poter consumare i suoi crimini:  per questo  si vide facilmente abbandonato da tutti quelli che aveva beneficato”.

Carlo, avendo saputo tutto questo, si recò con l’esercito nella Lorena per portar guerra ai belgi (lorenesi) i quali con Gisleberto non osarono affrontarlo e si rinchiusero nelle fortezze e nelle città.

Il re mandò a coloro che lo avevano abbandonato dei messaggeri, facendogli dire che con un solenne decreto reale avrebbe confermato tutte le donazioni fatte da Gisleberto, in terre e palazzi, e che egli avrebbe preso le loro difese nei confronti di Gisleberto, se questo avesse tentato di riprendere tutti i benefici che essi avevano ottenuto. Con questa promessa, tutti si recarono dal re per prestargli giuramento e a tutti furono confermati i benefici ricevuti e tutti si unirono al re per andare contro Gisleberto.

Ma questo lo prevenne, e si recò dal re per chiedere il suo perdono e la sua benevolenza, assicurando che avrebbe mantenuto il riconoscimento dei benefici e chiedendo per sé solo i benefici di coloro che erano morti durante l’anno (che erano la più gran parte), che il re, con la mediazione di Enrico, gli concesse.

Nel frattempo il re si recò a combattare i Normanni che infestavano il regno e Gisleberto, libero dalla presenza del re, incominciò a maltrattare tutti quelli che dal re avevano ricevuto il possesso dei benefici.

Faceva infatti prendere segretamente alcuni o trattava con violenza e senza tregua altri, per far lasciare ciò che essi possedevano. Alla fine riuscì a rientrare nel possesso dei suoi beni e si mise a complottare contro il re “più furiosamente che mai”.  

Gisleberto si recò dal suocero Enrico per chiedere aiuto, dicendogli che per il re sarebbe stata sufficiente la Celtica (Borgogna), mentre il Belgio (Lotaringia) e la Germania avevano assolutamente bisogno di un altro capo, e gli suggeriva di non respingere la corona che gli veniva offerta. Ma Enrico “non prestava orecchio a queste proposte criminali e gli suggeriva di abbandonare questi deplorevoli progetti”.

Gisleberto dunque, non avendo potuto avere aiuto da Enrico, si recò da Roberto a Soissons dove convennero tutti i grandi e concordarono di detronizzare Carlo. Roberto ebbe il voto di tutti i signori presenti e fu  incoronato a Reims, nella chiesa di Saint Remy (923) dal vescovo Ervé, che morì tre giorni dopo a causa di lunga malattia. 

Carlo sconsolato diceva ai suoi che avrbbe preferito morire piuttosto che perdere il trono; i suoi sostenitori decisero che occorreva muovere contro Roberto e preparate le truppe e si combattè l’ultima guerra di un re della dinastia Carolingia, con il nuovo aspirante al regno.

 

L’ULTIMA GUERRA

DI UN CAROLINGIO

 

C

arlo dispose le sue truppe per la guerra dirigendosi verso la antica residenza reale di Attigny (923).

La sua armata era formata da una avanguardia di seimila uomini vigorosi il cui comando era stato assegnato al conte Fulberto, di origine consolare; egli stesso si mise al comando di quattromila uomini, in riserva nel caso di bisogno.

Roberto aveva il doppio degli uomini; i vescovi e gli altri ecclesiastici che accompagnavano Carlo (in assetto di guerra in quanto gli ecclesiastici erano prima di tutto guerrieri con l’obbligo di portare la spada nda.), gli suggerirono di non prendere parte al combattimento perché la razza reale non doveva estinguersi nel mezzo di una mischia, per cui, sollecitato da varie parti, egli mise alla testa dei quattromila uomini Agraldo, anch’egli di rango consolare, che rimase in attesa su un poggio che dominava la pianura (dove vi era una chiesa dedicata alla vergine Genoveffa).

L’armata procede a corpi serrati, Roberto avanza con ugual coraggio con una truppa più numerosa. Quando le due truppe si scontrano la terra si riempie di morti; non si sapeva dove fosse il re (che contrariamente a quanto detto da alcuni cronisti, non combatteva), ma si vide un guerriero combattere con furore e quando chiesero se fosse  Roberto, “egli scopre fieramente la sua barba e si fa riconoscere”; in questo momento  Fulberto lo colpisce con un vigoroso colpo di spada ferendolo mortalmente e mentre Roberto,  si riversa sul fianco destro, “gli infligge un colpo di lancia che per difetto della sua corazza gli attraversa il fegato, il polmone e l’ipocondrio sinistro”.

Fulberto, assalito dagli altri guerrieri da sette colpi di lancia, spossato dalla perdita di  sangue, cade senza vita ancora combattendo.

Dopo la morte di Roberto, le due armate combatterono con tale accanimento che, secondo il rapporto di Flodoardo, morirono, dalla parte di Roberto, undicimila uomini, dalla parte di Carlo settemila.

Carlo non si considerò vincitore per la morte dell’usurpatore, “dunque”, scrive il cronista, “il vantaggio fu incerto e Carlo non ottenne alcuna spoglia e né gli uni, né gli altri si impossessarono del bottino: l’occasione (del bottino) non era mancata a Carlo, ma egli era estraneo alla cupidigia e non ne approfittò”.

I Galli, persistendo nella difesa della usurpazione chiamarono Raoul (Rodolfo), figlio di Riccardo di Borgogna e lo elessero re, malgrado il suo rifiuto.

Il conte Erberto di Vermandois, che si trovava tra i cospiratori, mandò a dire al re “che lui si trovava in quella posizione suo malgrado e invitava il re a un incontro in quanto aveva trovato un eccellente rimedio al male, e poteva ricevere dagli stessi inviati il giuramento di fedeltà”.

Il re si recò da Erberto e dopo averlo abbracciato, con i pochi presenti, si misero a conversare con familiarità. Ma durante la conversazione, Erberto fece intervenire una truppa di armati  che circondò il re il quale,  preso alla sprovvista, non oppose nessuna resistenza; qualcuno dei suoi riuscì a fuggire mentre il re fu portato a Peronne e lì tenuto prigioniero.

 

L’ECLISSI DI LUNA PREANNUNCIA

LA DISCORDIA TRA ERBERTO E RAOUL

MORTE DEL RE

 

U

na eclissi di luna (*) preannuciava una discordia tra Raoul e Erberto: questo infatti,  aveva chiesto a Raoul la contea di Laon che Raoul gli rifiutò in quanto l’aveva accordata a Ruggero, figlio del conte Ruggero, per cui Erberto incominciò a cospirare contro Raoul.

Erberto scrisse al papa  dicendo che “non aveva nulla da dividere con i complici che avervano congiurato contro il re Carlo e che desiderava che gli fosse restituito il trono e che il papa usando la sua autorità apostolica, ordinasse che questo gli  fosse restituito al re detrionizzato, sotto pena dell’anatema e di una eterna maledizione contro chiunque si fosse opposto alla sua sentenza”; chiedeva inoltre che il papa  “scrivesse ai principi di  Gallia e Germania inviando benedizioni per i buoni, maledizioni  per gli oppositori”.

Ma gli inviati giunti a Roma non avevano potuto adempiere al loro compito perché il papa era stato imprigionato dal marchese di Toscana (Guglielmo fratello di Ugo di Provenza, re d’Italia, v. in Articoli: Storia sconosciuta dei primi re d’Italia) e se ne dovettero tornare  senza aver potuto consegnare la lettera.

Erberto, a questo punto ritornò sui suoi passi e pensò di allearsi con Ugo figlio del defunto duca Roberto, cosa che ottenne con giuramento di fedeltà. Con l’aiuto di Ugo, Erberto riprese i suoi rapporti con Raoul-Rodolfo.

In seguito alla riconciliazione, chiese e ottenne per il figlio ancora fanciullo, l’episcopato di Reims. Non potendo il fanciullo esercitare le funzioni vescovili, per la reggenza dell’episcopato fu nominato il vescovo Olderico.

Nel frattempo Raoul si recò a trovare Carlo nella sua prigione pregando lo sfortunato re e supplicandolo ripetutamente, di perdonarlo se riteneva che gli avesse  arrrecato qualche offesa. Raoul gli disse che non poteva restituire interamente il potere di cui era stato rivestito, “ma gli avrebbe restituito ciò che la ragione avrebbe consentito” (vale a dire la residenza  reale di Attigny e del Pouthion).

Dopo poco tempo Carlo, “per la tristezza aveva contratto una malattia di consunzione e morì dopo aver languito lungamente” (929).

Il dissenso tra Erberto e il re Raoul riprese con furore in quanto essi fecero ricorso a saccheggi e incendi. Il re si dichiarò contro Erberto, che ben sapeva come fosse disposto al tradimento, e si alleò con il duca Ugo, col quale andò a mettere sotto assedio una piazzaforte di Erberto chiamata Doulens; mise sotto assedio e prese anche Arras dove si legò agli abitanti con giuramento.

Se ne stava allontanando tranquillamente, quando Erberto chiamò in suo soccorso i lorenesi che abitavano ai bordi del Reno, e marciò contro di lui segnando il percorso di saccheggi e incendi. Prese e saccheggiò una piazzaforte di Ugo, chiamata Baine, posta presso il torrente Vesle.

Raoul decise quindi di distruggere la potenza di Erberto e si rivolse ai cittadini di Reims dov’era l’abbazia concessa al figlio, con l’ordine di scegliersi un vescovo; i cittadini risposero “di aver eletto e ricevuto come vescovo il figlio di Erberto, al quale avevano prestato giuramentto di fedeltà,  non potevano ora abbandonarlo senza violare il giuramento”.

Il re, avendo capito che quei cittadini erano favorevoli a Erberto e gli rifiutavano l’ingresso in città, la mise sotto assedio, per far pressione su di essi; costoro resistettero, ma alla fine della terza settimana, aprirono le porte, supplicanti.

Il re, dopo un discorso col quale sottolineavache essi proteggevano il figlio di un tiranno e che la Chiesa non poteva attendere così lungo tempo per la crescita di un fanciullo, privata così di un pastore”, convinse i cittadini che cedettero alla sua volontà e affidò il monastreo al monaco Artoldo.   

Presagi funesti  preannunciavano altre sventure (934): “si videro una moltitudione di fuochi e fiamme di sangue che attraversavano il cielo come frecce o serpenti. Sopravvenne una malattia contagiosa che provocava bubboni di risipola  (produceva infiammazione della pelle, accompagnata da febbre nda.) che fece morire un numero rilevante di persone”.

Poco dopo seguì la morte del re (936) “colpito”, scrive un cronista, “da cachessia ossia da cattiva disposizione del corpo”; altri fanno riferimento alla pedicolosi”, malattia della pelle  provocata dai pidocchi, non dignitosa per un re, ma a quei tempi la pulizia del corpo, contrariamente ai romani e ai bizantini, in occidente era completamente sconosciuta.

 

  *) Il cronista racconta che “in quei giorni” (927) “avvenne una eclissi di luna, portatrice di mali: la luna,

per l’interposizione della Terra, si era completamente oscurata alla vista degli uomini; a Reims, si videro in cielo una moltitudine di fuochi. Questi presagi furono seguiti da un insieme di febbri e tosse; alcuni ne furno mortalmente colpiti, soccombendo”.

Dai tempi dei testi sacri indiani e della Bibbia e per tutto il medioevo vi sono sempre stati avvistamenti di vario genere che hanno dato luogo ai fenomeni degli UFO, così classsificati gli oggetti non identificati del terzo tipo, da cui è sorta la improbabile teoria ”degli antichi astronauti” che avrebbero dato vita all’essere umano, mentre è oramai certo che la vita, primordiale e monocellulare, sia arrivata dallo spazio con i meteoriti, trovando sulla Terra le condizioni per svilupparsi ed evolversi.   

 

 

FINE

 

segue parte seconda