RIVISTA STORICA VIRTUALE
San Tommaso
FISIONOMIA DEL CRANIO
DA G.B. DELLA PORTA A C. LOMBROSO
MICHELE E. PUGLIA
G |
ian Battista della Porta (1535-1615), uomo
d’ingegno: oltre che filosofo e commediografo era anche scienziato, aveva
scritto numerose opere tra le quali uno sulla magia naturale che per lui consisteva nella osservazione, nell’uso e nella
conoscenza delle cause naturali, il libro era intitolato “Della magia naturale
ossia dei miracoli” (Magiae naturalis
sive de Miraculis rerum naturalium libri IV), che costituisce un insieme di pratica
magica e ricerca scientifica che spazia tra ricerca e fantasia (p. es. dal metodo per avere figli belli o pesche senza nocciolo, alla
descrizione di mostri volanti), rifuggendo dalla magia nera e dal ricorso
all’uso delle forze sataniche, ma ciò non gli evitò un processo per
stregoneria.
Tra l’altro aveva trattato anche l’argomento
degli specchi ustori (quelli già creati da Tolomeo per bruciare le navi romane)
e fatto uno studio sulle lenti concave che ingrandivano o rimpicciolivano gli
oggetti. Dal che aveva conteso al contemporaneo Galileo l’invenzione del
cannocchiale riconosciutagli però da Keplero. In effetti D.P. aveva studiato le lenti ma non era arrivato
alla loro applicazione al cannocchiale fatta da Galileo.
Aveva scritto il trattato “Della fisionomia dell’uomo”, in
sei capitoli in cui, nei primi quattro passa in rassegna tutte le parti del
corpo dalla testa ai piedi fino alle unghie; nel quinto le varie figure umane
(giusto, ingiusto, pusillamine, iracondo, loquace
ecc.).
Il sesto è il capitolo della speranza. Vale
a dire che dopo aver parlato di tutti i difetti possibili
e immaginabili dell’uomo (e in tutto il
libro non se ne salva nessuno!), Lombroso suggerisce come
si possano convertire tutti i difetti in
fattori positivi (come convertire un
ingiusto in un giusto; come convertire i malinconici e pazzi in sani e allegri;
come convertire i pigri e sonnacchiosi farli diligenti e vigilanti), ma le
cure sono altrettanto improbabili perché per far diventare un uomo “ignorante” in “savio e prudente”, a parte l’influenza del clima dei quali “quelli che abitano sotto il Settentrione
sono rozzi e ignoranti” mentre “al
contrario quelli che abitano sotto
“acuiscano
l’ingegno e rendano l’uomo ben costumato e facondo,applicazioni
di gemma alettoria (che si riteneva si trovasse
nello stomaco dei galli), e di smeraldo…accompagnate
da un buon bicchiere di vino “che non solo giova alla natura umana , ma fa
chiaro e purgato l’osccuro e torbido ingegno e
scaccia quei caliginosi fumi che vanno al core, al cervello e produce molte
altre cose buone”.
Passiamo ora ad esaminare le varie tipologie
della testa. Della Porta nella parte riguardante il “capo”, lo distingue in diverse forme,
rapportandolo a quello degli animali e rifacendosi alla autorità di pensatori
dell’antichità come Aristotele (384-322), Alberto Magno, san Tomaso oppure a
medici come Ippocrate (460?-370?), Galeno (129-201), ed
altri autori, come Aristofane (450/45-390/80), che in
qualche modo, nelle loro opere, avevano affrontato l’argomento.
Costoro ritenevano, come altri studiosi che nel
tempo avevano seguito Della Porta, da Johann Kaspar Lavater (1741-1800) fino a
Lombroso, che ogni essere umano avesse dei segni
particolari incisi nel proprio corpo dai quali si potevano carpire non solo il carattere
ma le predisposizioni.
Tutte le caratteristiche che erano state
codificate, dalle quali si erano fatte derivare diverse tipologie umane, con
pregi e difetti, non sono state accettate dalla scienza moderna e qindi sono da ritenere ormai superate, anche alla luce
della nuova scienza costituita dalla genetica ...che però qualcosa
conferma, essendosi trovato che caratteristiche soggettive relative alla personalità sono impresse nei
caratteri genetici del DNA.
Ma, come avviene per l’astrologia che pur non assicurando certezze, viene
seguita da milioni di individui, anche la fisiognomica è ancora seguita e
ne parliamo solo per il carattere di curiosità che può avere oggi e come “divertissement”,
ma anche per renderci conto che grandi personaggi, tra i quali grandissimi come
Platone e Aristotele*, al di fuori delle materie speculative
ad essi più consone, nel campo scientifico avevano preso abbagli pari alla loro
grandezza..
*) Si tenga presente che
l’opera “Phisiognomica” da cui attinge Della Porta,
attribuita ad Aristotele è stato accertato che è un’opera apocrifa, di questo però Della Porta era ignaro.
LE DIVERSE TIPOLOGIE
DEL CRANIO E DELLA PERSONALITA’
La distinzione fondamentale secondo Della
Porta, alla quale si rifà anche Lombroso, è quella
delle tre tipologie (in funzione della larghezza del cranio e dell'altezza): dolicocefalo, è il cranio lungo, al quale è dato valore fino a 75; mesocefalo, è il cranio medio al
quale è dato valore da
A questa, si aggiunge una seconda tipologia
in funzione verticale, e così abbiamo: i platicefali, con il cranio basso; gli ortocefali, con il cranio di
media altezza; gli ipsocefali con il cranio alto.
La testa grossa dice Della Porta,
richiamandosi alla autorità di Polemone (filosofo tra
IV e III sec.) e Adamanzio (medico ebreo del 415
d.C.), indica rozzo ingegno, dappocaggine e indocilità. Essa è paragonata alla
testa dell’asino che ha gran capo ed è stolido, vile e di basso animo (povero asino che
con la sua pazienza ha accompagnato e servito l’uomo nel corso della sua storia
ma sempre ripagato a bastonate! ndr.).
Tra i volatili
hanno il capo grosso l’allocco e la civetta, animali notturni che di giorno
sono spennacchiati da tutti gli altri uccelli per la loro natura timida e
poltrona.
Tra i pesci vi è il cefalo, detto capitone,
da tutti stimato sciocco e ridicolo e tutti si fanno beffe della sua natura. Quando
ha paura, nasconde il capo e si considera salvo, come riferisce Aristotele, e
sempre secondo Aristotele, chi ha la testa più grande del giusto è sonnacchioso
e secondo Alberto Magno (1193 c.a-1280) nel libro degli Animali, chi ha la testa
grossa, appoggiata sulle spalle (cioè senza collo proprio come la testa di san
Tommaso, chiamato dal suo maestro “il bue
muto”, che però aggiungeva, vedrete che vi stupirà!) ha m ancamento di virtù
e
di senso (senno) mentre,
quello smisurato è stolto e indocile perché la smisurata grandezza viene da
molta umidità e poca calidità e gli animali di questo
genere sono stupidi e paurosi.
Con la testa
grossa è indicato l’imperatore Vitellio che fu “assai
goffo e ignorante”. Chi invece ha il capo un po’ più grande del normale, è
invece gratificato, in quanto considerato dotato di forza, magnanimità e virtù.
Ma Aristotele che fa paragoni con i cani, li considera ora magnanimi e
generosi, ora ingiuriosi,
invidiosi che latrano molto, ora stolti, ora sagaci.
Se è lecito riferirlo, aggiunge D. Porta, i
pappagalli hanno il capo più grosso del
normale
per cui non solo sanno parlare, ma imparano anche a studiare (!).
La testa molto piccola è paragonata
a quella dello struzzo che ha piccola testa e collo lungo, al quale è assegnata una sorte infelice in quanto chi ha
piccolissimo capo, come lo struzzo ha poco senno e men
che cervello e lungi dall’umano ingegno è dotato
di tanta sciocchezza che inseguito dai cacciatori, per scamparli, nasconde il
capo tietro i cespugli, ritenendo di tener nascosto
il corpo, mentre la testa un po’ più piccola del normale indica più
intelligenza di quelli che l’anno più grande (cioè molto grande). E’ presa come
esempio la testa della volpe e coloro che hanno la
testa a questa simile, sono più prudenti degli altri.
Aristotele descrivendo la forma della femmina, le attribuisce il capo piccolo del leopardo piuttosto che dell’asino sebbene le teste degli asini sembrano grandi perché hanno molta carne e ossa, ma piccolezza di cervello: in ogni caso per Aristotele il capo piccolo denota piccolezza di cervello avendo poco cervello.
Secondo Galeno, il capo assai piccolo dà segno di cattiva formazione di cervello e san Tommaso (1225-1274), forse per giustificare la sua testa grossa, si richiamava ad Aristotele, facendo un ragionamento che a noi oggi sembra astruso: egli, premettendo che (nel corpo umano) il capo e il cuore sono opposti, il capo avrebbe anche la funzione di raffreddare il calore del cuore, con la conseguenza, dice s. Tommaso, che negli uomini con la testa piccola il soverchio calore non viene ben raffreddato dalla testa, per cui essi sono impetuosi e violenti.
Aristotele riteneva l’uomo “il più prudente degli animali…poiché aveva il capo più piccolo di tutti” (!), “e quelli che hanno il capo più piccolo”, precisava, “sono più intelligenti di quelli che lo hanno più grande”. Questa affermazione parrebbe una contraddizione, rileva D.P., in quanto Aristotele aveva affermato, come abbiamo visto, che la testa piccola denota piccolezza di cervello avendo poco cervello, ma in effetti Aristotele parlando di testa più grande spiega D.P., intendeva “grandissima”, mentre per “testa piccola” intendeva “macro”, cioè poco più grande della piccola, così intesa la differenza, non si cadeva nella contraddizione di chi da una parte dispregiava, dall’altra lodava. Ma, aggiunge D.P., a vedere quanto cervello ha un uomo, esso in proporzione, è sempre maggiore di due teste di asino o di cavallo, e similmente è da dire delle teste di volpe, scimmie ed altri animali del genere che sono più prudenti degli altri ed hanno più cervello degli altri di capo maggiore.
Avicenna vede positivamente il capo piccolo, purché accompagnato dalla forza della virtù formativa, mentre secondo Platone, il teschio degli uomini di valore è molto debole e subisce l’influenza della temperatura esterna: caldo, freddo o vento, “perché l’intenzione della natura, fu di non caricarlo di molta materia”
Della Porta finisce col dire che “in medio stat virtus”: la buona qualità si trova nel giusto mezzo, cioè nella testa di media grandezza. Arisotele lodava il capo di media grandezza di Alessandro Magno ( 356-323), lodato anche da Polemone, Adamanzio e Alberto Magno, per i quali la media grandezza denota ingegno, mitezza, magnanimità e buon senso.
Relativamente alla mitezza (il termine usato è timore), D.P. ritiene si sia trattato di un errore di testo (o traduzione) in quanto il paragone più esatto sarebbe quello del leone il quale ha la testa, rispetto al corpo, di media grandezza, per cui secondo D.P,, chi ha questo tipo di testa è da considerarsi liberale, magnanimo, e audace, come fu Alessandro Magno (ma D.P. aveva omesso di dire che Alessandro Magno era stato anche feroce e spietato! nda.).
Avendo parlato della misura della testa, D.P. passa ad esaminare la sua forma che secondo Ippocrate e Galeno sono cinque: una naturale e quattro contro natura o mostruose.
La prima ha sporgenza nella fronte; la
seconda è contraria questa,
dinanzi è gonfia, dietro si perde; la terza si oppone più di tutte alla
naturale perché non ha l’eminenza né davanti né dietro e il capo è rotondo a
guisa di una sfera; la quarta, inserita da Ippocrate,è
gonfia nell’una e nell’altra parte delle orecchie più che nella fronte e nella
collottola, cioè quando la lunghezza della testa si trasforma in larghezza; la
quinta è naturale ed è lunga simile a una sfera che abbia l’una e l’altra parte
un poco rilevata all’esterno.
Ma ogni paese, prosegue D.Porta
ha una particolare forma di capo, come disse Ippocrate
dei settentrionali che stimavano esser bello solo quel capo ch’era
lungo, e quando erano bambini li stringevano nelle fasce e li facevano lunghi
ad arte (è noto che questa operazione delle fasce per ottenere un cranio lungo lo
facevano gli Egizi nda.), in modo che col tempo
venivano vennero lunghi per tutti.
Alberto Magno dice
che chi ha il capo privo di eminenza sarà iracondo e insidioso, ma io, dice D.P., mostrandosi di parere contrario, non posso
immaginarmi per qual ragione l’abbia detto essendo contrario all’esperienza. Io
direi che sarà senza immaginazione, perché se quella
parte sarà mal condizionata e formata, sarà ancora il cervello mal formato,
perché questo segue la forma del cranio. Or, dicono i savi, che in quella parte
soggiornano i sensi (sentimenti) e l’immaginazione.
Chi avrà la parte posteriore del capo
incavata o senza prominenza, sarà senza forza e senza memoria perché in quella
parte è collocata la sede della memoria: costoro, secondo Polemone
e Adamanzio, sono timidi, ma D.P. aggrava la loro situazione
in quanto ritiene che alla mancanza della parte posteriore del capo consegue
l’imbecillità e ciò perché, egli ritiene che, in quella parte del capo, è risaputo che vi albergano
quelle peculiarità. Ciò è confermato da Caio Giulio Solimo
(scrittore romano di geografia vissuto tra il III e IV d.C.), secondo il quale
un uomo colpito in quella parte della testa con una pietra, aveva
dimenticato tutto il suo sapere, mentre Messalla
Corvino (politico e letterato romano vissuto dal 64 all’
Tutto il popolo di Germania, aggiunge D.P., ha il cranio senza sporgenza
e la testa larga perché i figli li lasciano sempre nelle culle, legati per le
mani alla culla.
Della Porta prosegue: il capo eminente nella
parte posteriore, come sostiene Galeno e con lui Avicenna, che esso è indice di
ottima memoria in quanto è il nobilissimo luogo del
cervelletto e vi ha inizio il midollo. La prominenza acquista valore se vi è un
collo gagliardo e allora loderei questa eminnza e
giudicherei quelli uomini essere valorosi e gagliardi.
Ma se il capo perderà quelle due prominenze
e diventa una sfera perfetta sarà un pessimo segno perché dimostra un capo
senza senno e senza giudizio come ha notato Alberto Magno.
Secondo i medici, precisa D.P. dove il capo
è meno, in quel punto dimostra debolezza e mancamento di operazioni (cioè
mancanza di attività), in quanto la forma del cervello segue la forma dell’osso
e costoro saranno paurosi e insensati.
Il capo dei Greci e dei Turchi, aggiunge
D.P. ha la forma di una palla e ciò avviene perché portano il capo avvolto in
bende di lino, perché stimano in questo modo il capo più bello.
Annoverato da Ippocrate
il capo gonfio non davanti o dietro, ma alle tempie. Aristotele che scriveva ad
Alessandro, diceva che le tempie gonfie e le guance
piene denotano iracondia, e Aristotele aggiungeva che chi ha le vene gonfie intorno
al collo e alle tempie è soggetto all’ira e secondo Alberto Magno, se le vene
sono rosse, dimostrano tanta iracondia da essere vicino alla pazzia. Chi ha un capo su dorso
ben formato e un collo robusto Della Porta lo ritiene di molta forza.
Il capo
aguzzo (ipsocefalo), secondo Polemone
e Adamanzio, appartiene all’uomo stolto, insensato e senza vergogna.
Alberto Magno ritiene sia segno di sfacciatezza e
nella parte anteriore, cioè con la faccia aguzza denota insolenza e tra gli
animali costoro somigliano ai corvi che hanno la testa aguzza e sono
sfacciatissimi.
Poiché la testa perfetta è quella che
somiglia a una palla di cera acciaccata, la testa
aguzza non manca altro che di un po’ di prominenza sul davanti e sul dietro, e
come le teste grandi sono brutte, così lo sono le teste aguzze e aggiunge che i Genovesi hanno tutti la testa
aguzza, precisando che una simile testa l’ebbe Tersite,
che Omero nell?iliade lo descrive molto sfrontato (è questo il significato
del nome) e si era fatto notare tra tanti eroi per essere stato un mostro di
sfacciataggine. E lo scrittore bizantino Giovanni Tzetze,
lo descriveva col capo aguzzo, calvo, guercio, zoppo e gibboso e questo perché,
caduto da un alto monte inseguito dal cinghiale Calidoni;
e Platone dice che di tutti coloro che parteciparono alla guerra di Troia fu il
più brutto.
Anche Esopo fu di testa aguzza, come alcune
scimmie che sono sfacciatissime “perché i maschi si
toccano le parti intime, senza ritegno, davanti a tutti”.
Ladislao II Jagellone
(1350-1434), re di Polonia, di capo piccolo e acuto, ebbe molti vizi e
consumava le notti, mangiando e bevendo e di giorno dormiva e godeva quando i suoi cortigiani si macchiavano di ogni sorta
di furti e rapine. Fu superstizioso per tutta la vita e tanto prodigo che
consumò il regno.
Infine, il capo alto denota durezza di
carattere: la causa è data dal fatto che la testa per essere ben formata deve
essere leggermente schiacciata per avere un’attività di pensiero corretta, ma
se è alta l’attività dell’intelletto viene a mancare. L’altro estremo è dato da
una testa molto schiacciata e secondo Alberto Magno il capo quasi piano è dei
giovani indolenti e senza freno.
JOHAN GASPAR LAVATER
Tra Giambattista Della Porta e Cesare Lombroso si pone il religioso, psicologo e poeta, Johann Kaspar Lavater
(1741-1800) con il suo trattato “Frammenti
di Fisiognomica” (Physiognomische
Fragmente), sull'arte di conoscere gli uomini
attraverso tratti della loro fisionomia.
Il suo studio è in funzione di un fattore
estetico: l’armonia tra la bellezza morale e quella fisica, con l’intento di
dimostrare che la virtù abbellisca i linementi del
volto e il
vizio li deformi.
Lavater esamina il
cranio delle varie specie animali passando a quello degli uomini, studiandone
il temperamento in cui intravede i segni della sanità e delle malattie e in un
capitolo studia le fisionomie nazionali, oltre ad osservazioni sulle
rassomiglianze dei figli coi genitori.
Lavater dedica due
capitoli allo studio della fisionomia delle donne, dell'infanzia e della
gioventù. Segue uno studio particolareggiato delle varie parti del capo, specie
del volto umano, delle mani e degli altri organi espressivi.
L’intento di Lavater
che oltre ad essere psicologo era un religioso, era stato quello di far
cogliere la presenza dell'anima e della divinità in ogni essere vivente. In esso si trovano numerose citazioni di autori e tra queste,
un ampio riassunto del libro di Della Porta. Il libro è completato dagli
"Esercizi fisionomici"
sulle fisionomie di personaggi storici con la riproduzione di numerose
incisioni sullo studio comparato di uomini e animali.
Anche Lavater,
come si verificherà con Lombroso, avrà i suoi
sostenitori, tra i quali i suoi amici Herder e Goethe mentre fu osteggiato da Lichtenberg
e Nicolai.
Le idee del Lavater,
condivise dai suoi contemporanei, suscitarono in Europa vivo interesse, ma agli
ammiratori fisionomisti si opposero gli antifisionomisti, che si trovarono
anche a favore e contro la frenologia
di G. Spurzheim e del suo maestro F.
J. Gall.
FRANZ JOSEPH GALL
E
JOHAN CRISTOF SPURZHEIM
Franz Joseph Gall (1758-1828) era stato
il fondatore dell’organologia, basata
sulla fisiognomica che l’allievo G. Spurzheim aveva chiamato frenologia
(di cui Lavater era stato strenuo
difensore). Aveva scritto il trattato “Anatonmie et psycologie di systéme nerveux”, in quattro
volumi, dei quali i primi due scritti da Spurzheim. Gall poi modificò il lavoro, cambiando il titolo dell’opera
in “Anatomie, physiologie
du systeme nerveux en general e du cerveux en particulier”,
pubblicato col
nome di ambedue gli autori Gall e Spurzheim.
Gall aveva rivelato
anche una grande verità sul cervello che si dimostrerà
esatta e che ai suoi tempi era appena immaginabile, considerando il cervello come organo centrale delle facoltà
intellettuali, morali e affettive; che
la base di ogni filosofia delle facoltà
dell’anima, dipende dall’organizzazione del cervello e che la manifestazione
dello spirito umano è la cognizione delle funzioni stesse del cervello.
Gall inoltre
riteneva che le facoltà mentali variamente localizzate nella corteccia
cerebrale, danno luogo a corrispondenti parti dell’encefalo per
cui la scatola cranica modellandosi sull’encefalo permetterebbe di
risalire ai tratti del carattere, delle inclinazioni e talenti di ciascun
individuo. Ma quest’ultima teoria fu portata
all’esagerazione dai suoi seguaci e dopo gli entusiasmi suscitati dalla novità
fu screditata.
Johann Cristoph Spurzheim (1776-1832) oltre ad
aver collaborato con Gall nell’opera “Anatomie”, fu
autore di altre opere, fra le quali,”Saggio filosofico sulla natura morale e inntellettuale
dell’uomo” (Essai philosophique sur la nature morale et intellectuelle de l’homme) e “La frenologia in relazione allo studio della
fisionomia” (Phrenology in Connection with the Study of Phisionomy) e il “Manuale di frenologia” (Manuel de Phrenologie).
CESARE LOMBROSO
Si giunge infine a Cesare Lombroso (1835-1909), che personificava la genialità e la sregolatezza e nel
campo della criminologia riteneva di ravvisare la causa dei delitti in anomalie
antropologiche, psichiatriche o determinata da influenze ambientali.
Se queste teorie non sono risultate esatte (erano state ferocemente criticate
anche ai suoi tempi), era stato dovuto ai mezzi scientifici che all'epoca erano empirici, se non inesistenti.
I
suoi studi biologici (le sue teorie sono state ammodernate con l'indirizzo endocrinologico), rimanevano a livelli esteriori cioè alla parte fisiognomica e ai caratteri somatici esterni, ma il suo intuito aveva
precorso i tempi perché solo in
epoca successiva, la biologia ci ha detto che
esisterebbe nei criminali una predisposizione essendosi trovato nel
codice cromosomico una Y in più.
Anche
lo studio del DNA, quindi
la genetica,
confermerebbe una
predisposizione alla criminalità che
viene appunto portata nel codice genetico il quale però non è detto sia
ereditario, in quanto subirebbe delle modifiche in base a fattori ambientali
(si fa il caso della omosessualità che nei casi in cui non è contraddistinta da
fattori genetici ereditari, spesso è determinata da fattori ambientali, ad esempio ad invadenza possessiva delle
madri), e questo confermerebbe le teorie di Lombroso
che se non conosceva la genetica l’aveva preavvertita con lungimiranza.
Lombroso vede i tratti somatici del criminale
nell'atavismo, cioè nelle caratteristiche fisiche proprie dell’uomo primitivo, come
la fronte sfuggente (segno anche di poca intelligenza), i seni frontali
sopracciliari accentuati, la forma parabolica dell'arcata dentaria, il naso
camuso (schiacciato alla radice come il naso di Socrate!), le anomalie della
pelle, il suo colore, la peluria, l'occhio ferino e la fisionomia selvaggia.
In
questa tipologia egli riscontrava un tipo criminale
che definiva “delinquente nato” che
si distingueva in base a questi caratteri somatici inequivocabili, riscontrabili
tra i criminali piuttosto che tra le persone normali e che determinavano una
predisposizione nell'uomo che nasce
delinquente.
Il
delitto che questo avrebbe potuto commettere,
Lombroso lo riteneva come un evento naturale e
sociale: naturale perché il delitto è commesso sotto la spinta di elementi che
appartengono al patrimonio biologico del delinquente; sociale perché il delitto
non solo si sviluppa in un ambiente favorevole, ma anche perché la società ha
il diritto di difendersi.
Inoltre
Lombroso operava una distinzione tra “delinquenti nati o pazzi morali” e “delinquenti d'occasione”, questi ultimi
privi di anomalie, ma con predisposizione al delitto
al quale li decide l'occasione (come dire: l’occasione fa l’uomo ladro!).
Per i
delinquenti d’occasione che sono favoriti da fattori ambientali
Lombroso aveva condotto uno studio sugli Anarchici
contro i quali si scaglia considerandoli dei “strani
omicidi” detti “suicidi indiretti”i quali tentano con la massima imperizia di
colpire i capi di un paese per aver modo di finire la vita che non hanno abbastanza coraggio di troncare
da sé. Egli passa in rassegna
i vari anarchici che avevano fatto attentati contro monarchi mettendo
in evidenza le loro anomalie, come per Oliva y Mancuso che aveva attentato (1878) alla vita di
Alfonso XII di Spagna (1857-1883), il quale non potendo avere una vita conforme ai suoi gusti aveva più volte
manifestato l’idea di suicidarsi, finchè ottenuto dal
padre un piccolo sussidio per recarsi in Algeria, andò a Madrid per compiere
l’attentato. Nobiling, nello stesso anno (1878) a
Berlino aveva sparato un colpo di fucile all’imperatore Guglielmo I (1797-1888),
ferendolo gravemente e aveva cercato di suicidarsi con la stessa arma. Secondo L. era affetto da “idrocefalia e assimetria
facciale”. Anche Umberto I (1844-1900) aveva subito un
attentato sello stesso anno da parte di G. Passanante
(sarà ucciso a Monza nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci), il quale, dopo l’attentato
aveva dichiarato di averlo fatto con la cettezza che sarebbe stato ucciso “essendogli venuta in uggia la vita dopo i maltrattamenti del padrone”.
E “mattoide aspirante suicida” aveva benevolmente
considerato Pietro Domenico Frattini, garibaldino e
martire di Belfiore, il quale aveva fatto scoppiare una bomba in piazza Colonna a Roma facendo feriti.
Lombroso riteneva che gli
anarchici non solo avessero marcati nella faccia i segni esteriori del criminale nato, ma
portavano in sé l’abitudine al delitto, il piacere del male, la mancanza di
senso etico, l’odio che ostentano per la famiglia, l’indifferenza per la vita
umana.
Quando
era stata assassinata l’imperatrice Sissi, e gli aveva studiato il caso dell’assassino Louis
Lucheni (v. in Articoli: L’assassino dell’imperatrice
Sissi) in cui aveva trovato caratteri ben
determinati, che lo avevanoi portato a qualificarlo
nella sua categoria “degli epilettici e
criminali puri: taglia media pari a 1.63, bruno (ma era chiaramente biondo nda.), occhi grigi, e mobili, arcate sopracciliari molto
accentuate, capigliatura spessa con zigomi sporgenti e mascelle forti, grande
fronte esageratamente bassa (non esattamente in quanto Lucheni
aveva l'attaccatura a punta tipicamente nordica nda.);
classificabile pertanto come “brachicefalo
Se Lucheni secondo Lombroso era
criminale per predisposizione, non lo era per il prof.
Paul Topinard (vissuto
nella stessa epoca di Lombroso - erano nati e morti a
distanza di qualche anno, anch'egli antropologo, fondatore in Francia de L'Ecole d'Anthropologie) il quale aveva smontato le sue teorie.
A proposito poi degli epilettici, Lombroso trovava una connessione costante nella criminalità
congenita con l’epilessia., ritenendo che la vanità,
la religiosità, le allucinazioni
vivissime e frequenti, la megalomania, la genialità intermittente,
insieme alla grande impulsività degli epilettici e degli isterici, ne fanno dei
novatori religiosi e politici. In proposito faceva l’esempio di Maometto
relativamente al quale scriveva “non può
mettersi dubbio che, tranne i credenti, Maometto abbia dovuto a un attacco di
epilessia la sua prima visione o rivelazione, e che ingannato o ingannatore si
sia valso di questa sua malattia per spacciarsi ispirato dal cielo”.
Anche sul grande
romanziere russo Lev Toltsoi
(1828-1910) Lombroso, riteneva che vi fosse una correlazione tra
genio e follia, una sua visita fatta al grande scrittore lo aveva lasciato
convinto che egli fosse “vecchietto ingenuo e limitato" e dirà poi ai suoi
allievi che Tolstoj aveva un “aspetto cretinoso” (pensate che abbaglio…sul più grande scrittore
di tuti i tempi!).
Quanto alle pene da infliggere, per Lombroso il criminale non
potrà essere punito in rapporto esclusivamente al delitto commesso; questo dovrà
essere invece considerato un malato dalla cui pericolosità occorre premunirsi ma nei cui confronti non ha senso infierire. Egli
riteneva quindi che si doveva abbandonare la pena che
serba ancora le tracce dell'antica vendetta, crudele ed inefficace, e cercare di
ottenere la guarigione dell'individuo.
Da qui l'idea della creazione di manicomi
giudiziari che garantiscano al tempo stesso la cura del delinquente e la difesa
della società, ma anche la possibilità di incentivare,
nei casi meno gravi, le pene alternative al carcere, esponendo i principi
fondamentali della “Scuola positiva di diritto penale" sostenendo appunto che i criminali “non già delinquano
per atto cosciente e libero di volontà malvagia, ma perché hanno tendenze
malvagie, tendenze che ripetono la loro origine da una organizzazione fisica e
psichica diversa da quella dell'uomo normale".
FINE
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