RIVISTA STORICA VIRTUALE
Abu Bakr Muhammad Ibn Tufayl
(ABUBACER)
(Spagna
†1185/86)
Risālāt
Hayy ibn Yaqzan
TRATTATELLO DI VIVO
FIGLIO DI VIGILANTE*
ovvero
IL FILOSOFO AUTODIDATTA
(dalle allegorie mistico-filosofiche di Avicenna:
Hayy ibn Yaqzan, Asal e Salaman)
*) Vigilante deriva dalla traduzione latina, ma dovebbe essere “destino” vale a dire: “Vivo
figlio del destino”, come suggerisce Paola Carusi.
Ringraziamo l’anonimo traduttore
dell’intero racconto che abbiamo
trovato in Internet (2017) dal quale
abbiamo estratto il presente
lavoro;
poiché la lettura del romanzo non è
proprio semplice abbiamo ridotto
il testo, per quanro possibile (*),
impostandolo per una più
rapida e scorrevole lettura, con
l’adattamento del titolo così come
conosciuto nella letteratura europea
e l’aggiunta di sottotitoli ai paragrafi.
*) Poiché il romanzo andrebbe letto più di una volta, suggeriamo
di leggere una prima volta il presente testola e per
una secobda lettura, passare al testo completo che si
trova in Internet, “Epistola di Hay ibn Yaqzan”
edito in pdf. dalla Rusconi, tradotto a cura di Paola Carusi, con bibliografia,
ampie note e indici.
Il racconto di ibn Tufail
fu ripreso
dall’omonimo di Avicenna
(980-1037)
(Nell’articolo “La scienza araba alle origini della cultura
europea” I e II parte,
sono indicati tutti gli
autori arabi spagnoli tradotti in Occidente)
SOMMARIO: INTRODUZIONE; PROLOGO; ABÛ BAKR; ABÛ NASR; ARISTOTELE; ABÛ HÂMID AL-GAZÂLÎ
(In Nota: AL-GHAZALI E IL DECLINO DELLA CIVILTA’ MUSULMANA); DALLA NASCITA AI
SETTE ANNI- IL SOLE; DAI SETTE AI VENTUNO ANNI (LA VONOSCENZA DEL CORPO UMANO);
DAI VENTUNO AI VENTOTTO (LA CONOSCENZA DEGLI ORGANI DEL CORPO UMANO); DAI
VENTOTTO AI TRENTACINAUE (LA CONOSCENZA DEGLI ASTRI E IL LORO CREATORE); DAI
TREMNTACINQUE AI QUARANTANOVE ANNI (L’ESSENZA DIVINA); IN SOCIETA’ (ASAL E
SALAMAN); CONCLUSIONI,
INTRODUZIONE
A |
vicenna aveva scritto tre racconti: Hayy
ibn Yaqzan, Salaman e Asal, questi ultimi due
esistevano già prima di Avicenna come racconti immaginari e simbolici. Il terzo
non è giunto fino a noi.
L’intelligenza umana, scriveva Avicenna, mettendo da parte ciò
che la trascina verso il basso, tende ad innalzarsi verso forme di conoscenza
delle forme più alte fino all’Intelligibile supremo, il Re creatore.
Il racconto di Hayy descrive il flusso
dell’anima che discende nell’uomo per poi recarsi da questo mondo verso il
principio, innalzandosi fino all’Essere primo.
Negli
ultimi quattro capitoli di Hayy, l’anima umana giunge
al massimo della conoscenza a cui possa giungere, alla conoscenza di Dio, il Re
creatore. Questa unione con Dio comunque non può essere raggiunta su questa
terra. L’uccello descrive questo movimento ascendente verso il Re creatore.
Ibn
Tufail (m. 1185) con “isálat
Hayy ibn Yaqzán” Trattatello su Hayy ibn Yaqzán) riprende il racconto di Avicenna dando anche i
nomi degli altri due racconti ai due personaggi del trattatello.
Si tratta di un romanzo filosofico (come
quelli introdotti da Voltaire) che ha lo scopo di dimostrare in forma
allegorica la capacità naturale dell'uomo di giungere alla conoscenza di Dio e
dell'ordine cosmico e al tempo stesso la legittimità della mistica, il suo
armonizzarsi con la religione rivelata e l'opportunità che essa sia riservata
ai soli intelletti elevati, senza danno per la loro salute
spirituale.
L'autore immagina che un bimbo, Hayy ibn Yaqzán,
abbandonato in una deserta isola equatoriale dell'India, cresca allattato solo
da una capra e dotato di penetrante intelligenza osservatrice, arrivi non solo
a provvedere ai propri bisogni materiali, ma scopra col passar degli anni, le
leggi della natura e dello spirito, sino ad arrivare a riconoscere l'esistenza
di Dio creatore e poi alla sua sempre più profonda intuizione mistica.
Giunto così a cinquant’anni, Hayy riceve nella sua isola deserta la visita del primo
uomo che egli abbia mai visto e con cui sia venuto a contatto, il pio musulmano
Asàl, il quale raggiunta la familiarità con lui, rileva
la perfetta coincidenza dei princìpi ai quali Hayy era
giunto spontaneamente e gli trasmette i principi della religione islamica.
Quando poi i due insieme passano in
terraferma, nella vicina patria di Asàl e Hayy tenta di diffondere tra il volgo le superiori verità
mistiche, prescindendo dal culto e dai formalismi della religione rivelata, si
rende conto di ottenere uno scandalo presso quelle anime semplici, adusate alla
religione tradizionale.
Per cui, resosi conto del valore, per
la maggior parte degli uomini, della esteriorità della rivelazione, fa
ritorno con Asàl nella sua isola per consacrarsi di
nuovo alla mistica pura.
Tutta la seconda parte, di sommo
interesse per intendere il vero scopo dell'opera e delle idee implicitamente
affermate da Ibn Tufail, è stata messa in ombra dalla
vivace e brillante prima parte, che descrive in maniera estremamente felice la
auto-educazione fisica e morale del personaggio che ispirerà il “Robinson
Crusoe” di Daniel Defoe.
L’operetta ebbe grande diffusione nel
Settecento in Europa, perché l'Illuminismo vide nel “philosophus
autodidactus” (come si intitolò la prima trad. in
latino, di Ed. Pococke, 1671) più che altro una
sorprendente anticipazione delle sue teorie sul vergine e felice stato di
natura, sulle prodigiose capacità di auto-sufficienza della ragione umana e sul
carattere artificioso e secondario delle rivelazioni religiose
nell'incivilimento della umanità; visione unilaterale e in parte assai lontana
da ciò che aveva voluto dimostrare Ibn Tufail nel suo
suggestivo libretto (Francesco Gabriel).
PROLOGO
Nel nome di Allah
clemente e misericordioso
I |
l maestro, il giureconsulto, l'imam, il dotto, l'eccellente, il
perfetto, l'illuminato Abu Ja'far ibn
Tufayl – sia su di lui la misericordia di Dio – ha
detto: sia lode a Dio, l'elevato, l'immenso, il preesistente, l'eterno, il
conoscitore, l'onnisciente, il saggio, il più saggio, il misericordioso, il più
misericordioso, il generoso, il più generoso, il tollerante, il più tollerante,
"che ha insegnato all'uomo l'uso del calamo, ha insegnato all'uomo ciò che
non sapeva [Cor. 96,4-5]".
Il favore di Dio su di te sia grande; io Gli sono riconoscente
per le gioie che Egli concede, Gli rendo grazie per la continuità dei Suoi
benefici. Attesto che non c'è Dio se non l'unico Dio che non ha compagno, e che
Muhammad è il Suo servo, e il Suo inviato, dall'indole pura, dagli splendidi
prodigi, dall'argomentazione irresistibile, dalla spada sguainata; Dio lo
benedica e gli dia pace, e benedica la sua famiglia, i suoi sostenitori dalle
aspirazioni elevate e dalle imprese significative e tutti i suoi compagni e
seguaci fino al giorno del giudizio e conceda loro molti riconoscimenti.
Mi hai chiesto, nobile fratello, puro amico, Dio ti conceda la
vita eterna e ti renda felice per sempre, di svelarti ciò che è giunto per
divulgazione fino a me dei segreti della filosofia orientale, di cui ha parlato
il maestro principe Abû 'Alî ibn
Sinâ (Avicenna); sappi che chi vuole conoscere
Tuttavia, chi giunge a questo stato e perviene fino al suo ultimo
limite, non è in grado, per la gioia, la soavità e la dolcezza che lo
inebriano, di nascondere ciò che la sua situazione gli detta, o di celarne
l'intimo segreto; ma si impadroniscono di lui l'ardore dell'estasi, la
felicità, la serenità, sì da spingerlo a manifestare il suo stato nella sua
completezza, senza particolari. Chi non è uomo di cultura, dice allora cose
senza fondamento; così uno di questi giunse a dire: – Gloria a Me, come è
grande
Considera ora le parole di Abû Bakr ibn al-Sâ'ig,
che seguono il suo discorso sulla natura dell'unione; egli dice che, se si
comprende il concetto espresso da quel suo libro, appare chiaro che non è
possibile conoscere lo stato di unione tramite le scienze comunemente in uso,
ma che, qualora avvenga il suo manifestarsi, se ne comprende il significato in
una condizione in cui ci si vede separati da tutto ciò che precede, con idee
diverse, che non sono volte alla materia, troppo grandi per poter essere
riferite alla vita naturale e liberate dalla sua composizione.
Ma questi sono stati di beatitudine, ed è giusto che si dica che
questi sono stati divini che Dio ispira a chi Egli vuole dei Suoi servi.
A questo grado cui accenna Abû Bakr si è condotti attraverso la via della filosofia
speculativa e dell'indagine intellettuale, e non c'è dubbio che egli lo
raggiunse e non lo superò.
Il grado che abbiamo indicato prima, invece, è diverso da questo
e da qualsiasi altro, e non perché in esso si riveli qualcosa di diverso, ma
solo ne differisce per maggiore chiarezza, e la sua esperienza avviene per
opera di qualcosa che non chiamiamo forza se non in senso figurato, poiché non
troviamo né nel linguaggio comune né nel linguaggio propriamente tecnico degli
specialisti denominazioni atte a spiegare ciò che risulta da questa specie di
contemplazioni.
Questo stato, di cui abbiamo parlato e che la tua domanda ci ha
stimolato a gustare, è uno degli stati su cui richiama l'attenzione il maestro Abû 'Alî, quando dice:
"Poi, quando la volontà e l'esercizio lo hanno condotto fino
ad un certo limite, gli appaiono alla mente fuggevoli bagliori della luce della
Verità, incantevoli, come lampi che balenano e subito dileguano; in seguito, se
si dedica intensamente all'esercizio, queste illuminazioni si moltiplicano e si
dedica a questo finché tali illuminazioni gli avvengono senza bisogno
dell'esercizio. Ogni volta che vede qualcosa da quella si volge ai Santi
Giardini: considera qualcosa di essa e gli sopraggiunge una subitanea
illuminazione, ed è sul punto di vedere il Vero in ogni cosa. Infine l'esercizio lo conduce ad un ultimo limite, in cui il
suo istante si muta nella santa stabilità. Il fuggevole diviene allora
consueto, il bagliore diviene fiamma viva, la sua conoscenza stabile come
un'amicizia durevole". (omissis).
Poi descrive il progredire dei gradi ed il loro completarsi con
il conseguimento. (omissis)
Solo da questi stati che [Abû 'Alî]
descrive, vuole avere un'esperienza, non dalla conoscenza speculativa che si
ottiene scegliendo i criteri di giudizio, anteponendo le premesse, producendo i
risultati. (omissis)
ABÛ BAKR.
Abû Bakr biasimò
il modo di intendere questo godimento da parte dei mistici, e dichiarò che esso
doveva essere attribuito alla facoltà immaginativa; si ripromise anche di
descrivere convenientemente ciò che fosse lo stato dei beati nella
contemplazione con un discorso chiaro ed esplicativo.
Abû Bakr non
fece niente di ciò che aveva annunciato, non mantenne questa promessa. Forse
non se ne occupò per mancanza di tempo, di cui egli stesso parlò, o forse ne fu
distolto dal suo soggiorno a Orano, oppure si accorse che, se avesse descritto
quello stato, il discorso lo avrebbe costretto ad affermare cose che sarebbero
suonate come un biasimo per lui e per il suo stesso sistema di vita, e come
sconfessione di ciò che aveva dichiarato sollecitando all'accrescimento della
ricchezza ed al suo accumulo, e suggerendo la condotta da seguire e gli
espedienti da mettere in pratica per acquistarla.
Non pensare che la filosofia che è giunta fino a noi nelle opere
di Aristotele e di Abû Nasr, e nel libro “La
guarigione”, sia adeguata a questo scopo che tu vuoi raggiungere, né che
alcuno degli Spagnoli (arabi) abbia scritto in modo esauriente su questo
argomento: quelli che nacquero in Spagna, dotati di ottime qualità naturali,
prima della divulgazione della logica e della filosofia, passarono la loro vita
dedicandosi alle scienze sperimentali e raggiunsero in esse una estrema
elevatezza, ma non seppero fare più di questo.
Quelli che vennero dopo di loro li superarono un poco nella
logica e specularono su questa scienza, ma non arrivarono a penetrare la verità
perfetta e ci fu tra loro qualcuno che disse: "Mi tormenta il fatto che le
conoscenze umane siano soltanto due: una vera che è impossibile acquistare, e
una falsa il cui acquisto non è utile".
Seguirono altri più abili di loro nella speculazione e più vicini
alla verità, non dotati tuttavia di maggiore acutezza, di speculazione più
giusta, di vista più vera di quanto non lo fosse Abû Bakr ibn al-Sâ'ig.
Purtroppo egli, però, fu assorbito dalle cose del
mondo a tal punto che il destino lo travolse prima che giungesse al culmine lo
splendore della sua scienza, e prima che fossero svelati i segreti della sua
saggezza.
Le opere che di lui ci sono rimaste sono per la maggior parte
incomplete e prive delle parti finali, come i suoi libri “Sull'anima”, “Il
regime del solitario” e i suoi scritti di logica e di fisica. Quanto alle
sue opere portate a termine, si tratta di scritti concisi e di epistole
ambigue. Lo riconosce egli stesso, e dice che il significato della sua
argomentazione nell' “Epistola dell'unione” non si offre come un dono
chiaro se non dopo un difficile e violento travaglio, che l'ordine della sua
esposizione in alcuni passi è tutt'altro che perfetto, e che, se avesse più
tempo a disposizione, sarebbe incline a modificarli. Dunque, questo è ciò che è
giunto fino a noi della scienza di quest'uomo; noi non lo abbiamo conosciuto
personalmente. Dei contemporanei di Abû Bakr, dei quali si è detto che non sono al suo livello, non
abbiamo visto alcuna opera. Quelli che vennero dopo di loro, a noi contemporanei, o sono
lontani (perché sono ancora nella fase dell'accrescimento graduale delle loro
cognizioni, o perché si sono fermati ad una conoscenza imperfetta) oppure non
ci è giunto il reale contenuto della loro opera.
ABÛ NASR
Quanto
a ciò che ci è pervenuto delle opere di Abû Nasr, la
maggior parte di esse è sulla logica, e nelle sue opere filosofiche molte cose
sono da considerare con diffidenza. Così nel suo libro “La comunità
religiosa ideale” egli dà per certo che le anime cattive permangono dopo la
morte eternamente in sofferenze senza fine. Afferma poi, però, nel “Governo
della città”, che esse sono evanescenti e che evolvono verso il nulla, e
che la sopravvivenza è propria solo delle anime superiori e perfette. Ancora,
nel “Commento all'etica” esamina il problema della felicità umana, e dice
che essa si trova in questa vita di questo mondo; e aggiunge, subito dopo, un
discorso il cui significato è il seguente: "Tutto quello che si dice di
diverso da ciò è vaneggiamento e superstizioni di vecchie". Ora, una tale
opinione fa si che le creature disperino di Dio
Altissimo e riduce il buono ed il cattivo ad uno stesso ed unico livello;
poiché egli pone il procedere di tutto verso il nulla. Che errore indicibile,
che errore senza rimedio è questo! A ciò si aggiungano le sue convinzioni
errate a proposito della profezia, specialmente il suo attribuirla alla facoltà
immaginativa (le sue preferenze, infatti, piuttosto che alla profezia vanno
alla filosofia), ed altri errori che da parte nostra non c'è bisogno di
enunciare.
ARITOTELE (*)
Quanto
ai libri di Aristotele, il maestro Abû Alî
intraprende la loro interpretazione, segue il suo metodo e percorre la strada
della sua filosofia nel libro “La guarigione”. Dichiara all'inizio del
libro che le sue opinioni sono diverse da quelle che espone, ma che ha scritto
quel libro secondo il metodo dei Peripatetici,
e che chi vuole la verità senza velo alcuno deve cercarla nel suo libro “La
filosofia orientale”. Se uno si preoccupa di leggere il libro “La
guarigione” e le opere di Aristotele, gli appare chiaro, nella maggior
parte dei casi, che essi sono in accordo, anche se nel libro “La guarigione”
ci sono cose che non sono giunte fino a noi sotto il nome di Aristotele. Ma se
uno accoglie tutto ciò che offrono manifestamente i libri di Aristotele ed il
libro “La guarigione” senza comprendere il loro segreto contenuto ed il
loro senso esoterico, non può senz'altro raggiungere la completezza della
conoscenza, e su questo il maestro Abû 'Alî richiama
l'attenzione nel libro “La guarigione”.
*)
V. in Schede Filosofiche: Polemiche umanistiche tra Platonici e Aristotelici;
Le polemiche continiano.
ABÛ HÂMID AL-GAZÂLÎ (*)
Gli scritti del maestro Abû Hâmid al-Gazâlî, per il fatto che
si rivolgono al grande pubblico, sono più sintetici in una parte e si dilungano
maggiormente in un'altra, e negano cose cui poi fanno ricorso. Fra tutte le
opinioni per cui accusa di infedeltà i filosofi nel libro L'incoerenza
sono: il loro negare la resurrezione della carne ed il loro affermare la
ricompensa e il castigo per le sole anime prive del corpo. E dice all'inizio
del libro La bilancia: "Questa convinzione è senza dubbio alcuno la
convinzione dei maestri delle confraternite mistiche". Ma nel libro “La
salvaguardia dall'errore” dichiara che la sua convinzione è come quella dei
mistici, e che si è consolidato in essa dopo una lunga ricerca. Nei suoi libri
ci sono molte contraddizioni di questo genere, e ben se ne accorge chi li
esamina e li considera attentamente. Egli si scusa di questo alla fine del
libro La bilancia dell'azione, dove afferma che le opinioni sono di tre
specie:
1.un'opinione conforme a quella della grande massa;
2-un'opinione atta alla discussione con tutti quelli che
interrogano e si fanno guidare;
3. un'opinione che è tra l'uomo e sé stesso, e che non si
comunica a nessuno se non a chi partecipa della stessa opinione. (omissis).
*) AL-GHAZALI
E IL DECLINO DELLA CIVILTÀ ISLAMICA
Come abbiamo scritto nel cit. art “La scienza araba alle origini
della civiltà europea”, la responsabilità del declino della civiltà islamica è
da attribuirsi al fanatismo ortodosso di Al-Ghazali.
Abu Hamid al-Ghazali
(1058-1111) il sant’Agostino dei musulmani, il Kant dell’Islam; fondatore del
sufismo, dall’ortodossia era giunto al misticismo attraverso l’ascesi.
Il suo insegnamento mirava
al giusto mezzo e all’equilibrio: “è
l’ascesi che conduce alla mistica” (mukashafah);
il cuore purificato riflette le realtà celesti e il mistico acquista la “gnosi” (ma’rifah),
la conoscenza che conferisce grande felicità ed è seguita dall’amore. E’ la “gnosi” che
costituisce per Ghazali il centro del misticismo che
si può definire misticismo moderato;
aveva studiato legge, filosofia e teologia. A trenatre
anni insegnava nel collegio Nizamiya a Bagdad dove
aveva riscosso un grande successo per la sua eloquenza, erudizione e abilità
dialettica.
Al-Ghazali si era trovato
nella strana posizione di essere stato considerato filosofo-suo malgrado, per
errore, per essere stato semplicemente frainteso; egli era infatti un teologo
che aveva inseguito l’assurda idea di demolire la filosofia e distruggere i
filosofi.
Non era riuscito né
nell’intento di
demolire la filosofia né in quello di distruggere i filosofi; le
conseguenze derivate da quest’idea furono peggiori (suo malgrado!), perché la
sue dottrine, se pur moderate, erano state male intese (ed esasperate), con la
conseguenza che avevano portato alla
distruzione della tolleranza e della libertà, di cui fino a quel momento
aveva goduto l’intero Islam.
Dopo aver scritto “Maqasid al-falasifah” (I
propositi dei filosofi), nel libro “Tahafut al-falasifah” (La distruzione dei filosofi) cercò di abbattere
completamente la filosofia, sostenendo che essa, con la logica e la scienza,
non potevano provare l’esistenza di Dio o l’immortalità dell’anima, “perché soltanto l’intuizione può dare quella
fede, senza la quale nessun ordine morale e quindi nessuna civiltà può
sopravvivere”; nel “Tahafut” Ghazali
aveva attaccato in particolare Avicenna in nome del “kalam”, la logica-lo sforzo
inteso a conciliare la ragione con la fede.
Ghazali
aveva diviso i pensatori in tre categorie: teisti, deisti o naturalisti e
materialisti.
I teisti accettavano Dio e l’immortalità ma
negavano la creazione e la resurrezione dei corpi e consideravano il paradiso e
l’inferno come condizioni spirituali e psicologiche. I deisti riconoscevano una
divinità ma rifiutavano l’immortalità e consideravano il mondo come una
macchina dotata di autonomia. I materialisti ripudiavano completamente l’idea
di Dio. Tutte e tre le categorie erano da considerarsi infedeli.
Dopo
il misticismo, al-Ghazalì ritorna all’ortodossia e,
sentendo sul proprio capo la presenza degli occhi di Dio, minacciando gli
orrori dell’inferno musulmano, volle che si predicasse su questo argomento che
riteneva necessario a preservare la moralità del popolo.
Ritornò
quindi al Corano e agli Hadith e nel libro “Ihya Ulum al-Din” (Il risveglio della
scienza della religione) espose e difese la sua rinnovata ortodossia con il
meglio della sua eloquenza e dialettica. Diede così un aiuto consistente non
solo all’ortodossia islamica ma a quella delle altre religioni, cristianesimo
in primo luogo, i cui teologi ne trassero grande vantaggio a sostegno delle
proprie posizioni.
Dopo
al-Ghazalì e malgrado Averroé,
la filosofia nel mondo musulmano fu completamente annientata, gli studi
scientifici furono abbandonati, tutti i pensatori si rifugiarono nello studio
del Corano e degli Hadith: da quel momento, nell’Islam, sola a predominare fu
la religione.
Infattim fino all’anno mille, i musulmani
avevano avuto i loro Leonardo, l’Umanesimo e il Rinascimento, i Bacone (Ruggero e Francesco), i Cartesio, andando
oltre con i Voltaire. i Diderot e l’Illuminismo, i precursori di Rousseau e di Nietzsche, con menti eclettiche che primeggiavano
contemporaneamente nelle scienze, nella medicina, nella matematica,
nell’astronomia, nella filosofia e nella poesia (e i loro testi, tradotti in
Occidente, sono stati ivi indicati), quando l’Europa era ancora avvolta nel
buio della barbarie.
Dopo aver raggiunto questo
alto grado di civiltà, questa era poi caduta nell’intolleranza, anticipando nei
metodi, ciò che avrebbero fatto i cristiani in Europa alcuni secoli dopo
facendo ricorso all’Inquisizione, se pur senza cadere in quegli eccessi.
Successivamente alla
esplosione che aveva dato una spinta iniziale verso una prima forma di
democrazia, di una scienza e di una tecnica e aveva posto le basi di un paleo--modernismo,
era venuta a cessare la dialettica che aveva impedito il progredire di quel
luminoso avvio, portando la civiltà islamica sulla via di quel declino da cui,
dopo secoli, stenta ancora a riprendersi.
Nella diagnosi di questo
declino, purtroppo non si può sbagliare: la causa fu determinata dal
cambiamento di rotta della filosofia che da “speculativa” era diventata “mistica”
e questa aveva portato l’ “ortodossia” a prevaricare e prevalere sullo spirito di tolleranza.
Divisa in due correnti: la
prima, tollerante, aveva dominato nel periodo in cui la civiltà dell’Islam
aveva raggiunto il suo più alto grado lasciando che accanto alla credente, lo
scetticismo e l’ateismo seguissero indisturbati il loro corso.
La seconda, ortodossa, con
“la fede” posta a fondamento
della sua dottrina da al-Ghazali, finì per prendere il sopravvento sulla prima
e gli effetti che ne derivarono furono ben diversi dai principi enunciati.
Il sultano al-Mutawakkil (VIII sec.) a Bagdad aveva dato una stretta alla
ortodossia.
L’ortodossia cancellò la
tolleranza ed ebbero inizio le discriminazioni nei confronti dei cristiani.
Questa volta furono i non-musulmani (cristiani ed ebrei), obbligati a
portare le strisce gialle sul vestito (anticipando
anche in questo i cristiani (+)), a non poter andare a cavallo, ma cavalcare
solo muli ed asini (secondo il Corano, il raglio dell’asino era sgradito ad Allah);
a non poter costruire nuove chiese o sinagoghe; a non poter esporre la croce
all’esterno delle chiese e suonare le campane; a vietare ai bambini cristiani a
frequentare scuole musulmane (ma era loro consentito frequentare proprie
scuole.
Nella pratica, però, i
musulmani nell’Islam si mostrarono più tolleranti di come si mostreranno i
cristiani in Occidente; a Bagdad nel X secolo vivevano quarantacinquemila
cristiani e i loro funerali non venivano disturbati; cristiani ed ebrei
coprivano alti impieghi negli uffici pubblici, anche se vi era chi protestava,
essi venivano mantenuti al loro posto.
Della generosità del
“feroce Saladino”nei
confronti dei sudditi cristiani, si parla in altro articolo.
Nel 1150 il califfo di
Bagdad, Mustanijd diede ordine che fossero dati alle
fiamme tutti i libri filosofici di Avicenna e dei Fatelli
della sincerità
(v. in cit. art- II P.).
Nel 1194 l’emiro Abu Yusuf
Yaqub al-Mansur, a Siviglia, ordinò che fossero bruciati tutti i libri di Averroé, ad eccezione di alcuni di scienze
naturali; proibì ai sudditi di riprendere gli studi di filosofia e li esortò a
gettare nel fuoco qualsiasi libro di filosofia.
Queste distruzioni vennero
eseguite dal popolo
indignato per gli attacchi della filosofia alla fede, che per i
diseredati è sempre stata l’unica consolazione alle disgrazie e alle avversità
della vita; in questo periodo ibn Habid
fu messo a morte perché studiava filosofia.
Dal 1200, poiché l’Islam
rifuggiva dal pensiero speculativo ed era iniziato il declino della potenza politica,
si cercava l’aiuto dei teologi e ci si attaccava all’ortodossia come all’ancora
di salvezza; l’aiuto “spirituale” fu
dato, ma non riuscì a frenare il declino e il decadimento di quella che era
stata una vera e propria civiltà d’oro.
In Spagna i cristiani
avanzando una città dopo l’altra, si fermarono alle porte di Granata che rimase
in mani musulmane ancora per qualche secolo (1492). In Oriente ebbero inizio le
crociate e Gerusalemme finì in mani cristiane nel 1258; i Mongoli, con la loro
avanzata, presero e distrussero Bagdad. Con la loro disfatta (Qutuz e Baibar 1260 e Damasco
1303), musulmani e cristiani tirarono un sospiro di sollievo, ma il processo di
disgregazione dell’Islam raggiunse il suo traguardo con l’assorbimento da parte
dell’impero ottomano e dopo il suo
disfacimento l’Islam poco alla volta si era ricostituito giungendo agli eccessi
in cui lo vediamo oggi da una parte nella povertà e dall’altra con i
petrodollari investiti nelle armi e nelle eterne e assurde lotte fratricide tra
sciiti e sunniti e il terrorismo contro tutti.
*) Il
papa Innocenzo III (1198-1216) aveva condannato gi ebrei “alla servitù perpetua”, e aveva decretato
(1215) l’obbligo di portare un segno distintivo costituito da un dischetto
giallo (che poi fu esteso ai musulmani, agli eretici e alle prostitute). Al
dischetto si aggiunse il cappello a punta simile ad un corno, che rappresentava
il corno del demonio.
Paolo IV (1555-59, istituì
l’obbligo per gli ebrei di risiedere in un quartiere separato cinto da mura con
chiusura del portone dall’esterno, dal tramonto all’alba. P. III: Papi e
movimenti religiosi).
DALLA NASCITA AI SETTE ANNI
IL SOLE
N |
arrano i nostri virtuosi progenitori - Dio sia soddisfatto di
loro - che c'è un'isola dell'India ~, sotto l'equatore, in cui l'uomo viene al
mondo senza bisogno di padre né madre, poiché quell'isola, quanto al clima, è
il più equilibrato ed il più perfetto dei luoghi della terra; su di essa
infatti la luce che sorge culmina nel punto più alto [del cielo]. Ciò è in
contrasto con l'opinione di tutti i filosofi e di grandi medici, per i quali
ciò che è più equilibrato è il quarto clima nel mondo abitato ~ Se hanno detto
questo perché secondo loro non c'è terra abitata presso l'equatore a causa di
qualche impedimento del suolo, il loro discorso, che il quarto clima è il più
equilibrato di tutti i luoghi della terra, ha un fondamento.
Ma se con questo hanno voluto solo affermare che ciò che è presso
l'equatore è molto caldo, come afferma la maggior parte di loro, è un errore di
cui è possibile dimostrare il contrario. È provato nelle scienze fisiche che
non ci sono altre cause per la formazione del calore se non il movimento, il
contatto dei corpi caldi o l'azione della luce ~ Ed appare anche chiaro, in
queste scienze, che il sole di per sé non è caldo, e non è modificato da
nessuna di queste cause naturali, che i corpi che ricevono l'azione della luce
nel modo più perfetto sono i corpi levigati non trasparenti, e che subito dopo
di essi nel ricevere l'azione della luce vengono i corpi opachi non levigati. I
corpi trasparenti che non hanno traccia di opacità non accolgono la luce con la
superficie.
Dimostrò questo in particolare solo il maestro Abu Ali (Avicenna):
chi lo ha preceduto non ne parla. Se ora queste premesse sono perfette e vere,
ne consegue necessariamente che il sole non riscalda la terra come i corpi
caldi riscaldano altri corpi che sono a contatto con loro, perché il sole di
per sé non è caldo; e, neppure, la terra è calda per il movimento, poiché essa
è in quiete ed in un solo stato, nel momento in cui il sole si leva su di essa
e nel momento in cui ad essa si nasconde, anche se le sue condizioni di
riscaldamento e di raffreddamento appaiono diverse al senso in questi due
momenti. E, neanche, il sole riscalda dapprima l'aria, e poi riscalda dopo di
essa la terra tramite il riscaldamento dell'aria. Come infatti potrebbe
avvenire questo, se noi troviamo che l'aria che è vicino alla terra nel tempo
della calura è molto più calda dell'aria che la segue in altezza? Rimane solo
che il riscaldamento della terra da parte del sole avvenga per azione della
luce.
Dall'illuminazione consegue sempre il calore, al punto che, se la
luce è eccessiva nello specchio concavo, incendia ciò che si trova di fronte ad
esso.
E’ stato provato nelle scienze sperimentali, con argomenti
decisivi, che il sole è di forma sferica ~, e così pure la terra, che il sole è
molto più grande della terra e che la parte della terra che è illuminata dal
sole è sempre più grande della sua metà; che questa metà illuminata della terra
è, in ogni momento, illuminata più intensamente al centro, poiché i luoghi sono
più lontani dalle tenebre che si trovano presso la circonferenza della zona
illuminata e poiché più parti di essa sono esposte al sole; ciò che si avvicina
alla circonferenza riceve via via meno luce, finché si giunge alle tenebre
presso la circonferenza del cerchio, che non sono mai illuminate. Solo nel
luogo al centro della zona illuminata il sole è allo zenit su coloro che vi
abitano, e quindi in quel luogo il caldo è più intenso che altrove.
Nel luogo in cui il sole è lontano dallo zenit sui suoi abitanti,
il freddo è molto intenso, mentre nel luogo su cui si prolunga la culminazione
è intenso il caldo. ~ dimostrato in astronomia che sui luoghi della terra che
sono presso l'equatore il sole non è al culmine che due volte l'anno: quando
entra nel segno dell'Ariete e quando entra nel segno della Bilancia
Nel suo giro annuale, per sei mesi è a sud di quei luoghi e per sei mesi è a
nord di essi. Quindi in quei luoghi non c'è un caldo eccessivo né un freddo
eccessivo, e le loro condizioni climatiche sono uniformi.
Questo discorso richiederebbe una esposizione più estesa di
questa [che abbiamo ora dato], ma non si addice al cammino che noi stiamo
seguendo; abbiamo solo richiamato su di esso la tua attenzione perché è di
quelle cose che attestano la verità di ciò che si narra della possibilità che
l'uomo in quel luogo si generi senza bisogno di madre né padre.
LA STORIA DEL BAMBINO
AFFIDATO ALLE ACQUE
Tra i nostri progenitori, ce ne sono alcuni che sentenziano ed
affermano categoricamente che [Hayy ibn Yaqzàn] è uno di quelli che
si generarono in quel luogo, senza madre né padre. Altri invece lo negano, e
raccontano, da parte loro, una storia che ti riferiremo.
Dicono che davanti a quell'isola c'era un'isola stupenda, ampia
di confini, ricca e popolosa, su cui regnava un uomo di quella gente, molto
superbo e fiero. Aveva una sorella dotata di bellezza e di meravigliosa bontà,
e le impediva di sposarsi: la rifiutava ai pretendenti, poiché non trovava uno
adatto a lei. Un suo parente che si chiamava Yaqzan
la sposò in segreto in un modo permesso nella loro fede. Poi essa rimase
incinta di lui e diede alla luce un bambino. Poiché temeva che la sua vicenda
fosse scoperta e che il suo segreto fosse rivelato, dopo averlo allattato lo
mise in una cassetta, la legò saldamente con cinghie, e uscì con essa sul far
della notte, accompagnata da un gruppo di serve e di persone degne della sua
fiducia, dirigendosi verso la riva del mare mentre il suo cuore si struggeva
d'amore e di timore per lui. Poi si congedò da lui dicendo: - Mio Dio, Tu hai
creato questo bambino, ed era una cosa insignificante ~, hai provveduto a lui
nelle tenebre delle mie viscere e ti sei preso cura di lui finché è divenuto
completo e si è maturato. Io l'ho affidato alla Tua benevolenza e ho desiderato
per lui
I chiodi della cassa erano divenuti vacillanti, poiché le sue
tavole avevano urtato nel momento in cui l'acqua l'aveva scaraventata nel
bosco. Quando a quel bimbo si fece intensa la fame, pianse, chiamò aiuto, e si
sforzò di muoversi; la sua voce giunse all'orecchio di una gazzella che aveva
perduto il suo piccolo che era uscito dalla tana e l'aquila lo aveva preso.
Udendo la voce, la gazzella pensò che fosse di suo figlio. Segui la voce,
immaginando il suo piccolo, finché giunse alla cassetta, la esplorò con i suoi
zoccoli, ed essa cedeva, mentre si lamentava chi vi era dentro, finché volò in
pezzi una tavola della parte superiore della cassa: la gazzella si intenerì, si
chinò su di lui, lo vezzeggiò, gli porse la sua mammella, gli diede da bere
latte gustoso e continuò ad aver cura di lui ad allevarlo e a difenderlo dal
pericolo.
Questa è l'origine della sua vicenda secondo chi nega la sua
generazione senza padre né madre. Noi qui descriviamo come si è evoluto nei
suoi stati, finché pervenne al conseguimento sublime. Quanto a coloro che
sostengono che si generò dalla terra, essi dicono che in quell'isola c'era una
valle in cui l'argilla fermentava con il passare degli anni e degli anni, così
che il caldo si mescolava al freddo, e l'umido al secco in parti uguali ed in
equilibrio di forza; questa argilla che fermentava era molto abbondante, ed una
parte di essa era migliore dell'altra per la giusta proporzione della miscela e
per la predisposizione all'ulteriore sviluppo dei miscugli, ed il suo centro
era la sua parte più equilibrata e perfetta, simile alla costituzione umorale
dell'uomo. Quella creta si scosse fortemente ed apparvero in essa bolle simili
a quelle dell'ebollizione, per la violenza del moto e per la sua viscosità.
Apparve al centro di essa, per la viscosità, una bolla piccolissima divisa in
due parti da un sottile diaframma, piena di un corpo fine ed aeriforme nelle
condizioni del massimo equilibrio a lui connaturale. In quel mentre, si unì ad
esso il soffio che proviene da Dio Altissimo e gli aderì di un'aderenza tale
che la sensibilità e l'intelletto solo a fatica possono separarsene.
Ed appare chiaro che questo soffio spira incessante e
sovrabbondante da presso Dio - Egli è potente ed eccelso - e che esso è come la
luce del sole che è incessante e sovrabbondante sul mondo.
Ora, dei corpi, quello che non riceve la luce è l'aria molto
trasparente, quelli che ricevono in parte la luce sono i corpi opachi non
levigati, e questi ricevono la luce in modi diversi, e a seconda dei modi i
loro colori sono differenti ~. Quelli che ricevono la luce nel più alto grado
sono i corpi levigati, come lo specchio e simili. Se questo specchio è concavo,
di una forma particolare, appare in esso il fuoco per l'eccesso della luce.
Così il soffio che viene da Dio Altissimo è sempre sovrabbondante su tutte le creature. Di esse, quelle in cui non si manifesta la sua impronta per mancanza di attitudine sono i corpi solidi che non hanno vita e questi sono come l'aria nell'esempio precedente. Quelle in cui si manifesta la sua impronta secondo la loro attitudine sono i vegetali. Questi sono simili ai corpi opachi nell'esempio precedente. Quelle in cui si manifesta la sua impronta in modo molto evidente sono gli animali, ed essi sono come corpi levigati nell'esempio precedente. Di questi corpi levigati, quelli che ricevono la luce nel più alto grado riproducono l'immagine del sole e la sua figura; così anche, degli animali, quello che accoglie il soffio divino nel più alto grado riproduce il soffio divino ed è modellato a sua immagine; esso è l'uomo in particolare. A lui si riferisce l'accenno nelle parole del Profeta, Dio lo benedica e gli dia pace: “Dio ha creato l'uomo a Sua immagine”" ~ Questa immagine prende forza in lui al punto che si annulla ogni altra, immagine nella sua realtà, ed essa sola rimane, ed il sublime splendore della sua luce divora con la sua vampa tutto ciò che raggiunge, e allora è come lo specchio concavo che si riflette in se stesso ed incendia tutte le altre cose; ma questo non avviene che ai Profeti, Dio li benedica. Tutto ciò è esposto chiaramente nei testi appropriati.
IL SOFFIO DIVINO
SULL’ARGILLA
Ma concludiamo il racconto di coloro che descrivono questo modo
di generazione. Dicono: quando questo soffio divino aderì a quell'intimo ogni
forza si sottomise a lui, e gli si prosternò, e fu asservita per ordine di Dio
Altissimo nella sua totalità. Si formò, di fronte a quella bolla, un'altra
bolla divisa in tre cavità, tra le quali erano sottili diaframmi e vie di
comunicazione, piene di un corpo simile a quel corpo aeriforme di cui era piena
la prima bolla, ma più sottile. Risiedeva in queste tre cavità, frazioni di una
sola, parte di quella forza sottomessa al soffio di Dio, e si incaricava di
custodirle e di sostenerle e di comunicare al soffio primo, unito alla prima
bolla, ciò che accadeva in esse, fosse cosa di piccola o di grande importanza.
Si formò anche, di fronte a questa bolla, dalla parte opposta alla seconda, una
terza bolla, piena di un corpo aeriforme, ma più denso di quello contenuto
nelle prime due. Anche in questo intimo risiedeva parte di quella forza
obbediente al soffio divino, e si incaricava di custodirlo e di sostenerlo.
Questi tre ricettacoli furono la prima cosa che si creò da quella grande
quantità di argilla in fermento, nell'ordine citato. C'era tra essi un rapporto
di interdipendenza: il primo aveva bisogno che gli altri due lo servissero e
fossero ad esso sottoposti, gli altri due avevano bisogno del primo come coloro
che dipendono hanno bisogno di chi li diriga, e come coloro che sono guidati di
chi li guidi, ma, quanto agli organi che si sarebbero generati dopo di essi,
entrambi erano capi, non sottoposti. Uno dei due, il secondo, era più perfetto
del terzo nel sovraintendere, ma il primo era più perfetto degli altri due,
poiché gli si era unito il soffio divino. Il suo calore divampò, ed esso prese
la forma conica del fuoco ~ si modellò secondo la sua forma anche la sostanza
spessa che lo circondava, e si formò una carne solida sulla quale si costituì
un rivestimento compatto che la proteggeva. Questo organo nella sua totalità si
chiamava “cuore”. Poiché il suo calore proveniva dalla scomposizione e
dall'annientamento degli umori , aveva bisogno di qualcosa che gli fornisse
sostegno e nutrimento e che reintegrasse ciò che di lui si dissolveva
continuamente, altrimenti non sarebbe sopravvissuto a lungo; aveva bisogno
anche di percepire ciò che gli era benefico e di attrarlo, e ciò che gli era
incompatibile e di rifiutarlo Uno degli organi, con quella forza che era in
esso e che traeva la sua origine dal cuore, si incaricò per lui di provvedere
alla prima necessità, l'altro organo alla seconda. Il responsabile della
percezione era il cervello, il responsabile dell'alimentazione era il fegato.
Entrambi avevano bisogno del cuore, che li soccorresse con il suo calore e con
la forza particolare che da lui aveva origine. Per tutti questi motivi si
intrecciavano, tra i due organi e il cuore, sentieri e passaggi ~, alcuni dei
quali erano più spaziosi di altri, a seconda di ciò che la necessità
richiedeva, ed erano le arterie e le vene. Continuano poi a descrivere tutta la
generazione e gli organi nella loro totalità, in accordo con ciò che descrivono
gli studiosi di scienze naturali a proposito della creazione dell'embrione
nell'utero senza discostarsene minimamente, finché la sua formazione divenne
perfetta, furono completate le sue membra, e giunse al grado di sviluppo in cui
si trova l'embrione pronto a nascere. Ricorrono, nel descrivere quel
completamento, a quella grande argilla che fermentava, e sostengono che essa
era predisposta in modo che si producesse da essa tutto ciò che era necessario
a formare 1'organismo umano, dalle membrane di
rivestimento a tutto il suo corpo, e così via. Quando il suo sviluppo giunse al
termine, si staccarono da lui quelle membrane, come avviene nel parto, e l'argilla
rimanente si spaccò, essendosi prosciugata. Poi quel bimbo invocò aiuto, quando
si esaurì la sostanza che Io nutriva e la sua fame si fece intensa, e una
gazzella che aveva perduto il suo piccolo accorse al
suo grido. Da questo punto in poi, è uguale ciò che descrivono questi e ciò che
descrive il primo gruppo [di cui abbiamo parlato il, a proposito della sua
educazione, e dicono tutti:
La gazzella che lo aveva adottato prese a frequentare un luogo
fertile ed un pascolo rigoglioso, le sue carni si fecero più fiorenti, il suo
latte fluì in abbondanza, in modo che provvide al nutrimento di quel bimbo nel
migliore dei modi. Non si allontanava da lui se non per la necessità del
pascolo. Il bimbo si affezionò a quella gazzella al punto che quando essa tardava
a venire si faceva violento il suo pianto, ed essa accorreva presso di lui.
In quell'isola non c'erano animali feroci: il bimbo fu allevato,
crebbe e fu nutrito dal latte di quella gazzella finché ebbe compiuto i due
anni: fece progressi nel camminare, gli spuntarono i denti, e andava dietro a
quella gazzella; essa era gentile e indulgente con lui, e Io conduceva in
luoghi in cui erano alberi colmi di frutti. Gli dava da mangiare quei frutti
che faceva cadere, dolci e maturi; e se qualche frutto
aveva il guscio resistente, lo rompeva per lui con i suoi denti. Quando tornava
a succhiare il latte, lo saziava, quando aveva sete d'acqua, Io conduceva
all'acqua, quando appariva il sole, gli Faceva ombra, quando soffriva il
freddo, lo riscaldava.
Quando la notte diventava scura, lo faceva volgere al luogo in
cui lo aveva trovato, e lo ricopriva con il suo corpo e con piume che erano là,
di cui era stata un tempo riempita la cassetta quando il bimbo vi era stato
posto. Nell'andare al pascolo al mattino e nel tornare la sera, era solito
accompagnarsi a loro un branco di gazzelle che con loro pascolava e con loro
trascorreva la notte Il bimbo continuò a vivere con le
gazzelle in quel modo, ed imitava con la voce il loro verso ~, al punto che
quasi non c'era distinzione tra lui e loro. Così pure riproduceva con una
grande efficacia i versi di tutti gli uccelli e degli altri animali che
sentiva. Ma, più di ogni altra cosa, imitava i versi delle gazzelle nel
chiedere aiuto, nel chiamare, nel cercare compagnia, nel difendersi: poiché gli
animali in queste diverse situazioni si esprimono in modi differenti
Fraternizzavano con lui gli animali selvatici, ed egli con loro, non Io
respingevano e non li respingeva.
Quando fissava nella sua mente le immagini delle cose dopo che si
erano nascoste alla sua osservazione, gli avveniva di provare inclinazione per
alcune di esse e avversione per altre In tutto quel
tempo guardava tutti gli animali e li vedeva rivestiti di peli, di pellicce e
di piume. Vedeva la velocità che avevano nella corsa, la forza del loro
assalire, e le armi di cui erano forniti per difendersi nella lotta, come le
corna, le zanne, gli zoccoli, gli aculei e gli artigli. Poi tornava ad
esaminare se stesso> e si vedeva nudo, privo di
difese, debole nella corsa> inadeguato nell'assalto.
Quando gli animali selvatici gli contendevano i frutti di cui si
nutriva, li prendevano tutti per sé escludendolo, glieli strappavano con la
forza e non poteva né scacciarli né. sfuggire loro in qualche modo. Vedeva che
ai piccoli delle gazzelle, suoi coetanei, erano già spuntate le corna che prima
non avevano e che erano diventati forti, mentre prima erano deboli nella corsa.
Non riscontrava in se stesso niente di tutto ciò,
rifletteva su questo e non ne comprendeva il motivo. Guardava le creature
inferme e menomate, ma tra loro non ne trovava nessuna simile a lui. Osservava
anche gli orifizi di uscita degli escrementi di tutti gli animali e li vedeva
nascosti e protetti, quello delle deiezioni solide dalla coda e quello delle
deiezioni liquide dai peli: egli non era simile a loro, e inoltre essi avevano
anche il pene più nascosto rispetto a lui. Tutto questo lo inquietava e lo
addolorava.
Dopo che a lungo si fu protratto il suo cruccio per tutto ciò,
era già vicino ai sette anni, non sperò più che si rimediasse quella
imperfezione e che gli giungessero a completamento quelle qualità la cui
carenza lo aveva danneggiato.
Prese delle foglie larghe degli alberi e se ne mise alcune dietro
e altre davanti, ricavò dalle foglie di palma e di alfa una cintura intorno
alla vita e ad essa legò quelle foglie. Non rimase a lungo vestito di quelle
foglie: esse infatti appassirono, si seccarono e gli caddero. Continuò a
prenderne altre e ad appuntarle le une alle altre in più strati: spesso questo
fu più duraturo, ma ad ogni modo fu di breve durata. Dai rami degli alberi
trasse dei bastoni, levigò le loro estremità ne aggiustò il corpo; con essi
scacciava gli animali selvatici che contendevano con lui, attaccava chi di loro
era debole e teneva testa a chi era forte.
Si rese conto così in qualche modo delle sue capacità: vide che
la sua mano era molto superiore rispetto alle loro zampe
infatti poteva con essa coprire i suoi genitali e afferrare i bastoni
con i quali difendeva il possesso di ciò che aveva e di ciò che desiderava
ottenere, meglio che con la coda e con l'arma naturale.
DAI SETTE
AI VENTUNO ANNI
(LA
CONOSCENZA
DEL CORPO
UMANO)
I |
ntanto crebbe e superò i sette anni ~ gli prendeva molto tempo e
fatica il rinnovare le foglie di cui si ricopriva. Cominciò allora a strappare
le code degli animali morti per mettersele addosso. Ma, vedendo che gli animali
selvatici vivi si astenevano dai morti della loro specie e lo sfuggivano, non
osava farlo; finché un giorno trovò un'aquila morta e riuscì a procurarsi da
essa ciò che sperava e a cogliere l'occasione che con essa gli si offriva:
poiché vide che gli animali selvatici non la sfuggivano.
Si accinse all'opera su di essa: le tagliò le ali e la coda,
intere come erano, dischiuse il loro piumaggio e lo livellò; le staccò tutta la
pelle e la divise in due parti, se ne legò una sulla schiena e l'altra
sull'ombelico e ciò che è sotto di esso; si attaccò la coda dietro e le due ali
sulle spalle.
Ciò gli procurò copertura, calore e rispetto presso tutti gli
animali, al punto che non ci fu più né contesa né opposizione nei suoi
confronti. Avvenne che nessuno di loro gli si avvicinava eccetto la gazzella
che lo aveva nutrito e allevato; essa non si separò da lui né egli da lei,
finché divenne vecchia e debole: allora cercava per lei il fertile pascolo,
coglieva per lei i dolci frutti e la nutriva. Continuò a deperire e a
indebolirsi sempre di più, finché la morte la colse. Allora si quietarono tutti
i suoi movimenti, cessarono tutte le sue funzioni.
Quando il fanciullo la vide in quello stato, fu preso da una
sofferenza insopportabile, e il suo cuore fu sul punto di essere sommerso dal
dolore per lei; la chiamava con la voce cui essa era solita rispondere, e
gridava più forte che poteva ma non vedeva in lei, mentre faceva questo, né
movimento né variazione. Guardava le sue orecchie e i suoi occhi e non vi
scorgeva nessuna infermità visibile, guardava tutte le sue membra e non vedeva
infermità in nessuna di esse. Desiderava trovare il luogo in cui era l'infermità
e allontanarla da lei, così essa sarebbe tornata ad essere quella che era, ma
non gli riusciva, non poteva farlo.
Lo guidava a questo pensiero ciò che aveva imparato su se stesso, poiché vedeva che se copriva i suoi occhi o li
velava entrambi con qualche cosa, non vedeva niente finché non toglieva
quell'impedimento. Così anche vedeva che, se introduceva due dita nelle
orecchie e le tappava, non sentiva niente finché non toglieva
quell'impedimento. Se si comprimeva il naso con la mano, non
percepiva alcun odore finché non apriva il naso.
Si convinse perciò che tutti i movimenti e le funzioni della
gazzella erano ostacolati da impedimenti, e che se quegli impedimenti fossero
stati rimossi le funzioni sarebbero tornate. Esaminando tutti gli organi
visibili e non scorgendo in essi infermità apparente, vedeva tuttavia che
l'inazione si era impadronita di lei e che non si poteva attribuire a nessun
organo: si consolidò così nella convinzione che l'infermità che l'aveva colpita
fosse soltanto in un organo nascosto alla vista, posto all'interno del corpo, e
che nessuno degli organi visibili potesse, nello svolgimento delle sue
funzioni, fare a meno di lui.
Quando lo colpiva l'infermità, il danno si diffondeva dovunque e
l'inazione diventava generale. Pensò, pieno di speranza, che se avesse trovato
quell'organo e avesse allontanato da lui il male che lo aveva colpito, le sue
condizioni sarebbero tornate alla normalità, il suo benessere avrebbe inondato
tutto l'organismo, e in virtù di esso le funzioni si sarebbero riattivate.
Aveva osservato in precedenza sui cadaveri degli animali
selvatici e di altri animali che tutte le loro membra erano compatte e che non
erano cavi che il cranio, il petto e il ventre, e pensò che l'organo che aveva
quella caratteristica non poteva trovarsi che in uno
di questi tre luoghi.
Prevaleva di gran lunga, tra le sue congetture, questa: che esso
poteva trovarsi solo nel luogo posto al centro di questi tre luoghi; si era
infatti saldamente radicata in lui la convinzione che tutti gli organi ne
avevano bisogno e che era necessario perciò che fosse
posto al centro. Se tornava a se stesso, sentiva
qualcosa di simile a questo organo nel suo petto: infatti poteva ostacolare
tutti i suoi organi, come la mano, il piede, l'orecchio, il naso, e l'occhio,
poteva separarsene e riusciva a fare a meno di loro. Lo stesso riusciva a fare
con la sua testa, pensava infatti di poter fare a meno di essa, ma se rivolgeva il pensiero alla cosa che sentiva nel suo petto, non gli
riusciva di fare a meno di essa per un solo istante.
Così, ugualmente, quando lottava con gli animali selvatici,
difendeva soprattutto il suo petto dai loro aculei, per il pensiero di quella
cosa che era in esso. Quando decise che l'organo colpito dall'infermità era
quello che si trovava nel petto della gazzella, decise di esaminarlo e di
forarlo; forse avrebbe riportato la vittoria su di lui, avrebbe visto la sua
infermità e l'avrebbe allontanata.
Temeva però che il fare questo potesse essere più dannoso
dell'infermità che l'aveva colpita. Ma poi pensò: degli animali selvatici e
degli altri animali, vi è forse qualcuno che dopo essere giunto a uno stato
simile a quello ritorna poi allo stato che aveva prima? E non ne trovava
nessuno.
Risultava da ciò che se l'avesse abbandonata non ci sarebbero
state speranze del suo ritorno al suo stato precedente, mentre gli sarebbe
rimasta qualche speranza del suo ritorno a quello stato se avesse trovato
quell'organo e avesse allontanato da lui l'infermità.
Decise di aprirle il petto e di esplorare ciò che era in esso:
prese schegge di pietre dure e frammenti di canne rigide a guisa di coltelli, e
con essi praticò un’incisione, finché tagliò la carne che era tra le costole e
giunse all'involucro posto all'interno di esse: lo vide resistente e si consolidò
nell'idea che un involucro di tal genere non poteva che appartenere ad un
organo come quello che cercava. Pensò, con speranza, che se lo avesse
oltrepassato avrebbe trovato l'oggetto della sua indagine. Si sforzò di
lacerarlo, ma gli era difficile per l'inconsistenza degli strumenti, essi non
erano infatti che pietre e canne.
Ne prese di nuovi, li affilò, e si adoperò con delicatezza a
bucare l'involucro, finché lo bucò e giunse al polmone; pensò dapprima che
fosse quello l'organo che cercava e continuò ad esaminarlo e a cercare il luogo
della sua infermità.
In un primo tempo aveva trovato, del polmone, solo la metà che si
trova da una parte, ma, poiché la vide inclinata da un lato, mentre era
convinto che quell'organo si trovasse al centro del corpo nel senso della
larghezza come era al centro di esso nel senso della lunghezza, non cessò di
esplorare in mezzo al petto, finché trovò il cuore.
Era rivestito della membrana più resistente ~ legato dai
legamenti più saldi, e il polmone appariva presso di lui dal lato da cui aveva
iniziato a incidere. Si disse: " Se questo organo avesse dall'altra parte
qualcosa di simile a ciò che è da questa parte, si troverebbe dunque proprio al
centro, e non ci sarebbe dubbio che è quello che sto cercando, senza contare che
vedo anche l'eccellenza della sua posizione, la bellezza della sua forma, il
suo essere compatto, la robustezza della sua carne, e il fatto che è nascosto
da questo involucro, tale che non ne ho visto a nessun organo uno simile.
Frugò dall'altra parte del petto e vi trovò l'involucro E posto
all'interno delle costole, trovò il polmone secondo ciò che aveva trovato da
questa parte, e si convinse che quello era l'organo che cercava. Si sforzò di
lacerare il suo rivestimento e di incidere la sua membrana, e con pena e lavoro
riuscì in questo dopo avere compiuto ogni sforzo e fatica. Mise a nudo il
cuore, e lo vide compatto da ogni parte. Guardò se in esso ci fosse infermità
apparente, ma non ci vide nulla. Lo strinse nella sua mano, e gli apparve
chiaro che in esso vi era una cavità. E disse: “Forse ciò che io cerco,
l'ultima cosa cui voglio giungere, è solo all'interno di quest'organo, e io
ancora non vi sono giunto”. Lo apri, e in esso trovò due cavità, l'una a
destra, l'altra a sinistra.
Quella di destra era piena di grumi di sangue coagulato, quella
di sinistra era vuota, in essa non c'era ~ Disse: “Ciò che io cerco è soltanto
ciò che risiede in uno di questi due ricettacoli”. Poi disse: “In questo
ricettacolo di destra non vedo che questo sangue coagulato, e non vi è dubbio
che esso non coagula finché tutto il corpo non giunge a questo stato”. Aveva
infatti osservato che tutti i tipi di sangue, quando scorrevano e uscivano, si
coagulavano e si rapprendevano, e questo non era che sangue come gli altri tipi
di sangue. “Io vedo che questo sangue è in tutti gli organi e non lo possiede
di preferenza un organo piuttosto che un altro, mentre quello che io cerco non
ha affatto questa caratteristica.
Quello che io cerco è la cosa che spetta di preferenza a questo luogo
di cui io trovo che non posso fare a meno per un solo istante, e ad esso
infatti mi sono indirizzato fin dall'inizio. Quanto a questo sangue, quante
volte gli animali selvatici e la pietra mi hanno ferito, e da me ne è sgorgato
molto, ma ciò non mi ha portato danno, né mi ha privato in alcun modo delle mie
funzioni. Dunque, ciò che io cerco non si trova in questo ricettacolo.
Quanto a questo ricettacolo di sinistra, lo vedo vuoto, in esso
non vi è nulla: a quel che vedo, dunque, è inutile. Ma se io vedo che ognuno
degli organi nelle sue funzioni si riferisce a lui, come può essere inutile
questo ricettacolo, di cui ho constatato la dignità? Che cosa vedo, se non che
quello che io cerco era in esso, e ne è partito, lasciandolo vuoto? Allora
l'inazione ha colto questo corpo, e ha perduto la percezione e il movimento”.
Quando vide che l'abitante di quella casa era partito prima che
fosse stata aperta e l'aveva abbandonata quando era ancora intatta, fu sicuro
che non vi avrebbe fatto ritorno dopo ciò che era accaduto in essa di
danneggiamento e di lacerazione. Allora tutto il corpo divenne miserevole ai
suoi occhi, e di nessuna importanza rispetto a quella cosa che, ne era
convinto, vi abitava un tempo e poi ne era partita.
Concentrò il suo pensiero su quella cosa: che cosa era? come era?
e che cosa l'aveva congiunta a questo corpo? ~ e verso dove era partita? e da
quale parte era uscita al suo uscire dal corpo? e qual’era
la causa che l'aveva scacciata se era uscita riluttante? oppure, se era uscita
di sua volontà, qual era la causa che le aveva reso disgustoso il corpo; al
punto che se ne era separata? Su tutto ciò il suo pensiero si disperse; non
pensò più a quel corpo, e anzi lo rinnegò, e comprese che sua madre, che aveva
avuto affetto per lui e lo aveva allattato, era soltanto quella cosa che era
partita e da cui provenivano tutte quelle funzioni, non questo corpo ozioso, e
che questo corpo, nel suo complesso, era solo come lo strumento di cui quella
cosa si serviva, come il bastone che egli aveva preso per combattere gli
animali selvatici. Il suo affetto si trasferì allora dal corpo al padrone e al
motore del corpo, e non gli rimase desiderio che di lui.
Frattanto quel corpo si decompose, ed emanavano da esso odori
nauseanti; aumentò la sua avversione per esso e desiderò di non vederlo. Poi si
offrirono al suo sguardo due corvi che lottavano tra loro, finché uno di essi
fece stramazzare l'altro morto. Ed ecco, quello vivo prese a scavare nella
terra, finché scavò una fossa ed in essa seppellì il morto con la terra ~.
Disse tra sé: “Che buona cosa ha fatto questo corvo nel seppellire il cadavere
del suo compagno, anche se si è comportato male uccidendolo. Io sono più degno
di essere guidato a questo nei confronti di mia madre”".
Scavò una fossa e vi gettò il corpo di sua madre, sparse su di
esso la terra, e continuò a pensare a quella cosa che si serviva del corpo, e
non capiva che cosa fosse. Volgeva lo sguardo a tutte le gazzelle, e le vedeva
nella forma di sua madre, e fatte a sua immagine. Era probabile, secondo lui,
che ognuna di esse fosse animata e “usata” da una cosa simile a quella che
aveva animato sua madre e che si era “servita” di lei. Aveva dimestichezza
con le gazzelle, e le ricercava con desiderio a causa della somiglianza.
Continuò per qualche tempo ad esaminare le specie degli animali e
dei vegetali; si aggirava sulla spiaggia di quell'isola, e indagava se vedesse
o trovasse qualcuno simile a lui, analogamente a ciò che vedeva per gli animali
e per le piante, di cui ognuno aveva molti simili. Ma non trovava nessuno
simile a lui. Vedeva che il mare circondava l'isola da ogni lato, ed era
convinto che al mondo non ci fosse che quell'isola.
Accadde un giorno che si producesse fuoco in un canneto, per
sfregamento. Quando lo scorse vide uno spettacolo che
lo impauriva, una creatura che prima non aveva considerato.
Si fermò a lungo a contemplarlo, stupefatto, e continuò ad
avvicinarglisi passo dopo passo. Vide la luce, la brillantezza, l'azione
misteriosa del fuoco, tale che non si comunicava a nessuna cosa senza
consumarla e trasformarla in se stesso. Si impadronì
di lui l'ammirazione per il fuoco, e per l'audacia e la forza che Dio Altissimo
aveva infuso nella sua natura, e volle prenderne.
Ma quando lo toccò, gli bruciò la mano e non poté acchiapparlo; così si risolse a prendere un tizzone di cui
il fuoco non si era completamente impadronito. Lo prese dalla parte integra,
mentre il fuoco ardeva dall'altra parte, e questo gli fu facile, e lo portò al
luogo in cui trovava ricovero; aveva infatti preso a vivere da solo in una
tana, che aveva trovato adatta per abitarci. Continuò ad alimentare quel fuoco
con erba e legna abbondante, lo apprezzava e lo ammirava e ne aveva cura notte
e giorno.
Di notte poi, la sua familiarità con il fuoco era più grande,
poiché assolveva per lui le funzioni del sole, con la sua luce e con il suo
calore. L'entusiasmo per il fuoco divenne immenso, e si persuase che esso era
la cosa migliore che aveva. Lo vedeva sempre levarsi verso l'alto, cercando di
innalzarsi, e si convinse che faceva parte di quei corpi che osservava nel
cielo '~.
Sperimentava la sua forza su tutte le cose gettandole in esso, e
vedeva che se ne impadroniva, ora velocemente, ora con lentezza, a seconda
della forza dell'attitudine del corpo che gettava nelle fiamme, o della sua
debolezza.
Tra tutte le cose che gettò in esso per esaminare la sua forza,
vi fu un animale marino che il mare aveva gettato sulla sua spiaggia; quando
quell'animale fu cotto e si diffuse il suo odore di arrosto, gli venne voglia
di esso. Ne mangiò e gli piacque. Si abituò così a mangiare la carne, e adoperò
l'astuzia nella caccia e nella pesca, finché fu abile in questo. Il suo amore
per il fuoco si accrebbe, poiché con esso gli riusciva di trovare gustoso il
nutrirsi di qualcosa di cui prima non riusciva a nutrirsi.
Quando il suo entusiasmo per il fuoco si fece più grande al
vedere l'eccellenza dei suoi effetti e la forza delle sue facoltà, si convinse
che la cosa che si era allontanata dal cuore di sua madre, la gazzella che l'aveva
allevato, era della sostanza di questa creatura o di una cosa simile ad essa-
Lo confermava nel suo pensiero il vedere che gli animali erano
caldi durante la loro vita ed erano invece freddi dopo la morte, ed era sempre
così, senza eccezione, e il calore intenso che trovava in se stesso, nel suo
petto, in corrispondenza del luogo della gazzella in cui aveva praticato
l'incisione; e gli venne in mente che se avesse preso un animale vivo, avesse
aperto il suo cuore, e avesse guardato in quella cavità che aveva trovato vuota
quando l'aveva aperta nella gazzella sua madre, l'avrebbe vista, in questo
animale vivo, piena di quella cosa che abitava in essa, e avrebbe verificato se
era della sostanza del fuoco, e se era in qualche modo luminosa e calda, oppure
no.
Si diresse verso un animale selvatico, lo legò saldamente, e lo
apri nel modo in cui aveva aperto la gazzella, finché giunse al cuore. Si volse
in primo luogo al lato sinistro di esso e l'apri. E vide quella cavità piena di
aria fumante che somigliava alla bianca nebbia. Introdusse in essa il dito e la
trovò calda, tanto che quasi lo bruciava. E quell'animale subito mori. Allora
fu certo che era quel vapore caldo che faceva muovere questo animale, e che era
così in ogni organismo animale, e che quando abbandonava l'animale, quello
moriva.
Poi si destò in lui il desiderio di studiare tutti gli altri
organi degli animali: la loro collocazione, il loro modo di funzionare, la loro
quantità, la qualità delle relazioni tra gli uni e gli altri, come erano alimentati
da questo vapore caldo finché rimanevano in vita in grazia sua, e come avveniva
il permanere di questo vapore durante il tempo in cui permaneva, da dove era
attinto, e come accadeva che il suo calore non si esauriva. Perseguì tutto ciò
sezionando gli animali vivi e morti. Continuò ad esaminarli con attenzione e ad
approfondire le sue conoscenze, finché raggiunse su tutti questi argomenti il
grado di conoscenza dei più grandi naturalisti.
Gli apparve chiaro che ogni organismo animale, anche se era provvisto
di molti organi e di molteplici facoltà [percettive] e movimenti, era “uno”
quanto a quel soffio che traeva origine da una sola cavità e si distribuiva in
tutti gli altri organi emanando da essa.
Tutti gli organi gli erano asserviti, o lavoravano per lui, e il
modo in cui quel soffio operava nella conduzione del corpo era come il modo in
cui egli stesso utilizzava gli strumenti. Con alcuni di essi combatteva gli
animali, con altri li catturava, con altri ancora li
sezionava.
Gli strumenti di cui si serviva per combattere si dividevano in
quelli con cui respingere il danno di un altro, e quelli con cui rovesciare un
altro. Gli strumenti adatti alla caccia si dividevano in quelli che andavano
bene per gli animali marini e quelli che andavano bene per gli animali
terrestri. Così pure gli strumenti con cui li sezionava si dividevano in quelli
che servivano a lacerare, quelli che servivano a spezzare, e quelli che
servivano a bucare.
Il corpo era uno solo, ma cambiava quegli strumenti a seconda
dell'uso a cui ogni strumento era adatto, e degli scopi che la sua azione si
prefiggeva. Analogamente, quel soffio animale era uno solo, e quando operava
con lo strumento occhio la sua azione era il vedere, quando operava con lo
strumento orecchio la sua azione era l'udire, quando operava con lo strumento
naso la sua azione era il fiutare, quando operava con lo strumento lingua la
sua azione era il gustare, quando operava con la pelle e con la carne la sua
azione era il percepire con il tatto, quando operava con l'arto la sua azione
era il muovere, quando operava con il fegato la sua azione era il nutrire e
l'essere nutrito; per ognuna di queste funzioni c'erano organi che le
svolgevano, ma nessuna di queste funzioni si esplicava perfettamente se non in
virtù di ciò che di quel soffio giungeva agli organi, attraverso le vie
chiamate nervi. Quando quelle vie erano interrotte o erano ostruite, la
funzione dell'organo corrispondente cessava. Questi nervi attingevano il soffio
dalle profondità del cervello, e il cervello attingeva il soffio dal cuore.
Nel cervello c'erano molti soffi, perché esso era il luogo in cui
molte parti erano divise. Ogni organo che fosse privo di questo soffio a causa
dei motivi che impedivano la sua azione, diveniva come lo strumento gettato via,
che l'operatore non utilizza e di cui non si giova. Se poi questo soffio usciva
dal corpo nella sua totalità, o veniva meno, o si dissolveva completamente, tutto il corpo si arrestava e
giungeva alla condizione della morte.
Procedendo in tal modo, giunse a questo livello speculativo al
compiersi di tre settenari dalla sua nascita, cioè ventuno anni.
Durante questo periodo di cui abbiamo parlato, si era industriato
in diversi modi. Si vestiva con le pelli degli animali che sezionava, e se ne
calzava, per cucire prendeva i fili dalle pellicce, e scortecciava i fusti
dell'altea, della malva, della canapa e di ogni pianta 'fibrosa.
Quando si era indirizzato a far questo, aveva preso l'alfa, e
aveva fabbricato lesine da rovi resistenti e da canne affilate sulla pietra. Si
era ispirato, nel costruire, a ciò che vedeva fare alle rondini: si era fatto
una casa e una dispensa per il cibo che aveva in sovrappiù, e l'aveva munita di
una porta di canne legate insieme affinché non ci arrivassero animali mentre
lui era lontano da quelle parti, occupato in qualche faccenda.
Aveva addomesticato uccelli rapaci per farsi aiutare nella
caccia, si era procurato dei polli per giovarsi delle loro uova e dei loro
pulcini. Aveva preso corna di buoi selvatici simili a rebbi e le aveva montate
su canne resistenti e su bastoni di faggio o di altro legno. Si era aiutato in
questo con il fuoco e con pietre affilate, finché erano diventate come lance.
Aveva ricavato il suo scudo da pelli sovrapposte. Tutto questo perché si era
accorto che le sue armi naturali erano inadeguate, ma che la sua mano era in
grado di assicurargli tutte quelle difese che gli mancavano.
Poiché nessun animale, a qualsiasi specie appartenesse, gli
teneva testa, ma lo evitava e gli si sottraeva con la fuga, aveva meditato su
come superare questa difficoltà, e non aveva visto niente di più vantaggioso
che attirare alcuni animali veloci nella corsa e offrire loro in abbondanza il
cibo a loro adatto, in modo che gli riuscisse di cavalcarli e di inseguire
tutte le altre specie di animali.
In quell'isola c'erano cavalli e asini selvatici: aveva scelto,
di essi, quelli che gli sembravano adatti e li aveva addestrati, finché aveva
raggiunto il suo scopo. Con lacci e pelli aveva fatto per essi cose simili a
morsi e a selle. Così fu in grado, come si era ripromesso, di inseguire gli
animali che gli era difficile prendere. Si era industriato in tutte queste
faccende nel tempo in cui si dedicava a sezionare gli animali e studiava con
passione le particolarità e le differenze dei loro organi.
[Questo]
nel periodo che terminò, come abbiamo definito, all'età di ventuno anni.
DAI VENTUNO
AI VENTOTTO ANNI
(LA
CONOSCENZA DEGLI
ORGANI
DEL CORPO UMANO)
I |
n seguito, cominciò a dedicarsi ad altre ricerche: esaminò tutti
i corpi che erano nel mondo della generazione e della corruzione ~ gli animali
secondo le loro differenti specie, i vegetali, i minerali, e le specie della
pietra, della terra, dell'acqua, del vapore, della neve, della grandine, del
fumo, del ghiaccio, della fiamma e della brace. Vide che avevano molte
caratteristiche e svariati comportamenti, e moti analoghi e diversi. Si immerse
nello studio di questo, considerando attentamente il problema.
Vide che essi erano simili in alcune proprietà e differivano in
altre, e che per ciò in cui erano simili erano una cosa sola, mentre per ciò in
cui differivano erano diversi e molteplici '~. Talvolta vedeva le proprietà
specifiche delle cose e ciò per 'cui si distinguevano le une dalle altre, e ai
suoi occhi la molteplicità che ne risultava diventava troppo grande perché egli
la potesse abbracciare con la mente, e ciò che trovava gli si disperdeva in
modo che non riusciva a. metterci ordine. Vedeva molteplice anche sé stesso,
poiché esaminava i suoi diversi organi, e ognuno di essi era distinto dagli
altri per una funzione ed una caratteristica che gli era propria. E se esaminava ognuno degli organi, vedeva che poteva essere
suddiviso in moltissime parti e giudicava se stesso molteplice, e così
ugualmente ogni cosa. Ma poi, se tornava a considerare ancora in un secondo
modo, vedeva che i suoi organi, anche se erano molti, erano tutti
interdipendenti l'uno dall'altro, non erano affatto separati, ed erano come una
cosa sola, e non differivano se non nella diversità delle loro funzioni, e che
quella diversità derivava soltanto da ciò che giungeva loro della forza del
soffio animale, che egli aveva in precedenza conosciuto, e che quel soffio
dentro di lui era uno, e così anche la realtà del suo essere, e tutti gli
organi erano come gli arnesi '~. In questo modo nei suoi pensieri il suo essere
diveniva una cosa sola. Poi si volgeva a tutte le specie degli animali, e
vedeva che ogni individuo di esse, da questo punto di vista, era una cosa sola.
Poi osservava una specie di essi, come le gazzelle, i cavalli, gli asini e le
specie degli uccelli, una per una. E vedeva che gli individui di ogni specie
assomigliavano gli uni agli altri negli organi esterni ed interni, nelle
percezioni, nei movimenti e nelle inclinazioni. E non vedeva tra loro una
diversità se non in cose trascurabili rispetto a tutte le cose in cui erano
simili.
Giudicava che il soffio [spirito] per tutta quella specie, fosse
uno solo, e che non differisse se non per il fatto che era diviso in molti
cuori, e che se fosse stato possibile riunire tutto ciò che di lui era diviso
in quei cuori e metterlo in un unico recipiente, esso nella sua totalità
sarebbe stato una cosa sola, come una sola massa di acqua o di vino, che sia
suddivisa in molti recipienti e in seguito venga riunita: essa, divisa o unita,
è una cosa sola, anche se in qualche modo le accade di divenire molteplice. E
vedeva tutta la specie, da questo punto di vista, come una cosa sola, e
considerava la molteplicità dei suoi individui, come la molteplicità degli
organi del singolo individuo, che non era in realtà una molteplicità.
Poi, richiamando alla mente le specie di tutti gli animali e
riflettendoci sopra, vedeva che esse erano simili in quanto percepivano, si
nutrivano, si muovevano intenzionalmente in qualsiasi direzione volessero.
Si era accorto che queste funzioni erano le funzioni più proprie
dello spirito animale, e che tutte le cose in cui differivano, al di là di
questa somiglianza, non erano molto specifiche dello spirito animale.
Attraverso questa riflessione gli apparve chiaro che lo spirito animale per
tutto il genere degli animali in realtà era uno, e che in esso c'era una
differenza insignificante per cui una specie si distingueva dall'altra, come
una sola massa d'acqua divisa in molti recipienti, di cui una parte è più
fredda dell'altra, ma essa, nella sua origine, è una sola. E tutto ciò che era
in uno stesso grado di freschezza era come il manifestarsi particolare di
quello spirito animale in una sola specie. Ma oltre a ciò,
come tutta quell'acqua era una cosa sola, così anche lo spirito animale era uno
solo, e in qualche modo gli accadeva di divenire molteplice. E vedeva tutto il
genere degli animali, da questo punto di vista, come una cosa sola.
Poi prendeva in considerazione le diverse specie dei vegetali, e
vedeva che gli individui di ogni specie si assomigliavano tra loro nei rami,
nelle foglie, nei fiori, nei frutti, nelle funzioni. Li paragonava agli
animali, e si accorgeva che essi avevano tutti in comune una cosa sola, che era
per loro come lo spirito animale, e che essi, quanto a questo, erano una cosa
sola. Così esaminava tutto il genere delle piante, e giudicava della sua unità,
per la somiglianza che vedeva [in tutte le specie] nelle funzioni della
nutrizione e della crescita.
Poi riuniva nel suo pensiero il genere degli animali e il genere
dei vegetali, e li vedeva insieme, simili nel fatto che si nutrivano e si
accrescevano. Sennonché gli animali erano superiori alle piante grazie al
tatto, alla percezione e al movimento. Spesso, tuttavia, appariva nei vegetali
qualcosa di simile a questo, come il volgersi dei loro fiori in direzione del
sole, e il muoversi delle loro radici in direzione del cibo, e così via.
Gli apparve chiaro attraverso questa riflessione che i vegetali e
gli animali erano una cosa sola, poiché una cosa sola era comune ad entrambi,
ed essa negli animali era più completa e perfetta, mentre nelle piante la
ostacolava un impedimento. E che questa cosa era come una sola massa d'acqua
divisa in due parti, di cui una è immobile e l'altra corrente, ed ai suoi occhi
i vegetali e gli animali divenivano una cosa sola.
Poi esaminava i corpi che non percepivano, non si nutrivano e non
si accrescevano, come la pietra, la terra, l'acqua, l'aria e la fiamma, e
vedeva che essi erano corpi che avevano una determinata lunghezza, larghezza,
profondità, e che non differivano se non per il fatto che alcuni erano
colorati, e altri no, e alcuni erano caldi, e altri freddi, e altre differenze
di questo tipo. E vedeva che quello di essi che era caldo diveniva freddo, e
quello che era freddo diveniva caldo. Vedeva che l'acqua diveniva vapore, e il
vapore acqua, e che le cose che bruciavano divenivano brace e cenere, fiamma e
fumo, e che se il fumo, nel suo innalzarsi, aderiva alla
volta di una caverna, si condensava su di essa e diveniva come tutte le
cose terrestri ~ E attraverso questa riflessione gli appariva chiaro che tutte
queste cose erano in realtà una cosa sola, anche se in generale ineriva ad esse
la molteplicità. E ciò analogamente alla molteplicità che ineriva agli animali
e alle piante.
Esaminava poi ciò che rendeva una cosa sola ai suoi occhi i
vegetali e gli animali, e vedeva che era un corpo simile a questi corpi, che
aveva una lunghezza, una larghezza e una profondità, che era sia caldo sia
freddo, come uno di questi corpi che non percepivano e non si nutrivano, e
differiva da essi soltanto per le funzioni che si manifestavano per opera sua
negli organi degli animali e dei vegetali, che erano come gli arnesi.
Non c'era altra differenza. Forse quelle funzioni non erano
proprie della sua essenza, ma gli si comunicavano provenienti da un'altra cosa,
e, se si fossero comunicate anche a questi corpi, questi sarebbero stati simili
ad esso. Lo considerava, nella sua essenza, privo di queste funzioni che
apparivano a prima vista provenienti da lui, e vedeva che non era che uno di
questi corpi E gli appariva chiaro attraverso questa riflessione che tutti i
corpi erano una cosa sola: quelli animati e quelli inanimati, quelli dotati di movimento
e quelli immobili. Sennonché vedeva che alcuni di essi producevano funzioni in
organi, e non sapeva se queste funzioni fossero proprie della loro essenza o si
comunicassero loro provenienti da qualche altra cosa. In questa fase non vedeva
niente che non fossero i corpi; e con questo modo di procedere vedeva come una
cosa sola tutto ciò di cui scopriva l'esistenza, mentre a prima vista vedeva
ciò che esisteva come una molteplicità illimitata e infinita. Rimase per
qualche tempo in questa convinzione.
Poi considerò attentamente tutti i corpi, animati e inanimati,
che a volte gli apparivano come una cosa sola e a volte come una molteplicità
senza fine. E vide che ognuno di essi non mancava di una di queste due tendenze
o si muoveva verso l'alto, come il fumo, la fiamma e l'aria se veniva a
trovarsi sotto l'acqua, oppure si muoveva in direzione opposta, cioè verso il
basso, come l'acqua, le parti della terra e le parti degli animali e dei
vegetali '~ ognuno di questi corpi non era privo di uno di questi due
movimenti, e non si arrestava a meno che un impedimento lo ostacolasse nel suo
cammino, così come la pietra che cade incontra una superficie terrestre che non
le è possibile penetrare, ma se ciò le fosse stato possibile, non avrebbe,
evidentemente, rinunciato al suo movimento.
Per questo, se tu la sollevi verso l'alto '~, trovi che ti
opprime con la sua inclinazione verso il basso, cercando di scendere, e così il
fumo che si innalza non rinuncia al suo moto ascensionale, a meno che incontri
una volta solida che lo trattenga; si piega poi a destra e a sinistra, e poi
ecco che si libera di quella volta, e irrompe nell'aria e si innalza, poiché
l'aria non può arrestarlo.
E vedeva l'aria che, se si riempie con essa un otre di pelle
"~ e si chiude con lacci e poi si immerge sotto l'acqua, cerca di salire e
contrasta chi la trattiene sotto l'acqua, e non cessa di fare questo finché non
giunge al luogo dell'aria, uscendo da sotto l'acqua. Allora si ferma, e si
allontanano da essa quella resistenza e quella tensione verso l'alto che da
essa emanavano prima. Esaminò se potesse trovare un corpo che fosse in un tempo
qualsiasi privo di questi due movimenti o dell'inclinazione ad uno di essi, ma
non lo trovò tra i corpi che poteva esaminare; allora lo cercò avidamente
poiché desiderava trovarlo e vedere la natura del corpo in quanto corpo, senza
che gli fosse unita nessuna di quelle proprietà che causavano il prodursi della
molteplicità.
Quando fu stanco di questa ricerca ed ebbe preso in
considerazione i corpi che avevano meno proprietà di tutti gli altri, giunse
alla conclusione che essi non erano privi, in qualche modo, di una di quelle
due proprietà che sono designate come " pesantezza " e "
leggerezza ". Considerò la pesantezza e la leggerezza: un corpo le
possedeva in quanto corpo, oppure esse erano proprietà che si aggiungevano alla
corporeità? Gli sembrò che esse fossero proprietà che si aggiungevano alla
corporeità, perché se un corpo le avesse avute per il fatto di essere un corpo,
non si sarebbe trovato nessun corpo che non le avesse entram-be.
Ma noi troviamo che il corpo pesante non ha in sé la leggerezza,
e il corpo leggero non ha in sé la pesantezza, ed essi sono senza dubbio due
corpi, ognuno dei quali ha una proprietà che lo distingue dall'altro in aggiunta
alla sua corporeità, e quella proprietà è ciò per cui ognuno dei due si
differenzia dall'altro. Se quella proprietà non ci fosse, i due corpi sarebbero
una cosa sola sotto ogni riguardo. Gli fu chiaro allora che l'essenza di ogni
corpo pesante e leggero era composta di due proprietà: di cui una era ciò che
essi avevano in comune, ed era la corporeità, e l'altra era ciò per cui
l'essenza di uno dei due si distingueva dall'altro, ed era la pesantezza in uno
di essi e la leggerezza nell'altro; cioè la proprietà che faceva muovere uno
dei due verso l'alto e l'altro verso il basso.
Esaminò in questo modo tutti i corpi inanimati e animati, e vide
che l'essenza di ognuno di questi due tipi di corpi era composta dalla
corporeità e da un'altra cosa che si aggiungeva alla corporeità, e a volte era
una cosa sola, a volte più di una. Gli apparvero così le forme dei corpi nella
loro diversità, e questa fu la prima cosa che gli apparve del mondo spirituale:
erano infatti forme che non era possibile cogliere con la percezione dei sensi,
ma solo con la speculazione dell'intelletto
Gli apparve tra l'altro che lo spirito animale che risiedeva nel
cuore, di cui si è prima parlato, doveva necessariamente avere, in aggiunta
alla sua corporeità, anche una proprietà in virtù della quale era in grado di
compiere queste azioni singolari che gli erano proprie, come i vari tipi di
percezioni, di capacità intellettive e di movimenti. Quella proprietà è la sua
forma, la particolarità per cui si distingue da tutti gli altri corpi, e ad
essa accennano i filosofi con il termine di anima animale. Così anche ciò che
nelle piante occupa il posto del calore negli animali, ha una cosa sua propria,
la sua particolarità, e ad essa accennano i filosofi con il termine di anima
vegetale.
Così pure tutti i corpi inanimati, cioè quelli che non sono nè animali nè piante, nel mondo
della generazione e della corruzione, hanno una cosa che è loro propria, per
cui ognuno di essi compie la funzione che gli è caratteristica, come i vari
tipi di movimenti e le varie modalità delle loro percezioni. Quella cosa è la
particolarità di ognuno di essi, e i filosofi vi accennano con il termine di
natura.
Quando si fu convinto, attraverso questa speculazione, del fatto
che l'essenza dello spirito animale, a cui aveva sempre aspirato, era composta
della corporeità e di un'altra proprietà che si aggiungeva alla corporeità, e
che questa corporeità era comune anche a tutti gli altri corpi, mentre l'altra
proprietà ad essa associata esso la possedeva da solo, la corporeità divenne
spregevole ai suoi occhi, e il suo pensiero si attaccò alla seconda proprietà,
cioè l'anima. Desideroso di conoscerla, continuò a rifletterci sopra e cominciò
ad osservare accuratamente tutti i corpi, non in quanto corpi, ma in quanto
dotati di forme da cui erano inseparabili le qualità particolari per le quali
si distinguevano l'uno dall'altro.
Seguì questo procedimento svolgendolo con ordine, e vide un
insieme di corpi che avevano in comune una certa forma, da cui si originavano
una o più funzioni. E vide che una parte di quell'insieme, sebbene avesse
quella forma in comune con esso, aveva in aggiunta un'altra forma da cui si
originavano alcune funzioni. E vide che una parte di quella parte che possedeva
la prima e la seconda forma, aveva una terza forma da cui si originavano certe
funzioni; ad esempio, tutti i corpi terrestri come la terra, la pietra, i
metalli, le piante, gli animali e tutti i corpi pesanti, erano un solo insieme,
che aveva in comune una sola forma da cui scaturiva il movimento verso il
basso, a meno che un ostacolo impedisse loro di discendere. Quando, con la
forza, erano fatti muovere verso l'alto e poi si lasciavano andare, si
muovevano verso il basso in virtù della loro forma. Una parte di questo,
insieme, cioè le piante e gli animali, che pure avevano in comune quella forma
con l'insieme precedente, avevano in più un'altra forma da cui si originavano
la nutrizione e la crescita. La nutrizione consisteva in questo: che colui che
si nutriva reintegrava ciò che del suo corpo si era dissolto, trasformando in
materia identica alla composizione del suo corpo una materia simile, con
l'attirarla a sé. La crescita era il movimento nelle tre direzioni, effettuato
in modo da conservare la proporzione dell'altezza, della larghezza e della profondità
Queste due funzioni erano comuni alle piante e agli animali, ed
entrambe senza dubbio scaturivano da una forma ad esse associata, che è quella
cui si accenna con il termine di anima vegetale. Una parte di questa parte,
propriamente gli animali, che aveva in comune con la parte precedente la prima
e la seconda forma, aveva in aggiunta una terza forma da cui scaturivano le
capacità di percepire con i sensi e di spostarsi da un luogo ad un altro. Vide
anche che ogni specie di animali aveva una proprietà specifica per cui si
distingueva dalle altre specie, e si differenziava da esse,
individualizzandosi.
Seppe che ciò le derivava da una forma sua particolare che si
aggiungeva alla forma che essa e gli altri animali avevano in comune; così era
ugualmente per ogni specie di piante. Gli apparve chiaro che, di alcuni corpi
percepiti dai sensi che erano nel mondo della generazione e della corruzione,
l'essenza era composta di molte proprietà che si aggiungevano alla corporeità,
mentre di altri l'essenza era composta di un numero inferiore di proprietà, e
scoprì che conoscere quelli che avevano meno proprietà era più facile che
conoscere quelli che ne avevano di più. Cercò quindi di conoscere l'essenza
della cosa che aveva meno proprietà di tutte le altre. Vide che l'essenza degli
animali e delle piante era composta di molte proprietà, data la varietà delle
loro funzioni, e decise di rimandare lo studio delle loro forme. Vide,
analogamente, che alcune parti della terra erano più semplici di altre e si
propose di studiare le più semplici tra quelle che poteva trovare. Vide pure
che l'acqua era una cosa di costituzione semplicedato
il piccolo numero di funzioni che scaturivano dalla sua forma. Così pure il
fuoco e l'aria.
Era giunto in precedenza alla convinzione che questi quattro
corpi si trasformavano l'uno nell'altro, che avevano in comune una sola cosa,
la corporeità, e che quella cosa doveva essere priva delle proprietà per cui
ognuno di questi si distingueva dall'altro. Non era possibile che si muovesse verso
l'alto nè verso il basso, né che fosse calda nè che fosse umida o secca, poiché ognuna di queste qualità
non era comune a tutti i corpi, e un corpo non la possedeva per il fatto di
essere un corpo. Se fosse stato possibile trovare un corpo che non avesse una
forma in aggiunta alla corporeità, esso non avrebbe avuto nessuna di queste
qualità, e non avrebbe potuto avere altra qualità che quella che era comune a
tutti i corpi dotati di forme diverse. Considerò se potesse trovare una qualità
che fosse comune a tutti i corpi animati e inanimati, e trovò che l'unica cosa
che tutti i corpi avevano in comune era il fatto che si estendevano tutti nelle
tre direzioni, cui si accenna con i termini di altezza, larghezza, profondità.
Seppe così che il corpo aveva questa proprietà in quanto corpo;
ma non gli riuscì di percepire un corpo dotato di questa sola proprietà, in
modo che non avesse nessuna proprietà oltre l'estendersi menzionato, e fosse
insomma privo di tutte le forme. Meditò poi su questa estensione nelle tre
direzioni: era la proprietà che definisce un corpo e non ce n'era un'altra,
oppure non era così? Vide che dietro questa estensione c'era un'altra
proprietà, che era ciò a cui si applicava questa estensione, che non poteva
sussistere di per sé, come pure quella cosa che si estendeva non poteva
sussistere senza l’estensione. Imparò questo dall'esame di alcuni di questi
corpi percepibili dai sensi, dotati di forme, come l'argilla.
Vide che se la si modellava ad esempio in modo
da farne una sfera, aveva una altezza, una larghezza e una profondità di
una certa entità. Se poi quella stessa sfera veniva presa e trasformata in un
cubo o in una figura ovoidale, quell'altezza, quella larghezza e quella
profondità cambiavano e assumevano nuove misure, diverse da quelle che aveva
prima. L'argilla in sé stessa era una sola e non si trasformava, ma non poteva
fare a meno di un'altezza, larghezza, profondità, di qualunque grandezza esse
fossero, e non poteva esserne priva; per il loro continuo variare nel.
l'argilla gli apparve chiaro che esse erano una proprietà applicata ad essa, e
per il fatto che essa non ne era mai assolutamente priva gli apparve chiaro che
facevano parte della sua essenza.
Gli apparve da queste considerazioni che il corpo era composto
nell'essenza di due proprietà: una delle quali era come l'argilla nella sfera
in questo esempio, e l'altra era come l'altezza, la larghezza e la profondità
della sfera, del cubo, o di qualunque altra configurazione che l'argilla
potesse assumere. Non poteva concepire un corpo che non fosse composto di
queste due proprietà, ognuna delle quali non era separabile dall'altra. Quella
che poteva cambiare e presentarsi successivamente sotto molti aspetti diversi -
ed era l'estensione - corrispondeva alla forma che avevano tutti i corpi dotati
di forme, quella che si presentava sempre in un solo stato corrispondeva alla
corporeità che hanno tutti i corpi dotati di forme. Questa cosa che era come
l'argilla in questo esempio, era ciò che i filosofi chiamano " materia
prima ", ed è assolutamente priva di ogni forma.
Quando la sua speculazione fu giunta a questo grado, e si fu
staccato un poco dal sensibile, e si fu affacciato ai confini del mondo
dell'intelletto, si senti intimorito, e desiderò rivolgersi alle cose del mondo
sensibile che gli erano familiari. Allora si ritrasse un poco, e abbandonò lo
studio del corpo in sé: infatti i sensi non potevano arrivare a questo
concetto, nè erano in grado di comprenderlo.
Prese in considerazione i corpi più semplici percettibili ai
sensi che avesse osservato, ed erano quei quattro corpi su cui si era fermata
precedentemente la sua attenzione. Il primo che esaminò fu l'acqua, e vide che
essa, se era lasciata nello stato che la sua forma comportava, appariva fredda
al tatto e manifestava la tendenza a muoversi verso il basso. Se era riscaldata
dal fuoco o dal calore del sole, in un primo tempo il freddo l'abbandonava, ma
rimaneva in essa la tendenza a muoversi verso il basso. Se poi il riscaldamento
diventava eccessivo, l'abbandonava la tendenza a muoversi verso il basso, e
cominciava a cercare di salire verso l'alto: e l'abbandonavano così
completamente le due qualità che sempre le derivavano dalla sua forma.
Egli conosceva della sua forma solo queste due funzioni che si
originavano da essa. Quando queste due funzioni l'abbandonavano, il concetto di
forma diveniva vuoto, e la forma dell'acqua si allontanava da questo corpo,
mentre apparivano in esso funzioni che gli derivavano da un'altra forma di cui
erano proprie.
Subentrava alla prima forma un'altra forma che prima non c'era e
derivavano per essa al corpo delle funzioni che non gli spettavano quando era
nella prima forma. Riconobbe necessariamente che ogni cosa che si produceva
aveva bisogno di una causa attraverso questa riflessione, si delineò quindi in
lui in modo assolutamente generale un Autore della forma. Esaminò le forme che
aveva conosciuto in precedenza, forma per forma, e vide che esse erano tutte
prodotte e che necessariamente dovevano avere una causa.
Considerò poi le essenze delle forme, e vide che esse non erano
niente di più che l'inclinazione del corpo a che si originasse da lui quella
funzione, come l'acqua, che, se il calore diveniva eccessivo,
era incline a muoversi verso l'alto ed era adatta a questo movimento.
Questa inclinazione era la sua forma. Ed ecco, non c'era altro che un corpo e
cose che di esso si potevano percepire con i sensi e che prima non c'erano,
come le qualità e i movimenti, e un principio agente che le poneva in esistenza
dopo che non erano. L'attitudine del corpo ad alcuni movimenti e non ad altri
era la sua inclinazione e la sua forma. Per tutte le forme gli sembrò essere lo
stesso, e gli apparve chiaro che le forme non possedevano in realtà le funzioni
che scaturivano da esse, ma le possedeva una Causa che produceva per mezzo loro
le funzioni ad esse relative.
Questo concetto che gli si manifestò è contenuto nelle parole
dell'Inviato di Dio - Dio preghi per lui e gli dia pace -: " Io sono
l'orecchio con cui ode, e l'occhio con cui vede " e nel versetto esplicito
del Libro Rivelato: " Non voi li
avete uccisi, ma Dio li ha uccisi, e se hai colpito, non tu hai colpito, ma Dio
ha colpito " Quando ebbe intuito vagamente qualcosa a proposito di questa
Causa, lo prese un desiderio intenso di conoscerLa
nei particolari, ma, dato che non si era ancora staccato dal mondo sensibile,
si mise a cercare questa Causa tra le cose sensibili, né sapeva ancora se fosse
una sola o fossero molte.
Considerò tutti i corpi che erano intorno a lui, a cui aveva
sempre rivolto la sua riflessione, e vide che tutti ora si generavano ora si
corrompevano. E quelli che non erano soggetti alla corruzione nella loro
interezza, erano soggetti alla corruzione nelle loro parti, come l'acqua e la
terra: vide infatti che le loro parti erano corrotte dal fuoco. Ugualmente vide
che l'aria era corrotta dal freddo intenso, così che diventava neve ed acqua.
Così pure vide che di tutti i corpi che aveva a disposizione nessuno era privo
di origine, e dunque nessuno poteva fare a meno della Causa. Li respinse tutti
e rivolse il proprio interesse ai corpi celesti.
Giunse a queste considerazioni al compiersi del quarto settenario
della sua esistenza, e cioè all'età di ventotto anni.
22
DAI VENTOTTO
AI TRENTACINQUE ANNI
(LA
CONOSCENZA DEGLI ASTRI
E IL LORO
CREATORE)
C |
omprese che il cielo e gli astri che erano in esso erano corpi,
poiché si estendevano nelle tre direzioni, altezza, larghezza, profondità '~
nessuno di essi infatti era privo di questa proprietà, e tutto ciò che non era
privo di questa proprietà era un corpo. Dunque essi
erano tutti dei corpi. Poi rifletté: si estendevano all'infinito continuando a
spingersi sempre in altezza, larghezza, profondità? Oppure erano finiti,
delimitati da confini presso i quali cessavano, e non era possibile che dietro
di essi ci fosse una qualche estensione?
Si domandò per qualche tempo come stessero le cose. Poi, con la
sua capacità speculativa e con la
perspicacia della sua mente, vide che un corpo infinito è una cosa vana che
non può esistere e un concetto che non è comprensibile.
Si rafforzò in lui questa opinione con molti argomenti che gli si
presentavano alla mente; e diceva infatti: questo corpo celeste è limitato
dalla parte che volge verso di me nella direzione in cui io lo percepisco, e su
questo non ho dubbi, poiché io lo vedo con i miei occhi.
Quanto alla direzione opposta a questa, su di essa potrei avere
dei dubbi, ma io so anche che è impossibile che si estenda all'infinito;
poiché, se immagino che due linee abbiano inizio da questa parte finita e
attraversino lo spessore del corpo all'infinito, seguendo l'estendersi del
corpo, poi immagino che di una di queste due linee si tagli una gran parte dal
lato finito, poi si prenda ciò che ne rimane e si congiunga l'estremità che è
stata tagliata con la estremità della linea che non ha subito alcun taglio, e
il pensiero le accompagni nella direzione in cui si dice che esse non hanno
fine, o troviamo che le due linee si estendono sempre all'infinito, e nessuna
delle due è più corta dell'altra, e quella da cui è stata tagliata una parte è
uguale a quella che non ha subito alcun taglio, e questo è impossibile; oppure
troviamo che quella che manca di una parte non procede sempre a fianco
dell'altra ma si interrompe senza proseguire, cessando di estendersi a fianco
dell'altra e diviene finita; se ora le si restituisce la parte che le si era
tagliata prima, per cui era diventata finita, essa, tutta intera, è ancora una
linea finita, che non è più corta della linea che non aveva subito alcun
taglio, né più 'lunga, ma diviene uguale ad essa, ed è finita.
Allora anche l'altra linea è finita, ed è finito il corpo in cui
vengono immaginate queste due linee, e in ogni corpo è possibile immaginare
queste linee. Ogni corpo dunque è finito, e se ipotizziamo un corpo infinito,
ipotizziamo una cosa vana e impossibile.
Quando, con quelle doti eccellenti che gli avevano permesso di
giungere a questa dimostrazione, ebbe verificato che il corpo del cielo era
finito, volle conoscere di quale forma fosse e in che modo fosse interrotta la
sua continuità dalle superfici che lo delimitavano.
Considerò dapprima il sole, la luna e tutti gli astri. Vide che
tutti sorgevano da oriente e tramontavano ad occidente; quelli di essi che
transitavano allo zenit su di lui, descrivevano una circonferenza più grande
mentre quelli che erano inclinati rispetto allo zenit su di lui verso nord o
verso sud, li vedeva descrivere una circonferenza minore.
La circonferenza descritta da quelli che erano più lontani dallo
zenit verso uno dei due lati era sempre minore della circonferenza descritta da
quelli che erano più vicini, finché si giungeva alle due circonferenze più
piccole fra quelle su cui si muovevano gli astri: una di esse era intorno al
polo l'altra era a sud ed era l'orbita di Canopo e intorno al polo nord ed era
l'orbita delle stelle dell'Orsa Minore.
Per chi si trovasse all'equatore, di cui abbiamo trattato prima,
tutte queste circonferenze si levavano sopra la superficie del suo orizzonte,
il loro susseguirsi era simmetrico a sud e a nord e i due poli gli erano
entrambi visibili, e se vedeva sorgere contemporaneamente un astro su una
circonferenza grande e un altro su una circonferenza piccola, li vedeva
tramontare contemporaneamente.
Questo gli si manifestò per tutti gli astri ed in ogni tempo, e
gli apparve chiaro da ciò che il cielo era di forma sferica Lo confermò nella
sua convinzione il vedere che il sole, la luna e tutti gli astri ritornavano a
oriente dopo il loro tramonto ad occidente, e anche il fatto che apparivano ai
suoi occhi della stessa grandezza quando sorgevano, quando culminavano e quando
tramontavano, mentre se essi si fossero mossi su un'orbita di forma diversa da
quella di una sfera, inevitabilmente in qualche tempo sarebbero stati più vicini
ai suoi occhi che in un altro tempo; in tal caso le loro grandezze sarebbero
apparse differenti ai suoi occhi, e li avrebbe visti, quando erano vicini, più
grandi di come li vedeva quando erano lontani, per la differenza delle loro
distanze dal suo punto di osservazione, quindi in modo diverso rispetto a
prima.
Poiché non vedeva niente di tutto ciò, fu verificata secondo lui
la sfericità del cielo. Continuò ad esaminare il movimento della luna, e vedeva
che avveniva da occidente a oriente, e ugualmente avveniva dei movimenti dei
pianeti finché gli fu chiara una gran parte dell'astronomia, e gli fu manifesto
che i loro movimenti avvenivano per opera di molte sfere, tutte contenute in un unica sfera, ed essa era la più alta, ed era quella che
muoveva la totalità delle sfere da oriente a occidente, di giorno e di notte;
ma spiegare il modo in cui avviene il suo spostamento sarebbe troppo lungo, e
dato che si trova nei libri non è necessario parlarne per ciò che ci proponiamo
se non nella misura in cui l'abbiamo fatto.
Quando fu giunto a questa conoscenza, si convinse che la sfera
del cielo tutta intera, e ciò che essa conteneva, era come una cosa sola
strettamente connessa in ogni sua parte, e che tutti i corpi che prima
osservava in essa, come la terra, l'acqua, l'aria, le piante, gli animali e
simili, erano tutti nel suo interno e non fuori di essa, e che essa nel suo
insieme era simile ad un individuo animale e che gli astri risplendenti che
erano in essa erano simili ai sensi dell'animale, e che le varie sfere celesti
che erano in essa, strettamente connesse le une alle altre, erano simili agli
organi dell'animale, e che il mondo della generazione e della corruzione che
era nel suo interno era simile, nel ventre dell'animale, ai vari tipi di
escrementi e di umori in cui spesso si formavano anche animali, come nel
macrocosmo.
Quando gli apparve chiaro che essa nella sua totalità era in
realtà come un solo individuo che aveva bisogno di una Causa e divennero una
cosa sola ai suoi occhi le sue molte parti, come erano diventati per lui una
cosa sola tutti i corpi del mondo della generazione e della corruzione,
rifletté sul mondo nel suo insieme: era una cosa che era venuta all'esistenza
dopo che non era, e si era aperta all'essere dopo il non-essere, oppure era una
cosa che era sempre esistita, il cui essere non era
stato preceduto dal non-essere? Si pose questo problema, ma nessuna delle due
opinioni gli sembrò più valida dell'altra.
Se infatti adottava il partito dell'eternità
del mondo, gli si presentavano molti ostacoli, per l'impossibilità di
concepire un'esistenza eterna, per un ragionamento simile a quello per cui era
impossibile ai suoi occhi l'esistenza di un corpo infinito. Così pure vedeva
che questo essere non era privo di cose prodotte cui non poteva essere
antecedente, e ciò che non può precedere nel tempo le cose prodotte è anch'esso
prodotto.
Se d'altra parte decideva che il mondo era venuto all'esistenza,
gli si presentavano altri ostacoli: Vedeva infatti che il concetto della
produzione del mondo dopo che non era non si poteva comprendere se non si
possedeva il concetto del tempo ad essa antecedente; ma il tempo faceva parte
del mondo e non era separato da esso. Ed ecco, non si comprendeva che il mondo
venisse dopo il tempo. Diceva inoltre: “Se è prodotto, ha senz'altro bisogno di
un Produttore; e se questo Produttore che io ha prodotto non lo ha fatto ora,
perché avrebbe dovuto farlo prima? Lo ha colto il desiderio improvviso, quando
Egli solo esisteva? Oppure è sopraggiunto un cambiamento nella Sua essenza?”.
Continuò a rifletterci sopra per molti anni, mentre in lui gli
argomenti si contrastavano senza che nessuno dei due prevalesse sull'altro.
Quando fu stanco di questa riflessione, si mise ad analizzare ciò che
conseguiva necessariamente da ognuna delle due opinioni: forse avevano entrambe
una sola conseguenza.
Vide che, se ammetteva che il mondo aveva cominciato ad essere
dopo il non-essere, conseguiva necessariamente da questo che non poteva venire
all'esistenza da solo, ma che aveva bisogno di un Agente che lo avesse fatto
esistere. E questo Agente non poteva essere raggiunto da nessuno dei sensi,
poiché se fosse stato colto dai sensi sarebbe stato un corpo, se fosse stato un
corpo sarebbe appartenuto al mondo, sarebbe stato prodotto, e avrebbe avuto
bisogno di un produttore. E se anche questo secondo produttore fosse stato un
corpo, avrebbe bisogno di un terzo produttore, e il terzo di un quarto, e ciò
sarebbe continuato all'infinito.
Dunque il mondo aveva bisogno di un Agente
che non fosse un corpo. Se non era un corpo, non era percettibile ai sensi,
perché i cinque sensi non percepivano che i corpi o ciò che era inerente ai
corpi. E se non poteva essere percepito dai sensi, non poteva neppure essere
immaginato, poiché la facoltà immaginativa non era altro che il richiamare alla
mente le immagini delle cose sensibili dopo che si erano nascoste [alla vista].
Se non era un corpo, erano impensabili per Lui tutte le proprietà
dei corpi. Ora, la prima proprietà dei corpi era l'estensione in altezza,
larghezza e profondità: Egli era immune da questa e da tutte le proprietà dei
corpi che ne conseguivano. Se era il Creatore del mondo, senza dubbio aveva
potere su di esso, e lo conosceva: " Non conosce forse, Colui che ha
creato? Egli è il sottile e il ben Informato " [Cor. 67,14]. Vide anche
che, se concludeva che il mondo era eterno, che il non-essere non lo aveva
preceduto e che non aveva mai cessato di essere come era, era necessario per
questo che il suo movimento fosse eterno e senza principio, a meno che non lo
avesse preceduto uno stato di quiete da cui aveva avuto inizio.
Ora, ogni movimento aveva bisogno necessariamente di un motore. E
il motore, o era una forza che si diffondeva in un corpo, sia un corpo che si
muoveva da solo, sia un altro corpo esterno ad esso, oppure era una forza che
non si diffondeva e si propagava in un corpo.
Ogni forza che si diffondeva e non si propagava in un corpo si
divideva al suo dividersi, si raddoppiava al suo raddoppiarsi, come ad esempio
nella pietra la pesantezza che la faceva muovere verso il basso: se si fosse
tagliata a metà la pietra, si sarebbe dimezzata la sua pesantezza, se le si
fosse aggiunta un'altra pietra della stessa pesantezza, la pesantezza sarebbe
aumentata di una quantità pari alla sua pesantezza; se fosse stato possibile
che la pietra si accrescesse all'infinito, questa pesantezza si sarebbe
accresciuta all'infinito, se la pietra fosse giunta ad un limite
nell'accrescimento e poi si fosse fermata, la pesantezza sarebbe giunta a
questo limite e si sarebbe fermata.
Ma aveva dimostrato che ogni corpo era necessariamente limitato,
quindi ogni forza in un corpo doveva necessariamente essere limitata. Se dunque
noi troviamo una forza che compie un'azione infinita, essa è una forza che non
è in un corpo. Ora, abbiamo trovato che la sfera celeste si muove sempre di un
movimento infinito e ininterrotto, e la abbiamo ipotizzata eterna, senza un
principio; ed è necessario per questo che la forza che la muove non sia nel suo
corpo, né in un corpo esterno ad essa.
Essa quindi è una cosa che sussiste
indipendentemente dai corpi e che non è caratterizzata dalle qualità proprie
dei corpi. Aveva intuito, al suo primo osservare il mondo della generazione e
della corruzione, che la realtà dell'essere di ogni corpo era costituita solo
dalla sua forma, che era la sua inclinazione a compiere determinati movimenti,
e che la realtà che aveva in quanto costituito di materia era un essere debole,
che a malapena si poteva percepire.
L'esistenza di tutto il mondo era dunque solo quella che gli
proveniva dalla sua inclinazione a muoversi per opera di questo Motore esente
dalla materia, dalle proprietà dei corpi, irraggiungibile da parte dei sensi e
della facoltà immaginativa - sia gloria a Lui -' e se era Causa dei diversi
movimenti della sfera celeste, in realtà non c’era in Lui cambiamento né
interruzione, ed era senza dubbio potente su di essa e la conosceva.
La sua speculazione giunse per questa via a ciò cui era giunto
attraverso la prima via, e non gli fu di danno in questo il suo essere in
dubbio sull'eternità del mondo o sul suo essere prodotto.
Verificò in entrambi i casi, infatti, l'esistenza di un Agente
che non era un corpo, né era congiunto ad un corpo ne
separato da esso, né era interno a un corpo né esterno; poiché l'essere
congiunto, l'essere separato, l'essere interno e l'essere esterno erano tutte
proprietà nei corpi; ed Egli ne era privo.
Poiché la materia di ogni corpo aveva bisogno della forma e non
sussisteva che per essa, né le rimaneva una realtà senza di essa, e l'esistenza
della forma non si verificava che per opera di questo Autore, gli apparve
chiaro che tutte le cose che esistevano avevano bisogno di un Autore e che
nessuna di esse sussisteva se non per Lui.
Egli era la loro Causa, ed esse i Suoi effetti, sia che fossero
venute all'esistenza dopo che le aveva precedute il non-essere, sia che non
avessero inizio nel tempo e non le avesse mai precedute il non-essere. In
entrambi i casi esse erano effetti, e avevano bisogno dell'Autore che producesse
in loro l'esistenza; se non fosse durato non sarebbero durate, se non fosse
esistito non sarebbero esistite, se n6n fosse stato preeterno
non sarebbero state preeterne.
Egli invece, per esistere, non aveva bisogno di esse e ne era
immune: e come sarebbe potuto essere diversamente? Era
stato dimostrato infatti che
Analogamente, se tu prendessi in mano un corpo, e poi muovessi la
tua mano: quel corpo senza dubbio si muoverebbe, seguendo il movimento della
mano, di un movimento che sarebbe posteriore al movimento della mano,
posteriore per essenza, ma non posteriore ad esso nel tempo, poiché i due
movimenti sarebbero cominciati insieme. Così tutto il mondo è causato e creato,
fuori del tempo, per opera di questo Autore, ed Egli " se vuole una cosa
non fa che dire ad essa "sii" ed essa è" [Cor. 36,82].
Quando vide che tutte le cose esistenti erano opera Sua, le
esaminò in modo diverso da prima, per riconoscere in esse la potenza del loro
Autore, la meraviglia del Suo operato, la sottigliezza della Sua sapienza,
l'acume della Sua scienza. Gli apparvero chiaramente nelle cose più piccole
come nelle più grandi, tra quelle che esistevano, tracce della sapienza e delle
meraviglie del creato, tali da suscitare la sua ammirazione; e fu certo che ciò
poteva avere origine solo da un Autore al massimo grado della perfezione, e
oltre la perfezione stessa " cui non sfugge il peso di un atomo, nei cieli
e sulla terra, né una cosa più piccola o più grande “Poi considerò, per tutte
le specie animali, in che modo” dà ad ogni, cosa la sua conformazione, e poi la
guida " alla sua utilizzazione.
Se Egli non avesse guidato gli animali all'utilizzazione di
quegli organi che erano stati creati loro affinché se ne avvantaggiassero e se
ne servissero per i loro fini, gli animali non se ne sarebbero serviti, e
quegli organi sarebbero stati loro di peso. Seppe con questo che Egli era il
più generoso dei generosi ed il più misericordioso dei misericordiosi.
Poi, ogni volta che vedeva una creatura che era bella o
splendente o perfetta o forte o dotata di grandi virtù - che era cioè
eccellente - meditava e scopriva che essa era dono della generosità spontanea
di quell'Autore, della Sua munificenza e del Suo operare, comprese che Egli
era, nella Sua essenza, più grande, più perfetto, più completo, più buono, più
splendente, più bello e più duraturo di tutte le creature, e che, quanto a
questo, non c'era confronto tra Lui e le creature.
Continuò ad esaminare tutti i modi in cui la perfezione poteva
manifestarsi, e vedeva che Egli li possedeva e da Lui avevano origine, e vedeva
che Egli ne era più degno di qualsiasi creatura. Esaminò tutti i modi in cui
poteva manifestarsi l'imperfezione, e vide che Egli ne era esente e privo. E
come avrebbe potuto non esserne privo, dato che il concetto dell'imperfezione
non era che il puro non-essere o ciò che era connesso al non-essere? E come
avrebbe potuto il non-essere aderire o mescolarsi a Colui che era l'Essere puro
e necessario, esistente di per sé, che donava l'esistenza ad ogni esistente?
Nulla esisteva all'infuori di Lui: ed Egli era l'esistenza, la perfezione, la
completezza, la bontà, lo splendore, la potenza, la scienza, ed era Lui e
" ogni cosa perisce tranne il Suo Volto "[Cor. 28,88].
Giunse a questo grado di conoscenza al compiersi del quinto
settenario della sua vita, e cioè all'età di trentacinque anni. Ciò che
dell'Agente si era instillato nel suo cuore, lo distoglieva dal pensare a
qualsiasi cosa che non fosse Lui. Non si preoccupò più di esaminare e di
studiare le creature, finché giunse al punto che il suo sguardo non si posava
su nessuna cosa senza che vi vedesse ogni volta l'impronta della Creazione, e
senza volgersi col suo pensiero all'Artefice, dimenticando il creato; e si fece
intensa la sua brama di Lui, ed il suo cuore nella sua totalità si distolse dal
mondo inferiore sensibile, e aderì al mondo superiore intelligibile.
26
DAI TRENTACINQUE
AI QUARANTANOVE ANNI
(L’ESSENZA
DIVINA)
Q |
uando gli avvenne di conoscere questo Essere superiore, che
esisteva sicuramente, e che, non causato, era Causa dell'esistenza di tutte le
cose, volle scoprire per quale via gli fosse peravenuta
questa conoscenza e con quale facoltà fosse diventato consapevole di questo
Essere.
Esaminò con cura tutti i suoi sensi: l'udito, la vista,
l'odorato; il gusto e il tatto, e. vide che essi tutti erano in grado di
percepire solo un corpo o ciò che era in un corpo. L'udito percepiva solo i
suoni, che erano le vibrazioni che si producevano nell'aria quando i corpi si
urtavano, la vista percepiva solo i colori, l'odorato gli odori, il gusto i
sapori. Il tatto percepiva i miscugli, la durezza, la morbidezza, la ruvidità,
la levigatezza. così pure la facoltà immaginativa non percepiva niente che non
avesse lunghezza, larghezza e profondità.
Tutti questi oggetti di percezione erano proprietà dei corpi, e
questi sensi non potevano giungere ad altro, poiché erano facoltà che si
diffondevano nei corpi e si dividevano al loro dividersi. Per questo non
percepivano che un corpo suscettibile di divisione: poiché una tale facoltà, se
si diffondeva in un corpo divisibile, era anch'essa
divisibile, e di conseguenza non poteva percepire che un oggetto divisibile.
Quindi ogni facoltà che era in un corpo, senza dubbio percepiva solo un corpo o
ciò che era in un corpo.
Gli era già apparso chiaro che questo Essere necessario era privo
delle proprietà dei corpi, sotto ogni aspetto; era dunque possibile coglierLo solo tramite una cosa che non fosse un corpo, né
una facoltà in un corpo, né fosse connessa in qualche modo ai corpi, né fosse
interna, né esterna, né congiunta ad essi, né separata. Aveva già compreso che
egli Lo percepiva con la sua essenza e che
Rifletté su questa nobile essenza: era possibile che perisse o si
corrompesse ~ si dissolvesse, oppure permaneva in eterno? Vide che la
corruzione e il dissolvimento erano qualità proprie solo dei corpi: essi,
infatti, si spogliavano di una forma e si rivestivano di un'altra, come l'acqua
se diveniva aria, e l'aria se diveniva acqua, la pianta se diveniva terra o
cenere e la terra se diveniva pianta. Questo era il concetto della corruzione.
Quanto alla cosa che non era un corpo, che non aveva bisogno del
corpo per sussistere, e che era assolutamente priva delle proprietà dei corpi,
non riusciva assolutamente ad immaginare la sua corruzione.
Quando fu certo che la sua essenza reale non poteva essere
corruttibile, volle conoscere come sarebbe stata se si fosse liberata del corpo
e lo avesse abbandonato. Si era già convinto che essa lo avrebbe abbandonato
solo nel caso che non le fosse andato bene come strumento.
Considerò attentamente tutte le facoltà percettive, e vide che
ognuna di esse ora percepiva in potenza ora in atto. Ad
esempio l'occhio, quando è chiuso o si distoglie dall'oggetto,
percepisce in potenza: il significato di “percezione
in potenza”" è che esso non percepisce ora, ma percepirà in futuro.
Quando invece è aperto, e rivolto verso l'oggetto, percepisce in atto. Il
significato di “percezione in atto”"
è che percepisce ora. Così ognuna di queste facoltà può essere in potenza o in
atto.
Ora, ognuna di queste facoltà, se non è mai stata in atto,
continua a rimanere in potenza, e non avverte il desiderio di percepire
l'oggetto specifico della sua speculazione, ché ancora non lo conosce, come
colui che è nato cieco. Se però ha percepito in atto una volta, e poi è passata
a percepire in potenza, continua, mentre è in potenza, a desiderare la
percezione in atto, perché ha già conosciuto quell'oggetto, gli si è attaccata
e si strugge per esso, come colui che vedeva e poi è divenuto cieco continua a
desiderare di rivedere le cose che ha visto.
Quanto più è perfetta, splendente, buona la cosa che si può
percepire, tanto più intense e più grandi sono la brama di essa e la sofferenza
per la sua privazione.
Chi ha perso la vista dopo avere veduto, prova un desiderio
maggiore di quello che prova chi ha perso l'odorato, poiché le cose che avverte
la vista sono più perfette e migliori di quelle che avverte l'odorato.
Ora, tra le cose ce n'è una di perfezione infinita e di illimitata
bontà, bellezza e splendore, ed è oltre la stessa perfezione, splendore e
bontà, e non c'è al mondo perfezione, bontà, splendore, bellezza che non
provenga e non fluisca abbondante da essa; chi perde la percezione di quella
cosa dopo averla conosciuta, finché ne è privo si trova certamente in un dolore
senza fine, come pure, se la percepisce in continuazione, è in una gioia senza
incrinature, in una beatitudine senza limiti, e in una felicità e allegria
infinite.
Gli era già apparso chiaramente che l'Essere necessario era
dotato di ogni genere di perfezione, ed esente e immune da ogni genere di
imperfezione; e fu certo che la cosa attraverso cui giungeva alla Sua
percezione era una cosa che non era simile ai corpi e non si corrompeva.
Comprese così che chi aveva un'essenza simile a questa, adatta ad una tale
percezione, e gettava via il corpo con la morte, se prima - nel tempo in cui
disponeva del corpo-non aveva mai conosciuto questo Essere! necessario, non si
era congiunto a Lui e non Gli aveva prestato ascolto, quando si separava dal
corpo non aveva desiderio di quell'Essere e non soffriva per '
Quanto a tutte le facoltà del corpo, esse erano scomparse per la
scomparsa del corpo, e non aveva neanche il desiderio delle cose percepite da
quelle facoltà, né si struggeva per esse, né soffriva per la loro mancanza.
Questa era la situazione di tutti i ·bruti, non' dotati di ragione, che
avessero forma umana oppure no ~ Se prima [di morire), nel tempo in cui
disponeva del corpo, aveva conosciuto questo Essere, e. aveva conosciuto
Allora, i casi erano due: o si liberava di quelle sofferenze dopo
un lungo sforzo, e contemplava ciò che desiderava prima, oppure rimaneva nel
suo dolore in eterno, secondo la tendenza a ognuna di queste due conclusioni
che aveva durante la vita corporea.
Chi aveva conosciuto questo Essere necessario prima di separarsi
dal corpo e si era dedicato a Lui con tutto se stesso e si era applicato con
costanza alla meditazione sulla Sua potenza, sulla Sua bontà, e sul Suo
splendore, e non si era allontanato da Lui finché la morte lo aveva colto
mentre era nello stato dell'attenzione e della visione in atto, questi, se si
separava dal corpo, rimaneva in una dolcezza infinita, e in una gioia, una
letizia, una felicità permanenti poiché la sua visione era congiunta a
quell'Essere necessario, ed era immune da turbamenti e difetti; e lo
abbandonavano le sensazioni connesse a queste facoltà corporee, sensazioni che,
in confronto con questo stato, erano dolori, malanni e ostacoli.
Allora gli fu. manifesto che la perfezione della sua essenza e la
sua dolcezza erano solo nella visione di quell'Essere necessario ed eterno,
visione sempre in atto, tale che non si allontanasse da Lui per un solo
istante, affinché la morte lo cogliesse nello stato della visione in atto e la
sua dolcezza fosse continua senza che sopraggiungesse dolore.
Si mise ad esaminare come gli fosse possibile raggiungere il permanere
della visione in atto, in modo che non se ne allontanasse, e il pensiero fosse
costantemente immerso in quell'Essere in ogni momento. Ma, o qualche cosa
sensibile si presentava alla sua vista, o giungeva al suo orecchio il verso di
qualche animale, o lo distoglieva una fantasticheria, oppure lo coglieva un
dolore in qualche parte del corpo, o lo prendeva la fame, o la sete, o il
freddo, o il caldo, o aveva bisogno di provvedere alle sue necessità corporali:
il suo pensiero si turbava e si allontanava dal suo oggetto, e solo a fatica
gli era possibile tornare allo stato della visione ~ La sua situazione era
questa e gli era impossibile porci rimedio.
Cominciò ad esaminare tutte le specie degli animali e ad
osservare le loro azioni e le loro aspirazioni: forse in qualcuno di essi
avrebbe visto che aveva conosciuto questo Essere e si era messo a ricercarLo, e da lui avrebbe imparato ciò che sarebbe stato
causa della sua salvezza.
Ma vide che tutti si sforzavano solo di procurarsi il cibo ed il
necessario a soddisfare gli istinti di mangiare, di bere, di accoppiarsi, di
ripararsi dal sole e di riscaldarsi, e li trovava occupati in queste cose notte
e giorno, fino a quando morivano ed il loro tempo finiva. Non vide nessuno di
essi discostarsi da questo comportamento o ricercare di quando in quando
qualche altra cosa; concluse perciò che essi non conoscevano questo Essere, non
aspiravano a Lui e non cercavano affatto di conoscerLo,
e che essi evolvevano tutti verso il non-essere, o uno stato simile al non-essere
~ Quando giunse a questa opinione a proposito degli animali, comprese che
questa sua opinione si applicava a maggior ragione alle piante, infatti le
piante non avevano che alcune facoltà degli animali.
Se gli organismi dotati di percezione più perfetta non giungevano
a questa conoscenza, a maggior ragione gli organismi inferiori non avrebbero
potuto raggiungerla. Vide infatti che tutto quello che le piante facevano era
ricercare il cibo e riprodursi.
Considerò in seguito gli astri e le sfere celesti, e li vide
tutti uniformi e concordi nei loro movimenti. Li vide diafani e luminosi,
lontani dall'essere disposti al mutamento e alla corruzione, e ritenne molto
probabile che avessero essenze '~ altre dai loro corpi, che conoscevano
quell'Essere necessario, e che quelle essenze dotate di conoscenza non fossero
corporee e non fossero impresse in corpi, come la sua essenza dotata di
conoscenza. E come avrebbero potuto non avere quelle essenze incorporee, mentre
ne aveva una lui, che era così debole ed aveva tanto bisogno delle cose
sensibili, e faceva parte dei corpi destinati alla corruzione? Eppure il suo essere imperfetto non gli impediva di avere
un'essenza incorporea e incorruttibile. Gli sembrò quindi che a maggior ragione
dovessero possedere essenze incorruttibili i corpi celesti.
Scoprì che esse conoscevano quell'Essere necessario e Ne avevano
la visione perpetuamente in atto; poiché gli ostacoli che impedivano a lui la
continuità della visione provenivano da accidenti sensibili '~, mentre non
c'erano ostacoli di questo tipo per i corpi celesti. Poi rifletté: perché lui
si distingueva fra tutte le specie di animali per quell'essenza che lo rendeva
simile ai corpi celesti?
Aveva già compreso in precedenza, a proposito dei quattro
elementi e della trasformazione di una cosa in un'altra, che tutto ciò che era
sulla faccia della terra non rimaneva sempre nella stessa forma, ma la
generazione e la corruzione si susseguivano ininterrottamente; che la maggior
parte di questi corpi erano misti, composti di cose contrarie, e per questo
erano destinati alla corruzione; che nessun corpo era semplice; che quei corpi
che erano più vicini ad essere semplici, puri, e non vi era in essi mescolanza,
erano molto lontani dalla corruzione, come l'oro e il rubino; e che i corpi
celesti erano semplici e puri e per questo erano lontani dalla corruzione e le
loro forme non si alteravano.
Gli apparve chiaramente, allora, che, tra i corpi del mondo della
generazione e della corruzione, vi erano quelli la cui essenza reale era costituita
da una sola forma che si aggiungeva al concetto di corporeità, e questi erano i
quattro elementi, e quelli la cui essenza era costituita da più di una forma,
come gli animali e le piante.
Quei corpi la cui essenza era costituita da un minor numero di
forme avevano un numero minore di funzioni, ed erano più lontani dalla vita. Se
non avevano nessuna forma, era loro preclusa ogni via verso la vita, e si
trovavano in uno stato simile al non-essere.
Quelli la cui essenza era costituita da un maggior numero di
forme avevano un maggior numero di funzioni, e riuscivano ad entrare nello
stato della vita; e se quelle forme erano inseparabili dalla materia che era
loro propria, allora la vita si manifestava al massimo grado della durata e
dell'intensità.
La cosa priva di forma era la materia prima: in essa non c'era
vita, ed era simile al non-essere.
Le cose dotate di una sola forma erano i quattro elementi: erano
nel primo grado dell'essere nel mondo della generazione e della corruzione, e
di essi erano costituite le cose dotate di molte forme.
Questi elementi avevano una vita molto debole, poiché non avevano
che un solo movimento; la loro vita era debole perché ognuno di essi aveva un
contrario che gli opponeva resistenza, lo contrastava nella tendenza della sua
natura, e lo costringeva a. cambiare la sua forma. Per questo la sua esistenza
non aveva stabilità e la sua vita era debole. Le piante avevano una vita più
forte, e più ancora gli animali.
Vi erano, tra questi corpi composti, quelli in cui predominava la
natura di un solo elemento: in essi questo elemento, per la sua forza,
prevaleva sulle nature degli altri, annullando le loro forze; quei composti
venivano ad essere simili all'elemento predominante e non erano degni della
vita, se non poco e debolmente.
Nei corpi composti in cui non prevaleva la natura di un solo
elemento, gli elementi erano invece equilibrati ed equivalenti: nessuno di essi
annullava la forza dell'altro più di quanto l'altro annullasse la sua stessa
forza, ma anzi facevano azione equilibrante gli uni sugli altri. In questi
corpi non appariva con maggiore evidenza la facoltà propria di uno solo degli
elementi, né alcuno di essi prevaleva, ed essendo lontani dal somigliare ad uno
degli elementi, era come se la loro forma non avesse opposizione: per questo
erano degni della vita. Quanto più questo equilibrio era grande, completo e
stabile, tanto più erano lontani dall'avere un contrario, e la loro vita era
più perfetta.
Quanto allo spirito animale che risiedeva nel cuore, era dotato
di grande equilibrio, poiché era più sottile della terra e dell'acqua, e più
denso del 'fuoco e dell'aria, ed era come il centro, e nessuno degli elementi
prevaleva in esso visibilmente; per questo era adatto alla forma animale.
Vide che di qui conseguiva necessariamente che il più equilibrato
di questi spiriti animali era adatto alla forma di vita più perfetta che era
nel mondo della generazione e della corruzione, e che di quello spirito si
poteva quasi dire che la sua forma non aveva un contrario. Gli somigliavano i
corpi celesti, le cui forme non avevano un contrario.
Lo spirito di un tale animale, essendo in realtà il centro tra
gli elementi, non si muoveva verso l'alto o verso il basso in ogni circostanza,
e se fosse stato possibile che fosse posto nel punto intermedio della distanza
tra il centro [del mondo] e il limite più alto cui giungeva il fuoco, senza che
si corrompesse, sarebbe rimasto fermo dove si trovava e non avrebbe cercato né
di salire né di scendere.
Se si fosse mosso in quel luogo, avrebbe girato intorno al punto
intermedio come i corpi celesti, se si fosse mosso sulla sua posizione avrebbe
girato su se stesso; e sarebbe stato di forma sferica,
né avrebbe potuto essere altrimenti. Ed ecco, era molto simile ai corpi
celesti.
Quando aveva esaminato le situazioni degli animali, non ne aveva
visto nessuno di cui potesse pensare che conosceva l'Essere necessario, mentre
aveva scoperto che la sua essenza. Lo conosceva: concluse, allora, che era lui
l'animale equilibrato e spirituale, simile ai corpi celesti, e gli apparve
chiaro che lui era una specie diversa da tutte le specie animali, e che lui
solo era creato per un'altra meta e destinato a qualcosa di grande cui nessuna
specie animale era destinata.
Per affermare la sua superiorità gli era sufficiente il fatto che
la più vile delle due parti di cui era costituito - quella corporea - era la
cosa che più di ogni altra era simile alle sostanze celesti, esterne al mondo
della generazione e della corruzione, prive di imperfezione, di trasformazione
e di alterazione.
Quanto alla più nobile delle sue due parti, essa era la cosa
attraverso cui conosceva l'Essere necessario; e questa cosa in grado di
conoscere era un'entità trascendente e divina, che non si trasformava, non la
toccava la corruzione, non era descrivibile con niente di ciò con cui si
descrivevano i corpi, non si percepiva né tramite i sensi né tramite la facoltà
immaginativa, né si giungeva alla sua conoscenza con uno strumento che non
fosse essa stessa: ed era l'intelligente, l'intelletto e l'intelligenza, il
conoscente, il conosciuto e la conoscenza, e tuttavia da questo non le derivava
alcuna pluralità, poiché pluralità e distinzione erano proprietà dei corpi e
dei loro annessi, mentre essa non era un corpo, non aveva le proprietà dei
corpi, né era associata ad un corpo.
Quando gli apparve chiaro il motivo per cui, distinguendosi tra
tutti i tipi di animali, era simile ai corpi celesti, pensò che fosse suo
dovere esaminarli, imitare le loro azioni e fare tutto il possibile per conformarsi
ad essi.
Vide inoltre che la sua parte più nobile, con la quale conosceva
l'Essere necessario, aveva in sé qualcosa di simile a Lui, per il fatto che era
priva delle qualità dei corpi, e l'Essere necessario ne era privo. Pensò quindi
che fosse suo dovere anche sforzarsi per acquistare le Sue qualità in qualunque
modo fosse possibile, conformarsi alla Sua condotta, imitare le Sue azioni,
adoperarsi a compiere il Suo volere, affidarsi a Lui e accettare con gioia ogni
Sua disposizione, con tutto il cuore, esteriormente ed interiormente, anche se
fosse stato causa di dolore e di danno per il suo corpo, anche se lo avesse
distrutto nella sua totalità.
Vide pure che in lui c'era qualcosa di simile a tutte le specie
animali nella sua parte vile che apparteneva al mondo della generazione e della
corruzione, ed era il corpo oscuro e denso che chiedeva a questo mondo le varie
sensazioni del mangiare, del bere e dell'accoppiarsi.
Vide che quel corpo non gli era stato creato per scherzo, né gli
era stato congiunto inutilmente, e che era suo dovere studiarlo e provvedere ad
esso; e poteva occuparsi del suo corpo solo con azioni simili a quelle di tutti
gli animali.
A suo parere, dunque, le azioni che doveva compiere miravano a
tre scopi, ed erano: 1) azioni per cui si rendesse simile agli animali privi di
ragione; 2) azioni per cui si rendesse simile ai corpi celesti; 3) azioni per
cui si rendesse simile all'Essere necessario.
La prima assimilazione gli competeva perché aveva il corpo
oscuro, dotato di organi differenziati, di diverse facoltà e inclinazioni. La
seconda assimilazione gli competeva perché aveva lo spirito animale che
risiedeva nel cuore e che era origine a tutto il corpo e alle sue facoltà. La
terza assimilazione gli competeva perché lui era lui, cioè perché lui era
l'essenza con la quale conosceva quell'Essere necessario. Aveva compreso
precedentemente che la sua felicità e la sua salvezza dalla sofferenza erano
solo nella continuità della visione di questo Essere necessario, al punto che
non se ne allontanasse per un solo istante.
Meditando, poi, sul modo in cui potesse riuscire ad ottenere
questa continuità, gli venne il pensiero che fosse suo dovere applicarsi a
questi tre tipi di assimilazione. Quanto alla prima assimilazione, da essa non
gli sarebbe derivata neanche in minima parte questa contemplazione, ma anzi lo
avrebbe distolto da essa e l'avrebbe ostacolata, escludendola; poiché era volta
alle cose sensibili, e tutte le cose sensibili erano veli che impedivano quella
contemplazione.
Ma aveva bisogno di quella assimilazione per mantenere in vita
questo spirito animale attraverso cui gli sarebbe avvenuta la seconda
assimilazione, quella ai corpi celesti. La necessità lo induceva a seguire
questa via, anche se non era priva di quel difetto.
Quanto alla seconda assimilazione, per essa gli sarebbe accaduta
una gran parte della visione continua; ma a questa visione si sarebbe mescolato
un certo intorbidamento: se infatti uno contemplava per quella via, conservava
in quella visione la consapevolezza della sua propria essenza e rivolgeva ad
essa lo sguardo, come sarà chiarito in seguito.
Quanto alla terza assimilazione, per essa gli sarebbe accaduta la
contemplazione pura e l'assorbimento assoluto in cui il suo essere non si
sarebbe volto a considerare se non l'Essere necessario. L'essenza di colui che
contemplava secondo questa via scompariva, si annullava e veniva meno, e così
pure scomparivano tutte le essenze, fossero molte o poche, ad eccezione
dell'Essenza dell'Uno, del Vero, del Necessario, Egli è eccelso, altissimo e
potente.
Quando gli apparve chiaro che l'estremo oggetto della sua ricerca
era questa terza assimilazione e che essa non gli sarebbe avvenuta se non dopo
essersi esercitato ed essersi applicato per lungo tempo alla seconda assimilazione,
e che questo periodo di tempo non gli sarebbe stato fornito se non tramite la
prima assimilazione, comprese che la prima assimilazione (che pure era
necessaria), anche se accidentalmente era un aiuto, era un ostacolo per
essenza, e si impose di attribuirsi, di questa assimilazione, solo lo stretto
necessario, cioè quel tanto che fosse sufficiente ad assicurare la
sopravvivenza dello spirito animale.
Trovò che le cose necessarie alla sopravvivenza dello spirito
animale erano due: 1) ciò che lo sostenesse all'interno e gli restituisse
l'equivalente di ciò che di 'lui si dissolveva, ed era il cibo; ciò che lo
proteggesse all'esterno ed allontanasse da lui i danni che potevano essere
causati dal freddo, dal caldo, dalla pioggia, dal calore del sole, dagli
animali nocivi, e così via.
Vide che se si procurava queste cose necessarie
sconsideratamente, come capitava, spesso si trovava ad eccedere, prendeva oltre
il sufficiente, e, senza accorgersene, agiva contro se
stesso. Decise di prescriversi dei limiti da non oltrepassare, e delle quantità
da non superare, e gli sembrò che la prescrizione dovesse riguardare il genere
di ciò di cui si nutriva ~ che cosa fosse, la sua quantità e il
tempo tra i pasti.
Considerò dapprima le varie cose di cui si nutriva, e vide che
erano di tre specie: 1) le piante che non erano ancora giunte a maturazione e
non erano pervenute all'estremo limite del loro completamento, ed erano i
diversi tipi di legumi verdi di cui si poteva cibare; 2) i frutti delle piante
che, già mature e giunte al completo sviluppo, facevano uscire il seme affinché
da esso si generassero altre piante a conservazione della loro specie ~ ed
erano i diversi tipi di frutti freschi o secchi; 3) gli animali di cui si
nutriva, sia terrestri che marini.
Aveva già compreso che queste specie esistevano tutte per opera
di quell'Essere necessario, tale che nell'esserGli
vicino e nel divenire simile a Lui era la sua felicità. Ora, non c'era dubbio
che il fatto che se ne cibava impediva ad esse di giungere al completamento e
si frapponeva tra esse e il fine ultimo da esse perseguito. Questo significava
ostacolare l'opera del Creatore, e questo fare ostacolo era in contraddizione
con il suo cercare di esserGli vicino e di divenire
simile a Lui.
Vide che sarebbe stato nel giusto se avesse potuto tutto d'un
tratto astenersi dal cibo. Ma non gli fu possibile, poiché vide che, se si
fosse astenuto dal cibo, questo lo avrebbe portato alla corruzione del corpo, e
questo avrebbe voluto dire ostacolare ancora di più il Creatore, poiché egli
era più nobile di quelle altre cose la cui corruzione era causa della sua
sopravvivenza.
Cedette al minore dei mali, accondiscese alla più lieve delle due
opposizioni: decise di prendere di queste specie, se fossero venute a mancare,
quelle che gli fosse facile prendere, nella quantità che in seguito gli sarebbe
apparsa essere quella giusta.
Quanto a quelle che erano a sua disposizione, conveniva che
considerasse attentamente e scegliesse quelle tali che il prenderle non
costituisse un grande ostacolo all'opera del Creatore, come la polpa dei frutti
che erano già pervenuti al culmine della dolcezza, i cui semi servivano alla
generazione del simile; a condizione che avesse cura di quei semi, che non li
mangiasse, non li facesse corrompere e non li gettasse in un luogo non adatto
alle piante, come la pietra, la palude e simili.
Se gli fosse stato difficile trovare di questi frutti, dotati di
polpa commestibile, come le mele, le pere, le prugne e simili, avrebbe potuto
prendere o i frutti di cui non poteva mangiare che il cuore del seme, come le
noci e le castagne, oppure i legumi che non erano giunti all'estremo limite
della loro maturazione; a condizione, in questi due casi, che cercasse quelle
specie che erano reperibili in maggiore quantità e le più forti nel riprodursi,
che non estirpasse le loro radici e non distruggesse i loro semi.
In mancanza di queste, avrebbe potuto prendere gli animali o le
loro uova, a condizione, quanto agli animali, che prendesse quelli che si
trovavano più facilmente e che non facesse estinguere completamente nessuna
loro specie. Questo fu ciò che decise a proposito delle specie di cui si
cibava. Riguardo alla [giusta] quantità, decise che era quel tanto che placasse
lo stimolo della fame, e non di più. Quanto al tempo che doveva intercorrere
tra due pasti, decise che, preso cibo a sufficienza, se ne sarebbe astenuto e
non vi avrebbe badato finché non lo avesse colto una debolezza che gli
impedisse di compiere alcune azioni necessarie alla seconda assimilazione, azioni
che ricorderemo in seguito.
Quanto alle cose necessarie alla sopravvivenza dello spirito
animale che lo proteggevano all'esterno, a questo proposito non aveva problemi:
infatti era rivestito di pelli e si era fatto un'abitazione che lo riparava da
ciò che gli proveniva dall'esterno. Si contentò di questo, e non vide la
necessità di occuparsene, e si impegnò ad osservare nel suo cibo le leggi che
si era imposto, quelle di cui abbiamo trattato prima.
Poi prese in considerazione la seconda cosa da fare, cioè il
rendersi simile ai corpi celesti, il seguire il loro esempio, l'acquisire le
loro qualità. Studiò attentamente le loro qualità, che gli sembrò di poter
riassumere in tre generi: 1) essi avevano qualità per cui erano in relazione
con il mondo sottostante della generazione e della corruzione, erano infatti
responsabili del riscaldamento per essenza, del raffreddamento per accidente,
dell'illuminazione, della rarefazione e della condensazione, di tutte le cose,
insomma, che producevano in esso, grazie alle quali era adatto ad accogliere le
numerose forme spirituali che emanavano dal Creatore, l'Agente necessario; 2)
essi avevano qualità per essenza, conformi alla loro natura, come
semi-trasparenza, luminosità e purezza, immunità dall'offuscamento e da ogni
tipo di contaminazione, e si muovevano di moto circolare, alcuni su se stessi,
alcuni intorno ad altri corpi celesti; 3) avevano qualità simili a quelle
dell'Essere necessario, come il fatto che Lo contemplavano senza interruzione,
senza allontanarsene, partecipavano della Sua sapienza, si adoperavano a
compiere
Quanto al primo genere, la sua assimilazione ad essi consisteva
in questo: si imponeva di non vedere un animale (o una pianta) tormentato da
una necessità o una malattia o una mancanza o un impedimento che era in suo
potere eliminare, senza che li eliminasse. Quando il suo sguardo si posava su
una pianta cui qualcosa aveva nascosto il sole, oppure a cui si era attaccata
un'altra pianta che le recava danno, o che languiva per un'arsura che quasi la
faceva morire, allontanava da essa quell'impedimento, se era di quelli che si
potevano rimuovere, separava quella pianta e la pianta ad essa nociva con
un'operazione che non danneggiasse la pianta nociva, e aveva cura di essa
innaffiandola più che poteva.
Quando il suo sguardo si posava su un animale incalzato da una
belva, o che si era impigliato in un laccio, o gli si era conficcata una spina,
o gli era penetrato qualcosa di nocivo nell'occhio o nell'orecchio, oppure era
tormentato dalla sete o dalla fame, si incaricava di metter fine a tutto ciò e
gli dava da mangiare e da bere. Quando il suo sguardo si posava su un'acqua
che, scorrendo, avrebbe dissetato una pianta o un animale, ma era ostacolata
nel suo fluire da un impedimento, una pietra che vi era caduta dentro, o uno
sbarramento [di fiume] che le si opponeva, allontanava da essa tutto ciò.
Continuò a dedicarsi a questo genere di assimilazione, finché raggiunse in esso
il massimo grado di perfezione.
Quanto al secondo genere, la sua assimilazione ad essi consisteva
in questo: si imponeva di conservarsi sempre pulito, di allontanare dal suo
corpo l'impurità e la turpitudine, di lavarsi frequentemente con acqua, di
pulirsi le unghie, i denti e le pieghe del corpo, si profumava con il profumo
delle piante e con i vari tipi di oli aromatici, aveva cura dei suoi abiti, li
puliva e li profumava; finché divenne risplendente di leggiadria e bellezza, di
pulizia e di profumo.
Contemporaneamente si applicava ai vari tipi di movimento
circolare: ora girava intorno all'isola e percorreva in circolo la spiaggia
viaggiando sui suoi lati, ora girava più volte intorno alla sua abitazione e
intorno a qualche roccia, o camminando, oppure a passo spedito. Ora girava su se stesso finché perdeva i sensi.
Quanto al terzo genere, la sua assimilazione ad essi consisteva
in questo: si imponeva di pensare intensamente a quell'essere necessario, poi
interrompeva ogni contatto con le cose sensibili, chiudendo gli occhi,
tappandosi le orecchie, cercando di non correre dietro all'immaginazione, e si
sforzava di raggiungere la capacità di non pensare che a Lui e di non associarGli alcun altro; otteneva ciò girando intorno a se stesso e accelerando il suo movimento.
Se infatti aumentava il ritmo della rotazione, svanivano dalla
sua mente tutti gli oggetti sensibili, si indebolivano l'immaginazione e tutte
le facoltà che avevano bisogno di strumenti corporei, e diventavano forti le
azioni della sua essenza, che era priva di corpo.
A volte il suo pensiero era puro da ogni contaminazione, e con
esso contemplava l'Essere necessario; ma poi le facoltà corporee lo assalivano
e il suo stato si alterava, lo riducevano
al livello più basso e tornava allo stato precedente. Se lo coglieva un
indebolimento che lo distraeva dall'attenzione, prendeva un po' di cibo, alle
condizioni ricordate prima, poi di nuovo si volgeva alla sua attività di
rendersi simile ai corpi celesti quanto ai tre generi ricordati.
Si dedicò a questo per un certo tempo: combatteva le sue facoltà'
corporee ed esse combattevano lui, lottava con esse ed esse con lui; quando
aveva la meglio, il suo pensiero era puro da ogni intorbidamento e gli balenava
qualcosa degli stati di coloro che sono giunti al terzo tipo di assimilazione.
Si mise infine a cercare la terza assimilazione, e aspirò al suo
conseguimento.
Riflettendo sulle qualità dell'Essere necessario, gli era apparso
chiaro nel corso delle sue argomentazioni teoriche, prima di mettersi al
lavoro, che esse erano di due generi: qualità positive, come la scienza, la
potenza e la sapienza, e qualità negative, come il Suo essere privo di
corporeità e di ciò che era inerente ad essa o ne conseguiva, anche da lontano.
Nelle qualità positive si presupponeva l'assenza di ogni elemento
antropomorfico, così che tra esse non si trovava alcuna qualità dei corpi, in
particolare la loro molteplicità.
Attraverso queste qualità positive
Quanto alle qualità positive, sapeva che esse si riconducevano
tutte alla Sua Essenza stessa, e che non vi era in esse molteplicità sotto
nessun aspetto, infatti la molteplicità era una
qualità dei corpi; sapeva inoltre che la conoscenza che Egli aveva di Sé non
era un concetto che si aggiungeva alla Sua Essenza, ma
Vide che il diventare simile a Lui nelle qualità affermative
consisteva in questo: che conoscesse Lui solo senza associarGli
nessuna qualità dei corpi. Si applicò a questo. Anche le qualità negative si
riconducevano tutte all'assenza di ogni corporeità: si mise quindi a scacciare
da sé le qualità corporee. Ne aveva già eliminate molte nel suo esercizio
precedente, con il quale si era diretto all'assimilazione ai corpi celesti. Ma
ne aveva conservate molte altre, come il movimento circolare che è una delle
qualità più caratteristiche dei corpi, la cura degli animali e delle piante, la
misericordia per loro e la sollecitudine nel rimuovere i loro impedimenti.
Anche queste erano qualità proprie dei corpi: infatti in un primo
tempo li vedeva grazie ad una facoltà esclusivamente corporea, e poi si
dedicava ad essi con una facoltà anch'essa esclusivamente corporea. Si dedicò
ad allontanare da se stesso tutto ciò, poiché queste
cose nel loro insieme non si addicevano a questa condizione che ora ricercava.
Continuò ad accontentarsi di stare quieto nella sua piccola
caverna, in silenzio, a testa bassa, disperdendo lo sguardo, allontanandosi da
tutte le cose sensibili e da tutte le facoltà corporee, concentrando
l'interesse e il pensiero sul solo Essere necessario, senza associarGli
nessuna altra cosa.
Quando si presentava alla sua immaginazione un oggetto che non
era Lui, lo scacciava a forza e lo respingeva. Si esercitò in questo e vi si
applicò per lungo tempo, in modo che passavano su di lui molti giorni in cui
non mangiava e non si muoveva.
Durante questa sua lotta violenta, a volte svanivano dalla sua
memoria e dal suo pensiero tutte le cose, tranne la sua propria essenza. Essa
non gli si sottraeva nel tempo in cui era assorto nella contemplazione
dell'Essere primo, vero e necessario. Questo gli dispiaceva, poiché sapeva che
era un intorbidamento nella contemplazione perfetta e un associare qualcosa a
quell'Essere nell'attenzione. Non cessò di ricercare l'annullamento della sua
essenza, la purificazione nella visione del Vero, finché gli riuscì e svanirono
dalla sua memoria e dal suo pensiero i cieli, la terra e ciò che è tra loro, e
tutte le forme spirituali e le facoltà corporee, e tutte le facoltà separate
dalla materia, cioè le essenze che conoscevano l'Essere necessario; e assieme a
quelle essenze scomparve la sua stessa essenza, dileguò il tutto, si dissolse e
divenne pulviscolo che si alza, e non rimase che l'Uno, il Vero, l'Essere
permanente.
E parlava con parole che non erano un concetto aggiunto alla Sua
Essenza: “A chi appartiene la sovranità, oggi? A Dio, l'Uno, l'Irresistibile” [Cor.
40,16]. Comprese il Suo linguaggio, ascoltò il Suo invito, non conosceva il
linguaggio, non era in grado di parlare e tuttavia lo comprendeva. Si immerse
in questa sua condizione e contemplò ciò che nessun occhio ha visto, né alcun
orecchio ha ascoltato, né mai è balenato ad un cuore umano.
Non attaccare il tuo cuore alla descrizione di una cosa che un
cuore umano non ha mai potuto intuire: se infatti è difficile descrivere molte
cose che i cuori umani hanno potuto intuire, come si riuscirà a descrivere una
cosa che il cuore non può intuire e non è del suo mondo né del suo livello? Con
la parola “cuore” non intendo il cuore corporeo né lo spirito che risiede nella
sua cavità, ma intendo con questa parola la forma di quello spirito, forma che
si diffonde con le sue facoltà nel corpo dell'uomo.
Ognuno di questi tre viene detto in realtà “cuore”, ma nessuno dei tre ha la possibilità di intuire questa
cosa, né si riesce ad esprimere ciò che si è ad essi manifestato.
Chi desidera ardentemente spiegare questo stato, desidera una
cosa impossibile, ed è come quello che voglia gustare i colori dipinti in
quanto colori, cercando ad esempio se il nero sia dolce o amaro. Con questo tuttavia non ti priveremo di allusioni con cui
accenneremo alle meraviglie che egli contemplò in quello stato; a titolo di
esempio, però, non con la pretesa di battere alla porta della verità; infatti
non è possibile accedere alla verità su ciò che avviene in quello stato se non
si giunge ad esso.
Ora ascolta con l'orecchio dei cuore, e
guarda con l'occhio dell'intelletto ciò a cui' si accenna: forse vi troverai
una guida che ti permetterà di trovare '
Dunque: quando venne meno alla sua essenza e a tutte le essenze,
non vide al mondo se non l'Uno, il Vivente, l'Eterno, e contemplò ciò che
contemplò; poi tornò all'attenzione delle altre cose. Quando si destò da quello
stato simile all'ebbrezza, apparve alla sua mente che lui non aveva un’essenza
per cui si distingueva dall'Essenza del Vero, dell'Altissimo, e che la sua
stessa essenza era l'Essenza del Vero, e che la cosa che prima pensava che
fosse la sua essenza diversa dall'Essenza del Vero, non era niente in realtà,
anzi non era nient'altro che lo stesso Vero, ed Egli era come la luce del sole
che si posa sui corpi compatti e la vedi apparire in essi. Ma essa, anche se si
attribuisce al corpo in cui appare, non è in realtà nient'altro che la luce del
sole.
Se quel corpo scompare, scompare la sua luce, mentre la luce del
sole rimane inalterata; non diminuisce quando quel corpo è presente, né aumenta
quando quel corpo scompare. Quando c'è un corpo adatto ad accogliere quella
luce si verifica l'accoglimento, se il corpo non c'è quell'accoglimento manca e
non ha significato. Si rafforzò in lui questa opinione, poiché gli era apparso
chiaro che l'Essenza del Vero - Egli è potente ed eccelso - non era in alcun
modo molteplice e che la conoscenza che Egli aveva di Sé era
Ora, egli era giunto alla conoscenza di Dio, e dunque era giunto
alla Sua Essenza. Ma questa Essenza 'non si comunicava che a Se
stessa e il Suo stesso comunicarsi era l'Essenza, ed ecco egli era l'Essenza
stessa. Ugualmente tutte le essenze separate dalla materia che conoscevano
quell'Essenza vera, che prima vedeva molteplici, divennero nel suo pensiero una
cosa sola.
Fu quasi sul punto di consolidarsi in questo errore, ma Dio nella
Sua misericordia lo evitò e vi pose riparo con
Di quelle essenze separate che conoscevano l'Essenza del Vero -
Egli è eccelso e potente - non si poteva dire né che erano molte né che erano
una sola, poiché erano molte solo se si consideravano separate l'una
dall'altra, ma, se considerate unite, erano anche una sola. Ma non poteva
comprendere nulla di ciò se non attraverso concetti contenuti nella materia e
rivestiti di essa.
La spiegazione è qui molto insufficiente; infatti, se tu alludi a
quelle essenze separate al plurale, secondo questo nostro modo di dire, si
comunica falsamente loro il concetto della molteplicità, mentre ne sono prive:
se invece alludi a queste essenze al singolare, si comunica loro il concetto
dell'unità, e anche questo è impossibile.
Mi sembra che si levi qui uno di quei pipistrelli, agli occhi dei
quali il sole è tenebra fitta, che si agiti nei ceppi della sua ottenebrata
follia, e dica: “Nel tuo argomentare minuzioso hai passato i limiti, finché ti
sei privato dell'acume dei saggi e hai abbandonato la capacità di giudicare
secondo ragione: è infatti una caratteristica propria dell'intelletto il
decidere se una cosa è una o molteplice”.
Vada cauto nel suo entusiasmo, freni la sua lingua, dubiti di se stesso e impari dal mondo sensibile e vile che si offre
alla sua osservazione, come ne trasse insegnamento Hayy
ibn Yaqzan quando,
considerandolo da un certo punto di vista, lo vedeva molteplice, di una
molteplicità che non si poteva raccogliere né limitare, ma poi, considerandolo
da un altro punto di vista, lo vedeva uno, e rimaneva indeciso a questo
proposito senza che gli fosse possibile optare per una delle due soluzioni.
Nel mondo sensibile traggono origine il plurale e il singolare,
in esso si comprende la loro vera essenza, in esso sono la separazione e il
congiungimento, l'unione e la diversificazione, l'incontro e la dispersione;
quale sarà allora il suo pensiero a proposito del mondo divino, in cui non si
può parlare né di tutto né di parte, per il quale non si può far uso dei
termini che siamo soliti udire senza che gli si comunichi qualcosa di falso,
che non può conoscere se non chi lo contempla, né accertarsi della sua essenza
se non chi vi è giunto!
Quanto alle sue parole: “... finché ti sei privato dell'acume dei
saggi e hai abbandonato la capacità di giudicare secondo ragione”, noi glielo
concediamo, e lo abbandoniamo con la sua ragione e con i suoi saggi, poiché la
ragione che interessa a lui e ai suoi pari è solo la facoltà logica, con la
quale si considerano le cose sensibili una ad una per cogliere poi da esse il
concetto universale. E i saggi che gli interessano conducono con questo metodo
la loro speculazione.
Ma il modo in cui noi abbiamo 'parlato di questi argomenti è al
di sopra di tutto ciò: non gli presti orecchio chi non
conosce altro che le cose sensibili e i loro universali, se ne discostino
coloro che “conoscono ciò che appare della vita di questo mondo, e, quanto
all'altro, se ne allontanano” [Cor. 30,7].
Ma se sei di coloro che si contentano di questo tipo di allusione
e di accenno a ciò che è nel mondo divino e non attribuisci ad espressioni dei
miei concetti ciò che suggerisce l'uso che comunemente ne viene fatto,
aggiungeremo per te qualche altra cosa su ciò che contemplò Hayy
ibn Yaqzan nello stato
della verità che abbiamo ricordato prima, e diciamo: dopo l'assorbimento
perfetto ed il completo annullarsi nella realtà del conseguimento, contemplò la
sfera più alta oltre la quale non vi è alcun corpo, e vide un'essenza priva di
materia che non era l'essenza dell'Uno, del Vero, né la stessa sfera del cielo,
né qualcosa di diverso da esse; ed era come l'immagine del sole che risplende
in uno specchio levigato, e non è il sole, né lo specchio, né una cosa diversa
dal sole e dallo specchio.
Vide che l'essenza separata di quella sfera aveva una perfezione,
una luminosità, una bellezza così grandi che non si possono esprimere con la
lingua, tanto sarebbe difficile rivestirle di 'parole o di suoni, e la vide al
grado più perfetto della dolcezza e della gioia, della 'beatitudine e della
felicità, per la contemplazione dell'Essenza del Vero, grande è
Vide che anche la sfera [ad essa] sottostante, cioè 'la sfera
delle stelle fisse, aveva una essenza priva di materia, che' non era l'essenza
dell'Uno, del Vero, né l'essenza separata della sfera più alta, né la stessa
sfera, né qualcosa di diverso da esse. Ed era come l'immagine del sole che
risplende in uno specchio in cui si riflette l'immagine 'proveniente da un
altro specchio, posto di fronte al sole.
Vide che anche questa essenza aveva luminosità, bellezza e
dolcezza come quella della sfera più alta.
Vide che anche la sfera sottostante a questa, cioè 'la sfera di
Saturno, aveva un essenza separata dalla materia, che
non era nessuna delle essenze che aveva contemplato prima, e non era diversa da
esse, ed era come l'immagine del sole che appare in uno specchio in cui si
riflette l'immagine che proviene da uno specchio 'in cui si riflette l'immagine
che proviene da uno specchio posto di fronte al sole. E vide che anche questa
essenza aveva luminosità e dolcezza come quelle che aveva visto prima.
Continuò a vedere che tutte le sfere avevano una essenza separata
priva di materia che non era nessuna delle essenze che la precedevano, né era
diversa da esse. Ed era come l'immagine del sole che si riflette di specchio in
specchio, secondo l'ordine di dignità in cui si susseguivano le sfere.
Vide che ognuna di queste essenze aveva una bellezza, una
luminosità, una felicità che mai occhio ha visto, né orecchio ascoltato, né
cuore umano intuito, finché da ultimo giunse a contemplare il mondo della
generazione e della corruzione, che era contenuto nella sua totalità
all'interno della sfera della luna.
Vide che aveva un'essenza priva di materia, che non era nessuna
delle essenze che aveva contemplato prima, né era identica ad esse. Questa
essenza aveva settantamila volti, in ogni volto settantamila bocche, in ogni
bocca settantamila lingue con le quali lodava l'Essenza dell'Uno, del Vero, e
La santificava e La glorificava senza interrompersi.
Vide che questa essenza in cui si poteva supporre la
molteplicità, mentre non era molteplice, aveva perfezione e dolcezza come le
essenze che la precedevano. E questa essenza era come l'immagine del sole che
risplende in un’acqua tremolante in cui si riflette l'immagine proveniente
dall'ultimo degli specchi a cui giunge il raggio riflesso, secondo l'ordine che
procede dal primo specchio che è posto di fronte al sole stesso.
Poi vide che egli stesso aveva un'essenza separata: se fosse
stato possibile che si dividesse in parti l'essenza dai settantamila volti,
avremmo potuto dire che essa era una sua parte. Se non fosse stato che questa
essenza era venuta ad essere 'dopo che non era, avremmo potuto dire che essa
era quell'essenza; e se non fosse stata legata a quel suo corpo fin dal suo
apparire, avremmo potuto dire che essa non aveva origine.
Contemplò in questo ordine essenze simili alla sua essenza, che
erano appartenute a corpi che poi si erano dissolti e a corpi che si trovavano
nell'esistenza contemporaneamente a lui, ed esse erano una moltitudine senza
fine, se si poteva dire che erano molte, oppure confluivano tutte in un solo
individuo, se si poteva dire che erano una essenza sola.
Vide che la sua essenza e quelle che erano nel suo stesso ordine
avevano una bellezza, una luminosità, una felicità infinite, che occhio non ha
veduto né orecchio ascoltato, né cuore umano intuito, che non può descrivere
chi vuol descrivere, né può comprendere se non chi vi giunge e conosce.
E vide molte essenze separate dalla materia che erano come
specchi coperti di ruggine sopraffatti dalle scorie, che, pur essendo rivolti
verso gli specchi levigati in cui si delineava l'immagine del sole, si
sottraevano ad essa con le loro superfici.
Vide che queste essenze erano di una tale bruttezza e
imperfezione che non avrebbe mai potuto immaginare. Le vide [immerse] in una
sofferenza senza fine, in dolori inestinguibili, circondate da cortine di
sofferenza, divorate dal fuoco della separazione, combattute e divise tra la
repulsione e l'attrazione. Oltre queste essenze tormentate vide qui delle
essenze che apparivano e poi dileguavano, si condensavano e divenivano scarne,
e le esaminò con cura.
Osservandole attentamente, vide poteri grandissimi, situazioni
importanti, invenzioni rapide, saggezze profonde, accomodamenti e presunzioni,
formazioni e annullamenti. Ed ecco che ristette un poco, poi tornò in sé, si
ridestò da quel suo stato simile allo svenimento; il suo piede ne scivolò via,
gli apparve il mondo sensibile e si nascose a lui il mondo divino.
Non
può avvenire infatti che i due mondi confluiscano in uno: e questo mondo e
l'altro sono come due concubine che, se ne soddisfi una, scontenti l'altra.
Ora tu potresti osservare: da ciò che hai detto di questa
contemplazione, appare che le essenze separate, se appartengono ad un corpo
eterno ed incorruttibile, come 'le sfere celesti, sono anch'esse eterne; se
invece appartengono ad un corpo che evolve verso la corruzione, come gli
animali dotati di ragione, si corrompono, scompaiono e dileguano; e ciò può
risultare dal tuo paragone della riflessione degli specchi.
Se infatti la sussistenza dell'immagine è affidata alla
sussistenza dello specchio, se lo specchio si corrompe, si corrompe l'immagine,
e scompare. E io ti rispondo: come in fretta hai 'dimenticato il nostro patto e
ti sei sciolto dal nostro vincolo! Non ti abbiamo forse premesso che l'ampiezza
della spiegazione qui è limitata e che le parole usate per descrivere gli stati
fanno credere cose che non sono la verità? Tu sei giunto a questa convinzione
solo perché hai considerato simili sotto ogni riguardo il modello e il Suo
ritratto.
Ora, già non conviene che si faccia questo nei vari tipi di
discorsi abituali; e dunque tanto meno qui. Infatti il
sole e la sua luce, la sua immagine e la formazione di essa, gli specchi e le
immagini che vi appaiono, sono tutte cose non separate dai corpi e che non
hanno fondamento se non per essi e in essi. Ne hanno quindi bisogno durante la
loro esistenza, e scompaiono al loro scomparire.
Ma le essenze divine e gli spiriti trascendenti sono tutti privi
dei corpi e delle qualità ad essi inerenti, e ne sono privi nel modo più
assoluto, né hanno con essi relazione o legame, ed è sbagliato attribuire loro
la caducità o la durevolezza dei corpi, l'esistenza o la non-esistenza dei
corpi, poiché sono legati e uniti solo all'Essenza dell'Uno, del Vero, del
Necessario, che è il primo di loro, la loro origine e la loro causa, colui che
li pone in esistenza, che dona loro di continuare ad esistere e li provvede di
permanenza ed eternità, e non hanno bisogno dei corpi, ma al contrario i corpi
hanno 'bisogno di loro.
E se fosse concepibile la loro inesistenza, i corpi non
esisterebbero, poiché essi ne sono i principi; ugualmente se fosse concepibile
l'inesistenza dell'Essenza dell'Uno, del Vero, Egli è bene al di sopra nella
Sua santità di una tale supposizione, tutte queste essenze non esisterebbero,
verrebbero meno i corpi, scomparirebbe il mondo sensibile nella 'sua totalità,
e non rimarrebbe nessuna cosa, poiché il tutto è legato in ogni sua parte.
Il mondo sensibile, anche se è subordinato al mondo divino, gli è
simile come la sua ombra, il mondo divino non ne ha bisogno e ne è
indipendente; tuttavia l'ipotesi della sua
non-esistenza è improponibile poiché viene dietro al mondo divino e la sua
corruzione può consistere solo in una trasformazione, non in una scomparsa
totale.
Questo esprime il Libro
Venerabile ovunque si incontri questo concetto: i monti scompariranno e
diverranno come lana, e gli uomini come farfalle, e il sole e la luna si
oscureranno, e i mari si prosciugheranno “il giorno in cui la terra si
trasformerà in qualcosa di diverso dalla terra e dai cieli”.
Questo è quanto mi è possibile ora accennarti di ciò che
contemplò Hayy ibn Yaqzan in quello stato sublime, e non chiedere che io vi
aggiunga qualcosa a parole, poiché questo è impossibile.
Quanto alla conclusione della sua storia, te 'la riferirò, se
vuole Dio Altissimo, ed è questa: quando tornò al mondo sensibile, e ciò
avvenne dopo le sue varie peregrinazioni, provò disgusto per la vita di questo
mondo e si fece più intensa la sua sete della vita più alta.
Si mise dunque a cercare di ritornare a quello stato, secondo il
metodo che aveva seguito in precedenza, finché vi giunse in modo più semplice
di come vi era giunto la prima volta, e vi si trattenne, la seconda volta, per
un tempo più lungo della prima. Poi tornò al mondo sensibile.
In seguito, si impose di giungere a quel suo stato, e gli fu più
facile della prima e della seconda volta, e la sua permanenza in esso fu più
lunga. Continuò a giungere a quello stato con una facilità sempre maggiore e vi
si tratteneva ogni volta più a lungo, finché giunse a pervenire ad esso quando
voleva e a staccarsene quando voleva.
Non si separava da quel suo stato e non vi rinunciava se non per
provvedere alle necessità del suo corpo, che aveva diminuito finché non erano
giunte al minimo possibile. Desiderava, allo stesso tempo, che Dio lo liberasse
completamente dal suo corpo, che era causa della sua ricorrente separazione da
quel suo stato, di disfarsene per volgersi alla dolcezza eterna, e di non
provare più il dolore della lontananza da quel suo stato per provvedere alle
necessità del corpo.
Rimase in questa situazione finché superò il settimo settenario
della sua esistenza, e cioè i cinquant'anni. Allora gli sopraggiunse la compagnia
di Asal, e il seguito della sua storia, se vuole Dio
Altissimo, tratterà di ciò che gli avvenne con lui.
IN SOCIETÀ
(ASAL E
SALAMAN)
N |
arrano che su un'isola vicina a quella in cui era nato Hayy ibn Yaqzan,
secondo una delle due versioni sul modo in cui avvenne la sua origine, si era
trasferita una comunità religiosa esente da errore, istruita da alcuni profeti
precedenti, Dio li benedica.
Era una comunità che esprimeva tutte le verità di fede tramite
simboli stabiliti, che consentivano di immaginare quelle cose e consolidavano
le loro rappresentazioni nelle anime, come è d'uso nel discorso rivolto alla
grande massa. Quella comunità continuò a diffondersi in quell'isola, e prese
vigore e splendore finché il suo re entrò a farne parte e vi aderì insieme con
il suo popolo.
Vivevano in quell'isola due giovani di buona cultura e
interessati al bene, uno dei quali si chiamava Asa1 e l'altro Sa1aman.
Aderirono a quella comunità e consentirono ad essa con la migliore
disposizione, presero su di sé come un dovere tutte le sue leggi e la
perseveranza in tutte le opere che essa raccomandava, ed erano compagni in
questo.
Di quando in quando si dedicavano allo studio di ciò che quella
legge enunciava a proposito di Dio e dei Suoi angeli, della vita futura, della
ricompensa e della punizione. Asa1 era più portato ad immergersi
nell'esoterico, più valido nello scoprire i significati spirituali, e più
desideroso di far ricorso all'interpretazione simbolica [del testo sacro]. Sa1aman,
il suo compagno, era più valido nel conservare il senso letterale, più portato
ad allontanarsi dall'interpretazione simbolica, più alieno dall'azione
individuale e dalla contemplazione. Ma entrambi erano diligenti e scrupolosi
nelle opere esteriori, nell'esame di Coscienza e nella lotta contro le
passioni.
Ora, in quella legge si trovavano espressioni che inducevano alla
solitudine e alla vita appartata, e indicavano che il conseguimento e la
salvezza erano in esse; e altre espressioni che inducevano alla compagnia e
all'adesione alla vita comunitaria.
Asal fu per la ricerca della solitudine e
scelse quella parte dell'insegnamento che la consigliava, secondo le sue
inclinazioni naturali che lo portavano a perseverare nella meditazione, ad
essere assiduo nell'interpretazione simbolica e ad immergersi nei significati.
Si aspettava dalla solitudine la maggior parte di ciò che avrebbe conseguito.
Salamnn, invece, fu per l'adesione alla vita
comunitaria e scelse quella parte dell'insegnamento che la consigliava, secondo
le sue inclinazioni naturali che lo portavano ad astenersi dalla meditazione e
dall’azione individuale. A suo parere l'adesione alla vita comunitaria
allontanava il bisbiglio del tentatore, disperdeva i pensieri che erano di
ostacolo e proteggeva dalle suggestioni diaboliche.
Fu il loro differire, a questo proposito, la causa della loro
separazione. Asal aveva sentito parlare dell'isola su
cui si è detto che si era originato Hayy ibn Yaqzan. Ne conosceva la
fertilità, le risorse, il clima equilibrato: di certo il vivere su di essa in
solitudine avrebbe fatto al caso suo.
Decise di andarci e di isolarsi dagli uomini per il resto della
sua vita. Raccolse le sue ricchezze; con una parte di esse noleggiò
un'imbarcazione che lo portasse a quell'isola, divise il resto tra i poveri, si
congedò dal suo compagno Sa1aman, e prese la via del mare. I marinai lo
portarono a quell'isola, lo deposero sulla sua spiaggia e se ne partirono.
As1 rimase su quell'isola a servire Dio - Egli è potente ed
eccelso -, ad esaltarLo, ad adorarLo, a meditare sui Suoi nomi più belli e sulle Sue
nobili qualità, e non cessava il suo pensiero né si turbava la sua meditazione.
Se aveva bisogno di cibo, prendeva dei frutti di
quell'isola e degli animali che cacciava, quel tanto che bastava a placare la
sua fame.
Rimase in quello stato per un certo tempo, ed era nella felicità
più completa e nella gioia più grande, poiché si intratteneva con il suo
Signore. Ogni giorno sperimentava i Suoi favori e i Suoi doni, e come gli
rendesse facile provvedersi del necessario e del cibo, e tutto questo
confermava la sua certezza e lo rallegrava.
In quel periodo Hayy ibn Yaqzan era completamente
assorbito nella sua condizione sublime. Non abbandonava la sua caverna che una
volta ogni sette giorni per prendere il cibo che gli capitava di trovare.
Per questo Asa1 in un primo tempo non lo incontrò, ma anzi si
aggirava per i lati di quell'isola e si spostava in lungo e in largo senza
vedere nessuno né osservare tracce.
La sua gioia si faceva più grande e la sua anima si rallegrava,
poiché aveva deciso di giungere all'estremo nella ricerca della vita appartata
e della solitudine: finché accadde un giorno che Hayy
ibn Yaqzan uscisse per
andare in cerca di cibo mentre Asal sopraggiungeva da
quella parte. E ognuno dei due posò lo sguardo sull'altro. Quanto ad Asal, non dubitò che [Hayy ibn Yaqzan] fosse un eremita che
era giunto a quell'isola per cercarvi l'isolamento dagli uomini, come egli
stesso vi era giunto. Temette che gli si facesse incontro e che tentasse di
fare conoscenza; questo infatti sarebbe stato causa
della corruzione del suo stato e un ostacolo tra lui e ciò a cui aspirava.
Quanto a Hayy ibn
Yaqzan, non capì che cosa [Asal]
fosse, poiché vide che non aveva l'aspetto di uno degli animali che aveva visto
prima di allora: aveva su di sé una veste nera di pelo e di lana, e pensò che
quello fosse il suo abito naturale. Rimase a meravigliarsene a lungo. Poi Asal si volse fuggendo da lui per timore che lo
distogliesse dal suo stato, e Hayy ibn Yaqzan seguì le sue orme,
perché era nella sua inclinazione ricercare la verità delle cose.
Quando lo vide farsi più veloce nella fuga, gli tenne dietro a
distanza, finché Asal pensò che si
era distolto da lui e che era ormai lontano da quel luogo. Allora As1
incominciò a pregare, a recitare, a supplicare, a piangere, a implorare, a
compiere slanci d'amore, finché tutto ciò lo distolse da ogni cosa.
Hayy ibn Yaqzan prese ad avvicinarglisi a poco a poco, mentre Asal non si accorgeva di lui, finché gli fu vicino tanto da
sentire la sua recitazione e il suo lodare Dio, e da vedere la sua
sottomissione e il suo pianto.
Ascoltò una bella voce e suoni rtico1ati che non aveva mai
ascoltato da nessun animale, osservò le sue forme e i suoi lineamenti e vide
che aveva il suo stesso aspetto. E gli apparve chiaro che la veste che era su
di lui non era una pelle naturale, ma era solo un vestito che aveva adottato,
come egli stesso aveva adottato il suo.
Quando vide la bellezza del suo sottomettersi, del suo implorare
e del suo piangere, non dubitò che fosse una delle essenze che conoscevano il
Vero; si interessò a lui e volle sapere che cosa provasse e quale fosse la
ragione del suo pianto e della sua implorazione.
Continuò ad avvicinarglisi, finché Asa1 si accorse di lui e fuggì
a gran velocità, ma Hayy ibn
Yaqzan lo insegui altrettanto velocemente, finché lo
raggiunse, grazie al vigore e alla capacità che Dio gli aveva concesso
nell'intelletto e nel corpo, gli si attaccò e lo afferrò in modo che non
potesse allontanarsi.
Quando Asal lo guardò - era vestito di
pellicce di animali, i suoi capelli si erano allungati fino a coprire gran
parte del suo corpo, e aveva visto la sua velocità nel giungere e 'la sua forza
nell'afferrare - ne fu molto spaventato e si mise a cercare di farselo amico e
a pregarlo con un discorso che Hayy ibn Yaqzan non comprendeva né
sapeva che cosa fosse, anche se distingueva in esso le buone disposizioni e
l'inquietudine.
Gli si rivolse affabilmente con suoni che aveva imparato da
alcuni animali, gli mise la mano sulla testa, gli accarezzò i fianchi, lo blandi, gli manifestò la gioia e la contentezza, finché
l'agitazione di Asal si placò e comprese che non
voleva fargli male.
In precedenza, nel suo amore per la scienza dell'interpretazione
simbolica, aveva imparato la maggior parte delle lingue, ed era esperto in
esse: si mise dunque a parlare a Hayy ibn Yaqzan e a chiedergli
informazioni [su di lui] in tutte le lingue che conosceva, e si sforzava di
farsi capire da lui, ma non ci riusciva.
Hayy ibn Yaqzan, in tutto questo tempo, restava ammirato di ciò che udiva; ma non capiva che cosa fosse, capiva solo che gli
manifestava la gioia e la buona disposizione.
Ognuno dei due si meravigliava di ciò che l'altro faceva. As1
aveva una rimanenza di provviste che aveva portato con sé dall'isola abitata.
Le avvicinò a Hayy ibn Yaqzan, ma quello non sapeva che cosa fossero perché non le
aveva mai viste prima di allora. As1 ne mangiò e gli fece cenno di mangiare.
Hayy ibn Yaqzan pensò alle condizioni che si era imposto
nell'assumere il cibo, e non sapendo l'origine di quelle cose che gli stavano
davanti, che cosa fossero, e se gli fosse lecito cibarsene oppure no, si
astenne dal mangiare. Ma Asal continuò a pregarlo e a
cercare di fare amicizia.
Hayy ibn Yaqzan lo aveva ormai preso in simpatia, e, temendo che se
si fosse ostinato nel contrariarlo lo avrebbe rattristato, si arrischiò a
prendere quelle provviste e ne mangiò. Ma quando le gustò e le trovò buone.,
gli sembrò un male l'essere venuto meno ai suoi impegni a proposito del cibo: volle
quindi allontanarsi da Asal e volgersi alla sua
attività di cercar di tornare al suo nobile stato. Ma non gli riuscì di
giungere in fretta alla contemplazione.
Decise allora di rimanere con Asal nel
mondo sensibile affinché, conosciuta la verità su di lui, non gli rimanesse
alcuna curiosità nei suoi confronti e potesse volgersi al suo stato senza che
alcuna distrazione lo distogliesse.
Ricercò dunque la compagnia di Asal.
Dal canto suo Asal, quando vide che non parlava, si
ritenne al sicuro da insidie alla sua devozione e si ripromise di insegnargli
il linguaggio e la scienza' della fede. Facendo questo, avrebbe ottenuto una
ricompensa più grande e sarebbe stato più vicino a Dio.
Asal decise di insegnargli in primo luogo
il linguaggio: gli diceva i nomi delle cose indicandole a gesti, poi glieli
chiedeva ripetutamente e lo faceva parlare, e quello li
diceva aiutandosi con il gesto, finché gli insegnò tutti i nomi e lo fece
progredire a poco a poco: incominciò così a parlare in brevissimo tempo.
Asal prese a domandargli di lui, e da dove
era venuto in quell'isola; Hayy gli spiegò che non
sapeva egli stesso la sua origine, che non aveva né padre né madre oltre una
gazzella che lo aveva allevato. E gli disse tutto di sé, come si era elevato
nella conoscenza, finché era giunto alla fine al grado del conseguimento.
Quando Asal sentì da lui la descrizione
di quelle verità e delle essenze separate dal mondo sensibile che conoscevano
l'Essenza del Vero - Egli è potente ed eccelso -, quando gli descrisse l'Essenza
del Vero altissimo ed eccelso con le Sue più belle qualità, e gli descrisse
come poteva le delizie di coloro che giungevano a Dio, e il dolore di coloro
che ne erano velati che g1i contemplava nel conseguimento, Asal
non dubitò che tutte le cose che erano dette nella sua legge a proposito di Dio
- Egli è potente ed eccelso -, dei Suoi angeli e dei Suoi libri e dei Suoi
profeti, dell'ultimo giorno, del Suo paradiso e del Suo inferno, era
raffigurazioni di queste cose che contemplava Hayy ibn Yaqzan.
Allora si dischiuse la vista del suo cuore, si accese il fuoco
della sua mente, furono concordanti per lui ciò che comprendeva e ciò che
credeva per tradizione, si avvicinarono a lui le vie dell'interpretazione
simbolica, e non rimase alcun problema sulle leggi che non gli apparisse
chiaro, né dubbio che non si risolvesse, né oscurità che non si chiarisse.
Divenne uno di quelli che sanno comprendere. Da allora guardò Hayy ibn Yaqzan
con ammirazione e rispetto, e fu vero ai suoi occhi che egli era uno degli amici
di Dio “che non hanno timore né si affliggono”.
Si impose di servirlo e di imitarlo, e di seguire i suoi cenni in
quei passi della legge che aveva appreso nella sua comunità che gli parevano in
contraddizione.
Hayy ibn Yaqzan si mise a chiedergli informazioni su di lui e sulle
sue vicende, e Asal prese a descrivergli la sua isola
e il suo mondo e come erano vissuti prima che giungesse loro la comunità
religiosa e come vivevano dopo che essa era giunta. Gli descrisse tutto ciò che
era detto nella legge a proposito del mondo divino, del Paradiso, dell'Inferno,
del risveglio e della resurrezione, del raduno e del rendiconto, della bilancia
e del ponte.
Hayy ibn Yaqzan comprese tutto questo, non ci vide niente di diverso
da ciò che contemplava nel suo stato sublime e comprese che colui che aveva
descritto ed enunciato quelle cose era veritiero nella sua descrizione, sincero
nelle sue parole, inviato dal suo Signore. Credette in lui, riconobbe la su
sincerità e attestò la sua missione.
Si mise poi a interrogano sulle prescrizioni divine e sulle
pratiche religiose che questo inviato aveva enunciato. [Asal
gli descrisse la preghiera canonica, l'elemosina, il digiuno, il pellegrinaggio
e altre simili pratiche esteriori. [Hayy] accettò
queste prescrizioni, vi si sottomise e si impegnò ad osservarle, consentendo
alle disposizioni di colui che, a suo parere, era, sincero nel suo dire.
Restavano tuttavia due cose di cui era sorpreso e di cui non sapeva riconoscere
la saggezza.
La prima di esse era: perché questo inviato nella maggior parte
della sua descrizione del mondo divino aveva dato agli uomini soltanto dei
simboli, astenendosi dal rivelare, al punto che gli uomini si erano venuti a
trovare nel grande errore di attribuire un corpo a Dio ed avevano attribuito all'Essenza
del Vero cose di cui Egli era privo ed esente? E perché si era comportato allo
stesso modo nel descrivere la ricompensa e la punizione?
La seconda cosa era: perché si era limitato a queste prescrizioni
e a queste pratiche religiose e aveva legittimato il possesso delle ricchezze e
l'abbondare nel cibarsi, al punto che gli uomini si dedicavano alle cose vane e
si allontanavano dal Vero? La sua opinione era infatti che nessuno dovesse
mangiare se non ciò che gli era indispensabile [per sopravvivere].
Quanto alle ricchezze, non conosceva il significato di questo
termine, e vedendo le disposizioni di legge che riguardavano le ricchezze, come
l'elemosina e ciò che da essa derivava, le vendite, l'interesse, le pene e le sanzioni , si meravigliava di tutto ciò e lo considerava
troppo lungo. E diceva: “Se gli uomini comprendessero come stanno le cose, si
allontanerebbero da queste vanità, andrebbero incontro al Vero e troverebbero
assurdo tutto ciò. E nessuno potrebbe disporre individualmente di una ricchezza
il cui possesso rende soggetti all'elemosina:, di cui
la sottrazione furtiva espone al taglio delle mani , la sottrazione manifesta
alla perdita della vita”. Cadeva in questo errore perché pensava che tutti gli
uomini fossero dotati di qualità eccellenti, di menti perspicaci e di anime
risolute, e non sapeva fino a che punto potevano arrivare la loro stupidità e
la loro imperfezione, la perversione del loro giudizio e la debolezza della
loro volontà: essi erano infatti “come le bestie, ed anzi più smarriti nel
cammino” [Cor. 25,44].
Facendosi più grande la sua compassione per gli uomini e poiché
sperava di aiutarli a raggiungere la salvezza, gli venne l'intenzione di andare
da loro per chiarire e manifestare loro la verità. Ne discusse con il suo compagno
Asal e gli domandò se potesse trovare un espediente
per raggiungerli. Asal gli fece osservare che gli
sarebbero stati contrari, per l'imperfezione della loro indole e per il loro
allontanamento da Dio.
Ma non gli riusciva di comprendere questo, e rimaneva nel suo
cuore l'attaccamento a quel suo desiderio. Dal canto suo, Asal
desiderava che Dio guidasse per sua mano [di Hayy]
alcuni studiosi di sua conoscenza che erano più vicini degli altri alla
salvezza.
Assecondò dunque il suo disegno, e decisero di stare sulla riva
del mare e di non allontanarsene né di notte né di giorno: forse Dio avrebbe
fatto si che potessero attraversare il mare. Si
attennero a questo e supplicarono Dio Altissimo con la preghiera di guidarli
nella loro impresa. E per opera di Dio potente ed eccelso - avvenne che nel
mare una nave deviasse dalla sua rotta e che i venti e l'urto delle onde la
spingessero sulla spiaggia. Quando si avvicinò alla terra ferma, il suo
equipaggio vide i due uomini sulla riva. Si avvicinarono. Asal
parlò loro e chiese se potessero portarli con loro.
Acconsentirono e li fecero
salire sulla nave, e Dio mandò loro un venticello leggero che portò la nave in
un tempo brevissimo all'isola che desideravano raggiungere. Vi sbarcarono,
entrarono in città, e i compagni di Asal si
raccolsero intorno a lui. Narrò loro le vicende di Hayy
ibn Yaqzan: lo circondarono
di una grande attenzione, mostrarono rispetto per la sua esperienza, gli si
strinsero intorno, lo ammirarono e lo riverirono. Asal
lo informò che quegli uomini erano più vicini di tutti gli altri alla
comprensione e all'intelligenza e che se non fosse riuscito ad insegnare loro,
tanto meno sarebbe riuscito ad insegnare alla grande massa.
Era capo e signore di quell'isola Sa1àman, il compagno di Asal che sosteneva l'adesione alla vita comunitaria e
condannava la vita in solitudine. Hayy ibn Yaqzan si mise ad istruirli
svelando loro i segreti della saggezza. Ma come si elevò un poco dal senso
letterale e prese a descrivere qualche altra cosa che sembrava contraria a ciò
che essi comprendevano, presero ad allontanarsi da lui, le loro anime
respingevano ciò che egli esponeva e lo disprezzavano nei loro cuori, anche se
apparentemente gli manifestavano il consenso perché era uno straniero e per
riguardo al loro compagno Asal.
Hayy ibn Yaqzan continuò a mostrarsi gentile con loro notte e giorno
e a mostrare loro il Vero in privato e in pubblico, ma questo non faceva che
accrescere il loro allontanamento e la loro avversione, poiché amavano il Bene
e desideravano il Vero, ma per l'imperfezione della loro indole non ricercavano
il Vero secondo
Vista l'insensibilità della loro accoglienza, rinunciò a far loto
del bene e smise di sperare nel loro miglioramento.
Considerando in seguito le varie categorie di uomini, vide che
quelli di ogni categoria, contenti di ciò che avevano [Cor. 30,32], prendevano
per Dio il loro capriccio [Cor. 25,43], erano asserviti alle loro passioni, si
consumavano per accumulare i beni di questo mondo e si occupavano solo di
accrescerli, finché visitavano la tomba [Cor. 102,1-2].
Non giovavano loro le esortazioni, né agivano su di loro le buone
parole, e la discussione non serviva che ad accrescere la loro ostinazione.
Quanto alla saggezza, non vi era modo per essi di giungervi, né potevano trarne
piacere: infatti l'ignoranza li aveva sommersi, i beni che essi si procuravano
si erano impadroniti dei loro cuori [3or. 83,14], e Dio aveva sigillato i loro
cuori, le loro orecchie e i loro occhi con un velo, e grande sarebbe stata la
loro punizione [Cor. 2,73].
Quando vide che le cortine della punizione li avevano circondati
e che veli tenebrosi li avevano avvolti, e che essi tutti tranne pochi non si
attaccavano, nella loro comunità religiosa, che a questo mondo, che gettavano
dietro le spalle le sue pratiche, per leggere e semplici che fossero, e le
vendevano a basso prezzo, e che li distoglievano dalla menzione del nome di Dio
altissimo il commercio e la vendita, e non temevano un giorno in cui i loro
cuori e i loro occhi si sarebbero trasformati {Cor. 24,37], gli fu manifesto e
seppe con assoluta certezza che non era possibile parlare loro chiaramente, che
era assurdo pretendere che facessero qualcosa oltre questo livello, che gli
uomini per la maggior parte utilizzavano la legge solo in ciò che riguardava la
vita di questo mondo, per avere il giusto sostentamento senza che nessuno
facesse offesa a ciò che possedevano, e che di essi non avrebbero ottenuto la
felicità ultima se non pochi e rari individui, e cioè “coloro che si curavano
della vita eterna, facevano sforzi per ottenerla, ed erano credenti” [Cor.
17,19].
Quanto a quelli che prevaricavano e perseguivano la vita di
questo mondo, l'Inferno sarebbe stato la loro dimora [Cor. 79,37-39]. Quale
sofferenza è più penosa, quale miseria è più grande di quella di colui che, se
tu esamini le sue azioni da quando si sveglia dal sonno a quando vi fa ritorno,
non ne trovi nessuna che non sia volta a cercare di raggiungere il massimo
grado in queste cose sensibili e vili: radunare una ricchezza, procurarsi un
piacere, soddisfare una passione o sfogare una collera, conseguire un onore,
vantarsi per aver compiuto una pratica religiosa o compierla per salvare la
propria testa; tutte queste cose sono “tenebre su tenebre in un mare profondo”
e “”di voi non è chi non vi giunga; c'è da parte del tuo Signore una sentenza
stabilita” [Cor. 19,71].
Quando comprese le disposizioni degli uomini, che essi per la
maggior parte erano come gli animali privi di ragione, riconobbe che ogni
saggezza, guida e assistenza era in ciò che i profeti avevano detto e la legge
menzionava, e che non era possibile nient'altro né aggiungervi niente, che
c'erano uomini per tutte le azioni e che ognuno era facilitato a compiere ciò
per cui era stato creato. “Questa è la consuetudine di Dio, su coloro che
esistettero da prima, e non trovi alla consuetudine di Dio un mutamento” [Cor.
48,23].
Si recò allora da Salaman e dai suoi
compagni, si scusò con loro di ciò che aveva detto e lo ritrattò davanti a
loro; li informò che si era convinto delle loro opinioni e che si era orientato
nella loro direzione; raccomandò loro che, conformi ai loro doveri, rispettassero
le leggi e le pratiche esteriori che non approfondissero troppo lo studio su
ciò che non li interessava, che accettassero con fede i passaggi oscuri [del
testo sacro] e si sottomettessero ad essi, che si tenessero lontani dalle
eresie e dagli atteggiamenti eterodossi, che imitassero le prime generazioni
dei credenti e abbandonassero le innovazioni. Raccomandò loro che evitassero la
dimenticanza della legge e l'attaccamento a questo mondo, comuni alla grande
massa dei fedeli, e li mise in guardia contro questi errori con i suoi
ammonimenti più calorosi.
Lui e il suo compagno Asal avevano
infatti compreso che questa era l'unica via di cui avevano bisogno questi
uomini recalcitranti e incapaci, e che se si fossero innalzati da questa via
alle altezze del discernimento si sarebbe sconvolto ciò che essi avevano
acquisito e non sarebbe stato loro possibile raggiungere il grado dei beati:
avrebbero vacillato, sarebbero caduti e avrebbero fatto una misera fine.
Se invece avessero perseverato in ciò che facevano finché fosse
venuta loro la vera fede, avrebbero raggiunto la pace e sarebbero stati di
coloro che stanno alla destra. “Quanto a quelli che saranno giunti prima,
saranno quelli che sono giunti prima, e quelli più vicini a Dio” '[Cor.
56,10-11].
Si congedarono da loro, se ne separarono e si preoccuparono di
tornare alla loro isola, finché Dio - Egli è potente ed eccelso - permise loro
di farvi ritorno. Hayy ibn Yaqzan cercò il suo stato sublime nel modo in cui lo aveva
cercato in precedenza, finché tornò ad esso. Asal lo
imitò, finché gli si avvicinò quasi allo stesso livello. E servirono Dio su
quell'isola fino alla fine della loro vita.
CONCLUSIONE
Q |
uesto - Dio ci aiuti e ti assista con
Noi non abbiamo seguito in questo l'esempio delle prime
generazioni musulmane nel custodirlo gelosamente e nell'esserne avari. Ci hanno
incoraggiato a rivelare questo segreto e a squarciare il velo alcune false
opinioni che sono apparse in questo nostro tempo nelle quali si sono distinti
alcuni pseudo-filosofi, e le hanno rese note finché si sono diffuse nei vari
paesi ed il loro danno si è generalizzato; abbiamo temuto che i deboli, che
hanno rigettato la fede nell'imitazione dei profeti - Dio li benedica - e hanno
ricercato la fede degli stolti e degli ignoranti, pensassero che erano quelle
opinioni gli insegnamenti “incomunicabili” a persone non degne, e che con
questo aumentasse il loro amore e il loro entusiasmo per esse.
Abbiamo deciso dunque di far balenare loro qualcosa del segreto
dei segreti, per indurli ad avvicinarsi al Vero e distoglierli da quella via.
Sui segreti che abbiamo affidato a queste poche pagine abbiamo avuto cura tuttavia di lasciare un velo sottile ed un esile
schermo, che si diraderà. velocemente per chi è affine a quell'insegnamento, e
si farà denso e fitto per chi non è degno di oltrepassarlo, in modo che non lo
oltrepassi.
Io chiedo ai miei fratelli che presteranno attenzione a questi
discorsi, che accolgano le mie scuse per le inesattezze e le approssimazioni
cui sono andato incontro nell'esporre e nel dimostrare: ciò è accaduto solo
perché ho scalato vette il cui estremo limite sfugge allo sguardo, e ho voluto
accostare ad esse il discorso per risvegliare il desiderio e suscitare la brama
di entrare nella Via.
Chiedo a Dio indulgenza e perdono: ci conceda la purezza della
Sua conoscenza ed Egli è di certo generoso e nobile. E su dite, fratello che è
un dovere aiutare, sia la pace e la misericordia di Dio e
FINE