Caterina
II
Johan
Baptist von Lampi
Musée de
AI
TEMPI DI CATERINA II
E IL
SUO TRIONFALE
VIAGGIO IN CRIMEA
Michele E.
Puglia
(Per
gli amanti della lingua italiana, poichè è stato
detto
che
il punto e virgola (;) non lo usa più nessuno e,
già
da qualche tempo, è
stato dato
in via di estinzione; come si vedrà,
abbiamo
deciso di usarlo con
generosità,
per
dimostrare che sia un
errore
destinarlo
alla estinzione!)
PARTE PRIMA
SOMMARIO:
IL “REGIME DELLE DONNE” DOPO
IL “REGIME
DELLE DONNE”
DOPO
PIETRO IL GRANDE
P |
ietro I il Grande, prima di morire aveva fatto
giurare ai sudditi che avrebbero riconosciuto chiunque egli avesse indicato
come suo successore; ciò nonostante, non si ebbe una normale successione in quanto
alla sua morte (1725), fu la moglie Caterina I ad essere proclamata imperatrice;
seguirono una serie di colpi di stato in
seno alla famiglia imperiale, che portarono sul trono le zarine, le quali
instaurarono il “regime delle donne”,
fino a quando il potere non finì nelle mani di Caterina II.
L’inizio di
questo ”regime” si ebbe con la moglie di Pietro I, Caterina I e del
principe Mensikov, di cui era stata amante, prima che
la prendesse lo zar; ambedue di bassa estrazione (Caterina Skavronki,
di origine tedesca era figlia di contadini); Pietro li aveva conosciuti da poco
e partendo per la guerra contro i turchi (la guerra riguardava l’occupazione
del Mar d’Azof operata da Pietro per avere accesso al
Mar Nero) aveva portato con sé Caterina e si era accampato presso il fiume Pruth (affluente del Danubio, nascente dai monti Carpazi), dove
si doveva svolgere la battaglia.
Lo zar era disperato
in quanto per il tradimento del principe valacco Cantemir,
che doveva prestargli aiuto con il suo esercito, nel frattempo si era accordato
con i turchi e non si era presentato a dare l’aiuto promesso; le forze di
Pietro non erano sufficienti per affronare i turchi
muniti di cannoni e lo zar non vedeva davanti a sé altro che la disperazione.
L’esercito
turco-tataro era di oltre duecentomila uomini mentre lo zar ne opponeva solo trentottomila
per di più decimato dal caldo e dalla sete (era il mese di luglio, 1711), in
quanto, pur essendo nelle vicinanze del fiume, i russi, cirondati
dai turchi non potevano avvicinarsi all’acqua perché bersagliati
dall’artiglieria nemica; mancava anche
il foraggio per i cavalli, distrutto fino alle radici dalle locuste; i
turchi erano disposti a mezzaluna, con i loro cannoni, erano in grado di
distruggere tutta l’armata russa senza perdere un uomo o farla morire di fame,
senza attaccarla.
Lo zar si era
ritirato nella sua tenda, dando ordine alle guardie di non fare entrare nessuno,
ma entrava Caterina che lo trova piegato sui suoi tristi pensieri e lo consola dicendogli
“Moriamo, ma moriremo con coraggio”,
e gli suggerisce le trattative per la pace,
In questi
casi, quando si intavolavano trattative con i turchi esse erano precedute dalla
offerta di doni; ma Pietro le dice che non sa dove prenderli e Caterina mon solo gli mette a disposizione i propri gioielli ma si
incarica di raccogliere quanto potevano offrirle gli ufficiali; salita a
cavallo, si reca nella loro tenda chiedendo il loro argento e quello dei
soldati per lo zar, nostro padre,
promettendo che lo avrebbero avuto restituito centuplicato; gli ufficiali
colpiti dalla sua fermezza e dal suo fascino le mettono a disposizione tutto
ciò che riescono a raccogliere, facendo rinascere le speranze dell’armata.
I turchi e i tatari
erano già pronti in ordine di battaglia quando un gruppo di messaggeri, su
ordine di Caterina, uscìva dal campo con uno stenderdo bianco che si diresse nel campo nemico verso la
tenda del “kiaia”,
di Mehemet Baltadgì al
quale presentarono una borsa con diecimila ducati per lui e un cofanetto di
pietre preziose per il gran visir,
con una lettera del generale Scérémetov, che
proponeva la pace in nome dello zar; la
battaglia fu sospeso e i soldati turchi che rientravano, vendettero ai russi il
superfluo delle loro provvigioni.
Il trattato
che seguì, prevedeva la rinunzia di Pietro I al Mar d’Azov perdendo l’accesso al Mar Nero (sarà poi
Caterina II a conquistarlo con l’occupazione della Crimea), l’abbattimento
delle tre fortezze di Samara, Taugarock e Kaminienska e il passo libero per Carlo XII di Svezia, per
rientrare nei suoi Stati: Pietro I volle mostrare la sua gratitudine a Caterina sposandola e associandola
al trono.
Egli sposava
Caterina in seconde nozze in quanto aveva già sposato Eudossia Lopukin che gli aveva dato un figlio, Alessio Pietro e l’aveva
ripudiata in quanto l’aveva sospettata che
lo tradisse.
Per la sua
grandezza d’animo Pietro (1724), prima di morire aveva incoronato Caterina,
imperatrice, ciò che in Russia non era mai avvenuto in precedenza; per di più
Pietro l’aveva associata al trono e quando si era ammalato (di cancro alla
vescica) aveva sospettato che se la intendesse con il ciambellano William Moëns (che fu giustiziato e altre persone
della sua cerchia furono fustigate e deportate) e da quel momento non le aveva
più rivolto parola.
Caterina gli
aveva dato ben nove figli, tre maschi e sei femmine delle quali due rimasero
viventi, Anna che sposava il duca Karl Friedderich
Holstein-Gottorp ed Elisabetta che vedremo
imperatrice.
Pietro I, non
aveva scritto alcun testamento, ma prima di morire con un ukase (editto), codificava le norme
della successione in cui si prevedeva che sarebbe stato lo zar a indicare il proprio
successore; egli oltre a non aver redatto alcun testamento, non aveva designato
neanche il suo successore.
Pur essendosi
ammalato alla vesvìcica, Pietro moriva di polmonite da
cui era stao colpito mentre prestava generosamente aiuto
nell’acqua gelida ai marinai naufragati presso Lachta,
non lontano da Pietroburgo.
Sebbene avesse
un nipote, Pietro, figlio dello sfortunato figlio Alessio, che per il tentativo
di colpo di stato contro di lui era stato condannato alla decapitazione (in
ogni caso la sua morte era rimasta avvolta
nel mistero (*)), il Consiglio segreto confermava imperatrice la moglie Caterina
che egli stesso aveva incoronato, confermata dall’acclamazione della guardia
imperiale a lei era favorevole (1725) e confermata dall’arcivescovo di Novgorod
il quale dichiarava che Pietro I l’aveva fatta incoronare perché gli succedesse
sul trono; così Caterina I si era seduta sul trono ... ma sarà Aleksandr Mansikov
a reggere l’impero.
*) Alessio
(nato nel 1690) in contrasto con il padre che gli voleva dare una educazione
pratica (mentre lo zarevic si dedicava con profitto allo studio della lingua
tedesca e francese e seguiva gli esercizi fisici senza entusiasmo), aveva
problemi interiori ed era di carattere indolente, di idee ristrette, ostinato e
di debole intelligenza (non era che un Lapoukine
scrive Rambaud); era a capo dei nobili
ed ecclesiastici ostili alle riforme che stava conducendo il padre; il suo
matrimonio con Charlotte von Wolfenbüttel,
superati i primi tempi, risultò infelice e Alessio desiderava ritirarsi a vita
privata con la sua amante Afrosinja; dopo essere
fuggito a Vienna presso
Quando era
stato riferito al padre che il figlio si era rallegrato dei successi dei
movimenti insurrezionali, Pietro I ordinò un processo in grande stile, senza
aver riguardo alla sua posizione. Un tribunale di 127 dignitari ecclesiastici e
laici procedette all’arresto di molte persone e si riempirono carceri e camere
di tortura, rimanendo implicate molte persone eminenti; Alessio confessò che se
fosse scoppiata una insurrezione e gli insorti lo avessero invitato, si sarebbe
messo a loro disposizione; sottoposto a tortura confessò di aver desiderato la
morte del padre; fu quindi emessa la sua condanna a morte (1718).
Secondo una
versione (M. Richer: Histoire de Russie, 3. Voll,
Paris, 1789) Mensikof frastornato e inorridito, aveva
ricevuto l’ordine di preparare il patibolo e provvedere alla esecuzione e
questo aveva mandato a cercare chi doveva procedere alla esecuzione; gli si era
presentato un soldato che aveva le sembianze di Alessio che si offriva di
sostituirlo; Mensikov ben lieto accettò e la mattina
all’ora della esecuzione si presentò il soldato con gli abiti di Alessio al
quale gli fu tagliata la testa; il padre aveva osservato da una finestra la esecusione e non si era accorto della sostituzione.
Si deve tener
presente che all’epoca l’educazione impartita era barbara e crudele come era
avvenuto con Federico II di Prussia che bastonava il figlio e stava per fargli
tagliare la testa come racconta Voltaire (in Vita di Federico II) e alla
ragazza con cui il principe amoreggiava, le aveva fatto fare pubblicamente il
giro della piazza di Postdam a suom di nerbate.
Secondo un’altra
versione sulla morte di Alessio, il giorno seguente alla condanna lo zarevic moriva, secondo alcuni, in
seguito alle frustate del padre a colpi di knut;
secondo altri era stato decapitato o avvelenato o soffocato con cuscino o, come
riportato nei protocolli della fortezza Pietro e Paolo, sarebbe morto dopo
l’ultima tortura (sotto la sferza del knut).
Alessio
godeva delle simpatie di molta parte della popolazione e dopo la sua morte
apparvero ben cinque pseudo-Alessio che affermando di essere lo zarevic che si
era salvato, ciascuno di essi trovò i propri seguaci, ma furono tutti arrotati,
squartati e decapitati dal potere politico (Storia
della Russia di Valentin Gitermann, tradotta dal
russo, ed.
Il
periodo 1725-1796 è contrassegnato
dalla
successione delle imperatrici
considerato
“regime delle donne”
o “ginecocrazia”.
IL BREVE REGNO
DI CATERINA I
C |
aterina
I, al secondo anno di regno si ammala (1727),”non senza sospetto che vi avesse
contribuito mano maligna” (si diceva
che le avessero fatto mangiare una pera avvelenata).
Predisponendo
il testamento, indicava come imperatore il nipote Pietro (che allora aveva
undici anni) e istituiva un Consiglio di
reggenza. Contrariamente alle disposizioni di Pietro I, assunse lei
l’iniziativa di designare come successori del nipote, i suoi figli, e, in caso di sua morte senza prole, la figlia
Anna Petrovna moglie del duca Karl Friedrich von
Holstein-Gottorp (Gitermann)
e madre di Pietro III, e, nel caso di sua morte senza figli, la seconda figlia,
Elisabetta Petrovna e suoi eredi; dopo di lei, se non
avesse avuto eredi, Caterina I indicava l’altra nipote Natalia Alessiovna (sorella del designato nipote Pietro).
Caterina
I dopo aver fatto sposare sua figlia Anna, provvide subito a far pagare le
truppe in fermento, che l’avevano appoggiata, per tenerle disponibili e poiché
i cosacchi erano anch’essi in fermento, fece costruire diversi forti nei loro
territori, rassicurandoli col dire che i forti erano costruiti contro le
scorrerie dei tatari.
Ma,
come abbiamo detto, chi aveva preso in mano la situazione, era stato il potente
e immensamente ricco principe Aleksandr Danilovic Mensikov (si diceva che avesse centomila schiavi), suo
amante prima che sposasse Pietro I (v. in Specchio dell’Epoca: Il viaggio di Pietro I a Parigi).
Mensikov,
avrebbe dovuto controbilanciare il potere del duca di Holstein, indolente e
altero, ma Mensikov, più sfrontato, lo trattava con
sufficienza tanto che quando al mattino si recava dall’imperatrice, lasciava
che fosse il duca o la duchessa di Holstein a chiudere la porta (i nobili non aprivano o chiudevano mai le porte e anche
in Francia, la cui etichetta era stata adottata dalla corte russa, questo
compito era svolto dai valletti).
Alla
morte di Caterina I (1727) succedeva il designato Pietro II, il quale, dopo aver regnato un
anno e nove mesi, aveva appena raggiunto la maggiore età (sedici anni), quando moriva
di vaiolo (1730).
ANNA I REGGENTE
DI IVAN VI
A |
Pietro II, succedeva (1730) Anna di Curlandia,
come Anna I, figlia di Ivan V (fratello di Pietro I, v. cit. Viaggio di Pietro I ecc.) vedova di Federico
III Guglielmo, duca di Curlandia, morto (1711) subito dopo il matrimonio (1710),
il quale aveva
adottato il pronipote Ivan (poi Ivan VI), figlio della nipote Anna Leopoldovna (figlia della sorella Caterina), moglie del
duca Antonio-Urlico di Brunswick-Volfenbuttel.
Anna I aveva
come amante l’avventuriero Ernst Johann Bürhen
(o Biren o Biron come si
faceva chiamare per farsi passare per nobile francese, appropriandosi dello
stemma di questa famiglia), figlio di uno scudiero del duca di Curlandia; era
divenuto segretario di Anna e poi suo amante e si era elevato agli onori di
tutte le dignità della Russia; con lo stesso potere dello zar,
aveva a disposizione le casse del
fisco.
Questa
imperatrice aveva il gusto della crudeltà, con inclinazioni alla ferocia e si
era circondata di esseri mostruosi, come storpi, nani e buffoni, anche di alto
lignaggio, che faceva strisciare per terra e mimare spettacoli truculenti, con
parodie di matrimoni e
disgustosi accoppiamenti. Moriva di mal della pietra (ossia di calcoli), nel 1740.
ANNA LEOPOLDOVNA
REGGENTE DI IVAN VI
A |
veva diritto
a succederle Ivan Antonovic come Ivan VI e come suo reggente
era stato designato Biron; ma la reggenza intendeva
assumerla la madre del bambino, Anna Leopoldovna moglie
del principe Antonij von Brunswick, che aveva preso
accordi segreti con il maresciallo di campo Burkhard
Christof von Münnich (1683-1767), il
quale, con l’aiuto di cento granatieri del reggimento Preobrazeschij,
si recava al palazzo di Biron ad arrestarlo; il
giorno seguente Anna fu dichiarata gran
principessa e reggente e il marito e padre di Ivan, principe Brunswick, generalissimo.
Anna però non
era in grado di reggere lo Stato, la sua guida fu presa da Münnich
che era tedesco, con la conseguenza che
*) La
popolazione russa a metà 1700 contava circa 20 mln di anime; nel 1714 ne
contava 13 mln., nel 1796 29 mln. e nel 1815, 30 mln. .
ELISABETTA I
TRA SREGOLATEZZE
E REALIZZAZIONI
PER LO SVILUPPO
DELL’IMPERO
E |
lisabetta
Petrovna (che vediamo nel ritratto piacevolmente piena delle grazie che la moda
consentiva di mettere in mostra quasi fino ai capezzoli, per l’assenza di diete
che all’epoca consentivano ai ricchi di mangiare a sazietà e senza ritegno e le
imperatrici russe di cui stiamo parlando, le vediamo tutte in abbondante
sovrappeso), era la minore (nata nel
1709) delle figlie viventi di Pietro I e Caterina I.
La
sua educazione intellettuale era stata poco accurata: conosceva bene il
francese, farfugliava il tedesco e un poco di svedese, ma per qualche tempo aveva
creduto che si potesse andare in Inghilterra in carrozza; preferiva
intrattenersi con la servitù, partecipando ai preparativi matrimoniali delle
sue ancelle e in compagnia dei soldatti invitati, si
allietava in danze popolari.
Tra
gli amici intimi dava prova dei suoi talenti imitando il contegno e l’andatura
di chicchesia; era legata con tutta l’anima alle vecchie
superstizioni moscovite e seguiva con ingenua pietà i riti della Chiesa
ortodossa e così i gruppi xenofobi e bigotti stesero un velo sui suoi vizi e la
considerarono rappresentante del genuino spirito russo e l’odio nutrito per i
tedeschi era divenuto adesione e simpatia per Elisabetta.
Fu
così che l’ambasciatore di Luigi XV, Jaques Trotti de
Lestocq
infatti la fece acclamare imperatrice (1741) dal reggimento della caserma di Preobrazenskij e quindi, con l’aiuto di trenta granatieri
di questo reggimento Elisdabetta, con Mikael Lazarovich, il conte di Woronsov,
si recava al Palazzo d’Inverno dove si
trovava il piccolo Ivan con la madre Anna, il padre e gli ufficiali fedeli che furono arrestati;
Ivan fu mandato nel castello di Schlusselburg, mentre
Anna e Urlico, considerati usurpatori, furono
relegati sulle coste del mar Bianco; il giorno dopo Lestocq
dichiarava ufficialmente Elisabetta imperatrice, nomina approvata dal Senato
(1741).
Gitermann
(op. cit.) riferisce che dopo la idealizzazione fanatica della epicurea Elisabetta
fatta nelle Memorie dal conte Aleksandr
Vorontsov nella seconda metà del sec. XIX, lo storico Solov’ev aveva cercato di riabilitarla, seguito da Kljucevskij che l’aveva descritta in
maniera benevolmente beffarda, come una dama russa accorta e bonaria, pigra e
capricciosa, disordinata e incolta, avida di sensazioni e di pettegolezzi,
sognatrice e incantatrice: Non c’è da meravigliarsi che con un carattere così
eclettico ed estroverso avesse l’abitudine di cambiarsi d’abito tre-quattro volte
al giorno, da lasciare, alla sua morte, quindicimila costosi vestiti, con
migliaia di scarpe e abbia fatto costruire quel grandioso Palazzo d’Inverno di Pietroburgo, dove erano stati impiegati
trecento kg. di oro per decorare quelle magnifiche sale; per non parlare della sala interamente decorata
d’ambra (ricostruita in quanto il treno che trasportava l’ambra originale era
scomparso durante la 2a guerra mondiale e non
più ritrovato!).
Da
ragazza Elisabetta era esuberante e completamente isolata dalla Corte, si dette
a un abuso così sfrenato dei piaceri sensuali (al limite della ninfomania!) che ebbero il sopravvento
sulle sue doti spirituali, tanto che quando morì Pietro II non si potè pensare alla sua candidatura in quanto, aveveva appena partorito un bastardo e si trovava a letto.
L’amico
del momento era il sergente Aleksej Subin, il quale
finì incarcerato ed esiliato, per aver fatto imprudenti dichiarazioni politiche;
Elisabetta concedeva quindi i suoi favori ad Aleksej Razumovskij, un robusto cantante ucraino figlio di
contadini, al quale per la sua bella voce, conferiva il titolo di conte e di
maresciallo di campo e lo sposava segretamente dandogli, per le libertà che
continuava a prendersi per suo conto, motivo di furiosa gelosia ... fino a morirne (1742).
Per
questa sua sfrenata dissolutezza, il diplomatico prussiano, conte Finkenstein, aveva scritto di lei:”La sua passione dominante è la lussuria; a
questa si dà con impazienza e senza ritegno e si può veramente dire che tanto
le sue virtù, quanto i suoi difetti derivino dalla brama del piacere”; e
poiché Elisabetta era estremamente pigra, aggiungeva: “anche la pigrizia, consueta compagna della lussuria è un tratto
caratteristico di questa principessa”.
La
nuova imperatrice dichiarava di voler continuare la politica del padre e,
nonostante si fossero sottolineati i suoi difetti, nei vent’anni di regno aveva
posto in essere diverse realizzazioni, anche nel campo della cultura, con l’istituzione
dell’Accadmia delle Belle Arti, oltre ad aver dato impulso
a diversi settori dell’industria, commercio (tra l’altro aveva abolito il dazio
interno) e agricoltura; sebbene gli ultimi anni della sua vita fossero stati turbati
da rivolte dei contadini, per aver emanato diversi ukase in favore della nobiltà, che andavano contro i loro interessi
e annullavano provvedimenti presi dal padre in loro favore.
Elisabetta
aveva regnato fino alla morte (1761); sulla malattia da cui era stata
colpita era stato detto soltanto che era infettiva (essendo facilmente intuibile
che si trattasse della nota malattia venerea).
Era
stata considerata “clemente” in
quanto era stata la prima tra tutti i regnanti che, contraria alla pena di
morte, l’aveva fatta ufficialmente abolire (1744); ma questa clemenza era
intrisa – per natura! – di una buona dose di crudeltà e sadismo, come l’imperatrice
Anna I, la sorella che l’aveva preceduta.
Mentre
infatti da una parte aveva graziato ventimila deportati, dall’altra, durante il
suo regno ne erano stati deportati ottantamila (la cifra però secondo Gitermann proviene da fonti non proprio fidate!); e, tra
gli altri, il
generale Münnich era finito nel
carcere che egli stesso aveva costruito per Biron, a Pelim, in Siberia; Münnich
come vedremo, sarà graziato da Pietro III.
Sul
suo sadismo, si raccontava della nobile Natalia Lopouchina
(la famiglia era quella della prima moglie di Pietro I), di abbagliante bellezza, che aveva avuto
l’ardire di presentarsi
a una festa con la stessa pettinatura e gli stessi fiori portati da Elisdabetta; l’imperatrice la costrinse a inginocchiarsi e dopo averle strappato una
rosa con un ciuffo di capelli, le aveva dato due sonori schiaffi.
La
faccenda non finiva lì ed ebbe anche un seguito: Col pretesto che un diplomatico austriaco
frequentasse la casa della signora Lopouchina che
tramava una congiura, Elisabetta fece inscenare un processo e dopo averla fatta
frustare a colpi di knut (la frusta
con stringhe di cuoio) in sua presenza, Natalia fu anche sottoposta con la signora Bestuzeva,
alla tortura dei carboni ardenti e dopo averle fatto strappare la lingua, fu
mandata con tutti i coinvolti nel processo alla deportazione.
Elisabetta
aveva mantenuto
Elisabetta
aveva designato il nipote granduca Pietro di Holstein (poi Pietro III) di origine
e formazione tedesca e grande ammiratore dell’imperatore Federico II; dalle
limitate capacità intellettuali e di carattere capriccioso, Pietro disprezzava apertamente
i russi ed era del tutto indifferente agli interessi nazionali.
Quando
Elisabetta moriva e le succedeva il nipote come Pietro III,
*) La Cancelleria Segreta era stata creata a Pietrobugo nel 1718 e
agiva accanto alla Preobasenskij
prikaz di
Mosca cretata da Pietro il Grande (in tanta
segretezza che non si conosce la data della sua istituzione!); Ivan il Terribile,
primo gran principe di Moscovia ad essere incoronato zar, aveva istituito l’Opricnina (1565) con seimila
agenti, vestiti di nero che circolavano su cavalli neri e avevano impresso
sulla sella come emblema, una testa di cane e una scopa, che simboleggiavano la
loro missione: fiutare il tradimento e
spazzarlo via.
I
tradimenti però erano nella fantasia degli opricniki e dello zar che, come Stalin,
spazzavano via intere città; a Novgorod furono massacrati quasi tutti gli
abitanti (1570) in un’orgia sanguinaria durata cinque settimane, mentre lo zar
alternava il barbaro sadismo dei massacri alla preghiera e al pentimento (Storia
segreta del KGB di C. Andrew e O. Gordievskij,
Rizzoli, 1991); era poi seguita
**)
L’Italia e
Avevamo
seguito il Presidente Putin sin da quando con la caduta del Muro di Berlino
(1989), si erano avvicendati Mikail Gorbacov con
Purtroppo,
con sommo rammarico, abbiamo dovuto constatare che la sperata evoluzione di Putin verso le libertà
democratiche non è avvenuta anche per colpa dell’Occidente, vale a dire della
Nato che lo considerava un nemico e dell’Unione Europea che ha fatto sempre da
ciondolo degli USA e della Nato, che dovevano attrarlo nella compagine
occidentale, vale a dire far entrare la Russia nella Nato e associarla alla
U.E.: questo errore lo ha allontanato dall’Occidente, col risultato che si è
reso un dittatore sanguinario che ha pensato ad accumulare oltre quattromilasettecento testate nucleari, da ditruggere tutto il pianeta, invece di pensare al benessere
della popolazione e accumulando con la corruzione una ricchezza valutata due
mld. di dollari!
Ora,
da ex agente del KGB, e non da zar-autocrate come Pietro il
Grande (come ha detto di essere!), come si rileverà da quanto abbiamo scritto (Viaggio di Pietro il Grande a Parigi e preseenti), era di tutt’altra levatura, pensa solo a
ricostituire l’impero sovietico, a scapito del benessere dei cittadini, che
sono migliorati non più di tanto di come vivevano in epoca sovietica, per
privilegiare gli armamenti e l’esercito, che comunque, è risultato pieno di
falle!
Grande Madre Russia! Quanto ci
sei stata cara quando da giovani seguivamo i romanzi dei tuoi grand scrittori;
ma ora ti vorremmo vedere gestita in maniera un pò
più democratica! Nella prima giovinezza ci siamo nutriti della letteratura
russa e abbiamo conservato tutti i libri nelle famose traduzioni delle edizioni
della Mursia, ora, negli ultimi anni della vita, con i presenti articoli (e in
Specchio dell’Epoca: La formazione dell’antico stato russo), riteniamo di aver chiuso
il percorso!
IL VALORE DEI
CONTADINI
SERVI DELLA GLEBA
ERA INFERIORE
A QUELLO DEI CANI
I |
l
nuovo regime dei Romanov (1613) aveva continuamente peggiorato le condizioni
di vita della popolazione rurale; mentre le prestazioni feudali del XVI sec.
assorbivano un terzo del loro tempo, con la nuova dinastia furono accresciute
alla metà; per di più quando ricorrevano i contratti di affitto veniva
addossato ai contadini l’obbligo di ricostruire gli edifici danneggiati (granai
e altro) e quando il contratto cessava, le opere ricostruite rimanevano al
proprietario, senza obbligo di rimborso delle spese sostenute dall’affittuario.
Il
principe Petr Kopotkin (riferisce
Gitermann) nelle sue “Memorie” racconta che la ricchezza di un proprietario di terre si
misurava col numero delle “anime” che
appartenevano alla terra: tante anime equivalevano a tanti servi della
gleba di sesso maschile che lavoravano la terra, giacché le donne non contavano
(l’imposta sulle anime “podouschni-oklad” era pagata dai soli uomini
in quanto si riteneva che le donne
russe, come in Turchia, fossero senza anima (Aristotele! ndr.); questa imposta fu triplicata da Caterina e Paolo la raddoppiò
ulteriormente; i contadini erano distribuiti in vari villaggi.
Il
numero delle anime cresceva in base ai matrimoni tra i figli e le figlie dei
servi; al padre del principe Petr, il principe
Aleksej Petrovic Kropotkin, era stato fatto notare che il numero delle sue
anime cresceva lentamente; egli recandosi in un villaggio, si fece consegnare
l’elenco degli abitanti da cui prendendo i nomi dei ragazzi che avevano
compiuto diciotto anni e delle ragazze che avevano superato i sedici ne
estrasse cinque coppie e stabilì che si dovevano sposare entro dieci giorni;
questi matrimoni per comando erano una cosa comune, chi voleva evitarli
ricorreva ai battesimi nei quali i giovani che intendevano sposarsi si prestavano
a fare da padrino e madrina in quanto per essi vi era il divieto di matrimonio
da parte della Chiesa, ritenuto
incestuoso.
“Mio padre”, scrive Petr, “che in tre diverse province possedeva quasi
milleduecento anime, oltre ai fondi ereditari relativi ad esse, aveva anche
vaste estensioni di altri terreni che faceva coltivare da questi uomini,
passava per uomo molto ricco” (si può stimare che il principe con
milleduecento schiavi, avesse intorno a millecinquecento ettari; ma vi era il
conte Scheremetoff che di anime ne aveva
centoventimila ndr.).
La
nostra famiglia, prosegue il principe, constava di otto persone, talvolta dieci
o dodici, ma a Mosca non sembrava fosse troppo avere cinquanta domestici e
altri venticinque in campagna; quattro cocchieri per dodici cavalli, tre cuochi
per la mensa signorile e due cuoche per le persone di servizio; una dozzina di
camerieri per servire a tavola; dietro la sedia di ogni commensale ve n’era uno
con un piatto in mano; innumerevoli cameriere erano adibite alle stanze delle
ragazze ed era il meno che si potesse avere.
Per
il sostentamento di tutte queste persone, mio padre all’inizio dell’inverno
scriveva al suo fattore di Nikol’scoe nel
governatorato di Kaluga, distretto di Mesovsk sulla
Sirena...”non appena vi sarà neve sufficiente,
dovrai mandarmi a casa a Mosca venticinque slitte da contadino a due cavalli,
un cavallo da ogni casa e una slitta e un uomo ogni due case e caricarvi x di
avena, x di grano, x di segale e inoltre
tutti i polli, oche e anitre che si dovranno ammazzare questo inverno;
il tutto in buono stato di congelamento e d’imballaggio e sotto la sorveglianza
di un custode adatto” ... e così continuava per un paio di pagine.
Seguiva l’enumerazione delle
punizioni, in cui sarebbe incorso il fattore se i
viveri non giungevano in tempo giusto e ben condizionati.
(Il
contenuto del presente paragrafo è ripreso dalle Fonti della citata Storia
della Russia di Gitermann, come i seguenti).
Molti
padroni consideravano i loro contadini alla stessa stregua del loro bestiame,
anzi li trattavano peggio dei cani; un padrone chiamava il suo servitore “Barbask” (in Russia era il nome usuale dei cani) e sempre
per chiamarlo gli fischiava; è noto che gli allevatori di cani scambiavano
centinaia di schiavi con
un solo cane: si davano via villaggi interi per un solo cane.
Mentre
il valore di una ragazza era di venticinque rubli. I proprietari di piccole
tenute rurali che avevano bisogno di ragazze giovani le comperavano al prezzo
di venticinque rubli ciascuna; molti genitori riscattavano a questo prezzo le
loro figlie per poterle maritare con uomini liberi.
In
quel tempo il proprietario di terre pagava per un levriero giovane fino a
tremila rubli, sicchè questa bestia era stimata centoventi
volte più di una creatura umana, ovvero centoventi giovinette uguagliavano il
valore di un cane (da Ricordi di un ecclesiastico
di villaggio, in cit. Fonti).
“Mi duole e arrossisco dalla vergogna quando non posso fare a
meno di dichiarare per mia esperienza che proprio amministratori tedeschi di
tenute signorili, si permettono spesso le più grandi iniquità contro i servi
della gleba loro affidati: spesso molti di questi levavano amare lagnanze
contro la condotta severa e spietata di quei fattori e ne avevano fondati
motivi; ciò potrà apparire strano a qualche filantropo tedesco, eppure è così.”
Per questo i nobili russi preferivano assumere come amministratori dei loro
beni dei “livoniani”, perché questi
sapevano usare una durezza sistematica. (A.Z. in cit.Fonti).
La
fustigazione prevista per i servi della gleba, era prevista come punizione dalla
legge e applicata dal giudice in seguito a una querela, e avveniva con il knut: In un villaggio, dopo che tre servi
erano stati sferzati col knut e si
stava per castigare altri due, tutti gli astanti che erano stati chiamati per
ordine della polizia perché assistessero alla flagellazione, e così pure il
popolo che si era adunato, cominciarono a gridare che si spargeva sangue per
nulla e che l’ukaze
non era stato letto in pubblico. Quando il carnefice ebbe veduto ciò, aveva gettato il
flagello a terra, dicendo chiaro al giudice:”Castiga tu stesso”. Anche i soldati abbassarono i fucili;
ma il giudice comandò al commissario di polizia eletto dai contadini di un
villaggio vicino, di continuare il castigo.
Ma,
a fronte di tante malvagità, vi era chi riteneva che: - “La sorte dei servi della gleba nella loro esistenza individuale non è
affatto disgraziata, anche se da ignari, è descritta con le tinte più fosche,
mentre in generale i servi della gleba stessi non sentono affatto di condurre
una triste esistenza”.
Coloro
che al pari di me hanno avuto occasione di sentire i servi della gleba parlare
e giudicare, acquisterebbero su tale argomento vedute del tutto diverse da
quelle di prima. Ho assistito a casi in cui i servi della gleba rifiutavano la
libertà loro offerta e respingevano le lettere di emancipazione .... Uomini
addetti ad una corte rurale, vengono liberati per punizione ... La condizione
dei servi della gleba non è affatto triste ed è perciò un errore imperdonabile
giudicare così aspramente la servitù della gleba (Adolph Zando
in cit. Fonti).
Più
volte osservai che gli affrancati si recavano dai loro ex proprietari e li
pregavano umilmente di riprenderli in qualità di servi della gleba (*). E’ vero che alcuni di essi erano vecchi e malaticci e non
avevano di che nutrirsi e approvigionarsi. Questa
gente sopporta ordinariamente la più dura oppressione senza mormorare, al che
forse contribuiscono più che altro la loro convinzione di un destino
inevitabile e la loro leggerezza. Tuttavia questo non
è il caso di tutti; molti fuggono dai padroni quando la loro presenza è messa a
dura prova; altri pensano a vendicarsi (Wikelhausen
cit. F.).
La
metà dei proprietari fondiari che vengono uccisi dai loro servi, fanno questa
fine a causa delle loro bravate erotiche; il contadino sa che la giustizia se
ne infischia delle sue querele, ma ha la sua scure e la maneggia con destrezza
(Aleksandr Erzen in cit. Fonti).
Delle
sferzate se ne faceva largo uso durante il servizio militare che era terribile.
Durava venticinque anni e la vita del soldato era faticosissima, significava
esser lontani da casa e sottoposti all’arbitrio degli ufficiali; al minimo
sbaglio si era colpiti con pugni o con vergate o bastonate, con una ferocia che
superava ogni immaginazione; ciò avveniva anche nel corpo dei cadetti che erano
i figli dei nobili; alle volte per il motivo di una sigaretta si appioppavano
mille vergate al cospetto di tutto il corpo e il medico che stava vicino al
corpo del ragazzo, ordinava la cessazione del castigo quando sentiva che il
polso minacciava di fermarsi del tutto e la vittima insanguinata veniva
trasportata all’ospedale.
Era
ancora peggio per i soldati comuni: si disponevano mille uomini su due file di
fronte l’una all’altra, ognuno munito di una verga dello spessore di un mignolo
chiamata in tedesco “Spiessrute”
(verga-spiedo); il condannato era trascinato tre-quattro-cinque volte tra le
due file e riceveva una sferzata da ogni soldato; sottufficiali andavano in
mezzo per controllare che esse fossero date con tutta forza; dopo mille,
duemila colpi la vittima, sanguinante veniva portata all’ospedale; se lo svenurato moriva sotto le vergate, i colpi mancanti si
davano al cadavere (Memorie del
principe Kropotkin)!
Nel
1790 fu pubblicato il libro “Viaggio da
Pietroburgo a Mosca” di Aleksandr Radiscev in cui
l’autore faceva un appassionato appello contro l’autocrazia e la servitù della
gleba e sviluppava
l’idea della necessità e legittimità di una rivoluzione dei cotadini verso i quali Radiscev
mostrava le sue simpatie; il libro suscitò le ire di Caterina e il tribunale lo
condannò allo squartamento; Caterina in nome dei suoi principi di monarca
illuminata convertì la pena in
deportazione.
La
schiavitù della gleba fu abolita nel 1861 da Alessandro II e furono liberati
intorno a 40milioni di contadini; da quanto riferisce il principe Kropotkin fu
per i proprietari anche un affare in quanto il padre, dall’affitto della terra
ai comtadini prendeva il doppio di quanto prendeva
quando la terra era lavorata dai servi della gleba, ciò che aveva dato un forte
impulso allo sviluppo del Paese: si costuirono
infatti ferrovie, la nobiltà affollava le banche private appena sorte, per
assumere ipoteche; nuovi avvocati e notai acquistarono grandi entrate, le
società per azioni si moltiplicarono; persone che erano vissute in campagna con
un centinaio di servi della gleba, giunsero
ad avere patrimoni e rendite che
un tempo avevano potuto avere soltanto i magnati terrieri.
*)
Ciò che è successo in Russia dopo la fine dell’URSS, dove quelli che sono
vissuti durante il periodo sovietico hanno rimpianto quel periodo!
MENTRE PIETRO III
GIOCA CON I
SOLDATINI
CATERINA
SI PREPARA A
PRENDERE LE REDINI
DELL’IMPERO
E |
lisabetta
quando era granduchessa, era fidanzata con il principe d’Holstein-Huttin, vescovo titolare di Lubecca, il quale sposandola,
probabilmente l’avrebe riscattata dalla sua vita
licenziosa; ma il principe moriva di vaiolo alla vigilia del loro matrimonio,
lasciando Elisabetta al suo destino.
Divenuta
imperatrice, Elisabetta per dare ordine alla successione, aveva fatto venire a
Corte il figlio della sorella Anna Petrovna, il
quattordicenne duca Karl Peter Urlic di Holstein designandolo
come suo successore.
Il ragazzo, era
orfano e scarso di doti di corpo e di spirito, per di più nella sua patria prussiana
aveva subito le angherìe del suo crudele istitutore Brümmer che per
punizione lo frustava a sangue, lo legava al letto, gli toglieva i pasti, lo ingiuriava
nella maniera più villana; Brümmer lo aveva
accompagnato alla Corte di Elisabetta e gli inculcava il più profondo disprezzo
per
Elisabetta, allibita per la mancanza di conoscvenze
del ragazzo, licenzò Brümmer e lo sostituì con l’accademico tedesco Jacob von Stählin il quale, resosi conto delle deficenze
dell’allievo, incapace di capire cose astratte, cercò di utilizzare un metodo
più adatto alle sue capacità, divertenti e intuitive.
Ma tutti i tentativi di familiarizzarlo
con la lingua e la religione russa fallirono; il ragazzo raggiunti i diciassette
anni, scosso da diverse malattie era mentalmente immaturo.
Era invece entusiasta di Federico di Prussia il Grande e giocava
con i soldatini di legno e di piombo e con la uniforme di gala di generale, con
la servitù di Corte in uniforme, nella sua stanza, si esercitava con i
soldatini e con delle cordicelle si simulavano gli spari di fucili: un ratto
aveva osato mangiargli due soldatini di farina, il ratto fu processato e
impiccato seguendo tutta la procedura legale.
Le sue osservazioni e ordini ferivano i russi e Pietro si era
attirato l’odio generale; Elisabetta, disperata nel vedere a chi sarebbe
toccata la sua corona, decise di farlo sposare e aveva invitato a Corte la principessa d’Anhalt Holstein, sorella del
suo fidanzato deceduto, principe di Holstein, con la figlia Sophie-Augusta
Friedericke von Anhalt-Zerbst, accompagnando l’invito con la somma di diecimila rubli, per le
spese di viaggio.
Sophie aveva sedici anni
(nata nel 1729), piccola di statura, aveva gli occhi
che in base ai riflessi andavano dallo champagne
al blu, e aveva bei capelli e bei
denti e l’abitudine di portare la testa alta, per correggere la sua statura,
che le dava un bel portamento. Pietro dopo
pochi giorni le fece subito capire che non gli piaceva e l’avrebbe sposata solo
perché lo desiderava l’imperatrice.
Sophie aveva
avuto una istitutrice francese e, abituata a leggere molto e con intelligenza, era
già intellettualmente matura e preparata per affrontare i disagi che le creava
il futuro sposo, pur di diventare un giorno imperatrice; si adoperò in modo da
conciliarsi le simpatie dell’imperatrice e dei russi che frequentavano il
palazzo, attenta all’effetto che produceva il suo fare o non fare, come si
comporterà quando diventerà imperatrice.
Si era impegnata
a studiare il russo e pur conservando l’accento straniero, si accorse che nel pronunciare epressioni russe caratteristiche, faceva buona impressione
sugli ascoltatori: così la piccola Sophie imparava a recitare ed era accorta ad
osservarne gli effetti che produceva!
Durante
i preparativi delle nozze i due sposi andarono in pellegrinaggio a Kiev e al
ritorno Pietro ebbe un attacco di vaiolo che lo rese contraffatto e disgustoso;
Sophie di fronte a questa terribile metamorfosi quando lo vide dopo la malatia, ne era rimasta colpita e inorridita, ma salvò le
apparenze abbracciandolo; tornata nel suo appartamento prima di riprendere i
sensi, rimase per tre ore tramortita; ciò però non le impedì di accettare le
nozze.
Pietro
a sua volta con questo cambiamento fisico ne fu tanto scosso da non riprendersi
ed egli stesso preso da avversione, con Sophie si comportava freddamente;
ambedue per un certo periodo riuscirono a salvare le apparenz;
cessata la dissimulazione, tra i due giovani sposi subentrò l’indifferenza, che
non sfuggì agli occhi dei cortigiani. L’imperatrice aveva dato al granduca il
palazzo di Oranienbaum che era appartenuto a Mensikov e che durante la bella stagione gli permetteva di
lasciare Pietroburgo dove viveva come un prigioniero di Stato, piuttosto che
come erede al trono.
Sophie si era
improvvisamente e gravemente ammalata e la madre voleva chiamare un pastore
luterano, ma lei, luterana, chiese un prete greco-ortodosso e così avvenne la sua
conversione e sposando Pietro (1745) prese il nome di Caterina Andreevna. Con il matrimonio i due seguivano le proprie
occupazioni; mentre Pietro si tratteneva in compagnia dei suoi cortigiani e
servitori tedeschi per giocare con i soldatini, Caterina sviluppava il suo intelletto
leggendo Plutarco, le opere di Montesquieu e Voltaire e seguendo l’Enciclopedie che si pubblicava in Francia, volume
per volume, arricchendo il suo sapere con il “Dictionaire historique et critique”
di Bayle, da essere poi in grado di mantenere la corrispondenza con gli Enciclopedisti
francesi e di scrivere le Istruzioni (*) - non curandosi dei maltrattamenti
dello sposo che la minacciava e probabilmente la picchiava.
Lei interrompeva
gli studi con intere giornate passate a cavallo e a caccia di anitre ... e dopo otto anni di casto matrimonio (era
ancora granduchessa), scopriva i piaceri del sesso ai quali la iniziava il
distinto ciambellano di Corte (unico degli amanti di Caterina appartenente a
famiglia di vecchia nobiltà), Serghiei Vasil’evic Soltykov (come raccontano storici, riferisce Gitermann, che non avevano niente di più serio da
indagare; e noi, a cui,
più delle guerre, piace l’accentuata sensualità delle donne di potere, per non
essere accomunati a costoro, lo scriviamo tra parentesi;
ne avevano contati ventuno, dei quali indicheremo solo quelli
che emergeranno dagli avvenimenti ai quali faremo riferimento).
Caterina
quando aveva iniziato il suo rapporto con Soltykov
era vergine e non faceva ricorso ad alcuna precauzione; il motivo della sua
verginità era dovuto a una imperfezione sessuale del granduca; egli si era dato agli eccessi
della tavola e una sera che tra commensali si parlava dei piaceri del sesso,
Pietro surriscaldato dal vino si era lamentato
di non poterli godere in quanto lo affliggeva un difetto che gli dava dolore e
gli impediva il rapporto.
Sergej Soltykov, a tavola con gli altri intimi, gli suggeriva di
ricorrere all’intervento praticato dagli ebrei (la circoncisione) che gli
avrebbe permesso di provare il piacere che provavano loro: ma il granduca
mostrò una certa ripugnanza; i commensali appoggiavano Soltykov
e una sera che Pietro aveva ecceduto nel bere e si era assopito essi ripresero l’argomento sui piaceri dell’amore e il granduca che li
aveva sentiti, si rammaricava di non poter provare quello stesso piacere; allora,
tutti i commensali si gettarono in ginocchio e lo scongiurarono di seguire il
consiglio di Soltykov; Pietro sembrava scosso e
pronunciò qualche parola di assenso; i cortigiani avevano preparato ogni cosa (compresa
l’approvazione della zarina Elisabetta, informata di tutto) e fecero emtrare il famoso medico Boerhave
con un abile chirurgo che eseguì l’intervento ben riuscito; Elisabetta
informata, ne fu tanto soddisfatta da regalare a Soltykow
un magnifico diamante.
I cortigiani
maligni incominciarono a subodorare qualcosa sul rapporto di Soltykow e Caterina che a fine estate di quell’anno (1754),
nel mese di ottobre, partoriva il figlio Paolo, la cui patenità era
da attrìbuire a Soltykov e
tutti i dubbi avanzati da qualche
storico non potevano essere che infondati.
Per di più,
la zarina Elisabetta che aveva capito come stavano le cose, pur essendo, come abbiamo
visto, per proprio conto piuttosto dissoluta, era rigida sulla morale che gli
altri dovevano osservare, provvide subito a mandar via dalla corte Soltykov mandandolo in missione diplomatica a Stoccolma e
quando stava per rientare a Pietroburgo, mandava un corriere,
con l’ordine di recarsi ad Amburgo come ministro plenipotenziario.
IL c.d. “CODICE” OVVERO “ISTRUZIONI PER IL CODICE”
*) Caterina aveva
avuto una abbondante produzione letteraria; aveva infatti scritto numerose opere drammatiche,
articoli, riviste, schizzi satirici, racconti morali, drammi storici, ricerche
storiche, oltre alla brillante corrispondenza con un notevole numero di
personaggi russi e stranieri e alla
notevole attività legislativa.
Il
problema di un “Codice” era emerso in
quanto (D’Abrantes): I giudici non erano pagati e
commettevano ogni sorta di vessazioni; essi inventavano dei crimini, creando
dei colpevoli per ottenere le loro spoglie e trattare il prezzo del loro sangue;
l'imperatrice mise ordine in questa parte della amministrazione dell'impero; i
giudici furono pagati, il loro avvenire assicurato.
Caterina
emanava un ukase per regolare i loro
diritti, contenente le Instructions-Itruzioni di un Codice, scritto
in francese e stampato in ventimila copie (è ben strano che la Biblioteque Nationale de France
ne sia sfornita!) e distribuito in Europa con il plauso di Voltaire, D'Alambert e Diderot, ma, secondo altri (D’Abrantes) “questo Codice
è una assurda compilazione, un bizzarro assemblaggio di idee filosofiche e
nessun risultato che possa efficacemente servire alla vera gloria dell'impero”.
In esso
Caterina riportava brani dell’ ”Esprit des lois” di Montesquieau (che chiamava il suo libro di preghiere), “Dei
delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, delle “Istitutions politiques” di Jakob Friederik
von Bielfield, il “De jus natura et gentium”
di Samuel von Pufendorf, il “De jure bellis et pacis” di Grozio.
Lei era ben
consapevole che solo una piccola parte potesse passare come prodotto del suo pensiero e per questo scribveva a D’Alambert “Io, per il bene del mio impero, abbia
saccheggiato il presidente Montesquieu, senza nominarlo. Se egli dall’altro
mondo vede il mio lavoro, spero che mi vorrà perdonare questo plagio, in
considerazione del beneficio che ne verrà a venti milioni di uomini. Egli amò
tanto l’umanità, che non giudicherà meschinamente. La sua opera è il mio libro
di preghiere”.
Queste altre
“Instructions” (trovate presso la Biblioteque
National de France) erano per l’educazione dei due nipoti, Alessandro e
Costantino, più esattamente: “Instructions de S.M. l’imperatrice Catherine II a son altesse le marechal prince de Soltykoff chargé par elle de présidre à l’educatione des gran-duchs Alexandre et Constatin. Il
testo stampaato da Neulan
nel 1821 porta: Accompagné de plusieurs piéces y relatives et d’une esquisse sur la vie du prince Nicolas Soltykoff”),
PRIMI AMANTI DI
CATERINA E
OSSERVAZIONI SU
POTEMKIN
M |
andato
via Soltykov dalla Corte, Caterina non si perdette
d’animo e lo sostituì con l’elegante conte Stanislav Poniatowski
(*), appena giunto a Pietroburgo (1755), al quale in seguito Caterina, divenuta
imperatrice gli assegnerà il trono di Polonia (*), che Stanislav perdette per
incapacità; come amante fu sostituito da Gregorj Orloff al quale fu associato, nelle funzioni particolari, il fratello Alexis.
A sessantadue
anni Caterina non aveva perso la sua carica erotica e il suo ultimo amante era
stato Platon Zoubov di
venticinque anni che lei amava trattare come un figlio e gli si era attaccata
quasi morbosamente; costui era piuttosto evoluto nelle pratiche sessuali e
aveva coinvolto due suoi amici, Valerien e un altro
giovane Soltykov, Pierre, i quali le avevano rinnovato le festicciole
orgiastiche in ricordo di quelle che l’imperatrice aveva avuto ai tempi dei
fratelli Orlov (Masson).
Caterina per questi amanti-favoriti, aveva fissato delle regole: Infatti, dopo che l’imperatrice
aveva fatto la sua scelta, il favorito era subito creato aiutante di campo generale, in modo da poterla accompagnare
dappertutto e gli veniva assegnato un appartamento che si trovava sotto quello
dell’imperatrice, comunicante col suo per mezzo di una scalinata nascosta.
Il
primo giorno della presa in servizio il favorito riceveva un regalo di
centomila rubli e ogni mese ne trovava dodicimila sulla sua toilette. Il
maresciallo della Corte era incaricato di tener pronta una tavola con ventiquattro coperti e
provvedere a tutte le spese correnti del favorito, il quale era obbligato ad
accompagnarla dappertutto; egli non poteva uscire dal palazzo senza chiedere il
permesso; né poteva avere rapporti con altre donne all’infuori di Caterina e se
andava a cena da qualcuno dei suoi amici, la padrona non poteva rimanere in
casa e doveva andar via.
Queste
storie amorose avevano inizio con una cena; quando Caterina posava i suoi occhi
su qualcuno, questo era invitato a cena; dalla conversazione Caterina capiva se
fosse all’altezza della situazione e di ciò era avvertita la confidente del
momento che comunicava il responso.
Una
volta fatta la scelta la mattina seguente il favorito riceveva la visita del
medico di Corte che accertava il suo stato di salute; dopo questa visita egli
accompagnava l’imperatrice all’Ermitage
dove prendeva possesso dell’appartamento (Castera ,Vie de Catherine, Paris 1797).
Queste
formalità ebbero inizio con Potemkin, e da quel momento furono sempre
osservate: quando la storia finiva, il favorito riceveva l’ordine di fare un
viaggio con lindicazione della destinazione; nel
posto in cui si recava trovava ricompense degne dell’imperatrice.
Tra
i tanti amanti avuti da Caterina, Grigorij Alexksandrovic
Potemkin (1739-1791), il quinto, era probabilmente l’unico che lei avesse
amato; egli aveva tutto nelle sue mani:
Non
possiamo nascondere che personaggi di questo livello lasciano allibiti chi si
trova a descriverli, per la forte personalità da cui erano avvolti, che li rendeva eccezionali e
straordinari; e noi nella modestia del nostro essere, ne rimaniamo incamtati e affascinati.
Sono
questi i personaggi che servendo i loro monarchi, fortunati per averli avuti
per servirli, pensiamo a un Carlomagno, a Luigi XIV, a Elisabetta d’Inghilterra
e alla stessa Caterina II, mentre non mettiamo nel novero Pietro il Grande che era stato una
eccezione ... per aver oscurato i suoi collaboratori facendo tutto da sè, ma aveva avuto dei buoni esecutori che realizzavano le
sue idee (ndr.).
Di
Potemkin il principe di Ligne (riferisce Capefigue) aveva detto che: Sono personaggi che alla loro morte sono difficili da rimpiazzare per
la loro bella e facile intelligenza, il genio della Russia: Qual’è
dunque la loro magia? La genialità, lo spirito naturale, una memoria
eccellente, l’elevazione della loro anima, della malizia senza cattiveria,
della scaltrezza senza astuzia, una grande generosità nelle ricompense, molto
tatto, il talento nell’intuizione … e chi lo può sapere; e infine una perfetta
conoscenza degli uomini. Si può dire che alla sua morte Caterina aveva perso
qualcosa del suo prestigio e della sua grandezza. Potemkin era stato l’uomo della ambizioni della Russia del XVIII secolo.
Uno
degli inconvenienti era costituito dai bagagli che i nobili ufficiali trasportavano
per le loro comodità, che appesantivano e rallentavano notevolmente i movimenti
dell’esercito: si trattava di migliaia di carri, il maresciallo Stepan Apraskin con un esercito
di 83mila uomini, portava dietro un carico di seimila carri (questa cifra era di poco superiore alla norma che
era di cinquemila carri dell’esercito di Carlo XII di Svezia) e il suo
successore V.V. Fermor, con un esercito più piccolo
ne contava trentamila (cifra
ripetutamente controllata! ndr.), con enormi
problemi di foraggio per i cavalli (il loro numero doveva essere sproporzionato
se per i carri si contano un cavallo per carro se non erano due! ndr.), ai quali erano da aggiungere quelli
dei soldati che ne avevano due, di cui
uno di riserva.
All’esercito
si aggingeva la partecipazione dei liberi cosacchi (che avevano
il loro comando Siec e la scuola di guerra nell’isola di Choritza,
in territorio ucraino, ma cambiava spesso sede), i quali ricevevano un soldo mensile di dieci
rubli e per antica tradizione eleggevano i loro comandanti (il Consiglio dei
Capi costituiva il Rada), per i loro ardimentosi attacchi, per le devastazioni
e la loro ferocia godevano presso i nemici di una spaventosa reputazione.
*) Poniatoski
veniva eletto re nella Dieta tenutasi
a Varsavia (1764) prendendo il nome di Stefano-Augusto, ma il suo regno fu
contrassegnato da rivolte e da un tentativo di assasinio
in quanto egli in Polonia voleva porre in essere la tolleranza con le altre due
relogioni, l’ortodossa e la protestante, volendo fosse
concessa libertà di culto ai non cristiani e che fpssero
ammessi a ricoprire cariche pubbliche, come gli altri cittadini cristian. I rivoltosi si riunirono in una Confederazione,
commettendo ogni sorta di crudeltà; il re Stefano e il Senato si rivolsero alla
imperatrice Caterina che mandò l’esercito e fu ristabilito l’ordine; ma vi fu
un seguito in quanto i rivoltosi (cattolici) si rivolsero alla Porta a
Costantinopoli lamentando che
Da Poniatovski Caterina aveva avuto una a bambina, Anna
(1764), morta appena nata.
.
.
Illustrazione
di A. M. Gherasimov
I COSACCHI
NELLA DESCRIZONE DI
NIKOLAI GOGOL
I |
l
libro di Nikolai Gogol, “Taras Bul’ba” (illustrato della Mondatori dal quale abbiamo preso,
la riproduzione che pubblichiamo, – Ed. 1959), dedicato ai cosacchi (*), più
che romanzo è considerato un poema epico (Giorgio Kraisky)
dal quale abbiamo preso la descrizione che ne fa Gogol.
Gogol
racconta che abitavano la parte
meridionale della Russia devastata dalle incurrsioni dei
mongoli del XVmo secolo contro i quali una fiammata violenta aveva
investito lo spirito slavo dei vecchi tempi e si era formato il cosacchismo, quel
vasto, irresistibile slancio della natura russa, che aveva creato i cosacchi, che
si erano stanziati sulle piagge scoscese lungo i corsi dei fiumi (Don e Dniepr); Saporag era il
loro Stato franco e libera repubblica militare che i cosacchi avevano creato al
di là delle rapide del Dniepr; il loro numero non si
conosceva e quando il sultano turco voleva sapere quanti fossero, gli fu
risposto: “Chi lo sa, da noi sono sparsi
su tutte le steppe – sc’to bajrak to kosak – ovunque sia un piccolo rialzo di terreno, c’è un cosacco”.
“Dio vi conceda” (nei cosacchi, come nei contadini russi era molto accentuato
il senso religioso ndr)
“di essere sempre fortunati, che possiate
battere gli infedeli, battere i turchi e battere i tatari (**); e quamdo i ljachi (momignolo spregiativo con cui si designavano i polacchi) cominciassero a fare qualcosa contro la
fede, battere anche i ljachi”.
Erano
sotto il comando degli ataman, e
seelti tra gli stessi cosacchi che trasformavano
i campi trincerati e le borgate di capanne in reggimenti e regolari circoscrizioni
militari.
Non
era un corpo di esercito permanente, ma in caso di guerra, riscuotendo dal re
solo un ducato di soldo, in due settimane si adunava un tale contingente di
truppe, quale non sarebbe stato in grado di raccogliere qualsiasi reclutamento
di leva.
Finita
la spedizione, il guerriero si ritirava nei campi, nei prati e nei valichi del Dniepr, dedicandosi alla pesca, al commercio; fabbricava birra
ed era libero cosacco. Non c’era un mestiere che un cosacco non conoscesse;
distillare l’acquavite, allestire un barroccio, fabbricare la polvere per un
fucile, impiantare un’officina di magnano
(fabbro) o da falegnamee per giunta scorazzare alla impazzata, bere e cioncare era per
lui un fardello leggero.
Oltre
ai cosacchi iscritti al servizio che si consideravano obbligati a presentarsi
in tempo di guerra, era possibile, in qualsiasi tempo e in caso di necessità,
raccogliere intere masse di cavalleria volontaria, bastava che gli esaul (capitani cosacchi) andassero per
mercati e per piazze di tutti i borghi, villaggi, e gridassero “Olà, voi altri, ,
birrai, acquavitai! Basta a cuocere la birra e dondolarvi attorno alla stufa e
nutrire le mosche col vostro corpo ingrassato! Avanti a guadagnarvi la gloria
dei cavalierie, l’onore. Voi aratori, mietitori di
granturco, pastori di pecore, donanioli! Basta andar
dietro all’aratro e imbrattarvi di terra gli stivali gialli e stare attorno
alle donne e perdere la vostra forza cavalleresca! E’ tempo di
acquistare la gloria dei cosacchi”. E questa parole
erano scintille cadute su un pezzo di legno secco. L’aratore rompeva il suo
aratro, i fabbricanti di birra e di acquavite fracassavano i caratelli,
l’artigiano e il mercante mandavano al diavolo il mestiere e la bottega,
rompevano in casa le pentole e a qualunque costo montavano a cavallo: in una
parola il carattere russo ebbe in quel tempo un potente e largo slancio, una
grande vigorosa espressione.
Il
comando era afffidato al voivoda (governatore e capo delle truppe). Tra i cosacchi si
distinguevano i saporigini che erano i giovani che non ancora
avevano ricevuto il battesimo di fuoco.
Allora
tutto il Mezzogiorno era una distesa che si estendeva fino al Mar Nero (Nuova
Russia); era tutta una terra vergine, verde, dalla vegetazione selvaggia, non
segnata dall’aratro; soltanto i cavalli, nascondendosi in essa come in una
selva, la calpestavano: non poteva esistere in natura niente di più bello,
tutta la superficie della terra si presentava come un oceano verde oro in cui sprizzzavano milioni di fiori variopinti:- Che il
diavolo vi porti, o steppe, come siete belle!
L’omicidio
tra i cosacchi era punito seppellendo vivo in una fossa l’omicida e sopra di lui si metteva la
bara con l’ucciso. Fin qui la descrizione di Gogol.
I
cosacchi erano probabilmente i resti mescolati di popolazioni che avevano
occupato i vasti territori tra il Volga, il Tanais
(Don) e il Mar Nero e il Borysthene (Dniepr), popolaaioni conosciute
negli annali moscoviti come khosari e peceneghi,
eterni nemici dei principi di Kiev (l’antica capitale della Russia e questa
inizialmente limitata alla Ucraina stessa in seguito considerata Piccola Russia),
comunque di origine slava.
Batti-khan
e i mongoli li massacrarono al loro passaggio, tuttavia quelli che rimasero si
mescolarono ai tatari verso il XIII secolo e condivisero le sorti dei russi
asserviti dagli stessi conquistatori e senza dubbio durante questa lunga e
crudele epoca familiarizzarono con la lingua russo-slava; dopo l’espulsione dei mongoli di cui avevano assorbito
molte delle loro abitudini, rimasero nelle steppe creando una specie di repubblica
democratica e militare che formò una
barriera tra
Verso
la fine del ‘600 i cosacchi ucraini riconobbero la sovranità della Polonia e i
cosacchi del Don-Tanais e quelli delle tribù che
abitavano la riva destra del Borysthene-Dniepr si
sottomisero alla Russia, quelli del Volga e dello Yaik
rimasero ancora liberi. (C.F.P. Masson, Memoires sécrétes
sur
I
cosacchi erano davvero tanti e prendevano il nome dai vari territori che
occupavano; su di loro ebbero influenza i re polacchi in quanto la nobiltà
polacca nella quale era diffuso un lusso sontuoso, assumeva come cacciatori e
falconieri i cosacchi russi che abituandosi al modo di vivere dei loro padroni,
disgustavano i loro commilitoni che li consideravano “valletti dei signori polacchi”.
Quando
i polacchi vollero ridurre in servitù i cosaccchi
dell’Ucraina, essi abbandonarono il paese e si recarono in un posto isolato
nella contrada delle cateratte del Borysthene-Dniepr che
fu denominato “Setcha” e presero il nome di “Zaporoski” o “Zaporavi”, comandati da un “atman”;
le loro case erano con le porte senza chiavi in quanto i ladri finivano
attaccati a un palo con un fiasco di
acquavite e una mazza e chiunque passasse beneva un
poco di quel liquore e ne dava anche al ladro, ma poi lo colpiva anche con un
colpo di mazza; il castigo durava fino alla restituzione del furto; alle punizioni
provvedevano i magistrati nominati in assemblea.
Inizialmente
i cosacchi vivevano di caccia e pesca e costituivano una barriera contro i
tatari della Crimea, ma quando incominciarono a coltivare i campi di cui si
appropriavano e i russi si lamentavano che gli toglievano la terra, furono
mandati dei commissari per esaminare la questioe, dando
ragione ai russi.
I
cosacchi quindi, mandarono una delegazione
all’imperatrice Caterina, a capo della quale era un vecchio di settant’anni il
quale le disse: - “Madre; veniamo a
chiederti giustizia; alcuni dei tuoi sudditi vogliono toglierci la terra che
coltiviamo, considera che possiamo unirci ai tatari nostri fratelli”; l’imperatrice
che aveva bisogno di loro, rispose che potevano contare sulla sua giustizia.
Ma
qualche tempo dopo, essendo scoppiata la guerra tra russi e turchi e dovendo le truppe russe
recarsi in Crimea, essendo prive di mezzi di trasporto e di viveri, credettero
di poterli esigere dai cosacchi e si rivolsero0 all’atman che si dicceva possedesse centomila
cavalli di razza tatara e turca e due milioni di rubli, il quale rifiutò sia i
cavalli che il denaro.
L’atman fu arrestato come ribelle che
aveva intelligenza con
i tatari del Kuban e con i cosacchi che sostenevano Pugascev (che si faceva passare per Pietro III, v. sotto);
per questo motivo i cosacchi Zaporavi si rivoltarono contro i russi e mandarono una deputazione
da Caterina, la quale, avendo bisogno di loro, non prese nessun porovvedimento punitivo; ma, finita la guerra, fu mandato
l’esercito con il generale Tekeli che si impadroniva della
Setcha e la distruggeva
(1774).
Nei
paragrafi seguenti parliamoo di alcuni
dei grandi capi cosacchi e delle
loro ribellioni.
*) Taras Bul’ba aveva
partecipato con altri capi cosacchi ucraini del Don, come Kosinskij,
Nalivaij ed altri, alle ribellioni contro i polacchi;
la causa del conflito era determinata dalla
circostanza che gli aristocratici polacchi o russi polonizzati,
praticvano una politica di colonizzazione per piegare
la resistenza della martoriata popolazione ucraina, sotto il giogo della
servitù della gleba e di mungerla finanziariamente; una parte dei cosacchi
oppose resistenza a questi tentativi di
asservimento; altri si arruolavano come mercenari dei polacchi e ricevendo
terre in beneficio, si allontanavano dalle tradizioni cosacche.
I
polacchi, per non attirare su di sé l’odio degli oppressi, si servivano di
amministratori ebrei dai quali facevano risuotere le
imposte o tributi e i diritti ecclesiastici.
Nel
1638 truppe polacche inflissero ai cosacchi una grave sconfitta; dopo aver occupato
il paese e soppressa la loro autonomia, un gran numero di essi furono mandati
al patibolo e quelli che rimasero furono ridotti a una misera esistenza.
**) Il nome era “tataro”
ma gli occidentali li identificavano con i diavoli infernali del Tartaro
e li chiamavano “tartari”.
LE RIBERLLIONI
DEI CAPI COSACCHI:
STEPANOVIC MAZEPPA
(nella
trascrizione dei termini e
nomi russi si sono
usate
le lettere dell’alfabeto italiano senza i vari accenti )
L |
a
storia di Ivan Stepanovic Mazeppa o Mazepa, (1639/1645-1709?),
era stata così originale da essere divenuta leggendaria e aver ispirato opere
letterarie (Byron, e Victor Hugo), drammi (Juliusz Slowacki e Poltava di Puskin) e musicali (Chaikoskj
e Listz con critica al suo poema sinfonico da parte di Debussy: si veda il
prezioso Dizionario delle Opere di Bompiani).
La
leggenda era nata dal fatto che Mazeppa, giovane e
bello, aveva successo con le donne e tra le sue avventure amorose era incappato
in un marito geloso che si era vendicato facendolo denudare e, legato su un
cavallo indomito, lo aveva lasciato correrere all’impazzata
per la campagna; Mazeppa fu trovato mezzo morto dai
cosacchi che lo portarono in Ucraina dove lo curarono e lui una volta guarito,
rimase con loro.
Secondo
gli usi del tempo, i figli dei nobili facevano i paggi presso
Tralasciando
altre storie di seduzione come quella della moglie del voivoda, marito geloso
di Amelia, che doveva sopportare l’amore del figliastro (che si era scontrato in un duello con Mazeppa), nei confronti della matrigna; di Amelia se n’era
innamorato anche il re; Mazeppa aveva saputo che il
re voleva rapirla e volendo mandare a monte il rapimento, si era nascosto
nell’alcova; sorpreso dal voivoda che lo riteneva amante della moglie, gli
costruiva intorno un muro, seppellendolo vivo ... ma sarà il re a liberarlo e il
voivoda per punizione è condannato ad esser legato su un cavallo infuriato che lo
ridurrà in fin di vita.
Mazeppa,
stando con in cosacchi, era divenuto aiutante di campo dell’atman Ivan Samoilovitz
e quando questo fu deposto e mandato a Mosca per tradimento, i cosacchi lo elessero
atman.
Mazeppa aveva una segreta avversione per Pietro I di
Russia e molta stima per Carlo XII di Svezia e per vent’anni aveva dissimulato questi suoi sentimenti pur
avendo ricevuto da Pietro I,
Egli
aspettava comunque l’occasione favorevole per rendersi indipendente; era
generoso di liberalità verso
i suoi e molto religioso, provvedeva alla fondazione di chiese.
Aveva
accordi segreti con il re di Svezia in base ai quali nel caso il re fosse
entrato in Ucraina unendosi ai cosacchi, lo avrebbe rifornito di viveri e
munizioni; un cosacco di nome Kochubé, lo aveva tradito
presso lo zar, il quale però non gli aveva creduto e consegnato il delatore a Mazeppa, fu ucciso a colpi di martello, secondo l’usanza
cosacca riservata ai traditori.
Mazeppa
sognava una republica cosacca indipendente e in quel periodo gli svedesi e i polacchi avevano
tentato di metterlo a capo di una insurrezione contro Mosca; ma Mazeppa non aveva accettato per poter continuare a fare il doppio gioco, e mentre aveva dato allo
zar Pietro I la sicurezza della sua lealtà, aveva instaurato (1706) rapporti
con il re di Polonia, Stanislaw Lescynski; questo suo tradimento era stato denunciato allo zar
che non aveva prestato fede all’accusa; denunciato una seconda volta, la scampò
anche questa volta, facendo mandare al patibolo i suoi due accusatori.
Quando
Carlo XII di Svezia invadeva l’Ucraina, Mazeppa gli
aveva dato assicurazione che avrebbe messo a sua disposizione un esercito di trentamila
uomini.
Il
principe Mensikov aveva scritto allo zar che Mazeppa lo stava tradendo, lo zar ne era rimasto sorpreso,
ma sapendo che la popolazione ucraina si sentiva angustiata dai cosacchi, aveva
emanato un manifesto in cui accusava Mazeppa di apostasia della religione ortodossa e
oppressione della Piccola Russia (Ucraina);
Mazeppa a sua volta emetteva un manifesto in cui
accusava lo zar di tirannide e affermava che solo il re di Svezia poteva
preservare
Sebbene
questa propaganda non fosse stata accolta dai cosacchi, Mazeppa
quando si era recato da Carlo XII, era riuscito a portare con sé solo tremila cavalieri
invece dei trentamila promessi; lo zar, dal suo canto aveva dato a Mensikov l’incarico di occupare la sua residenza, che si
trovava nella città di Baturin.
Il
principe recatosi
a Baturin, dopo aver preso il tesoro di Mazeppa e aver impiccato, impalato e arrotato molti dei suoi seguaci, rase al suolo la
città (1708), bruciando i magazzini colmi di viveri preparati per gli svedesi.
Mazeppa
era invecchiato ed era stato sostituito da un nuovo atman, Giovanni Skoropdjhi; dopo qualche
anno dalla battaglia di Poltava nella quale aveva combattuto per il re di
Svezia, moriva all’età di sett’antanni (come scrive
Voltaire nel suo “Charles XII roi de Suéde” senza indicare
alcuna data).
L’inverno
dell’anno successivo (1709) fu il più freddo di tutto il secolo, tanto “che gli uccelli cadevano morti al suolo”, e
tra i due eserciti vi era stata una tregua di breve durata e i combattimenti
ripresero a febbraio; gli Svedesi subirono numerose perdite, con i medici
militari impegnati ad amputare le membra congelate e la perdita di cavalli fu
tale, che essi potettero tenere solo quattro cannoni.
Carlo
XII nella prinavera ebbe l’idea di assediare la città
di Poltava sul Vorskla, centro del commercio dei
cosacchi Zaporavi, contro il parere dei suoi
consiglieri, in quanto privo di munizioni e cannoni; la città resistette
all’assedio che andò per le lunghe, mentre Pietro I ebbe il tempo di
raccogliere forze sufficienti per affrontare gli svedesi.
A
giugno (1709) ebbe luogo la battaglia decisiva con un esercito di settantamila uomini; Pietro I, tra
morti e prigionieri, distrusse la metà
dell’essercito svedese e lo stesso re Carlo XII
rimase ferito e andò a trovare rifugio nella città turca di Bender ospite del pascià,
mentre Pietro I aveva avuto il cappello traforato da una palla di fucile e una
ne fu trovata nella sella del suo cavallo e i russi avevano avuto millequattrocentocinquanta morti e tremiladuecento feriti.
Con
questa vittoria cessava la posizione di grande potenza acquistata dalla Svezia con
Gustavo Adolfo (1594-1632) mentre l’Europa era stata abbagliata dalle vittorie
di Carlo XII (1682-1718);
STENKA
RAZIN
IL
RIVOLUZIONARIO
PREDONE
S |
ten’ka
Razin (1630-1671), è l’esempio di rivoluzionario-predone del quale i
contadini conservavano il ricordo di numerose leggende; si proponeva di
saccheggiare le località turche del Mar Nero (1667), non essendovi riuscito,
nel risalire il Don, depredava le case di cosacchi ricchi e in un’isola del Don
fondava una cittadina fortificata Kagal’iik, dove si spartiva il bottino ed erano concesse le licenze ai cosacchi che
andavano a visitare i parenti.
Presso
i cosacchi vi era l’usanza in base alla quale, quelli che rimanevano a casa
fornissero di vettovaglie quelli che partivano e costoro, quando tornavano li
ripagavano con il bottino; impressionati dalla quantità di tesori saccheggiati,
erano molti coloro che si schieravano dalla parte di Razin.
Nell’impero
russo, come abbiamo visto, vi era una struttura interna non molto solida con
una massa di individui di vartia origine che si
spostava continuamente: si trattava di contadini spinti a fuggire nelle steppe o nelle foreste a
causa del servaggio feudale, dal peso delle prestazioni feudali, dai canoni,
dalle estorsioni dei funzionari e dal sadismo dei signori molti di costoro
trovavano rifugio presso di lui.
Le
autorità di Mosca non avevano subodorato il pericolo e non avevano preso contro
di lui alcun provvedimento, ma la sua comunità si ingrandiva fino a costituire
una repubblica di predoni che fu divisa in centurie e decurie, di cui egli era l’ataman; dopo
aver costituito un altro campo sul Volga, attaccando navi di passaggio, venne
in possesso di una nave che trasportava prigionieri, che fece liberare, mentre
si appropriava del carico di merci e
cereali trasportati dalle altre; molti
dei prigionieri liberati si unirono a Razin che
disponeva di trentacinque navi e millecinquecento uomini.
Lo
zar Aleksej gli inviava una lettera ammonendolo a desistere dalla ribellione e Razin rispondeva evasivamente; ma giunse a saccheggiare la
costa del Dagestan e distruggere la città di Derbend
appartenente allo scià di Persia dove si impossessava della figlia del khan,
che divenne sua amante.
Aveva
raggiunto Astrakan (1669), da dove improvvisamente scriveva allo zar chiedendo
perdono e depositando il suo bunciuk (il bastone di comando dei capi cosacchi, ornato con
una coda di cavallo) e tutte le sue bandiere, assicurando che avrebbe
consegnato anche i cannoni, di cui era provvisto e liberato i prigionieri.
Durante
un viaggio di piacere sul Volga, afferrata la pricipessa
sua amante, piena di gioielli la gettò in acqua, gridando: “Prendi, madre (il nome in russo del
fiume è femminile) Volga . Tu mi hai dato
argento e oro e ricchezze di ogni specie e mi hai coperto di
onore e gloria e io non ti avevo ancora ringraziato”.
Quando
giunse il decreto di grazia dello zar (1660) non lo accettò, rifiutando
qualsiasi riconciliazione, ma, l’anno sguente Razin fu fatto prigioniero da cosacchi
fedeli al governo; sopportò le più orribili torture senza che avessero potuto
strappargli alcuna dichiarazione; morì
(1671) squartato, come aveva disposto la sentenza di codanna (Gitermann).
IL POCO AMATO
E TEMUTO
ERMELJAN
PUGASCEV
E |
rmeljan Pugascev (leggi Pugasceff, 1740-1775)
che vediamo riprodotto in un ritratto anonimo, dai tipici caratteri somatici
del contadino russo, era un poco amato e temuto cosacco del Don, analfafabeta, dotato di ammirevole sangue freddo; all’inizio
della sua rivolta (1772) si faceva passare per il defunto (†1762) Pietro III, pur non avendo alcuna somiglianza
con lo sfortunato marito di Caterina II, del quale si raccontava la leggenda che
intendesse abolire la servitù.
La rivolta
prese vita tra i cosacchi del fiume Jaik (che
Caterina per cancellare il ricordo della “pugaceviscina” (il sogno di Pugascev), aveva poi ribattezzato Ural, alla
quale, nel suo propagarsi, aderirono contadini, operai e cosacchi poveri (*).
Nell’impero
russo, come già abbiamo detto, vi era una struttura interna non molto solida
con una massa di individui di varia origine che si spostava continuamente: si
trattava di contadini spinti a fuggire nelle steppe o nelle foreste a
causa del servaggio feudale, dal peso delle prestazioni feudali, dai canoni,
dalle estorsioni dei funzionari e dal sadismo dei signori.
In proposito
si era venuti a conoscenza del sadismo di una nobile dama, Darja
Soltykova, attraverso il processo a cui era stata
sottoposta.
Essa
infliggeva personalmente torture ai servi e alle serve, con tenaglie
arroventate, acqua bollente e faceva frustare (**) i suoi dipendenti, tra cui
donne incinte, nobiltà; condannata ad essere chiusa in convento, ciò non le
impedì di avere un soldato come amante (Gitermann).
Mentre di una principessa Kozlovsky si diceva che faceva frustare i suoi servi, nudi e legati, da ragazze, ai
genitali.
Di
rivolte di cosacchi, contadini e operai (descritte da Andrej Bolotov), come abbiamo visto, ve n’erano state ben altre;
nella parte meridionale della Russia si era formato un proletariato cosacco (golit’ba, popolo
povero, nudo), dal quale si reclutavano
bande di predoni e pirati che si aggiravano
intorno al Mar Nero, ma dopo che i turchi avevano costruito la fortezza
di Azov (1660) e sbarrato la foce del Don con
catene da riva a riva, questi
cosacchi erano stai costretti a trasferirisi
verso il mar Caspio sulle rive del Volga.
All’odio
di classe dei contadini per i signori feudali, si mescolava il malcontento dei
lavoratori delle miniere e delle popolazioni locali (tatari, mordvini, cinvasci e soprattutto baschkiri)
che erano stati spogliati delle loro terre; il malcontento serpeggiava anche,
come detto, tra i cosacchi poveri.
Ma
l’anno successivo i rivoltosi risalendo lo Jiaik
ottennero un successo; Pugascev intendeva portare la
rivolta al centro dell’impero e con i suoi appelli e proclami vedeva
accorrere una gran quantità di servi,
operai degli Urali e baskiri (di religione
musulmana): la parola d’ordine era morte
ai nobili, abolizione della servitù, tolleranza religiosa.
I
cosacchi, come abbiamo visto, e i contadini erano molto legati alla religione e
Pugascev c i cosacchi dello Jaik
appartenevano alla setta dei Vecchi credenti; Pugascev
sapeva toccare i sentimenti degli umili e oppressi, prospettando un mondo in
cui avrebbe regnato l’uguaglianza e la felicità; sconfitti (1774) dalle truppe
del principe Golicyn, molti rivoltosi continuarono,
raggiungendo e conquistando la città di Kazan ma furono a loro volta raggiunti dalle truppe imperiali e messi in
rotta; Pugascev
fuggì con alcuni compagni ma fu tradito e consegnato ai russi che lo
decapitarono assieme a tre seguaci (1775) (***).
*) Storia Universale, Utet.
**) L’uso della frusta
in Russia era prevista anche all’interno delle famiglie; nel “Domostroj”, trattato russo del XVI sec. sul modo di governare
la famiglia e la casa, citato da Turgenev nel romanzo “Padri e figli”, al padrone di casa era riconsiosciuto
il diritto di castigare con la frusta moglie e figli.
***)
Lineamenti di Storia dell’URSS a cura di N. Nosov, R.
Ganelin e D. Lichacev Ed.1980)
DI CATERINA II
CONTRO PIETRO III
E LA
SUA ELIMINAZIONE
A |
biamo visto
quale disastrosa personalità fosse venuta fuori dalla educazione impartita al
granduca Pietro; alla morte di Elisabetta, salito frettolosamente sul trono col
nome di Pietro III, fece ritirare l’esercito dai territori occupati in Prussia:
per questa decisione, gli ufficiali se ne senrirono
offesi, i soldati mormoravano ma Federico felice scriveva “L’imperatore russo è un uomo divino al quale io debbo erigere altari”.
Ciò che
meraviglia è che nonostante fosse ritenuto mentalmente disagiato, non appena salito
al trono egli aveva assunto con lucidità le redini del potere, assumendo iniziative che non potevano
essere considerate da poco, anche se costituivano dei passi indietro rispetto a
provvedimenti presi da Pietro il Grande, o, in alcuni casi, prendendo
provvedimenti non molto equilibrati che avevano suscitato risentomenti
nei suoi confronti.
Aveva infatti,
emeesso degli ukaze, con cui
aveva fatto rientrare molti esiliati come Münnich,
Biron,
Il
provvedimento auspicava comunque che i nobili dovessero mettersi
spontaneamente a disposizione
dello Stato e curassero in particolare l’educazione dei figli e si può
immaginare come la nobltà avesse potuto gradire un simile provvedimento!
Con altro
provvedimento (1762) Pietro III aboliva
Educato alla
maniera tedesca, Pietro III non si curava del sentimento religioso dei sudditi
e vivo malcontento aveva suscitato il suo tentativo di sopprimere le chiese
private dei nobili, i quali risparmiavano sulla osservanza delle
disposizioni religiose da parte dei contadini, in quanto mantenevano il digiuno
da
Per la sua
passione per i soldatini, aveva fatto cambiare la divisa all’esercito adottando
la divisa prussiana, introducendo nelle caserme la disciplina prussiana e,
peggio, aveva nominato lo zio tedesco Georg von Holstein capo dell’esercito, e
per colmo, aveva offeso
Maturava su
questi presupposti, tra i
suoi i nemici, la congiura di palazzo (1762); essi si coalizzarono
attorno a Grigorij Orlov, uno degli amanti di Caterina.
I fratelli
erano cinque, Grigorij, Alekseij e Phedor, erano stati amanti di Caterina, gli altri due erano,
Wolodomir e Ivan il più giovane; la loro ricchezza
nel periodo di favore dell’imperatrice, calcolata
in oro, pietre preziose e doni insensati, ammontava a diciassette milioni
di rubli e possedevano quarantacinquemila anime; le entrate della Russia
ammontavano a quarantadue milioni di rubli!
Grigorij era molto
popolare tra
Correvano
voci che lo zar avesse disposto l’arresto di Caterina che si trovava a Peterhof per festeggiare l’onomastico del marito, per
rinchiuderla in convento e sposare l’amante Elisabetta Voronstova.
Sotto
pretesto che il palazzo dovesse essere ripulito, Caterina aveva preso alloggio
nel padiglione “Mon plaisir” dove
non vi erano sentinelle; la mattina del 28 giugno, mentre Caterina dormiva,
entrava nella sua camera Alekseij Orlov che le disse
che un loro amico, Nikolai Passek, era stato
arrestato e non
vi era tempo da perdere.
Ambedue si
recarono a Pietroburgo in carrozza presso il reggimento Ismailov i cui soldati
appoggiavano Caterina, i quali gettate le nuove uniformi e riprese quelle che
avevano sotto Elisabetta, dopo aver baciato le mani, i piedi e l’orlo del
vestito di Caterina, tirato fuori un cappellano militare, tutto il reggimento
proclamò Caterina II sovrana della Russia, prestandole davanti alla croce, il
giuramento di fedeltà.
Recatasi con
la sua carrozza presso il reggimento Semenov, fu confermata
la proclamazione seguita da quella del reggimento Preobrazenskij,
dove si trovava
A poco a poco
si unirono i dignitari di Corte e nella cattedrale di Kazan fu celebrato il
servizio divino e Caterina fu dichiarata imperatrice di tutta
Pietro senza
sospettare alcunchè, si era recoto
a Peterhof con Elisabetta Vorontsova
e numeroso seguito, con l‘intenzione di ripudiare Caterina il 29 giugno, giorno
del suo onomastico.
Rimanendo
turbato nel non trovarla nel padiglione “Mon plaisir”, dalla
servitù apprese che si era recata a Pietroburgo e, senza avere alcun sosspetto di ciò che stesse succedendo, mandò dei dignitari
tra i quali il cancelliere Vorontsov, per richiamarla.
Nel
frattempo, però, resosi conto della gravità della situazione, Pietro, con una
galea si recava alla fortezza dell’isola di Kronstadt dove poteva opporre
resistenza, ma dopo essere stato minacciato che la sua nave sarebbe stata presa
a cannonate, dovette
tornarsene a Oranienbaum.
Caterina si
trovava a Peterhof al comando della truppa, a cavallo
con la vecchia uniforme della Guardia e una fronda di quercia sul cappello, mandava
alcuni reparti a Peterhof ad arrestare Pietro, al
quale fu presentato il documento di abdicazione che egli firmò e fu portato a Peterhof.
Pietro si comportava
senza dignità, come aveva fatto in precedenza, chiedendo di poter avere il suo violino, il cane, il suo moro Narciso
e la signorina Voronstova; la signorina fu
mandata a Mosca e fatta sposare; Pietro fu mandato in una delle sue tenute a Ropsa; il 30 giugno Caterina faceva il suo trionfante
ingresso a Mosca. Durante i festeggiamenti i soldati persero il freno e diedero
mano a tutto ciò che si poteva bere nelle cantine, tra birra, vodca, idromele, champagne e vini costosi (i proprietari
dopo un processo furono indennizzati con 24.331 rubli.
I
fratelli Orlov alla vigilia del suo onomastico (1762) avevano portato Pietro III a Peterhof e qualche settimana dopo sbarazzavano Caterina dal
peso del marito. Durante una lite Alekseij Orlov lo
strangolava e con una lettera inviata
a Caterin, mentre si lamentava che “la disgrazia era avvenuta e non si sapeva come avesse potuto succedere,
le chiedeva perdono per amore del fratello Grigoij (in cit. Fonti).
Caterina
si astenne dalle punizioni nei confronti dei sostenitori di Pietro e tutti i
funzionari che gli erano stati vicini furono congedati o trasferiti; i suoi
parenti rimandati nell’Holstein; la morte di Pietro III fu giustificata con una improvvisa colica acuta; il suo corpo fu sepolto nel
monastero di Nevskij, senza onoranze.
Ora,
chi doveva succedergli, sarebbe stato lo sfortunato figli0, o che passava per tale,
Paolo-Petrovich il quale non somigliava né al padre
né alla madre che lo aveva allontanato e qualche storico ritiene pure che per
lungo tempo avesse pensato di disfarsene.
Paolo
e si trovava nella situazione di essere respinto dal padre e detestato dalla
madre che non lo poteva sopportare (è stato anche detto che l’odio che aveva
per lui era una prova che fosse figlio di Pietro, ma non si può ritenere che un
simile sentimento potesse costituire una prova, e valga ciò che abbiamo detto
in proposito!).
Paolo
era stato affidato alle cure del conte Panin, si era dedicato allo studio delle
scienze con il fisico Franz Urlich Teodor Aepinus, chiamato a
Pietroburgo; viveva ritirato con la seconda moglie (nipote di Federico Il
Grande) che gli aveva dato dieci figli; privati dei figli, consegnati a Corte, dove
erano educati e poiché la madre, prima di vederli passavano mesi, ambedue si erano dati ai viagi
presso le Corti d’Europa sotto il nome di conte e contessa del Nord, recandosi
a Varsavia, Roma, Napoli, Amsterdam e
infine in Francia accolti con feste a Versailles, al palazzo del Lussembourg presso il conte di Provenza.
Paolo
si era legato in amicizia con il principe di Condé che organizzava feste in suo
onore a Chantilly e cacce con cinquecento coppie di cani; al ritorno Paolo dopo
essere stato abbagliato dallo splendore francese, rivedeva con tristezza
IL GRANDE POTEMKIN
COGLIE COME UN
FIORE
DONANOLA
ALL’ IMPERATRICE
L |
a
Crimea era la leggendaria Tauride
menzionata nella tragedia di Euripide, “Ifigenia
in Tauride”, in cui si raccontava che
Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, doveva essere sacrificata alla
dea Artemide, in quanto le navi che dovevano partire per la guerra di Troia
erano ferme in Aulide, per mancanza del vento; Ifigenia, chiamata dal padre, col
pretesto di dover sposare Achille, era già sull’altare quando la dea,
impietosita, la sottrasse alla morte sostituendola con una cerva e mandandola
in Tauride per diventare sacerdotessa; quivi il barbaro re Toante
aveva disposto che tutti i greci che vi sbarcavano, dovevano essere sacrificati
e a questo compito era preposta Ifigenia.
Tra
i greci sbarcati si trovavano i suoi fratelli Oreste e Pilade, che lei non
conosceva, mandati in Tauride dall’Oracolo di Delfi a cercare la statua di
Artemide, che dovevano rubare.
La
tragedia prosegue, con le diverse varianti della leggenda, i cui fantastici
intrecci, e le implicazioni dei vari stati d’animo, che i tre grandi
tragediografi (Eschilo, Sofocle ed Euripide) daranno ai personaggi delle loro
opere, anticipando di oltre duemila anni la psicanalisi
di Freud.
I
tentativi di Pietro il Grande per strappare
Tralasciando
i particolari degli scontri tra russi e turchi (negli anni 1770, 71,72 e 73), un
formidabile spiegamento di tre armate di ottantantamila
uomini sotto il comando generale di Potemkin e una armata sotto il comando di Romanzov (Nikolai Petrovich Rumyantsev amante di Caterina) e l'altra del generale Nikolai
Ivanovich Panin, oltre a dieci vascelli che dal
Baltico passarono al Mediterraneo, ebbe l’effetto di ottenere la vittoria,
senza combattere e Caterina si vide sovrana di centocinquantamila abitanti
della Crimea senza che fosse stato versata una goccia
di sangue.
Questo
fu il periodo in cui Caterina, padrona della Crimea e del Kuban
(che divenne Caucaso), si sentì veramente grande: ma a chi lo doveva? A
Potemkin al quale diede il nome di “Tavristscheskiche” (il
Tauride,l’Uomo della
Tauride); e con un ukase diede alla
Crimea il suo antico nome di Tauride.
Il
Gran Visir che aveva sotto il suo comando dell’armata turca tre bascià e quattro bascià subalterni, gli fece tagliare la testa considerandoli
rei delle perdite territoriali subite; ma poco dopo anche il gran visir fu
deposto e perdette anch'egli la testa; così furono liberate dai turchi le rive
e la foce del Danubio con le città di Ismail e Kilia
Nuova e nel 1773 Romanzoff inferse un'altra sconfitta
giungendo fino alle porte di Sofia e nel seguente 1774 conquistate le piazze di
Silistria e Varna, il visir chiese un armistizio; ma Romanzoff non lo
concesse per cui i turchi furono costretti a firmare il trattato di Kainardgi (1774) col quale “l’impero russo tratteneva per se le fortezze di Kertsc e Jenicalé con i loro distretti e porti e tutte le città,
fortezze, abitazioni, terre e porti, territori nella Crimea e nel Kuban conquistati, con l’ isola di Taman.
Il
trattato prevedeva inoltre che i popoli tatari della Penisola di Crimea o
Piccola Tartaria, o Tartaria
Europea, Kuban, Bessarabia ecc. saranno
vicendevolmente riconosciuti dagli imperi russo e ottomano, liberi e
indipendenti da qualunque potenza e sotto l’immediata obbedienza del loro kan, il quale governerà secondo le loro
leggi; perciò in nessun caso le due potenze potranno intromettersi
nell’elezione e stabilimento del kan né negli affari interni in modo da considerare la
nazione tatara, Stato, secondo le norme delle altre Potenze; con il trattato la
imperatrice restituiva alla Crimea terre, città e porti conquistati.
Per
quanto atteneva alla religione il Sultano rimaneva capo dei musulmani e la
fulgida Porta prometteva una costante protezione della religione cristiana e
delle Chiese dove
essa veniva praticata.
Quale
era stato il colpo di fortuna della zarina di ottenere pacificamente i
territori?
La
Crimea era costituita in kanato
retto dalla dinastia dei Gueray, al momento da Devolet Gueray
il quale a seguito di una rivolta lasciava il trono al fratello Sahim Gueray il quale voleva
introdurre nel Paese e presso
In
aiuto del khan si era presentato l’onnipresente Potemkin con l’esercito e Sabin temendo di essere trucidato si ritirava nella città
di Kherson (Kherson Nuova appena
costruita ex novo da Potemkin), facendo
formale cessione alla imperatrice (1783), di tutti i suoi Stati e Domini (Crimea
e Kuban con il fiume dello stesso nome che segnava il
confine).
IL
MERAVIGIOSO PALAZZO
DI POTEMKIN
DETTO
“DI TAURIDE”
E
IN ONORE DI CATERINA
P |
otemkin
si era fatto costruire un magnifico palazzo a Pietroburgo che affacciava sulla
Neva (Potemkin possedeva duecentomila anime e la sua ricchezza ammontava a
cinquanta milioni di rubli, aveva armadi pieni di pezzi d’oro e pietre preziose
e biglietti di banche estere; aveva trentadue onorificenze e si lamentava di
non avere il cordone blu di Francia), ed era stato così descritto “Una facciata
composta da un immenso colonnato che sorregge una cupola; entrando si trova un
gran vestibolo sul quale si trovano, a destra e a sinistra gli appartamenti; in fondo vi è un portico
che conduce a un secondo vestibolo di una grandezza prodigiosa, illuminato
dall’alto in basso, circondato, a una grande altezza, da una galleria destinata
all’orchestra. Di là, un duplice ordine di colonne conduce alla sala principale
destinata alle feste.
E’
impossibile esprimere l’impressione che esercita questo tempio gigantesco che
ha più di cento gallerie; è largo in proporzione ed è fornito di un duplice ordine di colonne e a
metà altezza le logge sono ornate di
festoni elegantemente scolpiti e ornati all’interno di stoffe di seta.
Alla
volta sono sospesi dei globi di cristallo che servono a riflettere la luce
all’infinito con specchi messi alle estremità di questa immensa sala con le
estremità a semicerchio. Essa non ha né mobili né ornamenti ma dei vasi di
marmo di Carrara sorprendenti per la loro prodigiosa grandezza e per la
bellezza della loro composizione. Da questa sala si accede al giardino
d’inverno separato solo dalle colonne. La volta di questa immensa costruzione è
sostenuta da pilastri che hanno la forma di palmeti; all’interno dei muri sono
stati inseriti dei condotti di calore che circola tutt’intorno alla costruzione
e delle canne di metallo con aria calda che mantengono una temperatura
deliziosa.
L’occhio
osserva rapito le piante e gli arbusti di tutti i paesi, mentre si riposa su
una testa antica o guarda con stordimento dei pesci di tutti i colori contenuti
in vasi di cristallo.
Un
obelisco trasparente riproduce a vista con mille colori diversi queste
meraviglie dell’arte e della natura e una grotta rivestita di ghiaccio lo
riflette all’infinito. La temperatura deliziosa, l’odore che circonda le piante
e il silenzio voluttuoso di questo luogo incantevole immerge l’anima in un
dolce sogno e trasporta l’immaginazione nei boschi d’Italia. L’illusione è
rotta dall’aspetto che tutto l’inverno ha di aspro e rude, quando lo sguardo
incantato cade sulla brina e i ghiaccioli che circondano questo magnifico
giardino.
Nel
mezzo di questo eliseo si eleva magnificamente la statua di marmo
di Paros, di Caterina (Pensate all’effetto che questa statua aveva potuto fare su Caterina ignara,
vedendosela apparire all’improvviso davanti a sé! ndr).
E’ in questo teatro
che il principe Potemkin dispose i
preparativi per la festa che egli offrì alla sua sovrana prima della partenza
per le province meridionali, dove l’attendeva la morte. Il principe sembrava
avesse un segreto presentimento della sua prossima fine ed egli voleva godere
in tutta la sua pienezza del suo favore.
I
preparativi di questa festa erano straordinari come tutta la sua immaginazione avesse
potuto partorire. Egli aveva impegnato per diversi mesi artisti di tutte le
provenienze; più di cento persone si radunavano tutti i giorni per svolgere i
vari ruoli ad essi affidati e questo ripetersi quotidiano era di per sé una
specie di festa.
Alla fine
il giorno fissato giunse di buon grado all’attesa di tutta la capitale. Oltre
alla imperatrice il principe Potemkin aveva invitato tutta la Corte, i ministri
stranieri, la nobiltà russa e un gran numero di rappresentanti delle prime
classi della società.
L’arrivo
degli ospiti era stato fissato alle sei di sera per un ballo in maschera;
all’avvicinarsi dell’arrivo della carrozza dell’imperatrice, furono distribuiti
con profusione, abbigliamenti, vivande e bevande di ogni specie al popolo che
si era assemblato nelle vicinanze.
La
carrozza dell’imperatrice entrò nel vestibolo al suono di una musica brillante
eseguita da più di trecento musicisti; lei quindi si recò nella sala principale
seguita dalla folla degli ospiti e salì su una passatoia che era stata messa in
mezzo alla sala e che era circondata di decorazioni e di iscrizioni in
trasparenza. Gli ospiti si distrribuirono sotto il
colonnato e nelle logge; allora ebbe inizio il secondo atto dello straordinario
spettacolo.
I
due granduchi Alessandro e Costantino alla testa della più bella gioventù della
corte eseguirono un balletto. I danzatori e le danzatrici erano nel numero di
quarantotto tutti vestiti di bianco, ricoperti da magnifiche sciarpe e
ricoperti di pietre preziose stimati del valore di dieci milioni di rubli. Il
balletto fu eseguito su arie scelte, analoghe alla festa, intervallate da
canti: il celebre Lepicq terminò il balletto con un
passo di sua composizione.
Si
passò in un’altra sala ornata da ricche tappezzerie di Gobelins, nel mezzo si
vedeva un elefante artificiale ricoperto di smeraldi e rubini; un persiano riccamente vestito, faceva
da presentatore; a un segnale che diede battendo su una campana, si sollevò una
tenda e si vide sul fondo un magnifico teatro dove furono rappresentati due
balletti di un genere nuovo e lo spettacolo terminò con una commedia molto gaia
che divertì molto gli ospiti.
Allo
spettacolo seguirono due cori, varie danze e una pompa asiatica rimarchevole
per la diversità di costumi, che rappresentavano le diverse popolazioni sotto
la dominazione della imperatrice. Subito dopo tutti gli appartamenti illuminati
con la massima cura furono aperti alla curiosità degli ospiti; tutto il palazzo
sembrava avesse
preso fuoco; il giardino era ricoperto di pietre scintillanti; del ghiaccio in
quantità, delle piramidi e dei globi di cristallo riflettevano dappertutto
questo magnifico spettacolo.
Era
stata preparata una tavola con seicento coperti, il resto dei convitati fu
servito in piedi. Il vasellame era d’oro e d’argento; le vivande più ricercate
erano servite in vasi della più grande ricchezza; i liquori più preziosi scorrevano in
gran flutti da antiche coppe; dei lampadari di grandissimo valore illuminavano
la tavola. Gli ufficiali e i domestici, riccamente vestiti si prodigavano in
gran numero a prevenire i desideri dei convitati.
L’imperatrice,
contrariamente alle sue abitudini, rimase fino a mezzanotte; essa sembrava
temere, si lamentava, di turbare la felicità del suo favorito; quando si ritirò
numerosi cori e una musica armoniosa fecero risuonare i vuoti del palazzo, di
un inno in suo onore. Essa ne fu tanto emozionata che si girò verso il principe
Potemkin per testimoniargli la sua
soddisfazione; egli trascinato dal sentimento di tutto ciò che doveva alla sua
sovrana, si gettò ai suoi piedi, prese la sua mano e la riempì di lacrime.
Fu
l’ultima volta che Grigorij Alexksandrovic Potemkin poté
testimoniare la sua riconoscenza all’augusta autrice della sua grandezza.
LA MORTE
DI CATERINA
E L’AVVENTO
DI PAOLO I
A |
nche
per Caterina era giunto il momento di lasciare questo mondo: era ingrassata
andando fuori misura, con le gambe gonfie che si aprivano; era il periodo della
visita del re di Svezia che doveva fidanzarsi con sua nipote e lei si
sottoponeva a continue fatiche salendo e scendendo le scale di palazzi per
partecipare alle feste, rifiutando la
portantina perché voleva apparire più giovane; si faceva curare da Lambro Gazzioni, un
ex pirata che le faceva da buffone, il quale la curava con l’acqua di mare
fredda che le procurava un certo giovamento.
In
quel tempo la tinta del suo viso era divenuta più rossa e più livida e le sue
indisposizioni più frequenti; il quattro novembre (1796) aveva ricevuto la
notizia che il generale Moreau era stato forzato a ripassare il Reno e si
divertiva con Leon Narischkin, suo grande scudiero e
primo buffone, che la divertiva con tante bazzecole.
L’indomani
si svegliò normalmente e dopo essersi trattenuta con il suo favorito, mandava
via tutti coloro che si erano presentati per parlare di affari, dicendo di
attendere nell’anticamera, che li avrebbe chiamati.
Dopo
aver atteso qualche tempo, il valletto di camera, Zaccaria Costantinovich
entrò nella camera e trovò l’imperatrice, la Semiramide del Nord, accasciata senza che potesse emettere alcun
suono, riversa tra le due porte del guardaroba dell’alcova. L’imperatrice era
già senza conoscenza e senza poter fare alcun movimento; si mandò a chiamare il
favorito che era al piano sottostante, chiamati i medici, tutti erano
costernati; misero un materasso sotto una finestra mettendo l’imperatrice sul
materasso; fu spedito un corriere a Gatschina dove si
trovava il granduca Paolo, il quale, giunto con la famiglia, avvicinatosi alla
madre, non fu riconosciuto.
Tutti
i presenti rimasero vestiti tutta la notte in attesa dell’ultimo respiro,
mentre Paolo era tutto preso a dare ordini per preparare il suo avvento, non
preoccupandosi della madre che lo aveva così poco amato; l’unico segno di vita
di Caterina era il respiro; verso sera sembrò rianimarsi, ma cominciò a
rantolare orribilmente e successivamente emanò un lamento che fu inteso negli
appartamenti vicini ed espirò dopo un’agonia di trentasette ore.
Paolo-Petrovich era già in età matura, aveva quarantadue anni; la
moglie fu la prima a inginocchiarsi ai suoi piedi e abbracciarlo come
imperatore; poi giunsero i cortigiani, i capi dei dipartimenti e dell’armata,
quindi gli ufficiali e soldati che prestarono il giuramento di fedeltà;
l’imperatore si recò egli stesso al Senato per ricevere il giuramento dei
senatori e il giorno dopo Paolo I fu dappertutto proclamato imperatore e il suo
primo figlio, Alessandro, zarevic; il padre per averlo sempre al suo fianco lo
nominava governatore di Pietroburgo.
Paolo
confermò con generosità tutte le cariche affidate in precedenza dalla madre e
al comandante generale che pensava di essere sostituito, disse:-
“Continuate pure a svolgere le funzioni presso il corpo di mia madre,
certo che mi servirete fedelmente come fedelmente avete servito lei”.
Il
suo primo atto fu di mandare in esilio Platon Zubov
il quale se ne partì fastosamente, viaggiando per l’Europa in attesa che
giungesse l’ora per vendicarsi.
Il
nuovo imperatore pensò subito al funerale del padre che fece disseppellire per
mettere le sue spoglie accanto a quelle di Caterina, con l’iscrizione solenne “Separati durante la vita, uniti nella morte”.
Gli
Orlov accusati dell’assassinio di Pietro III durante la terribile notte in cui
Caterina si era impadronita del trono, furono costretti ad assistere al
funerale, di fronte al popolo che mormorava i loro nomi: due dei fratelli
tenevano il drappo mortuario con molti dei loro complici; essi potettero
contemplare il viso cadaverico dell’imperatore defunto e quando Paolo gli
domandò se non avessero avuto delle emozioni al ricordo di quell’avvenimento
fatale, Grigorij Orlov rispose che “Se
essi avevano dei rimorsi essi sarebbero stati cancellati dal servizio che
avrebbero avuto l’onore di prestare all’imperatore Paolo, perché doveva sapere
che l’atto più solenne del regno di Pietro III era stato il disconoscimento
della sua nascita, di modo che senza l’attentato che ad essi si attribuiva,
Paolo non avrebbe portato la corona che ornava la sua testa”.
Gli
Orlov ricevettero comunque l’ordine segreto di lasciare
Tra
le prime iniziative prese da Paolo I, nel ricordo del viaggio che aveva fatto
in Francia, volle combattere in pieno
*)
Secondo Gitermann
Caterina non aveva alcun diritto ad assumere il trono in quanto, egli scrive che: “lei era straniera e in sostanza non aveva alcun
diritto a considerarsi sovrana; vi era un figlio legittimo, o almeno che
passava per tale, del monarca ucciso, Paolo Petrovic, e Caterina avrebbe potuto
assumere tutt’al più le funzioni di reggente durante la sua minore età”.
FINE
PARTE PRIMA