VELENI
FILTRI
D’AMORE
E
MESSE NERE
ALLA
CORTE LUIGI XIV
Michele
E. Puglia
Caro Lettore,
mi auguro che
nel leggere l’articolo possa provare lo stesso gusto
che io ho provato a sciverlo.
Questa volta
è stata Maria Colonna a prendermi la mano
e a portarmi
via un pezzo della mia anima che si trova
in questo
lavoro (scritto in sei anni e finito a ferragosto
2023).
Con lei ho condiviso la stessa
passione per la libertà (senza
la componente
isterica che la
accompagnava,
dovuta al suo carattere e al
marito che la perseguitava),
Ma avevo risolto il problema rinunciando a
sposare Ione
la ragazza
che amavo
(rompendo i
ponti mi ero trasferitoi altrove,
vivendo da singolo, seppur avessi parentesi di
compagnia).
Il suo ricordo
è rimasto indelebile
nella mia mente.
Sono passati
cinquant’anni e continua ad
apparirmi nei
sogni notturni, bella com’era a vent’ann, mentre
io ne avevo trenta
e alla sua
memoria, per il bel ricordo che mi ha lasciato,
dedico questo
lavoro, che ho anche materialmente sofferto
per gli
acciacchi riservati dalla tarda età.
PARTE SECONDA
SOMMARIO: E’ ISTITUITA LA CAMERA ARDENTE; LE MESSE
NERE CELEBRATE PER LA MONTESPAN; I SOSPETTI SUGLI AVVELENAMENTI CADONO SULLA
CONTESSA DI SOISSONS; CESSA L’ATTIVITA’ DELLA LA CAMERA ARDENTE; LUIGI XIV SI
DEDICA AD ALTRI AMORI; A CORTE BRILLANO LE NIPOTI DI MAZZARINO; MARIA SPOSA IL
CONNESTABILE PRINCIPE COLONNA; OLYMPIA SPOSA IL PRINCIPE DI CARIGNANO CONTE DI
SOISSONS; MARIA-ANNA MANCINI DIVENTA DUCHESSA DI BUGLIONE; MARIA ESTASIATA DAL
PALAZZO COLONNA E DALLE LUMINARIE DI PIAZZA NAVONA; LA CRISI DEI MATRIMONI DI
MARIA E ORTENSIA; I SOSPETTI DEL BOCCON
E LA FUGA DA ROMA; L’AVVENTUROSO VIAGGIO PER MARSIGLIA; MARIA PARTE PER LA FRANCIA; LA LETTERA DI MARIA E’ RECAPITATA AL RE CHE
NON VOLEVA SI AVVICINASSE A PARIGI; MARIA SI RECA IN SAVOIA DAL DUCA CARLO
EMANUELE II; MARIA DOPO ESSERE STATA A COLONIA SI RECA IN SPAGNA; CARLO II DI
SPAGNA L’ECISADO.
E’ ISTITUITA
LA
CAMERA ARDENTE
E |
ra
appena trascorso un anno dalla esecuzione della Brinvilliers (1676, v. P. I)
che il 21 settembre 1677 un biglietto anonimo trovato in un confessionale della
chiesa dei gesuiti in rue Saint-Antoine, riferiva che che vi era un progetto di
avvelenamento del re e del delfino, eccitando al più alto grado le inquietudini
del luogotenente generale di polizia Nicolas de La Reynie.
Dopo
qualche mese di ricerche fu scoperta un’associazione di alchinisti, falsi
monetari e maghi, di cui facevano parte due individui, Louis Vanens, con la sua
amante Finette e Robert de la Mirée, signore di Bachimont nell’Artois, la cui
condotta era parsa più che sospetta, senza giustificare tuttavia, con dei fatti
precisi, l’accusa che pesava su di loro.
Il
primo fabbricava dei filtri che vendeva a mediatrici e fattucchiere e si
supponeva che qualche anno prima avesse avvelenato il duca di Savoia; Bachimont
era uno dei suoi agenti e viveva dello stesso mestiere.
Seguendo
questo filo conduttore, La Reynie risalì a un certo numero di persone più o
meno compromesse che fece arrestare; erano una donna, La Bosse, vedova di un
mercante di cavalli; la Vigoreux, sposata a un sarto di abiti femminili, un
certo Nail e una Lagrange. Riconosciute colpevoli di aver preparato dei veleni,
queste due furono condannate a morte con sentenza del Parlamento eseguita il 6
febbraio 1679.
Il
12 marzo, un arresto che doveva esercitare un’influenza considerevole sul
processo, quello di Catherine Deshayes, moglie del gioielliere Antoine
Monvoisin o Voisin, aveva luogo
all’uscita dalla messa della chiesa di Notre Dame de Bonne Nouvelle; era
levatrice e sopratutto praticava aborti; aveva il talento di intuire il
carattere di una persona, non dalle linee della mano ma osservando il volto; era
entrata in stretti rapporti con la Montespan alla quale procurava le polveri
magiche; un giorno in un momento di debolezza, aveva confessato (probabilmente
esagerando!) di averne interrati nel suo giardino più di 2500 bambini.
La
Fontaine l’aveva definita la “pitonessa”;
era una levatrice che procurava veleni per coloro che desideravano avvelenare i
propri mariti e sposarne altr; oltre a polveri amorose, bambini da sacrificare
in messe nere; era ricercata da una infinità di persone di tutti i ceti sociali
e guadagnava da cinquanta a centomila franchi, ma erano tutti spesi in
gozzoviglie; manteneva i suoi amanti ed erano numerosi; uno di loro era il boia
di Parigi André Guillome che aveva tagliato la testa alla Brinvilliers e per orribile
fatalità era stato il suo esecutore; tra gli altri amanti, vi era stato il
visconte di Couserans, il conte di Labalie, l’architetto Fauchet, un mercante
di vini del quartiere, il mago Lesage, l’alchimista Blessie, ed altri. Blessis,
Lesage e poi Latour, le fecero spendere molto danaro in quanto la Voisin aveva
una vera passione per l’alchimia.
Compagna della Voisin era Francoises Filastre, nel senso che era la
più temibile fattucchiera di Parigi, di quelle che avevano offerto,
sgozzandolo, un suo bambino a Satana e si era recata in Auvergne per conoscere
i segreti per avvelenare, senza che il veleno si vedesse.
Con l'arresto
della Filastre i commissari della Camera ardente ebbero conferma delle
rivelazioni fatte dagli altri prigionieri della Bastiglia e di Vencennes;
Il re, informato
ne rimase terrificato, tanto da sospendere le sessioni della Camera ardente
(primo ottobre 1680), che furono riprese il 19 maggio successivo, con divieto
ai magistrati di prendere iniziative per quanto dichiarato dalla Filastre e
contenuto nei processi verbali. Da questo momento il re non ebbe più alcun
dubbio sui nefasti progetti della Montespan, ma nonostante
ciò, vedremo che con la Montespan si comporterà graziosamente.
Un altro
elemento venne ad aggiungersi alle prove contro la Montespan, il nome della Desœillets, dama di compagnia della Montespan e appariva in tutti i
verbali, in quanto essa svolgeva pratiche e commissioni per conto della signora.
Un
giorno (il 23 gennaio 1680) si apprese che un principe della casa di Borbone,
il conte di Clermont, le nipoti del cardinale Mazzarino, come la contessa di
Soissons, sovrintendente della casa della regina e la duchessa di Buglione, una
Lussemburgo, dame del seguito della regina, la principessa di Tinguy, la
marchesa d’Alluye, la contessa di Roure, la marchesa di Feuquiéres, il marchese
di Thermes, infine il maresciallo di Francia Boutteville Montmorency, duca di
Lussemburgo, ai quali si aggiunsero famiglie di parlamentari, come la vedova
del presidente Le Féron e la moglie del signor de Dreux, maitre des requétes, tutti questi i grandi nomi, risultarono accusati
(ma i loro nomi erano stati fatti dai fattucchieri, sotto tortura, nella
speranza di salvare la loro vita).
Alla
vigilia del giorno in cui furono emessi i decreti, la contessa di Soissons,
altera nipote del cardinale Mazzarino,
una delle prime amanti del giovane Luigi XIV, divenuta sovrintendente della
regina, per indulgenza del re, era fuggita precipitosamente e si diceva fosse
già lontana da Parigi sulla strada per Bruxelles, mentre sua sorella, la
duchessa de Buglione, era in attesa di essere interrogata, mentre ad essere
arrestato con altri accusati era stato il duca di Lussemburgo, condotto alla Bastiglia, vittima di un
intendente, il quale dopo un processo sarà condannato alla prigione perpetua e
il duca assolto.
L’affare
dei veleni prese delle proporzioni inattese; per sottrarlo alla pubblicità, il
governo istituì il 7 aprile (1680) una Camera
Reale presso l’Arsenale alla quale il popolo aveva dato il nome di Camera ardeme o Camera dei veleni.
La
Reynie e un altro consigliere di Stato, Luois Bazin, signore di Bezons, come
lui, che aveva preso
parte attiva al famoso processo (per lesa maestà) del cavaliere di Rohan,
furono nominati relatori. Ma presto, malgrado la discrezione raccomandata ai
giudici, la voce che i nomi più elevati e più vicini al trono ed erano compromessi con la Voisin, si
sparse per tutta Parigi.
“Sua maestà”, aveva scritto La Reynie, “ci ha raccomandato la giustizia e nostro dovere, in termini
estremamente chiari e precisi, è quello di penetrare quanto più sia possibile
nello sventurato commercio dei veleni, al fine di estirparne la radice, se
possibile, e ciò senza distinzione di persone, condizione e sesso”.
Essendo
emerse delle indiscrezioni, Luigi XIV, indignato, aveva autorizzato l’arresto dei
personaggi indicati. Ma ciò aveva messo in pericolo la sua stessa vita, quella del
delfino, di Colbert, di mademoiselle la Valliére, della duchessa di Fontange e
i giudici istruttori furono persuasi a desistere dall’arresto della duchessa di
Vivonne e di madame de Montespan che, anch’esse stavano per essere arrestate.
La
Reynie, che aveva l’ordine di inviare tutti i giorni a Colbert e Louvois un
estratto degli interrogatori, racconta che il 6 febbraio 1680, si recò su
ordine di Louvois a Saint-Germaine, al lever
du roi, che gli disse “parecchie cose
di conseguenza”, aggiungendo che egli voleva combattere un altro crimine
che sua Maestà non ha altrimenti spiegato. Cosa fosse questo nuovo mistero, La
Reynie non lo spiegava, ma sappiamo attraverso le sue carte che tutti gli
interrogatori non dovevano essere indistintamente mostrati ai giudici, per non
divulgare dei fatti la cui conoscenza era riservata solo al re, a Louvois e a Colbert.
Scritti
eccezionalmente su fogli volanti, questi interrogatori potevano essere
eliminati senza difficoltà. Era inteso che le carte della procedura sarebbero
state bruciate. Ora, queste carte, di cui Luigi XIV desiderava tanto far
sparire le tracce (ci dice Funk-Brentano), esistono ancora sia in originale,
sia in copia, permettendo di compensare in qualche modo il processo di cui il
pubblico non supponeva la gravità e ancor meno i dettagli .... ciò che aveva
fatto pronunziare a un imbarazzato Colbert “sacrilegio,
profanazione, abominio”; “cose veramente
esacrabili per eesere scritte in documenti”, aveva detto un’altra volta.
Ben
duecentoquarantasei persone erano state coinvolte nell’accusa e trentasei erano
state condannate a morte per avvelenamento, messe sacrileghe e uccisione di
bambini; di coloro che ebbero salva la vita. alcuni furono condannati alla
prigione perpetua,altre alle galere e altre all’esilio; gli altri,
detenuti fino alla fine dei loro giorni.
LE MESSE NERE
CELEBRATE PER LA
MONTESPAN
D |
all’interrogatorio
dell’abate Guibourg (ottobre 1680), sappiamo che il ricorso della Montespan
alle messe nere risaliva al 1673, quando lei vi aveva partecipato personalmente
(come riferisce Franz Funck-Brentano in “Le
drame des poisons”, Paris. 1900) a tre di esse.
Ma
il coinvolgimeno della Montespan in queste pratiche, aveva avuto inizio nel
1668 con due preti, Mariette e Lesage, quando, introdotti nell’appartamento di
madame de Thiange nel catello di Saint-Geramaine, Mariette, avendo la cotta e
la stola, aveva fatto delle aspersioni di acqua benedetta e recitato il vangelo dei re sulla testa di madame
de Montespan, mentre lei esprimeva i
suoi desideri nei quali ricorreva il nome del re e quello de la Valliére; di
questa, madame de Montespan, chiedeva la morte, mentre Lesage bruciava l’incenso; altre funzioni fatte in circostanze analoghe,
avevano avuto le stesse finalità.
Le
tre messe erano state fatte a distanza di quindici giorni o tre settimane l’una
dall’altra.
La prima aveva
avuto luogo nel castello di Villedousin, frazione di Mesnil, presso Monthlery; presenti,
m.lle Desœilletts, al
seguito della Montespan, l’abate Guibourg, Leroy, governatore dei paggi della Picccola Scuderia e un personaggio che si
diceva legato all’arcivescovo di Sens; Leroy possedeva una casa a Mesnil e
aveva promesso a Guibourg, per la messa, cinquanta
pistole e un beneficio di duemila
lire.
La dama (la Montespan) era tutta nuda distesa sull’altare, un tovagliolo sul ventre e sul
tovagliolo una croce nel verso dritto dello stomaco e il calice sul ventre;
le candele accese erano nere;
l’officiante, faceva passare sul calice il patto scritto su carta di
pergamena vergine che diceva:
“Astarotte, Asmodeo, principi dell’amicizia,
vi scongiuro di accettare il sacrificio che vi presento di questo fanciullo per
ciò che vi chiedo, che sono di continuare l’amicizia che mi concedono il re e
monsignore il Delfino; che la regina sia sterile; di essere onorata dai
principi e dalle principesse della corte; che niente mi sia negato di tutto ciò
che chiederò al re, tanto per me, quanto per i miei parenti e servitori”.
Il
bambino sacrificato, aveva scritto Le Reynie, era stato portato da una donna
(che aveva ricevuto da Guibourg uno scudo) e il sangue gli era stato estratto
dalla gola con un temperino (altri indicano uno spillone) e versato nel calice;
il corpo del bambino era stato poi portato in altro posto, dove gli erno stati
presi il cuore e le interiora per le polveri da dare alla Montespan, che le
avrebbe fatte prendere al re e al delfino.
La
seconda messa, recitata sul corpo della Montespan, ebbe luogo in una casupola
squallida; lei era distesa nuda su un matarasso,
con la testa sostenuta da un guanciale posto su una sedia rivoltata, le gambe
pendenti.
La
terza ebbe luoo in una casa di Parigi, dove Guibourg fu condotto con gli occhi
bendati e dopo la cerimonia fu riportato via alla stessa maniera.
Probabilmente
impressionata dal veder sgozzati tre bambini, la Montespan non volle più
partecipare a messe nere che furono dette secondo le sue intenzioni, vale a
dire sostituendola.
Guibourg
le celebrava sul corpo di una ragazza nuda (di otto-nove anni), che sostituva
la Montespan; durante la celebrazione non mancavano baci impudichi del
celebrante ... che terminava la messa con un rapporto completo; l’abate aveva
detto che celebrava queste messe con la stessa ragazza da cinque anni e aveva
sacrificato tre ragazzi.
Per
questi massacri di bambini a Parigi vi erano stati dei disordini (1676), che si
diceva fossero allevati per essere sgozzati; ma come si vede, si continuava a
sgozzarli; si trattava di bambini abbandonati da ragazze madri o da donne
povere che non potevano allevarli: molte indovine furono accusate di aver
sgozzato in queste pratiche mostruose propri bambini; la stessa figlia della
Voisin, sul punto di partorire, non fidandosi della madre, si era allontanata
dalla casa e vi era tornata solo dopo aver messo al sicuro il suo bambino.
In
questo periodo il giornale della salute
di Luigi XIV riportava che il re soffriva di forti mal di testa e verso la fine
del 1673 era stato colpito da tale stordimento, da temere per la sua vita (per sua
fortuna il re aveva una salute di ferro ndr.!).
C’è
da chiedersi come la Montespan facesse arrivare le polveri al re, che era
circondato da (officier du gobelet),
guardie addette al controllo dei suoi piatti che non permettevano alla
Montespan che si avvicinasse; ma lei vi riusciva ugualmente.
Davvero
raccapricciante se a queste mostrosità vi ricorrevano persone colte, come la
Montespan che doveva aver perso la testa se, come vedremo, oltre alla Fontange
voleva avvelenare lo stesso re.
La
duchessa di Vivonne, sua cognata, che mirava a sua volta a sostituirla, aveva
firmato un patto con la duchessa d’Angouléme e madame de Vitry, per la morte
della Montespan. Eppure costei, con tutto questo suo
gran daffare, tra messe nere e polveri, non aveva ottenuto altro ... all’infuori
della morte naturale della Fontanges (v. sotto).
Il
rapporto del re con la Montespan era durato tredici anni (1667 al 1680), e il
re le aveva graziosamente consentito di continuare a vivere a Versailles (a
parte la sostituzione del suo appartamento di venti vani al primo piano che era
più grande di quello della regina, con uno di undici vani al secondo piano), quando
i rapporti erano cessati e il re si era dedicato al nuovo rapporto con la
Fontanges, durato quanto l’apparizione di una meteora e poi della Maintenon; ma leicontinuava
a vedere il re e a uscire al seguito della carrozza della regina e della Maintenon e il
popolo, quando le vedeva passare le chiamava le tre regine; rimase a Versailles fino al 1691, quando decise di
andare presso la comunità di san Giuseppe, da lei fondata.
Le
gelose rivali della Montespan, avevano fatto ciò che lei aveva fatto per
eliminare La Valliére: si erano rivolte ai maghi; queste erano la duchessa
d'Angouléme, m.me de Vitry e la cognata Antoinette de Mesme, duchessa de
Vivonnne, contro la quale il re non permise che fosse perseguita (per i
veleni), in quanto legata da parentela alla Montespan; probabilmente vi era
stata la opposizione anche di
Colbert che aveva una
delle sue figlie sposata al duca di Mortemart, figlio della duchessa.
I SOSPETTI SUGLI
AVVELENAMENTI
CADONO SULLA
CONTESSA DI
SOISSONS
U |
n
incidente verificatosi nel 1680 aveva preoccupato La Reynie e Luigi XIV;
riguardava de Lamoignon che aveva diretto il processo della Brinvilliers, morto
all’improvviso e come si verificava in questi casi, si riteneva fosse stato avvelenato.
La
Reynie aveva interrogato il figlio del magistrato il quale gli aveva detto che
il padre si era impegnato molto in quell’affare (dei veleni) e aveva trovato
qualcosa in madame de Soissons (Olympia Mancini, nipote del cardinale Mazzarino
v. sotto) che nella sua testimonianza aveva mostrato un profondo risentimento;
ma questo incidente non aveva avuto seguito e i sospetti erano caduti in quanto madame de
Soissons, lascerà la Francia.
Anche
Nicolas Fouquet (v. P. I), il celebre ministro di Luigi XIV che con Colbert
aveva reso un grande servigio al suo re e al suo paese, moriva all'improvviso nello
stesso periodo. I suoi nemici lo accusavano di voler avvelenare Colbert e il
re, e lo considerevano come sospetto di avere dimestichezza con i veleni e
anche di aver avvelenato il defunto cardinale Mazzarino (che invece era morto
di malattia venerea ex immodica venere),
ma ciò era entrato a far parte delle facezie raccontate per divertimento nelle Mazarinade.
Fouquet
aveva dato adito a queste voci in quanto durante il processo della
Brinvillieres era emerso che conosceva un farmacista esperto in veleni, che si
recava annualmente in Italia per suo conto ... e anche i complici della Voisin
durante gli interrogatori tirarono fuori il suo nome!
Anche
un prete di nome Davot che era stato impiccato e bruciato, aveva dichiarato che
un parente di Fouquet, consigliere al parlamento, morto nel 1679, gli aveva
chiesto del veleno per vendicarsi.
Sulla
base di queste
dichiarazioni inattendibili per esser fatte sotto tortura, si istruivano i
processi e proprio nei confronti di un uomo e una donna noti (dell'uomo non fu
rivelata l’identità, la dama era la duchessa di Vivonne), furono accusati di
voler far morire il re e Colbert far prendere il potere da Fouquet: era stata
proprio la Filastre che sotto tortura aveva accusato la duchessa di Vivonne ...
che aveva avanzato una simile richiesta al diavolo!
Fouquet
era in pessime
condizioni di salute: egli lamentava di avere le gambe gonfie, la sciatica, le
coliche, le emorroidi, i calcoli, la renella, senza contare i raffreddori, il
mal di testa, i flussi, i ronzii alle orcchie, gli occhi perduti e deboli, i
denti minati. La cosa più giusta da fare, aggiungeva, sarebbe quella di
lasciare interamente la cura del corpo e di pensare all'anima.
Fouquet
moriva il 6 Aprile 1680 e la sua morte ufficiale (e
vera) era per apoplessia, ossia infarto (con i sintomi del vomito, senza
vomitare come aveva riferito la Sévigné).
Nel frattempo i mesi scorrevano e le prove che giustificavano
i primi sospetti nei confronti di madame de Montespan si andavano perdendo e La
Reynie dichiarava di non poter percepire lo spesssore delle tenebre da cui era
avvolto, e chiedeva tempo per venire a capo di questo maledetto affare, perso
nel labirinto delle denunce alle quali aveva il torto di dare una importanza
esagerata.
La
stampa, di questi fatti, non dava notizie: le gazzette straniere, annunciavano
a intervalli, la condanna o il supplizio di qualche volgare accusato; ma era
tutto e non traspariva alcun dettaglio; La
Gazette de France, l’organo ufficiale
della Corte, osservava il silenzio più assoluto; per essa la Camera ardente non
esisteva; parlava lungamente delle piccole feste reali, delle passeggiate della
regina, delle visite del delfino, delle
cerimonie religiose, di tutto ciò che avveniva nel regno del Siam, in Cina, in
Turchia e a Mosca e non si asteneva che su un punto: quello che interessava
maggiormente l’opinione pubblica.
Dovette
intervenire Colbert per smuovere questa situazione che non poteva essere
prolungata senza compromettere le signore Montespan, de Vivonne e la stessa
regalità; egli scrisse una lettera all’avvocato Claude Duplessis (febbraio
1681), l'avvocato consulente di Colbert, al quale comunicava tramite La Reynie
i verbali degli interrogatori che costiuivano un dedalo da cui era difficile
uscirne.
Colbert
(genericamente) riferiva di aver
esaminato la memoria (mandatagli dall’avvocato) che mi avete inviato; mentre l’avvocato gli faceva, tra l’altro,
notare, che la lunga durata della
detenzione, il gran numero degli accusati (ricordiamo che i testimoni sotto
tortura accusavano un gran numero di persone), avevano dato loro la possibilità di comunicare tra di loro e suggerire
idee e compromettere personaggi di rango elevato.
Secondo
Colbert, vi erano tre modi per uscirne: giudicare qualche accusato dei più
compromessi come Lesage, Guibourg e la figlia della Voisin (la madre era già
finita sul patibolo); e infine mandare tutte le altre canaglie in Canada, a
Cayenne, nelle isole d’America e a Saint-Dominique. Ma egli avrebbe
personalmente preferito mandare una ventina di monaci colpevoli in qualche
prigione vicino Parigi e mettere il resto nelle segrete pù rigorose.
Scrive
Pierre Clement (in La Police del Louis
XIV, Paris, 1880): le memorie di Duplessis a Colbert, esistono ancora e
sono curiose da interrogare; dopo aver riassunto le deposizioni principali
contro madame Montespan, deposizioni che egli qualifica esecrabili calunnie (si era ritenuto che con le polveri madame de
Montespan intendesse attentare alla vita del re), deposizioni che non avevano
altro scopo di sviare la giustizia; che, se madame de Montespan si fosse
realmente compromessa con pratiche infami con la Voisin, costei non le aveva
revocate quando era sul punto di comparire innanzi a Dio e non aveva più motivo di pensare alla sua salvezza.
Le
denunce fatte dalla figlia, dopo la morte di sua madre (che la Montespan voleva
attentare alla vita del re), erano state smentite da diversi testimoni; che,
ammettendo che ciò che aveva detto fosse vero, i rapporti tra la Montespan e
Voisin erano durati da cinque a sei anni, durante i quali la Voisin aveva
ricevuto numerose visite della signorina Desœillets, damigella
di compagnia della Montespan, che riceveva dalla Voisin le polveri magiche
tutte le volte che la Montespan sentiva di cadere dalle buone grazie del re.
Come
concepire il disegno di avvelenare una persona che l’amava più della sua vita?
E Sua Maestà che conosceva madame de Montespan fino al fondo dell’anima, non si
sarebbe mai persuaso che lei fosse capace di questo abominio.
Ma
si era ritenuto che facendo prendere al re le
polveri d’amore, preparate con la velenosissima cantaride, l’impalpabile
veleno dei Borgia, polvere essiccata di talpa, sangue essiccato di pipistrello,
con altri ignobili ingredienti, come aveva testimoniato Margherita Monvoisin,
figlia della Voisin, che la madre aveva dato alla Montespan (da far prendere al
re durante i pasti) in dosi troppo forti, a dire dei medici, avrebbero avuto
l’effetto di un vero veleno.
*) Vi era anche un metodo con un modo di procedere diverso.
meno cruento, eseguito a distanza con sostituzione della persona che si
intendeva colpire, ricorrendo al sortilegio
con una figura di cera dell’interessato. Il mago Lesage aveva una figura di
cera del re che diceva che intendeva far morire: La moglie del presidente
Leféron trovava il marito noioso, avaro ... e insufficiente; giunta a
cinquant’anni si innamorò follemente del sig. de Prade e questo dei suoi
danari. La Voisin con la somma di ventimila lire pagate dal de Prade, diede
alla signora delle fiale e una figura di cera vergine in una scatola di ferro,
che ogni tanto doveva far
riscaldare, per riscaldare il cuore della Leféron; le fiale
produssero il loro effetto ... il presidente spirò l’8 settembre 1669 e la
Leféron sposò de Prade!
CESSA L’ATTIVITA’
DELLA
CAMERA ARDENTE
L |
a Camera dell'Arsenale detta Camera Ardente o dei
veleni, istituita nell'aprile 1679 è sciolta a luglio 1682. Prima che fosse
sciolta (nel mese di gugno) era stata emanata una ordinanza che nel preambolo,
riconosceva che “un gran numero di maghi e incantatori venuti
in Francia da paesi stranieri avevano creato molti inganni e vittime suscitando
vane curiosità e superstizioni mescolando alla empietà e ai sacrilegi i
malefici e i veleni”.
Per rimediare al male, il re ingiungeva agli
indovini e indovine di lasciare immediatamente il regno e comminnava la pena di
morte contro chiuunque celebrasse messe sacrileghe e abominevoli che avevano
procurato uno dei maggiori scandali del preocesso che si era venuto a
giudicare.
Un articolo dell'ordinanza (art.6) dava atto delle
incertezze della giustizia sull'azione di certi misteriosi veleni e precisava:
“Saranno annoverati tra i veleni non solo
quelli che possono causare la morte immediata e violenta, ma anche quelli che
alterando poco a poco la salute, causano malattie, sia
che i detti veleni siano semplici o naturali, sia che siano composti e fatti da
mani esperte”. Un altro articolo regolava la vendita dell'arsenico, del
realgar, orpimeto e
del sublimato. Infine veniva vietato
l'impiego, come medicamento, di animali velenosi come serpenti, rane, vipere e
altro, a meno di speciale autorizzazione.
Queste disposizioni confermavano la preoccupazione
delle autorità, spesso ripetute, relativamente alle polveri amorose, che
potevano procurare la morte.
E’
così che in queste circostanze la gente più vile appoggiava la favorita e a Corte
ministri e cortigiani che le erano più favorevoli non la passarono impunemente
e molti nomi di grandi dame vennero accostati
ad accuse infamanti: All'epoca però
l'intera faccenda era rimasta avvolta nel mistero in quanto i verbali erano stati
bruciati dal re in persona, e soltanto per la meticolosità del capo della
polizia La Reynie che aveva annotato tutto in documenti personali, scoperti
all'inizio del '900, si sono potuti ricostruire tutti i particolari. La stessa
m.me de Sevigné al corrente di tutto ciò che succedeva presso la Corte, ignorava
in maniera assoluta la questione che si era sollevata attorno agli
avvelenamenti.
Quando
la Camera dell'Arsenale aveva terminato la sua opera, su duecentoventisei
arrestati (alcuni arbitrariamente senza mandato), trentasei erano morti o sotto
tortura o giustiziati, gli altri erano rimasti nelle prigioni di Stato, un
piccolo numero come la duchessa di Buglione e il duca del Lussemburgo, erano stati
esiliati.
Per tutto questo, La Reynie si era attirato mille inimicizie; la famiglia di Buglione era tra le più irritate; la duchessa era accusata di essersi recata dalla Voisin per chiederle di sbarazzarsi del marito.
Maria-Anna
Mancini duchessa di Buglione voleva effettivamente disfarsi del vecchio marito che
l'annoiava, per sposare il giovane duca di Vendôme e il duca
era stato personalmente avvertito dal re.
Ma
il giorno dell'interrogatorio (cit. Funck-Brentano) la duchessa si era recata
all'Arsenale accompagnata dal marito, seguita da un corteo di venti carrozze,
ricevuta da parenti, amici e amiche con adorazione, tanto era graziosa,
candida, spontanea, audace, di buon'aria e di spirito tranquillo.
Convocata,
era entrata nella Camera, riferiva m.me de Sevigné, come una piccola regina;
dopo essersi seduta chiese che fosse scritto ciò che diceva: “Che era venuta per rispetto del re e non
della Camera che lei non riconosceva, attenendosi al privilegio dei duchi (che
consisteva nell’essere giudicati dal Parlamento a Camere riunite): E non
pronunziò parola fino a quando il cancelliere non aveva finito di scrivere.
Alla
prima domanda: Conoscete la Vigoreaux?; lei iniziò a
togliersi il guanto, mostrando una bella mano e rispose: No. Conoscete la
Voisin? Sì. Perché volete disfarvi di vostro marito? Non avete che da chiedere
a lui, se ne sia persuaso. Perché andate così spesso dalla Voisin? Per vedere
le Sibille, come lei mi ha promesso; questa compagnia merita bene qualsiasi
passo. Lei ha mostrato a questa donna un sacco d’argento. Rispose di no, e per
più di una ragione, con un gran sorriso e gran disprezzo. E aggiunse. Veramente
non avrei mai creduto che degli uomini colti potessero chiedere tante
stupidggini.
Poi
giunse La Reynie, il quale, tra le altre domande, le chiese se dalle
fattucchiere avesse mai visto il diavolo. Sì, rispose la duchessa; “lo vedo in questo momento, brutto, vecchio e
camuffato da consigliere di Stato”; la risposta si diffuse fuori della
Camera e divertì la Corte e tutta Parigi.
LUIGI XIV
SI DEDICA
AD ALTRI AMORI
I |
n questo periodo erano tre le donne che si
disputavano il cuore del re, m.me de Montespan, m.lle de Fontange e, in
riserva, l'astro nascente, madame de
Maintenon.
Quanto a m.me de Montespan, divorata dalla gelosia,
dalla ambizaione, dalla vanità, (Saint-Simon la considerava molto devota e giocatrice sfrenata: bruciava somme di danaro
inconcepibili: in una serata aveva perso 100mila écus (un milione e mezzo 1859)
e durante un Natale ne perdette settecentomila (dieci milioni del 1850); su tre
carte aveva puntato 150 pistole (sette milioni di franchi del 1850) e li aveva
vinti: si stordiva con i suoi trionfi che dovevano essere effimeri e sarebbero
stati seguiti da giorni trissti e crudeli.
Essi
giunsero nel 1679 quando aveva chiesto all'abate Gobelin di pregare per lei (che aveva
quarant’anni) e per il re che si trovava
sull'orlo di un grande precipizio e il precipizio era rappresentato dall'arrivo
a Corte della (diciottenne)
Fontanges.
Ebbe il mortale dispiacere, dopo essere stata per
dodici anni la più imperiosa e arrogante delle regine dei capricci, di vedere
tutti gli omaggi rivolgersi verso la rivale da lei introdotta nel tempio, che
aveva quelle qualità che a lei mancavano: la moderazione, la dolcezza, la
saggezza.
Bella, limpida, radiosa, di una eleganza regale,
squisita nei modi e raffinata nella conversazione, spensierata e gioiosa,
raggiante e gloriosa,
affascinante, la Montespan aveva dominato la Corte di Francia ed
era stata l'orribile cliente dell'abate Guibourg, della Voisin e della Filastre.
Nella situazione in cui era caduta, la dignità
avrebbe voluto che lasciasse immediatamente la corte, ma come lasciare un luogo
dove era stata sovrana assoluta e dopo essere stata tutto, abituarsi a non
essere più niente?
Luigi continuò a riceverla in pubblice, le rendeva
delle visite che potevano colpire certamente lo spettatore superficiale ma
occhi esercitati potevano notare i profondi cambiamenti che si erano operati sotto le
apparenze esteriori: vi era chi aveva notato che la trattava con rudezza, chi
con disprezzo. Ma ebbe la forza di resistere per dieci anni, quando nel 1691 si
trasferì nella comunità di s. Giuseppe da lei fondata a Parigi, con una
pensione reale di dieci mila pistole (cinquecentomila franchi del 1850) al mese
(la morale comune per queste amanti che offrivano la disponibilità del proprio
corpo, secondo gli insegnamenti cristiani, riteneva di ottenere la redenzione
... dedicadosi a opere religiose o fondando monasteri! ndr.).
La Fontange
era la favorita del momento e la preferita ed era quindi nel periodo del suo
maggior splendore e otteneva dal re tutti i favori, al di sopra di ogni
immaginazione.
La sua bellezza era fuori dall’ordinario; la principessa Palatina della quale la Fontanges
era damigella d'onore, aveva detto "che
era decisamente
rossa ma bella dalla testa ai piedi" (altre descrizioni la indicavano
bionda).
La sua apparizione era stata quella di una meteora:
aveva diciannove anni quando nel mese di
giugno 1680 lasciò la Corte per recarsi prima nell'abbazia di Chelles e
successivamente nell'abbazia di Port Royal, dove l'anno successivo fu stroncata
dal male che si era impossessato di lei, probabilmente aggravato dalla polvere
di veleno che nadame de Vivonne non si era fatto scrupolo di propinarle, per
sbarazzarsi di una rivale.
La duchessa di Fontanges aveva avuto un istante di
splendore senza pari, ottenendo per qualche mese ciò che era al di sopra della
più fervida immaginazione si potesse desiderare. Funck-Brentano aveva scritto
che: “Nessuno dei capricci del re aveva
avuto uno scoppio così imprevisto, così abbagliante, così fuggitivo e sembrava
di leggere un rascconto delle Mille e una notte”.
Dopo appena un mese dal ballo mascherato a
Villers-Cutterets dato da Monsieur, dove
il re aveva incontrato m.lle de Fontanges, era stata creata duchessa con un
appannaggio di ventimila ecus; aveva ricevuto i complimenti nel suo letto..."come era più che naturale", aveva
scritto M.me de Sévigné; madame de Montespan era furiosa; si può immaginare la
sofferenza per l'orgoglio ferito e ancor più oltraggiato per i favori concessi
alla Fontanges.
Tutti i favori della giovane duchessa caddero
altrettanto rapidamente; la grande impalcatura fatta di pensioni, diamanti,
titolo di duchessa, non potevano altrimenti consolarla. Rimase bella come il giorno fino alla fine, aveva scritto Saint
Simon, la sua tavola che era imbandita
fino all'eccesso, era divenuta frugale, poco per volta si era disfatta di tutti
i suoi averi con atti di liberalità e fondazioni di pietà per i poveri.
Nel mese di luglio 1680 partì per l'abbazia di
Chelles accompagnata da quattro carrozze da sei cavalli, la sua
era da otto cavalli, in cui erano le sue sorelle ammantate di tristezza.
Qualche tempo dopo la povera duchessa
moriva il 28 giugno 1681 dopo
aver languito per un anno, convinta di essere stata avvelenata, ma moriva per una pleuro-polmomìnite di origine
tubercolare, all'età di ventidue anni; dieci anni prima aveva fatto lo stesso scalpore
la morte di Enrichetta d’Orleans (1644-1670) moglie di Monsieur, il fratello di Luigi XIV, Filippo d’Orleans.
Figlia di Carlo I d’Inghilterra e sorella di Carlo
II (da non confondere con Carlo II di Spagna, v. sotto) e Giacomo II, lei
stessa riteneva di essere stata avvelenata dal cavaliere di Lorena, per motivi politici, in quanto nel 1670 era
riuscita a far firmare dal fratello Carlo II, il Trattato di Douvres, che assicurava a Luigi XIV l’alleanza
dell’Inghilterra contro l’Olanda, permettendo la conquista da parte della
Francia, delle Fiandre e della Franca Contea; ma vi erano stati sospetti di avvelenamento anche
da parte di Monsieur; invece soffriva
di stomaco e gli ultimi tempi non riusciva a mangiare se non bevendo latte di
asina e fisicamente si era ridotta a uno spettro. Luigi XIV, convinto della stessa idea dei medici,
volle evitare che fosse eseguita un’autopsia; comunque
secondo i medici la morte era stata naturale.
L’interesse
del re nei confronti della Maintenon era determinato da un approccio
completamente diverso da tutte le altre che l'avevano preceduto, quello
dell'amicizia e della conversazione (v. Amanti
e favorite del re Sole ecc.).
Ecco l'opinione di m.me Du Deffande sulla
Maintenon:
“Non è per
niente falsa, ma è secca, austera, insensibile, senza passioni; essa racconta
tutti gli avvenimenti del tempo, spaventosi per la Francia e la Spagna, come se
non avesse un interesse particolare: essa ha più l'aria della noia che
dell'interesse.
Le
sue lettere sono riflessive, di uno stile vigoroso e semplice, ma non sono per nulla
animate (direi: non hanno anima o sono
senz'anima) e certamente non sono piacevoli come quelle della Sévigné in cui
tutto è passione, tutto è azione; essa prende parte a tutto, tutto la
coinvolge, tutto la interessa.
M.me
de Maintenon, al contrario, racconta i più grandi avvenimenti in cui aveva
giocato un ruolo, con il più perfetto sangue freddo; con questo suo carattere,
non animava né il re (divenuto malinconico e religioso! ndr.), né i suoi amici, nè i suoi parenti e neanche se stessa; senza
sentimenti, senza immaginazione non si faceva illusioni, conosceva il valore
intrinseco di tutte le cose, essa si annoia della vita e dice: Non vi è che la
morte che pone nettamente termine alla tristezza e alle sventure. Un tratto che
mi piace di lei è
che è dotata di tanta rettitudine e di virtù, e non ha molta opinione del suo
spirito, poca stima del suo cuore e nessun gusto per la sua persona”.
A CORTE
BRILLANO LE NIPOTI
DEL CARDINALE
MAZZARINO
«Non
brillavano in virtù ma erano tutte di spirito, di gusto, di bellezza,
e
offrivano a una penna delicata e
sognante, fisionomie originali»
(Hyppolite Lucas, Siècle 5 août 1857)
I |
l
cardinale Giulio Mazzarino, dal fisico prestante, con una memoria sorprendente
e uno spirito pronto e penetrante, dopo gli studi, che non potevano essere stati
che brillanti e avevano fatto onore ai suoi maestri, seguiti presso i gesuiti a
Roma.
A
diciassette anni aveva seguito l’abate Girolamo Colonna (poi cardinale) figlio
del Connestabile in carica, in Spagna, per approfondire gli studi presso
l’Università di Alcalà. Tornato all’età di venti anni (intorno al 1622). aveva
servito come capitano nell’esercito pontificio in Valtellina, dove era entrato
in rapporti con i francesi e con il cardinale Richelieu; al suo ritorno il
papa, soddisfatto del lavoro reso, lo nominò vice legato di Avignone e nunzio
stratordinario alla Corte di Francia.
Il
padre Pietro Mazzarino, proveniente da Mazzara, era stato assunto dai Colonna, e dando prova di
buona amministrazione era divenuto loro fattore; rimasto vedovo di Ortensia
Bufalini, aveva sposato Ortensia Orsini, del nobile casato.
Verso
il 1634, prima di lasciare Roma, Giulio aveva pensato di sistemare le sue due
sorelle. La prima, Margherita, sposava Girolamo Martinozzi, la seconda Girolama,
sposava Lorenzo Mancini, barone romano (Amedée Renée, Les néces de Mazarin, 1857).
Dopo
essere stato due anni ad Avignone tornò a Roma e grazie al cardinale Antonio
Barberini e forse a Richelieu, fu nominato nunzio straordinario in Francia.
Giunse
a Parigi (1639) nella carrozzza che gli aveva mandato il re, preceduto dai suoi
gentiluomini e laquais, riccamente
vestiti con le sue livree ... seguito da centoventi carrozze!
Seppur
disprezzato come “gredin de Sicile” (mascalzone
di Sicilia) dal Condé,
incoronato come Luigi XIII, la regina se ne era invaghita; alla morte del
re, Richelieu lo faceva nominare cardinale (1641) e alla sua morte lo designava
come suo successore; la regina era stata nominata reggente del futuro Luig XIV e Mazzarino prendeva
nelle sue mani le redini del potere.
Passsati
alcuni anni, la sorella Mancini aveva avuto dieci figli e il cardinale le chiedeva
due femmine e un maschio e alla Martinozzi chiedeva la figlia maggiore.
Arrivarono
due piccole Mancini; Laura, di dodici-tredici anni, gradevole bruna dal bel viso e
Olympia, bruna, con il viso lungo e il mento appuntito; i suoi occhi erano
piccoli ma vivi; era da sperare che l’età li avrebbe resi più gradevoli; e una Martinozzi,
Anna-Maria, bionda; tutte e tre furono affidate alla governante del re e di suo
fratello come principesse reali; le altre sorelle le raggiungeranno dopo cinque
anni.
A
Corte non solo la regina, ma tutti, erano curiosi di vederle; il commento più
acido era stato del maresciallo Villeroy che aveva detto: “Ecco delle signorine che attualmente non sono ricche ma che avranno
bei castelli, buone rendite. belle pietre preziose, vasellame d’argento e può
darsi, grandi dignità”. In effetti giunsero richieste di matrimonio dalle
maggiori case aristocratiche di Francia.
Il
cardinale per stare vicino alla regina si era trasferito a Corte (al Louvre)
con i nipoti (dai cognomi sconosciuti: Mancini e Martinozzi) educati a palazzo
reale con i principi del sangue; l’incarico di governante era stato assegnato a
una Rochefoucault.
Era
il periodo della Fronda, le Mazarinate
fecero scempio, in versi, di tutto il peggio di ciò che si poteva dire sul
cardinale e sulle sue nipoti: come caratteristica familiare, erano tutti privi del senso
morale, lo si vide dalla rapacità del cardinale, che in venti anni, aveva
accumulato una enorme ricchezza.
Il
re aveva vent’anni e eveva avuto il suo battesimo erotico con madame de
Beauvais, donna di camera di sua madre, detta Cateau la Borgnesse (per avere un difetto oculare); poi con una figlia del giardiniere, con
una duchessa di grande e lunga esperienza, m.me de Chatillon, ma non aveva mai
amato nessuna, forse per timidezza; spesso era preso dalle lacrime che non
riusciva a dominare, dirà poi la Maintenon.
Col
trattato dei Pirenei (1659) si stabiliva il matrimonio di Luigi XIV con
l’infanta Maria Teresa (1638-1683), figlia di Filippo IV e il matrimonio ebbe
luogo nel 1660.
Sebbene
avesse ereditato i caratteri somatici dei Borbone (non era affetta da
prognatismo e aveva il viso rotondo) Maria-Teresa non aveva la bellezza
prorompente di Maria; era infatti una bionda scialba, con i denti malandati che
contrastavano con quelli abbaglianti di Maria e con i suoi occhi di fuoco.
Quando si accorse dei sentimenti del re, presa da gelosia, spinse il re a
prendere la decisione di farla sposare.
Delle
prime due sorelle, Anna-Maria Martinozzi sposava (1564) il principe Armando di
Contì, fratello del Condé, con un matrimonio da favola; la sposa aveva avuto dallo zio una dote di
duecentomila scudi e cinquantamila avuti dalla generosità del re; il principe aveva una bella figura ornata di bei
capelli, ma era piccolo e gobbo; al matrimonio erano presenti il re e la
regina, il duca d’Anjou e tutti gli altri principi e gran signori della corte;
la regina volle concedere alla sposa di metterla a letto; Laura Martinozzi,
duchessa di Mercoeur, diveniva reggente di Modena.
Olympia,
la terza, aveva la stessa età del re, era bruna con il viso lungo e il mento a
punta, gli occhi piccoli ma vivi, ritenuta nella pubblica opinione, facesse
ricorso ai veleni.
Maria-Anna
(1639-1715), la quarta delle sorelle, dagli occhi grandi, neri e lucenti come
diamanti, si fece amare da Luigi ancora ragazzo e fu il primo amore che
infranse il suo cuore precoce. Sembra, diceva m.me de Motteville, che lei
stessa fosse innamorata sinceramente e appassionatamente del giovane re, più di
quello che avesse voluto suo zio cardinale, che aveva altri progetti e gli
resistette fino al matrimonio del re con Maria-Teresa Infanta di Spagna .
Il
re volle che Maria andasse a Milano a sposare il Connestabile di Napoli, Lorenzo
Colonna. Lei obbedì, ma dopo aver dato al connestabile tre
figli maschi, tornò in in Francia in
abiti maschili ma il re le fece interdire il soggiorno a Parigi e fuggendo dal
marito che cercava di riacciuffarla per segregarla a Roma, andò a rinchiudersi
in un monastero di Spagna,.
La
quinta, Ortensia, duchessa di Mazzarino la più bella delle cinque, amata anche
dal re, sposò (1661) il duca de la Meillérie, che prese il nome e le armi di Mazzarino, quindi duc de Mazarin.
Questa
affascinante duchessa che era andata ad abitare nel castello di Chambery, ospitata
dal duca di Savoia e alla sua morte, partì per l’Inghilterra (1699), e morì a
Londra, dove aveva continuato nella sua vita sregolata con i vari amanti e
aveva riunito i più begli spiriti del tempo, tra i quali brillavano Saint-Real,
Saint-Evremont, Gragorio Leti, Vessio; il re Carlo II fu in questa piccola
corte di Chelsea, il più appassionato degli adoratori.
La sesta,
Laura Mancini (considerata la più insignificante), sposava il duca di Vendôme. Dei maschi, il nipote
Paolo Mancini, giunto da Roma fu messo presso i gesuiti; ma Mazzarino vide
morire due nipoti Mancini; di maschi rimase Filippo, duca di Nevers che sposò
m.lle Thianges, nipote della Montespan, il quale seguì la strada letteraria; Voltaire,
lo aveva inserito senza difficoltà tra gli autori del suo secolo e gli aveva riservato
un posto nel Temple du Gout (Tempio
del Gusto).
MARIA
SPOSA
IL
CONNESTABILE
PRINCIPE
COLONNA
M |
aria
per un certo periodo era stata corteggiata dal principe Carlo di Lorena, che
era un uomo seducente e lei frequentandolo si era convinta a sposarlo, ma lo
zio cardinale, prima di morire, aveva preso accordi matrimoniali con il
connestabile Colonna e il re aveva voluto che questi accordi fossero
rispettati; quando era statto proposto a Maria di sposare il connestabile, lei
aveva risposto che non avrebbe sposato un italiano e scongiurò il re di farla
rimanere in Francia, ma il re insistette che gli accordi presi dal cardinale
dovessero essere rispettati; il re subiva anche le pressanti richieste dell’infanta
Maria-Teresa, appena sposata, che si lamentava delle attenzioni che le riservava
il re; Maria finì per accettare di sposare il connestabile.
Questa
carica prestigiosa, nella famiglia Colonna si trasmetteva da padre a figlio ed
ora la deteneva (era l’ottavo) Onofrio-Lorenzo Colonna (1637-1689), gran
signore d’Italia e di Spagna, giovane, bello, ben fatto, il quale si faceva
notare in tutti i giochi e tornei, con due magnifici palazzi a Roma.
Le
nozze furono celebrate (1661) nella cappella reale del Louvre, per procura e lo sposo era
rappresentato dal marchese Angelelli, la cerimonia celebrata dall’arcivescovo
d’Amasia. zio del connestabile alla presenza del re e della regina; il
cardinale aveva assegnato a Maria una rendita di mille lire che servirono a
rinfrescare il blasone dei Colonna che ne aveva gran bisogno e le donò un
palazzo che agli aveva a Roma, quindicimila lire per il viaggio e alcune pietre
preziose
Il
connestabile l’attendeva a Milano con i suoi parenti e Maria con il suo
numeroso seguito giunse a Milano dove il duca Gaetano, governatore di Milano la
condusse dalla marchesa Spinola che aveva preparato una magnifica cena.
Il
connestabile era desideroso di consumare il matrimonio la sera stessa; Maria
invece oltre alla stamchezza del viaggio era triste perché aveva dovuto
lasciare la Francia con tutti i ricordi degli anni passati, ma il connestabile
cercò di divertirla.
Egli
era piuttosto scettico
sull’amore del re per Maria e, come tutti gli italiani aveva una
cattiva opinione sulla libertà di cui godevano le donne in Francia, ma con sua
somma soorpresa e soddisfazione, aveva scritto la sorella Ortensia, si dovette
ricredere sulla inocenza dell’amore del re e volle che a Roma godesse della
stessa libertà, dal momento che sapeva bene come usarla (Lucien Perey, Le roman du grand roi, Paris, 1894).
OLYMPIA
SPOSA
IL
PRINCIPE DI CARIGNANO
CONTE DI SOISSONS
L |
a
terza, Olympia contessa di Soissons, aveva sposato il principe Eugenio-Maurizio
di Savoia del ramo di Carignano
figlio di Maria di Borbone e di
Tommaso di Carignano e aveva avuto tre figli maschi tra i quali il principe Eugenio
di Savoia, che dall’ età di vent’anni
era andato a mettersi al servizio dell’imperatore Leopoldo I, alla Corte
austriaca.
Se
Maria aveva la vera passione, Ortensia la bellezza trionfante, Olympia faceva
combattere a suo profitto la grazia insinuante e perfida dell'italiana. Ancora giovane si fece amare
dal re; non era bella, secondo la maggior parte dei contemporanei: bruna, aveva
il colore olivastro; il suo aspetto era da Bohéme, con i capelli neri come le
ali di un corvo, l’ardente pallore, gli occhi malinconici dallo sguardo
profondo, brillanvano di bellezza violenta e fascinatrice; il suo spirito era
ancora più affascinante della sua figura. "Il colore di un fumaiolo", aveva scritto M.me de Motteville, ma
per chi sapeva vedere, quei tratti allungati, quella figura da Boheme, quei
capelli neri come il carbone (che portavano a Corte una nota mediterranea ndr.), quell'ardente pallore, quegli
occhi scuri nello
stesso tempo profondi, brillanvao di una bellezza violenta e fascinatrice (cit. Renée).
Olympia
è stata la figura più strana e più discutibile delle sorelle, si può dire,
elevata da Luigi XIV; era stata lei e non l’amata Maria a far credere per un
momento che l’ambizioso Mazzarino volesse portare una delle sue nipoti
sul trono.
M.me de de la Fayette (riferiva cit. Rénée) aveva detto di lei: “E’ una persona che non può dirsi bella ma è fatta per piacere; il suo
spirito non ha niente di straordinario né troppo levigato ma è naturale e
gradevole”. Uno spirito di diavolo, oscuro, senza scrupoli, senza
preparazione, che non deve niente alle gentilezze.
Una
fatalità inseguiva la contessa di Soisson che ovunque apparisse, avvenissero
morti impreviste e inesplicabili e si formavano sempre due partiti; da una
parte vi era chi
la ritenueva colpevole e dall'altra chi
la riteneva estranea alle morti, come era nella realtà.
Ma
quando era fuggita da Parigi, giunta alle porte di Anversa e Namur dove l'aveva
preceduta la sua reputazione, era stata costretta a lasciare diverse città delle Fiandre
dov'era riconosciuta; aveva avuto la fortuna di incontrare il duca di Parma che
l'amava - pur avendo quarantadue anni era ancora bella - che la protesse contro
la popolazione indignata.
L'ambasciatore
francese conte di Rebenac, che era intervenuto in suo favore, in effetti aveva
deposto contro. Egli infatti, scriveva a Luigi XIV che
“presa da risentimento per l’ordine che
le era stato dato di ritirarsi nelle Fiandre, aveva deciso di sparlare della
regina e mettersi nelle braccia del conte d’Oropesa e del conte di Mansfeld che
erano i soli autori delle sue disgrazie. Questi due signori, sire – aggiungeva
Rebenac - la ritenevano persona irritata contro la regina di Spagna e gli
interessi di Vostra Maestà”.
Otto
anni dopo la ritroviamo alla corte di Spagna, strettamente legata
all'ambasciatore d'Austria e della regina, Louise d’Orleans, figlia
altrettanto sfortunata di Enrichetta d'Orleans; per volere di Luigi XVI, aveva dovuto
sposare il repellente e disgustoso re di Spagna, Carlo II (*); anche la sua morte improvvisa e precoce aveva
seriamente spaventato la corte di Luigi XIV in quanto si era sospettato che anche
lei fosse stata avvelenata.
Lo
stesso Luigi XIV aveva riferito che era morta mangiando una torta di anguille; con lei, aveva detto il re, erano morte la contessa di Pernitz, la
camerista Zapata, e Nina che avevano mangiato la stessa torta.
Ma
Voltaire che aveva sentito alcuni vecchi camerieri e costoro gli avevano
assicurato che era tutto falso e le tre dame erano invece sopravvissute alla
regina!
La
sua morte era apparsa improvvisa, ma il suo pessimo stato di salute escludeva
l’avvelenamento in quanto, da quando era giunta in Spagna soffriva di febbre
quartana (una versione di malaria che compariva ogni quattro giorni), e aveva
chiesto alle suore Carmelitane di darle un rimedio e le era stato dato un
rimedio che la faceva vomitare.
Dopo
la sua morte, il
medico della regina (Franchin), probabilmente limitato dalle
conoscenze scientifiche del tempo, era stato piuttosto reticente e non aveva
dato indicazioni plausibili, in quanto,
scrivendo a Luigi XIV, pur affermando che la regina era morta in una maniera orribile ... egli
aveva riscontrato che nel corso della malattia
(aveva anche aperto il corpo), dei "sintomi straordinari" che non poteva rivelare perché temeva
per la sua vita!
*)
V. sotto ultimo paragrafo.
MARIA-ANNA
MANCINI
DIVENTA
DUCHESSA
DI BUGLIONE
P |
assiamo
ora all’’ultima delle sorelle (la sesta), Maria-Anna Mancini de la Tour,
duchessa de Bullion.
Quando
La
duchessa, curiosa di novità, amava circondarsi di persone colte, artisti, poeti;
era presa da passione per il rimedio alla moda, la quinquina e chiedeva al suo poeta favorito, un poema in lode della
scorza salutare.
Era
lei e non m.me de la Sablière, come si riteneva, che aveva dato a La Fontaine
l’affascinante soprannome del “mio
novelliere”. Come le altre sorelle. lei aveva più grazia seducente che
virtù e nel suo feudo di Chateau-Thierry, si faceva leggere da lui qualcuno dei
suoi racconti erotici.
Maria-Anna senza pari, Ortensia senza
seconda; sono
dappertutto al primo rango nei versi del poeta riconoscente; travolte dalle turbolenze del 1680,
Maia-Anna Mancini (nata nel 1649), aveva sposato (1662) il più fine e raffinato
nipote di Turenne, Godefroy-Maurice de la Tour, duca di Buglione, gran
ciambellano del re.
Mazarin, des Amours déesse tutelaire (degli amori dea
tutelare, aveva scritto La Fontaine). Il suo spirito era dei più fini e
coltivati, tratto peraltro comune alle nipoti del cardinale. Maria Mancini,
moglie di Colonna, faceva parte del battaglione delle preziose; Ortensia, aveva
detto La Fontaine, faceva parte del cielo, la grazia, la bellezza, lo spirito:
non è tutto, le qualità del cuore; non è tutto, ancora ... (cit. Renée).
MARIA
ESTASIATA DAL
PALAZZO
COLONNA
E
DALLE LUMINARIE DI
PIAZZA
NAVONA
I |
l 30 giugno la
connestabile giunse davanti al palazzo Colonna dove
l’attendeva tutto il personale della Casa, Maria era rimasta sorpresa dalla
poca appariscenza dell’esterno, che in effetti, non rispondeva ai canoni di
magnificenza degli interni; ma entrata nel pianterreno, fu colpita dalle sale
immense meravigliosamente decorate di quadri di Albani, Carracci, Guido Reni,
Tiziano e dei più celebri pittori antichi. Vi era anche un gran numero di
pittori contemporanei come Claudio Lorrain, Gasparo, Salvator Rosa ed altri.
Nel
1620 il palazzo era stato restaurato da Filippo Colonna, il quale, per la
galleria aveva utilizzato i marmi di villa Colonna, provenienti dal tempio del
Sole che si elevava su questo colplesso. La più gran parte delle sculture che
ornanvano la galleria, erano provenienti dagli scavi della proprietà dei Colonna,
denominata le Frattocchie, presso Marino.
Nonostante
la debolezza per la malattia che l’aveva colpita durante il viaggio, dalla
quale si era ripresa, Maria non potette fare a meno di ammirare i mobili
stupendi dell’appartamento che le era stato assegnato, in cui si trovavano
riuniti mobili superbi
e i più preziosi oggetti d’arte, statue, tappezzerie e tutto ciò
che poteva incantare gli occhi.
Delle
fontane zampillanti messe nei quattro angoli delle grandi sale del pianoterra
creavano una gradevole frescura in contrasto con il caldo soffocante
dell’esterno.
La
stanchezza la obbligò a rmettersi a letto e appena messa nel letto dalle donne
che l’accompagnavano, le fu portato uno scrigno superbo, dipinto e scolpito in
cui si trovavano due piccoli cassetti arricchiti di pietre preziose. La
curiosità superò la stanchezza e fece aprire scrigno e cassetti; questi ultimi
contenevano superbi gioielli e nel fondo del secondo ,
una borsa di duecento pistole.
Questi
magnifici presenti erano stati inviati dal cardinale Girolamo Colonna (nominato
dal papa Urbano XIII), zio del connestabile, che chiedeva quando potesse essere
ricevuto e gli fu risposto che poteva venire quando gli piacesse; arrivò poco dopo;
la connestabile lo accolse con tanta grazia e a seduzione, che sapeva sfoderare
quando voleva, che il cardinale ne rimase così incatato da andarlo a riferire
al connestabile.
Il
principe si era discretamente ritirato nel suo appartamento e fece chiedere
alla moglie se intendeva essere servita nel suo
appartamento; Maria si scusò di non potersi alzare, ma fece chiedere al
connestabile se volesse recarsi a dividere il pasto con lei. Dall’incontro a Milano Maria non aveva
mai trattato il marito a questo modo.
Sembrava
che dall’ arrivo a Roma un vento di conciliazione e di tenerezza soffiasse su
Casa Colonna; ripresasi in salute Maria incominciò a ricevere le prime
principesse, seguendo l’ordine della severa etichetta seguita a Roma, che Maria,
allevata in Francia non conosceva ed erano cinque; il giorno seguente seguirono
le dame di secondo rango.
Maria
era imbevuta delle idee francesi, della sua alta posizione a Corte e della
vicinanza al re e alla regina; il connestabile aveva suggerito di andare a
visitare le nipoti del papa, Alessandro VII Chigi, per il bacio del piede di Sua Santità; Maria, abituata a vedere tutti i
giorni il re, si aspettava che fosse il papa a recarsi da lei per renderle la
visita, facendo ridere tutti gli astanti che le dissero che il santo padre non
faceva questo onore a nessuno. Il connestabile comunque vista la fermezza della
sua sposa sul cerimoniale, le suggerì di mantenerla; e
presto se ne presentò l’occasione, per una questione di precedenza.
Maria infatti, doveva recarsi con la principessa Chigi, nipote
del papa, al monastero di Campo Marzo e i rispettivi maestri delle cerimonie
avevano detto ad ambedue, che una dovesse andare dall’altra; e ciascuna era
rimasta al suo posto in attesaa dell’altra. L’attesa era durata parecchio, fino
all’ora della chiusura del monastero, con grande rincrescimento delle due dame.
Il connestabile, al suo rientro era stato informato dell’incidente e si era omplimentato
per la condotta di Maria, sebbene avesse creato delle difficoltà alle due magioni.
Si interposero i rispettivi parenti e la questi0ne fu così decisa: la
principessa Chigi con la propria carrozza e Maria con la sua, arrivassero
insieme al monastero; la colpa fu data agli sciagurati maestri delle cerimonie
e la pace fu ristabilita, ma, non mancheranno occasioni che faranno nascere
delle rivalità tra le due dame.
Maria
si sentiva toccata dai modi delicati usati dal connestabile che le lasciava la
libertà di vivere alla francese, vale a dire di uscire e ricevere visite quando
le pareva, con dispiacere dei mariti romani che trovavano ciò come cattivo
esempio per le loro mogli rinchiuse nei loro palazzi.
Un
giorno, verso la fine di una calda giornata di agosto la connestabile si stava
preparando per uscire, ma il connestabile la impegnò a ritardare la passeggiata e lei
rimase in casa fino a cena; finita la cena il connestabile le disse che
dovevano fare una passeggiata fino al lago, nelle vicinanze, che lei non
conoasceva. Maria, sorpresa lo seguì fino a un brusco tornante della strada
dove si offrì ai loro occhi,
uno spettacolo inatteso.
Era
un affascinante piccolo lago coperto di barche ornate di bandierine con le loro
cifre e tutte illuminate; su alcune vi erano musici e cantanti, sulle altre
torce brillanti che illuminavavo tutti i palazzi che affacciavano sul lago.
Un
battello più grande degli altri, coperto di rami e fiori e con musici,
attendeva il connestabile; dopo esser salito con il suo seguito, i musici
incominciarono a suonare la loro musica, e le piccole barche che li seguivano
lanciaciano da ogni parte una pioggia di fuoco. Poi tutte le luci si spensero e
si vide apparire nel cielo una luna così brillante da non potersi guardare, che
rischiarava tutto il lago. Era tenuta da corde invisibili fissate ai tetti dei
palazzi. Il lago non era che piazza Navona.
Da
far dimenticare a Madame, le feste di Fontanbleu e le delizie della Francia; ma
Fontainbleu era nel profondo del cuore di Maria che dopo un aborto aveva dato
al marito tre figli maschi, Filippo (1663), Marcantonio (1664) e Carlo (1665).
LA CRISI DEI
MATRIMONI DI
ORTENSIA E MARIA
S |
e
Ortensia aveva fatto un matrimonio all’apparenza brillante con il duca di
Meilleray che disponeva di grandi ricchezze, nella intimità le cose andavano
diversamente per il modo di comportarsi di Ortensia, con la sua civetteria, la
frivolezza, la completa assenza di senso morale che non erano comportamenti fatti
per piacere a un marito di per sé bigotto, estremamente geloso, di spirito
ristretto e avaro e per di più affetto da
instabilità mentale.
Nonostante
navigassero in questo tipo di rapporti, avevano avuto quattro figli, tre
femmine e un maschio, che Ortensia decise di lasciare per recarsi a Roma da sua sorella.
Si
era quindi recata dal re per chiedere il permesso, il quale a conoscenza dei
rapporti tra marito e moglie, non potendo redimere le loro controversie, le
accordò ventiquattro mila lire di pensione e dodicimila per spese di viaggio.
La
duchessa se ne fuggì all’insaputa del marito il quale
scoprendo la fuga, andò a lamentarsi con il re che non potette ricredersi.
Ortensia
aveva tenuto informata la sorella Maria che chiese al connestabile di andare a
incontrarla a Milano, ma il connestabile cercò in tutti i modi di dissuaderla,
allegando il caldo eccessivo; ma alla fine partirono nel mese di luglio (1668),
giungendo a Milano dopo sei giorni.
In
questo peirodo, governatore ad interim
di Milano, era il marchese Spinola di Balbasés che aveva per moglie la sorella
del connestabile; quando Maria vide Ortensia , sebbene
avesse una gamba fasciata per essere caduta da cavallo, la trovò più bella che
mai e Ortensia le trasmise l’umore e l’atmosfera della Francia.
Si
dovette attendere la sua guarigione per ripartire e i rapporti di Maria con la
cognata non erano dei migliori per degli screzi che sorgevano tra di loro; nel
frattempo giungeva a Milano anche il fratello duca di Nevers.
Ortensia
aveva avuto in prestito dal cavaliere di Rohan uno scudiero per scortarla, di
nome Courbeville, che lei aveva ribattezzato cavaliere, al quale si era dedicata fino al punto di vietare alla
sorella e al fratello di entrare nella sua camera quado Courbeville era con lei;
la sua presenza e i modi familiari con cui lo trattava, avevano dato luogo a
giustificati sospetti, che avevano fatto circolare a Milano dei versetti sul
loro conto; Maria era sorpresa e non poteva credere a un tale abbassamento della
sorella.
Maria
aveva scritto nel suo diario “di essere
così triste che chiesi al connestabile di poter andare con mia sorella e mio
fratello a Venezia, ma mi rispose di non poter partire così presto, non volendo
consetire che andassi senza di lui. La risposta e il modo in cui la pronunziò,
irritò il mio spirito che si predispose alla resistenza, sopratutto quando mi
accorsi che prendeva gusto a contraddirmi”.
La
sorella del connestabile propendeva per la loro conciliazione, il marchese
Spinola invece non la potreva soffrire in quanto non le perdonava che lei gli
avesse girato le spalle al loro primo incontro e per un gesto di sì poca
importanza, troverà il modo di vendicarsi in seguito.
Intanto
il connestabile cedette alle richieste di Maria e aveva consentito che partisse, quando
giunse il cardinale Chigi che si recava a Siena per una partita di caccia alla
quale invitò Maria e il connestabile, che partirono per Siena.
Il
cardinale era nipote del papa e cognato della principessa Chigi, rivale della
principessa Colonna di cui era grande ammiratore e lei era orgogliosa di avere
ai suoi piedi uno degli uomini più influenti di Roma.
Giunti
a Siena il cardinale offrì un magnifico pranzo e i due connestabili vi rimasero
quindici giorni; nel frattempo furono rggiunti da Ortensia con Courbeville e dal
fratello.
Il
duca di Nevers aveva rimproverato la sorella per le libertà che permetteva a Courbeville,
insolente nei modi e nelle maniere, minacciandola che
se avesse continuato avrebbe fatto saltare il preteso cavaliere dalla finestra;
Ortensia reagì in maniera così violenta contro il fratello, che questo se ne
partì per Venezia con grande dispiacere di Maria.
Tutta
l'alta società romana era al corrente dei cattivi rapporti che correvano tra il
connestabile e la moglie; il cattivo rapporto che regna tra i due, raccontava
la corrispondenza da Roma della Gazzetta di Leyda (21 Dicembre 1670), non è un
segreto per nessuno.
Le
principesse romane non le perdonavano le sue libertà che ad esse erano negate e
la gelosia che suscitava nel connestabile, gli davano facile motivo di
ricambiare.
Maria
aveva tempo di dedicarsi allo studio; aveva letto Seneca (in latino) e si
interessava di astrologia, passione ereditata dal padre, dedito anch'egli a
questa materia, il quale aveva previsto che Maria avrebbe creato grossi
preoblemi.
La
madre si occupava di scienze occulte sotto la direzione di un certo Tertii, celebre
in quest'epoca nell'arte di leggere negli astri. Tertii aveva pubblicato tre
volumi contenenti bizzarre predizioni, anagrammi e calcoli base sulla influenza
degli astri che non era l’opera di un cervello malato, ma di un gusto
particolare in cui emergevano i più distinti personaggi dell’epoca.
Le
infedeltà del marito risvegliarono in Maria tutti i ricordi del passato, le
tenerezze di Luigi XIV e la sua promessa che l’avrebbe protetta sempre e dappertutto.
Nella
primavera del 1671 Ortensia, duchessa Mazzarino, giunse a Roma, fuggita dal
marito; Maria trovò la sorella più bella che mai; ma Ortensia era giunta in un giorno
poco favorevole in quanto Maria si era purgata ed era stata presa da una
terribile colica che riuscì a limitare con i rimedi; in questa occasione, mentre
tutti gli amici di Maria avevano mostrato di preoccuparsi, il connestabile era
rimasto insensibile o almeno aveva dato questa impressione.
I
SOSPETTI DEL
BOCCON
E LA
FUGA DA ROMA
L |
a
malattia della principessa fece gran rumore a Roma e se ne parlò nelle gazzette;
la convalescenza fu lunga e un incidente venne ad aumentare le sue
preoccupazioni; la sua fedele Morena non l’aveva lasciata neanche un attimo
durante tutta la malattia; lei detestava il connestabile e non se ne conosceva
il motivo; in quel periodo era di moda un termine “dare il boccon”, essendo frequente che chi volesse sbarazzzarsi di
qualcuno ricorresse al veleno e tutti si munivano di controveleno, ricorrendo a
delle precauzioni al minimo sospetto.
Morena
era convinta che il connestabile volesse sbarazzarsi della moglie, sebbene non
vi fosse alcuna prova. Lei non vedeva che la sua padrona e sbirciando tra la
corrispondenza del connestabile, aveva preso una lettera che, trionfante, aveva
mostrato alla sua padrona;
Maria si rifiutava di leggerla, ma alle insistenze di Morena si
decise ad aprirla; questa riferiva al connestabile che, essendo sua moglie
malata, egli era fortunato ad aver avuto tre figli e gli suggeriva di prendere
un’altra moglie; chi scriveva diceva di potergliela presentare, ma occorreva
far presto (cit. Perey).
Questa
lettera l’aveva portata a credere (ma era solo una sua convinzione provocata
dai suoi desideri di ibertà! ndr.) che
il marito volesse avvelenarla e pensò di ricorrere alla protezione del re di Francia; tramite un suo
servo fedele che si trovava a Parigi, la connestabile scrisse a Monsieur (di
tutta la faccenda ne erano a conoscenza il cavaliere di Lorena e suo fratello
conte di Marsan), fratello del re, dicendogli come stavano le cose; il principe
mostrò la lettera al re che gli suscitò una forte emozione e assicurò il fratello
di far sapere alla principesssa che avrebbe trovato il modo di aiutarla.
Il
re informò il suo ambasciatore a Roma cardinale d’Estrées che il cavaliere di
Lorena e suo fratello erano convocati a Corte; giunti a Parigi il cavaliere fu
subito ricevuto in udienza privata dal re il quale, emozionato chiese in che
modo la principessa si potesse salvare dal pericolo che la minacciava: solo uno, rispose il cavaliere; favorire la
sua fuga e assicurarle asilo in Francia, promettendole di proteggerla contro le
imprese del marito.
Il
giorno seguente il cavaliere di Lorena ricevette da parte del re, un biglietto
e una lettera da inviare alla connestabile con cui le era promesso il
passaporto e la scorta quando avesse messo piede in Francia, indicandole il
luogo in cui sbarcare; a questa lettera il cavaliere di Lorena aggiunse la sua
e le lettere furono consegnate a un messaggero di fiducia che le portò a Roma; e Maria preparò
il suo piano di fuga.
Nel frattempo Maria veva stretto i rapporti con sua sorella e
le manifestò le sue intenzioni di fuga. Ortensia distolse fortemente la sorella
da questo progetto, facendole notare i motivi che l'avevano spinta a partire
per l'Italia, ma vedendo che Maria non aveva alcuna intenzione di rimanere a
Roma, acconsentì a organizzare la fuga.
Maria
aveva scritto nel suo diario: “La
violenza del connestabile, aggiunta all’avversione che avevo per i costumi
italiani e per il modo di vivere a Roma, dove la dissimulazione e l’odio tra le
prime famiglie regnano più che altrove, mi convinsero del disegno di ritirarmi
in Francia, il paese in cui ero stata allevata, dov’era la più gran parte dei
miei parenti e dove il mio genio era animato dalle novità”.
La
connestabile, scrisse al re ringraziandolo per l’appoggio che le aveva dato e
lo pregò di mandare all’intendente di Marsiglia il passaporto e le carte necessarie per
lei e la sorella; e gli chiese il permesso di abitare nel palazzo Mazzarino,
presso il fratello che era allìoscuro di questo progetto.
Ortensia
aveva un valletto di camera intelligente di nome Pellettier che l’accompagnava
dal momento della sua fuga, il quale fu incaricato di organizzare il viaggio
via mare e prenotare una feluca; recatosi
a Civitavecchia, prenotò il viaggio; la connestabile prese qualche gioiello e
la nota collana di perle, lasciando tutti gli altri gioielli dei Colonna ai
suoi figli, prese sette pistole del suo danaro personale e una piccola valigia
contenente qualche abito.
L’AVVENTUROSO
VIAGGIO
PER
MARSIGLIA
I |
l
29 maggio, approfittando dell’assenza del connestabile, le due sorelle si
recarono al palazzo Mazzarino, Maria con il suo servitore, Ortensia con il suo
e la fedele Morena. Dopo poco salirono su una carrozza dicendo al cocchiere di
andare a Frascati, per ingannare le persone che erano davanti al portone del
palazzo, ma dopo aver fatto un pò di strada, Pellettier che
aveva organizzato il viaggio, ordinò di andare a Civitavecchia, dove
arrivarono a notte fonda. Recatesi nel posto convenuto, non trovarono nessun
marinaio, per cui Pellettier andò alla ricerca dei marinai; loro due si
fermarono nel bosco prospiciente il mare dove si addormentarono; furono
svegliate all’alba da Pellettier il quale disse di non
aver trovato la barca.
Risalite
sulla carrozza questa percorse un sentiero che non si sapeva dove conducesse, i
cavalli arrancavano e malapena riuscivano a sostenersi per la stanchezza; Maria
disse al cocchiere di voler andare all’albergo, dove avrebbero cercato il modo
di imbarcarsi; giunte all’albergo che si trovava di fronte a Civitavecchia,
chiesero informazioni per imbaecarsi. Seguendo
le informazioni, dopo aver percorso una lunga strada battuta dal sole, si
fermarono presso una macchia boschiva, mentre Pellettier andò a cercare la
barca.
Maria
era ancora debole per la malattia e cinque ore di viaggio sotto il sole e
dodici senza mangiare la misero alla disperazione, da farle dire che voleva
tornare a Roma, piuttosto che morire di fame; ma la sorella la rincuorò
dicendole che entro mezz’ora avrebbero avuto una notizia favorevole e lei si
rincuorò. Entro un quarto d’ora sentirono i passi di un cavallo, era il
postiglione di ritorno che annunciava che erano attese a cinque miglia di
distanza.
Caricate
le valige sulla carrozza che non erano numerose nè pesanti, loro procedettero a
piedi sotto il sole in mezzo a una campagna aperta dove vedevano saltare le
vipere. Ortensia procedeva spedita e Maria la seguiva a grandi passi e nel
seguirla ogni tanto si fermava per un pò di riposo; la fame, la sete, la
stanchezza il caldo avevano fatto perdere le forze a Maria che pregò un uomo
che stava lavorando la terra di portarla per un centinaio di passi, vicino al
mare; con la sorella si erano cambiate d’abito in carrozza e aveva abiti
maschili, e aveva detto di essere un cacciatore che aveva perso il contatto con
i suoi amici; l’uomo si era rifiutato ma si persuase dopo aver ricevuto qualche
pistola; la prese in braccio e raggiunse
la sorella.
Presto giunse Pellettier che annunciava di aver prenotato un’altra barca per la somma di mille scudi, ma che non era soddisfatto né del padrone della barca né dei marinai che gli erano parsi persone malvage.; ma le sorelle gli risposero che
nel frattempo il postiglione Non ebbero altra soluzione di mandare Pellettier a
cercare la barca mentre loro si fermarono in un casolare: quando tornò
Pellettier disse che erano perduti, ma scherzava e Ortensia gli disse con
collera, che non era il momento di scherare.
Si
incamminarono dove era la barca e per caso incontrarono il secondo padrone con
i marinai che gli dissero di imbarcarsi con loro; la due sorelle rifiutarono,
ma esssi iniziarono a minacciarle e Maria ritenne opportuno offrire del danaro
per evitare ogni ulteriore discusssione.
Quando
raggiunsero la barca prenotata, il padrone incominciò ad alzare la posta del
danaro concordato, giustificando la sua richiesta con il pericolo al quale si
esponeva; inutile fu la reazione di Pellettier che il padrone della barca più
forte, lo minacciò di gettarlo in mare; Maria tolse ogni discussione, dandogli
cento pistole e assicurandosi finalmente il viaggio.
L’emozione
a palazzo Colonna fu grande quando videro che Maria non era rientrata e Morena
era scomparsa; a palazzo Mazzarino l’inquietudine non era da meno; passata la
notte si mandò ad avvertire il connestabile che era alle Frattocchie; appena
rientrato mandò corrieri in tutte le direzioni con l’ordine di arrestare la
fuggitiva.
Quando
rientrò, il postiglione disse che le due dame si erano imbarcate e il
connestabile inviò un espresso al viceré di Napoli pregandolo di far partire
delle galere per inseguire la moglie diretta a Marsiglia; furono mandate
all’inseguimento quattordici galere; il connestabile si recò all’ambasciata
francese cercando di nascondere la sua collera, dissimulando la sua apprensione
per la complicità segreta tra il re e Maria, non osando parlarne apertamente.
L’ambasciatore,
cardinale d’Estrées, stupefatto, promise di scrivere alla regina per impedire
un incontro con il re (che in questo periodo era impegnato in una guerra con
l’Olanda), ma il connestabile sapeva che niente avrebbe fermato Maria che
sarebbe andata anche in Olanda, per cui affettò la più grande dolcezza,
manifestando di perdonare la sua evasione e operare una riconciliazione
completa e il cardinale scrisse in questi termini.
Nella
società romana la fuga delle due sorelle fece molto rumore e ciascuno prese il
proprio partito chi a favore del principe, chi a favore della moglie; ne parlò
anche la Gazzetta d’Amsterdam (7 Giugno 1672); si diceva che il connestabile trattava troppo favorevolmente la moglie dandole più libertà
di quanto dovesse averne; alcuni dicevano che un negromante le aveva detto che
il marito aveva in mente di disfarsene e per questo motivo lei si ritirava in
Francia, per evitare il boccon.
Le
due fuggitive erano esposte a tutti i pericoli descritti dalla stessa
principessa che diceva che le prime sei ore ebbero un vento favorevole, ma poi
giunse una calma che li faceva avanzare lentamente.
Al
levar del sole intravidero un brigantino che il padrone della barca temette
fosse un vascello turco e ripararono ai bordi di alcuni scogli davanti alle
coste della Toscana, ma poi ripresero la traversata fino a Monaco.
Ortensia
aveva sofferto il mal di mare, agitato da un forte vento che aveva fatto temere
un naufragio, evitato dall’abilità del padrone della barca; costui aveva seguito
un insolito percorso e così avevano evitato le galere mandate dal viceré di
Napoli.
Dopo
nove giorni di navigazione giunsero a La Ciotat dove potettero riposare e con
dei cavalli raggiunsero Marsiglia dove trovarono l’intendente moribondo, il
quale diede a Maria un pacchetto contenente i documenti mandati dal re, con una
sua lettera che le suggeriva di recarsi ad Aix, dove avrebbe avuto l’assistenza
del governatore.
Maria stanca di fatica era andata a riposare ma
dopo un’ora fu svegliata dalla visita del capitano Meneghini che veniva per
conto del connestabile; Maria allarmata si fece mandare delle guardie, il
capitano Meneghini la pregò, per amore dei figli a rientrare, ma Maria fu
irremovibile. La mattina seguente le fu mandata una carrozza con guardie di
scorta e le sorelle la sera arrivarono ad Aix e furono condotte al palazzo del
governatore che era il duca di Vendôme, suo
nipote, figlio del duca di Mercoeur.
MARIA
PARTE PER
LA
FRANCIA
M |
entre
la connestabile era impaziente di andare a Parigi, Ortensia non vi si poteva recare
perché il duca Mazzarino aveva ottenuto dal Parlamento della città, il divieto di
accesso per Ortensia.
Maria,
non fidandosi di nessuno, pensò di scrivere direttamente al re per seguire le
sue disposizioni e per recapitarla affidò la lettera al fedele Pellettier,
mentre le due sorelle ad Aix erano ospitate nel vicino castello dal cavaliere
Mirabeau.
Ad
Aix c’era lo storico Saint-Simon imparentato con il cardinale Altieri, nipote
del papa Clemente X, che agiva per conto del connestabile, con l’ordine, che se
la principessa non avesse voluto tornare a Roma, di recarsi dalla regina per metterla
contro la principessa; Saint-Simon aveva parlato con la principessa che gli
aveva risposto che “fuggendo da Roma
aveva fuggito la morte”.
Nel
frattempo Maria riceveva una lettera di Pellettier che diceva di essere
stato assalito da banditi che gli avevano tolto tutto, lasciandolo mezzo morto
sulla strada; questo assalto dei banditi era stato organizzato da Saint-Simon
che aveva delle spie che gli avevano riferito della partenza di Pellettier, ma gli
assalitori non trovarono la lettera mandata al re, nascosta nella fodera
dell’abito.
In
capo a sei giorni Maria disse di voler partire e le due sorelle si recano a
Porto Santo Spirito dove si dividono; Ortensia accompagnata dal cavaliere
Mirabeau e alcune sue guardie prende la strada per Nizza per recarsi a Torino
dal duca Carlo Emanuele II (fratello del conte di Soissons) per chiedergli di
stabilirsi a Chambery, dove, dopo essere stata ben accolta dal duca, è ospitata
in quel castello.
La
connestabile è accompagnata dall’altra l’altra metà delle guardie, a Grenoble,
accolta dal duca di Lesdiguières, governatore della provincia.
Il
papa aveva scritto al re supplicandolo a non lasciare che la connestabile
giungesse a Corte; la regina, guidata da Colbert era convinta che le lamentele
della connestabile fossero immaginarie, in quanto il suo scopo era quello di
ricominciare la vita come la sorella Ortensia, lasciando intendere chiaramente
l’inquietudine e la pena che avrebbe causato la sua presenza a Parigi.
Era
il mese di luglio 1672 e Luigi XIV aveva appena conquistato l’Olanda ed era
rientrato a Parigi, dove tutti avevano pensato che il suo improvviso rientro fosse
dovuto alla Montespan.
LA
LETTERA DI MARIA
E’
RECAPITATA AL RE
CHE
NON VOLEVA
SI
AVVICINASSE A PARIGI
P |
ellettier
con la lettera per il re aveva ripreso il viaggio; ricevuta la lettera, il re suggeriva alla connestabile di andare in un
convento per fermare la bocca a tutte le maldicenze che erano sorte dalla sua
partenza da Roma; il tenore di questa lettera era diverso dalla precedente, ma
Maria decise di partire ugualmente.
Si
fece accompagnare da un corriere fidato di Roma, di nome Marguin; giunta a
Montargis, Morena fu presa da una colica e Marguin rifletteva sulla sua
posizione e riferiva di essere di essere preccupato per gli inconvenienti che
potevano derivare ai suoi familiari per l’aiuto che stava prestando alla
connestabile, aggiungendo che Morena non era in condizioni di seguirli e le
suggeriva di fermarsi e non proseguire.
Presa
dalla stanchezza Maria decise di recarsi a Fontainbleu e mandare, con Marguin, una
lettera al re; con Morena giunsero a Fontainbleu alle sette di sera dove
presero una camera d’albergo e dopo due ore furono raggiunte dall’inviato del
re.
Questo
inviato era monsieur de la Gibeltière, che le suggeriva di tornare dal connestabile in quanto le cose in Francia erano cambiate
e non le erano più favorevoli; aggiunse che il re era molto irritato per averle
accordato la sua protezione su dei pretesti frivoli e per delle ragioni che non
avevano altro fondamento che dei capricci; concluse che
se non avesse voluto rientrare a Roma, poteva andare a Grenoble ed entrare
nell’abbazia di Monfleury.
Ma
la connestabile rispose che le ragioni della sua partenza non erano frivole e
le avrebbe riferite solo al re; ciò che chiedeva era che fosse lasciata vivere
presso i suoi parenti; che al momento era stanca e non se la sentiva di tornare
a Grenoble e che avrebbe atteso una risposta da parte del re, sulla quale
avrebbe preso una decisione.
Maria,
riflettendo, sospettava che ciò che le aveva riferito de la Gibeltière, dovesse
essere opera della regina, piuttosto che del re; nel frattempo giunse un
valletto che le riferiva di recarsi al palazzo, che il duca di Modena, suo
nipote, aveva a Fontainbleu, dove sarebbe stata ospitata, ma lei rispose che
preferiva rimanere in albergo.
Dopo
poco giunse il duca di Crequi, che veniva da parte del re dicendole che il re
non desiderava che si recasse a Parigi e le suggeriva di tornare a Grenoble che
sarebbe stato il partito migliore da prendere; mentre lei pregava il re di
permetterle di recarsi all’abbazia di Lys che si trovava a dieci leghe da
Parigi; il duca le fece scrivere la richiesta su un biglietto e se ne tornò a
Parigi.
Il
giorno dopo giunse un paggio che portava il permesso richiesto e l’ordine per
la badessa di Lys, di riceverla e a de la Gilbetière di accompagnarla; poco
dopo giunse un gentiluomo, da parte di Colbert, con due borse di cinquecento
pistole (lire) ciascuna.
Il
malcontento del re per l’improvviso arrivo della connestabile a Fontainbleu, a
poco a poco si era nel frattempo dissipato. Egli chiedeva sue notizie alla
contessa di Soissons e voleva sapere come si trovasse nell’abbazia; si fece
mostrare le lettere della badessa che parlava della dolcezza e sottomissione di
Maria; il re fece dare l’ordine di lasciarla passeggiare nel bosco, facendola
accompagnare.
La
connestabile ignorava le migliori disposizioni del re ed era felice per le visite delle
sorelle e per la possibilità di passeggiare nel bosco, ma la pazienza non eraa
il suo forte e le giornate nell’abbazia
le sembravano troppo lunghe e non aveva ancora avuto il permesso per ricevere le
visite degli amici.
A
questo punto incominciò a chiedersi che diritto avesse il re che aveva promesso
di proteggerla e di averla incoraggiata nella fuga, di trattarla
come una criminale di Stato; per
quale abuso di potere l’asilo promessso era stato cambiato in prigione; tutte
queste considerazioni fermentavano nel cervello esaltato di Maria; ma un
incidente di poca importanza fece scoppiare il caso.
Il
fedele Marguin che l’aveva accompagnata da Grenoble a
Fontainbleu, aveva pagato per ordine della sua padrona, tutte le spese
di postiglioni, battelli e altro del viaggio e per andare più veloci aveva pagato
il doppio o il triplo; la prima cosa che fece la connestabile con il danaro
ricevuto da Colbert, fu di pagare Marguin e un’altra rilevante spesa era stata
per il guardaroba che aveva rinnovato e queste spese avevano lasciato una gossa
breccia alle diecimila lire ricevute.
Una
mattina le si presentò la badessa e le disse che Colberta aveva disposto che le
spese dell’abbazia le dovesse pagare lei. Maria capì che il colpo basso era di
Colbert, gli scrisse subito una lettera violenta in cui diceva che lei non
aveva chiesto di essere tenuta in una prigione e non aveva mai sentito dire che
i criminali arrestati per ordine del re, pagassero per il loro nutrimento e
mantenimento; aggiunse che il re aveva mancato alla sua parola e lei chiedeva
di essere libera e vivere nella sua famiglia dove avrebbe trovato i mezzi per
far fronte alle spese, senza ricorrere a chicchesia.
Era
seguita una corrispondenza con richiesta di scuse da parte di Maria che era
stata invitata a recarsi in una località a sessanta leghe da Parigi; ora, ciò
che lei chiedeva prima di partire era di avere un colloquio con il re; la
risposta del re (29 Settembre 1672) fu di recarsi al convento di San Pietro ad
Avenay (in prossimità di Reims a trenta leghe da Parigi) dove l’avrebbe
accompagnata il signor Goberti; ma dopo quattro o cinque giorni giuse de la
Gibeltère con l’ordine per la badessa di farla uscire; lei partì con la morte
nel cuore.
Giunta
alla nuova abbazia, fu ricevuta dalla badessa Brulart de Sellery che con le
suore le davano continue testimonianze di generosità e compiacenza; ma la
lontananza da Parigi, non permetteva ai parenti di andarla a visitare; ma dopo tre
mesi ricevette la visita del fraello duca di Nevers, il quale, d’accordo con il
re, volle tentare una riconciliazione con il marito, ma senza entrare subito
nel merito; le riferiva infatti della animosità delle dame di Corte di essere
stata mandata a Avenay (qualcuno aveva detto che la regina aveva avuto la
febbre!); e la Montespan e la regina, sarebbero state ben liete che la
connestabile fosse tornata in Italia.
Ma
lei dette libero sfogo al suo rammarico, per il rigore del re
il quale voleva che si riconciliasse col marito; ma il re si sbagliava perché
lei era disposta a lasciare la Francia, piuttosto che tornare in Italia.
Il
duca, vista l’esaasperazione della sorella che riteneva capace di una decisione
anche stravagante, le disse che avrebbe chiesto al re il permesso di condurla a
Nevers e lei consentì con gioia e otto giorni dopo il fratello tornò
con il permesso del re; ma il loro intento era quello di fare uscire Maria
dalla Francia e forzarla a rientrare in Italia; lei invece partì contenta di
aver ritrovato la libertà con la speranza di poter rivedere Parigi.
Giunta
a Nevers, lei aveva dato al fratello la sua parola che sarebbe entrata in
convento; dopo otto giorni il fratello le disse che doveva partire per recarsi
a Venezia e sperava che lei non sarebbe venuta meno alla sua promessa;
visitarono tutti i conventi di Nevers, cercandone uno a lei più gradito, ma lei
non ne trovava, abituata com’era alle grandi e belle abazie.
A
questo punto lei pensò di fare il viaggio col fratello e recarsi a Lione dove
si recò al convento di Santa Maria della Visitazione, che si trovava su una
collina e dominava tutta la città.
Il
desiderio del connestabile era quello che Maria si recasse dal duca di Savoia
con il quale egli era in buoni rapporti e con una lettera lo aveva preavvertito
di questa possibilità e gli aveva fatto scrirvere anche dal cardinale d’Estrèe.
Maria,
senza volerlo, stava assecondando il gioco del connestabile; quando il fratello
le suggerì di tornare il Italia, lei, ricordando la bella accoglienza fatta dal
duca di Savoia alla sorella e l’eleganza di quella Corte, decise di andare in
Piemonte, senza dirlo al fratello.
MARIA
SI RECA
IN
SAVOIA DAL DUCA
CARLO
EMANUELE II
L |
a
Corte di Savoia all’epoca era una delle più brillanti d’Europa; il duca e la
duchessa, ambedue giovani amavano le feste e i piaceri e facevano di tutto per
attrarre stranieri distinti e circondarsi di numerosa ed elegante nobiltà;
balletti, tornei, corse di cavalli e di slitte si succedevano senza tregua.
La
connestabile era giunta a Novalesa dove il duca le aveva mandato la carrozza
per condurla a Rivoli (23 Gennaio 1673); quivi egli giunse
personalmente, rivedendola dopo quattordici anni dal loro primo incontro a
Lione e fu accompagnata al convento della Visitazione, dove le era stato
assegnato un appartamento.
Maria,
che amava la libertà, insofferente com’era, aveva incominciato a desiderare di
uscire e rientrare a sua volontà, ciò che a Torino non era possibile; il
ministro Gomont che le rendeva delle visite, lo aveva percepito e riferito al
duca che andava a visitarla tutti i giorni; ciò aveva destato delle malignità e
madame royale, principessa Marie-Jeanne de Nemours, moglie del duca, se ne lamentava
scrivendo al cardinale d’Estrée, suo veccchio amico.
Carlo
Emanueele si sentiva ogni giorno sempre più attratto da questa donna mobile,
fantastica, che passava dalle lacrime alla gaiezza e alla follia della
disperazione e questa varietà di sentimenti la rendeva più seducente; vi era
stata una gran nevicata e il duca per farla divertire aveva organizzato una
gara di slitte, che Maria potè guardare dalla finestra.
Il
duca teneva informato il connestabile, il cui scopo principale era di rendere la
vita alla moglie, dura e triste tra le mura di un convento, per
costringerla a tornare a Roma e in questo senso, scriveva al duca che
desiderava si comportasse da carceriere; quando apprese del divertimento delle
slitte, fu preso da violenta collera.
Ma
Carlo Emanuele era un cavaliere galante e neanche si sognava di comportarsi come
desiderava il connestabile e cercò in ogni modo di barcamenarsi tra il
connestabile e il papa.
Clemente
X gli aveva scritto di aver saputo che la connestabile era nel suo ducato e gli
chiedeva di contribuire alla pace della famiglia, annunziandogli l’invio del
nunzio apostolico, arcivescovo di Patrasso, che gli avrebbe esposto i suoi
desideri.
Il
duca scrisse subito all’arcivescovo dicendogli di aver parlato severamente alla
connestabile, che era scoppiata in lacrime e aveva detto che era venuta nel suo
ducato come primo passo per una riconciliazione; che egli era disposto a
comportarsi come il re di Francia, che le aveva interdetto il soggiorno nei
suoi Stati.
Ma
il nunzio ritenne che tanto rigore avrebbe portato madame Colonna alla esasperazione e suggerì di non prendere una
soluzione così estrema; avuta questa risposta, il duca, avendola vista scoppiare
in lacrime e avendola intesa supplicare che la metteva nelle mani di un marito
geloso, di cui si conosceva la violenza, quando gli dipinse i pericoli che
l’attendevano, egli subì come il fascino della sirena e scrisse al
connestabile, al quale era legato da lunga amicizia, dicendogli che non poteva
rifiutare le sue istanze e che avrebbe cercato di convincerla a tornare da lui.
Le
visite girnaliere del duca e della duchessa non tardarono a diventar pericolose
per ambedue, ma più ancora per il duca che aveva incontrato molte donne dalla
cui bellezza era stato sedotto, ma questa volta lo spirito, la stringente
eloquenza, le qualità dell’intelligenza fuori del comune, si aggiungevano al
fascino delle sue parole, dei suoi grandi occhi neri e i suoi denti bianchi,
per soggiogarlo; poco a poco le sue visite furono oggetto di pettegolezzi
pressso la Corte e la città e giunsero fino a Roma.
Il
risultato fu l’invio di un personaggio, don Maurizio di Bologna, che sembrava
fosse un atto di cortesia per la connestabile, ma si trattava di uno spione che
doveva controllarla notte e giorno e riferire al
connestabile; per di più era giunta a Torino una banda di bravi che per don
Maurizio erano stati mandati dal governatore di Milano, i quali andavano alla
falsa ricerca di un assassino e Maria era seriamente preccupata che volessero
rapirla.
Ma
quando i bravi ripartirono, Maria si tranquillizzò e per quanto monotona fosse
la vita in convento, non sembrva dispiacersene per le numerose visite che
riceveva; il cardinale Altieri riteneva, come il duca, che con la violenza non
si sarebbe ottenuto alcun risultato e occorreva ricorrere a dolci preghiere e
buon trattamento, senza impiegare la forza.
Durante
la primavera, il
duca le mostrò tutte le lettere che il connestabile gli aveva inviato; era
anche intervenuto il re Luigi XIV che diceva al duca che stava prolungando
troppo l’ospitalità alla connestabile e quando il duca le disse che doveva tornare
dal marito, Maria, piena di collera se ne andò senza rispondere e partì (3
Giugno 1673) per la Veneria, dove madame royale le aveva offerto ospitalità e si installò in uno dei più begli
appartamenti della Veneria.
I
giorni passati alla Veneria furono giorni deliziosi goduti in piena libertà con
la Corte ai suoi piedi, non desiderando altro che la libertà e i piaceri del
presente; lei trovava il tempo, nelle ore libere, di dedicarsi alla musica,
alla lettura, all'astrologia; ogni giorno, per due ore, riceveva ministri
stranieri e grandi personaggi della Corte.
Nutrita
alla scuola degli uomini di Stato, amici o nemici di suo zio, lei aveva dato ad
alcuni ambasciatore dei suggerimenti che essi avevano riportato nei loro
dispacci, nei quali si trovava il sangue dei Mazzarino (cit. Perey).
Lei
non provava alcun sentimento amoroso per il duca e non aveva amato che il re ed
era fedele a suo marito; ma una inquietudine turbava lei e il duca ed era la
preoccupazione di risvegliare la gelosia di madame royale; per metterla
tranquilla il duca suggerì la finzione di una riconciliazione col marito o il
suo ingresso in un convento, che lei accettò di buon grado.
Maria
era al sommo della felicità per la libertà goduta ma un giorno il duca le disse
seriamente che sarebbe stato meglio rientrare in sé e tornare a Roma, piuttosto
che andare in un concento; lei ebbe uno scatto d'ira e rinunciando alle scuse,
decise di tornare al convento della Visitazione.
In
convento ricevette la visita del marchese di San Tommaso, col compito di
consolarla e farle sapere che avrebbe fatto tutto per lei.
Maria
decise di lasciare il Piemonte e poiché aveva rotto i rapporti col duca, il
marchese di Borgomainero la invitò a ricevere il duca per salutarlo; nel loro
incontro egli le disse di essere toccato dalla sua decisione di partire,
scongiurandola di dirgli dove si recava, assicurandole che in nessun paese
avrebbe trovato un principe disponibile e disposto a proteggerla come lui. Lei
ascoltò i suoi rimproveri e le sue proposte con freddezza e si congedò
ringraziandolo per l’ospitalità concessa; il duca le porse la mano e
l’accompagnò alla carrozza e Maria partì: ecco come la connestabile si separava
da colui che le aveva mostrato affetto e devozione.
MARIA DOPO ESSERE
STATA A COLONIA
PARTE PER LA SPAGNA
M |
aria
si reca a Colonia dove trova un
reggimento spagnolo che vi si era recato per riscuotere lo stipendio e non
aveva trovato di meglio che unirsi agli ufficiali che l’accompagnarono a Malines;
quivi giunta, il governatore le disse di avere l'ordine di arrestarla per non
farla andare a Bruxelles; qui trovò anche il marchese di Borgomainero e il conte di
Monterey che la seguivano per ordine del connestabile; lei disse che si recava
a Bruxelles per andare nel convento di Barlemont, ma Borgomainero e Monterey le
suggerirono di recarsi ad Anversa.
Giunta
ad Anversa trovò una carrozza con il governatore che accompagnò lei e
Borgomainero al castello; durante il viaggio Maria incnominciò a pensare a
qualcosa di sinistro.
Infatti
giunta al castello, dopo che le era stato assegnato un appartamento,
Borgomainero faceva mettere due guardie davanti
alla porta; da questo momento la connestabile fu trattata come una criminale di Stato; le lettere che spediva e
riceveva erano intercettate; tra le lettere ricevute, vi era una lettera del
connestabile che la autorizzava ad andare in convento e Borgomainero, recatosi
a visitarla, toccato dai suoi pianti le accordò il permesso di recarsi a
Bruxelles, dove le fu dato un appartamento prospiciente il convento.
Qui
ricevette una lettera del duca di Savoia, che riìtenendola libera nel castello
di Anversa e pensando che volesse recarsi in Spagna, le offriva i suoi servigi
quando fosse andata in Spagna.
Lei,
considerata questa possibilità chiese, tramite Monterey, l'autorizzazione al
connestabile di stabilirsi in un convento della Spagna e senza attendere la
risposta del marito, Maria si preparava a recarsi a Madrid scrivendo
all'Almirante di Castiglia, amico di suo marito, che lei non conosceva.
Quando
Maria giunse a Madrid (1974) reggente del giovane re Carlo II, era la madre
Maria-Anna d'Austria (n. 1634) figlia dell'imperatore Ferdinando III e sposata
a Filippo IV (1649), interamente dominata dal suo favorito don Fernando de la
Valenzuela.
Figlio
di un gentiluomo andaluso (ma era fratellasstro del connestabile), era nato a
Napoli (1636-1692), divenuto paggio del duca de l'Infantado; giunto a Madrid
sposava una dama di compagnia della regina, ottenendo l'incarico di grande
scudiero e, entrato nelle buone grazie della regina, divenne grande di Spagna e
primo ministro; con l'arrivo di don Giovanni, fratellastro del re, fu esiliato
nelle Filippine, ma ottenne di andare in Messico dove morì.
La
prima volta che Maria fu ricevuta dalla regina, rimase tanto stupefatta dalla
etichetta spagnola cupa e soffocante, che a malapena le riuscì di parlare e
neanche riuscì a usare gli abiti spagnoli estremamente complessi d'inverno, con
dieci o dodici sottovesti; per una dama il massimo della compiacenza nei
confronti di un cavaliere, era quello di mostrargli il piede!
Se
i costumi italiani avevano sorpreso Maria, quelli spagnoli l'avevano più ancora
stordita perché le donne spagnole vivevano in una vera e propria schiavitù.
Quando
Maria giunse a Madrid, fu ricevuta dall'Almirante di Castiglia che era il più
gran signore di Spagna, il quale la ospitò nella sua Casa del Giardino, una
delle curiosità di Madrid, costruita dall'Almirante e arredata di quadri fatti
venire dall'Italia.
L'Almirante
era alto e ben fatto. di aspetto nobile e pieno di dignità; era uomo di spirito
e di bei modi e le sue maniere lo distinguevano dappertutto.
Grande
ammiratore delle donne per le quali si rovinava, era sconsolato per avere
cinquant'anni; proteggeva le arti e le lettere e aveva facilità nello scrivere
versi; la sua casa era la più gradevole di Madrid.
Il
suo palazzo era immenso e lui, libertino, aveva abituato la moglie a vedere
come ospiti quindici o sedici delle sue amanti; la società più scelta si riuniva
presso di lui e Maria gioiva del delizioso soggiorno nel Giardino
dell'Almirante, per la libertà ritrovata e la dolcezza di una conversazione
intelligente e letterata.
Dopo
essere stata trattata male ad Anversa e Bruxelles, durante i tre mesi di permanenza, si vedeva
finaalmente adorata dai più gran signori di Spagna.
Maria
aveva fatto domanda di ospitalità ai principali monasteri di Madrid, i quali erano restii ad aprire le
porte a dame secolari che avrebbero incrinato i loro privilegi e un intervento della
regina, avrebbe offeso i loro sentimenti.
Maria
non ancora era uscita dalla Casa del Giardino e ignorava la severità dei
costumi spagnoli riguardo alle dame e tutti i preliminari e le procedure per una
semplice passeggiata.
Come
suo guardiano le era stato affidato don Fernando de la Valenzuela la cui sola
vista era odiosa e quando lei gli chiedeva di uscire per fare una semplice
passeggiata, lui ogni volta le rispondeva che a Madrid le donne non
passeggiavano mai.
Questo
personaggio, come abbiamo accennato, era fratello naturale del connestabile ed
era trattato con tutti i riguardi con cui questi soggetti erano trattati in
Italia e in Spagna; molto poco intelligente. credulo e supponente, era
preoccupato di un'unica cosa: che la sua prigioniera potesse fuggire.
Aveva
ricevuto disposizioni dal conte di Monterey, di eseguire l'ordine del
connestabile e di mandar via tutto il seguito di Maria, comprese le damigelle
di compagnia e la sua turca; ma il governatore si era limitato a mandar via
solo Pellettier.
Morena,
la ragazza turca che accompagnava Maria, era oggetto di orrore e di tormento per don Ferdinando che la sorvegliava con
particolare attenzione, ma lei era più fine di lui e organizzò una spedizione segreta
con la sua padrona, ma solo per far passare qualche cattivo momento a don
Ferdinando.
Erano
infatti uscite tutte e due sole in una carrozza, non si sa di chi, recandosi alla
passeggiata del fiume; la città ne fu sconvolta e ne fu irritato anche
l'Almirante.
Don
Ferdinando aveva subito scritto al connestabile della malaugurata avventura,
aggiungendo che ciò significava che il desiderio della principessa era
certamente quello di fuggire per l'Inghilterra o per la Francia.
L'emozione
suscitata da Maria e dalla turca in città, si era subito spenta, in quanto era
giustificata dalla mancanza di conoscenza delle usanze spagnole; l'Almirante
non mostrò nessun risentimento e lei rimase sua ospite fino ai primi di
settembre.
La
richiesta alle religiose di San Domenico aveva avuto buon esito e Maria
lasciava il palazzo dell'Almirante a fine agosto (1674).
Con
ordine della regina, le fu concessa ospitalità nel monastero di Nostra Signora
degli Angeli, dove
le fu assegnato un appartamento in una casa contigua che dava sulla strada e
aveva l’ingresso dalla porta del convento, con una dipendenza per le quattro
donne che l’acccompagnavano.
Ma
lei aveva bisogno di libertà e voleva avere la possibilità di uscire dal
convento, negata dal nuovo papa Innocenzo XI; successivamente quando il duca di
Medina-Coeli (la figlia Lorenza aveva sposato il suo primogenito), le offrì una
casa posta nel suo giardino (1686), lei lasciò il convento.
Dopo
l’emozione provata quando le fu comunicata la morte del marito (1689), si sentì
pienamente libera di poter vivere alla sua maniera e la sua prima decisione fu quella di vedere i
suoi figli e si recò a Roma (1691), dove oramai si sentiva estranea; ripartì (1692) fermandosi per qualche mese a
Genova, dove partecipò alle feste riservate al principe di Danimarca;
nonostante avesse cinquantatre anni, aveeva ancora una bellezza che eclissava
anche quella delle più giovani.
LA
VITA ERRABONDA
DI
MARIA
AD
AVIGNONE CADE
NELLE
MANI DI UN
AVVENTURIERO
R |
ientrata
in Spagna alla morte del re Carlo II, si legò alla regina vedova, Maria-Anna di
Neuburg seguendola a Toledo, dove la regina si era trasferita; a Corte, come
capo della nuova Casa regnante di Filippo V, era stato nominato il marchese di
Louville che la connestabile conosceva da lunga data e costituiva per lei un solido
punto di riferimento.
Il
nuovo re era curioso di conoscere la vecchia fiamma di suo nonno e la conobbe
facendo visita alla regina vedova, sorpreso di trovarla ancora bella.
Quasta
fu l’occasione che portò Louville a stringere i rapporti di amicizia con la
connestabile, suggerendole di andare a passare l’inverno a Barcellona dove lei
si recò nel mese di ottobre (1701); il mese precedente il re Filippo V, aveva
sposato Maria-Luisa, figlia del nuovo duca di Savoia e nipote dell’adoratore di
Maria. Al suo rientro Louville le suggerì di recarsi in Francia.
Questi
suggerimenti non erano disinteressati, ma erano dovuti alla circostanza che si
voleva tenere isolata la regina vedova, per essere austriaca e ritenuta
contraria agli interessi francesi portati dal nuovo re.
Maria
parte per la Francia (Gennaio 1702) dove l’ingressso
le era oramai consentito, recandosi a Lione; qui decide di stabilirsi ad
Avignone, divenuta città papale, facendo sapere al vice-legato mons. San Vitali
che desiderava vivere in piena libertà e non voleva alcun accoglimento
ufficiale.
Si
era stabilita in una casa in Rue Saint Didier e godeva della sua libertà
andando a passeggio accompagnata da una sola dama; mentre quando voleva farsi
vedere in pubblico, usciva con la carrozza tirata da sei cavalli, con due
scudieri e un numeroso seguito.
In
questo particolare periodo di amministrazione del vice-legato, Avignone aveva
attirato degli avventurieri in cerca di un brevetto di impiego nella milizia
papale.
Dopo
qualche settimana dall’ arrivo di Maria,ad Avignone giunse un giovane cavaliere
di bell’aspetto che disse di chiamarsi Alfeo Morandi di Mazzarino e chiese di
essere presentato alla connestabile, alla quale raccontò di esser nato a
Palermo e, (a conoscenza della genealogia dei Mazzarino, passata e presente e
della stessa Maria e suoi parenti francese), gli fu facile riferire il suo
grado di parentela; egli facendo riferimento a un legato che sarebbe stato
fatto in favore di tutte le sorelle (di cui queste non erano a conoscenza!),
raccontava di essere in forti difficoltà e veniva a chiedere aiuto alla
connestabile.
Maria scrisse
subito alle sorelle e ai nipoti Vendôme, per
sapere se consentivano a offrire la loro parte di
duecento luigi d’oro, facilmente accordati, ma senza obbligo legale; avuto un
tal consenso Maria, per atto notarile, destinò a don Alfeo la somma di
ottocento luigi d’oro, pari a ventimila lire.
Un
bel giorno, giunse alle sue orecchie che in un reparto di ufficiali, don Alfeo
si vantava di aver fatto un buon affare; da informazioni prese a Palermo,
risultò che don Alfeo non aveva alcun grado di parentela con la famiglia
Mazzarino; Maria furiosa per essere stata turlupinata, si recò dal vice-legato
e fece annullare l’atto notarile, facendo una donazione di cinquanta once d’oro
alle sorelle Felicia, Vittoria e Flavia-Caterina della Rovere, figlie di don
Flavio della Rovere, religiose del monastero di Louringloume a Palermo (cit.
Perey).
Maria,
per questa avventura, disgustata di Avignone, parte per Genova dove la
raggiunge il figlio, abate Carlo, per lei il più caro, che la invita a recarsi
a Roma; anche il suo primogenito Filippo l’aveva invitata a Roma.
Filippo,
come abbiamo visto, aveva sposato Lorenza de la Cerda, figlia del duca di
Medina-Coeli, che non aveva dato figli al marito, per essere sterile; era morta
giovane (1697) e Filippo aveva sposato Olimpia Panfili che gli dava tre maschi
e due femmine; questa aveva ricoperto Maria di regali e la invitava a smetterla
con la vita errante e recarsi a Roma, ma Maria rifiutava perché il suo cuore
era rivolto a Parigi.
Ma
lei poteva tornare? Per mezzo del fratello duca di Nevers fu interpellato il
ministro de Barbezieux, il quale fece sapere che la connestabile era libera di
recarsi a Parigi e lei partì nel mese di settembre (1704) accompagnata da due
donne, due scudieri e una dozzina di uomini tra valletti di camera, lacchè e
cucinieri, non curandosi delle spese; si recò a Passy dove il fratello le
mise a disposizione una piccola casa.
Oramai
Maria aveva superato i sessant’anni e doveva preoccuparsi della sua salute;
soffriva il freddo ed era piena di sciarpe e di culs de Paris (il cuascino che le donne portavano sul dorso); il
duca d’Harcourt era stato incaricato dal re di assecondare Maria nei suoi
desideri e alla richiesta se intendesse recarsi a Versailles e se avesse
bisogno di danaro, Maria rispose di no.
La
sua visita a Parigi dopo tanti anni, le procurò una viva emozione, avendola
trovata abbellita in maniera incredibile; oramai la sua età stava avvicinandosi
ai sessantacinque anni e il questo peso si faceva sentire; consapevole di ciò,
evitò un incontro con il re e tornò a Passy dove aveva annunciato che avrebbe
passsato l’inverno; ma nel mese di ottobre (1705) si recò a Nevers e da qui andò
a Lione e poi a Marsiglia dove (gennaio 1706) si imbarcò per Roma, dove il
figlio Carlo, divenuto maggiordomo del papa, sarebbe stato nominato cardinale.
A
partire da quest’anno (1706) la connestabile non lascia più l’Italia e divide
la sua permanenza tra Roma, Firenze e Venezia, dove passa l’inverno (1709) con
suo nipote gran priore di Vendôme, figlio della sorella, duchessa di Buglione.
Suo figlio Marcantonio la raggiunse con la moglie Diana e
la madre Cristina Paleotto (vecchia amante del connestabile) che abitavano nel
palazzo del duca di Fiano, Ottoboni sul Canal grande, mentre Maria e suo nipote
abitavano nel palazzo dei Santi-Apostoli
anche sul Canal grande; passato quest’inverno, Maria non tornerà più a Venezia,
lamentandosi di aver sofferto il freddo.
Maria
si teneva costantemente informata sulle guerre di Luigi XIV e degli affari di
Spagna, attraverso fonti diplomatiche e del gran-duca di Toscana.
Nel
frattempo, muore il
fratello duca di Nevers (1707), seguito (1708) dalla sorella Olympia, contessa
di Soissons e dalla sorella Maria-Anna,
duchessa di Buglione (1714) e in questo stesso anno (1714) moriva tra le sue
braccia, il suo primogenito Filippo.
Poco
dopo, avendo intenzione di ritoccare il suo testamento (scritto nel 1691 in
spagnolo), parte per Livorno e Pisa per recarsi dal padre Ascanio Salvatore,
esperto in diritto; era dal padre Ascanio quando ebbe un forte attacco
apoplettico, che se non fosse sostenuta la sua
accompagnatrice, sarebbe caduta per terra.
Le
cure deei medici furono vane, alle tre del giorno seguente, l’arcivescovo di
Pisa le diede l’assoluzione; il giorno seguente (8 Maggio
1715) spirò; la sua salma, nella chiesa del Santo Sepolcro, era a disposizione
dei suoi parenti, avvertiti per mezzo di un corriere.
Maria
non aveva voluto lasciare traccia del suo passaggio e sulla sua tomba fu
scritto “Maria Mancini Colonna, cenere e
polvere”; dopo alcuni mesi (mese di settembre) la raggiungeva Luigi XIV, l’unico
amore della sua vita.
CARLO II DI SPAGNA
L’HECIZADO
*)
Il principio che poggiava sul brocardo “bella
gerant alii, tu felix Austria, nube” (in Carlo V ecc., P.I
Sez.II), usato in maniera indiscriminata e asssoluta dagli Asburgo, aveva
finito per creare delle mostruosità.
Ultimo
degli Asburgo di Spagna, Carlo II (1661-1700), l’hecizado-l’infestato di malattie (il pittore Juan Carreño de Miranda era stato generoso nel dipingerlo
nel quadro a fianco!): debole di
carattere e di intelligenza, repellente. puzzolente, rachitico, gobbo,
invecchiato precocemente, non riusciva a stare in piedi da solo, per di più era
iracondo e collerico: aveva fatto una scenata a Maria Luisa che aveva fatto
l’elemosiana a un poveraccio, che aveva preso per un suo amante!
All’età di
dieci anni era intervenuto il fratellastro don Juan (figlio di Filippo IV e
dell’attrice Maria Calderona: di norma questi figli bastardi erano belli e sani)
per curare la sua pulizia, in quanto non lo lavavano per timore che si ammalasse;
ma anche quando era cresciuto evitava di lavarsi! Era stato allevato
dalla madre nell'ignoranza dei doveri di un sovrano e nell'assenza di una
ordinaria educazione; circondato dai gentiluomini che lo accompagnavano e
da scudieri; non aveva la minima conoscenza delle lettere o delle scienze e sapeva
appena leggere e scrivere.
Rappresentava
un concentrato di tutte le malattie genetiche degli Asburgo e a seguito del
trattato di pace di Rijswich (1678), capolavoro diplomatico di Mazzarino, con
cui la Francia acquisiva la Fiandra francese e la Franca Contea e Carlo II
accettava come suo successore Filippo d’Angiò, un Borbone, nipote di Luigi XIV,
che prese il nome di Filippo V (proclamato nel novembre 1700, giunse a Madrid
nel dicembre successivo).
Per
contro gli venica sacrificata in matrimonio, una figlia della sfortunata
Enrichetta d’Orleans, Maria Luisa d’Orleans, figlia di Monsieur, che moriva poco
dopo e in seconde nozze sposava Maria Anna di Neuburg ... in quanto si
pretendeva procreasse altri figli!
I
suoi genitori erano il quarantaquattrenne Filippo IV, che sposava (1649) in
seconde nozze, la nipote di quindici anni; nonostante fosse debole e
malato, riusciva a vivere per quasi sessant’anni (1661-1700) mettendo al mondo
cinque figli, dei quali tre morivano infanti e dei due rimasti in vita,
Margherita-Maria Teresa (dal viso simile al fratello!) sposava l’imperatore
Leopoldo I (che troviamo in Art., “Karà-Mustafà”), ma moriva a venti anni; e Carlo II che, in quelle condizioni di salute, riusciva a vivere fino a sessantanove anni.
La
madre, Maria Anna d’Austria era stata nominata nel testamento del marito, reggente del regno; ma questo grande
impero, con Carlo II era in forte decadenza, fino al punto che la Corte aveva
dovuto rinunciare e recarsi all’Escurial e ad Aranjuez, a causa delle
difficoltà ad affrontare le spese di viaggio; con i domestici che avevano
abbandonato le livree e il palazzo in quanto a tavola mancavano loro i pasti, come mancavano alla
tavola dei gentiluomini e nelle greppie mancava il mangime per i cavalli; i soldati
senza soldo e senza nutrimento disertavano le piazzeforti delle frontiere; ma
questo declino era già iniziato durante il regno del padre, Filippo IV.
FINE