Leopoldo II del Belgio
SCHIAVI AVORIO
E GOMMMA
LE RICCHEZZE DI
LEOPOLDO II DEL BELGIO
NEL CONGO
a cura di
Michele E. Puglia
SOMMARIO: INTRODUZIONE; LEOPOLDO ORGANIZZA LA CONFERENZA GEOGRAFICA SULLA SITUAZIONE DELL’AFRICA; UN TELEGRAMMA GLI APRE LA STRADA DELLA FORTUNA; STANLEY PROCURA A LEOPOLDO II UN MILIONE DI KM2 DI TERRITORIO DEL CONGO; L’EUROPA SI SVEGLIA SULL’AFRICA; IL SENATORE MORGAN SOSTENITORE DELL’ESODO GENERALE DEI NERI DAGLI USA.; LE GRANDI MANOVRE DI LEOPOLDO PER LA CONQUISTA DELLO STATO DEL CONGO; LA CONQUISTA DEL CONGO TRA FILANTROPIA E ATROCITA; L’ENTUSIASMO INIZIALE E LA SUCCESSIVA DELUSIONE DI GEORGE WASHINGTON WILLIAMS; IL SISTEMA SCHIAVISTA (La Chicotte); L’ORGANIZZAZIONE MILITARE SCHIAVISTA; I BAMBINI ALLEVATI NELLE MISSIONI PER FARE I SOLDATI; LA COLONIA SOGNATA DAI GIOVANI PER UNA VITA AVVENTUROSA E DI RICCHEZZA; LO SCRITTORE E AVVENTURIERO JOSEPH CONRAD E LEON ROM; WILLIAM SHEPPARD SUCCESSORE DI HENRY MORTON STANLEY; ALLA RICCHEZZA DELL’AVORIO SI AGGIUNGE QUELLA DELLA GOMMA (Le mani mozzate); L’AVIDITA’ DI LEOPOLDO NON AVEVA LIMITI E LE CRITICHE NON LO SCALFIVANO; QUALCUNO INCOMINCIA ASCOPRIRE CHE AVORIO E GOMMA INCREMENTAVANO IL CONTRABBANDO DI ARMI.
Caricatura apparsa in Germania
sulla mania di Leopoldo di staccare
teste e cedole delle obbligazioni
INTRODUZIONE
N |
el 2001
A distanza di venti anni dalla pubblicazione del
libro, semplicemente affascinante, abbiamo pensato di rinnovare quel tragico
ricordo di stragi e atrocità, su di una popolazione inerme, nel nome della filantropia su cui era stata impostata
la conquista della colonia.
Augurandoci che l’editore pubblichi nuovamente il
frutto delle approfondite ricerche alle quali si era dedicato Hochschild, il
libro rimane unico per la ricchezza dei fatti e avvenimenti riportati, non solo,
ma servirebbe a far conoscere e contrastare la figura di Leopoldo II considerato
“filantropo”, sul quale tutt’ora si
scrivono – incredibile dictu – libri estremamente
elogiativi!
Avvertiamo che il libro è diviso in due parti:
quanto riportato nel presente articolo è stato ripreso dalla sola prima parte,
per motivi di diritti d’autore che non vogliamo usurpare, facendo presente che
la seconda parte è anch’essa interessante come la prima.
Di Leopoldo II (1835-1909), era stato detto che
“le sue ambizioni si potevano riassumere nella frase “il Belgio non sfrutta
il mondo, è una inclinazione che dovremo fargli imparare” … ed egli,
convinto che le sue ricerche avrebbero dato buoni frutti, si immerse nello
studio e nella ricerca della strada da
percorrere!
Nato nel 1835 da Leopoldo I di Sassonia-Coburgo-Saafeld e da Luisa d’Orleans, riteneva il Belgio un piccolo
paese fatto di gente povera
“petit pays,
petite gens” Di grande statura, con grande naso e grande barba, con la
spada che gli sbatteva tra le gambe (assomigliava
a un burocrate che aveva indossato l’uniforme senza sapere come portarla), nel
1853 fu portato alla corte di Vienna sempre ricca di giovinette asburgiche da
far sposare, per conoscere la sua futura sposa.
Era la sedicenne arciduchessa Maria Enrichetta, amante
dei cavalli che lei stessa domava; si odiarono dal primo momento … ma Maria
Enrichetta l’anno successivo rimase ugualmente incinta. Dalla loro unione
nacquero tre femmine, Luisa, Stefania e Clementina, con delusione di Leopoldo
che alla terza maternità si aspettava un figlio maschio (un maschio lo aveva
avuto, ma era morto di polmonite dopo essere caduto in uno stagno quando aveva nove anni).
Come padre Leopoldo si era mostrato autoritario
nei confronti delle prime due
figlie e aveva costretto la più piccola, Clementina,
diciassettenne a sposare un principe
austro-ungarico molto più vecchio di lei; ma Clementina alla prima notte di
nozze se ne fuggì dal castello di Laeken in camicia da notte.
Istruita dalla madre sui doveri coniugali, se ne
servì nella relazione che instaurava con un ufficiale di cavalleria; messa di
fronte alla scelta, tra tornare dal marito o entrare in manicomio, scelse
quest’ultima; fu liberata dall’ufficiale che morì poco dopo, mentre lei priva
di risorse economiche, intaccava il suo patrimonio facendo spese per il suo guardaroba,
che fu messo all’asta dai suoi
creditori.
La vita privata del re non era quella di un re
che dovrebbe dare il buon esempio morale, in quanto si accompagnava ad amanti
del momento (una era chiamata la regina
del Congo, da un’altra aveva avuto due figli naturali) ma aveva anche un
debole per le ninfette e come tale era frequentatore di un bordello di Londra
dove si recava con il suo yacht, e
con ottocento sterline mensili si era assicurato ragazzine dai dieci ai
quindici anni e vergini.
Nel 1885 veniva citato da un tribunale come
cliente di un bordello; il caso fu chiuso rapidamente in quanto tra i
frequentatori vi era il principe di Galles e la tenutaria, alla quale era stata
data una cospicua somma, si era dichiarata colpevole.
Stefania fece un matrimonio esteriormente
splendido, sposando l’arciduca Rodolfo d’Asburgo, principe ereditario, il quale
era già immerso nel vizio della droga e delle donne …. tanto da essersi recato a conoscerla a
Bruxelles, con l’amante del momento; poi si era immerso nella relazione con la
nota Mary Vetsera (non accettata dalla famiglia
imperiale), con cui decise di concludere la sua vita e i due amanti, un bel
mattino, furono trovati, morti, nel letto della casina di caccia … e Stefania
non poté diventare imperatrice.
Rimasta vedova sposò un conte ungherese dal
sangue non molto blu e Leopoldo lo chiamava “il pecoraio” e non gli rivolse mai
più la parola.
Clementina rimase obbediente, ma attendeva con
pazienza la morte del padre, e quando morì sposò il suo Vittorio (Napoleone Vittorio Bonaparte, ultimo
erede dei Bonaparte al trono).
Leopoldo mostrava scarso interesse per le materie
di studio, a esclusione della geografia. A ventisette anni (1862) si recava a Siviglia,ma non per visitare i suoi monumenti; Siviglia era il principale porto
delle navi provenienti dalle Indie occidentali e aveva un Archivio che
raccoglieva documenti fin dalle prime scoperte da parte di Colombo; egli voleva conoscere
i guadagni della Spagna dalle Colonie e si fermò un mese e quindi si dedicava
(1864) ai viaggi a Ceylon e possedimenti britannici, India e Birmania.
Era stato affascinato dal libro che parlava delle
piantagioni di caffé, zucchero, indaco e tabacco, i cui utili erano serviti a
pagare la costruzione delle ferrovie. Prima dei trent’anni il re aveva iniziato
la ricerca di un territorio, isole o terre argentine, in Brasile e Formosa.
In Europa era nel frattempo maturata l’idea che
giustificava il
colonialismo che, nelle intenzioni serviva a cristianizzare i
pagani, civilizzare le razze selvagge e garantire i miracolosi benefici del
libero commercio.
Per l’Africa la giustificazione era la tratta degli
schiavi da parte degli arabi.
L’aspirazione di Leopoldo non era solo il danaro,
ma anche il potere e la sua preoccupazione era l’aumento del potere da parte
del Parlamento elettivo rispetto al ruolo del sovrano.
Leopoldo saliva al trono nel 1865, e il figlio gli
moriva al suo quarto anno di regno (1869) e, per la prima volta si abbandonava
ai singhiozzi, ma il dolore non gli faceva perdere la presenza di spirito di
chiedere al Parlamento le spese per il suo funerale.
Intanto ingrandiva parchi, viali, palazzi e,
notevolmente l’estensione delle proprietà reali, con nuovi edifici a Laeken.
Nel frattempo la sorella, Carlotta, sposava Massimiliano
d’Asburgo, fratello dell’imperatore, inviato da Napoleone III … si direbbe … a morire come imperatore del Messico; Massimiliano infatti era privo
di un esercito e riusciva a resistere agli insorti per appena tre anni, quando veniva
arrestato e fucilato (1867); prima di essere fucilato, aveva stretto la mano a
ciascuno dei membri del plotone ai quali consegnava delle pepite d’oro,
chiedendo di mirare al cuore, dove puntava il suo dito, chiedendo di prendere
bene la mira.
La moglie Carlotta usciva di senno ed era relegata
nel castello di Tervuren (Bruxelles), dove, si diceva
parlasse con una bambola di grandezza naturale vestita con abiti imperiali.
Nel 1875 Leopoldo tentava di acquistare le
Filippine dalla Spagna, ma spagnoli, portoghesi e olandesi, rifiutarono.
LEOPOLDO ORGANIZZA
GEOGRAFICA
SULLA SITUAZIONE
DELL’AFRICA
I |
ntorno al 1870 l’80% dell’Africa era nelle mani
dei sovrani indigeni; Porogallo, Spagna, Gran
Bretagna e Francia possedevano piccole tacche di territorio; il Portogallo
rivendicava il regno del Kongo e il Mozambico.
Leopoldo allora studiò il procedimento della
Reale Società Geografica per reperire informazioni sul continente, seguendo da
vicino le orme degli esploratori bianchi.
Studiò con attenzione i procedimenti della RABLE,
società geografica per reperire informazioni sul continente seguendo da vicino
le orme degli esploratori bianchi, raccogliendo (1875) voluminosi appunti, con
grafia quasi illeggibile.
L’esploratore scozzese Verney
Lovett Cameron, che stava per la prima volta per
attraversare l’Africa da est a ovest, era rimasto senza fondi e intervenne
Leopoldo che gli offrì centomila franchi; somma che in effetti non era necessaria,
ma trasformò Leopoldo in mecenate.
Nello stesso periodo Henry Morton Stanley, partito
nel 1874 dalla costa orientale verso il vuoto assoluto (ovvero, inestricabile,
in quanto era tutta fitta foresta!) del centro inesplorato, per localizzare i
grandi laghi e poi spingersi verso le sorgenti del Nilo e del Congo; ma di
Stanley (*), dopo la partenza non si ebbero più notizie.
Sia Livingston, sia Stanley avevano commosso
l’opinione pubblica europea con la descrizione dei mercanti arabi che guidavano
carovane di prigionieri incatenati verso la costa orientale; fu l’occasione per
Leopoldo che chiedeva una solida copertura per la sua spinta coloniale
umanitaria, l’abolizione della tratta, e senza parlare di profitti si
presentava come filantropo con la nobilitazione morale e il progresso della
scienza.
Nel 1876 incominciò a progettare una conferenza
di esploratori e geografi; mandando un collaboratore a Berlino mentre lui si
recava a Londra , in visita dalla regina Vittoria, a cena
dal principe di Galles, pranza con la baronessa Angela Burdett-Coutts
protettrice di missionari; conosce l’esploratore Cameron e scopre che gli
inglesi non sono interessati dai territori da lui esplorati a sud del Congo,
del cui bacino non si hanno ancora cognizioni, e diviene l’oggetto dei suoi
desideri.
A Bruxelles è riunita
Non mancarono parole retoriche d’occasione, con
riferimento al puro servizio alla causa con l’idea di aprire basi di ricovero,
di studio e pacificazione per contrastare la tratta degli schiavi, stabilire la
pace tra i capi e garantire un arbitrato
equo e imparziale.
Tutti gli ospiti furono insigniti della Croce
dell’Ordine di Leopoldo: Cosa si poteva fare di più per essere osannati? Ma non
finì qui; i partecipanti tra un banchetto e l’altro estrassero le loro cartine
e segnarono nel centro dell’Africa i punti dove sarebbero state costruite le
basi di studio e pacificazione che avrebbero ospitato scienziati, linguisti,
artigiani che avrebbero insegnato nozioni pratiche agli indigeni.
Le basi avrebbero avuto laboratori per lo studio del
clima, flora, fauna ecc., strumenti, infermerie, farmaci più avanzati.
Presidente della conferenza fu nominato Piotr Semenov esploratore dei rilievi montuosi del Thien Shan,
che non sapeva nulla dell’Africa, con grande soddisfazione di Leopoldo che riuscì
a manovrarlo, ottenendo che la catena delle basi si estendesse a tutto il
territorio libero del bacino del fiume Congo (il solo fiume raggiungeva in
alcuni punti
Prima della chiusura dei lavori gli ospiti
votarono per la fondazione dell’ “Associazione Africana Internazionale” per la quale Leopoldo
generosamente metteva a disposizione per la sede, l’ufficio di Bruxelles e fu
nominato all’unanimità Presidente e assicurò che sarebbe rimasto in carica per
un solo anno. Terminati i lavori, offrì a ciascun partecipante un suo ritratto
in alta uniforme, con cornice d’oro! … E
tutti partirono estasiati!
L’ Associazione Africana Internazionale fu
accolta in Europa con favore dai Rotschild a Ferdinando de Lesseps
(costruttore del Canale di Suez), che mandarono contributi; si dovevano
organizzare sedi nazionali, ma non decollarono; rimase solo la sede centrale di
Bruxelles nelle mani di Leopoldo che fu regolarmente rieletto negli anni seguenti!
L’astuto Leopoldo, che si era reso conto che la colonia non
era in vendita ma doveva conquistarla, si stava preparando a farlo su suolo
africano e sotto l’egida dello spirito filantropico, unanimemente approvato e
condiviso, considerato da Lesseps la maggior
opera umanitaria dei nostri tempi.
Il re aveva astuzia, acume, talento, carisma (apparteneva insomma alla categoria di quei geni criminali
di cui abbiamo parlato nell’Art. Doktor Faust,v. ndr.) e spirito organizzativo per
realizzare il suo sogno e per di più era assistito dalla fortuna!
*) Stanley esploratore, medico e
missionario era partito nel 1866, alla ricerca di Livingstone il quale non
aveva dato più notizie di sé; Stanley lo trovò dopo sette mesi, nel 1872 e
scrisse il suo primo libro:”Come trovai Livingstone“.
UN TELEGRAMMA
GLI APRE
DELLA FORTUNA
I |
l 5 agosto
1877, una lettera di Stanley, capo della spedizione anglo-americana, indirizzata a qualsiasi uomo che parli la lingua inglese, da Boma, città della
riva settentrionale del Congo a
All’alba del giorno seguente, Stanley ricevette
come rifornimenti patate, riso, cibi in scatola.
Stanley, aveva percorso
Stanley era stato finanziato dal New York Herald
al quale inviava i propri articoli, seguiti dai libri delle sue avventure che
divennero leggendarie, divorati con avidità dai lettori.
Erano partiti in 356 con 46 donne e bambini che formavano
una colonna di ottocento metri, per cui i comandi dovevano esser dati con la
tromba; a destinazione giunsero in 115, gli altri erano morti di malattie,
vaiolo, dissenteria, di stenti per il peso dei carichi che trasportavano; oltre ad essere attaccati da
serpenti, alligatori, ippopotami e da vermi capaci di perforare le palme dei
piedi dei portatori; infine non mancavano i sentieri costellati di pietre
affilate come coltelli con i portatori costretti a procedere con i carichi fino
a quando non cadevano esausti; alcuni morivano
dopo essere arrivati ed erano in attesa di partire per casa.
Il re filantropo divorava tutti i resoconti della
stampa, rendendosi conto che il vasto territorio oggetto dei suoi desideri, era sfuggito alle mire delle
potenze europee e si muoveva con circospezione per non suscitare gli interessi
degli inglesi; pensò quindi di intercettare Stanley al suo ritorno in patria,
attirandolo a Bruxelles. Fece in modo che mentre Stanley era a cena ad
Alessandria, a bordo dello yacht su cui viaggiava Ulisses
S. Grant, ex presidente USA, qualcuno gli suggerisse l’invito del re del
Belgio.
L’incaricato era il generale Sanford che era
stato ministro plenipotenziario in Belgio, dal presidente Lincoln. Vezzeggiato
da Leopoldo tanto da sentirsene lusingato e stimato, cosa che il suo paese non
faceva … alla fine Stanley, dopo cinque mesi dal suo
ritorno, accettò l’invito di Leopoldo.
Il 10 giugno 1878 il trentasettenne Henry Morton
Stanley incontra il quarantatreenne re Leopoldo che lo mette subito a suo agio
parlandogli in inglese e conquistandolo, facendogli sentire la sua ammirazione,
mentre Stanley si riteneva deluso dalla
Gran Bretagna che non gli aveva mostrato alcun interesse: tra i due intervenne
un accordo della durata di cinque anni; Stanley sarebbe tornato in Africa e per
il periodo in cui sarebbe rimasto in Europa avrebbe ricevuto 25mila franchi
l’anno, mentre per il periodo che avrebbe passato in Africa, ne avrebbe ricevuti 50mila (pari a
circa 250mila dollari degli anni 2000!); Leopoldo avrebbe finanziato anche la
spedizione di Stanley il quale avrebbe creato una base vicino alla foce del
Congo e costruito una strada precorritrice della ferrovia intorno alle rapide,
attraverso gli aspri Monti di Cristallo, creando stazioni commerciali lungo
16mila km. del principale tratto navigabile del fiume.
Tra le ricchezze che Leopoldo pensava di trovare
nel Congo, quella che più gli brillava nella testa era l’avorio che i
commercianti già si disputavano a Zanzibar, da cui si ricavavano spille,
statuette, pettini, ventagli, crocifissi, tabacchiere, portatovaglioli, manici
di coltelli, palle di biliardo, scacchi, tasti per organi e pianoforti, protesi
dentarie e inoltre le zanne erano meno ingombranti da trasportare, come le
droghe e pietre preziose.
Per la qualità dell’avorio erano preferiti gli
elefanti africani agli indiani in quanto le zanne erano più lunghe e in Africa
ve n’era così in abbondanza da essere utilizzate per gli stipiti delle porte .
Leopoldo doveva attendere per avere queste
ricchezze in quanto Stanley doveva costruire prima la strada pur avendo Stanley
firmato diversi contratti, era guardingo e si era fatto pagare in anticipo, in
quanto non si era reso perfettamente conto per chi dovesse lavorare, se per
Leopoldo o per l’Associazione Africana o per il nuovo e segreto Comitato di
Studi dell’Alto Congo, che era nelle mani di azionisti che erano uomini
d’affari olandesi e britannici, il cui maggior pacchetto però era nelle mani del
presidente colonnello Maximilian Strauch, procuratore
di Leopoldo.
I piani di Stanley erano ambiziosi e Leopoldo era
disposto ad assecondarli ma a condizione che passassero come iniziative
filantropiche con i contratti firmati da collaboratori che vietavano la
divulgazione di informazioni sul vero scopo dell’impresa, indicata con il nome
di esplorazioni scientifiche; e
quando il re era interrogato, richiamava un articolo dello Statuto che proibiva
all’organismo di perseguire fini politici.
Nel febbraio 1879 Stanley si imbarcava per
l’Africa sotto falso nome (M. Henry), Leopoldo, dal suo canto, pensa a creare,
accanto alla moribonda Associazione
Africana Internazionale, per assonanza, l’Associazione Africana Internazionale, costituita da esploratori e
principi ereditari, con intenti filantropici; con la stessa bandiera del defunto Comitato di
studi dell’Alto Congo e dell’Associazione africana internazionale, con la stella
d’oro su fondo blu a simboleggiare la
fiammella di speranza nella proverbiale oscurità africana.
STANLEY PROCURA
A LEOPOLDO II
UN MILIONE DI KM2
DI TERRITORIO
DEL CONGO
L |
eopoldo prima di prendere accordi con Stanley, nell’intento di
appropriarsi del Congo, aveva finanziato una impresa che avrebbe dovuto
penetrare nel Congo dalla costa orientale, sebbene vi fossero state tre
spedizioni risultate inconcludenti.
In una di queste furono utilizzati per il trasporto, quattro elefanti (provenienti
dall’India dove erano stati addomesticati, in quanto gli indiani lo facevano da
secoli, non gli africani: v. in Specchio dell’epoca, Poggio Bracciolini, Della
Varietà della fortuna par. A Mangi si addomesticano gli elefanti ndr.) ma morirono di varie malattie; mentre
i lettori seguivano la storia di questi quattro elefanti, dall’altra parte
della costa Stanley era intento a costruire una strada intorno alle rapide del
Congo.
Il generale Sanford membro dell’Associazione africana
internazionale, si era recato (1879) a New York dove aveva interessi finanziari
in decozione, dove tenne una conferenza con lo scopo di creare ospizi di
accoglienza e di ricerca scientifica e da costituire mezzi di informazione e
aiuto per i viaggiatori … e grazie alla loro opera umanitaria, garantire la
abolizione della schiavitù.
Dal suo canto, Leopoldo, faceva pubblicare sul Times un articolo col quale la nuova
Associazione internazionale del Congo era indicata come una specie di Croce Rossa con il nobile
scopo di fornire servizi duraturi e disinteressati alla causa del progresso.
Leopoldo presentava i propri uomini come cavalieri delle crociate e così riuscì a ottenere
finanziamenti: la baronessa britannica Burdett
Coutts, protettrice dei missionari, gli fece avere cinquantamila franchi per le
sue iniziative umanitarie; negli USA un giornalista definì la grande opera di
Leopoldo sufficiente a convincere ogni americano a credere nei re!
Nel frattempo Leopoldo annunciava che Stanley avrebbe dovuto gettare le basi
per una “confederazione di libere
repubbliche nere” il cui presidente avrebbe dovuto risiedere in Europa, se
governato sotto la guida del re del Belgio, mentre per gli europei il re
parlava di città libere come lo erano state nel medioevo Brema, Amburgo,
Lubecca, mentre, con schiettezza Stanley sosteneva che “la concessione di potere politico ai neri era fuori questione. Sarebbe assurdo. I bianchi a capo delle stazioni conserveranno tutto il loro potere”.
Per cinque anni Stanley lavorò per Leopoldo, occupandosi più del territorio ostile che
della popolazione, lavorando per la costruzione della strada attorno alle rapide
che era piuttosto una mulattiera, aprendosi un varco nella foresta, utilizzando
battelli smontati e rimontati, sentieri già esistenti, riempiendo canali,
costruendo ponti di legno.
Gli animali, cavalli e buoi, non riuscivano a sopravvivere al
clima e alle malattie le scorte viaggiavano per lo più sulle teste dei
portatori; i battelli, in prossimità delle rapide, venivano smontati e
rimontati e sulle rive del fiume si costruivano stazioni; quella in cima alle
grandi rapide comprendeva un orto e un edificio di tronchi fortificato da cui
si poteva udire il boato delle cascate e fu chiamata Leopoldville;
sulle cartine apparvero il lago Leopoldo II e il fiume Leopoldo; uno dei
battelli comandato per un certo periodo, dal più famoso pilota congolese, portava
il nome di “Roi des
belges”.
Stanley per la disciplina, usava il pugno di ferro e riteneva che
il pugno di ferro fosse la punizione migliore, senza ferire, sfigurare o torturare il corpo … ma le ferite sanguinanti non venivano
curate, lasciate alla mercè degli insetti: e le malattie mietevano più vittime
della sua collera. Nel primo anno morirono sei europei e ventidue africani, di
cui uno divorato da un coccodrillo.
Il pensiero mercantile di Stanley che voleva strappare gli
africani ignudi alla loro impassibile nudità, sarebbe stato quello di convincere
milioni di negri a indossare abiti europei.
Stanley
curava molto il suo aspetto,
radendosi e impomatandosi i baffi di lucido nero tutti i giorni. La sua robusta
costituzione lo rendeva resistente alle malattie che causavano la morte di
molti visitatori europei; ma fu anch’egli attaccato
dalla malaria che per due volte lo stava condannando a morte. Un altro attacco
lo ridusse a quarantacinque chili, incapace di sollevare le braccia. Dopo
essersi ripreso si ammalò di nuovo e fu portato a Leopoldville
privo di sensi.
Nel 1882 ritornò in Europa, per la convalescenza e a malapena
riusciva a reggersi in piedi ma sul piroscafo portoghese che lo riportava a
casa osservava, scandalizzato, che”i volgari passeggeri
della seconda classe potevano accedere alla prima dove espettoravano, fumavano e
si stravaccavano alla maniera più socialistica; peggiore fu l’invasione delle
donne della terza classe e di cinque o sei bambini seminudi”. I medici lo
avvertirono che un suo ritorno in Africa gli sarebbe stato fatale.
Leopoldo parlando col ministro britannico a Bruxelles gli diceva
che la sua impresa africana non aveva carattere commerciale in quanto non
esercitava alcun commercio, mentre a Stanley aveva appena scritto “Desidero che acquistiate tutto l’avorio del
Congo e che chiediate al colonnello Strauch quali
merci inviarvi per il pagamento” … e di
introdurre dazi e barriere doganali come si usava fare in tutti gli altri
paesi.
Ma anche gli altri paesi incominciavano a curiosare nelle
vicinanze dei suoi territori.
Il francese Pierre Savorgnon de Brazza,
esploratore e ufficiale della marina francese, aveva firmato con un capo tribù
la cessione alla
Francia di una striscia della riva
settentrionale del fiume e aveva lasciato un sergente al comando di un
avamposto sul quale sventolava la bandiera francese; sulle rimostranze di
Stanley, che sosteneva che la cessione era fondata sull’inganno, mentre de
Brazza considerava Stanley un guerriero, nemico degli africani.
La controversia finì sulla stampa, svegliando il Portogallo che
avanzò le sue rivendicazioni sulle terre che circondavano la foce del Congo,
appoggiato dall’Inghilterra.
Leopoldo si fece rilasciare da un giurista di Oxford, sir Travers
Twiss, un parere
in base al quale le società private quando concludevano trattati con i
capi tribù, avevano diritti sovrani.
Stanley con le sue forze armate continuava ad alzare la bandiera
con la stella d’oro su villaggi e territori del bacino del Congo, che erano stati
ceduti da quattrocentocinquanta capi
tribù, i quali in cambio avevano ricevuto oggetti di scarso valore o giacche da
lacché o uniformi decorate, scampoli di stoffe, o qualche bottiglia di gin,
come a suo tempo era stato fatto con gli indiani d’America, e ribadiva la sua
intenzione di aprire l’Africa al libero commercio.
I contratti, firmati con il crocesegno
prevedevano il diritto di riscuotere dazi su tutte le strade e i canali
navigabili, nonché i diritti di caccia e pesca, estrazioni minerarie e
sfruttamento forestale in favore della associazione; con gli scampoli di
stoffe, Stanley oltre alle terre, si assicurava la manodopera.
Il territorio che Stanley si era assicurato, era vastissimo,
quanto gli Stati Uniti a est del Mississippi, abitato da tribù pacifiche come i
pigmei o da tribù che praticavano la schiavitù o il cannibalismo rituale e
ingaggiavano guerre con altri clan o gruppi etnici; in alcune zone del Congo le
donne venivano mutilate rendendole forzatamente prive del clitoride (pratica
brutale tutt’ora seguita anche dagli islamici! ndr.) o praticavano una specie di controllo delle nascite, astenendosi
dal sesso in alcune occasioni; ma vi era anche un pregevole artigianato (che aveva
avuto la sua influenza su Braque, Matisse e Picasso).
Ritornato in Europa Stanley criticò la voracità - del re - necessaria
a inghiottire un milione di chilometri quadrati per una gola troppo piccola per
inghiottire persino un’aringa!
E Leopoldo incominciava ad
avviare le sue astute manovre al di fuori dell’Europa.
L’EUROPA
SI SVEGLIA
SULL’AFRICA
L |
’Europa, nel
1884 apriva gli occhi sull’Africa: de Brazza aveva concluso un trattato che
avrebbe condotto alla nascita di una colonia francese in prossimità dello
Stanley Pool, sulla riva nord-occidentale del Congo.
Otto von
Bismark voleva creare una colonia in Africa; i britannici, con la maggior
presenza sul continente, incominciavano a preoccuparsi per la concorrenza.
Il re aveva
iniziato ad avviare le sue astute manovre al di fuori dell’Europa per il
riconoscimento diplomatico della sua
colonia.
Il generale
Henry Shelton Sanford, era
straricco e dalla sua casa in Belgio era partito per
Il presidente
Chester A. Arthur era noto come uno dei più corrotti uomini d’affari di New
York, ma come presidente era divenuto un modello di onestà e aveva inaugurato
la ferrovia dall’Atlantico al Pacifico; amante del wisky,
dei grossi sigari e degli abiti costosi, era ricordata la sua frase: “Sarò anche il presidente degli Stati Uniti,
ma la mia vita privata non è affare di nessuno”.
Quando
Stanford sbarcò a New York (20 N0v. 1883) gli giunse l’invito del presidente
che lo ospitava a Washington e Sanford dopo avergli raccontato delle condizioni
di schiavitù in cui erano ridotti i negri da parte dei mercanti arabi, su
premesse artefatte dai burocrati di Bruxelles, chiedeva “di annunciare che gli USA\ trattavano come bandiera amica lo stendardo
blu con la stella d’oro che sventolava su diciassette stazioni, numerosi
territori e una popolazione di diversi milioni di persone”; mentre Sanford
affermava che l’opera civilizzatrice di Leopoldo avrebbe contrastato le
pratiche dei terribili mercanti di
schiavi arabi. … E il presidente nel suo
discorso, modificato al Congresso con quanto gli aveva scritto il generale
sulla “prospera e popolosa valle del
Kongo che stava per essere aperta da una società denominata Associazione
Africana Internazionale … dove una bandiera garantiva la libertà del commercio
e proibiva la tratta degli schiavi”! E il colonnello Maximilian Strauch, collaboratore di Leopoldo, telegrafò con entusiasmo
a Sanford “Incantato
da Emile”!
Il 29
Nov.1883 Sanford fu ricevuto alla Casa Bianca dove illustrava la grande opera
civilizzatrice di Leopoldo, simile all’opera degli USA per
Passo
successivo di Sanford fu quello di lavorare sul Congresso: Affittò non lontano
dalla Casa Bianca una casa; fece venire dal Belgio la moglie e uno chef e incominciò a invitare membri del
gabinetto e senatori; le sue cene e i suoi vini furono molto apprezzati e fu soprannominato il diplomatico gastronomico e si poteva definire un lobbista.
IL SENATORE MORGAN
SOSTENITORE
DELL’ESODO
GENERALE DEI NERI
DAGLI USA
.
T |
ra gli ospiti
di Sanford, era capitato John Tyler Morgan, ex generale, senatore, e presidente
del Comitato senatoriale per le relazioni con l’estero. Morgan, come gran parte
dei politici bianchi degli Stati meridionali era sostenitore dell’esodo
generale, terrorizzato all’idea che milioni di schiavi liberati e i loro
discendenti cominciassero ad accarezzare sogni di uguaglianza, e mirava a
mandar via i neri meridionali alle Hawai, a Cuba,
nelle Filippine, isole, secondo lui, della loro provenienza, e l’Africa
rimaneva la scelta migliore
“nel bacino del Congo … il
negro può trovare il luogo idoneo per le proprie iniziative”. Nel Sud degli
USA, aleggiava comunque tra gli imprenditori bianchi l’idea “rimandateli a casa” e per il Congresso
sarebbe stato un’ottima valvola di sfogo.
All’inizio
del 1884 Morgan propose una risoluzione senatoriale a favore delle
rivendicazioni di Leopoldo e mandò (da buon lobbista)
la bozza a Sanford, che alle parole “terre
drenate dal Congo” aggiunse “e suoi
tributari e fiumi adiacenti” che voleva dire tutta l’Africa Centrale.
Ma il
Congresso modificò la risoluzione e da parte del Senato fu pubblicato un
rapporto sotto il nome di Morgan e scritto da Sanford in cui si faceva
riferimento “al premuroso spirito di benevola intraprendenza in fav0re delle tribù
congolesi … con l’elogio che non era
stato mai compiuto uno sforzo più onesto e concreto per garantirne il benessere”.
Sanford, per non apparire di persona, convinse
I frutti giunsero nell’aprile del 1884, quando il
Segretario di Stato dichiarò che gli USA riconoscevano le rivendicazioni di Leopoldo
II sul Congo. Durante la sua attività hobbistica, Sanford aveva fatto
riferimento ora alla Associazione internazionale per il Congo, ora alla
Associazione africana internazionale, oramai scomparse, che in ogni caso
avevano lasciato il ricordo di una società filantropica di cui facevano parte
famosi esploratori, principi e granduchi, con una confusione tra le due
associazioni, e da parte del Segretario di Stato Frelinghuysen
che assicurava il sostegno degli USA agli scopi umanitari dell’Associazione internazionale
del Congo … con l’ordine agli ufficiali statunitensi di mare e di terra di
riconoscere la bandiera dell’Associazione
africana internazionale come bandiera di governo amico.
Questa dichiarazione scomparve dai documenti
ufficiali negli archivi dei burocrati e successivamente fu alterata e riportata
nel libro di Stanley. La modifica riguardava l’Associazione internazionale del
Congo interamente posseduta da Leopoldo e probabilmente fatta dallo stesso Leopoldo .
Leopoldo, avuto il riconoscimento degli USA , si rivolse con le stesse manovre alla Francia dove gli
faceva da tramite il mercante d’arte Arthur Stevens che trattò direttamente con
il ministro Jules Ferry mentre Leopoldo versava una cospicua somma mensile a un
giornalista di Le Temps,
per una serie di articoli in favore delle sue attività congolesi.
I francesi non si sentivano minacciati dal
minuscolo Belgio; la loro unica preoccupazione era che Leopoldo finito il
denaro per la
dispendiosa costruzione della ferrovia, vendesse all’Inghilterra l’intero
territorio.
E furono subito serviti!
Leopoldo, negli accordi conclusi concedeva loro “le droit de préférence” , una specie di
diritto di prelazione per cui in caso di vendita i francesi erano privilegiati
nell’acquisto; i francesi, sicuri che la ferrovia avrebbe portato Leopoldo sul
lastrico, ritennero di aver fatto un buon affare.
Gli americani, affascinati da Sanford - n0n si
eran0 preoccupati di indicare i confini del territorio che avevano riconosciuto
-
Leopoldo, mentre con il presidente Arthur aveva
usato il termine di Stati Indipendenti (1884), nelle sue dichiarazioni usava il
singolare, Stato, mentre per
Grazie a questo gioco l’entità che otteneva il
riconoscimento degli Stati si andava trasformando da “federazione di Stati sotto la benevola protezione di una società
filantropica, in colonia, governata da un solo uomo”.
Il passaggio successivo da affrontare era l’osso
duro di Bismark, Cancelliere della Germania.
LE GRANDI MANOVRE
DI LEOPOLDO PER LA
CONQ1UISTA DELLO
STATO DEL CONGO
B |
ismark era di ben altra tempra e con lui non si
potevano usare giochi di prestigio, giocando con lo spirito filantropico;
Leopoldo, per avidità, commise l’errore di scrivergli, rivendicando oltre al
bacino del Congo, non meglio precisate aree abbandonate dell’Egitto, dove la
tratta continuava a prosperare; Bismark scribacchiò una annotazione,”imbroglione” e disse a un suo collaboratore:
“Sua maestà dimostra di avere le pretese
e l’ingenuo egoismo di un italiano, convinto che il suo fascino e il suo
bell’aspetto gli consentano di farla sempre più franca”. Ma alla fine vinse
l’astuzia di Leopoldo il quale raggirò Bismark
servendosi dell’intermediario Gerson Bleichröder, banchiere del
sovrano e finanziatore tra l’altro del traforo del San Gottardo, del quale
comprò favori a Leopoldo, trasferendo un contributo reale di quarantacinquemila
franchi, destinati alla Società africana di Berlino.
Durante l’estate del 1884, Stanley era ospite di
Leopoldo nello chalet reale di
Ostenda, da quando giunse la richiesta di Bismark di disegnare sulla cartina i
confini del Congo. Si era infatti convinto che sarebbe stato meglio assegnare il
Congo al piccolo e debole Belgio, assicurandosi uno sbocco per i commercianti
tedeschi, anziché finire nelle mani del Portogallo o della Francia protezionista, o della
potente Inghilterra; accettò di riconoscere il nuovo Stato, in cambio di
garanzie della libertà di commercio (Bismark non conosceva le clausole dei
trattati stipulati da Leopoldo con i capi in base alle quali Leopoldo aveva
riservato tutto per sé). In quegli anni si era diffusa la febbre delle colonie
ed era stato Stanley a suscitarla con i suoi articoli, libri e avventure.
Bismark intervenne offrendo di ospitare una
conferenza dei Governi a Berlino per discutere le questioni riguardanti le
colonie: una vera opportunità per Leopoldo. Essa ebbe luogo il 15 Novembre 1884; l’unico assente era Leopoldo in quanto la sua
associazione internazionale non era “governo”
ma tramite Bleichröder,
che offrì una cena ai delegati, e per i contatti che egli aveva con tre delle
delegazioni ne venne ben informato; non solo, ma erano ospiti anche Stanley, e
Sanford era uno dei due delegati americani. Leopoldo seguiva quindi ogni mossa
da Bruxelles. Bismark era interessato in quanto stava anch’egli gettando le
basi per un impero africano per
Stanley, davanti a una cartina dell’Africa,
descriveva ai partecipanti le caratteristiche del bacino del Congo e territori
limitrofi che sarebbero dovuti passare sotto un unico regime, garante della
massima libertà di comunicazione.
Leopoldo fece ricorso al suo spirito ingannatore
facendo intendere che se non avesse ottenuto le terre che ambiva, si sarebbe
ritirato dall’Africa; ciò avrebbe fatto scattare il diritto di prelazione della
Francia e il bluff andò a segno perché l’Inghilterra
cedette.
Gli europei pensavano che le ricchezze che
riservava l’Africa si concentrassero sulle coste, per cui non vi furono
problemi sulla concessione di vasti spazi all’interno; per di più, i paesi che
avevano dato la loro approvazione ritenevano di dare l’approvazione a una sorta
di colonia internazionale, seppur sotto gli auspici del re dei belgi, ma aperta
a tutti i commercianti dell’Europa.
Ne era scaturito l’assenso alla libertà di
navigazione e all’armonizzazione delle differenze dei missionari.
Il principale accordo scaturito dalla Conferenza
prevedeva che l’enorme porzione di Africa centrale, compreso il territorio di
Leopoldo, diventasse zona di libero commercio.
Due mesi dopo, la nave Lancaster degli Stati
Uniti, alla foce del Congo, sparò una salva di ventun colpi di cannone in onore
della bandiera blu con la stella d’oro.
Solo dopo
Dal suo canto Leopoldo decise di far dimenticare
l’esistenza di una Associazione filantropica e sebbene l’istituzione fosse
riconosciuta dalla Conferenza di Berlino, l’Associazione
africana internazionale e nel caso del Dipartimento di Stato americano,
anche l’Asociazione internazionale del Congo Leopoldo volle
far dimenticare l’esistenza di una società filantropica, e con decreto reale
con il primo atto ufficiale del Congo (29 Maggio 1885) Leopoldo battezzò la sua
colonia col nome di Etat indépendent du
Congo, l’unica cosa invariata fu la bandiera con la stella d’oro in campo
blu, seguita anche dall’inno nazionale .
Leopoldo a cinquant’anni realizzava il suo grande
sogno della colonia!
DEL
CONGO
TRA
FILANTROPIA
E
ATROCITA’
L |
eopoldo riuscì
a governare il Congo con qualche migliaio di bianchi al suo servizio che
dominavano circa venti milioni di neri, con le loro atrocità favorite dalle
nuove tecnologie militari, con i fucili a retrocarica rispetto a quelli ad
avancarica, seguiti da quelli a ripetizione ai quali, dopo poco, si aggiunse la
mitragliatrice.
Ma lo strumento che permise agli europei di
occupare tutta l’Africa tropicale nei vent’anni successivi alla Conferenza di Berlino,
(1885). fu il chinino che combatteva
la malaria di cui non si conoscevano le cause e si cominciarono a curare anche
la febbre gialla e altre malattie
tropicali che mietevano vittime tra bambini e neri.
Un mezzo che si rivelò importante fu il battello
a vapore – kutu-kutu – mosso dalla ruota montata a
poppa o laterale, lungo e stretto e con poco pescaggio.
Per di più Leopoldo si dispose a costruire le
infrastrutture per il miglior sfruttamento della colonia, dove (1889)
lavoravano quattrocentocinquanta tra commercianti, missionari, soldati e
amministratori.
Nel 1887 si cominciò a tracciare il percorso
della ferrovia per
Leopoldo cercò finanziamenti tra i finanziatori, che
cominciarono a stringere i cordoni come i Rotschild .
Ma il denaro raccolto non era sufficiente e Leopoldo pensò che l’unica fonte di
un generoso finanziamento non potesse essere che il Parlamento belga, ma non
fece subito il passo: pensò prima di consolidare la sua reputazione di filantropo e promotore di iniziative
umanitarie.
I mercanti di schiavi si erano insediati a
Zanzibar sulla costa orientale dell’Africa, diffondendo il terrore
nell’Africa centrale e orientale; essi catturavano gli schiavi e li vendevano
sulla costa nord-orientale dell’Oceano Indiano del Golfo Persico .
Questi mercanti erano per lo più musulmani e per
questo suscitavano lo sdegno
degli europei, che però si intrecciava con la
sete crescente di colonie africane e ciò gli consentiva di considerare virtuose
queste intenzioni.
Leopoldo, per la protezione offerta ai missionari
con le sue denunce della tratta degli schiavi, non solo ricevette elogi, ma fu
nominato presidente onorario della Società degli Aborigeni, organizzazione
inglese per la difesa dei diritti umani (come dire Dracula (v. in Schegge,
Vampiri ecc.) presidente della Croce Rossa! ndr.)
Per di più Bruxelles fu scelta come sede della
Conferenza antischiavista delle grandi potenze inaugurata nel 1889: nella sala
del Ministero degli Esteri, dove il re antischiavista riceveva gli ospiti, era
esposto un giogo a forcella per schiavi:
è un lavoro impegnativo aveva
commentato il rappresentante britannico …lavoro
che si svolgeva tra cene, balli e ricevimenti; alla conferenza era stata
invitata
Leopoldo esultava per i suoi progetti che corrispondevano
a quelli per la lotta ai mercanti di schiavi, che richiedevano la struttura dei
trasporti che egli progettava di costruire, per cui parlò di strade, battelli, ferrovie,
posti fortificati che avrebbero messo in condizione le colonie di soldati a
inseguire i mercanti di schiavi. Chiese
solo l’autorizzazione della Conferenza a riscuotere i dazi di importazione per
finanziare la lotta contro la schiavitù. E la conferenza lo autorizzò, così
modificando il divieto sancito a Berlino del libero commercio.
Con questa richiesta Henry Shelton Sanford, come
rappresentante antischiavista, ne rimase allibito in quanto sei anni prima
aveva ottenuto il riconoscimento degli USA per il Congo di Leopoldo, firmando
un accordo che
garantiva il libero commercio e ora,
all’improvviso, il re imponeva i dazi doganali. La sua ammirazione per Leopoldo
veniva ora a cadere in quanto Sanford si sentiva tradito. Ma, tormentato dalla
gotta e dall’insonnia, morì l’anno seguente, senza aver potuto prendere alcuna
iniziativa.
Mentre
Stanley, grato, elogiò la grandezza del sovrano
per la saggezza e benevolenza con cui guidava il suo popolo, con la
sollecitudine di un pastore.
A Laeken Leopoldo diede una festa in giardino per
duemilacinquecento membri dell’ élite belga, sbalordendo gli ospiti con le nuove serre, con
un assortimento di piante e alberi esotici che rappresentavano la più ricca
collezione del mondo. Quando
Le mire di Leopoldo erano quelle di ottenere il
prestito dal Parlamento, che se lo avesse concesso, promise che nel suo
testamento avrebbe lasciato il Congo al Belgio.
Il Parlamento, al munifico monarca, famoso per la sua crociata contro lo
schiavismo, elogiato dal celebre esploratore Stanley, amato dai suoi fedeli
sudditi, concesse al re venticinque milioni di franchi (pari a 125 milioni di dollari
del 1998), per finanziare la sua opera
filantropica.
Per il re che aveva bisogno di soldati,
topografi, amministratori, ingegneri minerari, costruttori ferroviari e
capitani di vascello, Stanley non era più di alcuna utilità, ma riceveva lo
stipendio e guadagnava molto con i suoi libri.
Nel frattempo aveva avuto disavventure familiari (era stato
lasciato dalla moglie Alice Pike) e il re cominciava
a sognare la valle del Nilo: Che sarebbe stata l’occasione per rimettere
Stanley a lavoro.
Il Sudan la cui parte meridionale confinava con
il Congo dove scorrevano gli affluenti del Nilo era sotto il governo
anglo-egiziano.
Verso la metà del 1800 i mahdisti, membri di un
movimento fondamentalista, si erano ribellati e avevano ucciso il governatore
generale britannico e respinto le forze mandate a contrastarle. I
ribelli si spinsero nella provincia meridionale dove si trovava il governatore Emin Pascià che chiese aiuto all’Europa (1886);
I mahdisti, oltre a suscitare il fervore islamico,
avevano offeso la regina Vittoria con la richiesta di recarsi nel Sudan
e sottomettersi al loro governo, convertendosi all’Islam.
Emin Pascià era un bianco di origine ebraica e
nazionalità tedesca, il suo nome era Eduard Schnitzer,
raccoglieva campioni di piante, animali, uccelli imbalsamati, che mandava al
British Museum; oltre a governare, guarire i malati e resistere agli insorti, era un
ottimo linguista.
Dall’Inghilterra inviarono alimenti e l’inventore
Hiram Maxim inviò l’ultimo suo modello di mitragliatrice Maxim.
Idoneo per comandare una spedizione, Stanley tra
l’altro era entusiasta della mitragliatrice che aveva collaudato e aveva deciso
di recarsi da Emin, per accertarsi che sparasse effettivamente
seicento proiettili al minuto, di grande
aiuto, aveva commentato Stanley, a soffocare la barbarie .
Stanley chiese al re di scioglierlo dal contratto
che lo legava a lui; Leopoldo rispose che accettava a due condizioni. La prima,
anziché seguire la via più breve dalla costa africana orientale e quindi
superare gli altipiani tedeschi e britannici, doveva passare per il suo Congo
che comprendeva l’altro versante della foresta pluviale inesplorata dell’Ituri.
La seconda, al limite della decenza, chiedere a Emin di continuare a essere governatore della provincia che
però doveva diventare provincia dello Stato del Congo.
A Stanley giunsero finanziatori da ogni pare,
dalla Reale società geografica, dai commercianti britannici interessati alla
riserva di avorio di Emin, valutata sessanta milioni
di sterline e dai finanziatori della stampa, certi che una nuova spedizione di
Stanley avrebbe fatto lievitare la tiratura dei giornali.
Stanley partì all’inizio del 1887 e con sorpresa
di tutti il vessillo era quello dello Yact Club di New
York; Stanley pubblicherà, tra i suoi numerosi libri, quello sulla spedizione
di soccorso per Emin, di mille pagine in due volumi,
divenuto best-seller.
Stanley aveva commesso l’errore di dividere la
spedizione di ottocento persone, in due colonne di quattrocento, per poter
raggiungere più presto Emin Pascià, ma aveva affidato
la colonna al maggiore Edmund Barttelot, ufficiale
responsabile della colonna di retroguardia il quale era uscito di senno, gettando
nel fiume i bagagli dell’esploratore, obbligando un altro ufficiale a camminare
per tre mesi affrontando un viaggio di andata e ritorno di quasi cinquemila
chilometri, per raggiungere una stazione telegrafica più vicina e inviare un assurdo
telegramma in Inghilterra. Decise poi che qualcuno voleva avvelenarlo e
cominciò a vedere traditori ovunque; commetteva stranezze come punzecchiare i
portatori neri con il suo bastone con la punta di acciaio; facendo mettere le
catene a una decina di persone e picchiando una donna; un africano lo uccise
sparandogli una fucilata, prima che potesse fare di peggio.
Stanley in testa alla colonna arrancava nella
giungla e infliggeva punizioni, condannando un disertore alla impiccagione,
infliggendo varie dosi di frustate che in alcuni casi somministrava egli
stesso; l’inefficienza del sistema di approvvigionamento comportò che per gran
parte del tempo i portatori e i soldati fossero sul punto di morire di fame.
Quando vi era il rischio di essere attaccati Stanley
ordinava di bruciare tutti i villaggi circostanti. Più della metà dei suoi 389
uomini, morì mentre si faceva strada col machete.
Quelli che disertavano si smarrivano nella giungla, annegavano o morivano
di tetano, dissenteria, o ulcere cancrenose.
Altri furono uccisi dalle frecce avvelenate e
dalle trappole degli abitanti della foresta, terrorizzati da quegli stranieri
armati e mezzi morti di fame che avevano invaso il loro territorio.
Quando giunsero da Emin,
furono da lui sfamati, ma rifiutò di unire la sua provincia al Congo..
Stanley aveva paura di tornare senza il Pascià e
riuscì a convincerlo di seguirlo in Europa e insieme raggiunsero il mare della
costa orientale (attuale Tanzania).
Una batteria tedesca sparò una salva in loro
onore e gli fu offerto un banchetto con champagne;
Emin era miope e attraversando una finestra del
secondo piano che pensava si aprisse sulla veranda, cadde in strada e perse i
sensi e dovette rimanere in ospedale per due mesi. Stanley non potette portarlo
in Europa e una volta guarito Emin scelse di stare
con i tedeschi.
Al ritorno di Staney in
Inghilterra (1890) sorsero polemiche per la morte degli uomini e atrocità
commesse. Ma le atrocità erano poca cosa rispetto alla carneficina che si stava
per verificare nell’Africa centrale.
L’ENTUSIASMO
INIZIALE
E
DI GEORGE WASHINTON WILLIAMS
I |
n una stazione
della rete fluviale del Congo, stazione delle Cascate Stanley, con la bandiera
blu e stella d’oro, era giunto dagli Stati Uniti come ospite George Washington Williams,
che vestito in maniera formale, come usavano fare molti nel Congo, con camicia con colletto
inamidato e farfalla, si accingeva a scrivere una lettera aperta a Leopoldo,
che costituiva una pietra miliare dei diritti umani.
Williams era nero e fu uno dei primi dissidenti
che si recarono nel Congo quando Leopoldo cominciò a sfruttare il paese ed era
partito nella speranza di trovare qualcosa che potesse somigliare al paradiso.
Nato in Pennsylvania nel 1849, aveva avuto una
istruzione limitata e nel 1864 si era arruolato (semianalfabeta, minorenne e
sotto falso nome), nell’esercito dell’Unione e successivamente nell’esercito
del Messico che lottava per rovesciare l’imperatore Mssimiliano.
Dopo aver lasciato l’esercito aveva ripreso gli studi presso l’Università di
Howard (che faceva di tutto per farla passare come Università di Harvard).
Quando si era laureato alla Università di Newton
(1874) il suo discorso si imperniava sul tema che sedici anni dopo lo avrebbe
portato in Congo: “Da quasi tre secoli l’Africa viene derubata dei suoi figli
neri” … scrisse poi un libro in due volumi, (1882-1883), intitolato
“Storia della razza negra in America dal
1619 al 1880. I negri come schiavi,
soldati e cittadini, insieme con una considerazione preliminare sull’unità
della famiglia umana, uno schizzo storico dell’Africa e un resoconto sui
governi negri in Sierra Leone e in Liberia”.
L’opera ripercorreva il periodo storico che andava dai
primi regni africani, alla guerra civile e alla ricostruzione. Wiliams era stato uno dei primi storici americani a
utilizzare fonti non tradizionali. Egli non solo si era recato in molte
biblioteche e aveva scritto a un giornale nero nazionale, chiedendo ai lettori
di inviargli i verbali di qualsiasi organizzazione ecclesiastica di colore e
altri documenti simili; faceva conferenze e aveva avuto l’incarico di scrivere
una serie di corrispondenze dall’Europa per una agenzia di stampa.
Nel 1889 si era recato a Bruxelles alla
conferenza antischiavista e aveva intervistato Leopoldo chiedendogli cosa si
aspettasse in cambio di tutto il denaro investito nello sviluppo del Congo, il
re ipocritamente rispose: “Compio la mia
opera di cristiano nei confronti dei poveri africani e non desidero vedermi
restituito nemmeno un franco di tutti i soldi che ho sborsato”.
Williams come tanti altri, era rimasto abbagliato
“da uno dei più nobili sovrani del mondo;
un imperatore la cui maggiore ambizione consiste nel servire la causa della
civiltà cristiana e nel promuovere i migliori interessi dei suoi sudditi,
governando con pietà, saggezza, e giustizia”.
Il pubblico si era dimostrato scettico ed egli
aveva deciso di recarsi nel Congo; aveva circumnavigato l’Africa, raggiungendo
le Cascate Stanley e dopo essersi rese conto di quale fosse la cruda realtà,
scriveva a Leopoldo una “Lettera aperta” con la quale faceva osservare due
punti fondamentali.
Il primo riguardava quanto aveva visto della colonia e il modo in cui si era sentito
avvilito, dopo aver scritto tutti quegli elogi sul paese, sullo Stato, sul
sovrano del Congo, aggiungendo: “Ho
vagliato ogni accusa che intendo sollevare contro il governo personale di V.M.
in Congo, ho preparato una lista di lettere, dati, registri e testimoni”.
Oltre alla lettera, Williams aveva preparato un rapporto sullo stato e sul paese del Congo in
cui ribadiva le accuse delle quali gli USA avevano delle responsabilità per aver introdotto questo governo africano nella comunità degli Stati.
Williams faceva rilevare che alle Cascate di
Stanley, dove si trovava, gli erano stati offerti schiavi in pieno giorno e di
notte aveva visto canoe piene di schiavi legati gli uni agli altri con catene.
Chiedeva che quel governo oppressivo e crudele fosse sostituito da uno
internazionale, giusto e non spietato: e, per la prima volta usava il termine “crimini contro l’umanità” che sarà usato
durante i processi di Norimberga.
La lettera
aperta conteneva
pesanti accuse contro Leopoldo che si appropriava con tutti i mezzi, anche con
stratagemmi, come quello dell’ufficiale che accendeva un sigaro con la lente
d’ingrandimento, facendo credere che i bianchi avrebbero incendiato il
villaggio, per appropriarsi dei loro terreni.
La creazione delle basi militari lungo il fiume,
avevano scatenato un’ondata di morte e distruzione perché i soldati africani dovevano
trovarsi per conto proprio i mezzi per sfamarsi. Il Governo di Vostra Maestà - proseguiva Williams - è troppo crudele verso i prigionieri,
condannandoli a entrare nelle squadre di forzati incatenati, anche per crimini
lievi.
Non vi erano scuole e ospedali a eccezione di
qualche rimessa non adatta ad essere occupata da un cavallo. I mercanti e
funzionari bianchi rapivano le donne africane e le usavano come concubine. Gli ufficiali bianchi, sparavano sui villaggi, a volte per
catturare donne, a volte per costringere i sopravissuti a lavorare come
schiavi.
Anche se Leopoldo giocava la parte del crociato
antischiavista, Williams ribadiva: “il
Governo di Vostra Maestà è impegnato nella tratta degli schiavi, all’ingrosso e
al dettaglio, compra e vende schiavi. Il Governo di Vostra Maestà, concludeva
Williams, paga tre sterline a testa per
gli schiavi abili per il servizio militare. … Nelle stazioni del Governo di
Vostra Maestà situate nell’alto corso del fiume, la manodopera è composta di
schiavi di tutte le età, di entrambi i sessi”.
La lettera
aperta cadeva nel vuoto, perché con la corruzione seminata da Leopoldo la
stampa era a lui favorevole e il New York Herald che aveva mandato Stanley in
Africa, definiva la lettera un deliberato tentativo di ricatto e Collis P. Huntington, benefattore di Williams lo accusò di
essere stato ingiusto verso il re “cui
stava a cuore il benessere degli indigeni di quel paese”.
Leopoldo in preda alla rabbia passò al
contrattacco e Williams fu attaccato nella persona dal Journal de Bruxelles, dal Mouvenment Geographique e dal Parlamento belga (1881) che prese le
difese del re.
Williams era ancora in viaggio in Africa e in
Egitto e si ammalò di tbc, e nel mese
di agosto (1891) si spense a quarantadue anni e Le Mouvement Geographique,
ne annunciò con soddisfazione la morte.
Su quasi mille europei che nel 1890 avevano
visitato il Congo, solo Williams ne aveva parlato in maniera approfondita di
ciò che gli altri negavano.
Solo negli anni successivi le sue parole si
riveleranno profetiche e solo dieci anni dopo il Movimento internazionale di protesta per il Congo avrebbe
confermato le principali accuse di Williams … ma era troppo tardi e nessuno
dava più peso al dramma che oramai si era compiuto!
Mentre Leopldo in
Belgio non aveva nulla da fare, il suo tempo pieno lo impiegava per esercitare
il suo potere assoluto per il suo Congo.
La burocrazia del paese, dal livello più basso,
era affidata ai bianchi, responsabili dei distretti, ben trattati e curati in
quanto per essi era prevista una bottiglia di vino rosso al giorno,
un’abbondante scorta di marmellata inglese, burro danese, carne in scatola, zuppe,
condimenti, foié gras e altri tipi di paté prodotti dalla Fisher di
Strasburgo. Ai funzionari venivano conferite, in base agli ordini istituiti,
medaglie di ogni genere.
L’Ordine
della Stella africana,
prevedeva sei classi che andavano dal grado più basso, medaillés, al commendeur
e quindi alla grand croix
e l’Ordine reale del Leone, istituito per riconoscere i meriti e ringraziare
per i servigi resi, anch’esso diviso in classi.
Ai capi africani che collaboravano col regime
erano conferite medaglie di bronzo, argento e placcate d’oro, con l’immagine di
Leopoldo su un lato e sull’altro lo stemma del Congo e le parole “lealtà e devozione”.
I funzionari di norma bianchi, erano celibi e prendevano per lo più concubine
nere; alcuni portavano mogli europee, altri residenti si affidavano ad agenzie
che procuravano mogli per corrispondenza.
Il re del Belgio amava i decreti; il primo motu proprio importante, emanato nel
1885, non dovendo dar conto a nessuno, proclamava la nascita dello Stato del
Congo, dichiarando che tutte le terre vuote, come lo erano quelle del Congo
(che comunque appartenevano a quegli abitanti!) erano di proprietà dello Stato
(ma il re si appropriò anche delle terre occupate!), così come si era
appropriato delle zanne e delle coltivazioni dei villaggi di cui si
appropriavano i suoi soldati.
Con altri decreti, provvide ad accorpare delle
aree in blocchi grandi, affittandole a società private di concessione, con
azionisti che ne detenevano il capitale, la metà del quale era riservata allo
Stato (che coincideva con lui!); grazie alle imposte e tasse che queste società
pagavano, oltre la metà del capitale era nelle sue mani … mentre continuava a
sostenere che la realizzazione dei profitti era l’ultima delle sue
preoccupazioni e di fronte alle accuse, che considerava calunnie, rispondeva al
primo ministro: Se lo Stato del Congo,
raccoglie in alcune sue terre avorio, lo fa soltanto per ridurre il proprio
deficit.
All’inizio del 1890 i funzionari statali, con i
loro ausiliari africani, rastrellavano tutto l’avorio disponibile, compiendo
incursioni, sparando agli elefanti, comperando le zanne con somme irrisorie o
confiscandole.
Gli abitanti che
cacciavano da secoli gli elefanti per il loro sostentamento, non
potevano cedere le zanne se non agli agenti di Leopoldo. Nello stesso anno
(1890) fu
introdotto dal re il sistema (geniale!)
in base al quale i suoi agenti locali ottenevano una parte del valore di
mercato dell’avorio, secondo una scala decrescente: per ogni chilo di avorio
acquistato in Africa a otto franchi, l’agente riceveva il sei per cento del
prezzo europeo che era superiore, ma la commissione saliva fino al 10% per
l’avorio comprato a quattro franchi al chilo. Gli agenti avevano così un forte
incentivo per costringere gli africani (se necessario con l’uso delle armi) ad
accettare prezzi bassissimi.
Quasi nessuno di quei franchi belgi raggiungeva i
cacciatori di elefanti congolesi; questi ricevevano solo piccole quantità di
tessuto, perline e cose simili oppure le barrette di ottone che lo Stato
designò come principale divisa del territorio.
IL SISTEMA
SCHIAVISTA
I |
l sistema schiavisa
adottato in Congo dal re dei Belgi (lo adottarono anche gli altri paesi colonialisti), era fondato
sulla forza lavoro che si reggeva sulle colonie di uomini per il trasporto di
qualsiasi genere di oggetti che non si potevano trasportare per via fluviale e
da trasportare via terra, per il quale venivano utilizzati indiscriminatamente
anche donne e bambini dai sette ai nove anni, che trasportavano un carico di
dieci chili; erano decine di migliaia di portatori retribuiti appena con il
cibo necessario a tenerli in piedi; nella maggior parte si trattava di
coscritti .
Un funzionario (Leopold Courouble),
nelle sue memorie, descriveva “una fila di
poveri diavoli incatenati per il collo trasportava i miei tronchi e le mie
casse verso la banchina … erano a centinaia, tremanti, impauriti di fronte al
supervisore che continuavaad andare avanti e
indietro, facendo roteare la frusta. Per ogni uomo robusto e dalle spalle larghe,
quanti scheletri avvizziti come mummie, la pelle rovinata segnata da profonde
cicatrici, coperta da ferite suppuranti”.
Il lavoro più faticoso era costituito dal trasporto
dei battelli che venivano smontati a pezzi e potevano essere trasportati da
tremila portatori.
Edmond Picard, senatore belga (1896), descriveva
la carovana di portatori che aveva visto sulla strada: “Incontravamo senza sosta questi portatori … neri, infelici, coperti di
lurido perizoma, le teste ricciute e nude che reggevano il carico … una cassa,
una balla, una zanna d’avorio, un barile; molti di loro erano malaticci, curvi
sotto un fardello reso ancor più pesante dalla stanchezza e dall’alimentazione
insufficiente: una manciata di riso e un po’ di pesce essiccato puzzolente;
pietose cariatidi su sue gambe, bestie da soma con esili gambe da scimmia,
lineamenti tirati, occhi strabuzzati dalla spossatezza. Vanno e vengono così, a
migliaia, ….
Requisiti dallo Stato con la sua potente milizia, ceduti dai capi che li
vendono come schiavi …
sudati e impolverati …muoiono lungo la
strada o, una volta finito il viaggio, tornano a morire di spossatezza nei loro
villaggi”.
Il numero di vittime era elevato. Dei trecento
coscritti (1891) dal commissario Paul Lamarinel, dopo
una marcia forzata di novecento novanta km., non si salvò nessuno!
Stanislas Lefranc,
pubblico ministero belga,che si era recato in Congo
per lavorare come magistrato, era a Leopoldville e
aveva sentito urla di bambini. Scoperta la fonte delle urla, ne vide una
trentina, alcuni dai sette, otto anni allineati in attesa del loro turno, che
guardavano i compagni che venivano frustati.
La ragione era che alcuni bambini avevano riso in
presenza di un bianco il quale aveva ordinato che
tutti i piccoli servitori della città ricevessero cinquanta frustate; ciascun
bambino riceveva venticinque frustate a sera, le altre venticinque alle sei del
mattino; Lefranc riuscì a interrompere la punizione
ma ricevette l’ordine di non sollevare più proteste che potessero interferire
sulla disciplina.
La frusta utilizzata per le frustate era
denominata chicotte, fatta con pelle
di ippopotamo essiccata e tagliata in modo da fornire una lunga striscia a
spirale dalla punta aguzza. Di solito veniva usata sulle natiche, ma le
frustate andavano a finire dappertutto e lasciavano cicatrici permanenti: con
venticinque frustate si perdevano i sensi,
ma normalmente ne venivano inferte cento, distribuite cinquanta al mattino e
cinquanta alla sera ed era difficile con cento frustate sopravvivere: “le
vittime venivano messe a faccia in giù, trattenute da due o quattro dei loro
compagni, ogni volta che il torturatore
sollevava la chichotte, una striscia rossastra compariva sulla
pelle della vittima che si contorceva, seppur trattenuta, lanciando terribili
grida che si trasformavano in gemiti.
L’ulteriore tocco di malvagità degli ufficiali
era che pretendevano dal malcapitato, alla fine, un elegante saluto militare.
Naturalmente, Lefranc,
che fuoriusciva dai canoni omertosi della burocrazia, veniva additato come
piantagrane che dimostrava solo imprudente ignoranza delle cose che avrebbe
dovuto conoscere per via del suo lavoro.
“Agente
mediocre” lo aveva valutato il governatore in una valutazione del
personale.
L’accettazione da parte dei bianchi della chicotte fu pari a quella dei militari
nei campi di concentramento nazisti. In questo clima di terrore voluto dal
governo centrale, considerato normale, era determinato dal senso di superiorità
che il bianco avvertiva nei confronti dei neri, considerati esseri inferiori,
pigri, incivili, poco più che animali e per questo li facevano lavorare come
animali utilizzandoli come bestie da soma.
In questo clima, chi rispettava il sistema,
riceveva promozioni e medaglie; l’aspetto raccapricciante era che gli africani
ricevevano le frustate con la chiccotte da altri neri che avevano formato una classe di capisquadra
“capita” (corrispondenti ai kapo dei campi di
concentramento nazisti), e provvedevano a infliggere le punizioni.
D’altronde, terrorizzare le persone fa parte
della conquista, proprio come obbligare qualcun altro a essere lo strumento del
terrore.
Georges Bricusse, responsabile di una stazione, descrive una impiccagione (1885),
l’uomo era colpevole di aver rubato un fucile: “Preparano la forca. Legano il capestro che è troppo alto. Sollevano il
negro e gli mettono la
testa nel cappio. La corda si attorciglia per qualche istante, poi si ode un
crac e l’uomo si contorce al suolo. Un colpo alla nuca e il gioco è fatto.
Questa volta non mi ha fatto impressione! E pensare che la prima volta che ho
visto frustare qualcuno con la chicotte, sono sbiancato per la paura. In fondo
l’Africa ha una sua utilità. Ora potrei camminare nel fuoco come se andassi a
nozze”
L’ORGANIZZAZIONE
MILITARE
SCHIAVISTA
L |
eopoldo amava l’organizzazione militare alla
quale era impostato il sistema di controllo del Congo. Dal momento che in
Belgio era contrastato in Parlamento che non condivideva la sua passione per la
costruzione dei forti, l’aumento degli investimenti per l’esercito e
l’istituzione della leva obbligatoria, egli era ben felice di comandare in proprio
esercito in Africa.
Leopoldo si serviva di mercenari africani da
quando aveva mandato Stanley
per far valere le proprie rivendicazioni (1879-1884); aveva
organizzato formalmente
Dopo dieci anni (1898) esso era formato da
diciannovemila tra ufficiali e soldati; alla fine degli anni novanta erodeva la
metà del bilancio statale: esso formava un insieme di assembramento di truppe
per contro-guerriglia, esercito d’occupazione e forza di polizia per il lavoro
nelle aziende; era suddiviso in piccole guarnigioni: di solito alcune decine di
soldati neri sotto il comando di ufficiali bianchi sulla riva del fiume; i rari
posti militari sorti all’inizio erano saliti a centottantatre nel
Prima dell’arrivo degli europei, la storia
dell’Africa centrale era costellata di guerre e conquiste quanto quelle
dell’Europa, e anche durante il governo di Leopoldo non tutta la violenza
congolese si consumava fra colonizzatori e colonizzati.
Poiché i gruppi locali si combattevano tra di
loro
Una rivolta era scoppiata lungo una strada
carovaniera che costeggiava le rapide inferiori del Congo. Un famigerato agente
statale belga,di nome Eugéne
Rommel, aveva costruito una stazione per il reperimento di portatori per il
viaggio di tre settimane da Matadi, allo Stanley
Pool, un lavoro per cui verso la metà degli anni novanta dell’Ottocento lo
Stato aveva bisogno di cinquantamila uomini l’anno.
A differenza dei missionari protestanti e di
alcuni commercianti privati, che assumevano portatori da utilizzare per quel tragitto,
negoziando sui salari, lo Stato del Congo ricorreva al lavoro forzato dietro
preciso ordine di Leopoldo, Rommel battezzava la stazione Baka-Baka che significava cattura-cattura.
Rommel però fu ucciso da Nzansu, un capo locale (1893) e la stazione fu
incendiata; i ribelli saccheggiarono e incendiarono altri due posti statali
poco distanti dove ammazzarono due funzionari bianchi e ne ferirono molti
altri. Nzansu risparmiò Mukimbungu, una missione
svedese lungo la strada carovaniera. Regalò perfino ai missionari alcune
provviste che aveva trovato abbandonate sulla pista e restituì alcune merci che
i suoi uomini avevano prelevato dalla stazione.
Di ammutinamenti, nel tentativo da parte di
Leopoldo di raggiungere le sorgenti del Nilo, ve n’erano stati diversi, ma
quello di maggior portata ebbe luogo nel Nord-Est del Congo nel 1897 con
tremila soldati e altrettanti portatori e ausiliari, su mille chilometri di
foresta e savana.
Gli uomini erano stati obbligati a marciare per
mesi attraverso foreste e paludi per raggiungere, lungo la catena di laghi sul
confine orientale del Congo tra foresta e savana, le sorgenti del Nilo, ma
erano arrivati al limite della sopportazione. Gli scontri continuarono per tre
anni e videro una colonna dopo l’altra di truppe lealiste delle Force Publique, combattere contro i
ribelli su circa mille chilometri di territorio.
I gruppi etnici combattevano sotto la bandiera bianca e
rossa e i vari gruppi lottavano compatti, mantenevano una disciplina militare e
tendevano agguati per rimpolpare le loro scorte di armi e munizioni. I capi li
aiutavano anche con il tam-tam per
avvertirli delle truppe in avvicinamento: anche
Più di due anni dopo lo scoppio della rivolta i
ribelli riuscirono a radunare duemila cinquecento soldati per attaccare una posizione
fortificata. Durante quella campagna un contingente di lealisti della Force Publique fu ridotto da trecento a
soli tre uomini. Gli insorti combattevano ancora nel 1900 quando duemila di
loro si ritirarono nei territori tedeschi negli attuali Ruanda e Burundi, dove
si arresero in cambio del diritto di insediamento
Questo ammutinamento era stato l’unico in cui un
testimone oculare, padre Auguste Achte aveva offerto un resoconto tra le fila
dei ribelli e tutti gli ammutinamenti non erano stati che le prime avvisaglie
delle guerriglie anticolonialiste che avrebbero insanguinato l’Africa negli
anni sessanta del Novecento.
Leopoldo continuava ad emanare pomposi decreti
che vietavano la tratta degli schiavi, ma lo erano i portatori ed anche gli
stessi soldati della Force Publique; l’unico ad affermarlo era G.W.Williams. In base a un sistema
approvato da Leopoldo, gli agenti statali bianchi ricevevano una gratifica a
seconda del numero di uomini che assegnavano alla Force Publique. A volte gli
agenti compravano i prigionieri da capi complici che cedevano la loro merce
umana in catene; in una transazione (1892), furono pagati venticinque franchi a
testa per cinque-sei adolescenti; con ulteriore gratifica per la riduzione
delle spese di reclutamento (un ulteriore invito alla rapina di uomini).
Il sistema schiavista era sempre nascosto da
eufemismi: sono appena arrivate due barche con venticinque volontari … in
catene, due uomini sono annegati, cercando di fuggire; tre quarti di questi,
morirono prima di arrivare a destinazione. Per ovviare allo spreco, furono
consigliati trasporti più veloci e catene di acciaio, anziché di ferro che
erano più pesanti: “quando percorrono un
ponte (di tronchi), incatenati per il collo, se uno cade, si trascina l’intera
fila che scompare”.
Gli ufficiali che trattavano con i capi dei
villaggi per reperire portatori e soldati “volontari”, trattavano con gli
stessi che avevano rifornito i mercanti di schiavi afroarabi
della costa orientale.
Il più potente tra i mercanti di Zanzibar era
Hami bin Muhammad
el Marjebi, bello, barbuto
e robusto, noto come Tippu-Tip, dal rumore, si
diceva, prodotto dal suo moschetto.
Tippu-Tip, scaltro e intraprendente, aveva fatto fortuna
vendendo avorio e schiavi che incrementò, dopo che Stanely
aveva scoperto la strada per l’Alto fiume Congo. Leopoldo sapendo che il suo
potere e il suo talento amministrativo l’avevano quasi trasformato nel
dominatore di fatto del Congo Orientale, lo nominò (1887) governatore della
provincia orientale la cui capitale si trovava sulle Cascate di Stanley e Tippu-Tip (che aveva trentacinque donne tra mogli e
concubine), distribuì cariche minori ai propri parenti.
Il re aveva contrattato per comprare la libertà
di alcune migliaia di schiavi di Tippu-Tip, i quali
ben presto scoprirono che la libertà consisteva in un periodo di arruolamento
di sette anni nella Force Publique: e
l’immagine del crociato schiavista che faceva affari con il principale mercante
di schiavi africano, contribuì a suscitare le prime voci contro il re.
I BAMBINI ALLEVATI
NELLE MISSIONI
PER FARE I SOLDATI
E |
dgar Canisius, un
agente statale americano che conosceva lo swaili, era rimasto commosso
dalla storia di una donna di nome Ilanga, di grande
intelligenza, che gli era stata confermata dai soldati e dall’ufficiale che
l’avevano arrestata. La donna aveva raccontato: “Il nostro villaggio si chiama Waniendo dal nome
del nostro capo Niendo”. Eravamo nei campi a lavorare
la terra, quando giunse un messaggero per avvertire chetava arrivando
un gruppo di uomini che
indossavano berretti rossi e stoffa blu, con fucili e lunghi coltelli,
accompagnati da molti bianchi”.
Ecco la storia raccontata da Canisius.
Il capo era Kibalanga,
nome africano dato a Oscar Michaux, ufficiale della F.P. .
Niendo convocò tutti i capi nella sua capanna, mentre
i tamburi richiamavano la gente del villaggio.
Si decise di tornare nei campi e portare arachidi
e banane da legume per i guerrieri che stavano arrivando e capre e polli per i
bianchi. Niendo aveva pensato che vedendo tanto cibo, non avrebbero fatto del male. E fu così.
Quando i bianchi e i guerrieri se ne furono andati,
si sperava che non tornassero, ma tornarono. Kibalanga
si accampò vicino al villaggio e i suoi uomini andarono a rubare tutti i polli,
le capre e strappare la manioca.
All’alba del mattino seguente, vennero nel
villaggio, entrarono nelle capanne con i fucili urlando e minacciando. Presero
me, mio marito Oleka e mia sorella Katinga.
Ci trascinarono nella strada, ci misero le corde al collo, ci picchiarono con
bastoni di ferro e fucili e ci costrinsero a marciare fino al campo di Kibalanga dove le donne furono legate dieci per ogni corda e gli uomini allo stesso
modo.
Quando fummo tutti riuniti, ci diedero dei cesti
da portare, che contenevano carne umana affumicata. Marciammo fino al
pomeriggio, quando trovammo un ruscello dove ci dissetammo con avidità, non
avevamo nulla da mangiare.
Il giorno seguente riprendemmo la marcia e ci
diedero un po’ di mais e banane.
Continuammo così per cinque giorni, quando i
soldati presero il bambino di
mia sorella e lo gettarono a morire nell’erba e costrinsero lei a
portare pentole. Il sesto giorno eravamo tutti spossati per aver dormito
nell’erba umida, mio marito che trasportava una capra e non riusciva a reggersi
fu picchiato e tutti ci sedemmo e non volevano proseguire.
I soldati colpirono mio marito, poi uno di loro
lo colpì alla testa con la punta del fucile e lui cadde a terra. Uno di loro
prese la capra mentre altri due lo trapassavano con i lunghi coltelli che
mettevano sulle estremità dei fucili. Vidi del sangue che zampillava, poi lo
persi di vista. Molti giovani furono uccisi nello stesso modo e molti bambini
furono buttati nell’erba a morire. Dopo una marcia di dieci giorni,
raggiungemmo la grande acqua e fummo portati con le canoe a Nyangwe
la città dei bianchi.
Leopoldo non
intendeva risparmiare neanche i bambini e aveva pensato di creare tre colonie
(27.4.1890) con l’idea di affidarli ai missionari (che non vedevano le atrocità
compiute sotto i loro occhi!), scrivendo che dovevano esser realizzate “Una
nell’Alto Congo, vicino all’Equatore, di natura prettamente militare, con
ecclesiastici per l’istruzione religiosa e l’addestramento professionale. Una a
Leopoldeville, sotto la direzione del clero, con un soldato
per l’addestramento militare. Una a Boma, simile alla precedente… Lo scopo di
tali colonie consisterà soprattutto nella fornitura di soldati. Dovremo
pertanto costruire tre grandi baracche a Boma, a Leopoldville
e vicino all’Equatore … ciascuna in grado di ospitare millecinquecento bambini più
il personale amministrativo.
Eseguendo gli ordini di Leopoldo, sei settimane
dopo, il governatore generale, ordinò ai commissari distrettuali “di raccogliere, d’ora in avanti, il maggior
numero possibile di bambini maschi” per le tre colonie statali.
Con il passar degli anni i missionari fondarono
molte altre colonie per bambini; a differenza dei protestanti che erano
stranieri e si sottraevano al controllo di Leopoldo, i cattolici erano per lo
più belgi e fedeli sostenitori del re e del suo regime; Leopoldo stanziava
generosi finanziamenti a favore dei cattolici e sfruttava questo potere
economico per schierare i sacerdoti, quasi come se fossero soldati
, in aree in cui desiderava consolidare la propria influenza.
I bambini accolti da tali missionari, erano, in
teoria, orfani; in gran parte della società africana indigena, caratterizzata
da un forte senso della famiglia allargata e dei legami tra clan: il concetto europeo di orfano non
esisteva.
Se questi bambini erano orfani, nel significato
che noi diamo alla parola, ciò era dovuto al fatto che i genitori erano stati
uccisi dalla F. P.. Dopo le loro distruttive
incursioni nel territorio, i soldati raccoglievano spesso i superstiti, sia
adulti, sia bambini e li portavano dai missionari cattolici.
Di solito le colonie per bambini erano gestite
con l’uso della chicotte e delle
catene e le ribellioni erano numerose.
Se dei bambini sopravvivevano
al rapimento, al trasporto e all’istruzione, molti dei diplomati maschi delle
scuole statali diventavano soldati. Proprio come aveva ordinato il re.
Nel Congo di Leopoldo le colonie statali erano le uniche scuole per africani
finanziate dal governo.
Tra i bambini traumatizzati e malnutriti, stipati
nelle colonie statali e cattoliche le malattie imperversavano e il tasso di
mortalità era elevato, spesso superava il cinquanta per cento. Molte migliaia
di bambini perdevano la vita durante il viaggio. Dei centootto ragazzini
costretti a una marcia forzata verso la colonia statale di Boma nel 1892-1893,
solo sessantadue giunsero a destinazione; otto di loro morirono nelle settimane
successive.
Nel 1895 la madre superiora di una colonia
cattolica per bambine, scisse a un alto funzionario statale del Congo “Al loro arrivo molte delle bambine erano
così deboli che …le nostre buone sorelle non sono riuscite a salvarle, ma hanno
avuto tutte la gioia di ricevere il santo battesimo; ora sono angioletti che
dal cielo pregano per il nostro grande re” !!! (Bella consolazione cristiana! ndr).
DAI GIOVANI
PER UNA VITA AVVENTUROSA
E DI RICCHEZZA
I |
n quell’epoca l’Europa era in pace e i giovani
desideravano la guerra, specie se il nemico aveva mezzi scarsi per difendersi:
Il Congo era il luogo ideale e per un bianco; era anche il luogo ideale per
arricchirsi e maneggiare il potere.
I commissari distrettuali governavano a volte
aree grandi quanto l’Olanda e il Belgio; i responsabili delle stazioni erano
spesso gli unici ufficiali bianchi nel raggio di centinaia di chilometri;
potevano imporre tasse sulla manodopera, sull’avorio o su qualsiasi altra cosa
e infliggere le punizioni che desideravano. Se ci si lasciava troppo andare …
si riceveva tutt’al più una tiratina di orecchie.
Il responsabile della stazione di Manyanga, sulle grandi rapide che nel 1890 aveva picchiato
a morte due suoi servitori personali, fu condannato a pagare soltanto una
ammenda di cinquecento franchi.
Quel che contava era fare in modo che l’avorio
continuasse a fluire verso il Belgio. Più se ne spediva, più si guadagnava: Vive le Congo! Non vi è niente di
simile” scrisse un giovane ufficiale alla famiglia nel 1894: “Abbiamo libertà,
indipendenza e una vita dagli ampi orizzonti. Qui si è liberi e non semplici
schiavi della società … Qui si può essere ogni cosa! Guerriero, diplomatico, mercante!
Perché no? A persone di questo tipo, come per Stanley, di umili origini, il
Congo offriva l’opportunità di una grande scalata sociale. Chi in Europa era
destinato a condurre una vita di idraulico o bancario di provincia, poteva
diventare signore della guerra, mercante d’avorio, cacciatore di grossa
selvaggina e proprietario di harem.
Un esempio è dato da Léon Rom, nato nella
cittadina belga di Mons. Si era arruolato nell’esercito all’età di sedici anni,
ma non aveva l’istruzione necessaria per essere promosso ufficiale. Aveva
lavorato come contabile per uno studio di spedizionieri doganali, ma ben presto
si era stancato. Era
partito per il Congo in cerca di avventure nel
Entro breve fu nominato commissario distrettuale
di Matadi e in quella veste celebrò il primo
matrimonio civile di una coppia bianca nello Stato del Congo. Per qualche tempo
lavorò come giudice. Poiché, dato l’esiguo numero di bianchi posti alla guida
dell’intera colonia, non vi era una chiara linea di demarcazione tra funzioni
civili e militari, dopo poco Rom fu incaricato dell’addestramento delle truppe
nere della F.P.. Anche la remunerazione era ottima;
una volta promosso capitano, Rom guadagnava il cinquanta per cento in più
rispetto a un colonnello dell’esercito belga in patria.
Dopo essere stato decorato con varie medaglie,
l’ufficiale si conquistò una certa fama grazie a un episodio avvenuto nel corso
di una battaglia contro gli “arabi” durante la quale entrò spavaldamente in un
forte nemico per negoziare i termini della resa. Secondo un resoconto “Rom si
offrì volontario … Si allontanò disarmato, accompagnato solo da un interprete e
dal punto scelto per l’incontro, vide tutte le truppe arabe radunate dietro i
bastioni, con i fucili spianati. Un emissario, con il corano del sultano in
mano, come lasciapassare, lo invitò a entrare nella fortezza; Rom entrò senza esitazione;
dopo due ore di negoziazioni uscì dal forte con una bandiera araba a prova
della resa”.
La
descrizione fornita da Rom era drammatica; lui ebbe la meglio sugli astuti
arabi; il suo interprete gli diceva “Signore vi uccideranno”. In effetti non si
sa come fossero andate le cose dal momento che non vi erano testimoni e
giornalisti e se la resa dgli arabi fosse stata tanto
pericolosa, ma servì ad aumentare il suo successo.
La scalata sociale di Rom non si limitò al grado
militare, ma ebbe risvolti intellettuali. Faceva collezione di farfalle e
ogniqualvolta si recava in Belgio, portava esemplari di farfalle e fu fatto
membro della Società entomologica del Belgio, onorificenza che insieme alla
spada di ufficiale e al berretto con la stella dello Stato del Congo denotavano
il grado sociale che aveva raggiunto da quando era semplice contabile.
Dietro la carriera che si poteva percorrere in
Congo, si celava lo scaltro invito ad abbandonare la morale borghese acquisita
in Europa: per gli europei le colonie rappresentavano una via di fuga; Kipling
aveva scritto (in “Ballata delle baracche”):
“Portatemi da qualche parte ad est di
Suez, dove il meglio assomiglia al peggio, dove i dieci comandamenti non
esistono e un uomo può risvegliare una sete” .
Nel Congo i dieci comandamenti venivano
rispettati ancor meno che nelle altre colonie. Il Belgio era piccolo e il Congo
immenso e nelle regioni tropicali la mortalità tra i bianchi era molto elevata;
le autorità tenevano segrete le cifre, ma prima del 1895 era morto un terzo
degli agenti statali delle colonie; altri morivano per i postumi delle malattie
una volta rientrati in Europa.
Per trovare uomini sufficienti a gestire la vasta
rete di stazioni, Leopoldo doveva reclutare non solo belgi, ma giovani bianchi
di tutto il continente, attirandoli con le promesse del rapido arricchimento,
come il lucrativo sistema di commissioni per l’acquisto dell’avorio.
Molti di coloro che andavano a lavorare nel Congo
erano simili ai mercenari che entravano a fra parte della Legione Straniera
francese o agli avventurieri che diedero vita alle due grandi corse all’oro
dell’epoca, quella del Sudafrica e quella del Klondike:
grazie alle opportunità offerte di arricchimento e azione militare per gli
europei il Congo era un insieme di corsa all’oro e arruolamento nella Legione
straniera.
LO SCRITTORE
AVVENTURIERO
JOSEPH CONRAD
E LEON ROM
A |
ll’inizio del mese di agosto 1890 sul “Roi des Belges”, un lungo battello squadrato con pala a prua,
dotato di fumaiolo e timoniera, che si apprestava a risalire il corso
d’acqua, sul ponte di coperta, al fianco
del capitano si trovava un robusto ufficiale dalla barba nera, con gli occhi
costantemente stretti in fessure per proteggersi dal sole tropicale; era un
giovane appena arrivato nel Congo che sarebbe rimasto a fianco del capitano per
familiarizzare col fiume, prima di assumere il comando del battello.
L’apprendista era un esempio del tipo di bianchi
giunti nel Congo, giovane e celibe, alla ricerca di lavoro, che aveva una
grande passione per l’avventura e qualche scheletro nell’armadio. Il suo nome
era Konrad Korzeniowski, di origini polacche
cresciuto con il sogno dell’Africa e con in mente l’idea che da grande sarebbe andato laggiù.
Durante la giovinezza era stato in Francia dove
aveva avuto problemi di debiti, era stato coinvolto nel contrabbando di armi e
aveva tentato il suicidio; era stato per dieci anni nella Marina mercantile
britannica, imparando l’inglese senza perdere l’accento polacco.
Korzeniowski, si era recato a Bruxelles dove aveva presentato
domanda per lavorare nel Congo; aveva trentadue anni e credeva, come tutti in
Europa che la missione di Leopoldo in Africa fosse nobile e civilizzatrice. Si
era imbarcato su una nave che partiva per il Congo e trasportava il primo lotto
di rotaie e traversine per la nuova ferrovia. Una volta raggiunto il fiume
incominciò a riempire il suo diario con appunti da marinaio, inserendo
annotazioni su secche, punti di riferimento, e altre voci non indicate sulle rudimentali carte
nautiche disponibili all’epoca.
Sarebbero trascorsi dieci anni prima che l’apprendista capitano
di battello riuscisse a mettere per iscritto le altre caratteristiche del
Congo, non segnalate sulla cartina e il mondo lo avrebbe conosciuto come Joseph Conrad.
Aveva portato con sé il manoscritto non ancora
completo, del suo primo romanzo “La
follia di Almayer”. Per percorrere i milleseicento chilometri che
dividevano lo Stanley Pool dalle Cascate di Stanley impiegò solo quattro
settimane, un viaggio rapido per quei tempi: rocce, barriere di sabbia e tratti
d’acqua poco profonda, rendevano insidiosa la navigazione, soprattutto
nell’alto corso del fiume e durante la stagione secca, quella in atto in quel
momento.
Alle Cascate di Stanley, Conrad e il capitano si
ammalarono; Conrad guarì e assunse il comando del “Roi des Belges”;
q1ualche settimana dopo aver concluso il viaggio, recise il contratto e si
diresse verso l’Europa.
Molte erano state le delusioni che infransero i
sogni di Conrad. Aveva avuto dissidi con un funzionario della Compagnia per cui
lavorava, ciò che non gli avrebbe dato la possibilità del comando di un
battello. Dopo esser giunto alla foce, si era ammalato di malaria e dissenteria e aveva
dovuto sostare presso una stazione missionaria battista americana allo Stanley Pool; dopo essere
stato accompagnato sulla costa, non si riprese mai del tutto.
Era rimasto sconvolto dalla avidità dei bianchi
incontrati nel Congo da modificare per sempre la sua concezione della natura
umana.
Dopo aver meditato per otto anni sulla sua
esperienza in Congo Conrad la trasformò in “Cuore
di tenebra” che è forse il suo romanzo più
breve scritto in inglese ad aver conosciuto il maggior numero di ristampe.
Nel romanzo troviamo Marlow, voce narrante e
alter ego di Conrad e l’altro personaggio, Kurtz (per il quale Conrad si era
ispirato a Leon Rom) la cui immagine era rimasta impressa nella memoria di
milioni di lettori: si ricorderà certamente ciò che Marlow dal battello guarda
col binocolo, quelli che pensa essere pomi ornamentali in cima ai paletti del
recinto davanti alla casa di Kurtz, per scoprire “nera, rinsecchita e
infossata, la testa con le palpebre chiuse era sempre là, come addormentata in
cima a quel palo, e con le labbra secche e raggrinzite, che lasciavano scoperte
la sottile fila di bianchi denti…”
“Cuore di tenebra” è una delle più feroci accuse all’imperialismo che
siano mai state mosse dalla letteratura; strano a dirsi, quando era in gioco
l’Inghilterra, il suo autore si considerava imperialista convinto. Conrad assistette
al saccheggio del Congo da parte di Leopoldo per quello che era “Che orrore, che
orrore!” dice Kurtz sul letto di morte.
Marlow, la controfigura dello scrittore, pensa: “La conquista della terra che sostanzialmente
consiste nello strapparla a quelli che hanno la pelle diversa dalla nostra o il
naso leggermente più schiacciato, non è una cosa tanto bella da vedere, quando
la si guarda troppo da vicino”.
Il libro aveva suscitato varie polemiche per il
modo in cui sono rappresentati i personaggi di colore, che non pronunciano più
di qualche parola. In realtà non parlano affatto: grugniscono, cantano,
producono una nenia di chissà quali magici incantesimi e una violenza selvaggia
e appassionata, emettono stringhe di parole stupefacenti che non assomigliavano
al suono di alcuna lingua umana … simile alle riposte di qualche satanica
litania.
Per quanto intriso di razzismo vittoriano, “Cuore di tenebra” continua a essere il
più grande ritratto narrativo degli europei durante la corsa all’Africa..
Nel 1899 Leon Rom, rientrato in Belgio,pubblicava il libro
“Le Négre du Congo” un
volumetto bizzarro, brioso, arrogante, in gran parte superficiale; brevi
capitoli sono dedicati a Le Négre en
générale, alla donna nera, al cibo, agli animali domestici, alla medicina
indigena e così via. Rom era un appassionato di fotografia ;
posò con aria di trionfo per una fotografia che lo ritraeva in piedi su un
elefante morto e il suo capitolo sulla caccia si dilunga quanto quelli sulle
credenze religiose congolesi, sui rituali funebri e sulla successione dei capi
messi insieme.
La voce di Rom sembra ripetere quella di Kurtz:
Della “race noire”
Rom dice: Poiché è il prodotto di una indolenza, i suoi sentimenti sono volgari, le sue
passioni rozze, i suoi istinti brutali,e per giunta è orgogliosa e vanitosa. La
principale occupazione dell’uomo nero, quella cui dedica la maggior parte della
sua esistenza, consiste nello sdraiarsi su una stuoia ai caldi raggi del sole,
come un coccodrillo sulla sabbia … L’uomo nero non ha alcuna nozione del tempo
e, se interrogato sull’argomento da un europeo, dà di solito una risposta
insensata.
Il medesimo tono emerge da molti altri passi.
Quando descrive p. es., i congolesi arruolati come portatori. Rom afferma che
si divertivano molto. Di mattina, al momento della partenza della carovana i
portatori vanno su e giù schiamazzando e ognuno vuole a tutti i costi trovare
un posto di suo gusto nella fila, p. es., accanto a un amico per raccontare i
sogni della notte precedente o con cui immaginare il menu, più o meno vario e
succulento del pranzo che consumeranno alla sosta successiva.
Altri paralleli tra Rom e Kurtz nel romanzo di
Conrad, li troviamo quando Kurtz riesce a farsi adorare dagli africani della
Stazione interna: i capi strisciano ai suoi piedi, la gente gli obbedisce con
servizievole devozione e a quanto pare, la sua concubina è una bellissima donna
nera.
Nel 1895 un contrariato tenente della F.P.
descrisse nel suo diario una situazione molto simile che riguardava un collega
ufficiale: “Lascia morire di fame i suoi
agenti mentre regala grandi quantità di cibo alle donne nere del suo harem (perché vuole comportarsi come
un capo arabo) … Alla fine a casa sua indossò l’alta uniforme, riunì le donne,
raccolse un foglio di carta e finse di leggere che il re l’aveva nominato
grande capo e che gli altri bianchi della stazione erano solo nullità …Diede
cinquanta frustate a una povera negretta che si rifiutava di divenire la sua
amante e quindi la regalò a un soldato”.
WILLIAM
SHEPPARD
SUCCESSORE
DI
HENRY
MORTON STANLEY
S |
tanley era nella giungla accompagnato dalla
eccentrica ritrattista Dorothy Tennant, che in precedenza lo aveva rifiutato;
tornata in Inghilterra Dorothy aveva cambiato idea e gli scriveva lettere
romantiche; il 12 luglio 1890 i due si sposano nell’abbazia di Westminster il
prezzo dei dipinti della Tennant salirono alle stelle, giunsero congratulazioni
da tutto il mondo, la regina Vittoria regalò alla sposa un medaglione impreziosito da trentotto diamanti.
Stanley però a cinquant’anni, non era portato per
il matrimonio e il giorno delle nozze, in chiesa, ebbe un attacco di gastrite
(malattia da considerare psicosomatica), che lo costrinse a star seduto durante
tutta la durata della cerimonia e durante il ricevimento a rimanere sdraiato su
un divano in una stanza buia … e proseguì per tutta la durata del viaggio di
nozze; ambedue soffrivano di nevrosi. Stanley aveva paura dell’intimità ed era
misogino e non ebbe figli e si ritiene che neanche avesse avuto
rapporti con la moglie: il matrimonio non fu consumato, insomma si trattava di
uno di quegli uomini famosi che stanno bene solo con la propria fama (ndr.!).
Il matrimonio segnò la fine delle esplorazioni di
Stanley che si dedicò alle conferenze e ai discorsi, ricevendo lauree honoris causa, inaugurando ferrovie e
concedendo interviste: inveiva contro la pigrizia, il socialismo, l’immoralità,
la mediocrità generale, i sindacati, il nazionalismo irlandese, la giornata
lavorativa di otto ore, le donne giornaliste e gli inservienti degli hotel americani ”incompetenti, indisciplinati, villani e maleducati”.
Ricevette il titolo di cavaliere e fu eletto in
Parlamento.
Durante il ciclo di conferenze tenuto negli Stati
Uniti era accompagnato dal suo giovane assistente e la moglie aveva portato con
sé la madre e viaggiavano in un vagone ferroviario dotato di pianoforte a coda
e il vagone portava il nome di Henry M.
Stanley.
Dopo due anni dal suo matrimonio, Stanley è
sostituito da un personaggio che non appare negli annali delle ’esplorazioni in
quanto non corrispondente ai canoni dell’esploratore bianco in Africa, non
essendo bianco ma nero, il suo nome era William Sheppard.
La sua idea di recarsi in Congo era sorta dalla
iniziativa del senatore dell’Alabama, John Tyler Morgan (di cui abbiamo già
parlato), il quale aveva incoraggiato il riconoscimento dello Stato del Congo,
nell’intento di farvi emigrare tutti gli americani neri. Morgan
e i suoi sostenitori, avevano pensato di inviare nel Congo, alcuni
missionari di colore.
Nell’anno della dichiarazione della abolizione
della schiavitù (1865),
I presbiteriani meridionali, successivamente alla
guerra civile, si erano scissi dai presbiteriani del Nord
fra I quali vi erano pochi membri neri.
Sebbene fossero pochi quelli intenzionati a
trasferirsi, Gorge Washington Williams non era l’unico di colore a voler andare
a lavorare laggiù.
Nato in Virginia nel 1865, Sheppard aveva
frequentato l’Hampton Institute, una delle poche istituzioni di istruzione
superiore per neri, Dopo aver completato gli studi presso il Colored Theological Seminary di Tuscaloosa, in Alabama, aveva lavorato come
ministro presbiteriano a Montgomery e Atlanta, dove si era distinto per la sua
energia, il suo zelo, il suo coraggio.
I presbiteriani lo avevano tenuto in sospeso per
due anni; le autorità ecclesiastiche non erano disposte a permettergli di
partire per l’Africa se non fosse stato accompagnato da un superiore bianco.
Finalmente, dietro l’incoraggiamento del senatore Morgan, si era presentato
il candidato bianco, il reverendo Samuel Lapsley di
un anno più giovane di Sheppard e figlio del socio di Morgan. Uno, discendente
di schiavi, l’altro di schiavisti; i due giovani andavano d’accordo e partirono
insieme per il Congo. Lapsley aveva conosciuto il
presidente Benjamin Harrison a Washington e il re Leopoldo a Bruxelles,
Sheppard essendo nero non aveva partecipato agli incontri; Lapsley
era rimasto affascinato da Leopoldo come succedeva a tutti gli altri ospiti.
Giunti nel Congo (1890), crearono la prima
missione della chiesa presbiteriana meridionale lungo l’alto corso del Kasai
dove Sheppard aveva assunto il comando. I suoi fratelli americani erano
imbarazzati e mandarono altri fratelli bianchi per i quali non si sentì
imbarazzato in quanto possedeva il talento di una eloquenza carismatica e
inoltre era sportivo e praticava la caccia e inforcò la prima bicicletta e la
sua popolarità non venne meno quando in una relazione extraconiugale mise incinta una indigena.
Riuscì a entrare nel regno dei Kuba il cui re,
non solo aveva impedito per dieci anni ai mercanti di penetrare nel suo regno
ma aveva dato disposizione che chiunque entrasse nel suo regno fosse
decapitato.
E Sheppard stava per fare questa fine quando
portato alla presenza del re Kot aMbweeky
II, questi si trovò di fronte un nero che parlava un po’ la sua lingua, che il
re riteneva fosse uno spirito reincarnato e gli anziani ritennero fosse Bope Mekabe, un precedente re
reincarnato.
Sheppard vi rimase quattro mesi, annotando il
loro sofisticato sistema politico, i rituali e l’organizzazione della polizia;
egli ne apprezzò la popolazione, e la razza, la più bella che avesse visto in
Africa e scrisse un libro “Presbyterian Pioneers in Congo”. ma i personaggi del libro erano i kuba
che non avevano nulla di presbiteriano.
I kuba non avevano interesse per la religione
cristiana, ma dopo circa otto anni dalla visita di Shppard,
il loro pacifico regno doveva finire tragicamente: arrivarono le forze di
Leopoldo e saccheggiarono e distrussero la loro capitale.
ALLA RICCHEZZA
DELL’AVORIO
SI AGGIUNGE
QUELLA DELLA GOMMA
L |
a Dea Fortuna aveva deciso che la ricchezza
ricavata dall’avorio da Leopoldo non fosse
sufficiente e dal momento che era indebitato fino al collo per gli investimenti
congolesi, gli aveva preparato un’altra fonte di ricchezza: la gomma.
John Dunlop, un signore irlandese dalla barba bianca,
armeggiando con il triciclo del figlio nella sua casa di Belfast, cercava di
risolvere il problema che tormentava tutti i ciclisti: Come si poteva viaggiare
comodi senza molle; la soluzione ingegnosa fu trovata; lo pneumatico (a Focus TV dicono: ìl pneumatico (plurale, i
pneumatici)! pur non essendo scorretto la forma migliore è lo pneumatico , gli pneumatici (*), ndr.) in gomma
gonfiabile; nel 1890
In Europa si conosceva la gomma dalla scoperta di
Cristoforo Colombo nelle Indie Occidentali. Alla fine del settecento
uno scienziato britannico, aveva dato il suo nome inglese alla sostanza rubber e si era accorto che riusciva a
cancellare – to rub
out – i segni della matita.
Lo scozzese Charles Macintosh (1823) aveva
applicato la gomma al tessuto che gli Indiani d’America già conoscevano, per
renderlo impermeabile e l’americano Charles Goodear,
aveva accidentalmente scoperto la miscela elastica per la produzione di stivali
e impermeabili, con l’uso esteso a tubi, guarnizioni ecc., e la gomma negli
anni novanta dell’8oo conobbe il boom che
si riversò tutto sul Congo di Leopoldo, quasi interamente ricoperto di rampicanti
selvatici della pianta (**): per Leopoldo era caduta la manna dal cielo!
Il re temeva la produzione di gomma dalla pianta
coltivata, ma per il momento egli aveva quella selvatica mentre, per avere
quella coltivata si dovevano attendere vent’anni, per la crescita degli alberi;
intanto egli usufruiva del 50% dei profitti derivati dalle concessioni, ma
anche superiori in quanto vi erano terre che lo Stato sfruttava direttamente:
la società A.B.I.R, con una spesa di 1,35 franchi al kg. per raccogliere la gomma,
spedendola ad Aversa la rivendeva (1897) a dieci franchi, con un utile del
700%; tra il 1890 e 1894 i proventi complessivi derivanti dalla gomma si
moltiplicarono novantasei volte!
La pianta selvatica non richiedeva spese di
coltivazione, di fertilizzanti o investimenti di capitali, bastava andarla a
cercare nella foresta e farla scorrere dai rampicanti, per questo occorreva
manodopera che doveva lavorare in ambiente ostile arrampicandosi sugli alberi:
un uomo cadendo si era spezzato la schiena; i violenti rovesci tropicali di
pioggia trasformavano ampie zone in paludi. Il lavoro non solo si svolgeva
nelle paludi ma era fisicamente doloroso
in quanto la gomma vischiosa doveva essere asciugata e per far ciò veniva spalmata
sulle braccia, cosce e petto del raccoglitore, vale a dire sulle parti pelose,
per poi strapparla dal corpo.
In proposito un ufficiale della F.P.,Louis Chaltin
(1892), aveva annotato: “L’indigeno non
ama raccogliere la gomma, deve essere costretto a farlo”.
Come era possibile costringerlo? Una ridda di
voci e notizie si era sparsa per l’ l’Europa. Il
viceconsole britannico raccontava (1899) “Sull’alto
corso del fiume Oubangai mi hanno raccontato un
esempio di ciò che accadde; un ufficiale, raggiungeva con le canoe un villaggio
i cui abitanti cominciavano a scagliare frecce, i soldati venivano fatti sbarcare
e iniziavano il saccheggio, rubando dalle case polli, grano e altro; dopo di
che, attaccavano gli indigeni e sequestravano le donne; queste venivano tenute
in ostaggio finché il capo del distretto consegnava il numero richiesto di
chili di gomma. Le prigioniere venivano poi rivendute ai proprietari per un
paio di capre l’una, e così si proseguiva di villaggio in villaggio, fino a
raccogliere la quantità di gomma desiderata”.
Gli ostaggi talvolta erano donne, tal’altra erano bambini, altre volte erano anziani o capi.
Nelle aree della gomma, ogni
stazione dello Stato o della società aveva un recinto per gli
ostaggi; se un indigeno si rifiutava di raccogliere la gomma, firmava la condanna
a morte della moglie. La moglie avrebbe potuto morire comunque perché nei
recinti il cibo era scarso e le condizioni molto dure.
“Le donne sequestrate
durante l’ultima incursione a Engwettra mi causano
problemi a non finire” aveva scritto nel diario (1895) Gorge Bricusse, ufficiale della F.P.. “Ogni semiufficiale, soldato ne vuole una; le
sentinelle incaricate di sorvegliarle liberano le più graziose e le violentano”.
Naturalmente Leopoldo non autorizzava mai ufficialmente
la politica del sequestro degli ostaggi; se qualcuno sollevava accuse, le
autorità di Bruxelles le smentivano con sdegno; ma laggiù, lontano da occhi indiscreti,la maschera veniva fatta cadere.
Le istruzioni per il rapimento erano indicate nel
manuale semiufficiale, l’interessantissimo
“Manuel du Voyageur
e du Résident au Congo” di cui l’amministrazione
distribuiva una copia a ogni agente e a ogni posto statale. I cinque volumi del
libro coprivano ogni argomento, dai metodi che garantivano l’obbedienza dei
servitori, al modo corretto di sparare le salve d’artiglieria. La cattura degli
ostaggi era solo uno dei tanti compiti ordinari: “ In Africa rapire prigionieri è …
semplice, perché se si nascondono non si allontanano molto dal villaggio
e devono andarsi a procurare il cibo nei campi circostanti … Quando si ritiene
di aver raccolto un numero sufficiente di prigionieri, occorre scegliere una
persona anziana, possibilmente una donna. Bisogna farle un regalo e mandarla
dal capo per avviare le negoziazioni. Il capo che desidera liberare la sua
gente decide di mandare dei rappresentanti”.
La storia ci offre solo di rado l’opportunità di
leggere istruzioni tanto dettagliate nelle ”Questioni
pratiche” volume intitolato opportunità
di leggere istruzioni tanto dettagliate. I consigli per la cattura degli
ostaggi erano contenuti nel volume “Questioni
pratiche” che fu compilato da una commissione di circa trenta personaggi.
Uno dei suoi componenti, che lavorò al libro dopo essere stato responsabile
alle Cascate Stanley, era l’appassionato collezionista di teste Léon Rom.
La quota di gomma che ciascun villaggio doveva
consegnare era di quattro chili di gomma essiccata per ogni maschio adulto ogni
due settimane, vale a dire lavoro giornaliero pieno. Si era calcolato in
pratica che gli uomini trascorrevano ventiquattro giorni al mese
, dormendo nella foresta in gabbie improvvisate, per proteggersi dai
leopardi e non sempre riuscivano a salvarsi.
Alle volte i rampicanti venivano strappati e
tagliati a pezzi per spremere il liquido, ma venivano scoperti e comunque se non erano consegnate le quantità stabilite si ricorreva alla
chicotte.
Oltre alla F. P., ogni azienda aveva la propria milizia i cui uomini erano chiamati sentinelle.
Ovunque crescessero piante di gomma gli abitanti
dei villaggi erano tenuti in stretta sorveglianza. Gli uomini, oltre a
raccogliere la gomma, la trasportavano sulla strada portandola nelle ceste
sulla testa, percorrendo quaranta chilometri fino alle stazioni dove li
aspettavano gli agenti, che seduti sulla veranda pesavano i carichi. Dopo
essere stata consegnata la linfa veniva trasformata in ruvide lastre, ciascuna
delle dimensioni di una valigetta e lasciata essiccare al sole; veniva quindi
spedita a valle su una chiatta o un barcone trainato da un battello: era la prima
fase del lungo viaggio per l’Europa.
LE MANI MOZZATE
I soldati della F.P. che dovevano dare
dimostrazione dei colpi di fucile sparati e del numero delle persone uccise,
dovevano consegnare la mano destra; le mani, per evitare la putrefazione erano
affumicate (erano tagliati anche nasi e orecchie); poiché a ogni colpo sparato,
doveva corrispondere una mano, nel caso si fosse sparato a un animale, si
tagliava la mano a un uomo vivo. Charles Lemaire che
era stato commissario del distretto dell’equatore, dopo il pensionamento
ricordava di aver scritto al governo che: “Per
raccogliere la gomma nel distretto … dobbiamo mozzare mani, orecchie e nasi”.
La foresta lungo il fiume Kasai era ricca di
gomma. William Sheppard e gli altri presbiteriani americani si trovarono nel
mezzo di un cataclisma.
Il Kasai fu il teatro di violenti episodi di
resistenza contro il governo di Leopoldo. Indigeni armati alleati del regime imperversavano
nella regione in cui lavorava Sheppard saccheggiando e bruciando più di dieci
villaggi: masse di rifugiati cercavano aiuto presso la stazione dei missionari.
Sheppard ricevette l’ordine (1899) di addentrarsi
nella foresta per individuare
la causa dei combattimenti. Trovò terra macchiata di sangue,
villaggi distrutti
cadaveri in putrefazione che appestavano l’aria. Quando raggiunse
l’accampamento dei saccheggiatori, fu attratto da una nutrita serie di oggetti
posti ad affumicatura. Il capo ci condusse davanti a un telaio di bastoni sotto
i quali ardeva un fuoco lento e appese ai bastoni vi erano ottantuno mani.
Il capo disse a Sheppard che “doveva sempre tagliare la mano destra per
dimostrare allo Stato quante persone abbiamo ucciso”; l’affumicatura
serviva a conservare le mani nel clima caldo e umido.
Sheppard era incappato in uno degli aspetti più
raccapriccianti del sistema della gomma di Leopoldo; come la cattura degli
ostaggi, il taglio delle mani era una politica autorizzata, come avevano
ammesso alti funzionari: “Appena si presentò il problema della gomma, scissi al
governo – ricordava Carles Lemaire
– che per raccogliere la gomma, dobbiamo tagliare mani, orecchie e nasi”.
Sheppard non fu il primo straniero a vedere le
mani mozzate nel Congo e non sarebbe stato neanche l’ultimo. Gli articoli che scrisse per le riviste missionarie sulla sua raccapricciante
scoperta, vennero ristampati e citati più volte sia in Europa, sia negli
USA. E grazie a questo, la gente cominciò ad associare il Congo con le mani
mozzate. Alla fine la schiettezza di Sheppard
suscitava le ire delle autorità.
Il leader socialista Emile Vandervelde
aveva denunziato in Parlamento, gli archi monumentali che prima o poi verranno
chiamati “Archi delle mani mozzate”. Nella foresta si diffondeva il terrore della gomma.
Un sacerdote cattolico che raccolse testimonianze orali cinquant’anni dopo,
citava un uomo di nome Tswambe che riferiva di un
funzionario statale detestato da tutti, Léon Flévez,
colpevole di aver terrorizzato un intero distretto sul fiume, quasi a
A Nord di Stanley Pool: “I neri consideravano quest’uomo il demonio dell’equatore. Si era
costretti a mozzare le mani a tutti gli uomini uccisi sul campo e voleva
accertarsi del numero di mani mozzate da ogni soldato che doveva raccoglierle
nelle ceste”.
I villaggi che si rifiutavano
di raccogliere la gomma, venivano letteralmente rasi al suolo. Da
giovane vidi il soldato Molili (uno degli uomini di Fiévez) che sorvegliava il villaggio di Boyeka,
prendere una grande rete, mettervi dentro dieci prigionieri indigeni,
attaccarvi grosse pietre e farle ruzzolare nel fiume … La gomma era la causa di
tutte queste sofferenze. Ecco perché non vogliamo più sentir pronunciare questa
parola.
I soldati costringevano i giovani a uccidere o
violentare le madri e le sorelle; Fiévez giustificava
i suoi massacri, per motivi umanitari.
Egli raccontava (1894) a un ufficiale della F. P.
che quando i villaggi circostanti non fornivano il pesce e la manioca che aveva
richiesto era stato sufficiente aver tagliato cento teste e da allora sono
state fornite provviste in abbondanza; il mio obiettivo è stato sostanzialmente
umanitario, commentava, ho ucciso cento persone … ma ho consentito di vivere a
cinquecento.
Queste regole atroci, davano la possibilità a persone come Fiévez di sfogare il loro sadismo.
Il responsabile della stazione di M’Bima, usava il
revolver per forare i lobi delle orecchie degli africani.
Raul de Prémarol, usava
dare massicce dosi di olio di ricino a quelli che considerava dei lavativi . Quando due portatori non avevano utilizzato la
latrina, Jean Verdussen, commissario distrettuale, li
fece sfilare davanti alle truppe con il volto cosparso di escrementi. Quando la
storia delle mani mozzatesi diffuse per l’Africa, gli africani furono portati a
credere che le scatole di manzo, contenessero della mani
mozzate tritate.
*) Se mai questo riferimento dovesse giungere al
produttore di Focus,o
qualche volenteroso glielo potesse recapitare, sarebbe interessante se facesse
un documentario sul Congo che nessuno si è preso mai la priga
di fare e che sarebbe un documentario straordinario che supererebbe quello
fatto sul fiume Mekong.
* *) Hocheschild spiega
che la gomma è linfa coagulata, caoutchouc, la
parola francese che la designa, deriva da un vocabolo degli indiani del sudamerica che significa legno che piange.
L’AVIDITA’ DI LEOPOLDO
NON AVEVA LIMITI
E LE CRITICHE NON
LO SCALFIVANO
L |
eopoldo di trovava con l’imperatore Guglielmo per
una parata va Berlino, col quale si lamentava:”A noi re non è rimasto null’altro che il danaro” … la gomma che gli
avrebbe fornito il Congo, gliene avrebbe fornito al di sopra di ogni
previsione!
Eppure il solo Congo non gli bastava!
Egli sognava un impero che comprendesse i due
leggendari fiumi dell’Africa, il Congo e il Nilo e progettava di collegare i
due fiumi con la ferrovia, e prese possesso delle antiche miniere di rame di
Bahr-al-Gazal, avendo cura di rivendicarle a nome del
sovrano, obbligando allo stesso tempo lo Stato del Congo a fornirle protezione
militare.
I francesi però gli impedirono di realizzare le
sue mire sul Nilo, ma sempre nuovi progetti turbinavano nella sua testa.
Nel 1896 cogliendo di sorpresa Lord Salibury, gli propose di usare un esercito sudanese sotto
il controllo degli ufficiali dello Stato del Congo, per porre fine ai massacri del popolo
armeno da parte dei turchi che stavano suscitando tanta commozione in Europa
(la regina Vittoria riteneva fosse una ossessione del cugino).
Pur essendo scaltro e ambizioso, la nuova e
immensa fortuna la investì, per così dire, in attività turistiche in quanto in
tutto il Belgio, spuntarono musei, monumenti e nuovi palazzi. A Ostenda, la sua
località di mare preferita, spese milioni di franchi per una passeggiata, alcuni
parchi e una galleria turrita (decorata, il giorno dell’inaugurazione, con
ottantamila gerani) per l’ippodromo che frequentava, oltre a un campo di golf
nei pressi di Klemskerke,
uno chalet regale a Raversijde e innumerevoli restauri e ampliamenti all’amato
castello di Laeken.
Con l’avanzare dell’età, a sessant’anni, (1895),
divenne ipocondriaco: per un colpo di tosse, un collaboratore avrebbe rischiato
di essere allontanato per diversi giorni.
Temendo di prendere un raffreddore, ogni volta
che usciva sotto la pioggia , o nuotava in mare, infilava
la sua folta barba in una borsa impermeabile; pretendeva che le tovaglie
fossero bollite ogni giorno per eliminare i germi.
Quando non era in viaggio, risiedeva a Laeken; si
alzava presto, faceva una doccia fredda, si spuntava la barba, si sottoponeva a
un massaggio, leggeva la posta del
mattino e consumava una colazione pantagruelica:
sei uova in camicia, una fila di fette di pane tostato, un intero vasetto di
marmellata.
Passava la giornata tra le serre e i suoi amati
giardini, leggendo la corrispondenza o dettando le risposte, seguito dai
segretari. Il pranzo durava mezz’ora mentre le istruzioni le scriveva con
grafia illeggibile che creava
crisi di angoscia per la decifrazione; a tavola i membri della
famiglia dovevano rimanere in silenzio.
Nel pomeriggio si recava a palazzo reale per incontrare
funzionari e visitatori, quindi tornava a Laeken per la cena.
Il culmine della giornata era segnato dall’arrivo
del “Times of London” nel pomeriggio
con l’espresso Ostenda-Bruxelles che veniva lanciato nella stazione privata e
accompagnata dallo stemma, giungeva al palazzo reale dove un domestico la
stirava (per distruggere i germi) e il sovrano la leggeva a letto: quando il
Times si unì ai suoi detrattori, urlò che avrebbe annullato l’abbonamento, ma
un valletto andava ugualmente di nascosto alla stazione di Bruxelles ad
acquistarne una copia.
Nel 1897 Leopoldo incominciò a investire i suoi
capitali per la costruzione della ferrovia in Cina, ricavandone ingenti
guadagni. Considerava
La sua ferrovia in Congo a scartamento ridotto
(pari alla metà dello scartamento normale), aggirando le grandi rapide, doveva
collegare Matadi allo Stanley Pool; il progetto
richiedeva sessantamila operai, sebbene la linea fosse di soli
trecentocinquanta km., e occorsero tre anni per i primi ventidue km. .
Dei cinquecento cinesi giunti nel 1892, ne
morirono trecento sul lavoro, altri furono trovati a ottocento km., nell’entroterra,
per tornare a casa.
La ferrovia fu un modesto successo tecnico e una
catastrofe umana: gli uomini morivano per gli incidenti, per la dissenteria, il
vaiolo, il beri-beri, la malaria, esacerbate dalla cattiva alimentazione e
dalle frustate inflitte dai duecento soldati della milizia.
Le locomotive deragliavano, i vagoni carichi di
dinamite esplodevano dilaniando gli operai bianchi e neri: spesso non vi erano
rifugi per far dormire gli operai e venivano condotti in catene; quando al
mattino suonavano le trombe, gli uomini deponevano ai piedi dei supervisori. i cadaveri di quelli
morti durante la notte.
Dopo otto anni di lavori, la prima bassa e tozza
locomotiva (1898) decorata con bandiere, percorreva i binari a scartamento
ridotto da Matadi allo Stanley Pool dove fu eretto un
monumento (a grandezza naturale), che rappresentava un uomo che portava una
grossa cassa sulla testa e due crollati al suo fianco per la stanchezza, con la
falsa scritta: “La ferrovia li ha
liberati dalla condizione di portatori”… per
attrarsi le simpatie (equivalente a quella nazista di Aushwitz “Arbeit macht frei” Il lavoro
rende liberi! ndr.).
Pur costellata di curve a zig-zag e rapide e
pendenze, il viaggio durava due giorni; la ferrovia in ogni caso, accrebbe
notevolmente la ricchezza e il potere dello Stato. Con oltre cinque milioni di
kg., che il Congo produceva ogni anno, ora raggiungevano il mare dallo Stanley
Pool senza viaggiare per tre settimane sulle teste dei portatori. Nell’altro senso
i vagoni portavano le imbarcazioni smontate. Il porto fluviale di Leopoldville divenne il più trafficato dell’Africa
centrale.
Leopoldo era diffidente nei confronti degli
stranieri presenti nel Congo, a eccezione di coloro che erano stati assegnati a
progetti ferroviari.
Doveva sopportare le centinaia di missionari che,
come Sheppard e i suoi colleghi, provenivano dall’Inghilterra, S.U.,o Svezia, paesi di cui
Leopoldo sperava di attrarsi le simpatie. I missionari erano giunti ansiosi di
promuovere l’evangelizzazione, combattere la poligamia e inculcare negli
africani il senso vittoriano del peccato: Un alto funzionario in visita alla
città di Upoto sul fiume Congo scrisse nel suo diario
che un missionario britannico gli aveva chiesto di emettere un decreto per
costringere gli indigeni a vestirsi.
Gli africani chiedevano a un missionario: Il
Salvatore di cui ci parli, riuscirà a salvarci dalla tragedia della gomma?
I missionari, senza volerlo, finirono per
diventare osservatori su un campo di battaglia e Sheppard non fu l’unico a
fornire testimonianze.
Una malinconica canzone congolese diceva: “Siamo stanchi di vivere sotto questa tirannia;
non sopportiamo che le nostre donne e i nostri bambini vengano portati via e
maltrattati dai selvaggi bianchi. Faremo la guerra … Vogliamo morire … Sappiamo
che moriremo, ma vogliamo morire. Vogliamo morire”.
A partire dagli anni novanta
dell’Ottocento Leopoldo dovette affrontare sporadiche proteste da parte dei
missionari, tra cui anche gli articoli di Sheppard contro le mani mozzate e gli
africani trucidati. Ma i detrattori ebbero scarsa attenzione perché nelle
relazioni pubbliche non erano abili quanto il re che sfruttava il suo
irresistibile fascino per neutralizzarli.
Leopoldo, astutamente, esortava i funzionari
delle organizzazioni missionarie a parlare direttamente con lui che sapeva
dosare con astuzia le promesse e le minacce con le quali faceva pesare la
circostanza del suo diritto a imporre o negare le tasse, il permesso per la
costruzione di nuove missioni.
Verso la fine degli anni novanta
il critico più severo di Leopoldo fu E.V. Sjoblom, un
missionario battista svedese, che nel 1896 pubblicò sulla stampa svedese un
documentato attacco contro il terrore della gomma, attacco che fu ripreso dai
giornali degli altri paesi. Egli, durante un raduno pubblico, spiegò che i
soldati della F.P. erano ricompensati in base al numero di mani raccolte: “Un
agente mi ha detto di aver visto un ufficiale pagare i soldati con un certo
numero di bastoncini di ottone (valuta corrente) per le mani che avevano
portato. Uno dei soldati mi ha detto: “Il commissario mi ha promesso di
abbreviarci il servizio se portiamo molte mani. Ne ho consegnate parecchie e
credo che il mio servizio sia finito”.
Un altro oppositore di Leopoldo
era H.R.Fox
Bourne, segretario della Società degli aborigeni che scriveva per il Times; a quanto si diceva, il re si era
recato presso la sede del Times per
convincere il giornale a non pubblicare gli articoli di Fox Bourne.
In pubblico, Leopoldo, prendendo la strada più
facile, diceva che le voci che circolavano lo avevano profondamente sconvolto e
riuscì a difendersi da gran parte delle accuse relative alle atrocità commesse
contro gli africani.
Ma nel 1895 dovette affrontare i primi problemi
in Europa, quando un giornalista britannico riferì che un ufficiale della F.P.
dello Stato del Congo “aveva osato uccidere un inglese”.
La vittima in realtà era l’irlandese Charles
Stokes che aveva sposato un’africana e commerciava in avorio, facendo
concorrenza a Leopoldo e Stokes era accusato di vendere armi agli afro-arabi.
Una spedizione della F.P. era andata a cercarlo e quando l’aveva trovato,
l’aveva impiccato sul posto.
Vi furono
proteste della stampa inglese e della Germania in quanto Stokes
si trovava nell’Africa orientale
tedesca e il Congo era aperto ai mercati
tedeschi.
Nel tentativo di attenuare lo scontento, lo Stato
congolese ammise l’errore e pagò ingenti indennità alle autorità inglesi e
tedesche: ma la faccenda non finì in quanto un giornale tedesco si domandò come
il Congo trattasse gli indigeni, visto che non aveva avuto scrupolo a
giustiziare un bianco, e la stampa europea cominciò a prestare maggior attenzione
alle notizie sulle atrocità della colonia.
Leopoldo anche questa volta se ne uscì
brillantemente.
Nominò (1896) una commissione per la protezione
degli indigeni con tre cattolici belgi e tre protestanti di altre nazioni, che
ottenne una accoglienza favorevole.
Ma pochi avevano notato che nessuno dei membri
della commissione era dislocato nelle principiali aree della gomma da cui
provenivano le voci di disumanità e che i commissari erano sparpagliati su un
territorio di milleseicento km., e il sovrano non aveva fornito alcun
finanziamento per partecipare agli incontri. La commissione si riunì solo due volte
a causa delle distanze e della spesa, alle quali parteciparono solo tre dei sei
componenti.
Per il re era stato un colpo da maestro e
consolidò il proprio trionfo recandosi in Inghilterra, Svezia e Germania (1897),
mentre l’Inghilterra fu distratta dalla guerra boera e gli attacchi della
stampa a Leopoldo sparirono del tutto.
I detrattori si facevano sentire ogni tanto, ma
nessuno più gli prestava attenzione ! Se ci fossero
stati gli indici di gradimento Leopoldo avrebbe raggiunto dappertutto il culmine
del successo! E vi erano anche dei versi che inneggiavano alla voce del nostro sovrano che guida i nostri soldati che sfidano il
clima di bronzo per spezzare la catena dell’africano e sottomettere il crudele
arabo.
Ma il sovrano che spingeva il soldato, sebbene il
Congo fosse la sua grande passione, non vi si recò mai a visitarlo!
QUALCUNO INCOMINCIA
A SCOPRIRE
CHE AVORIO E GOMMA
INCREMENTAVANO
IL CONTRABBANDO DI ARMI
C |
ome se lo immaginava, il Congo, non era quello
dei portatori che morivano di fame; degli ostaggi violentati, degli scheletrici
portatori di gomma o delle mani mozzate. Era l’impero dei suoi sogni, con
alberi giganteschi, animali esotici, abitanti grati per il suo saggio governo.
Anziché andarvi, egli portò il Congo in Belgio;
il mogano rosso che allestiva la sua camera del vagone ferroviario privato; gli
animali chiusi negli zoo belgi, le enormi serre di Laeken, dove aggiunse una
serra lussureggiante di palme, coperta da quattro cupole in vetro, a volta
ottagonale, decorata con l’emblema della colonia.
Alla fiera mondiale di Bruxelles (1897) ebbe un
milione di visitatori, dove, oltre ai drappi raffiguranti la barbarie e la
civiltà, il feticismo e il cristianesimo, la poligamia e la vita familiare in
schiavitù e in libertà, vi era anche un quadro vivente di duecentosessantasette
uomini, donne e bambini, importati dal Congo.
La nave che riportò i congolesi in Congo, ritornò
carica di gomma
e come tante altre, apparteneva a una filiale della Elder Dempster,
una compagnia di navigazione con sede a Liverpool le cui imbarcazioni battevano
la costa occidentale dell’Africa.
Per mantenere se stesso e la madre Morel arrotondava lo stipendio facendo lezioni private, poi
gli si presentò l‘occasione di scrivere articoli sulle questioni commerciali
africane per lo Shipping Telegraph e
il Liverpool Journal of Commerce; i
suoi pezzi celebravano
gli aumenti della produzione del cotone e della stazza delle navi
e mettevano solo raramente in dubbio i dogmi dell’epoca. Alcuni lodavano il
regime di Leopoldo e auspicavano il grande avvenire che attendeva il Congo.
Negli anni novanta, Morel cominciò a fare la spola attraverso
Morel non curava solo le negoziazioni sulla banchina,
ma trattava con gli alti funzionari congolesi di Leopoldo e proprio trattando
con uno di questi, gli vennero dei sospetti.
Si era era recato
presso un burocrate di alto grado, piacevolmente descritto dal Morel, in particolare,
della figura spettrale del burocrate; ne aveva descritto la stanza, le cui
finestre affacciavano sul retro del palazzo reale: una stanza cupa dai tappeti
spessi e dai tendaggi pesanti; una stanza di ombre opprimenti. Al centro un
uomo seduto alla scrivania, così magro da essere emaciato; le spalle strette e
curve; la fronte sfuggente, un alto naso adunco, grandi orecchie arretrate; le
guance infossate, gi occhi gelidi. Un viso che quando è composto è passivo, inumano,
pallido, pietrificato, tutto ossa appuntite e nude cavità; il viso dell’allora
Segretario di Stato dello Stato indipendente del Congo … La
fisionomia del Segretario di Stato, subisce un notevole e sconcertante
metamorfosi. Viene colpito da una sorta di tic
involontario... E’ il viso di un altro uomo a
guardarci. La maschera di impeccabile ufficialità si stacca come un guanto
polverizzato dalla mano. Si china in avanti e, in rapidi accenti scanditi, si
lamenta dicendo che qualcuno ha rivelato alla stampa informazioni confidenziali
sul carico dell’ultimo piroscafo in partenza … Il paragrafo è stato
evidenziato. Ha l’aria innocua, essendo un elenco dei principali articoli a
bordo. L’elenco indica tuttavia il numero di casse di cartucce a pallottola
(proiettili per fucili) il numero di casse di fucili e di scatole di fulminanti (capsule
esplosive per moschetti militari) … E’ quello il
problema. La mancanza di segretezza professionale. Denunciando la gravità
dell’indiscrezione, l’oratore si alza, le guance cadaveriche arrossiscono, la
voce trema … le lunghe mani ossute falciano l’aria. Non vuole sentire alcun
pretesto, non ammette interruzioni. Ripete di continuo sécret profesionel con enfasi
appassionata. I suoi gesti sono energici… Il più giovane tra i presenti esce
dalla stanza domandandosi perché sia necessaria una simile quantità di
materiale bellico … perché la sua esportazione debba rimanere segreta e perché
il governo congolese si preoccupi tanto per l’”indiscrezione”.
Morel sulla banchina di Anversa vide cosa
trasportavano le navi della Elder Dempser. Ben presto
si accorse che i registri che compilava con cura per il suo datore di lavoro,
non corrispondevano alle statistiche commerciali divulgate dall’Etat Indépendent du Congo
che avevano tanto turbato il Segretario di Stato.
Studiando le discrepanze tra le due serie di
cifre, incominciò a scoprire una intricata matassa di frodi.
Tre scoperte, in particolare, lo lasciarono di
stucco.
Innanzitutto il carico inviato in Congo, quello che una volta portato a
conoscenza dell’opinione pubblica aveva tanto turbato il Segretario di
Stato, non era l’eccezione ma la regola:
“Da alcuni anni i piroscafi che
In secondo luogo Morel si accorse che
in alto, qualcuno si impossessava di considerevoli profitti. “Il valore della
gomma e dell’avorio, importati dal Congo mediante le navi della Elder Dempster …” merci che valevano decine di
milioni di dollari attuali, “superava di gran lunga le somme indicate nei
proventi del governo congolese … In quali tasche finivano le eccedenze non
dichiarate?”
Morel fece la sua terza e ultima scoperta sulle
banchine mentre osservava le navi caricate e scaricate, e ne trovò conferma nei
registri della Emper Dempster.
Lì si celava il segnale più sinistro di tutti. “Circa l’ottanta per cento delle
esportazioni destinate al Congo era rappresentato da articoli del tutto
estranei agli scopi commerciali. Eppure il Congo
esportava quantità sempre maggiori di gomma e avorio per le quali, a quanto
emergeva dalle statistiche, gli indigeni non ricevevano quasi nulla. Allora,
come venivano acquistati quei materiali? Di certo, non mediante trattative
commerciali. In cambio di ciò che entrava, non usciva nulla”.
Morel aveva ragione. Ora sappiamo che il valore della
gomma e dell’avorio e delle altre ricchezze che ogni anno giungevano in Europa a bordo delle
navi della Elder Dempster, corrispondeva a cinque
volte quello delle merci spedite in Congo e destinate agli africani. In cambio
della gomma e dell’avorio Morel lo sapeva bene, i
congolesi non venivano pagati in denaro (di cui era vietato l’uso o in merci
provenienti da altre parti del mondo (
Morel non era incappato in un assassino, ma in una
società di assassini; e divenne il più acerrimo nemico
di Leopoldo.
FINE