Leopoldo II del Belgio

 

 

 

SCHIAVI AVORIO

E GOMMMA

LE RICCHEZZE DI

LEOPOLDO II DEL BELGIO

NEL CONGO

 

a cura di

Michele E. Puglia

 

 

 

SOMMARIO: INTRODUZIONE; LEOPOLDO ORGANIZZA LA CONFERENZA GEOGRAFICA SULLA SITUAZIONE DELL’AFRICA; UN TELEGRAMMA GLI APRE LA STRADA DELLA FORTUNA; STANLEY PROCURA A LEOPOLDO II UN MILIONE DI KM2 DI TERRITORIO DEL CONGO; L’EUROPA SI SVEGLIA SULL’AFRICA; IL SENATORE MORGAN SOSTENITORE DELL’ESODO GENERALE DEI NERI DAGLI USA.; LE GRANDI MANOVRE DI LEOPOLDO PER LA CONQUISTA DELLO STATO DEL CONGO; LA CONQUISTA DEL CONGO TRA FILANTROPIA E ATROCITA; L’ENTUSIASMO INIZIALE E LA SUCCESSIVA DELUSIONE DI GEORGE WASHINGTON WILLIAMS; IL SISTEMA SCHIAVISTA (La Chicotte); L’ORGANIZZAZIONE MILITARE SCHIAVISTA; I BAMBINI ALLEVATI NELLE MISSIONI PER FARE I SOLDATI; LA COLONIA SOGNATA DAI GIOVANI PER UNA VITA AVVENTUROSA E DI RICCHEZZA; LO SCRITTORE E AVVENTURIERO JOSEPH CONRAD E LEON ROM; WILLIAM SHEPPARD SUCCESSORE DI HENRY MORTON STANLEY; ALLA RICCHEZZA DELL’AVORIO SI AGGIUNGE QUELLA DELLA GOMMA (Le mani mozzate); L’AVIDITA’ DI LEOPOLDO NON AVEVA LIMITI E LE CRITICHE NON LO SCALFIVANO; QUALCUNO INCOMINCIA ASCOPRIRE CHE AVORIO E GOMMA INCREMENTAVANO IL CONTRABBANDO DI ARMI.

 

Caricatura apparsa in Germania

sulla mania di Leopoldo di staccare

teste e cedole delle obbligazioni

 

 

INTRODUZIONE

 

 

N

el 2001 la Rizzoli pubblicava il libro “Gli spettri del Congo” con sottotitolo,Re Leopoldo II del Belgio e l’olocausto dimenticato” in cui, l’autore, Adam Hochschild,  riportava tutta la tragedia del Congo, dal momento in cui Leopoldo II del Belgio, smanioso di ricchezza, seguendo l’esempio degli altri paesi colonizzatori, si era messo alla ricerca della “colonia” da sfruttare e cercando di qua e di là sul globo terraqueo, l’aveva trovata vergine e immensa, di territorio e di ricchezze, nel centro dell’Africa.

A distanza di venti anni dalla pubblicazione del libro, semplicemente affascinante, abbiamo pensato di rinnovare quel tragico ricordo di stragi e atrocità, su di una popolazione inerme, nel nome della filantropia su cui era stata impostata la conquista della colonia.

Augurandoci che l’editore pubblichi nuovamente il frutto delle approfondite ricerche alle quali si era dedicato Hochschild, il libro rimane unico per la ricchezza dei fatti e avvenimenti riportati, non solo, ma servirebbe a far conoscere e contrastare la figura di Leopoldo II considerato “filantropo”, sul quale tutt’ora si scrivono – incredibile dictu – libri estremamente elogiativi!

Avvertiamo che il libro è diviso in due parti: quanto riportato nel presente articolo è stato ripreso dalla sola prima parte, per motivi di diritti d’autore che non vogliamo usurpare, facendo presente che la seconda parte è anch’essa interessante come la prima.

Di Leopoldo II (1835-1909), era stato detto che “le sue ambizioni si potevano riassumere nella frase “il Belgio non  sfrutta il mondo, è una inclinazione che dovremo fargli imparare” … ed egli, convinto che le sue ricerche avrebbero dato buoni frutti, si immerse nello studio e nella ricerca  della strada da percorrere!

Nato nel 1835 da Leopoldo I di Sassonia-Coburgo-Saafeld e da Luisa d’Orleans, riteneva il Belgio un piccolo paese fatto di gente povera  petit pays, petite gens” Di grande statura, con grande naso e grande barba, con la spada che gli sbatteva tra le gambe (assomigliava a un burocrate che aveva indossato l’uniforme senza sapere come portarla), nel 1853 fu portato alla corte di Vienna sempre ricca di giovinette asburgiche da far sposare, per conoscere la sua futura sposa.

Era la sedicenne arciduchessa Maria Enrichetta, amante dei cavalli che lei stessa domava; si odiarono dal primo momento … ma Maria Enrichetta l’anno successivo rimase ugualmente incinta. Dalla loro unione nacquero tre femmine, Luisa, Stefania e Clementina, con delusione di Leopoldo che alla terza maternità si aspettava un figlio maschio (un maschio lo aveva avuto, ma era morto di polmonite dopo essere caduto in uno stagno quando aveva  nove anni).

Come padre Leopoldo si era mostrato autoritario nei confronti delle prime due  figlie e aveva costretto la più piccola, Clementina, diciassettenne  a sposare un principe austro-ungarico molto più vecchio di lei; ma Clementina alla prima notte di nozze se ne fuggì dal castello di Laeken in camicia da notte.

Istruita dalla madre sui doveri coniugali, se ne servì nella relazione che instaurava con un ufficiale di cavalleria; messa di fronte alla scelta, tra tornare dal marito o entrare in manicomio, scelse quest’ultima; fu liberata dall’ufficiale che morì poco dopo, mentre lei priva di risorse economiche, intaccava il suo patrimonio  facendo spese per il suo guardaroba, che fu messo all’asta  dai suoi creditori.

La vita privata del re non era quella di un re che dovrebbe dare il buon esempio morale, in quanto si accompagnava ad amanti del momento (una era chiamata la regina del Congo, da un’altra aveva avuto due figli naturali) ma aveva anche un debole per le ninfette e come tale era frequentatore di un bordello di Londra dove si recava con il suo yacht, e con ottocento sterline mensili si era assicurato ragazzine dai dieci ai quindici anni e vergini.

Nel 1885 veniva citato da un tribunale come cliente di un bordello; il caso fu chiuso rapidamente in quanto tra i frequentatori vi era il principe di Galles e la tenutaria, alla quale era stata data una cospicua somma, si era dichiarata colpevole. 

Stefania fece un matrimonio esteriormente splendido, sposando l’arciduca Rodolfo d’Asburgo, principe ereditario, il quale era già immerso nel vizio della droga e delle donne …. tanto da essersi recato  a conoscerla a Bruxelles, con l’amante del momento; poi si era immerso nella relazione con la nota Mary Vetsera (non accettata dalla famiglia imperiale), con cui decise di concludere la sua vita e i due amanti, un bel mattino, furono trovati, morti, nel letto della casina di caccia … e Stefania non poté diventare imperatrice.

Rimasta vedova sposò un conte ungherese dal sangue non molto blu e Leopoldo lo chiamava “il pecoraio” e non gli rivolse mai più la parola.

Clementina rimase obbediente, ma attendeva con pazienza la morte del padre, e quando morì sposò il suo Vittorio  (Napoleone Vittorio Bonaparte, ultimo erede dei Bonaparte al trono).

Leopoldo mostrava scarso interesse per le materie di studio, a esclusione della geografia. A ventisette anni (1862) si recava a Siviglia,ma non per visitare i suoi  monumenti; Siviglia era il principale porto delle navi provenienti dalle Indie occidentali e aveva un Archivio che raccoglieva documenti fin dalle prime  scoperte da parte di Colombo; egli voleva conoscere i guadagni della Spagna dalle Colonie e si fermò un mese e quindi si dedicava (1864) ai viaggi a Ceylon e possedimenti britannici, India e Birmania.

Era stato affascinato dal libro che parlava delle piantagioni di caffé, zucchero, indaco e tabacco, i cui utili erano serviti a pagare la costruzione delle ferrovie. Prima dei trent’anni il re aveva iniziato la ricerca di un territorio, isole o terre argentine, in Brasile e Formosa.

In Europa era nel frattempo maturata l’idea che giustificava il  colonialismo che, nelle intenzioni serviva a cristianizzare i pagani, civilizzare le razze selvagge e garantire i miracolosi benefici del libero commercio.

Per l’Africa la giustificazione era la tratta degli schiavi da parte degli arabi.

L’aspirazione di Leopoldo non era solo il danaro, ma anche il potere e la sua preoccupazione era l’aumento del potere da parte del Parlamento elettivo rispetto al ruolo del sovrano.

Leopoldo saliva al trono nel 1865, e il figlio gli moriva al suo quarto anno di regno (1869) e, per la prima volta si abbandonava ai singhiozzi, ma il dolore non gli faceva perdere la presenza di spirito di chiedere al Parlamento le spese per il suo funerale.

Intanto ingrandiva parchi, viali, palazzi e, notevolmente l’estensione delle proprietà reali, con nuovi edifici a Laeken.

Nel frattempo la sorella, Carlotta, sposava Massimiliano d’Asburgo, fratello dell’imperatore, inviato da Napoleone III … si direbbe …  a morire come  imperatore del Messico; Massimiliano infatti era privo di un esercito e riusciva a resistere agli insorti per appena tre anni, quando veniva arrestato e fucilato (1867); prima di essere fucilato, aveva stretto la mano a ciascuno dei membri del plotone ai quali consegnava delle pepite d’oro, chiedendo di mirare al cuore, dove puntava il suo dito, chiedendo di prendere bene la mira.

La moglie Carlotta usciva di senno ed era relegata nel castello di Tervuren (Bruxelles), dove, si diceva parlasse con una bambola di grandezza naturale vestita con abiti imperiali.

Nel 1875 Leopoldo tentava di acquistare le Filippine dalla Spagna, ma spagnoli, portoghesi e olandesi, rifiutarono.

 

 

 

LEOPOLDO ORGANIZZA

LA CONFERENZA

GEOGRAFICA

SULLA SITUAZIONE

 DELL’AFRICA

 

 

 

I

ntorno al 1870 l’80% dell’Africa era nelle mani dei sovrani indigeni; Porogallo, Spagna, Gran Bretagna e Francia possedevano piccole tacche di territorio; il Portogallo rivendicava il regno del Kongo e il Mozambico.

Leopoldo allora studiò il procedimento della Reale Società Geografica per reperire informazioni sul continente, seguendo da vicino le orme degli esploratori bianchi.

Studiò con attenzione i procedimenti della RABLE, società geografica per reperire informazioni sul continente seguendo da vicino le orme degli esploratori bianchi, raccogliendo (1875) voluminosi appunti, con grafia quasi illeggibile.

L’esploratore scozzese Verney Lovett Cameron, che stava per la prima volta per attraversare l’Africa da est a ovest, era rimasto senza fondi e intervenne Leopoldo che gli offrì centomila franchi; somma che in effetti non era necessaria, ma trasformò Leopoldo in mecenate.

Nello stesso periodo Henry Morton Stanley, partito nel 1874 dalla costa orientale verso il vuoto assoluto (ovvero, inestricabile, in quanto era tutta fitta foresta!) del centro inesplorato, per localizzare i grandi laghi e poi spingersi verso le sorgenti del Nilo e del Congo; ma di Stanley (*), dopo la partenza non si ebbero più notizie.

Sia Livingston, sia Stanley avevano commosso l’opinione pubblica europea con la descrizione dei mercanti arabi che guidavano carovane di prigionieri incatenati verso la costa orientale; fu l’occasione per Leopoldo che chiedeva una solida copertura per la sua spinta coloniale umanitaria, l’abolizione della tratta, e senza parlare di profitti si presentava come filantropo con la nobilitazione morale e il progresso della scienza. 

Nel 1876 incominciò a progettare una conferenza di esploratori e geografi; mandando un collaboratore a Berlino mentre lui si recava a Londra , in visita dalla regina Vittoria, a cena dal principe di Galles, pranza con la baronessa Angela Burdett-Coutts protettrice di missionari; conosce l’esploratore Cameron e scopre che gli inglesi non sono interessati dai territori da lui esplorati a sud del Congo, del cui bacino non si hanno ancora cognizioni, e diviene l’oggetto dei suoi desideri.

A Bruxelles è riunita la Conferenza Geografica (1876) organizzata nei minimi particolari di protocollo sotto l’occhio vigile di Leopoldo, con tredici ospiti belgi e ventiquattro stranieri tra cui celebri esploratori, geografi, il presidente della società antischiavista e il presidente della società missionaria ecclesiastica, tutti ospitati nel palazzo reale sede degli uffici del re, trasformato nell’occasione, per ospitare i partecipanti nello sfavillio delle sale d’oro e damasco e della sala del trono illuminata da settemila candele.

Non mancarono  parole retoriche d’occasione, con riferimento al puro servizio alla causa con l’idea di aprire basi di ricovero, di studio e pacificazione per contrastare la tratta degli schiavi, stabilire la pace  tra i capi e garantire un arbitrato equo e imparziale.

Tutti gli ospiti furono insigniti della Croce dell’Ordine di Leopoldo: Cosa si poteva fare di più per essere osannati? Ma non finì qui; i partecipanti tra un banchetto e l’altro estrassero le loro cartine e segnarono nel centro dell’Africa i punti dove sarebbero state costruite le basi di studio e pacificazione che avrebbero ospitato scienziati, linguisti, artigiani che avrebbero insegnato nozioni pratiche agli indigeni.

Le basi avrebbero avuto laboratori per lo studio del clima, flora, fauna ecc., strumenti, infermerie, farmaci più avanzati.

Presidente della conferenza fu nominato Piotr Semenov esploratore dei rilievi montuosi del Thien Shan, che non sapeva nulla dell’Africa, con grande soddisfazione di Leopoldo che riuscì a manovrarlo, ottenendo che la catena delle basi si estendesse a tutto il territorio libero del bacino del fiume Congo (il solo fiume raggiungeva in alcuni punti 25 km di larghezza e 200mt di profondità).

Prima della chiusura dei lavori gli ospiti votarono per la fondazione dell’ “Associazione Africana Internazionale” per la quale Leopoldo generosamente metteva a disposizione per la sede, l’ufficio di Bruxelles e fu nominato all’unanimità Presidente e assicurò che sarebbe rimasto in carica per un solo anno. Terminati i lavori, offrì a ciascun partecipante un suo ritratto in alta uniforme, con cornice d’oro! …  E tutti partirono estasiati!    

L’ Associazione Africana Internazionale fu accolta in Europa con favore dai Rotschild a Ferdinando de Lesseps (costruttore del Canale di Suez), che mandarono contributi; si dovevano organizzare sedi nazionali, ma non decollarono; rimase solo la sede centrale di Bruxelles nelle mani di Leopoldo che fu regolarmente rieletto negli anni seguenti!

L’astuto Leopoldo, che si era reso conto che  la colonia non era in vendita ma doveva conquistarla, si stava preparando a farlo su suolo africano e sotto l’egida dello spirito filantropico, unanimemente approvato e condiviso, considerato da Lesseps la maggior opera umanitaria dei nostri tempi.

Il re aveva astuzia, acume, talento, carisma  (apparteneva  insomma alla categoria di quei geni criminali di cui abbiamo parlato  nell’Art. Doktor Faust,v. ndr.) e spirito organizzativo per realizzare il suo sogno e per di più era assistito dalla fortuna!

 

 

 

*)  Stanley esploratore, medico e missionario era partito nel 1866, alla ricerca di Livingstone il quale non aveva dato più notizie di sé; Stanley lo trovò dopo sette mesi, nel 1872 e scrisse il suo primo libro:”Come trovai Livingstone“. 

 

 

 

UN TELEGRAMMA

GLI APRE LA STRADA

DELLA FORTUNA

 

 

 

I

l 5 agosto 1877, una lettera di Stanley, capo della spedizione anglo-americana,  indirizzata a qualsiasi uomo che parli la lingua inglese, da Boma, città della riva settentrionale del Congo a 80 km. dalla costa atlantica, diceva di esser giunto da Zanzibar con centoquindici uomini, donne e bambini, ridotti alla fame, chiedendo viveri entro due giorni, altrimenti sarebbe finita male per tutti.

All’alba del giorno seguente, Stanley ricevette come rifornimenti patate, riso, cibi in scatola.

Stanley, aveva percorso 11.200 km in due anni e mezzo partendo da Zanzibar ed era stato il primo a tracciare il corso del Congo; era stato preceduto da Cameron, aveva però raggiunto la foce del fiume, dando il nome alle cascate e al lago di Stanley Pool.

Stanley era stato finanziato dal New York Herald al quale inviava i propri articoli, seguiti dai libri delle sue avventure che divennero leggendarie, divorati con avidità dai lettori.

Erano partiti in 356 con 46 donne e bambini che formavano una colonna di ottocento metri, per cui i comandi dovevano esser dati con la tromba; a destinazione giunsero in 115, gli altri erano morti di malattie, vaiolo, dissenteria, di stenti per il peso dei carichi che  trasportavano; oltre ad essere attaccati da serpenti, alligatori, ippopotami e da vermi capaci di perforare le palme dei piedi dei portatori; infine non mancavano i sentieri costellati di pietre affilate come coltelli con i portatori costretti a procedere con i carichi fino a quando non cadevano esausti; alcuni morivano  dopo essere arrivati ed erano in attesa di partire per casa.

Il re filantropo divorava tutti i resoconti della stampa, rendendosi conto che il vasto territorio oggetto dei suoi  desideri, era sfuggito alle mire delle potenze europee e si muoveva con circospezione per non suscitare gli interessi degli inglesi; pensò quindi di intercettare  Stanley al suo ritorno in patria, attirandolo a Bruxelles. Fece in modo che mentre Stanley era a cena ad Alessandria, a bordo dello yacht su cui viaggiava Ulisses S. Grant, ex presidente USA, qualcuno gli suggerisse l’invito del re del Belgio.

L’incaricato era il generale Sanford che era stato ministro plenipotenziario in Belgio, dal presidente Lincoln. Vezzeggiato da Leopoldo tanto da sentirsene lusingato e stimato, cosa che il suo paese non faceva … alla fine  Stanley, dopo cinque mesi dal suo ritorno, accettò l’invito di Leopoldo.

Il 10 giugno 1878 il trentasettenne Henry Morton Stanley incontra il quarantatreenne re Leopoldo che lo mette subito a suo agio parlandogli in inglese e conquistandolo, facendogli sentire la sua ammirazione, mentre  Stanley si riteneva deluso dalla Gran Bretagna che non gli aveva mostrato alcun interesse: tra i due intervenne un accordo della durata di cinque anni; Stanley sarebbe tornato in Africa e per il periodo in cui sarebbe rimasto in Europa avrebbe ricevuto 25mila franchi l’anno, mentre per il periodo che avrebbe passato  in Africa, ne avrebbe ricevuti 50mila (pari a circa 250mila dollari degli anni 2000!); Leopoldo avrebbe finanziato anche la spedizione di Stanley il quale avrebbe creato una base vicino alla foce del Congo e costruito una strada precorritrice della ferrovia intorno alle rapide, attraverso gli aspri Monti di Cristallo, creando stazioni commerciali lungo 16mila km. del principale tratto navigabile del fiume.

Tra le ricchezze che Leopoldo pensava di trovare nel Congo, quella che più gli brillava nella testa era l’avorio che i commercianti già si disputavano a Zanzibar, da cui si ricavavano spille, statuette, pettini, ventagli, crocifissi, tabacchiere, portatovaglioli, manici di coltelli, palle di biliardo, scacchi, tasti per organi e pianoforti, protesi dentarie e inoltre le zanne erano meno ingombranti da trasportare, come le droghe e pietre preziose.

Per la qualità dell’avorio erano preferiti gli elefanti africani agli indiani in quanto le zanne erano più lunghe e in Africa ve n’era così in abbondanza da essere  utilizzate per  gli stipiti delle porte .

Leopoldo doveva attendere per avere queste ricchezze in quanto Stanley doveva costruire prima la strada pur avendo Stanley firmato diversi contratti, era guardingo e si era fatto pagare in anticipo, in quanto non si era reso perfettamente conto per chi dovesse lavorare, se per Leopoldo o per l’Associazione Africana o per il nuovo e segreto Comitato di Studi dell’Alto Congo, che era nelle mani di azionisti che erano uomini d’affari olandesi e britannici, il cui maggior pacchetto però era nelle mani del presidente colonnello Maximilian Strauch, procuratore di Leopoldo.

I piani di Stanley erano ambiziosi e Leopoldo era disposto ad assecondarli ma a condizione che passassero come iniziative filantropiche con i contratti firmati da collaboratori che vietavano la divulgazione di informazioni sul vero scopo dell’impresa, indicata con il nome di esplorazioni scientifiche; e quando il re era interrogato, richiamava un articolo dello Statuto che proibiva all’organismo di perseguire fini politici.

Nel febbraio 1879 Stanley si imbarcava per l’Africa sotto falso nome (M. Henry), Leopoldo, dal suo canto, pensa a creare, accanto alla moribonda Associazione Africana Internazionale, per assonanza, l’Associazione Africana Internazionale, costituita da esploratori e principi ereditari, con intenti filantropici;  con la stessa bandiera del defunto Comitato di studi dell’Alto Congo e dell’Associazione africana internazionale, con la stella d’oro su fondo blu a simboleggiare la fiammella di speranza nella proverbiale oscurità africana.

 

 

 

STANLEY PROCURA

A LEOPOLDO II

UN MILIONE DI KM2

DI TERRITORIO

DEL CONGO

 

 

 

L

eopoldo prima di prendere accordi con Stanley, nell’intento di appropriarsi del Congo, aveva finanziato una impresa che avrebbe dovuto penetrare nel Congo dalla costa orientale, sebbene vi fossero state tre spedizioni risultate inconcludenti.
In una di queste furono utilizzati per il trasporto, quattro elefanti (provenienti dall’India dove erano stati addomesticati, in quanto gli indiani lo facevano da secoli, non gli africani: v. in Specchio dell’epoca, Poggio Bracciolini, Della Varietà della fortuna par. A Mangi si addomesticano gli elefanti ndr.) ma morirono di varie malattie; mentre i lettori seguivano la storia di questi quattro elefanti, dall’altra parte della costa Stanley era intento a costruire una strada intorno alle rapide del Congo.

Il generale Sanford membro dell’Associazione africana internazionale, si era recato (1879) a New York dove aveva interessi finanziari in decozione, dove tenne una conferenza con lo scopo di creare ospizi di accoglienza e di ricerca scientifica e da costituire mezzi di informazione e aiuto per i viaggiatori … e grazie alla loro opera umanitaria, garantire la abolizione della schiavitù.

Dal suo canto, Leopoldo, faceva pubblicare sul Times un articolo col quale la nuova Associazione internazionale del Congo era indicata come una specie di Croce Rossa  con il nobile scopo di fornire servizi duraturi e disinteressati alla causa del progresso.

Leopoldo  presentava i propri uomini come cavalieri delle crociate e così riuscì a ottenere finanziamenti: la baronessa britannica Burdett Coutts, protettrice dei missionari, gli fece avere cinquantamila franchi per le sue iniziative umanitarie; negli USA un giornalista definì la grande opera di Leopoldo sufficiente a convincere ogni americano a credere nei re!

Nel frattempo Leopoldo annunciava che Stanley avrebbe dovuto gettare le basi per una “confederazione di libere repubbliche nere” il cui presidente avrebbe dovuto risiedere in Europa, se governato sotto la guida del re del Belgio, mentre per gli europei il re parlava di città libere come lo erano state nel medioevo Brema, Amburgo, Lubecca, mentre, con schiettezza Stanley sosteneva che “la concessione di potere politico ai neri era fuori questione. Sarebbe assurdo. I bianchi a capo delle stazioni conserveranno tutto il loro potere”.

Per cinque anni Stanley lavorò per Leopoldo, occupandosi più del territorio  ostile che della popolazione, lavorando per la costruzione della strada attorno alle rapide che era piuttosto una mulattiera, aprendosi un varco nella foresta, utilizzando battelli smontati e rimontati, sentieri già esistenti, riempiendo canali, costruendo ponti di legno.

Gli animali, cavalli e buoi, non riuscivano a sopravvivere al clima e alle malattie le scorte viaggiavano per lo più sulle teste dei portatori; i battelli, in prossimità delle rapide, venivano smontati e rimontati e sulle rive del fiume si costruivano stazioni; quella in cima alle grandi rapide comprendeva un orto e un edificio di tronchi fortificato da cui si poteva udire il boato delle cascate e fu chiamata Leopoldville; sulle cartine apparvero il lago Leopoldo II e il fiume Leopoldo; uno dei battelli comandato per un certo periodo, dal più famoso pilota congolese, portava il nome di “Roi des belges”.

Stanley per la disciplina, usava il pugno di ferro e riteneva che il pugno di ferro fosse la punizione migliore, senza ferire, sfigurare o torturare  il corpo  … ma le ferite sanguinanti non venivano curate, lasciate alla mercè degli insetti: e le malattie mietevano più vittime della sua collera. Nel primo anno morirono sei europei e ventidue africani, di cui uno divorato da un coccodrillo.

Il pensiero mercantile di Stanley che voleva strappare gli africani ignudi alla loro impassibile nudità, sarebbe stato quello di convincere milioni di negri a indossare abiti europei.         

Stanley  curava molto il suo aspetto, radendosi e impomatandosi i baffi di lucido nero tutti i giorni. La sua robusta costituzione lo rendeva resistente alle malattie che causavano la morte di molti visitatori europei; ma fu anch’egli attaccato dalla malaria che per due volte lo stava condannando a morte. Un altro attacco lo ridusse a quarantacinque chili, incapace di sollevare le braccia. Dopo essersi ripreso si ammalò di nuovo e fu portato a Leopoldville privo di sensi.

Nel 1882 ritornò in Europa, per la convalescenza e a malapena riusciva a reggersi in piedi ma sul piroscafo portoghese che lo riportava a casa osservava, scandalizzato, che”i volgari passeggeri della seconda classe potevano accedere alla prima dove espettoravano, fumavano e si stravaccavano alla maniera più socialistica; peggiore fu l’invasione delle donne della terza classe e di cinque o sei bambini seminudi”. I medici lo avvertirono che un suo ritorno in Africa gli sarebbe stato fatale.

Leopoldo parlando col ministro britannico a Bruxelles gli diceva che la sua impresa africana non aveva carattere commerciale in quanto non esercitava alcun commercio, mentre a Stanley aveva appena scritto “Desidero che acquistiate tutto l’avorio del Congo e che chiediate al colonnello Strauch quali merci inviarvi per il pagamento”   e di introdurre dazi e barriere doganali come si usava fare in tutti gli altri paesi.

Ma anche gli altri paesi incominciavano a curiosare nelle vicinanze dei suoi territori.

Il francese Pierre Savorgnon de Brazza, esploratore e ufficiale della marina francese, aveva firmato con un capo tribù la cessione  alla Francia di una striscia  della riva settentrionale del fiume e aveva lasciato un sergente al comando di un avamposto sul quale sventolava la bandiera francese; sulle rimostranze di Stanley, che sosteneva che la cessione era fondata sull’inganno, mentre de Brazza considerava Stanley un guerriero, nemico degli africani. 

La controversia finì sulla stampa, svegliando il Portogallo che avanzò le sue rivendicazioni sulle terre che circondavano la foce del Congo, appoggiato dall’Inghilterra.

Leopoldo si fece rilasciare da un giurista di Oxford, sir  Travers Twiss, un parere  in base al quale le società private quando concludevano trattati con i capi tribù, avevano diritti sovrani.

Stanley con le sue forze armate continuava ad alzare la bandiera con la stella d’oro su villaggi e territori  del bacino del Congo, che erano stati ceduti da  quattrocentocinquanta capi tribù, i quali in cambio avevano ricevuto oggetti di scarso valore o giacche da lacché o uniformi decorate, scampoli di stoffe, o qualche bottiglia di gin, come a suo tempo era stato fatto con gli indiani d’America, e ribadiva la sua intenzione di aprire l’Africa al libero commercio.

I contratti, firmati con il crocesegno prevedevano il diritto di riscuotere dazi su tutte le strade e i canali navigabili, nonché i diritti di caccia e pesca, estrazioni minerarie e sfruttamento forestale in favore della associazione; con gli scampoli di stoffe, Stanley oltre alle terre, si assicurava la manodopera.

Il territorio che Stanley si era assicurato, era vastissimo, quanto gli Stati Uniti a est del Mississippi, abitato da tribù pacifiche come i pigmei o da tribù che praticavano la schiavitù o il cannibalismo rituale e ingaggiavano guerre con altri clan o gruppi etnici; in alcune zone del Congo le donne venivano mutilate rendendole forzatamente prive del clitoride (pratica brutale tutt’ora seguita anche dagli islamici! ndr.) o praticavano una specie di controllo delle nascite, astenendosi dal sesso in alcune occasioni; ma vi era anche un pregevole artigianato (che aveva avuto la sua influenza su Braque, Matisse e Picasso).

Ritornato in Europa Stanley criticò la voracità - del re - necessaria a inghiottire un milione di chilometri quadrati per una gola troppo piccola per inghiottire persino un’aringa!    

E Leopoldo incominciava ad avviare le sue astute manovre al di fuori dell’Europa.

 

 

 

L’EUROPA

SI SVEGLIA

SULL’AFRICA

 

 

 

L

’Europa, nel 1884 apriva gli occhi sull’Africa: de Brazza aveva concluso un trattato che avrebbe condotto alla nascita di una colonia francese in prossimità dello Stanley Pool, sulla riva nord-occidentale del Congo.

Otto von Bismark voleva creare una colonia in Africa; i britannici, con la maggior presenza sul continente, incominciavano a preoccuparsi per la concorrenza.

Il re aveva iniziato ad avviare le sue astute manovre  al di fuori dell’Europa per il riconoscimento  diplomatico della sua colonia.  

Il generale Henry Shelton Sanford, era straricco e dalla sua casa in Belgio era partito per la Florida, dove aveva una azienda agricola di tutto rispetto, l’aranceto Belair, dove era stato ospitato il presidente Arthur mentre il generale era in viaggio per l’America per fare da tramite tra il re e il presidente Arthur.

Il presidente Chester A. Arthur era noto come uno dei più corrotti uomini d’affari di New York, ma come presidente era divenuto un modello di onestà e aveva inaugurato la ferrovia dall’Atlantico al Pacifico; amante del wisky, dei grossi sigari e degli abiti costosi, era ricordata la sua frase: “Sarò anche il presidente degli Stati Uniti, ma la mia vita privata non è affare di nessuno”.

Quando Stanford sbarcò a New York (20 N0v. 1883) gli giunse l’invito del presidente che lo ospitava a Washington e Sanford dopo avergli raccontato delle condizioni di schiavitù in cui erano ridotti i negri da parte dei mercanti arabi, su premesse artefatte dai burocrati di Bruxelles, chiedeva “di annunciare che gli USA\ trattavano come bandiera amica lo stendardo blu con la stella d’oro che sventolava su diciassette stazioni, numerosi territori e una popolazione di diversi milioni di persone”; mentre Sanford affermava che l’opera civilizzatrice di Leopoldo avrebbe contrastato le pratiche  dei terribili mercanti di schiavi arabi.  … E il presidente nel suo discorso, modificato al Congresso con quanto gli aveva scritto il generale sulla “prospera e popolosa valle del Kongo che stava per essere aperta da una società denominata Associazione Africana Internazionale … dove una bandiera garantiva la libertà del commercio e proibiva la tratta degli schiavi”! E il colonnello Maximilian Strauch, collaboratore di Leopoldo, telegrafò con entusiasmo a Sanford  Incantato da Emile”!

Il 29 Nov.1883 Sanford fu ricevuto alla Casa Bianca dove illustrava la grande opera civilizzatrice di Leopoldo, simile all’opera degli USA per la Liberia (dove gli schiavi  americani liberati avevano creato uno stato indipendente). Nella lettera il re prometteva che i cittadini americani avrebbero potuto acquistare liberamente terreni e le merci americane non sarebbero state soggette a dazi.

Passo successivo di Sanford fu quello di lavorare sul Congresso: Affittò non lontano dalla Casa Bianca una casa; fece venire dal Belgio la moglie e uno chef  e incominciò a invitare membri del gabinetto e senatori; le sue cene e i suoi vini furono molto apprezzati  e fu soprannominato il diplomatico gastronomico e si poteva definire un lobbista.

 

 

IL SENATORE  MORGAN

SOSTENITORE

DELL’ESODO

GENERALE DEI NERI

DAGLI USA

 

 

.

T

ra gli ospiti di Sanford, era capitato John Tyler Morgan, ex generale, senatore, e presidente del Comitato senatoriale per le relazioni con l’estero. Morgan, come gran parte dei politici bianchi degli Stati meridionali era sostenitore dell’esodo generale, terrorizzato all’idea che milioni di schiavi liberati e i loro discendenti cominciassero ad accarezzare sogni di uguaglianza, e mirava a mandar via i neri meridionali alle Hawai, a Cuba, nelle Filippine, isole, secondo lui, della loro provenienza, e l’Africa rimaneva la scelta migliore  nel bacino del Congo … il negro può trovare il luogo idoneo per le proprie iniziative”. Nel Sud degli USA, aleggiava comunque tra gli imprenditori bianchi l’idea “rimandateli a casa” e per il Congresso sarebbe stato un’ottima valvola di sfogo.

All’inizio del 1884 Morgan propose una risoluzione senatoriale a favore delle rivendicazioni di Leopoldo e mandò (da buon lobbista) la bozza a Sanford, che alle parole “terre drenate dal Congo” aggiunse “e suoi tributari e fiumi adiacenti” che voleva dire tutta l’Africa Centrale.

Ma il Congresso modificò la risoluzione e da parte del Senato fu pubblicato un rapporto sotto il nome di Morgan e scritto da Sanford in cui si faceva riferimento “al premuroso spirito di benevola intraprendenza in fav0re delle tribù congolesi … con l’elogio che non era stato mai compiuto uno sforzo più onesto e concreto per garantirne il benessere”.

Sanford, per non apparire di persona, convinse la Camera di Commercio di New York ad approvare una risoluzione che sancisse il riconoscimento  dell’Associazione di Leopoldo e a questo scopo cominciarono ad apparire articoli sui principali quotidiani  americani, le rivendicazioni di Ledopoldo II sul Congo (appoggiati da bustarelle distribuite da Sanford) e sulla attività filantropica di Leopoldo.

I frutti giunsero nell’aprile del 1884, quando il Segretario di Stato dichiarò che gli USA riconoscevano le rivendicazioni di Leopoldo II sul Congo. Durante la sua attività hobbistica, Sanford aveva fatto riferimento ora alla Associazione internazionale per il Congo, ora alla Associazione africana internazionale, oramai scomparse, che in ogni caso avevano lasciato il ricordo di una società filantropica di cui facevano parte famosi esploratori, principi e granduchi, con una confusione tra le due associazioni, e da parte del Segretario di Stato Frelinghuysen che assicurava il sostegno degli USA agli scopi umanitari dell’Associazione internazionale del Congo … con l’ordine agli ufficiali statunitensi di mare e di terra di riconoscere la bandiera dell’Associazione  africana internazionale come bandiera di governo amico.

Questa dichiarazione scomparve dai documenti ufficiali negli archivi dei burocrati e successivamente fu alterata e riportata nel libro di Stanley. La modifica riguardava l’Associazione internazionale del Congo interamente posseduta da Leopoldo e probabilmente fatta dallo stesso Leopoldo .

Leopoldo, avuto il riconoscimento degli USA , si rivolse con le stesse manovre alla Francia dove gli faceva da tramite il mercante d’arte Arthur Stevens che trattò direttamente con il ministro Jules Ferry mentre Leopoldo versava una cospicua somma mensile a un giornalista di Le Temps, per una serie di articoli in favore delle sue attività congolesi.

I francesi non si sentivano minacciati dal minuscolo Belgio; la loro unica preoccupazione era che Leopoldo finito il denaro per  la dispendiosa costruzione della ferrovia, vendesse all’Inghilterra l’intero territorio.

E furono subito serviti!

Leopoldo, negli accordi conclusi concedeva loro “le droit de préférence” , una specie di diritto di prelazione per cui in caso di vendita i francesi erano privilegiati nell’acquisto; i francesi, sicuri che la ferrovia avrebbe portato Leopoldo sul lastrico, ritennero di aver fatto un buon affare.

Gli americani, affascinati da Sanford - n0n si eran0 preoccupati di indicare i confini del territorio che avevano riconosciuto -  la Francia invece era disposta a segnarli sulla carta geografica, includendo gran parte del bacino  del Congo.

Leopoldo, mentre con il presidente Arthur aveva usato il termine di Stati Indipendenti (1884), nelle sue dichiarazioni usava il singolare, Stato, mentre per la Associazione diceva che si trattava di organismo temporaneo.

Grazie a questo gioco l’entità che otteneva il riconoscimento degli Stati si andava trasformando da “federazione di Stati sotto la benevola protezione di una società filantropica, in colonia, governata da un solo uomo”.

Il passaggio successivo da affrontare era l’osso duro di Bismark, Cancelliere della Germania.

 

 

LE GRANDI MANOVRE

DI LEOPOLDO PER LA

CONQ1UISTA DELLO

STATO DEL CONGO

 

 

B

ismark era di ben altra tempra e con lui non si potevano usare giochi di prestigio, giocando con lo spirito filantropico; Leopoldo, per avidità, commise l’errore di scrivergli, rivendicando oltre al bacino del Congo, non meglio precisate aree abbandonate dell’Egitto, dove la tratta continuava a prosperare; Bismark scribacchiò una annotazione,”imbroglione” e disse a un suo collaboratore: “Sua maestà dimostra di avere le pretese e l’ingenuo egoismo di un italiano, convinto che il suo fascino e il suo bell’aspetto gli consentano di farla sempre più franca”. Ma alla fine vinse l’astuzia di Leopoldo il quale raggirò Bismark servendosi dell’intermediario Gerson Bleichröder, banchiere del sovrano e finanziatore tra l’altro del traforo del San Gottardo, del quale comprò favori a Leopoldo, trasferendo un contributo reale di quarantacinquemila franchi, destinati alla Società africana di Berlino.

Durante l’estate del 1884, Stanley era ospite di Leopoldo nello chalet reale di Ostenda, da quando giunse la richiesta di Bismark di disegnare sulla cartina i confini del Congo. Si era infatti convinto che sarebbe stato meglio assegnare il Congo al piccolo e debole Belgio, assicurandosi uno sbocco per i commercianti tedeschi, anziché finire nelle mani del Portogallo  o della Francia protezionista, o della potente Inghilterra; accettò di riconoscere il nuovo Stato, in cambio di garanzie della libertà di commercio (Bismark non conosceva le clausole dei trattati stipulati da Leopoldo con i capi in base alle quali Leopoldo aveva riservato tutto per sé). In quegli anni si era diffusa la febbre delle colonie ed era stato Stanley a suscitarla con i suoi articoli, libri e avventure.

Bismark intervenne offrendo di ospitare una conferenza dei Governi a Berlino per discutere le questioni riguardanti le colonie: una vera opportunità per Leopoldo. Essa ebbe luogo il 15 Novembre 1884; l’unico assente era Leopoldo in quanto la sua associazione internazionale non era “governo” ma tramite Bleichröder, che offrì una cena ai delegati, e per i contatti che egli aveva con tre delle delegazioni ne venne ben informato; non solo, ma erano ospiti anche Stanley, e Sanford era uno dei due delegati americani. Leopoldo seguiva quindi ogni mossa da Bruxelles. Bismark era interessato in quanto stava anch’egli gettando le basi per un impero africano per la Germania.

La Conferenza non procedette alla spartizione dell’Africa, ma conciliò contrastanti rivendicazioni tra Belgio, Francia e Portogallo, e, per quanto interessava Leopoldo, ne uscirono accordi bilaterali che riconoscevano le colonie e ne stabilivano i confini .

Stanley, davanti a una cartina dell’Africa, descriveva ai partecipanti le caratteristiche del bacino del Congo e territori limitrofi che sarebbero dovuti passare sotto un unico regime, garante della massima libertà di comunicazione.

Leopoldo fece ricorso al suo spirito ingannatore facendo intendere che se non avesse ottenuto le terre che ambiva, si sarebbe ritirato dall’Africa; ciò avrebbe fatto scattare il diritto di prelazione della Francia e il bluff  andò a segno perché l’Inghilterra cedette.

Gli europei pensavano che le ricchezze che riservava l’Africa si concentrassero sulle coste, per cui non vi furono problemi sulla concessione di vasti spazi all’interno; per di più, i paesi che avevano dato la loro approvazione ritenevano di dare l’approvazione a una sorta di colonia internazionale, seppur sotto gli auspici del re dei belgi, ma aperta a tutti i commercianti dell’Europa.

Ne era scaturito l’assenso alla libertà di navigazione e all’armonizzazione delle differenze dei missionari.

Il principale accordo scaturito dalla Conferenza prevedeva che l’enorme porzione di Africa centrale, compreso il territorio di Leopoldo, diventasse zona di libero commercio.

La Conferenza ebbe termine nel febbraio 1885 con il maggior beneficio per Leopoldo che non aveva partecipato: alla pronuncia del suo nome, tutti i delegati si alzarono e applaudirono. Bismark nel suo discorso di chiusura, disse che: Il nuovo Stato del Congo è destinato a essere uno dei principali esecutori dell’opera  che intendiamo svolgere ed esprimo i miei migliori auguri per il suo rapido sviluppo e per la realizzazione delle nobili aspirazioni del suo illustre creatore”.

Due mesi dopo, la nave Lancaster degli Stati Uniti, alla foce del Congo, sparò una salva di ventun colpi di cannone in onore della bandiera blu con la stella d’oro.

Solo dopo la Conferenza i belgi incominciarono a rendersi conto che la colonia aveva una estensione superiore all’Inghilterra, Spagna, Francia, Germania e Italia messe assieme e in un primo momento Leopoldo aveva pensato al titolo di imperatore del Congo, ma poi si limitò a definirsi proprietario del Congo, che non condivideva con i ministri del governo belga, il  potere sovrano del Congo.

Dal suo canto Leopoldo decise di far dimenticare l’esistenza di una Associazione filantropica e sebbene l’istituzione fosse riconosciuta dalla Conferenza di Berlino, l’Associazione africana internazionale e nel caso del Dipartimento di Stato americano, anche l’Asociazione internazionale del Congo Leopoldo volle far dimenticare l’esistenza di una società filantropica, e con decreto reale con il primo atto ufficiale del Congo (29 Maggio 1885) Leopoldo battezzò la sua colonia col nome di Etat indépendent du Congo, l’unica cosa invariata fu la bandiera con la stella d’oro in campo blu,  seguita anche dall’inno nazionale .

Leopoldo a cinquant’anni realizzava il suo grande sogno della colonia!  

 

 

 

LA CONQUISTA

DEL CONGO

TRA FILANTROPIA

E ATROCITA’

 

 

 

L

eopoldo riuscì a governare il Congo con qualche migliaio di bianchi al suo servizio che dominavano circa venti milioni di neri, con le loro atrocità favorite dalle nuove tecnologie militari, con i fucili a retrocarica rispetto a quelli ad avancarica, seguiti da quelli a ripetizione ai quali, dopo poco, si aggiunse la mitragliatrice.

Ma lo strumento che permise agli europei di occupare tutta l’Africa tropicale nei vent’anni successivi alla Conferenza di Berlino, (1885). fu il chinino che combatteva la malaria di cui non si conoscevano le cause e si cominciarono a curare anche la febbre gialla e altre malattie tropicali che mietevano vittime tra bambini e neri.

Un mezzo che si rivelò importante fu il battello a vapore – kutu-kutu – mosso dalla ruota montata a poppa o laterale, lungo e stretto e con poco pescaggio.

Per di più Leopoldo si dispose a costruire le infrastrutture per il miglior sfruttamento della colonia, dove (1889) lavoravano quattrocentocinquanta tra commercianti, missionari, soldati e amministratori.

Nel 1887 si cominciò a tracciare il percorso della ferrovia per 350 km., tra caldo, rapide, zanzare e febbre, terreno roccioso e grandi burroni che richiesero tre anni di lavori prima della posa dei binari.

Leopoldo cercò finanziamenti tra i finanziatori, che cominciarono a stringere i cordoni come i Rotschild .

Ma il denaro raccolto non era sufficiente  e Leopoldo pensò che l’unica fonte di un generoso finanziamento non potesse essere che il Parlamento belga, ma non fece subito il passo: pensò prima di consolidare la sua reputazione di filantropo e promotore di iniziative umanitarie.  

I mercanti di schiavi si erano insediati a Zanzibar sulla costa orientale  dell’Africa, diffondendo il terrore nell’Africa centrale e orientale; essi catturavano gli schiavi e li vendevano sulla costa nord-orientale dell’Oceano Indiano del Golfo Persico .

Questi mercanti erano per lo più musulmani e per questo suscitavano lo sdegno

degli europei, che però si intrecciava con la sete crescente di colonie africane e ciò gli consentiva di considerare virtuose queste intenzioni.

Leopoldo, per la protezione offerta ai missionari con le sue denunce della tratta degli schiavi, non solo ricevette elogi, ma fu nominato presidente onorario della Società degli Aborigeni, organizzazione inglese per la difesa dei diritti umani (come dire Dracula (v. in Schegge, Vampiri ecc.) presidente della Croce Rossa! ndr.) 

Per di più Bruxelles fu scelta come sede della Conferenza antischiavista delle grandi potenze inaugurata nel 1889: nella sala del Ministero degli Esteri, dove il re antischiavista riceveva gli ospiti, era esposto un giogo  a forcella per schiavi: è un lavoro impegnativo aveva commentato il rappresentante britannico …lavoro che si svolgeva tra cene, balli e ricevimenti; alla conferenza era stata invitata la Turchia che per legge prevedeva la schiavitù, il cui rappresentante scoppiò in una risata quando gli oratori definirono l’harem islamico un incoraggiamento  alla tratta degli schiavi.

Leopoldo esultava per i suoi progetti che corrispondevano a quelli per la lotta ai mercanti di schiavi, che richiedevano la struttura dei trasporti che egli progettava di costruire, per cui parlò di strade, battelli,  ferrovie, posti fortificati che avrebbero messo in condizione le colonie di soldati a inseguire i mercanti  di schiavi. Chiese solo l’autorizzazione della Conferenza a riscuotere i dazi di importazione per finanziare la lotta contro la schiavitù. E la conferenza lo autorizzò, così modificando il divieto sancito a Berlino del libero commercio.

Con questa richiesta Henry Shelton Sanford, come rappresentante antischiavista, ne rimase allibito in quanto sei anni prima aveva ottenuto il riconoscimento degli USA per il Congo di Leopoldo, firmando un accordo  che garantiva il libero commercio  e ora, all’improvviso, il re imponeva i dazi doganali. La sua ammirazione per Leopoldo veniva ora a cadere in quanto Sanford si sentiva tradito. Ma, tormentato dalla gotta e dall’insonnia, morì l’anno seguente, senza aver potuto prendere alcuna iniziativa.

Mentre la Conferenza era ancora in corso, Leopoldo invitò Stanley (usato come una moderna star), a trascorrere una settimana in Belgio e lo accolse con tutti gli onori, ospitandolo nel palazzo reale, negli appartamenti riservati agli ospiti reali e dopo avergli conferito la Gran Croce del Congo, organizzò un banchetto e uno sfarzoso spettacolo d’opera.

Stanley, grato, elogiò la grandezza del sovrano per la saggezza e benevolenza con cui guidava il suo popolo, con la sollecitudine di un pastore.

A Laeken Leopoldo diede una festa in giardino per duemilacinquecento membri dell’ élite belga, sbalordendo gli ospiti con le nuove serre, con un assortimento di piante e alberi esotici che rappresentavano la più ricca collezione del mondo. Quando la Borsa di Bruxelles, i cui membri si erano mostrati restiia concedere fondi, Leopoldo organizzò un ricevimento, decorando il salone delle contrattazioni con lance africane, composizioni floreali da cui spuntavano quattrocento zanne di elefanti.

Le mire di Leopoldo erano quelle di ottenere il prestito dal Parlamento, che se lo avesse concesso, promise che nel suo testamento avrebbe lasciato il Congo al Belgio.

Il Parlamento, al munifico monarca,  famoso per la sua crociata contro lo schiavismo, elogiato dal celebre esploratore Stanley, amato dai suoi fedeli sudditi, concesse al re venticinque milioni di franchi (pari a 125 milioni di dollari del 1998), per finanziare la sua opera filantropica.

Per il re che aveva bisogno di soldati, topografi, amministratori, ingegneri minerari, costruttori ferroviari e capitani di vascello, Stanley non era più di alcuna utilità, ma riceveva lo stipendio e guadagnava molto con i suoi libri.

Nel frattempo aveva avuto disavventure familiari  (era stato lasciato dalla moglie Alice Pike) e il re cominciava a sognare la valle del Nilo: Che sarebbe stata l’occasione per rimettere Stanley a lavoro.

Il Sudan la cui parte meridionale confinava con il Congo dove scorrevano gli affluenti del Nilo era sotto il governo anglo-egiziano.

Verso la metà del 1800 i mahdisti, membri di un movimento fondamentalista, si erano ribellati e avevano ucciso il governatore generale britannico e respinto  le forze mandate a contrastarle. I ribelli si spinsero nella provincia meridionale dove si trovava il governatore Emin Pascià che chiese aiuto all’Europa (1886); la Gran Bretagna non intervenne in quanto impegnata con le sue truppe coloniali ad affrontare ribellioni altrove.

I mahdisti, oltre a suscitare il fervore islamico, avevano offeso la regina Vittoria  con la richiesta di recarsi nel Sudan e sottomettersi al loro governo, convertendosi all’Islam.

Emin Pascià era un bianco di origine ebraica e nazionalità tedesca, il suo nome era Eduard Schnitzer, raccoglieva campioni di piante, animali, uccelli imbalsamati, che mandava al British Museum; oltre a governare, guarire i malati  e resistere agli insorti, era un ottimo linguista.

Dall’Inghilterra inviarono alimenti e l’inventore Hiram Maxim inviò l’ultimo suo modello di mitragliatrice Maxim.

Idoneo per comandare una spedizione, Stanley tra l’altro era entusiasta della mitragliatrice che aveva collaudato e aveva deciso di recarsi da Emin, per accertarsi che sparasse effettivamente seicento proiettili al minuto, di grande aiuto, aveva commentato Stanley,  a soffocare la barbarie .

Stanley chiese al re di scioglierlo dal contratto che lo legava a lui; Leopoldo rispose che accettava a due condizioni. La prima, anziché seguire la via più breve dalla costa africana orientale e quindi superare gli altipiani tedeschi e britannici, doveva passare per il suo Congo che comprendeva l’altro versante della foresta pluviale inesplorata dell’Ituri.

La seconda, al limite della decenza, chiedere a Emin di continuare a essere governatore della provincia che però doveva diventare provincia dello Stato del Congo. 

A Stanley giunsero finanziatori da ogni pare, dalla Reale società geografica, dai commercianti britannici interessati alla riserva di avorio di Emin, valutata sessanta milioni di sterline e dai finanziatori della stampa, certi che una nuova spedizione di Stanley avrebbe fatto lievitare la tiratura dei giornali.

Stanley partì all’inizio del 1887 e con sorpresa di tutti il vessillo era quello dello Yact Club di New York; Stanley pubblicherà, tra i suoi numerosi libri, quello sulla spedizione di soccorso per Emin, di mille pagine in due volumi, divenuto best-seller.   

Stanley aveva commesso l’errore di dividere la spedizione di ottocento persone, in due colonne di quattrocento, per poter raggiungere più presto Emin Pascià, ma aveva affidato la colonna al maggiore Edmund Barttelot, ufficiale responsabile della colonna di retroguardia il quale era uscito di senno, gettando nel fiume i bagagli dell’esploratore, obbligando un altro ufficiale a camminare per tre mesi affrontando un viaggio di andata e ritorno di quasi cinquemila chilometri, per raggiungere una stazione telegrafica più vicina e inviare un assurdo telegramma in Inghilterra. Decise poi che qualcuno voleva avvelenarlo e cominciò a vedere traditori ovunque; commetteva stranezze come punzecchiare i portatori neri con il suo bastone con la punta di acciaio; facendo mettere le catene a una decina di persone e picchiando una donna; un africano lo uccise sparandogli una fucilata, prima che potesse fare di peggio.

Stanley in testa alla colonna arrancava nella giungla e infliggeva punizioni, condannando un disertore alla impiccagione, infliggendo varie dosi di frustate che in alcuni casi somministrava egli stesso; l’inefficienza del sistema di approvvigionamento comportò che per gran parte del tempo i portatori e i soldati fossero sul punto di morire di fame.

Quando vi era il rischio di essere attaccati Stanley ordinava di bruciare tutti i villaggi circostanti. Più della metà dei suoi 389 uomini, morì mentre si faceva strada col machete. Quelli che disertavano si smarrivano nella giungla, annegavano o morivano di tetano, dissenteria, o ulcere cancrenose.

Altri furono uccisi dalle frecce avvelenate e dalle trappole degli abitanti della foresta, terrorizzati da quegli stranieri armati e mezzi morti di fame che avevano invaso il loro territorio.

Quando giunsero da Emin, furono da lui sfamati, ma rifiutò di unire la sua provincia al Congo..

Stanley aveva paura di tornare senza il Pascià e riuscì a convincerlo di seguirlo in Europa e insieme raggiunsero il mare della costa orientale (attuale Tanzania).

Una batteria tedesca sparò una salva in loro onore e gli fu offerto un banchetto con champagne; Emin era miope e attraversando una finestra del secondo piano che pensava si aprisse sulla veranda, cadde in strada e perse i sensi e dovette rimanere in ospedale per due mesi. Stanley non potette portarlo in Europa e una volta guarito Emin scelse di stare con i tedeschi.

Al ritorno di Staney in Inghilterra (1890) sorsero polemiche per la morte degli uomini e atrocità commesse. Ma le atrocità erano poca cosa rispetto alla carneficina che si stava per verificare nell’Africa centrale.

 

 

 

L’ENTUSIASMO INIZIALE

 E LA SUCCESSIVA DELUSIONE

 DI GEORGE WASHINTON WILLIAMS

 

 

 

I

n una stazione della rete fluviale del Congo, stazione delle Cascate Stanley, con la bandiera blu e stella d’oro, era giunto dagli Stati Uniti come ospite George Washington Williams, che vestito in maniera formale, come usavano fare  molti nel Congo, con camicia con colletto inamidato e farfalla, si accingeva a scrivere una lettera aperta a Leopoldo, che costituiva una pietra miliare dei diritti umani.

Williams era nero e fu uno dei primi dissidenti che si recarono nel Congo quando Leopoldo cominciò a sfruttare il paese ed era partito nella speranza di trovare qualcosa che potesse somigliare al paradiso.

Nato in Pennsylvania nel 1849, aveva avuto una istruzione limitata e nel 1864 si era arruolato (semianalfabeta, minorenne e sotto falso nome), nell’esercito dell’Unione e successivamente nell’esercito del Messico che lottava per rovesciare l’imperatore Mssimiliano. Dopo aver lasciato l’esercito aveva ripreso gli studi presso l’Università di Howard (che faceva di tutto per farla passare come Università di Harvard).

Quando si era laureato alla Università di Newton (1874) il suo discorso si imperniava sul tema che sedici anni dopo lo avrebbe portato in Congo: “Da quasi tre secoli l’Africa viene derubata dei suoi figli neri” …  scrisse poi  un libro in due volumi, (1882-1883), intitolato “Storia della razza negra in America dal 1619  al 1880. I negri come schiavi, soldati e cittadini, insieme con una considerazione preliminare sull’unità della famiglia umana, uno schizzo storico dell’Africa e un resoconto sui governi negri in Sierra Leone e in Liberia”.

L’opera ripercorreva  il periodo storico che andava dai primi regni africani, alla guerra civile e alla ricostruzione. Wiliams era stato uno dei primi storici americani a utilizzare fonti non tradizionali. Egli non solo si era recato in molte biblioteche e aveva scritto a un giornale nero nazionale, chiedendo ai lettori di inviargli i verbali di qualsiasi organizzazione ecclesiastica di colore e altri documenti simili; faceva conferenze e aveva avuto l’incarico di scrivere una serie di corrispondenze dall’Europa per una agenzia di stampa.

Nel 1889 si era recato a Bruxelles alla conferenza antischiavista e aveva intervistato Leopoldo chiedendogli cosa si aspettasse in cambio di tutto il denaro investito nello sviluppo del Congo, il re ipocritamente rispose: “Compio la mia opera di cristiano nei confronti dei poveri africani e non desidero vedermi restituito nemmeno un franco di tutti i soldi che ho sborsato”.

Williams come tanti altri, era rimasto abbagliato “da uno dei più nobili sovrani del mondo; un imperatore la cui maggiore ambizione consiste nel servire la causa della civiltà cristiana e nel promuovere i migliori interessi dei suoi sudditi, governando con pietà, saggezza, e giustizia”.

Il pubblico si era dimostrato scettico ed egli aveva deciso di recarsi nel Congo; aveva circumnavigato l’Africa, raggiungendo le Cascate Stanley e dopo essersi rese conto di quale fosse la cruda realtà, scriveva a Leopoldo una “Lettera aperta”  con la quale faceva osservare due punti fondamentali.

Il primo riguardava quanto aveva visto della colonia e il modo in cui si era sentito avvilito, dopo aver scritto tutti quegli elogi sul paese, sullo Stato, sul sovrano del Congo, aggiungendo: “Ho vagliato ogni accusa che intendo sollevare contro il governo personale di V.M. in Congo, ho preparato una lista di lettere, dati, registri e testimoni”. Oltre alla lettera, Williams aveva preparato un rapporto  sullo stato e sul paese del Congo in cui ribadiva le accuse delle quali gli USA avevano delle responsabilità per aver introdotto questo  governo africano nella comunità degli Stati.

Williams faceva rilevare che alle Cascate di Stanley, dove si trovava, gli erano stati offerti schiavi in pieno giorno e di notte aveva visto canoe piene di schiavi legati gli uni agli altri con catene. Chiedeva che quel governo oppressivo e crudele fosse sostituito da uno internazionale, giusto e non spietato: e, per la prima volta usava il termine  crimini contro l’umanità” che sarà usato durante i processi di Norimberga.

La lettera aperta conteneva pesanti accuse contro Leopoldo che si appropriava con tutti i mezzi, anche con stratagemmi, come quello dell’ufficiale che accendeva un sigaro con la lente d’ingrandimento, facendo credere che i bianchi avrebbero incendiato il villaggio, per appropriarsi dei loro terreni.

La creazione delle basi militari lungo il fiume, avevano scatenato un’ondata di morte e distruzione perché i soldati africani dovevano trovarsi per conto proprio i mezzi per sfamarsi. Il Governo di Vostra Maestà - proseguiva Williams - è troppo crudele verso i prigionieri, condannandoli a entrare nelle squadre di forzati incatenati, anche per crimini lievi.

Non vi erano scuole e ospedali a eccezione di qualche rimessa non adatta ad essere occupata da un cavallo. I mercanti e funzionari bianchi rapivano le donne africane e le usavano come concubine. Gli ufficiali bianchi, sparavano sui villaggi, a volte per catturare donne, a volte per costringere i sopravissuti a lavorare come schiavi.

Anche se Leopoldo giocava la parte del crociato antischiavista, Williams ribadiva: “il Governo di Vostra Maestà è impegnato nella tratta degli schiavi, all’ingrosso e al dettaglio, compra e vende schiavi. Il Governo di Vostra Maestà, concludeva Williams, paga tre sterline a testa per gli schiavi abili per il servizio militare. … Nelle stazioni del Governo di Vostra Maestà situate nell’alto corso del fiume, la manodopera è composta di schiavi di tutte le età, di entrambi i sessi”.

La lettera aperta cadeva nel vuoto, perché con la corruzione seminata da Leopoldo la stampa era a lui favorevole e il New York Herald che aveva mandato Stanley in Africa, definiva la lettera un deliberato tentativo di ricatto e Collis P. Huntington, benefattore di Williams lo accusò di essere stato ingiusto verso il re “cui stava a cuore il benessere degli indigeni di quel paese”.

Leopoldo in preda alla rabbia passò al contrattacco e Williams fu attaccato nella persona dal Journal de Bruxelles, dal Mouvenment Geographique e dal Parlamento belga (1881) che prese le difese del re.

Williams era ancora in viaggio in Africa e in Egitto e si ammalò di tbc, e nel mese di agosto (1891) si spense a quarantadue anni e Le Mouvement Geographique, ne annunciò con soddisfazione la morte.

Su quasi mille europei che nel 1890 avevano visitato il Congo, solo Williams ne aveva parlato in maniera approfondita di ciò che gli altri negavano.

Solo negli anni successivi le sue parole si riveleranno profetiche e solo dieci anni dopo il Movimento internazionale di protesta per il Congo avrebbe confermato le principali accuse di Williams … ma era troppo tardi e nessuno dava più peso al dramma che oramai si era compiuto!

Mentre Leopldo in Belgio non aveva nulla da fare, il suo tempo pieno lo impiegava per esercitare il suo potere assoluto per il suo Congo.

La burocrazia del paese, dal livello più basso, era affidata ai bianchi, responsabili dei distretti, ben trattati e curati in quanto per essi era prevista una bottiglia di vino rosso al giorno, un’abbondante scorta di marmellata inglese, burro danese, carne in scatola, zuppe, condimenti, foié gras  e altri tipi di paté prodotti dalla Fisher di Strasburgo. Ai funzionari venivano conferite, in base agli ordini istituiti, medaglie di ogni genere.

L’Ordine della Stella africana, prevedeva sei classi che andavano dal grado più basso, medaillés, al commendeur e quindi alla grand croix e l’Ordine reale del Leone, istituito per riconoscere i meriti e ringraziare per i servigi resi, anch’esso diviso in classi.

Ai capi africani che collaboravano col regime erano conferite medaglie di bronzo, argento e placcate d’oro, con l’immagine di Leopoldo su un lato e sull’altro lo stemma del Congo e le parole “lealtà e devozione”.

I funzionari di norma bianchi, erano celibi e prendevano per lo più concubine nere; alcuni portavano mogli europee, altri residenti si affidavano ad agenzie che procuravano mogli per corrispondenza.

Il re del Belgio amava i decreti; il primo motu proprio importante, emanato nel 1885, non dovendo dar conto a nessuno, proclamava la nascita dello Stato del Congo, dichiarando che tutte le terre vuote, come lo erano quelle del Congo (che comunque appartenevano a quegli abitanti!) erano di proprietà dello Stato (ma il re si appropriò anche delle terre occupate!), così come si era appropriato delle zanne e delle coltivazioni dei villaggi di cui si appropriavano i suoi soldati.

Con altri decreti, provvide ad accorpare delle aree in blocchi grandi, affittandole a società private di concessione, con azionisti che ne detenevano il capitale, la metà del quale era riservata allo Stato (che coincideva con lui!); grazie alle imposte e tasse che queste società pagavano, oltre la metà del capitale era nelle sue mani … mentre continuava a sostenere che la realizzazione dei profitti era l’ultima delle sue preoccupazioni e di fronte alle accuse, che considerava calunnie, rispondeva al primo ministro: Se lo Stato del Congo, raccoglie in alcune sue terre avorio, lo fa soltanto per ridurre il proprio deficit. 

All’inizio del 1890 i funzionari statali, con i loro ausiliari africani, rastrellavano tutto l’avorio disponibile, compiendo incursioni, sparando agli elefanti, comperando le zanne con somme irrisorie o confiscandole.

Gli abitanti che cacciavano da secoli gli elefanti per il loro sostentamento, non potevano cedere le zanne se non agli agenti di Leopoldo. Nello stesso anno (1890)  fu introdotto dal re il sistema (geniale!) in base al quale i suoi agenti locali ottenevano una parte del valore di mercato dell’avorio, secondo una scala decrescente: per ogni chilo di avorio acquistato in Africa a otto franchi, l’agente riceveva il sei per cento del prezzo europeo che era superiore, ma la commissione saliva fino al 10% per l’avorio comprato a quattro franchi al chilo. Gli agenti avevano così un forte incentivo per costringere gli africani (se necessario con l’uso delle armi) ad accettare prezzi bassissimi.

Quasi nessuno di quei franchi belgi raggiungeva i cacciatori di elefanti congolesi; questi ricevevano solo piccole quantità di tessuto, perline e cose simili oppure le barrette di ottone che lo Stato designò come principale divisa del territorio.

 

IL SISTEMA

SCHIAVISTA

 

 

I

l sistema schiavisa adottato in Congo dal re dei Belgi (lo adottarono anche  gli altri paesi colonialisti), era fondato sulla forza lavoro che si reggeva sulle colonie di uomini per il trasporto di qualsiasi genere di oggetti che non si potevano trasportare per via fluviale e da trasportare via terra, per il quale venivano utilizzati indiscriminatamente anche donne e bambini dai sette ai nove anni, che trasportavano un carico di dieci chili; erano decine di migliaia di portatori retribuiti appena con il cibo necessario a tenerli in piedi; nella maggior parte si trattava di coscritti .

Un funzionario (Leopold Courouble), nelle sue memorie, descriveva “una fila di poveri diavoli incatenati per il collo trasportava i miei tronchi e le mie casse verso la banchina … erano a centinaia, tremanti, impauriti di fronte al supervisore che continuavaad andare avanti e indietro, facendo roteare la frusta. Per ogni  uomo robusto e dalle spalle larghe, quanti scheletri avvizziti come mummie, la pelle rovinata segnata da profonde cicatrici, coperta da ferite suppuranti”.

Il lavoro più faticoso era costituito dal trasporto dei battelli che venivano smontati a pezzi e potevano essere trasportati da tremila portatori.

Edmond Picard, senatore belga (1896), descriveva la carovana di portatori che aveva visto sulla strada: “Incontravamo senza sosta questi portatori … neri, infelici, coperti di lurido perizoma, le teste ricciute e nude che reggevano il carico … una cassa, una balla, una zanna d’avorio, un barile; molti di loro erano malaticci, curvi sotto un fardello reso ancor più pesante dalla stanchezza e dall’alimentazione insufficiente: una manciata di riso e un po’ di pesce essiccato puzzolente; pietose cariatidi su sue gambe, bestie da soma con esili gambe da scimmia, lineamenti tirati, occhi strabuzzati dalla spossatezza. Vanno e vengono così, a migliaia,  . Requisiti dallo Stato con la sua potente milizia, ceduti dai capi che li vendono come schiavi  sudati e impolverati  …muoiono lungo la strada o, una volta finito il viaggio, tornano a morire di spossatezza nei loro villaggi”.  

Il numero di vittime era elevato. Dei trecento coscritti (1891) dal commissario Paul Lamarinel, dopo una marcia forzata di novecento novanta km., non si salvò nessuno!

Stanislas Lefranc, pubblico ministero belga,che si era recato in Congo per lavorare come magistrato, era a Leopoldville e aveva sentito urla di bambini. Scoperta la fonte delle urla, ne vide una trentina, alcuni dai sette, otto anni allineati in attesa del loro turno, che guardavano i compagni che venivano frustati.

La ragione era che alcuni bambini avevano riso in presenza di un bianco il quale aveva ordinato che tutti i piccoli servitori della città ricevessero cinquanta frustate; ciascun bambino riceveva venticinque frustate a sera, le altre venticinque alle sei del mattino; Lefranc riuscì a interrompere la punizione ma ricevette l’ordine di non sollevare più proteste che potessero interferire sulla disciplina.

 

LA CHICOTTE

 

La frusta utilizzata per le frustate era denominata chicotte, fatta con pelle di ippopotamo essiccata e tagliata in modo da fornire una lunga striscia a spirale dalla punta aguzza. Di solito veniva usata sulle natiche, ma le frustate andavano a finire dappertutto e lasciavano cicatrici permanenti: con venticinque frustate  si perdevano i sensi, ma normalmente ne venivano inferte cento, distribuite cinquanta al mattino e cinquanta alla sera ed era difficile con cento frustate sopravvivere: “le vittime venivano messe a faccia in giù, trattenute da due o quattro dei loro compagni, ogni volta che il torturatore  sollevava la chichotte, una striscia rossastra compariva sulla pelle della vittima che si contorceva, seppur trattenuta, lanciando terribili grida che si trasformavano in gemiti.

L’ulteriore tocco di malvagità degli ufficiali era che pretendevano dal malcapitato, alla fine, un elegante saluto militare.

Naturalmente, Lefranc, che fuoriusciva dai canoni omertosi della burocrazia, veniva additato come piantagrane che dimostrava solo imprudente ignoranza delle cose che avrebbe dovuto conoscere per via del suo lavoro.

Agente mediocre” lo aveva valutato il governatore in una valutazione del personale.

L’accettazione da parte dei bianchi della chicotte fu pari a quella dei militari nei campi di concentramento nazisti. In questo clima di terrore voluto dal governo centrale, considerato normale, era determinato dal senso di superiorità che il bianco avvertiva nei confronti dei neri, considerati esseri inferiori, pigri, incivili, poco più che animali e per questo li facevano lavorare come animali utilizzandoli come bestie da soma.

In questo clima, chi rispettava il sistema, riceveva promozioni e medaglie; l’aspetto raccapricciante era che gli africani ricevevano le frustate con la chiccotte da altri neri che avevano formato una classe di capisquadra “capita” (corrispondenti ai kapo dei campi di concentramento nazisti), e provvedevano a infliggere le punizioni.

D’altronde, terrorizzare le persone fa parte della conquista, proprio come obbligare qualcun altro a essere lo strumento del terrore.

 Georges Bricusse, responsabile di una stazione, descrive una impiccagione  (1885), l’uomo era colpevole di aver rubato un fucile: “Preparano la forca. Legano il capestro che è troppo alto. Sollevano il negro e gli mettono  la testa nel cappio. La corda si attorciglia per qualche istante, poi si ode un crac e l’uomo si contorce al suolo. Un colpo alla nuca e il gioco è fatto. Questa volta non mi ha fatto impressione! E pensare che la prima volta che ho visto frustare qualcuno con la chicotte, sono sbiancato per la paura. In fondo l’Africa ha una sua utilità. Ora potrei camminare nel fuoco come se andassi a nozze”

 

 

L’ORGANIZZAZIONE

 MILITARE

SCHIAVISTA

 

 

L

eopoldo amava l’organizzazione militare alla quale era impostato il sistema di controllo del Congo. Dal momento che in Belgio era contrastato in Parlamento che non condivideva la sua passione per la costruzione dei forti, l’aumento degli investimenti per l’esercito e l’istituzione della leva obbligatoria,    egli era ben felice di comandare in proprio esercito in Africa.

Leopoldo si serviva di mercenari africani da quando aveva mandato Stanley  per far valere le proprie rivendicazioni (1879-1884); aveva organizzato formalmente la Force Unique  (1888) che costituiva l’esercito del Congo.

Dopo dieci anni (1898) esso era formato da diciannovemila tra ufficiali e soldati; alla fine degli anni novanta erodeva la metà del bilancio statale: esso formava un insieme di assembramento di truppe per contro-guerriglia, esercito d’occupazione e forza di polizia per il lavoro nelle aziende; era suddiviso in piccole guarnigioni: di solito alcune decine di soldati neri sotto il comando di ufficiali bianchi sulla riva del fiume; i rari posti militari sorti all’inizio erano saliti a centottantatre  nel 1900, a trecentotredici nel 1908. 

 La Force Piblique aveva da fare in quanto molti sudditi appartenevano a popoli guerrieri che dovevano essere sottomessi con la forza. Inutile dire che vi erano continue ribellioni che comunque venivano domate nel sangue, e rimanevano fatti isolati.

Prima dell’arrivo degli europei, la storia dell’Africa centrale era costellata di guerre e conquiste quanto quelle dell’Europa, e anche durante il governo di Leopoldo non tutta la violenza congolese si consumava fra colonizzatori e colonizzati.

Poiché i gruppi locali si combattevano tra di loro la Force Publique si alleava con l’uno  o con l’altro e poiché le loro esigue forze erano distribuite su un territorio immenso, i comandanti riuscivano a sfruttare a proprio vantaggio lo schema delle alleanze mutevoli; alla fine furono le armi moderne a garantire loro la vittoria … e una storia scritta dai vincitori!

Una rivolta era scoppiata lungo una strada carovaniera che costeggiava le rapide inferiori del Congo. Un famigerato agente statale belga,di nome Eugéne Rommel, aveva costruito una stazione per il reperimento di portatori per il viaggio di tre settimane da Matadi, allo Stanley Pool, un lavoro per cui verso la metà degli anni novanta dell’Ottocento lo Stato aveva bisogno di cinquantamila uomini l’anno.

A differenza dei missionari protestanti e di alcuni commercianti privati, che assumevano portatori da utilizzare per quel  tragitto, negoziando sui salari, lo Stato del Congo ricorreva al lavoro forzato dietro preciso ordine di Leopoldo, Rommel battezzava la stazione Baka-Baka che significava cattura-cattura. Rommel però fu ucciso da Nzansu, un capo locale (1893) e la stazione fu incendiata; i ribelli saccheggiarono e incendiarono altri due posti statali poco distanti dove ammazzarono due funzionari bianchi e ne ferirono molti altri. Nzansu risparmiò Mukimbungu, una missione svedese lungo la strada carovaniera. Regalò perfino ai missionari alcune provviste che aveva trovato abbandonate sulla pista e restituì alcune merci che i suoi uomini avevano prelevato dalla stazione.

Di ammutinamenti, nel tentativo da parte di Leopoldo di raggiungere le sorgenti del Nilo, ve n’erano stati diversi, ma quello di maggior portata ebbe luogo nel Nord-Est del Congo nel 1897 con tremila soldati e altrettanti portatori e ausiliari, su mille chilometri di foresta e savana.

Gli uomini erano stati obbligati a marciare per mesi attraverso foreste e paludi per raggiungere, lungo la catena di laghi sul confine orientale del Congo tra foresta e savana, le sorgenti del Nilo, ma erano arrivati al limite della sopportazione. Gli scontri continuarono per tre anni e videro una colonna dopo l’altra di truppe lealiste delle Force Publique, combattere contro i ribelli su circa mille chilometri di territorio.

I gruppi etnici combattevano sotto la bandiera  bianca e rossa e i vari gruppi lottavano compatti, mantenevano una disciplina militare e tendevano agguati per rimpolpare le loro scorte di armi e munizioni. I capi li aiutavano anche con il tam-tam per avvertirli delle truppe in avvicinamento: anche la Force Publique aveva riconosciuto che in battaglia “i ribelli avevano dimostrato un coraggio degno di una causa migliore”. 

Più di due anni dopo lo scoppio della rivolta i ribelli riuscirono a radunare duemila cinquecento soldati per attaccare una posizione fortificata. Durante quella campagna un contingente di lealisti della Force Publique fu ridotto da trecento a soli tre uomini. Gli insorti combattevano ancora nel 1900 quando duemila di loro si ritirarono nei territori tedeschi negli attuali Ruanda e Burundi, dove si arresero in cambio del diritto di insediamento

Questo ammutinamento era stato l’unico in cui un testimone oculare, padre Auguste Achte aveva offerto un resoconto tra le fila dei ribelli e tutti gli ammutinamenti non erano stati che le prime avvisaglie delle guerriglie anticolonialiste che avrebbero insanguinato l’Africa negli anni sessanta del Novecento.   

Leopoldo continuava ad emanare pomposi decreti che vietavano la tratta degli schiavi, ma lo erano i portatori ed anche gli stessi soldati della Force Publique; l’unico ad affermarlo era G.W.Williams. In base a un sistema approvato da Leopoldo, gli agenti statali bianchi ricevevano una gratifica a seconda del numero di uomini che assegnavano alla Force Publique. A volte gli agenti compravano i prigionieri da capi complici che cedevano la loro merce umana in catene; in una transazione (1892), furono pagati venticinque franchi a testa per cinque-sei adolescenti; con ulteriore gratifica per la riduzione delle spese di reclutamento (un ulteriore invito alla rapina di uomini).

Il sistema schiavista era sempre nascosto da eufemismi: sono appena arrivate due barche con venticinque volontari … in catene, due uomini sono annegati, cercando di fuggire; tre quarti di questi, morirono prima di arrivare a destinazione. Per ovviare allo spreco, furono consigliati trasporti più veloci e catene di acciaio, anziché di ferro che erano più pesanti: “quando percorrono un ponte (di tronchi), incatenati per il collo, se uno cade, si trascina l’intera fila che scompare”.

Gli ufficiali che trattavano con i capi dei villaggi per reperire portatori e soldati “volontari”, trattavano con gli stessi che avevano rifornito i mercanti di schiavi afroarabi della costa orientale.

Il più potente tra i mercanti di Zanzibar era Hami bin  Muhammad el Marjebi, bello, barbuto e robusto, noto come Tippu-Tip, dal rumore, si diceva, prodotto dal suo moschetto.

Tippu-Tip, scaltro e intraprendente, aveva fatto fortuna vendendo avorio e schiavi che incrementò, dopo che Stanely aveva scoperto la strada per l’Alto fiume Congo. Leopoldo sapendo che il suo potere e il suo talento amministrativo l’avevano quasi trasformato nel dominatore di fatto del Congo Orientale, lo nominò (1887) governatore della provincia orientale la cui capitale si trovava sulle Cascate di Stanley e Tippu-Tip (che aveva trentacinque donne tra mogli e concubine), distribuì cariche minori ai propri parenti.   

Il re aveva contrattato per comprare la libertà di alcune migliaia di schiavi di Tippu-Tip, i quali ben presto scoprirono che la libertà consisteva in un periodo di arruolamento di sette anni nella Force Publique: e l’immagine del crociato schiavista che faceva affari con il principale mercante di schiavi africano, contribuì a suscitare le prime voci contro il re.

 

 

I BAMBINI ALLEVATI

NELLE MISSIONI

PER FARE I SOLDATI

 

 

E

dgar Canisius, un agente statale americano che conosceva lo swaili, era rimasto commosso dalla storia di una donna di nome Ilanga, di grande intelligenza, che gli era stata confermata dai soldati e dall’ufficiale che l’avevano arrestata. La donna aveva raccontato: “Il nostro villaggio si chiama Waniendo dal nome del nostro capo Niendo”. Eravamo nei campi a lavorare la terra, quando giunse un messaggero per avvertire chetava arrivando  un gruppo di uomini che indossavano berretti rossi e stoffa blu, con fucili e lunghi coltelli, accompagnati da molti bianchi”.

Ecco la storia raccontata  da Canisius.

Il capo era Kibalanga, nome africano dato a Oscar Michaux, ufficiale della F.P. . Niendo convocò tutti i capi nella sua capanna, mentre i tamburi richiamavano la gente del villaggio.

Si decise di tornare nei campi e portare arachidi e banane da legume per i guerrieri che stavano arrivando e capre e polli per i bianchi. Niendo aveva pensato che  vedendo tanto cibo, non  avrebbero fatto del male. E fu così.

Quando i bianchi e i guerrieri se ne furono andati, si sperava che non tornassero, ma tornarono. Kibalanga si accampò vicino al villaggio e i suoi uomini andarono a rubare tutti i polli, le capre e strappare la manioca.

All’alba del mattino seguente, vennero nel villaggio, entrarono nelle capanne con i fucili urlando e minacciando. Presero me, mio marito Oleka e  mia sorella Katinga. Ci trascinarono nella strada, ci misero le corde al collo, ci picchiarono con bastoni di ferro e fucili e ci costrinsero a marciare fino al campo di Kibalanga dove le donne furono legate  dieci per ogni corda e gli uomini allo stesso modo.

Quando fummo tutti riuniti, ci diedero dei cesti da portare, che contenevano carne umana affumicata. Marciammo fino al pomeriggio, quando trovammo un ruscello dove ci dissetammo con avidità, non avevamo nulla da mangiare.

Il giorno seguente riprendemmo la marcia e ci diedero un po’ di mais e banane.

Continuammo così per cinque giorni, quando i soldati presero il bambino di  mia sorella e lo gettarono a morire nell’erba e costrinsero lei a portare pentole. Il sesto giorno eravamo tutti spossati per aver dormito nell’erba umida, mio marito che trasportava una capra e non riusciva a reggersi fu picchiato e tutti ci sedemmo e non volevano proseguire.

I soldati colpirono mio marito, poi uno di loro lo colpì alla testa con la punta del fucile e lui cadde a terra. Uno di loro prese la capra mentre altri due lo trapassavano con i lunghi coltelli che mettevano sulle estremità dei fucili. Vidi del sangue che zampillava, poi lo persi di vista. Molti giovani furono uccisi nello stesso modo e molti bambini furono buttati nell’erba a morire. Dopo una marcia di dieci giorni, raggiungemmo la grande acqua e fummo portati con le canoe a Nyangwe la città dei bianchi.

Leopoldo non intendeva risparmiare neanche i bambini e aveva pensato di creare tre colonie (27.4.1890) con l’idea di affidarli ai missionari (che non vedevano le atrocità compiute sotto i loro occhi!), scrivendo che dovevano esser realizzate “Una nell’Alto Congo, vicino all’Equatore, di natura prettamente militare, con ecclesiastici per l’istruzione religiosa e l’addestramento professionale. Una a Leopoldeville, sotto la direzione del clero, con un soldato per l’addestramento militare. Una a Boma, simile alla precedente… Lo scopo di tali colonie consisterà soprattutto nella fornitura di soldati. Dovremo pertanto costruire tre grandi baracche a Boma, a Leopoldville e vicino all’Equatore … ciascuna in grado di ospitare millecinquecento bambini più il personale amministrativo.

Eseguendo gli ordini di Leopoldo, sei settimane dopo, il governatore generale, ordinò ai commissari distrettuali “di raccogliere, d’ora in avanti, il maggior numero possibile di bambini maschi” per le tre colonie statali.

Con il passar degli anni i missionari fondarono molte altre colonie per bambini; a differenza dei protestanti che erano stranieri e si sottraevano al controllo di Leopoldo, i cattolici erano per lo più belgi e fedeli sostenitori del re e del suo regime; Leopoldo stanziava generosi finanziamenti a favore dei cattolici e sfruttava questo potere economico per schierare i sacerdoti, quasi come se fossero soldati , in aree in cui desiderava consolidare la propria influenza.

I bambini accolti da tali missionari, erano, in teoria, orfani; in gran parte della società africana indigena, caratterizzata da un forte senso della famiglia allargata e dei legami tra clan: il concetto europeo  di orfano non esisteva.

Se questi bambini erano orfani, nel significato che noi diamo alla parola, ciò era dovuto al fatto che i genitori erano stati uccisi dalla F. P.. Dopo le loro distruttive incursioni nel territorio, i soldati raccoglievano spesso i superstiti, sia adulti, sia bambini e li portavano dai missionari cattolici.

Di solito le colonie per bambini erano gestite con l’uso della chicotte e delle catene e le ribellioni erano numerose.

Se dei bambini sopravvivevano al rapimento, al trasporto e all’istruzione, molti dei diplomati maschi delle scuole statali diventavano soldati. Proprio come aveva ordinato il re. Nel Congo di Leopoldo le colonie statali erano le uniche scuole per africani finanziate dal governo.

Tra i bambini traumatizzati e malnutriti, stipati nelle colonie statali e cattoliche le malattie imperversavano e il tasso di mortalità era elevato, spesso superava il cinquanta per cento. Molte migliaia di bambini perdevano la vita durante il viaggio. Dei centootto ragazzini costretti a una marcia forzata verso la colonia statale di Boma nel 1892-1893, solo sessantadue giunsero a destinazione; otto di loro morirono nelle settimane successive.

Nel 1895 la madre superiora di una colonia cattolica per bambine, scisse a un alto funzionario statale del Congo “Al loro arrivo molte delle bambine erano così deboli che …le nostre buone sorelle non sono riuscite a salvarle, ma hanno avuto tutte la gioia di ricevere il santo battesimo; ora sono angioletti che dal cielo pregano per il nostro grande re!!! (Bella consolazione cristiana! ndr).

 

 

 

LA COLONIA SOGNATA

 DAI GIOVANI

PER UNA VITA AVVENTUROSA

E DI RICCHEZZA

 

 

 

I

n quell’epoca l’Europa era in pace e i giovani desideravano la guerra, specie se il nemico aveva mezzi scarsi per difendersi: Il Congo era il luogo ideale e per un bianco; era anche il luogo ideale per arricchirsi e maneggiare il potere.

I commissari distrettuali governavano a volte aree grandi quanto l’Olanda e il Belgio; i responsabili delle stazioni erano spesso gli unici ufficiali bianchi nel raggio di centinaia di chilometri; potevano imporre tasse sulla manodopera, sull’avorio o su qualsiasi altra cosa e infliggere le punizioni che desideravano. Se ci si lasciava troppo andare … si riceveva tutt’al più una tiratina di orecchie.

Il responsabile della stazione di Manyanga, sulle grandi rapide che nel 1890 aveva picchiato a morte due suoi servitori personali, fu condannato a pagare soltanto una ammenda di cinquecento franchi.

Quel che contava era fare in modo che l’avorio continuasse a fluire verso il Belgio. Più se ne spediva, più si guadagnava: Vive le Congo! Non vi è niente di simile” scrisse un giovane ufficiale alla famiglia nel 1894: “Abbiamo libertà, indipendenza e una vita dagli ampi orizzonti. Qui si è liberi e non semplici schiavi della società … Qui si può essere ogni cosa! Guerriero, diplomatico, mercante! Perché no? A persone di questo tipo, come per Stanley, di umili origini, il Congo offriva l’opportunità di una grande scalata sociale. Chi in Europa era destinato a condurre una vita di idraulico o bancario di provincia, poteva diventare signore della guerra, mercante d’avorio, cacciatore di grossa selvaggina e proprietario di harem.

Un esempio è dato da Léon Rom, nato nella cittadina belga di Mons. Si era arruolato nell’esercito all’età di sedici anni, ma non aveva l’istruzione necessaria per essere promosso ufficiale. Aveva lavorato come contabile per uno studio di spedizionieri doganali, ma ben presto si era stancato. Era  partito per il Congo in cerca di avventure nel 1886, a venticinque anni, in un periodo in cui nel territorio erano insediato solo un centinaio di bianchi: la sua carriera fu rapida.

Entro breve fu nominato commissario distrettuale di Matadi e in quella veste celebrò il primo matrimonio civile di una coppia bianca nello Stato del Congo. Per qualche tempo lavorò come giudice. Poiché, dato l’esiguo numero di bianchi posti alla guida dell’intera colonia, non vi era una chiara linea di demarcazione tra funzioni civili e militari, dopo poco Rom fu incaricato dell’addestramento delle truppe nere della F.P.. Anche la remunerazione era ottima; una volta promosso capitano, Rom guadagnava il cinquanta per cento in più rispetto a un colonnello dell’esercito belga in patria.

Dopo essere stato decorato con varie medaglie, l’ufficiale si conquistò una certa fama grazie a un episodio avvenuto nel corso di una battaglia contro gli “arabi” durante la quale entrò spavaldamente in un forte nemico per negoziare i termini della resa. Secondo un resoconto “Rom si offrì volontario … Si allontanò disarmato, accompagnato solo da un interprete e dal punto scelto per l’incontro, vide tutte le truppe arabe radunate dietro i bastioni, con i fucili spianati. Un emissario, con il corano del sultano in mano, come lasciapassare, lo invitò a entrare nella fortezza; Rom entrò senza esitazione; dopo due ore di negoziazioni uscì dal forte con una bandiera araba a prova della resa”.

 La descrizione fornita da Rom era drammatica; lui ebbe la meglio sugli astuti arabi; il suo interprete gli diceva “Signore vi uccideranno”. In effetti non si sa come fossero andate le cose dal momento che non vi erano testimoni e giornalisti e se la resa dgli arabi fosse stata tanto pericolosa, ma servì ad aumentare il suo successo.

La scalata sociale di Rom non si limitò al grado militare, ma ebbe risvolti intellettuali. Faceva collezione di farfalle e ogniqualvolta si recava in Belgio, portava esemplari di farfalle e fu fatto membro della Società entomologica del Belgio, onorificenza che insieme alla spada di ufficiale e al berretto con la stella dello Stato del Congo denotavano il grado sociale che aveva raggiunto da quando era semplice contabile.

Dietro la carriera che si poteva percorrere in Congo, si celava lo scaltro invito ad abbandonare la morale borghese acquisita in Europa: per gli europei le colonie rappresentavano una via di fuga; Kipling aveva scritto (in “Ballata delle baracche”): “Portatemi da qualche parte ad est di Suez, dove il meglio assomiglia al peggio, dove i dieci comandamenti non esistono e un uomo può risvegliare una sete .

Nel Congo i dieci comandamenti venivano rispettati ancor meno che nelle altre colonie. Il Belgio era piccolo e il Congo immenso e nelle regioni tropicali la mortalità tra i bianchi era molto elevata; le autorità tenevano segrete le cifre, ma prima del 1895 era morto un terzo degli agenti statali delle colonie; altri morivano per i postumi delle malattie una volta rientrati in Europa.

Per trovare uomini sufficienti a gestire la vasta rete di stazioni, Leopoldo doveva reclutare non solo belgi, ma giovani bianchi di tutto il continente, attirandoli con le promesse del rapido arricchimento, come il lucrativo sistema di commissioni per l’acquisto dell’avorio.

Molti di coloro che andavano a lavorare nel Congo erano simili ai mercenari che entravano a fra parte della Legione Straniera francese o agli avventurieri che diedero vita alle due grandi corse all’oro dell’epoca, quella del Sudafrica e quella del Klondike: grazie alle opportunità offerte di arricchimento e azione militare per gli europei il Congo era un insieme di corsa all’oro e arruolamento nella Legione straniera.

 

 

LO SCRITTORE

AVVENTURIERO

JOSEPH CONRAD

E LEON ROM

 

 

 

A

ll’inizio del mese di agosto 1890 sul “Roi des Belges”, un lungo battello squadrato con pala a prua, dotato di fumaiolo e timoniera, che si apprestava a risalire il corso d’acqua,  sul ponte di coperta, al fianco del capitano si trovava un robusto ufficiale dalla barba nera, con gli occhi costantemente stretti in fessure per proteggersi dal sole tropicale; era un giovane appena arrivato nel Congo che sarebbe rimasto a fianco del capitano per familiarizzare col fiume, prima di assumere il comando del battello.

L’apprendista era un esempio del tipo di bianchi giunti nel Congo, giovane e celibe, alla ricerca di lavoro, che aveva una grande passione per l’avventura e qualche scheletro nell’armadio. Il suo nome era Konrad Korzeniowski, di origini polacche cresciuto con il sogno dell’Africa e con in mente l’idea che da grande sarebbe andato laggiù.

Durante la giovinezza era stato in Francia dove aveva avuto problemi di debiti, era stato coinvolto nel contrabbando di armi e aveva tentato il suicidio; era stato per dieci anni nella Marina mercantile britannica, imparando l’inglese senza perdere l’accento polacco.

Korzeniowski, si era recato a Bruxelles dove aveva presentato domanda per lavorare nel Congo; aveva trentadue anni e credeva, come tutti in Europa che la missione di Leopoldo in Africa fosse nobile e civilizzatrice. Si era imbarcato su una nave che partiva per il Congo e trasportava il primo lotto di rotaie e traversine per la nuova ferrovia. Una volta raggiunto il fiume incominciò a riempire il suo diario con appunti da marinaio, inserendo annotazioni su secche, punti di riferimento, e altre voci  non indicate sulle rudimentali carte nautiche disponibili all’epoca.  

Sarebbero trascorsi dieci anni prima che l’apprendista  capitano di battello riuscisse a mettere per iscritto le altre caratteristiche del Congo, non segnalate sulla cartina e il mondo lo avrebbe  conosciuto come Joseph Conrad.

Aveva portato con sé il manoscritto non ancora completo, del suo primo romanzo “La follia di Almayer”. Per percorrere i milleseicento chilometri che dividevano lo Stanley Pool dalle Cascate di Stanley impiegò solo quattro settimane, un viaggio rapido per quei tempi: rocce, barriere di sabbia e tratti d’acqua poco profonda, rendevano insidiosa la navigazione, soprattutto nell’alto corso del fiume e durante la stagione secca, quella in atto in quel momento.

Alle Cascate di Stanley, Conrad e il capitano si ammalarono; Conrad guarì e assunse il comando del “Roi des Belges; q1ualche settimana dopo aver concluso il viaggio, recise il contratto e si diresse verso l’Europa.

Molte erano state le delusioni che infransero i sogni di Conrad. Aveva avuto dissidi con un funzionario della Compagnia per cui lavorava, ciò che non gli avrebbe dato la possibilità del comando di un battello. Dopo esser giunto alla foce, si era ammalato di malaria e dissenteria  e aveva dovuto sostare presso una stazione missionaria battista  americana allo Stanley Pool; dopo essere stato accompagnato sulla costa, non si riprese mai del tutto.

Era rimasto sconvolto dalla avidità dei bianchi incontrati nel Congo da modificare per sempre la sua concezione della natura umana.

Dopo aver meditato per otto anni sulla sua esperienza in Congo Conrad la trasformò in “Cuore di tenebra”  che è forse il suo romanzo più breve scritto in inglese ad aver conosciuto il maggior numero di ristampe.

Nel romanzo troviamo Marlow, voce narrante e alter ego di Conrad e l’altro personaggio, Kurtz (per il quale Conrad si era ispirato a Leon Rom) la cui immagine era rimasta impressa nella memoria di milioni di lettori: si ricorderà certamente ciò che Marlow dal battello guarda col binocolo, quelli che pensa essere pomi ornamentali in cima ai paletti del recinto davanti alla casa di Kurtz, per scoprire “nera, rinsecchita e infossata, la testa con le palpebre chiuse era sempre là, come addormentata in cima a quel palo, e con le labbra secche e raggrinzite, che lasciavano scoperte la sottile fila di bianchi denti…”

“Cuore di tenebra”  è una delle più feroci accuse all’imperialismo che siano mai state mosse dalla letteratura; strano a dirsi, quando era in gioco l’Inghilterra, il suo autore si considerava imperialista convinto. Conrad assistette al saccheggio del Congo da parte di Leopoldo  per quello che era “Che orrore, che orrore!” dice Kurtz sul letto di morte.

Marlow, la controfigura dello scrittore, pensa: “La conquista della terra che sostanzialmente consiste nello strapparla a quelli che hanno la pelle diversa dalla nostra o il naso leggermente più schiacciato, non è una cosa tanto bella da vedere, quando la si guarda troppo da vicino”.

Il libro aveva suscitato varie polemiche per il modo in cui sono rappresentati i personaggi di colore, che non pronunciano più di qualche parola. In realtà non  parlano affatto: grugniscono, cantano, producono una nenia di chissà quali magici incantesimi e una violenza selvaggia e appassionata, emettono stringhe di parole stupefacenti che non assomigliavano al suono di alcuna lingua umana … simile alle riposte di qualche satanica litania.

Per quanto intriso di razzismo vittoriano, “Cuore di tenebra” continua a essere il più grande ritratto narrativo degli europei durante la corsa all’Africa..

Nel 1899 Leon Rom, rientrato in Belgio,pubblicava il libro  Le Négre du Congo” un volumetto bizzarro, brioso, arrogante, in gran parte superficiale; brevi capitoli sono dedicati a Le Négre en générale, alla donna nera, al cibo, agli animali domestici, alla medicina indigena e così via. Rom era un appassionato di fotografia ; posò con aria di trionfo per una fotografia che lo ritraeva in piedi su un elefante morto e il suo capitolo sulla caccia si dilunga quanto quelli sulle credenze religiose congolesi, sui rituali funebri e sulla successione dei capi messi insieme.

La voce di Rom sembra ripetere quella di Kurtz: Della “race noire Rom dice: Poiché è il prodotto di una indolenza, i suoi  sentimenti sono volgari, le sue passioni rozze, i suoi istinti brutali,e per giunta è orgogliosa e vanitosa. La principale occupazione dell’uomo nero, quella cui dedica la maggior parte della sua esistenza, consiste nello sdraiarsi su una stuoia ai caldi raggi del sole, come un coccodrillo sulla sabbia … L’uomo nero non ha alcuna nozione del tempo e, se interrogato sull’argomento da un europeo, dà di solito una risposta insensata.

Il medesimo tono emerge da molti altri passi. Quando descrive p. es., i congolesi arruolati come portatori. Rom afferma che si divertivano molto. Di mattina, al momento della partenza della carovana i portatori vanno su e giù schiamazzando e ognuno vuole a tutti i costi trovare un posto di suo gusto nella fila, p. es., accanto a un amico per raccontare i sogni della notte precedente o con cui immaginare il menu, più o meno vario e succulento del pranzo che consumeranno alla sosta successiva.

Altri paralleli tra Rom e Kurtz nel romanzo di Conrad, li troviamo quando Kurtz riesce a farsi adorare dagli africani della Stazione interna: i capi strisciano ai suoi piedi, la gente gli obbedisce con servizievole devozione e a quanto pare, la sua concubina è una bellissima donna nera.

Nel 1895 un contrariato tenente della F.P. descrisse nel suo diario una situazione molto simile che riguardava un collega ufficiale: “Lascia morire di fame i suoi agenti mentre regala grandi quantità di cibo alle donne nere  del suo harem (perché vuole comportarsi come un capo arabo) … Alla fine a casa sua indossò l’alta uniforme, riunì le donne, raccolse un foglio di carta e finse di leggere che il re l’aveva nominato grande capo e che gli altri bianchi della stazione erano solo nullità …Diede cinquanta frustate a una povera negretta che si rifiutava di divenire la sua amante e quindi la regalò a un soldato”.

 

 

 

WILLIAM SHEPPARD

SUCCESSORE DI

HENRY MORTON STANLEY

 

 

 

S

tanley era nella giungla accompagnato dalla eccentrica ritrattista Dorothy Tennant, che in precedenza lo aveva rifiutato; tornata in Inghilterra Dorothy aveva cambiato idea e gli scriveva lettere romantiche; il 12 luglio 1890 i due si sposano nell’abbazia di Westminster il prezzo dei dipinti della Tennant salirono alle stelle, giunsero congratulazioni da tutto il mondo, la regina Vittoria regalò alla sposa un  medaglione impreziosito da trentotto diamanti.

Stanley però a cinquant’anni, non era portato per il matrimonio e il giorno delle nozze, in chiesa, ebbe un attacco di gastrite (malattia da considerare psicosomatica), che lo costrinse a star seduto durante tutta la durata della cerimonia e durante il ricevimento a rimanere sdraiato su un divano in una stanza buia … e proseguì per tutta la durata del viaggio di nozze; ambedue soffrivano di nevrosi. Stanley aveva paura dell’intimità ed era misogino e non ebbe figli  e si ritiene che neanche avesse avuto rapporti con la moglie: il matrimonio non fu consumato, insomma si trattava di uno di quegli uomini famosi che stanno bene solo con la propria fama (ndr.!).

Il matrimonio segnò la fine delle esplorazioni di Stanley che si dedicò alle conferenze e ai discorsi, ricevendo lauree honoris causa, inaugurando ferrovie e concedendo interviste: inveiva contro la pigrizia, il socialismo, l’immoralità, la mediocrità generale, i sindacati, il nazionalismo irlandese, la giornata lavorativa di otto ore, le donne giornaliste e gli inservienti degli hotel americani ”incompetenti, indisciplinati, villani e maleducati”.

Ricevette il titolo di cavaliere e fu eletto in Parlamento.

Durante il ciclo di conferenze tenuto negli Stati Uniti era accompagnato dal suo giovane assistente e la moglie aveva portato con sé la madre e viaggiavano in un vagone ferroviario dotato di pianoforte a coda e il vagone portava il nome di Henry M. Stanley.

Dopo due anni dal suo matrimonio, Stanley è sostituito da un personaggio che non appare negli annali delle ’esplorazioni in quanto non corrispondente ai canoni dell’esploratore bianco in Africa, non essendo bianco ma nero, il suo nome era William Sheppard.

La sua idea di recarsi in Congo era sorta dalla iniziativa del senatore dell’Alabama, John Tyler Morgan (di cui abbiamo già parlato), il quale aveva incoraggiato il riconoscimento dello Stato del Congo, nell’intento di farvi emigrare tutti gli americani neri. Morgan e i suoi sostenitori, avevano pensato di inviare nel Congo, alcuni missionari di colore.

Nell’anno della dichiarazione della abolizione della schiavitù (1865), la Chiesa presbiteriana aveva deliberato di reclutare tra I neri americani dei missionari per portare il Vangelo di Dio nelle terre di origine dei loro antenati.

I presbiteriani meridionali, successivamente alla guerra civile, si erano scissi dai presbiteriani del Nord fra I quali vi erano pochi membri neri.   

Sebbene fossero pochi quelli intenzionati a trasferirsi, Gorge Washington Williams non era l’unico di colore a voler andare a lavorare laggiù.

Nato in Virginia nel 1865, Sheppard aveva frequentato l’Hampton Institute, una delle poche istituzioni di istruzione superiore per neri, Dopo aver completato gli studi  presso il Colored  Theological Seminary di Tuscaloosa, in Alabama, aveva lavorato come ministro presbiteriano a Montgomery e Atlanta, dove si era distinto per la sua energia, il suo zelo, il suo coraggio.

I presbiteriani lo avevano tenuto in sospeso per due anni; le autorità ecclesiastiche non erano disposte a permettergli di partire per l’Africa se non fosse stato accompagnato da un superiore bianco.

Finalmente, dietro l’incoraggiamento  del senatore Morgan, si era presentato il candidato bianco, il reverendo Samuel Lapsley di un anno più giovane di Sheppard e figlio del socio di Morgan. Uno, discendente di schiavi, l’altro di schiavisti; i due giovani andavano d’accordo e partirono insieme per il Congo. Lapsley aveva conosciuto il presidente Benjamin Harrison a Washington e il re Leopoldo a Bruxelles, Sheppard essendo nero non aveva partecipato agli incontri; Lapsley era rimasto affascinato da Leopoldo come succedeva a tutti gli altri ospiti.

Giunti nel Congo (1890), crearono la prima missione della chiesa presbiteriana meridionale lungo l’alto corso del Kasai dove Sheppard aveva assunto il comando. I suoi fratelli americani erano imbarazzati e mandarono altri fratelli bianchi per i quali non si sentì imbarazzato in quanto possedeva il talento di una eloquenza carismatica e inoltre era sportivo e praticava la caccia e inforcò la prima bicicletta e la sua popolarità non venne meno quando in una relazione extraconiugale  mise incinta una indigena.

Riuscì a entrare nel regno dei Kuba il cui re, non solo aveva impedito per dieci anni ai mercanti di penetrare nel suo regno ma aveva dato disposizione che chiunque entrasse nel suo regno fosse decapitato.

E Sheppard stava per fare questa fine quando portato alla presenza del re Kot aMbweeky II, questi si trovò di fronte un nero che parlava un po’ la sua lingua, che il re riteneva fosse uno spirito reincarnato e gli anziani ritennero fosse Bope Mekabe, un precedente re reincarnato.

Sheppard vi rimase quattro mesi, annotando il loro sofisticato sistema politico, i rituali e l’organizzazione della polizia; egli ne apprezzò la popolazione, e la razza, la più bella che avesse visto in Africa e scrisse un libro “Presbyterian Pioneers in Congo”. ma i personaggi del libro erano i kuba che non avevano nulla di presbiteriano.

I kuba non avevano interesse per la religione cristiana, ma dopo circa otto anni dalla visita di Shppard, il loro pacifico regno doveva finire tragicamente: arrivarono le forze di Leopoldo e saccheggiarono e distrussero la loro capitale.  

 

 

 

ALLA RICCHEZZA

DELL’AVORIO

SI AGGIUNGE

QUELLA  DELLA GOMMA

 

 

 

L

a Dea Fortuna aveva deciso che la ricchezza ricavata dall’avorio da Leopoldo  non fosse sufficiente e dal momento che era indebitato fino al collo per gli investimenti congolesi, gli aveva preparato un’altra fonte di ricchezza: la gomma.

John Dunlop, un signore irlandese dalla barba bianca, armeggiando con il triciclo del figlio nella sua casa di Belfast, cercava di risolvere il problema che tormentava tutti i ciclisti: Come si poteva viaggiare comodi senza molle; la soluzione ingegnosa fu trovata; lo pneumatico (a Focus TV dicono: ìl pneumatico (plurale, i pneumatici)! pur non essendo scorretto la forma migliore è lo pneumatico , gli pneumatici (*), ndr.) in gomma gonfiabile; nel 1890 la Dunlop Company iniziò a produrre pneumatici scatenando il boom delle biciclette e avviando una nuova industria prima dell’avvento dell’automobile.

In Europa si conosceva la gomma dalla scoperta di Cristoforo Colombo nelle Indie Occidentali. Alla fine del settecento uno scienziato britannico, aveva dato il suo nome inglese alla sostanza rubber e si era accorto che riusciva a cancellare – to rub out – i segni della matita.

Lo scozzese Charles Macintosh (1823) aveva applicato la gomma al tessuto che gli Indiani d’America già conoscevano, per renderlo impermeabile e l’americano Charles Goodear, aveva accidentalmente scoperto la miscela elastica per la produzione di stivali e impermeabili, con l’uso esteso a tubi, guarnizioni ecc., e la gomma negli anni novanta dell’8oo conobbe il boom che si riversò tutto sul Congo di Leopoldo, quasi interamente ricoperto di rampicanti selvatici della pianta (**): per Leopoldo era caduta la manna dal cielo!

Il re temeva la produzione di gomma dalla pianta coltivata, ma per il momento egli aveva quella selvatica mentre, per avere quella coltivata si dovevano attendere vent’anni, per la crescita degli alberi; intanto egli usufruiva del 50% dei profitti derivati dalle concessioni, ma anche superiori in quanto vi erano terre che lo Stato sfruttava direttamente: la società A.B.I.R, con una spesa di 1,35 franchi al kg. per raccogliere la gomma, spedendola ad Aversa la rivendeva (1897) a dieci franchi, con un utile del 700%; tra il 1890 e 1894 i proventi complessivi derivanti dalla gomma si moltiplicarono novantasei volte! 

La pianta selvatica non richiedeva spese di coltivazione, di fertilizzanti o investimenti di capitali, bastava andarla a cercare nella foresta e farla scorrere dai rampicanti, per questo occorreva manodopera che doveva lavorare in ambiente ostile arrampicandosi sugli alberi: un uomo cadendo si era spezzato la schiena; i violenti rovesci tropicali di pioggia trasformavano ampie zone in paludi. Il lavoro non solo si svolgeva nelle paludi ma era fisicamente doloroso   in quanto la gomma vischiosa doveva essere asciugata e per far ciò  veniva spalmata sulle braccia, cosce e petto del raccoglitore, vale a dire sulle parti pelose, per poi strapparla dal corpo.

In proposito un ufficiale della F.P.,Louis Chaltin (1892), aveva annotato: “L’indigeno non ama raccogliere la gomma, deve essere costretto a farlo”.

Come era possibile costringerlo? Una ridda di voci e notizie si era sparsa per l’ l’Europa. Il viceconsole britannico raccontava (1899) “Sull’alto corso del fiume Oubangai mi hanno raccontato un esempio di ciò che accadde; un ufficiale, raggiungeva con le canoe un villaggio i cui abitanti cominciavano a scagliare frecce, i soldati venivano fatti sbarcare e iniziavano il saccheggio, rubando dalle case polli, grano e altro; dopo di che, attaccavano gli indigeni e sequestravano le donne; queste venivano tenute in ostaggio finché il capo del distretto consegnava il numero richiesto di chili di gomma. Le prigioniere venivano poi rivendute ai proprietari per un paio di capre l’una, e così si proseguiva di villaggio in villaggio, fino a raccogliere la quantità di gomma desiderata”.

Gli ostaggi talvolta erano donne, tal’altra erano bambini, altre volte erano anziani o capi. Nelle aree della gomma, ogni  stazione dello Stato o della società aveva un recinto per gli ostaggi; se un indigeno si rifiutava di raccogliere la gomma, firmava la condanna a morte della moglie. La moglie avrebbe potuto morire comunque perché nei recinti il cibo era scarso e le condizioni molto dure.

Le donne sequestrate durante l’ultima incursione a Engwettra mi causano problemi a non finire” aveva scritto nel diario (1895) Gorge Bricusse, ufficiale della F.P..Ogni semiufficiale, soldato ne vuole una; le sentinelle incaricate di sorvegliarle liberano le più graziose e le violentano”.

Naturalmente Leopoldo non autorizzava mai ufficialmente la politica del sequestro degli ostaggi; se qualcuno sollevava accuse, le autorità di Bruxelles le smentivano con sdegno; ma laggiù, lontano da occhi indiscreti,la maschera veniva fatta cadere.

Le istruzioni per il rapimento erano indicate nel manuale semiufficiale, l’interessantissimo “Manuel du Voyageur e du Résident au Congo”  di cui l’amministrazione distribuiva una copia a ogni agente e a ogni posto statale. I cinque volumi del libro coprivano ogni argomento, dai metodi che garantivano l’obbedienza dei servitori, al modo corretto di sparare le salve d’artiglieria. La cattura degli ostaggi era solo uno dei tanti compiti ordinari: In Africa rapire prigionieri è …  semplice, perché se si nascondono  non si allontanano molto dal villaggio e devono andarsi a procurare il cibo nei campi circostanti … Quando si ritiene di aver raccolto un numero sufficiente di prigionieri, occorre scegliere una persona anziana, possibilmente una donna. Bisogna farle un regalo e mandarla dal capo per avviare le negoziazioni. Il capo che desidera liberare la sua gente decide di mandare dei rappresentanti”.

La storia ci offre solo di rado l’opportunità di leggere istruzioni tanto dettagliate nelle ”Questioni pratiche”  volume intitolato opportunità di leggere istruzioni tanto dettagliate. I consigli per la cattura degli ostaggi erano contenuti nel volume “Questioni pratiche” che fu compilato da una commissione di circa trenta personaggi. Uno dei suoi componenti, che lavorò al libro dopo essere stato responsabile alle Cascate Stanley, era l’appassionato collezionista di teste Léon Rom.

La quota di gomma che ciascun villaggio doveva consegnare era di quattro chili di gomma essiccata per ogni maschio adulto ogni due settimane, vale a dire lavoro giornaliero pieno. Si era calcolato in pratica che gli uomini trascorrevano ventiquattro giorni al mese , dormendo nella foresta in gabbie improvvisate, per proteggersi dai leopardi e non sempre riuscivano a salvarsi.

Alle volte i rampicanti venivano strappati e tagliati a pezzi per spremere il liquido, ma venivano scoperti e comunque se non erano consegnate le quantità stabilite si ricorreva alla chicotte.

Oltre alla F. P., ogni azienda aveva la propria milizia i cui uomini erano chiamati sentinelle.  

Ovunque crescessero piante di gomma gli abitanti dei villaggi erano tenuti in stretta sorveglianza. Gli uomini, oltre a raccogliere la gomma, la trasportavano sulla strada portandola nelle ceste sulla testa, percorrendo quaranta chilometri fino alle stazioni dove li aspettavano gli agenti, che seduti sulla veranda pesavano i carichi. Dopo essere stata consegnata la linfa veniva trasformata in ruvide lastre, ciascuna delle dimensioni di una valigetta e lasciata essiccare al sole; veniva quindi spedita a valle su una chiatta o un barcone trainato da un battello: era la prima fase del lungo viaggio per l’Europa.


LE MANI MOZZATE

 

I soldati della F.P. che dovevano dare dimostrazione dei colpi di fucile sparati e del numero delle persone uccise, dovevano consegnare la mano destra; le mani, per evitare la putrefazione erano affumicate (erano tagliati anche nasi e orecchie); poiché a ogni colpo sparato, doveva corrispondere una mano, nel caso si fosse sparato a un animale, si tagliava la mano a un uomo vivo. Charles Lemaire che era stato commissario del distretto dell’equatore, dopo il pensionamento ricordava di aver scritto al governo che: “Per raccogliere la gomma nel distretto … dobbiamo mozzare mani, orecchie e nasi”.

La foresta lungo il fiume Kasai era ricca di gomma. William Sheppard e gli altri presbiteriani americani si trovarono nel mezzo di un cataclisma.

Il Kasai fu il teatro di violenti episodi di resistenza contro il governo di Leopoldo. Indigeni armati alleati del regime  imperversavano nella regione in cui lavorava Sheppard saccheggiando e bruciando più di dieci villaggi: masse di rifugiati cercavano aiuto presso la stazione dei missionari.

Sheppard ricevette l’ordine (1899) di addentrarsi nella foresta per individuare  la causa dei combattimenti. Trovò terra macchiata di sangue, villaggi distrutti  cadaveri in putrefazione che appestavano l’aria. Quando raggiunse l’accampamento dei saccheggiatori, fu attratto da una nutrita serie di oggetti posti ad affumicatura. Il capo ci condusse davanti a un telaio di bastoni sotto i quali ardeva un fuoco lento e appese ai bastoni vi erano ottantuno mani.

Il capo disse a Sheppard che “doveva sempre tagliare la mano destra per dimostrare allo Stato quante persone abbiamo ucciso”; l’affumicatura serviva a conservare le mani nel clima caldo e umido.

Sheppard era incappato in uno degli aspetti più raccapriccianti del sistema della gomma di Leopoldo; come la cattura degli ostaggi, il taglio delle mani era una politica autorizzata, come avevano ammesso alti funzionari: “Appena si presentò il problema della gomma, scissi al governo – ricordava Carles Lemaire – che per raccogliere la gomma, dobbiamo tagliare mani, orecchie e nasi”.

Sheppard non fu il primo straniero a vedere le mani mozzate nel Congo e non sarebbe stato neanche l’ultimo. Gli articoli che scrisse per le riviste missionarie sulla sua raccapricciante scoperta, vennero ristampati e citati più volte sia in Europa, sia negli USA. E grazie a questo, la gente cominciò ad associare il Congo con le mani mozzate. Alla fine la schiettezza di Sheppard suscitava le ire delle autorità.

Il leader socialista Emile Vandervelde aveva denunziato in Parlamento, gli archi monumentali che prima o poi verranno chiamati “Archi delle mani mozzate”.  Nella foresta si diffondeva il terrore  della gomma. Un sacerdote cattolico che raccolse testimonianze orali cinquant’anni dopo, citava un uomo di nome Tswambe che riferiva di un funzionario statale detestato da tutti, Léon Flévez, colpevole di aver terrorizzato un intero distretto sul fiume, quasi a 500 km.

A Nord di Stanley Pool: “I neri consideravano quest’uomo il demonio dell’equatore. Si era costretti a mozzare le mani a tutti gli uomini uccisi sul campo e voleva accertarsi del numero di mani mozzate da ogni soldato che doveva raccoglierle nelle ceste”.

I villaggi che si rifiutavano di raccogliere la gomma, venivano letteralmente rasi al suolo. Da giovane vidi il soldato Molili (uno degli uomini di Fiévez) che sorvegliava il villaggio di Boyeka, prendere una grande rete, mettervi dentro dieci prigionieri indigeni, attaccarvi grosse pietre e farle ruzzolare nel fiume … La gomma era la causa di tutte queste sofferenze. Ecco perché non vogliamo più sentir pronunciare questa parola.

I soldati costringevano i giovani a uccidere o violentare le madri e le sorelle; Fiévez giustificava i suoi massacri, per motivi umanitari.

Egli raccontava (1894) a un ufficiale della F. P. che quando i villaggi circostanti non fornivano il pesce e la manioca che aveva richiesto era stato sufficiente aver tagliato cento teste e da allora sono state fornite provviste in abbondanza; il mio obiettivo è stato sostanzialmente umanitario, commentava, ho ucciso cento persone … ma ho consentito di vivere a cinquecento.

Queste regole atroci, davano la possibilità a persone come Fiévez di sfogare il loro sadismo.

Il responsabile della stazione di M’Bima, usava il revolver per forare i lobi delle orecchie degli africani.

Raul de Prémarol, usava dare massicce dosi di olio di ricino a quelli che considerava dei lavativi . Quando due portatori non avevano utilizzato la latrina, Jean Verdussen, commissario distrettuale, li fece sfilare davanti alle truppe con il volto cosparso di escrementi. Quando la storia delle mani mozzatesi diffuse per l’Africa, gli africani furono portati a credere che le scatole di manzo, contenessero della mani mozzate tritate. 

 

 

*) Se mai questo riferimento dovesse giungere al produttore di Focus,o qualche volenteroso glielo potesse recapitare, sarebbe interessante se facesse un documentario sul Congo che nessuno si è preso mai la priga di fare e che sarebbe un documentario straordinario che supererebbe quello fatto sul fiume Mekong.

* *) Hocheschild spiega che la gomma è linfa coagulata, caoutchouc, la parola francese che la designa, deriva da un vocabolo degli indiani del sudamerica che significa legno che piange.

 

 

L’AVIDITA’ DI LEOPOLDO

NON AVEVA LIMITI

E LE CRITICHE NON

LO SCALFIVANO

 

 

L

eopoldo di trovava con l’imperatore Guglielmo per una parata va Berlino, col quale si lamentava:”A noi re non è rimasto null’altro che il danaro” … la gomma che gli avrebbe fornito il Congo, gliene avrebbe fornito al di sopra di ogni previsione!

Eppure il solo Congo non gli bastava!

Egli sognava un impero che comprendesse i due leggendari fiumi dell’Africa, il Congo e il Nilo e progettava di collegare i due fiumi con la ferrovia, e prese possesso delle antiche miniere di rame di Bahr-al-Gazal, avendo cura di rivendicarle a nome del sovrano, obbligando allo stesso tempo lo Stato del Congo a fornirle protezione militare.

I francesi però gli impedirono di realizzare le sue mire sul Nilo, ma sempre nuovi progetti turbinavano nella sua testa.

Nel 1896 cogliendo di sorpresa Lord Salibury, gli propose di usare un esercito sudanese sotto il controllo degli ufficiali dello Stato del Congo, per porre fine ai massacri  del popolo armeno da parte dei turchi che stavano suscitando tanta commozione in Europa (la regina Vittoria riteneva fosse una ossessione del cugino).

Pur essendo scaltro e ambizioso, la nuova e immensa fortuna la investì, per così dire, in attività turistiche in quanto in tutto il Belgio, spuntarono musei, monumenti e nuovi palazzi. A Ostenda, la sua località di mare preferita, spese milioni di franchi per una passeggiata, alcuni parchi e una galleria turrita (decorata, il giorno dell’inaugurazione, con ottantamila gerani) per l’ippodromo che frequentava, oltre a un campo di golf nei pressi di   Klemskerke, uno chalet regale a Raversijde e innumerevoli restauri e ampliamenti all’amato castello di Laeken.

Con l’avanzare dell’età, a sessant’anni, (1895), divenne ipocondriaco: per un colpo di tosse, un collaboratore avrebbe rischiato di essere allontanato per diversi giorni.

Temendo di prendere un raffreddore, ogni volta che usciva sotto la pioggia , o nuotava in mare, infilava la  sua folta barba in una borsa  impermeabile; pretendeva che le tovaglie fossero bollite ogni giorno per eliminare i germi.

Quando non era  in viaggio, risiedeva a Laeken; si alzava presto, faceva una doccia fredda, si spuntava la barba, si sottoponeva a un  massaggio, leggeva la posta del mattino e consumava una  colazione pantagruelica: sei uova in camicia, una fila di fette di pane tostato, un intero vasetto di marmellata.

Passava la giornata tra le serre e i suoi amati giardini, leggendo la corrispondenza o dettando le risposte, seguito dai segretari. Il pranzo durava mezz’ora mentre le istruzioni le scriveva con grafia illeggibile che creava  crisi di angoscia per la decifrazione; a tavola i membri della famiglia dovevano rimanere in silenzio.

Nel pomeriggio si recava a palazzo reale  per incontrare funzionari e visitatori, quindi tornava a Laeken per la cena.   

Il culmine della giornata era segnato dall’arrivo del “Times of London” nel pomeriggio con l’espresso Ostenda-Bruxelles che veniva lanciato nella stazione privata e accompagnata dallo stemma, giungeva al palazzo reale dove un domestico la stirava (per distruggere i germi) e il sovrano la leggeva a letto: quando il Times si unì ai suoi detrattori, urlò che avrebbe annullato l’abbonamento, ma un valletto andava ugualmente di nascosto alla stazione di Bruxelles ad acquistarne una copia.

Nel 1897 Leopoldo incominciò a investire i suoi capitali per la costruzione della ferrovia in Cina, ricavandone ingenti guadagni. Considerava la Cina alla stessa stregua dell’Africa. Cercò di organizzare uno scambio di operai cinesi e soldati congolesi per avere una presenza militare in Cina dove acquistò appezzamenti di terreni.

La sua ferrovia in Congo a scartamento ridotto (pari alla metà dello scartamento normale), aggirando le grandi rapide, doveva collegare Matadi allo Stanley Pool; il progetto richiedeva sessantamila operai, sebbene la linea fosse di soli trecentocinquanta km., e occorsero tre anni per i primi ventidue km. .

Dei cinquecento cinesi giunti nel 1892, ne morirono trecento sul lavoro, altri furono trovati a ottocento km., nell’entroterra, per tornare a casa.

La ferrovia fu un modesto successo tecnico e una catastrofe umana: gli uomini morivano per gli incidenti, per la dissenteria, il vaiolo, il beri-beri, la malaria, esacerbate dalla cattiva alimentazione e dalle frustate inflitte dai duecento soldati della milizia.

Le locomotive deragliavano, i vagoni carichi di dinamite esplodevano dilaniando gli operai bianchi e neri: spesso non vi erano rifugi per far dormire gli operai e venivano condotti in catene; quando al mattino suonavano le trombe, gli uomini deponevano ai piedi dei supervisori. i cadaveri  di quelli morti durante la notte.

Dopo otto anni di lavori, la prima bassa e tozza locomotiva (1898) decorata con bandiere, percorreva i binari a scartamento ridotto da Matadi allo Stanley Pool dove fu eretto un monumento (a grandezza naturale), che rappresentava un uomo che portava una grossa cassa sulla testa e due crollati al suo fianco per la stanchezza, con la falsa scritta: “La ferrovia li ha liberati dalla condizione di portatori”…  per attrarsi le simpatie (equivalente a quella nazista di Aushwitz “Arbeit macht freiIl lavoro rende liberi! ndr.).

Pur costellata di curve a zig-zag e rapide e pendenze, il viaggio durava due giorni; la ferrovia in ogni caso, accrebbe notevolmente la ricchezza e il potere dello Stato. Con oltre cinque milioni di kg., che il Congo produceva ogni anno, ora raggiungevano il mare dallo Stanley Pool senza viaggiare per tre settimane sulle teste dei portatori. Nell’altro senso i vagoni portavano le imbarcazioni smontate. Il porto fluviale di Leopoldville divenne il più trafficato dell’Africa centrale.

Leopoldo era diffidente nei confronti degli stranieri presenti nel Congo, a eccezione di coloro che erano stati assegnati a progetti ferroviari.

Doveva sopportare le centinaia di missionari che, come Sheppard e i suoi colleghi, provenivano dall’Inghilterra, S.U.,o Svezia, paesi di cui Leopoldo sperava di attrarsi le simpatie. I missionari erano giunti ansiosi di promuovere l’evangelizzazione, combattere la poligamia e inculcare negli africani il senso vittoriano del peccato: Un alto funzionario in visita alla città di Upoto sul fiume Congo scrisse nel suo diario che un missionario britannico gli aveva chiesto di emettere un decreto per costringere gli indigeni a vestirsi.

Gli africani chiedevano a un missionario: Il Salvatore di cui ci parli, riuscirà a salvarci dalla tragedia della gomma?

I missionari, senza volerlo, finirono per diventare osservatori su un campo di battaglia e Sheppard non fu l’unico a fornire testimonianze.

Una malinconica canzone congolese diceva: “Siamo stanchi di vivere sotto questa tirannia; non sopportiamo che le nostre donne e i nostri bambini vengano portati via e maltrattati dai selvaggi bianchi. Faremo la guerra … Vogliamo morire … Sappiamo che moriremo, ma vogliamo morire. Vogliamo morire”.

A partire dagli anni novanta dell’Ottocento Leopoldo dovette affrontare sporadiche proteste da parte dei missionari, tra cui anche gli articoli di Sheppard contro le mani mozzate e gli africani trucidati. Ma i detrattori  ebbero scarsa attenzione perché nelle relazioni pubbliche non erano abili quanto il re che sfruttava il suo irresistibile fascino per neutralizzarli.

Leopoldo, astutamente, esortava i funzionari delle organizzazioni missionarie a parlare direttamente con lui che sapeva dosare con astuzia le promesse e le minacce con le quali faceva pesare la circostanza del suo diritto a imporre o negare le tasse, il permesso per la costruzione di nuove missioni.

Verso la fine degli anni novanta il critico più severo di Leopoldo fu E.V. Sjoblom, un missionario battista svedese, che nel 1896 pubblicò sulla stampa svedese un documentato attacco contro il terrore della gomma, attacco che fu ripreso dai giornali degli altri paesi. Egli, durante un raduno pubblico, spiegò che i soldati della F.P. erano ricompensati in base al numero di mani raccolte: “Un agente mi ha detto di aver visto un ufficiale pagare i soldati con un certo numero di bastoncini di ottone (valuta corrente) per le mani che avevano portato. Uno dei soldati mi ha detto: “Il commissario mi ha promesso di abbreviarci il servizio se portiamo molte mani. Ne ho consegnate parecchie e credo che il mio servizio sia finito”.

Un altro oppositore di Leopoldo  era H.R.Fox Bourne, segretario della Società degli aborigeni che scriveva per il Times; a quanto si diceva, il re si era recato presso la sede del Times per convincere il giornale a non pubblicare gli articoli di Fox Bourne.

In pubblico, Leopoldo, prendendo la strada più facile, diceva che le voci che circolavano  lo avevano profondamente sconvolto e riuscì a difendersi da gran parte delle accuse relative alle atrocità commesse contro gli africani.

Ma nel 1895 dovette affrontare i primi problemi in Europa, quando un giornalista britannico riferì che un ufficiale della F.P. dello Stato del Congo “aveva osato uccidere un inglese”.

La vittima in realtà era l’irlandese Charles Stokes che aveva sposato un’africana e commerciava in avorio, facendo concorrenza a Leopoldo e Stokes era accusato di vendere armi agli afro-arabi. Una spedizione della F.P. era andata a cercarlo e quando l’aveva trovato, l’aveva impiccato sul posto.

 Vi furono proteste della stampa inglese e della Germania in quanto Stokes  si trovava nell’Africa orientale tedesca  e il Congo era aperto ai mercati tedeschi.

Nel tentativo di attenuare lo scontento, lo Stato congolese ammise l’errore e pagò ingenti indennità alle autorità inglesi e tedesche: ma la faccenda non finì in quanto un giornale tedesco si domandò come il Congo trattasse gli indigeni, visto che non aveva avuto scrupolo a giustiziare un bianco, e la stampa europea  cominciò a prestare maggior attenzione alle notizie sulle atrocità della colonia.

Leopoldo anche questa volta se ne uscì brillantemente.

Nominò (1896)  una commissione per la protezione degli indigeni con tre cattolici belgi e tre protestanti di altre nazioni, che ottenne una accoglienza favorevole.

Ma pochi avevano notato che nessuno dei membri della commissione era dislocato nelle principiali aree della gomma da cui provenivano le voci di disumanità e che i commissari erano sparpagliati su un territorio di milleseicento km., e il sovrano non aveva fornito alcun finanziamento per partecipare agli incontri. La commissione si riunì solo due volte a causa delle distanze e della spesa, alle quali parteciparono solo tre dei sei componenti.

Per il re era stato un colpo da maestro e consolidò il proprio trionfo recandosi in Inghilterra, Svezia e Germania (1897), mentre l’Inghilterra fu distratta dalla guerra boera e gli attacchi della stampa a Leopoldo sparirono del tutto.

I detrattori si facevano sentire ogni tanto, ma nessuno più gli prestava attenzione ! Se ci fossero stati gli indici di gradimento Leopoldo avrebbe raggiunto dappertutto il culmine del successo! E vi erano anche dei versi che inneggiavano alla voce del nostro sovrano che guida i nostri soldati che sfidano il clima di bronzo per spezzare la catena dell’africano e sottomettere il crudele arabo.

Ma il sovrano che spingeva il soldato, sebbene il Congo fosse la sua grande passione, non vi si recò mai a visitarlo!

 

 

QUALCUNO INCOMINCIA

A SCOPRIRE

CHE AVORIO E GOMMA

INCREMENTAVANO

IL CONTRABBANDO DI ARMI

 

 

C

ome se lo immaginava, il Congo, non era quello dei portatori che morivano di fame; degli ostaggi violentati, degli scheletrici portatori di gomma o delle mani mozzate. Era l’impero dei suoi sogni, con alberi giganteschi, animali esotici, abitanti grati per il suo saggio governo.

Anziché andarvi, egli portò il Congo in Belgio; il mogano rosso che allestiva la sua camera del vagone ferroviario privato; gli animali chiusi negli zoo belgi, le enormi serre di Laeken, dove aggiunse una serra lussureggiante di palme, coperta da quattro cupole in vetro, a volta ottagonale, decorata con l’emblema della colonia.

Alla fiera mondiale di Bruxelles (1897) ebbe un milione di visitatori, dove, oltre ai drappi raffiguranti la barbarie e la civiltà, il feticismo e il cristianesimo, la poligamia e la vita familiare in schiavitù e in libertà, vi era anche un quadro vivente di duecentosessantasette uomini, donne e bambini, importati dal Congo.

La nave che riportò i congolesi in Congo, ritornò carica  di gomma e come tante altre, apparteneva a una filiale della Elder Dempster, una compagnia di navigazione con sede a Liverpool le cui imbarcazioni battevano la costa occidentale dell’Africa.

La Elder Dempster aveva bisogno di qualcuno disposto a recarsi spesso in Belgio per controllare l’arrivo e le partenze sulla rotta del Congo e l’incarico fu affidato a Edmund Dene Morel, un giovane brillante di venticinque anni, del suo staff. La madre era inglese, il padre francese era morto senza lasciare alcuna pensione alla madre e al figlio; Morel aveva lasciato gli studi a quindici anni per andare a lavorare a Parigi e aiutare la madre malata; qualche anno dopo aveva ottenuto un lavoro presso la Elder Dempster a Liverpool.

Per mantenere se stesso e la madre Morel arrotondava lo stipendio facendo lezioni private, poi gli si presentò l‘occasione di scrivere articoli sulle questioni commerciali africane per lo Shipping Telegraph e il Liverpool Journal of Commerce; i suoi pezzi celebravano  gli aumenti della produzione del cotone e della stazza delle navi e mettevano solo raramente in dubbio i dogmi dell’epoca. Alcuni lodavano il regime di Leopoldo e auspicavano il grande avvenire che attendeva il Congo.

Negli anni novanta, Morel cominciò a fare la spola attraverso la Manica per la sua società e fungeva da contatto con un funzionario dello Stato del Congo e osservava con interesse quelli che partivano per il Congo, descrivendoli: “Uomini della cui identità a risiedere nell’Africa tropicale dubiterebbe perfino un principiante. Perlopiù giovani e perlopiù poveri, mingherlini, pallidi , fannulloni. Alcuni scossi dai singhiozzi, altri che incespicano in stato di semiubriachezza. Molti indossano ampi cappelli tropicali di feltro e portano il fucile a tracolla, orgogliosi proprietari di entrambi per la prima volta in vita loro. Qua e là un uomo più  anziano abbronzato … uno che, evidentemente ha già vissuto tutto questo. I volti di questi ultimi, tutt’altro che belli da guardare, segnati da cicatrici della brutalità, con occhi crudeli e avidi; volti da cui si distoglie lo sguardo con involontario brivido di repulsione”. 

Morel non curava solo le negoziazioni sulla banchina, ma trattava con gli alti funzionari congolesi di Leopoldo e proprio trattando con uno di questi, gli vennero dei sospetti. 

Si era era recato presso un burocrate di alto grado,  piacevolmente descritto  dal Morel, in particolare, della figura spettrale del burocrate; ne aveva descritto la stanza, le cui finestre affacciavano sul retro del palazzo reale: una stanza cupa dai tappeti spessi e dai tendaggi pesanti; una stanza di ombre opprimenti. Al centro un uomo seduto alla scrivania, così magro da essere emaciato; le spalle strette e curve; la fronte sfuggente, un alto naso adunco, grandi orecchie arretrate; le guance infossate, gi occhi gelidi. Un viso che quando è composto è passivo, inumano, pallido, pietrificato, tutto ossa appuntite e nude cavità; il viso dell’allora Segretario di Stato dello Stato indipendente del Congo … La fisionomia del Segretario di Stato, subisce un notevole e sconcertante metamorfosi. Viene colpito da una sorta di tic involontario... E’ il viso di un altro uomo a guardarci. La maschera di impeccabile ufficialità si stacca come un guanto polverizzato dalla mano. Si china in avanti e, in rapidi accenti scanditi, si lamenta dicendo che qualcuno ha rivelato alla stampa informazioni confidenziali sul carico dell’ultimo piroscafo in partenza … Il paragrafo è stato evidenziato. Ha l’aria innocua, essendo un elenco dei principali articoli a bordo. L’elenco indica tuttavia il numero di casse di cartucce a pallottola (proiettili per fucili) il numero di casse di fucili e di scatole di fulminanti  (capsule esplosive per moschetti militari) … E’ quello il problema. La mancanza di segretezza professionale. Denunciando la gravità dell’indiscrezione, l’oratore si alza, le guance cadaveriche arrossiscono, la voce trema … le lunghe mani ossute falciano l’aria. Non vuole sentire alcun pretesto, non ammette interruzioni. Ripete di continuo sécret profesionel con enfasi appassionata. I suoi gesti sono energici… Il più giovane tra i presenti esce dalla stanza domandandosi perché sia necessaria una simile quantità di materiale bellico … perché la sua esportazione debba rimanere segreta e perché il governo congolese si preoccupi tanto per l’”indiscrezione”.

Morel sulla banchina di Anversa vide cosa trasportavano le navi della Elder Dempser. Ben presto si accorse che i registri che compilava con cura per il suo datore di lavoro, non corrispondevano alle statistiche commerciali divulgate dall’Etat Indépendent du Congo che avevano tanto turbato il Segretario di Stato.

Studiando le discrepanze tra le due serie di cifre, incominciò a scoprire una intricata matassa di frodi.

Tre scoperte, in particolare, lo lasciarono di stucco.

Innanzitutto il carico inviato in  Congo, quello che una volta portato a conoscenza dell’opinione pubblica aveva tanto turbato il Segretario di Stato,  non era l’eccezione ma la regola: “Da alcuni anni i piroscafi che la Elder Dempster utilizzava per il commercio con il Congo, trasportavano regolarmente enormi quantità di cartucce a pallottole e migliaia di fucili fulminanti che venivano consegnati allo Stato o a varie società “commerciali” belghe … A quale scopo erano destinate tali armi?

In secondo luogo Morel si accorse che in alto, qualcuno si impossessava di considerevoli profitti. “Il valore della gomma e dell’avorio, importati dal Congo mediante le navi della Elder Dempster  ” merci che valevano decine di milioni di dollari attuali, “superava di gran lunga le somme indicate nei proventi del governo congolese … In quali tasche finivano le eccedenze non dichiarate?”

Morel fece la sua terza e ultima scoperta sulle banchine mentre osservava le navi caricate e scaricate, e ne trovò conferma nei registri della Emper Dempster. Lì si celava il segnale più sinistro di tutti. “Circa l’ottanta per cento delle esportazioni destinate al Congo era rappresentato da articoli del tutto estranei agli scopi commerciali. Eppure il Congo esportava quantità sempre maggiori di gomma e avorio per le quali, a quanto emergeva dalle statistiche, gli indigeni non ricevevano quasi nulla. Allora, come venivano acquistati quei materiali? Di certo, non mediante trattative commerciali. In cambio di ciò che entrava, non usciva nulla”.

Morel aveva ragione. Ora sappiamo che il valore della gomma e dell’avorio e delle altre ricchezze che ogni anno giungevano in Europa  a bordo delle navi della Elder Dempster, corrispondeva a cinque volte quello delle merci spedite in Congo e destinate agli africani. In cambio della gomma e dell’avorio Morel lo sapeva bene, i congolesi non venivano pagati in denaro (di cui era vietato l’uso o in merci provenienti da altre parti del mondo (la Elder Dempster aveva il monopolio mercantile). Non venivano pagati affatto. E così Morel aveva scoperto l’esistenza della schiavitù in un altro continente.Le cifre erano chiare. Solo un lavoro forzato, brutale e organizzato, poteva spiegare profitti tanto inauditi … un lavoro forzato di cui il governo congolese era il diretto beneficiario, un lavoro gestito dai diretti collaboratori del sovrano.

Morel non era incappato in un assassino, ma in una società di assassini; e divenne il più acerrimo nemico di Leopoldo.  

 

 

 

FINE