La vita dell'uomo è come una nave

 che galleggia

  sull'oceano di questo grande universo:

i flutti che la scuotono

sono i diversi accidenti

che si abbattono su di lui

durante la sua vita.

 

 

Cronaca nera del “1600”

 

 

RACCAPRICCIANTE

VENDETTA

DI UNA RAGAZZA MADRE

NELLA CITTA’ DI DOLE

NELLA FRANCA CONTEA

 

I

l fatto è accaduto nel 1608 nella città di Dole, capoluogo della Franca Contea (attualmente nella circoscrizione del Giura) conosciuta per essere una città in cui si praticavano le lettere, con un Parlamento arricchito da una nobiltà ricoperta di gloria, abitata da una borghesia di alto livello culturale.

Tra la nobiltà primeggiava una famiglia il cui unico rappresentante era George Palliet di Montrosier, pieno di virtù che costituiva un marchio degno della propria famiglia.

In questa città viveva una giovane vedova con una figlia diciottenne di nome Cecilia, le cui virtù brillavano per il coraggio mostrato nei suoi modi di comportarsi; era la delizia del padre che vedeva in lei il bastone della sua vecchiaia e gli dava la speranza del futuro della propria famiglia e della futura prosperità e il marchio delle virtù che si sarebbero protratte nei discendenti; ma il poveretto non aveva potuto vedere realizzati i suoi desideri per una morte prematura che lo aveva portato nella tomba; questa morte però lo aveva privato del dolore che il destino aveva preparato per questo fiore di virtù, di bellezza e con un corpo che sembrava scolpito.

La madre amava la figlia che obbediva a tutti i suoi insegnamenti “come se fossero miele che la conducevano alla perfezione con la massima naturalezza, tanto da sembrare la perla del suo secolo, lo specchio delle sue sembianze, la meraviglia del mondo: in una parola era il sole luminoso della perfezione”. 

Il giovane gentiluomo, come risvolto delle sue virtù, era indegno di occupare un rango così alto, egli era piuttosto degno di essere respinto come un odioso mostro della natura, tanto abile nelle armi quanto privo di ogni lealtà, tanto elevato nel grado della sua nobiltà quanto negato per i sentimenti umani; abbondava in ricchezze ed era circondato da discrezione e fedeltà.

Tornato dalla guerra delle Fiandre a Dole, era stato accolto da un benvenuto generale, ammirato dal pubblico, invitato in tutte le migliori case della città da dove egli andava e veniva con tutta libertà; nulla gli era rifiutato o vietato e tutte le giovani ragazze studiavano il modo per invitarlo e riceverlo ... mescolando l’arsenico che si trovava sotto il miele delle sue carezze!

Questa libertà un giorno lo condusse a far visita alla vedova, madre di Cecilia, che non si sa se per sua sfortuna, nel suo intimo era crudele e vendicativa; ma i suoi occhi, che dire, non occhi, ma il sole che essi sprigionavano, “attizzarono una tal fiamma che egli divenne tutto un fuoco che gli annebbiò la mente, gli tolse il respiro, gli tolse la voce,  inculcandogli il desiderio di adorare Cecilia, di respirare il fuoco della sua intimità e di ottenere lodi per la sua conquista: la disgrazia è che queste fiamme provengono da un braciere impudico”.

Ma, come si è detto, privo di sentimenti, egli la volle per capriccio, volle privarla della libertà per averla a lui sottomessa, per arricchire i suoi trionfi e servire come ornamento alla sua gloria.

Le inviava regali che Cecilia respingeva; egli si rivolgeva giornalmente, quanto inutilmente, alla madre, per poter ottenere il trionfo dei suoi ardori; egli pregava la madre, adorava la figlia, supplicava l’una, si sacrificava davanti all’altra e alla fine si rese conto che l’unico modo per soddisfare la sua sete e i suoi appetiti e raffreddare i suoi calori, poteva essere il colore di un matrimonio. 

Cecilia a questa proposta, rimane turbata, valuta i vantaggi di un matrimonio così fortunato, la perfezione del gentiluomo così gradevole per l’amore che egli manifestava ma che lei non sapeva a cosa fosse dovuto, poiché soppesando le due diverse nascite, si stimava per lui per lui di bassa estrazione.  

La madre con prudenza mette il fatto in dubbio, facendogli rilevare la ineguaglianza sociale che correva tra di loro, riferendosi anche alle difficoltà che egli avrebbe trovato presso i suoi parenti che non avrebbero mai consentito un simile matrimonio; che la cosa migliore sarebbe stata quella di spegnere il fuoco e moderare la sua passione; ma egli non aveva rimedi, il veleno aveva invaso tutto il suo corpo; non riusciva a spegnere il suo ardore; diceva che avrebbe avvertito i parenti e se essi non avessero voluto  dare il loro assenso, sarebbe andato avanti ugualmente nei suoi desideri.

Egli lascia le due donne molto turbate che non sanno come doversi regolare;  le resistenze opposte da Cecilia incominciano a perdere la loro forza; lei è innamorata del suo caro de la Chambre (della Camera è il nome che lei aveva pensato di dargli!); la madre (come tutte le madri accecate dall’esteriorità quando intravedono un buon matrimonio per le figlie! ndr.), pensa alla fortuna del matrimonio che la figlia rifiuta, ma lei desiderava si realizzasse.

De la Chambre ritorna dicendo che i parenti si sono lamentati della sua decisione alla quale egli non vuol rinunciare e che detesta la loro crudeltà, biasima la loro avarizia, non ritiene giusta la loro interferenza in una questione tanto importante per la sua felicità, si scioglie in lacrime per le sue pene amorose, implora il favore della dea (all’epoca si credeva ancora nella dea dell’amore! ndr.) e dice che se lei non lo aiuta seguirà ben presto la rovina della sua vita; alla fine supplica la madre di voler permettere che egli sposi Cecilia segretamente in attesa che il tempo faccia accettare la sua decisione alla quale egli ricorre a fin di bene.  

Racconta infatti che suo zio verso il quale egli porta molto rispetto, è contrario a questo  suo desiderio in quanto incaricato della sua tutela e inoltre, egli attende di ereditare le sue grandi sostanze in quanto non ha discendenti e se dovesse ferirlo rischierebbe di esserne privato.

La madre respinge questa proposta e Cecilia la rifiuta, ma egli insiste su questo artificio con promesse; che permettano di condurle alla casa del prete che li avrebbe sposati segretamente.

Ottenuto finalmente l’assenso e realizzato il suo disegno de la Chambre si reca continuamente in quella casa, dormendo con Cecilia, stando con lei notte e giorno; la gente incomincia a malignare sulla impudicizia della figlia abbandonata nelle mani di quell’uomo da una madre mezzana.

Cecilia venuta a conoscenza di ciò che si racconta di lei, supplica il caro amico, dicendogli che solo il solenne matrimonio potrà restituirle il suo onore; egli risponde di pazientare ancora e nel frattempo continua ad andare e venire fino a quando Cecilia, incinta mette al mondo un bambino al quale è riservato lo stesso artificio del del matrimonio, con il battesimo segreto e il bimbo è affidato a una nutrice.

Dopo qualche tempo si viene a conoscenza dei perfidi disegni di de la Chambre: è pubblicato il suo matrimonio con un’altra damigella che dà modo alla madre e alla figlia di maledire quella conoscenza e pentirsi della facilità con cui avevano prestato fede a quell’incantatore!

Come provare il matrimonio segreto di cui non si conoscevano il nome dei testimoni e neanche quello del prete che li aveva sposati, a chi rivolgersi? 

Povera Cecilia, abusata e senza la speranza di cancellare una così notevole ingiuria mentre la madre nel giro di pochi giorni muore di dolore, lasciando Cecilia sola a pensare al modo in cui potersi vendicare!

Usando la stessa perfidia e la stessa astuzia usata nei suoi confronti, Cecilia gli manda la sua cameriera, Lionette, facendogli intendere di non nutrire alcun risentimento per il suo matrimonio ufficiale, di non sentirsi offesa e che lui può considerarla amica d’amore non meno di prima, facendogli promettere che sarebbe andato ancora da lei; lui, con il ricordo dei passati ardori, accetta.

Per il giorno stabilito Cecilia prepara la cena per l’ospite; si fa portare segretamente il bambino e dopo averlo soffocato gli estrae il fegato e prepara la cena; la sera de la Chambre dice alla moglie di andare nei campi e si reca da Cecilia ricevuto con mille carezze, lo fa sedere a tavola e serve la cena presentandogli come prima pietanza il fegato del bambino che egli mangia senza sapere cosa fosse; poi Cecilia prende dall’armadio il corpo del bambino e glielo mostra dicendogli che quello era il frutto della sua perfidia e coprendolo di rimproveri e rinfacciandogli la sua ingratitudine gli sferra  quattro colpi di coltello nel ventre; caduto per terra, Cecilia gli strappa il cuore, gli occhi, la lingua come i principali strumenti della sua sventura e messi assieme, accompagnata dalla cameriera, li porta ad un crocicchio (di norma agli incroci di strade vi erano i capitelli con crocifissi o icone sacre ndr.) e li lascia come reliquie del suo misfatto.

La mattina seguente, trovati quei resti umani si cerca l’autore del crimine, ma Cecilia si reca lei stessa alla gendarmeria mettendosi nelle mani della giustizia, e raccontando come si erano svolti i fatti, chiede di essere punita come prevedeva la legge.

Dopo essere stata arrestata, si svolge il processo e il Procuratore concludeva dicendo che la matricida avrebbe meritato una morte crudele, pari al delitto commesso; la Corte emette la sentenza (19.XI.1608), moderando la punizione in quanto aveva tenuto conto della circostanza che le era stato tolto l’onore con l’inganno del matrimonio clandestino e la condanna alla decapitazione nella piazza del mercato.

Cecilia avrebbe voluto fare un discorso alla cittadinanza che si era recata in piazza per assistere alla esecuzione, ma per abbreviare i tempi, aveva lasciato uno scritto, che aveva suscitato grande commozione, indirizzato particolarmente alle ragazze giovani, in cui raccontando le perfidie subite  per la sua seduzione, dava loro una grande lezione sul matrimonio segreto, raccomandando di non ricorrere mai a questo astuto espediente per ricevere la benedizione nuziale (*) che l’aveva portata alla rovina.

 

 

*) Ricordiamo che il matrimonio segreto di Renzo e Lucia, ne “I promessi sposiera inquadrato proprio nella stessa epoca del nostro racconto, in cui, probabilmente, si faceva spesso ricorso a questo espediente ingannatore.