Pietro I il Grande:

“La sua genialità lo istruiva

di ciò che mancava alla Russia”.

 

 

 

LO ZAR PIETRO

IL GRANDE A 

 PARIGI

 

a cura di

 Michele E. Puglia

 

 

(Il presente articolo completa quello su Caterina II e il suo

fantastico viaggio in Crimea)

 

 

 

 

SOMMARIO: I PRIMI ANNI DI PIETRO MIKAILOVIC (In Nota: Gli strelizzi); IL PRIMO VIAGGIO IN EUROPA 1697; IL VIAGGIO A PARIGI 1717; RIFIUTA IL LUSSO DEL LOUVRE E FA METTERE IL SUO LETTO DA CAMPO IN UN GUARDAROBA; CORREGGE LE MAPPE DEI SUOI STATI; ALLA SORBONNE ABBRACCIA LA STATUA DI RICHELIEU; ALL’ACCADEMIA DELLE SCIENZE E DELLE LETTERE.

 

 

I PRIMI ANNI

DI PIETRO ALEXEVIC

 

 

P

ietro I di Russia era figlio dello zar Alexej Mikailovic (1629-1676) il quale aveva avuto due mogli: dalla prima, Maria Miroslavskaia (il patronimico usato al maschile e femminile, per i russi, è indissolubile dal nome), aveva avuto due figli maschi, Fiodor e Ivan Alexevic e sette figlie femmine delle quali la prima era Sofia, destinata ad avere un ruolo nella amministrazione del regno; in seconde nozze lo zar aveva sposato Natalia Naryskina che gli dava un solo figlio (1672), Pietro.

Le due famiglie convivevano nel Cremlino, ma alla morte dello zar, tra di esse e loro seguito, se non vi fu una vera e propria lotta per il potere, vi furono particolari circostanze che favorirono in un primo momento Sofia (che aveva avuto l’aiuto della guardia pretoriana), e, alla fine, fu Pietro (poi I) ad assumere definitivamente il potere.

Per primo saliva al trono Fiodor Aleksevic, malaticcio e debole di mente e il potere era esercitato dai  suoi familiari che disponevano l’allontanamento dal Cremlino di Natalia ce del piccolo Pietro.  

Madre e figlio erano stati mandati nel villaggio di Preobrazenskoe, dove in piena libertà dalla osservanza dell’etichetta di Corte, in compagnia di nani e buffoni, il piccolo Pietro riceveva una modesta istruzione elementare impiegando le ore libere ai giochi con archi e frecce, spade e fucili; materie di insegnamento erano la lettura, l’aritmetica elementare; le lingue straniere erano invece sostituite dalla istruzione religiosa, liturgia e testi sacri, dalle quali Pietro avrà la possibilità di imparare il latino e potersi esprimere in latino (in famiglia, di origine tedesca, si usava questa lingua).

Alla morte dello zar Fiodor Alexevich, avrebbe dovuto succedergli l’altro fratello Ivan, ma essendo anch’egli malaticcio, la Duma dei bojari e il Patriarca designavano come successore Pietro di quattro anni; ma Sofia, sorella di Ivan e sorellastra di Pietro, poiché non intendeva cedere il potere nelle sue mani (1682-1689), fece ricorso all’aiuto del primo ministro Vassilij Vassillevjc Golicyn, suo amante e degli strelizzi.

Costoro (arcieri che non costituivamo una forza di combattimento su cui si potesse fare gran conto) costituivano un parte dell’esercito, di stanza principalmente a Mosca e avevano funzioni di guardia pretoriana; essi  avevano in dotazione ciascuno un piccolo podere agricolo e avendo disponibilità di tempo libero, esercitavano l’industria e il commercio e avevano una grande influenza politica; appoggiando Sofia (1682) si ribellarono e uccidendo un gran numero di nobili, la nominarono reggente di ambedue i fratelli, Ivan V e Pietro I, proclamati zar (*).

Sofia rimase reggente fino a quando la notizia che Pietro stava per essere catturato, lo costrinse a rifugiarsi nel monastero di Troitskaja nei pressi di Mosca; la notizia risultò essere falsa, ma con l’aiuto dei suoi sostenitori (i Naryskin) e di ufficiali inglesi, in particolare di Patrick Gordon, il principe Golicyn fu esiliato e Sofia fu rinchiusa in un monastero (1689), dove rimase per quindici anni, fino alla sua morte (1704).         

La Russia in quel tempo era un paese povero. scarsamente popolato e arretrato; aveva poche città che potevano considerarsi tali e la vita economica si basava sulla produzione del legname fornito dalle grandi foreste, di pelli, di sale scavato dalle miniere e una agricoltura rudimentale, con vaste aree libere non  ancora sfruttate, praticamente deserte.

Tutto quel vasto territorio fino alla Siberia a Nord, e a Sud era intercluso, senza uno sbocco al mare, l’unico sbocco sul Mar Baltico era costituito dal porto  di Archangel’sk, libero dai ghiacci solo pochi mesi dell’anno; a Sud la Crimea era tributaria dell’impero ottomano, vessata, con l’Ukraina, dalle incursioni dei tatari che mettevano in crisi la stessa sicurezza di tutta la parte medidionale della Russia.

Pietro, fin dall’infanzia aveva mostrato un forte interesse per gli strumenti e le macchine e per ogni forna di lavoro manuale con cui si era cimentato  frequentando gli artigiani del quartiere tedesco quando era a Mosca e l’isoIamnto in cui con la madre vennero a trovarsi dopo e la sua esclusione, durante la reggenza della zarina Sofia (1682-1689), contribuirono a fargli acquisire una esperienza tecnica piuttosto vasta, libero dai condizionamenti delle convenzioni che avrebbe avuto se si fosse trovato al Cremlino.                                         

Durante i sei anni successivi alla reggenza, il governo era seguito dal principe Boris Golicyn (cugino e avversario dell’esule), da alcuni bojari (N. K. Naryskin e T.N. Stresnev)  e dalla madre (che ebbe influenza su di lui fino alla morte, avvenuta nel 1694).

Pietronei suoi giochi, si esercitava  con i reggimenti giocattolo, organizzando, con i numerosi domestici, forniti di armi e cannoni, manovre miilitari, battaglie e assedi; aveva preso dimestichezza con le costruzioni navali e aveva maturato l’idea della flotta per la quale fu preso da vera passione, ma non la poteva avere, per mancanza di sbocchi al mare; ma alla fine riuscì a realizzarla.

In questo periodo Pietro aveva preso come consiglieri lo scozzese Patrick Gordon e l’avventuriero ginevrino Francois Lefort che divennero suoi amici e incisero sulla sua formazione; entrambi morirono (1699) e il loro posto fu preso da nuovi consiglieri in particolare Aleksandr Danilovic Mensikov, al quale, per riconoscenza, assegnò il titolo di principe (17o5), dando prova della sua generosità, non dimenticò mai il proprio debito di gratitudine nei loro confronti.

All’età di ventiquattro anni (1695), lo zar cominciò a  prendere in mano le redini del governo, e tentò la prima azione contro la fortezza di Azak (Azov), che controllava la foce del Don. che avrebbe procurato alla Russia uno sbocco sul mar Nero e la possibilità di creare una flotta.

Ma questo tentativo fallì in quanto Pietro non aveva ancora una flotta capace di impedire ai turchi di inviare nella città, rinforzi dal mare e non aveva forze e mezzi sufficienti per predisporre un assedio di vaste proporzioni e non aveva uno stato maggiore che dirigesse le sue forze.

Nel 1696, con una numerosa flottiglia di vascelli e con l’aiuto di genieri inviati dall’imperatore Leopoldo. Pietro rinnovò l’attacco e conquistò la città; la sua caduta fu celebrata a Mosca con una processione alla quale prese parte Io zar in persona e alla sera, con una grande bevuta generale, come amava fare lo zar con i suoi soldati.

Con la pace di Carlowitz (1699)  lo zar dovette firmare un armistizio per trent’anni con la Porta (1700) e la Russia seppur avesse dato una convincente dimostrazione con un inponente vascello ancorato davanti al Serraglio che aveva impressionato i turchi della sua potenza, non fruiva ancora di alcun accesso sicuro al mar Nero.

 

 

*)  GLI STRELIZZI

Gli strelizzi (*) si rivoltarono anche quando Pietro aveva intrapreso (1697) il suo primo grande viaggio per l’Europa del Nord e si trovava a Vienna (1698) quando fu richiamato precipitosamente a Mosca dalla nuove delle loro sommosse.

Essi erano stati allarmati dalla simpatia del sovrano per gli stranieri e per le loro idee, irritati dalla sfiducia che egli aveva mostrato nei loro confronti, spedendoli lontano da Mosca ad Azov e alla frontiera polacca;  un numero di questi reggimenti si era rivoltato nel giugno del 1698 e aveva tentato di marciare sulla capitale. La rivolta non aveva un vero condottiero e fu efficacemente soffocata, soprattutto per merito della rapida azione di Gordon, prima ancora dell’arrrivo di  Pietro, ben deciso a liberarsi una volta per tutte di questa turbolenta e indisciplinata guardia di sedicenti pretoriani. Con la tortura e le condanne a morte e con le deportazioni in Siberia, Pietro l li eliminò definitivamente,  come forza politica, ignorando gli sforzi del patriarca Adriano, che gli aveva chiesto di avere nei loro confronti un trattamento più umano!

Dobbiamo rilevare che  le  r i f o r m e  fatte da Pietro I, nel loro insieme hanno costituito una pietra miliare  nella storia russa e occorre  tener presente che abbandonare il vecchio per il nuovo  è anche doloroso e, spesso occorre ricorrere alla forza, come aveva dovuto fare Pietro!

  Per tutto il paragrafo e per gli strelizzi ci siamo serviti de: L’ascesa della Russia 1688-1713, Cambridge University, Storia del Mondo Moderno, ediz. it. Garzanti, con una diversa impostazione degli argomenti.

 

 

 

Il Granducato di Mosca alla fine del medioevo

 

 

IL PRIMO  VIAGGIO 

DI PIETRO I IN EUROPA

 1697

 

I

  viaggi di Pietro sono da considerare unici non solo nella storia della monarchia russa, ma nella storia di tutte le altre monarchie; un monarca che intraprende un viaggio non solo per apprendere il grado di sviluppo raggiunto dai Paesi visitati, ma di apprendere, in proprio, le nuove tecniche con cui si erano raggiunti quegli sviluppi, non vi era mai stato, né vi sarà dopo di lui.

Sotto il falso nome di Pietr (leggi Piotr) Mikailovic, accompagnava come ambasceria lo zar, un gran corteo a cavallo di duecento persone tra  domestici, guardie, interpreti, a capo del quale erano Francois Lefort, Fedor Alekseevic Golovin e P.B. Voznicyn; il corteo  partiva nel mese di marzo 1697.

Attraverso la Livonia svedese, il ducato di Curlandia, la Prussia orientale e il Brandeburgo, Pietro si imbarcava ad Archangelo, giungendo nei Paesi Bassi nel mese di agosto.

Dopo aver lavorato come carpentiere nei cantieri di Zaandaw e Amsterdam, raggiunse l’Inghilterra nel gennaio del 1698 e li rimase quattro mesi; lo avevano  colpito le navi inglesi e ad esse si ispirerà quando costruì la sua flotta.

Poi, attraversando i Paesi Bassi, e passando per Le Halle, Lipsia, Dresda e Praga giunse a Vienna in giugno dove si trattenne cinque settimane.

In Prussia, potè  impratichirsi di artiglieria, nei Paesi Bassi e in Inghilterra di costruzioni navali e altre tecniche mercantili, ovunque mostrava una insaziabile curiosità per le installazioni tecniche.

Richer (Histoire de Russie), aveva scritto “La genialità istruiva Pietro su ciò che mancava alla Russia

Come immediato risultato dei viaggi dello zar, la Russia poté assicurarsi i’ausiiio di quasi un migliaio di esperti stranieri, marinai, artificieri, carpentieri, matematici, chirurghi e lavoratori specializzati di ogni genere, nonché dei loro libri e strumenti. Poi cominciò anche a capire che il benessere e l’efficienza che tanto ammirava nell’occidente europeo, non potevano essere trapiantati in Russia senza l’adozione di nuove istituzioni di tipo occidentale.

L’altro obiettivo di questo viaggio cioè l’idea di creare una nuova e grande coalizione contro i turchi si dimostrò invece irrealizzabile.  

Al ritorno Pietro (1698) si rese conto di quanto la Russia fosse arretrata rispetto ai Paesi visitati e rivedendo i  bojari della sua corte con i lunghi abiti asiatici e le lunghe barbe, si fece portare un paio di forbici e si mise egli stesso a tagliarle ai presenti, escludendo il solo patriarca e due attempati bojari.

Nel successivo mese di settembre, in cui si festeggiava il capodanno russo, a una festa del generalissimo Sein, diede incarico a un buffone di tagliare la barba a tutti i presenti.

Il clero si oppose a questo malcostume che snaturava la natura data dal Creatore e un giorno i “rasati” si sarebbero trovati tra i dannati:  la barba divenne il simbolo della contesa tra partigiani del progresso e partigiani  della tradizione russa; e poiché lo zar non poteva aspettare lo sviluppo dei processi evolutivi, tagliò corto e coattivamente dispose che ufficiali, impiegati, e abitanti della città, dovessero alleggerirsi della barba, esclusi ecclesiastici e contadini; chi voleva proprio tenerla, doveva pagare una tassa che andava, a seconda della categoria, dai cento ai sessanta rubli; ma il provvedimento ebbe scarso successo.

Pietro introdusse anche l’uso delle parrucche incipriate e poiché per lo zar ne era stata preparata una piuttosto abbondante, egli a colpi di forbice la rese più contenuta; fece lo stesso con gli abiti che lui già prima del viaggio usava seguendo la moda francese o tedesca, imposta a tutti gli impiegati e ai militari, in quanto il kaftano in uso era di impaccio tanto nel lavoro quanto nelle esercitazioni militari; anche se aveva imposto ai contadini di procurarsi abiti ungheresi o tedeschi, questa riforma si realizzò solo nelle classi superiori e non nel popolo  (Gitermann).

 

 

 

IL VIAGGIO

A PARIGI

1717

 

 

L

o storico francese Charles Pinot-Duclos, noto e temuto per la sua sagacia, in una sua brillante, piacevole e gustosa esposizione nelle “Memorie segrete sul regno di Luigi XIV, della Reggenza e di Luigi XV (Memoires sécretes  sur le régne de Louis XIV, la Régence e de Louis XV: sulla vita corrotta del reggente, Duclos, non si era risparmiato, e se la pandemia ci lascerà in vita, ci auguriamo di pubblicare una parte di  quelle pagine, ndr.), ci ha lasciato il ricordo della permanenza dello zar a Parigi e oltre ad averci espresso spunti sulla persona dell’imperatore, aveva fatto osservazioni anche sulla sua personalità (e genialità dello zar di cui siamo fermamente convinti!), descrivendo tra l’altro: “Qualunque fosse il genio che si notava nello zar, a volte si lasciava sfuggire dei tratti di ferocia, ma mai niente di meschino”.

Scriveva inoltre che: - Lo zar aveva fatto entrare il suo impero nel sistema politico dell’Europa con cui la  Russia  occupa un rango notevole, ma le scienze e le arti sembrano, in quel paese, delle piante esotiche delle quali è necessario rinnovare la semina.

Comunque sia, prosegue Pinot-Duclos, lo zar, per gettare le fondamenta dcl grande edificio che progettava, aveva viaggiato per tutti gli stati del Nord Europa, cercando sempre di istruirsi per istruire in seguito i suoi sudditi. E continua.

Era già da molto tempo che lo zar desiderava vedere la Francia sin dagli ultimi anni di regno di Luigi XIV, ma il re, a causa delle infermità dell’età avanzata e non essendo più in grado, per lo stato delle finanze, di sfoggiare i fasti della sua corte brillante,  lo aveva distolto da questo progetto nel modo più garbato possibile.

Lo zar, qualche tempo dopo la morte di Luigi XIV, aveva incaricato il principe Kurakin (Aleksandr Borisovic, 1697-1749), suo ambasciatore, di comunicare alla nostra corte il suo desiderio di vedere il re (Luigi XV, che nel 1717 aveva sette anni sotto la reggenza del nipote di Luigi XIV, Filippo II d’Orleans 1674-1723), e di annunciare che partiva.

Lo zar e Kurakin, prosegue Pinot-Duclos (che in questa parte più generale riassumiamo ndr.) avevano sposato due sorelle, sebbene la moglie dello zar fosse stata ripudiata (come abbiamo visto sopra), rinchiusa in un convento, Kurakin non aveva perso la fiducia dello zar. Infatti aveva mandato Kurakin a Roma dove rimase tre anni per convincere quella Corte che lo zar voleva abbracciare la religione cattolica: lo zar aveva sentito la necessità di reprimere il clero e abbassare il patriarca; era stato con l’appoggio dei patriarchi che la casa regnante (Romanov) si era insediata sul trono e chi l’aveva fatta salire poteva anche farla discendere.

Lo zar preferiva la sua sicurezza alla riconoscenza  e prese le giuste misure: cacciò il patriarca di Mosca e si fece egli stesso patriarca della chiesa russa; e la Corte romana perdeva questa grande occasione.

Le cose erano a quesl:o punto, quando lo zar venne in Francia: lo zar aveva del risentimento nei confronti di re Giorgio (II, tedesco, duca di Brunwik-Luneburg, fu re d’Inghilterra ndr.), in quanto lo zar stava facendo diversi canali (per la navigazione, tra i quali quello del Lago Ladoga ndr.) e re Giorgio gli aveva impedito di farne uno che attraversava la Germania.

Quando era giunto ad Amsterdam l’ambasciatore inglese, mentre egli si stava recando al porto, aveva chiesto udienza e lo zar pensò di fargli “uno scherzo da paggio” (per noi “scherzo da prete”) recandosi sulla tolda; fece dire di raggiungerlo sulla nave e quando l’ambasciatore vi giunse, dalla tolda gli gridò che lo riceveva in udienza. L’ambasciatore mal sicuro l’avrebbe evitata ma non osò manifestare la sua paura. Lo zar gli concesse udienza e dopo aver lungamente gioito della paura del ministro, lo congedò.

Il rango e i meriti dello zar, scrive Pinot-Duclos,  esigono che io scriva una specie di  breve diario del suo arrivo e soggiorno.

Il Reggente aveva mandato a Dunquerque il marchese de Nésle e du Libois, gentiluomo ordinario, con il seguito del re, per riceverlo allo sbarco e affrancarlo dalle spese lungo la strada e fargli rendere gli onori dovuti al re. Il maresciallo de Tessé lo precedette fino a Beumont e lo accompagnò a Parigi dove giunse il sette maggio.

 

 

RIFIUTA IL LUSSO

DEL LOUVRE

E FA METTERE

IL SUO LETTO DA CAMPO

IN UN GUARDAROBA

 

 

 

L

o zar giunse  al Louvre alle nove di sera, condotto nell’appartamento della regina, dove tutto era illuminato e superbamente ammobiliato, lo trovò troppo bello; chiese un alloggio indipendente e risalì immediatamente in carrozza. Lo condussero al palazzo di Lcsdiguières, vicino all’Arsenale. Poichè i mobili non erano meno magnifici, si rese conto di dover prendere una decisione al momento. Fece tirar fuori da un carro che lo seguiva, un letto da campo e lo fece mettere in un guardaroba.

Verton, uno dei maggiordomi del re, era incaricato di preparare per il principe, mattina e sera una tavola per quaranta coperti, senza contare quelle per gli ufficiali e domestici.

Il maresciallo de Tessé aveva la sovraintendenza per tutta la casa e doveva accompagnare dappertutto lo zar, scortato da un drappello di guardie del corpo.

Lo  zar era alto,  ben fatto,  molto magro (da giovane, poi per il mangiare e per il bere andò fuori misura! ndr.), col colorito bruno acceso, gli occhi grandi e vivi, lo sguardo penetrante e qualche volta fiero, soprattutto quando lo coglieva un movimento convulso del viso che squassava tutta la sua fisionomia. Questo tic era una conseguenza del veleno che gli era stato dato nell’infanzia; ma, quando voleva fare buon viso a qualcuno, la sua fisionomia diventava sorridente e non mancava di grazia, pur conservando sempre una certa maestà sarmata (equivaleva all’orgoglio della nobiltà polacca ndr.).

I suoi movimenti bruschi e precipitosi svelavano l’impetuosità del suo carattere e la violenza delle sue passioni. Nessun senso di convenienza poteva fermare il moto dei suoi sentimenti e una cert’aria di grandezza, mista ad audacia, annunciava un principe che si sente padrone ovunque.

L’abitudine al dispotismo faceva sì che la sua volontà, i suoi desideri, le sue fantasie si succedessero rapidamente e che egli non potesse sopportare la minima contrarietà, di tempo, né di luogo, né di circostanze.

Qualche volta, importunato dall’affluenza degli spettatori, ma mai imbarazzato, li congedava con una parola o un gesto, oppure usciva per andare sull’istante dove la sua curiosità lo chiamava.

Se gli equipaggi non erano pronti, entrava nella prima vettura che trovava, foss’anche una carrozza di piazza. Un giorno prese quella della marescialla de Matignon, che era venuta a visitarlo, e si fece portare a Boulogne: il maresciallo de Tessé e le guardie correvano come potevano per seguirlo. Due o tre avventure di questo genere fecero sì che si tenessero sempre al seguito delle carrozze e dci cavalli pronti.

Per quanto poco paresse occuparsi dell’etichetta del suo rango, c’erano delle occasioni nelle quali non la trascurava; qualche volta sottolineava con sfumature assai sottili la distinzione tra le varie dignità e le varie persone.

Eccone alcuni esempi.

Poiché aveva una grande impazienza di percorrere la città, fin dal momento del suo arrivo, non volle uscire di casa senza aver ricevuto prima la visita del re.

Il giorno successivo all’arrivo dello zar, il reggente andò a visitarlo. Lo zar uscì dal suo studio, dopo averlo abbracciato, mostrandogli con la mano la porta dello studio, subito si voltò e passò per primo, seguito dal reggente e dal principe Kurakin che faceva loro da interprete. Vi erano due poltrone delle quali lo zar occupò la prima , Kurakin rimase in piedi. Dopo mezz’ora di conversazione, lo zar si alzò e si fermò dove aveva ricevuto il reggente che ritirandosi fece una profonda riverenza alla quale lo zar rispose con una inclinazione della testa.

Il lunedì 1o maggio, il re andò a fare la sua visita. Lo zar scese nel cortile, ricevette il re quando scese dalla carrozza e tutti e due, camminando sulla stessa linea, il re alla destra, entrarono nell’appartamento dove lo zar gli indicò la prima poltrona cedendogli dappertutto il passo. Dopo qualche istante dall’essersi seduti, lo zar si alzò, prese il re tra le braccia, lo abbracciò ripetutamente, con gli occhi inteneriti, con l’aria e il trasporto della più marcata tenerezza. Il re, sebbene fanciullo non ne fu minimamente sorpreso, fece un piccolo complimento e si prestò volentieri alle carezze dello zar. I due principi osservarono, uscendo, lo stesso cerimoniale dell’arrivo. Lo zar, dando la mano al re fino alla carrozza, osservò sempre il comportamento da eguale e se si permise in qualche momento, e probabilmente volutamente, una sorta di superiorità che può dare l’età, egli cercò di nasconderla con carezze e dimostrazioni di affetto verso il fanciullo che prendeva tra le sue braccia. 

L’indomani, lo zar rese la visita al re. Sarebbe stato ricevuto quando scendeva  dalla carrozza, ma, appena vide, nel vestibolo delle Tuileries, il re che camminava verso di lui, saltò dalla carrozza, corse verso di lui, lo prese in braccio, salì così le scale e lo portò fino all’appartamento. Tutto si svolse esattamente come il giorno prima, con l’eccezione dclla mano, che il re in casa sua diede dovunque allo zar, come gli era stata offerta a casa di questo principe.

Dopo aver ricevuto la visita del re, lo zar non fece che andare in giro per Parigi, entrando nei negozi e dagli artigiani, fermandosi ogni volta che veniva attratta la sua attenzione, discutendo con gli artisti per mezzo del principe Kurakin e dando a tutti un saggio della sua intelligenza e delle sue conoscenze.

Le cose di puro gusto e di ornamento lo toccavano poco, ma tutto quello che costituiva oggetto utile, in rapporto alla marina, al commercio, alle arti necessarie, eccitava la sua curiosità, fissava la sua attenzione, faceva ammirare la sagacia di una mente aperta, pronta a istruirsi quanto avida di sapere.

Non diede che un leggero colpo d’occhio ai diamanti della corona, messa in mostra per lui; ma ammirò le opere di Gobelins, andò due volte all’ Osservatorio, si fermò lungamente al Giardino delle Piante, esaminò le sale dedicate alla meccanica e si trattenne con i carpentieri che stavano facendo il ponte girevole.

Si può facilmente capire che un principe di tal fatta non fosse ricercato nel vestiario. Un abito di barracano o di panno, un largo cinturone dal quale pendeva una sciabola, una parrucca rotonda, senza cipria, che non oltrepassava il collo, una camicia senza polsini di merletto: questo era il suo abbigliamento.

Aveva ordinato una parrucca. Il parrucchiere non dubitò che ne dovesse avere una alla moda, come lo erano allora, lunga e ricca; lo zar le fece dare un colpo di forbice tutt’intorno, per ridurla alla forma di quella che portava.

Madame, madre del reggente, la duchessa de Berri e la duchessa d’Orléans si erano aspettate di ricevere la visita dello zar, dopo quella fatta al re ma, non avendone sentito dir niente, gli mandarono i loro complimenti, ognuna attraverso il suo primo scudiero. Lo zar andò subito a visitale nell’ordine in cui le ho indicate e fu ricevuto come fosse stato il re.

 

 

CORREGGE

LE MAPPE

 DEI SUOI STATI

 

 

I

l giorno che fece visita a Madame, venerdì 14, il reggente venne a trovarlo e lo condusse all’Opera nel gran palco, e ambedue sedettero soli sulla stessa panca. Verso la metà della rappresentazione, lo zar chiese della birra, il reggente la fece portare all’ istante, si alzò e porse un bicchiere su una sottocoppa e poi un tovagliolo. Lo zar bevve senza alzarsi, restituì il bicchiere e il tovagliolo al reggente sempre in piedi e ringraziò con un sorriso e un segno della testa, poi uscì dall’Opera al quarto atto, per andare a cena.

Faceva colazione alle undici e cena alle otto. Il costo di questi pasti era di milleottocento lire al giorno. Egli era sempre splendidamente servito sebbene il primo giorno avesse ordinato sempre del risparmio. Non era per sobrietà; egli amava la tavola e non voleva sopprimere che il lusso. 

Mangiava eccessivamente a colazione e a cena, beveva due bottiglie di vino a ciascun pasto e ordinariamente una di liquore al dessert, senza contare la birra e la limonata durante i pasti. Molti dei suoi ufficiali gli tenevano testa e tra gli altri il suo elemosiniere che per questo motivo amava e stimava. Egli alcune volte con loro si dava agli eccessi, tanto che alle volte dovevano essere portati via nell’oscurità.

Lo zar fece una visita personale al reggente; ma non ne fece altre a nessuno della famiglia reale, principe o principessa, se non alle tre appena nominate.

Gli avevano detto che i principi del sangue sarebbero venuti a fargli visita, se avesse promesso di recarsi a visitare le principesse. Rifiutò con alterigia questa visita condizionata e non se ne parlò più.

Se le visite d’etichetta, gli spettacoli e le feste lo divertivano poco, non era così per le cose che potevano istruirlo. Lo stesso giorno che era andato all’Opéra, aveva passato l’intera mattina nella galleria delle mappe, diretta dal maresciallo de Villars dove Pietro, precisa Voltaire: che era meccanico, artista, geometra, apportò con la propria mano delle correzioni riguardanti i suoi stati e sopratutto a quelle del Mar Caspio. Il marcsciallo poi, seguito dai generali, lo accompagnò ancora agli lnvalides il 16, giorno della Pentecoste.

Lo zar aveva voluto vedere tutto, esaminare tutto e finì con il refettorio, dove chiese un bicchiere dei vino dci soldati, bevve alla loro salute, trattandoli da camerati, battendo sulla spalla di quelli che gli erano vicino. Egli notò tra le spettatrici la marescialla de Villars, che aveva un aspetto appariscente, venne a sapere chi fosse e le fece un saluto distinto.

Il maresciallo d’Estrées gli offrì un pranzo nella sua casa d’Issi il martedì 18 che a lui piacque molto per le carte e le piante della marina che gli mostrò.

Lo zar, passando per le Tuileries il 24, andò dal maresciallo de Villeroi, dove il rc giunser come per caso. Ogni cerimoniale fu allora soppresso e io zar si lasciò andare ancora ai più vivi trasporti di tenerezza.

 

 

ALLA SORBONNE

ABBRACCIA LA STATUA

 DI RICHELIEU

 

 

 

L

a sera stessa, si recò a VersaiIles  e passò tre giorni a visitare il castello, il serraglio, il Trianon, Mairly e sopratutto la macchina (idraulica che pompava l’acqua alle fontane ndr.), più ammirevole allora che non lo sia oggi che la meccanica è più perfezionata.

Il principe dormì al Trianon dove i suoi ufficiali avevano portato delle ragazze nell’appartamento di madame Maintenon; ciò che Bonin, vecchio servitore della favortita,  vide come una profanazione. I loro costumi facevano l’effetto di un forte contrasto con gli ultimi anni di Luigi XIV. Alcuni hanno ritenuto che lo zar e i suoi ufficiali si siano dispiaciuti della compagnia che avevano portato.

IL 30 maggio andò a pranzo a Petisbourg, dal duca d’Antin che lo portò lo stesso giorno a Fontainbleu dove il conte di Toulouse, il giorno seguente, gli offrì il piacere della caccia.

Egli, al ritorno volle pranzare con i suoi nell’isola d’Etang. Il conte di Touluse e il duca d’Antin dovettero esser grati allo zar per non essere stati invitati. Essi dovettero portare il principe e i suoi amici nelle carrozze, per andare a Petisbourg dove giunsero in uno stato estremamente pietoso.

Il martedì primo maggio i fumi della veglia erano dissipati e lo zar s’imbarcò sulla Senna per recarsi a Parigi. Egli si fermò a Choisy, dove lo ricevette la vedova, principessa de Conti. Dopo aver attraversato il giardino, egli salì sulla gondola, attraversò Parigi passando sotto tutti i ponti e scese alla porta della Conférence.

Il 3, ritornò a passare diversi giorni a Versailles, a Marly, al Trianon, che voleva rivedere più nei dettagli. L’11 egli si recò a Saint-Cyr, visitò tutte le classi, si fece spiegare gli esercizi dei collegiali e, si recò subito da madame de Maintcnon; questa, avcndolo previsto, si era messa a letto con le tende dcl baldacchino e delle finestre tirate. Lo zar entrò, aprì le tende delle finestre e poi quelle del letto, la considerò con attenzione e uscì senza dir motto e senza usarle la minima gentilezza (la Maimtenon aveva dato una versione diversa, scrivendo che lo zar si era seduto e avevano conversato ndr.).

Madarne de Maintenon rimase strabiliata da una visita così strana e dovette avvertire la differenza dei tempi.

Il giorno che si recò a visitare la Sorbonne, lo zar testinoniò una maggiore considerazione alla statua del cardinalc  Richelicu, di quanta non ne avesse avuta per la persona dt madame de Maintenon. Appena avvistò la tomba deI cardinale, corse ad abbracciare la statua del ministro, indirizzandogli queste parole: “Darei la metà del mio impero a un uomo come te, per aiutarmi  a governare l’altra metà”.

Lo zar andò a cena il 15 dal duca d’Antin. Madame la duchessa vi si recò con le principesse sue figlie per vederlo almeno una volta prima della partenza. Il duca d’Antin, volendo soddisfare la loro curiosità, impegnò il principe ad andare nel giardino e lo condusse lungo l’appartamento del piano-terra dove le principesse con il loro seguito erano alle finestre. Avvicinandosi ad esse, lo zar fu avvertito che c’era la duchessa che desiderava vederlo. Egli non rispose, né chiese quale fosse, proseguì lentamente, le guardò tutte, le salutò in generale con un solo cenno della testa e proseguì oltre.

Lo zar entrando nella sala da pranzo fu colpito dal vedere un ritratto della zarina che il duca d’Antin aveva trovato il modo di procurarsi. Questa galanteria gli piacque molto da gridare che solo i francesi fossero capaci di una cosa simile. E non tardò a vederne ancora un’altra più marcata che indicherò alla sua data.  

Il 16, assistette alla rivista della casa dcl re. La magnificenza delle uniformi parve non piacergli. Senza aspettare la fine, se ne andò bruscamente e, al galoppo, si recò a Saint-Ouen, dove cenò dal duca de Tresmes,

Lo zar parlava facilmente il latino e il tedesco, avrebbe potuto farsi capire anche in francese che comprendeva molto bene; si sospettava che servirsi di un interprete, fosse un fatto di dignità. 

Il 18, ricevette l’ultima visita del reggente e si recò a prendere congedo dal re che il giorno dopo andò a salutarlo. Non fu osservato alcun cerimoniale, ma si notarono sempre le stesse effusioni affettuose e lo stesso intenerimento da parte dello zar.

Lo stesso giorno questo principe assistette, in una tribuna della gran sala, al giudizio di una causa. L’avvocato generale Lamoignon, oggi cancelliere, nel riassumerla, parlò dell’onore che la corte riceveva quel giorno e lo fece verbalizzare.

 

 

 

ALL’ACCADEMIA

 DELLE SCIENZE

E BELLE LETTERE

 

 

 

N

el pomeriggio lo zar si recò all’Accademia delle Scienze e subito dopo a quella delle Belle Lettere c assistette all’assemblea convocata in via straordinaria; queste due società l’occuparono, ciascuna nella materia di propria competenza; egli prese parte all’una e all’altra sessione e fece sedere gli accademici.  

La  galanteria che gli fu fatta e ho annunciato, fu alla zecca delle medaglie. Lo zar dopo aver esaminato la struttura, la forza e il funzionamento del bilanciere, si unì agli operai per metterlo in movimento. Nicnte può descrivere la sua sorpresa quando vide uscire sotto il conio, il suo ritratto, superiore, per la rassomiglianza e l’arte a tutte le medaglie che erano state battute per lui; egli fu altrettanto soddisfatto del  rovescio.   Si trattava di una Fama che passava dal nord a sud con questo motto di Virgilio: “Vires acquirit eundo, una allusione alle conoscenze che egli avrebbe acquistato nei suoi viaggi.

Lo zar accettò dal re due tagli di tappezzerie dei Gobelins e rifiutò una spada guarnita di diamanti. Egli offrì parecchie medaglie d’oro e d’argento con le principali azioni della sua vita e il suo ritratto arricchito di diamanti ai marescialli d’Estrées e de Tessé, al duca d’Antin e a Verton. Ebbe per quest’ultimo, che si era occupato del servizio durante il suo soggiorno, un’amicizia particolare e chiese al reggente di mandarglielo in Russia come incaricato d’affari della Francia.  

Fece distribuire sessantamila lire ai domestici che lo avevano servito. Testimoniò il più grande desiderio di costituire un’alleanza d’amicizia con noi; ma, poiché ciò non si accordava con il nuovo piano politico del reggente, o, piuttosto, dell’abate Dubois, gli fu risposto soltanto con vaghe dimostrazioni di affetto, che non ebbero alcun seguito.

Lo zar partì il 20 giugno per recarsi a Spa, dove aveva dato appuntamento alla zarina.

Partendo, egli si intenerì parecchio per la Francia e disse (profeticamente, settantadue anni prima! ndr.) che con dolore essa non avrebbe tardato a perdersi a causa del lusso.

 

 

 

 

FINE