IL DISCORSO
STORICO-CRITICO
DI VOLTAIRE
SULL’ASSASSSINIO
DI DON PEDRO IL CRUDELE
oltaire (1698-1778) aveva
scritto la tragedia “don Pedro”, ripresa
da una precedente tragedia “Pierre le
Cruel” di Laurent Du Belloy (1727-1775 autore de “Le Siége de Calais”, L’assedio di Calais”), che era stata solo rappresentata
a teatro ma non era stata pubblicata.
Voltaire era membro dell’Accademia Reale delle Scienze
e delle Lettere e si era messo in
contatto con du Belloy [anch’egli membro
dell’Accademia] scrivendogli per sapere se avesse intenzione di pubblicare il suo
testo [perché, aveva scritto Voltaire, così
si fa tra letterati], ma du Belloy gli aveva
risposto che rinunciava a trattare l’argomento, per cui Voltaire dopo aver
scritto il testo (1774) lo pubblicava l’anno successivo (anno in cui moriva du Belloy, mentre Voltaire moriva tre anni dopo).
L’opera è preceduta da una
lettera indirizzata a D’Alambert, segretario dell’Accademia Reale delle Scienze
e delle Lettere (v. in Art. La polemica
umanista sulle Differenze tra Platone e Aristotele continua, in Nota i F.lli
Boivin) e da un “Discorso storico-critico”
che traduciamo interamente, in cui Voltaire prende le difese di don Pedro e si
scaglia contro il suo assassino e usurpatore Enrico di Trastámara, uno dei numerosi bastardi di Alfonso XI di Castiglia - egli dice - che fece a suo fratello e suo re una guerra
che non era che una rivolta, facendosi dichiarare dalla sua fazione, legittimo
re di Castiglia.
Voltaire
prosegue.
Era stato
aiutato in questa impresa, da Guesclin [Bertrand de Guesclin 1320-1380] che poi divenne connestabile di Francia;
questo personaggio, era allora ciò che
in Italia si considera “condottiero”,
il quale aveva radunato una truppa di banditi e briganti con cui taglieggiava
il papa Urbano IV che si trovava ad Avignone.
Egli fu
completamente sconfitto da don Pedro e dal gran Principe Nero, sovrano della Guienna, il cui nome è immortale, ed era
stato lo stesso principe che aveva preso prigioniero il re Giovanni a Poitiers
e preso Guesclin a Navarette, mentre Enrico di Trastámara se ne fuggì in Francia e il partito dei bastardi continuava
a permanere in Spagna.
Trastámara protetto dalla Francia, ebbe la possibilità di far
scomunicare il re, suo fratello, dal papa che risiedeva ancora ad Avignone, che
si era legato per interesse con il re
Carlo V [di Francia, 1138-1380] e con il bastardo di Castiglia.
Il re don Pedro
fu solennemente dichiarato “bulgaro e non
credente” [vale a dire appartenente alla
setta dei bogomili v. in Art. I mille
anni dell’Impero bizantino, Cap. VIII P.I], erano questi i termini della
sentenza; ciò che è ancora più strano è che fu preso come pretesto che il re
aveva delle amanti.
Questi anatemi
allora erano tanto comuni come gli intrighi amorosi presso gli scomunicati e
presso gli scomunicanti; questi amori si mescolavano alle guerre più crudeli;
le armi dei papi erano più pericolose che al giorno d’oggi e i principi più
abili disponevano di queste armi.
Molti sovrani
erano caduti, e molti sovrani erano per cadere; i signori feudali pagavano con
grandi somme.
La detestabile
educazione che si dava allora agli uomini di tutti i ranghi e senza ranghi, che
si dava loro per lungo tempo e ne faceva dei bruti feroci che il fanatismo li
scatenava contro tutti i governanti.
I principi si facevano un
dovere sacro della usurpazione; un rescritto dato in una città d’Italia [Roma] in una lingua ignorata dalla
moltitudine (latino], assegnava un reame in Spagna
o in Norvegia; i rapitori di Stati, i predatori più inumani immersi in tutti i
crimini, erano reputati santi e spesso invocati quando, morendo, si facevano
rivestire del saio dei predicatori o dei frati minori [è noto che grandi personaggi in punto di morte si facevano indossare
il saio, che li mondava da tutti i
peccati e avevano così il passaporto per intraprendere la via diretta per il
Paradiso! ndt].
All’Accademia [di Francia] era stato detto che “i tempi dell’ignoranza erano stati i tempi della ferocia”; amo ripetere le
stesse parole di cui intendo esserne l’eco, per non essere considerato un
plagiario.
Trastámara rientrò in Spagna con una bolla in una mano e la spada
nell’altra; egli rianimò il suo partito; il gran Principe Nero era in fin di vita a Bordeaux e non poteva più
soccorrere don Pedro.
Guesclin fu
inviato per la seconda volta da Carlo V che approfittò del triste stato in cui
si trovava il Principe Nero; Guesclin
prese prigioniero don Pedro nella
battaglia di Montier tra Toledo e Siviglia.
Fu
immediatamente dopo questa giornata che Enrico di Trastámara entrava nella tenda di Guesclin dove si trovava suo fratello
disarmato, gridando “Dov’è questo giudeo figlio di p... che si
dice re di Castiglia e lo assassinò a colpi di pugnale.
L’assassino che
non aveva alcun diritto alla corona, che era egli stesso giudeo bastardo,
titolo che osò dare al legittimo re, fu riconosciuto re di Castiglia e la sua
casa regna tutt’ora in Spagna, sia nella linea maschile sia in quella
femminile.
Non deve
sorprendere che successivamente gli storici prendono il partito del vincitore
contro il vinto; quelli che hanno scritto la storia in Spagna e in Francia non
sono dei Taciti: e Mr Horace Walpole, inviato dall’Inghilterra in Spagna, ha
ragione di dire nei suoi dubbi su
Riccardo III [Dubbi storici sulla vita e regno di Riccardo III, 1788, ndt.], come è già stato sottolineato: “Quando un re fortunato accusa i suoi nemici, tutti gli storici si danno
da fare per servirlo come testimoni”, questa è la debolezza di troppe
persone di lettere; non che siano più vili o più bassi dei cortigiani di un
principe, criminale o fortunato, ma le loro debolezze sono durature,
Se qualche
vecchio ammiratore di Carlomagno si avventurasse a leggere un manoscritto di Fredegario o del monaco di san Gallo, egli
potrà esclamare “ah il mentitore!”,
ma si fermerebbe a questo; nessuno rivelerebbe l’ignoranza o l’assurdità del
monaco; egli sarà citato nei secoli successivi e diverrà un’autorità e un Don Ruinart riferirà la sua
testimonianza nei suoi atti sinceri.
E’ così che
tutte le leggende del medioevo sono
riempite delle favole più ridicole e la storia antica certamente non ne è
esente; quelli che mentono al genere umano sono sovente animati dalla stoltezza
della rivalità nazionale.
Non vi è nessuno
degli storici inglesi che abbia mancato l’occasione di fare commenti sui
francesi, alcune volte con una rozzezza ridicola.
Veli e Villaret denigrano gli
inglesi tanto, fin quanto possono; Mezeray non risparmia mai gli spagnoli: un
Tito Livio non potrebbe commettere certe parzialità, egli viveva in un tempo in
cui la sua nazione esisteva sola nel mondo conosciuto: romanos rerum dominos (romani padroni di tutto); tutte le altre [nazioni] erano ai suoi piedi.
Ma al giorno d’oggi
che la nostra Europa è divisa in tanti domini che si bilanciano tra di loro;
oggi che tanti popoli hanno i loro grandi uomini in tutti i campi, chiunque
volesse adulare troppo il suo piccolo paese, rischia di dispiacere agli altri,
se per caso egli ne fosse eletto, e deve aspettarsi poco dalla riconoscenza dei
suoi.
Non si è mai
amata la verità come nel tempo presente; non resta che scoprirla.
Nelle questioni
che si sono sollevate così sovente tra tutti i posti d’Europa, è ben difficile
scoprire da che parte stia il diritto, e quando lo si è riconosciuto, è
pericoloso dirlo.
La critica che verrà
fatta dopo circa un secolo, per distruggere i pregiudizi dai quali la storia è
sfigurata, è servita più di una volta a sostituire i nuovi errori agli antichi.
Hanno fatto
tanto che tutto è divenuto problematico dopo la legge salica fino al sistema delle
Lafs [Laws-Leggi (*)]; a forza di scavare, non
sappiamo più dove siamo arrivati! [esclamativo del traduttore].
Non solo non conosciamo
più l’epoca della creazione dei sette elettori in Germania, del Parlamento in
Inghilterra e della parità in Francia. Non vi è una sola Casa sovrana di cui si
possa fissare l’origine.
E’ nella storia
che il caos è l’inizio del tutto. Chi potrà risalire alla fonte dei nostri usi
e delle nostre opinioni popolari?
Perché è stato dato il soprannome a Giovanni il Buono, a questo re che iniziò il regno facendo morire in
sua presenza il connestabile, senza alcuna forma di processo; che aveva assassinato
quattro cavalieri a Rouen e si comportò così miserabilmente durante tutto il
suo regno, che perdette la metà del regno e rovinò l’altra?
Perché è stato dato a questo don Pedro legittimo re di Castiglia,
il nome di “crudele” che doveva essere dato al bastardo Enrico di
Trastámara assassino di don Pedro e usurpatore? Perché si chiama “beneamato” quello sciagurato di Carlo
VI che aveva diseredato suo figlio in
favore di uno straniero, nemico e oppressore della sua nazione, che aveva
immerso tutto lo Stato nella più
orribile sovversione di cui è stata conservata la memoria?
Tutti questi sopranomi, o piuttosto nomignoli che gli storici
ripetono ancora senza darne il senso, non vengono dalla stessa causa che fa che
un fabbriciere che non sa leggere,
ripeta il nome di Gregorio il Taumaturgo, Alberto Magno, di Giuliano
l’Apostata, senza sapere cosa
significano questi nomi?
Una certa città fu chiamata la santa o la superba, in cui non vi era niente di santità né di grandezza.
Un certo vascello fu chiamato il
fulminante, l’invincibile, che
gli fu dato mentre usciva dal porto.
La storia, troppo sovente, non è stata che il racconto di favole
e di pregiudizi; quando si intraprende una tragedia ricavata dalla storia, che
cosa si fa? l’autore sceglie la favola o
il pregiudizio che più gli piace; egli nella composizione, potrà riguardare
Scevola [Muzio] come il rispettabile vincitore della libertà pubblica, come un
eroe che punisce la sua mano per essersi sbagliata a uccidere un altro, che il
fatale nemico di Roma. Quello potrà rappresentare Scevola come un vile spione,
un assassino fanatico, un Poltrot (Jean de Poltrot aveva ucciso il cattolico
duca Francesco di Guisa ndt.), un
Balthasar Gerard [assassino di Guglielmo I
d’Orange].
Questo spagnolo [Gerard aveva dichiarato di
essere suddito del re di Spagna in quanto Filippo II di Spagna aveva promesso
di pagare venticinquemila scudi per chi avesse ucciso Guglielmo I d’Orange
detto “il Taciturno” ndt.], era stato presso Francesco I un capitano coraggiosissimo e molto
imprudente, vinto per sua colpa, avendo
mancato alla sua parola (**).
Un professore del Collegio reale lo metterà in cielo per aver
protetto le lettere. Un luterano della Germania lo immergerà nell’inferno per
aver fatto bruciare dei luterani a Parigi, mentre li bruciavano nell’impero. E
se gli ex gesuiti fanno ancora brani di teatro, essi non mancheranno di dire
con Daniele “che essi avranno fatto
bruciare il delfino se questo delfino non avesse creduto alle indulgenze, tanto
questo grande re aveva pietà”.
Abbiamo una tragi-commedia spagnola in cui Pietro, che chiamiamo il crudele non è chiamato altrimenti che il giustiziere, titolo che gli fu dato
spesso da Filippo II.
Ho conosciuto un giovane
che aveva scritto una tragedia di Adonia e Salomone; egli rappresentava
Salomone come il più barbaro e il più vile di tutti i parricidi o fratricidi.
Sapete bene, egli diceva, che il Signore in un sogno gli donò la saggezza?
Potrà anche essere, egli disse, ma egli, al suo risveglio, non gli donò l’umanità.
Vi sono delle declamazioni nelle scuole, sotto il nome di storie
o drammi, o sotto altri nomi, nelle quali la nazione che si celebra è sempre la
prima del mondo; i suoi soldati mal pagati, i primi eroi del mondo, sebbene si
diano alla fuga. La città capitale che non ha che case di legno, la prima città
del mondo; il seggiolone con i chiodi dorati su cui un re goto o alano si
sedeva, il primo trono del mondo: e chi lo ha costruito, il primo nel suo
campo, sarà allora, probabilmente l’uomo più matto del mondo, se egli non si
trova tra persone ancora più matte, che fanno per venti con critica ragionata
dei brani nuovi; critica che se ne va l’indomani con il brano, nell’abisso
dell’eterno oblio.
Si levano alcune volte al cielo antichi cavalieri difensori o
oppressori di donne e delle chiese, superstiziosi e dissoluti, ora ladri, ora
prodighi che combattono a oltranza gli uni contro gli altri per l’onore di
qualche principessa che ha molto poco onore.
Tutto ciò che si può fare di meglio (a me sembra) quando si
divertono a metterle in scena, è di dire con Orazio
Seditione dolis, scelere, atque libidine et ira.
Iliacos intra muros peccatur et extra.
(Con discordia, ribellione, inganni, brama e ira,
si pecca dentro e fuori le mura di Troia)
*) Voltaire in
questo suo scritto aveva voluto usare un termine inglese; egli negli anni più
giovanili era stato in Inghilterra e tra le sue doti era annoverata la
conoscenza della lingua inglese che, da quanto si diceva, aveva imparato durante
il suo soggiorno, ma molti ne dubitavano e Voltaire quando si toccava
l’argomento era sempre elusivo; nella visita che gli aveva fatto il
simpaticissimo e spiritoso James Boswell (“Visita
a Rousseau e Voltaire” Adelphi: i due personaggi erano pressoché
intrattabili! ndr.), aveva toccato
l’argomento chiedendogli se parlasse ancora l’inglese e Voltaire gli aveva risposto
con la sua solita ironia, che “per parlare l’inglese occorre mettere la
lingua tra i denti che io non ho più”!
**) Non è chiaro perché
Voltaire abbia scritto “manquant à sa parole”
(mancando alla sua parola), forse perché Gerard quando era stato preso, si era
lasciato sfuggire di essere suddito del re di Spagna, facendo capire chi fosse
il mandante dell’assassinio.
Gerard si era impegnato a uccidere Guglielmo d’Orange senza aver
ricevuto nessun acconto sul compenso, in quanto Filippo II aveva promesso che
avrebbe versato la somma indicata solo dopo l’assassinio; Gerard era stato
preso subito dopo aver sparato a Guglielmo e gli era stata fatta fare una morte
orrenda (Guglielmo era protestante e i cattolici ... poco cristianamente, avevano
inneggiato all’assassinio!).
Filippo II aveva gratificato i familiari con proprietà
immobiliari e titolo nobiliare, senza versare però la somma promessa a Gerard,
probabilmente perché egli, come il padre, pur
essendo straricco per i galeoni di oro e argento che arrivavano dalle
Indie, erano sempre in bolletta e pieni di debiti!

L’UNIFICAZIONE
DEL REGNO
DI CASTIGLIA E LEON
opo che i Mori si erano impadroniti della Spagna (711-718) il
primo a combatterli era stato don Pelagio, figlio di Favila duca di Cantabria e
di Luce, di discendenza gotica, il quale, dopo aver conquistato le Asturie, la
Galizia e Leon con il capoluogo Astorga,
moriva (†737), come re di Oviedo o di
Gijon, così come buona parte dei suoi successori.
A Pelagio come primo re (716), la prima volta, era stato attribuito
il titolo di don, riservato fino a
quel momento ai santi; l’origine di questo “don”
era ebraica e il termine era corrispondente al latino “Dominus”.
In seguito alle prime conquiste, con quelle nel corso dei
successivi secoli, saranno accorpati i territori delle Asturie, Galizia,
Navarra e Biscaya, si formerà poi il regno di Leon che si unirà a quello di
Castiglia (che tra Vecchia e Nuova, attraversava tutta la Spagna da nord a sud
fino a Siviglia).
Questa unione dei due maggiori
regni si era verificata in ritardo in quanto, ogni qualvolta essi erano
riuniti, a ogni successiva morte del monarca erano diversamente assegnati ai vari
figli; con la conseguenza che alla prima unificazione avvenuta con il
matrimonio (1035) di Ferdinando I di Castiglia, detto il Grande (1016-1065) con
Sancia I, unica figlia di Alfonso V, re di Leon, alla loro morte erano
succeduti (con divisione dei regni), Sancio II (Castiglia 1065-1072), Alfonso
VI (Leon 1065-1072) e Urraca I (Castiglia e Leon 1109-1126); Alfonso VI era stato
seguito dal nipote Alfonso VII (detto l’imperatore),
che riuniva i regni di Leon e Castiglia, alla quale era stata nel frattempo
unita la Galizia.
La loro unione definitiva avvenne
(1230) con Ferdinando III († 1252) il quale aveva ereditato dal padre Alfonso IX il regno di
Castiglia e dalla madre Berenguera, che aveva abdicato (1217) in suo favore, il regno di Leon; Alfonso X il Saggio
(1252-1284), nel Codice da lui emanato (v. cit. Corpus juris civilis ecc.) si
dichiara “Re, per Grazia di Dio, di Castiglia,
Toledo, Leon, Galicia, Sevilla, Cordoba, Murcia, Badajos, Baerza y del Agarbe”.
L’Aragona (*) invece, seguiva
il proprio destino, separata dalla Castiglia; era stato Carlomagno a toglierla ai mori, facendone un
feudo carolingio, con la creazione della contea di Barcellona, assegnata,
prima, all’ambizioso goto Bera, che si era ribellato, e dopo che questo era
stato sconfitto, la contea era stata assegnata a Bernardo di Settimania, (v. in
Specchio dell’Epoca: Dhuoda ecc.) e per questo l’Aragona avrà una sorte
separata, come abbiamo detto, fino a Carlo I (1519)(**).
*) La
Catalogna rappresenta una semplice provincia dell’Aragona, nei tempi attuali
rivendica una assurda indipendenza dalla Spagna; quando regnava Carlomagno era
una contea, unificata al regno di Aragona nel 1137, seguita a sua volta dalla unificazione
dell’Aragona alla Spagna con Carlo I (1519) - nel 2019 - sono stati cinque
secoli ... che non risultano commemorati!
Avanzare rivendicazioni a distanza di nove secoli
costituisce una vera assurdità completamente fuori del tempo, giustificata da puro
e semplice fanatismo e ribellione verso l’autorità centrale, che tra l’altro
comporta un danno di perdite economiche inestimabili, come, peraltro si è già
verificato!
Purtroppo per questa sorta di rivendicazioni pseudo-nazionaliste
la Catalogna non è la sola, vi sono tante altre piccolissime entità (oltre ai
veri e propri nazionalismi che stanno venendo fuori un pò dappertutto) che invocano
una indipendenza fuori del tempo, in un’epoca in cui è l’aggregazione quella
che si dovrebbe perseguire e non la disgregazione verso la quale ci sta
portando il Presidente Donald Trump con l’abbattimento della globalizzazione,
con il ritorno ai dazi e ciò se fa bene agli USA, che sta avendo un periodo di
economia felice, alla quale però il fortunato Presidente (che è uscito
brillantemente dall’impeachment in
cui era stato cacciato) è estraneo, fa male agli altri paesi e in particolare
all’Europa, stretta in una crisi istituzionale dalla quale difficilmente potrà
uscire!
**) In Spagna non si ha alcuna notizia del
ricordo dell’avvenimento dei cinquecento anni della unificazione del regno; inutile
scrivere, per avere notizie, all’ambasciata di Roma che manda la richiesta
all’Istituto di Storia e Archeologia ... che non dà alcuna risposta!!!
Anche in Spagna avranno gli stessi problemi di burocrazia che abbiamo in Italia ... non
c’è da meravigliarsi dal momento che le origini sono comuni, in quanto,
istituita nell’impero da Carlo V, dalla Spagna era stata estesa al vice-regno
di Napoli e ducato di Milano ed ora la ritroviamo dominante e soffocante in
Italia ... e da quanto si è detto, anche in Spagna!
LE CRUDELTA’ DI PEDRO
SECONDO MATTEO VILLANI
E IL GESUITA PÉRE D’ORLEANS
ra gli storici che
si erano particolarmente distinti nel descrivere le crudeltà di Pedro, troviamo
il nostro Matteo Villani (1283-1363), vivente proprio quando regnava Pedro, il
quale, nella sua Cronaca, gli
dedicava due capitoli nei quali si scagliava in maniera virulenta contro di lui
(e dell’amante – bagascia - Maria
Padilla), dopo aver fatto, una modesta premessa di stile nella quale giustificandosi su ciò di cui stava per
scrivere, che avrebbe meritato
l’eleganza retorica di Tullio (M.T. Cicerone), egli rifuggendo i vocaboli che
dal pubblico per il quale scriveva sarebbero stati poco compresi (ritenendosi orgoglioso del suo scrivere rozzo, ma vero), metteva in pratica la sua usata lingua volgare.
Non sappiamo quali fossero state le sue fonti d’informazione,
all’epoca le notizie, magari anche se in qualche modo distorte o gonfiate,
viaggiavano rapidamente, sta di fatto comunque, che della uccisione dello zio del re di Aragona e dei venticinque baroni uccisi
di proprio pugno e della uccisione
dei dodici ambasciatori e dei quaranta cittadini - che egli riporta - non
abbiamo trovato riscontro.
E, riassumendo, Villani così si esprime. “Il crudelissimo e bestiale re di Spagna avendo, contro il volere e
consiglio dei suoi baroni palesemente accolto la sua concubina o più
volgarmente dicendo, bagascia, e quella sopra modo disonestamente magnificando
nel suo reame trascorse la sua tanto disordinata e sconcia vita che tutto
l’animo reale cambiò in crudele tirannia. Il forsennato re anticipando coloro
che avrebbero potuto imitare i suoi modi sozzi e sfrenati [...] come fiera crucciato, di sua
mano uccise due dei suoi fratelli bastardi e lo zio del re d’Aragona e ancor di
sua mano uccise venticinque dei baroni giustificandosi con le loro simulate
infamie. Mirabile e abominevole cosa che
un re cristiano [...] senza giudizio [...] facesse morire e che di sua sentenza egli fosse il manigoldo
e vile esecutore.
Il movimento del perverso
tirano non degno di essere nominato re, ma bestia selvaggia, venne in questi
giorni di tanta e furiosa pazzia che costringeva i baroni che gli erano rimasti
e scampati alla sua crudeltà e i comuni a giurare fedeltà e omaggio alla
bagascia sua [...]. I cittadini di
Siviglia eleggevano dodici saggi (era la
richiesta dei nobili di riprendere la regina Bianca, sotto riportata), che per
il loro dolce e savio parlare credevano di aver ritratto il re dalla folle e
sconcia domanda, il re non fece loro
risposta ma si toccò la barba e disse Per questa barba che male così avete
parlato e con tale breve e sospettosa risposta gli ambasciadori, impauriti,
tornarono a Siviglia.
Il re infellonito poco
appresso, n’andò in Siviglia e in una notte andando alle case di tutti i detti
ambasciatori, senza misericordia fece tagliare; né contento di tanto male in
pochi giorni circa quaranta cittadini fece uccidere nelle loro case.
“Io - conclude Villani - non
mi posso tenere che non mi morda con dente di perpetua infamia, la memoria di
iniquo tiranno [...]. Io ho letto e riletto nelle antiche scritture, quel che
si scrive degli antichi pagani, massimamente dei barbari e di simili cose ho
trovate, ma che tanta ingiustizia, tanta empietà e crudeltà fosse in un re
cristiano, non mi ricordo di aver mai letto giammai”.
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o storico “Pére D’Orleans”, al secolo Pierre-Josef
Dorleans (1641-1698), gesuita predicatore, tra le sue opere aveva scritto un panphlet su “Pierre le Cruel ou le
Chatimant de Dieu”, Pietro il Crudele
ovvero il Castigo di Dio (Limoges, 1853).
Appoggiandosi allo storico Mariana (anch’egli gesuita e non
tenero con don Pedro), accentua l’accanimento sulla sua crudeltà, e, fin dalle
prime pagine, esordisce indicando i due re che quasi contemporaneamente,
avevano occupato i troni di Castiglia e di Aragona, ambedue con lo stesso nome.
Il primo, Pedro IV d’Aragona (1319-1380) (*) e il secondo, don Pedro
di Castiglia, scrive D’Orleans, “ambedue ingiusti e crudeli, con la
differenza che Pedro d’Aragona, esercitava le ingiustizie e la crudeltà solo
quando lo ritenesse necessario per il successo dei suoi disegni che gli
ispirava l’ambizione, mentre Pedro di Castiglia lo era per la ferocia del suo
temperamento, naturalmente sanguinario, da cui aveva derivato il soprannome di
Crudele”.
“Essi”, prosegue D’Orleans,
“avevano a quell’epoca, ambedue delle buone qualità che contribuiscono a fare i
grandi re, di spirito, di valore, dell’attività svolta; per di più il
castigliano era un bell’uomo, aveva carnagione bianca, i tratti regolari, i
capelli biondi, alto di statura con un’aria di grandezza che lo rendeva
rispettabile. L’aragonese era molto brutto, con uno sguardo feroce, di piccola
statura ma aveva la precauzione di nascondere queste mancanze, non facendosi
vedere in pubblico se non con quella pompa che dona la maestà e non dispensando
nessuno dall’osservare l’etichetta stabilita per mantenere il rispetto dovuto
al re quando gli si parlava o lo si avvicinava: da ciò il soprannome che gli
era stato dato, di Cerimonioso”.
“Il castigliano” – continua
pére D’Orleans – sembrò avere un grande
talento per la guerra; l’aragonese conosceva meglio di lui l’arte di renderla
utile e non vi ricorreva se non per trarne un vantaggio; avevano ambedue lo
spirito duro, imperioso, arrogante; la loro ambizione e i loro capricci
sostituivano la legge; ma mentre la condotta dell’aragonese era misurata,
politica e molto moderata per impiegare il crimine quando venivano meno gli
altri mezzi, al contrario, il castigliano seguendo il torrente delle passioni
senza altro scopo che seguirle, insudiciò la sua vita con crimini che
ispiravano una lubricità sfrenata e la più barbara delle crudeltà: per definire
in una parola questi due principi, uno era Nerone, l’altro era Tiberio”.
“Pietro d'Aragona [salito sul trono all'età di
quattordici anni ndt.] era già un cattivo esempio per il suo nuovo vicino di Castiglia
e già famoso per essersi disfatto di un fratello e di un cognato, scomodi per
la sua ambizione: il primo era il fratello maggiore, Alfonso, morto fanciullo [morte che pére D’Orleans
attribuisce ingiustamente al fratello! ndt.]; il secondo era il cognato
Giacomo di Maiorca [appartenente a un ramo cadetto
d’Aragona], che aveva sposato la sorella, che Pietro, aveva accusato di
tradimento, facendolo processare e togliendogli l’isola, e altri due beni di
famiglia di Giacomo, il Rossiglione e la Cerdagna, che unifica al regno di
Aragona, mentre Giacomo, fuggitivo, riparava in Francia”.
D’Orleans, che scrive con estrema eleganza, trova sempre il modo
di inveire contro Pedro, definendolo una “tigre”
e, molto sottilmente, da buon gesuita [era nota la loro finezza
intellettuale] per fortuna di Pedro,
coinvolge il governatore della Castiglia Albuquerque, al quale attribuisce “la compiacenza
criminale per i vizi di Pedro ispirati dalla sua ambizione e interesse durante
la sua giovinezza, in modo da non
poterli più correggere in tempo”!
E lo storico prosegue: “Pedro
detto il Crudele, Castigo di Dio cominciò il suo regno con dei crimini che ispirarono subito il rammarico, ma che presto lo resero
odioso al popolo. Vi è da credere che i vizi di questo principe non erano da considerare
incorregibili se fossero stati repressi in tempo e se le potenti fazioni che
abusarono della sua giovinezza per appropriarsi della sua autorità o per
difendersi da quelli che essi sottomettevano non avessero fomentato le sue
mollezze o irritato la sua naturale ferocia che in seguito lo portò ai più
grandi eccessi”.
A proposito della pessima opinione che D’Orleans si era fatto di
Pedro, egli nel commentare quanto Mariana, calcando la mano, aveva scritto su
Pedro [attingendo anche lui dalla Cronaca
di Pedro Lopez d’Ayala (**)], dice che Mariana aveva
scritto “con fiele, che lo rende
sospetto, mentre bastava attenersi alla verità; non era necessario cambiare il
quadro; era sufficiente rappresentare il principe come era, per renderlo odioso alla posterità”.
Su Albuquerque, il padre gesuita, scrive:- “Aveva condotto i suoi affari e quelli del suo re con destrezza e la
fortuna lo aveva favorito fino a raggiungere il punto di prosperità che fa
ritenere chi arriva, al di sopra di ogni burrasca; egli riconobbe che la
politica che impiega il crimine con la virtù, rende spesso la virtù inutile e
non raccoglie che il frutto del crimine”.
“Conoscendo la inclinazione
del re portato ai più colpevoli piaceri, alla crudeltà e al sangue, egli aveva
lasciato le briglie quando la sua ambizione e i suoi interessi avevano avuto
bisogno di questa condiscendenza per portarlo dov’egli aspirava: egli non omise
nulla per correggere i vizi di un temperamento che egli stesso aveva
contribuito a corrompere: ma era troppo tardi, non era più tempo di raddrizzare
la piega di un uomo che faceva tutto piegare su di lui”.
D’Orleans nella descrizione di Enrico, assassino del fratello,
usa toni diversi:- “Enrico era un
principe pieno di fuoco, intraprendente, attivo, ambizioso moderato, quantomeno
per dissimulare, per piegare, per temporeggiare a proposito, flessibile per
adeguarsi a ogni situazione, in attesa dell'occasione, senza essere impaziente
e senza perdere il momento favorevole per approfittarne.
Liberale, popolare, affabile,
buon amico nei confronti degli amici sinceri, pronto a ricambiare nei confronti
di chi voleva ingannarlo, non vi era al suo tempo guerriero più bravo e pochi erano i capitani
che lo superavano; spesso non fu molto
fortunato ma nelle disgrazie, ben lungi dal lamentarsi dall’incostanza della
fortuna, egli seppe più d'ogni altro amministrare le sue risorse, egli seppe
prevedere il cambiamento che la fortuna avrebbe portato a lui e alla sua
famiglia quando suo padre morì”.
D’Orleans conclude la sua filippica su Pedro, scrivendo: “Pedro il Crudele era morto così odioso al
popolo che non fu difficile al vincitore [Enrico II], già riconosciuto re di
Castiglia e già padrone di gran parte del reame, di entrare in possesso del
rimanente”.
Per concludere sull’argomento, padre D’Orleans, non mostra
nessuna pietà cristiana verso don Pedro e non gli fa grazia neanche sulla sua
richiesta di sepoltura; Pedro infatti, nel suo testamento chiedeva di essere
sepolto nella cappella che aveva fatto costruire, unitamente a Maria e al
figlio Alfonso e che gli fosse messo il saio di san Francesco; su questa
richiesta, mentre lo storico Mariana [suo confratello], aveva dedotto che, “nonostante
i suoi disordini, Pedro era stato religioso”, egli più duramente ritiene
che Pedro “ai suoi disordini, avesse
aggiunto il sacrilegio e l’ipocrisia”!
*) Pedro IV d‘Aragona, era primogenito nato dal
primo matrimonio del re Alfonso IV il Benigno con la contessa Teresa di Urgell,
mentre in seconde nozze aveva sposato Eleonora, sorella di Alfonso XI di
Castiglia, dalla quale erano nati o due infanti
Fernando e Juan, che con la madre, dopo la morte del padre e la successione
di Pietro il Cerimonioso, erano andati a vivere in Spagna dove erano in
continuo stato di cospirazione, e certamente per questo motivo Pedro la fece
assassinare (1369).
**) Pedro Lopez d’Ayala (1322-1407), umanista
spagnolo, Cancelliere maggiore di Castiglia, figlio di Lope Ferrand Perez Lopez
d’Ayala, aveva il comando della truppa nell’esercito di Pedro, era l’autore,
tra altre opere, della celebre Cronica di
Castiglia, in cui erano riportati gli avvenimenti che riguardavano i re di
Castiglia che si erano succeduti da Pedro I di Castiglia, Enrico II, Giovanni I
ed Enrico III, che si erano susseguiti nell’epoca in cui egli stesso era
vissuto, dalla quale avevano attinto tutti gli storici che avevano trattato
quel periodo.
E CHI AVEVA POTUTO PARLAR
BENE DI PEDRO?
I GIUDEI
NELLE DUE LAPIDI DELLA
“SINAGOGA DEL TRANSITO”
DI TOLEDO
uando Pedro aveva nominato suo “ gran tesoriere” (ministro
delle finanze) Samuel Levi, tutti gli ebrei del regno avevano tirato un sospiro
di sollievo, perché intravedevano un periodo scevro dalle persecuzioni che di
continuo si abbattevano sulle loro teste.
Samuel, era stato scritto, “astuto
come tutti quelli della sua razza, aveva compreso l’importanza della sua
posizione e aveva rivolto tutti i suoi sforzi alla protezione dei giudei,
mettendo a profitto il carattere aperto e franco del monarca. I fratelli e i
grandi, i primi ambiziosi, i secondi amici delle novità e delle rivolte, avevano
convertito il regno di Castiglia in un teatro di guerra sanguinosa e fratricida
che terminava con l’assassinio del re”.
E quando Enrico si impossessava del trono, Samuel sarà accusato
di essersi appropriato delle entrate reali e morirà sotto le torture che gli
erano state inflitte, nelle “atarazanas”
di Siviglia, alle quali il suo fisico non aveva resistito.
E, durante il suo primo anno di regno (1369), gli ebrei di Toledo
furono trattati con egual durezza; ad essi, infatti, era stato imposto il
pagamento di ventimila dobloni d’oro con l’ordine, se la somma non fosse stata
pagata, della vendita dei loro beni e
delle loro persone come schiavi.
Don Pedro aveva permesso la costruzione dell’opera d'arte, voluta
da Simon Levi, costituita dalla sontuosa sinagoga in stile mudejar (musulmano) nel
quartiere ebraico di Toledo; costruita intorno al 1357 (anno settimo del regno
di Pedro), dal rabbino Meir Aldebi e denominata “Sinagoga del Transito”, era successivamente passata in possesso dell’Ordine di san Giovanni e
poi divenuta chiesa cattolica di Nostra
Signora del Transito (attualmente Museo Sefardita).
Gli ebrei dal loro canto avevano voluto dar prova della loro
riconoscenza e sul
muro orientale dell’edificio due grandi lapidi, poi rimosse e andate disperse, vi
erano delle iscrizioni in lingua ebraica che, trasdotte da un ebreo, nell’epoca
in cui Rades de Andrada aveva scritto la “Cronaca
dei tre ordini militari”, erano state inserite in quest’opera.
Le iscrizioni prima di essere rimosse erano state fortemente
danneggiate se nel 1592 l'erudito Perez Bayer ne aveva tratto delle copie che
erano andate anch'esse perdute. Queste copie erano state oggetto di un "bruciante dibattito" tra la
Commissione dell'Accademia reale di storia e don Juan José Heydeck, ebreo
convertito, e nel 1595 era stato pubblicato un opuscolo intitolato "Ilustracion de la inscricion hebrea que se
halta en Nuestra Señora del Transito de la ciudad de Toledo" in cui erano state riportate le due iscrizioni, una delle
quali era poetica e l’altra (scrive l'anonimo autore del libro che riporta
questi particolari) era una falsa copia che “non trascriviamo per non prolungare il testo di queste note” (in
ogni caso questo testo è disponibile in Google
libri, con nostra immensa gratitudine; v. in Recensioni, La grande biblioteca
virtuale di Google).
Questa copia, aggiunge l’anonimo storico, è talmente piena di
inverosimiglianze filologiche e di tali errori e anacronismi, che avevano
convinto l'Accademia a fare un nuovo esame delle lapidi. Ed era risultato con evidenza che il convertito Heydeck non aveva mai
visto le lapidi di Toledo o che, se le avesse viste, egli non fosse stato in
grado di decifrarle. Era apparso chiaro che egli aveva ripreso
l'interpretazione di Andrada e l’avesse tradotta in ebraico e come egli avesse
potuto aggiungere di propria mano ciò che avesse ritenuto conveniente per
rendere verosimile questa soperchieria
letteraria (seguono gli errori in ebraico sui quali non possiamo
addentrarci!).
Scrive lo storico Amador de los Rios: “E’ vero motivo di rimpianto vedere come il popolo ebreo gioiva nel
vedere un edificio la cui costruzione era dovuta agli architetti mudejares di
Toledo, facendo sorgere il loro spirito d’indipendenza.
Le due iscrizioni facevano
conoscere le grandi speranze di benessere che avevano conosciuto quando erano
state accolte dal figlio di Alfonso XI. Me essi vennero ben presto a dissipare
queste sorridenti illusioni; questi bei giorni, questi begli anni mutarono in
giorni di sangue e di dolore durante gli insopportabili anni di cattività.
I fratelli di Pedro e i
Grandi, i primi ambiziosi, i secondi amici delle novità e delle rivolte, avevano
convertito il regno di Castiglia in un teatro di guerra sanguinosa e fratricida
che ebbe termine con la uccisione del re sotto le mura di Montiel. Questa lotta
in cui si facevano valere interessi contrastanti e irritanti, in cui si
combattevano diritti di un trono indebolito dalle rivolte, in cui la Castiglia
era la vittima e i privilegi sempre più
crescenti di una nobiltà altamente anarchica, non poteva non travolgere e
coinvolgere gli ebrei nei partiti che si formavano”.
Quando la sinagoga fu trasformata in chiesa, fu fatta la
iscrizione che, omettendo la
intestazione, così si esprimeva (la traduzione è letterale ndt.):
“Le misericordie che il buon
Dio ci ha voluto fare, sollecitando per nostro mezzo i giudici e i principi per
liberarci dai nostri nemici e dei nostri oppressori. Come non vi erano dei re
in Israele che potevano deliberare dell’ultima cattività di Dio in Israele, che
per la terza volta fu sollevata da Dio in Israele, noi sparsi gli uni su questa
terra, gli altri nelle diverse parti dove essi si trovano ancora desiderando la
loro terra e noi la nostra. E noi, quelli di questa terra, noi alziamo questo
edificio con braccio forte e possente. Il giorno in cui è stato costruito, è
stato un giorno grande e gradito dagli ebrei che attratti dalla sua
reputazione, sono venuti dalle estremità della terra per vedere se vi fosse al
di sopra di noi qualche signore che fosse per noi come una fortezza, con una
perfezione d’intelligenza per governare la nostra repubblica.
Un tal signore non si è trovato
tra quelli che erano qui, ma Samuel si è elevato al di sopra di noi per
aiutarci e Dio è con lui e con noi. Egli ha trovato grazia e misericordia per
noi. Egli è l’uomo di guerra e di pace, potente in tutte le città e grande
architetto. Ciò è avvenuto al tempo del re don Pedro. Che Dio gli sia di aiuto!
Che ingrandisca il suo Stato, che lo renda prospero, che lo élevi e che metta
il suo trono al di sopra di tutti i principi.
Che Dio sia con lui e con tutta la sua famiglia. E che tutti gli uomini
si inchinino davanti a lui e che i grandi e tutti coloro che vivono sulla terra
lo riconoscano. Che tutti coloro che sentono il suo nome gioiscano nel sentirlo
in tutti i suoi reami e a chi sia
manifesto che egli sia stato fatto per essere di Israele lo sostenga e lo
difenda”.
Amador de los Rios, scrive in proposito:
Le ultime parole di questa
incisione, manifestano chiaramente la protezione che il re don Pedro aveva
accordato ai giudei che gli auguravano
prosperità e benessere. Frattanto, tutti i giudei erano giunti dai confini
della terra alla notizia della costruzione del nuovo tempio, per vedere se vi
fosse qualche mezzo per elevare al di sopra di essi un signore che fosse come una
fortezza, con una perfezione di intelligenza per governare la loro repubblica.
Queste parole mettono in evidenza l’inquietudine del loro carattere e l’odio
nei confronti dei propri dominatori nel momento stesso in cui essi erano
ostensibilmente protetti.
Nella iscrizione laterale, prosegue Amador, si trovano confermate, in termini più formali,
se possibile, la protezione che loro aveva accordato il re don Pedro. Ecco:
“Con il suo soccorso e la sua
protezione [di don Pedro] noi contribuimmo a costruire questo tempio. Pace sia con lui e
tutta la sua generazione e sollievo in tutto il suo lavoro. Oggi Dio ha deliberato
sul potere dei nostri nemici e, dopo i giorni della nostra cattività, noi non avevamo
mai trovato un altro simile rifugio. Abbiamo costruito questo edificio per
consiglio dei nostri saggi, Perché la misericordia di Dio verso di noi è stata
grande. Don Rabbi Myr ci ha dichiarato
che la sua memoria [di Pedro!] sia una benedizione. Egli è nato per essere il tesoro del nostro
popolo: perché prima di lui, i nostri avevano ogni giorno la guerra alle loro
porte. Questo santo uomo [pensa, lettore, come Pedro il Crudele era stato considerato dagli ebrei! ndr.] ha dato un tal sollievo e un
tal soccorso ai poveri che non ne avevano mai avuto dai primi giorni, né nei
tempi più antichi. Egli non è stato profeta se non della mano di Dio: Uomo
giusto che cammina nella perfezione. E’ uno di quelli che ha timore di Dio e
che venera il suo santo nome al si sopra di tutto; per di più, aggiunse [Rabbi Myr] che aveva voluto costruire questa casa e la
sua dimora e l’aveva terminata in una buona annata per Israele [nel senso che era stata
costruita in poco tempo].
Dio aveva aumentato di ottocento
[persone] dei suoi, dopo che era stata
costruita questa casa per lui; e questi sono stati uomini e potenti, perché
questa casa è sistenuta da una mano forte e da un alto potere. Non si è trovata
una nazione nei paesi del mondo che fosse, prima di questa, più grande.
Ma, salve Signor nostro Dio:
il tuo nome è forte e potente, tu hai voluto che noi portassimo a termine felicemente questa dimora e in un buon giorno
e bell’anno perché il tuo nome prevalesse in essa e che il nome dei suoi
costruttori fosse conosciuto in tutto il mondo e che si dicesse: Ecco la casa
delle preghiere costruita per te per invocarvi il nome di Dio, loro redentore”.
I FRATELLASTRI
E LE QUALITA’ NEGATIVE
ATTRIBUITE A PEDRO
on Pedro I (1334-1369), era figlio di Alfonso XI (1311-1350), o XII:
la diversa numerazione è data dalla circostanza che alcuni inseriscono nella
cronologia Alfonso I di Aragona e VII di Castiglia, marito della regina Urraca
(1109); XImo o XIImo, in ogni caso, fu l’ultimo degli Alfonso di Castiglia e
Leon.
Alfonso aveva sposato (1328)
la principessa Maria, figlia del re Alfonso del Portogallo, dalla quale aveva
avuto Pedro (I) (1334-1369), primogenito, unico e legittimo, che sarà
sopranominato “il Crudele”; il padre,
dopo aver avuto questo figlio, abbandonava madre e bambino e si dedicava
esclusivamente alla sua amante Eleonora Guzman che viveva a corte e lo aveva
asservito ai suoi voleri, infliggendo così alla regina umiliazioni e dispiaceri
che peseranno sulla sua esistenza e su quella del piccolo Pedro.
Eleonora era figlia di Pedro Martinez de Guzman e di Beatrice
Ponce de Leon, vedova di Juan de Velasco e considerata la più bella donna del
reame e, era stato detto, che da quando
la vide (il re che aveva diciassette anni e lei non aveva ancora compiuto i
diciannove), aveva cessato di essere re
per essere divenuto suo schiavo; da lei Alfonso aveva avuto numerosi figli
(otto di cui sette maschi e una femmina, oltre a due maschi morti giovanetti),
il primo dei quali (nato il 1330) aveva avuto il nome di Pedro ed era morto
all’età di otto anni (1338) a causa delle ferite che gli aveva provocato un
falcone.
I primi due figli che nacquero dopo, erano gemelli, Enrico conte
di Trastámara e Fadrique (Federico),
Gran Maestro dell’Ordine di Santiago; seguiva Fernando signore di Ledesma, Juan-Alfonso,
Tello [in spagnolo Teglio, signore di Aguillar e poi di Lara e Biscaglia] Pedro e Sancho il muto
(morti quando il re Alfonso era in vita), Juan e Juana che sposò Ferrante de Castro; di questo Juan di
quattordici anni e di Pedro di diciotto, tenuti prigionieri a Carmona, Mariana
aveva scritto che Pedro per vendicarsi della morte di Hinestrosa (Araviana) che
lo aveva sempre sostenuto nel suo rapporto con Maria, li aveva fatti sgozzare (1359)
senza riguardo alla loro età e innocenza.
Dei figli naturali (*), Enrico era considerato primogenito (con diritto a tale
trattamento) e il re Alfonso non avendo
denaro, gli aveva assegnato vari territori, ciò che sarà causa delle sue rivendicazioni
sul regno di Pedro.
Con la uccisione di Pedro I, Enrico II diventerà capostipite
della dinastia del regno di Castiglia e Leon, che sarà considerata “legittima” e, come si è visto, Voltaire aveva
colto l’occasione di una più generale critica neri confronti degli “uomini di lettere e storici, i quali, parteggiando
per il vincitore, finiscono col sostenere la legittimità del monarca assassino”.
I regni riuniti di Castiglia e Leon, in seguito, saranno ereditati
da Isabella (1451-1504), la quale, gelosa della loro titolarità, anche con l’unione
in matrimonio con Ferdinando d’Aragona (1470-1516), aveva voluto mantenere i due
regni separati (v. in Art. L’Europa verso la fine del medioevo cap. II) e durante
la loro vita essi saranno considerati solo
“nominalmente” uniti, fino a quando non
saranno ereditati dal nipote Carlo di Borgogna (1500-1558) che sarà Carlo I (1519),
come re di Spagna, e Carlo V come imperatore del SRIG (v. in Art. Carlo V tra Rinascimento,
Riforma e Controriforma).
Alfonso XI era morto di peste durante l’assedio di Gibilterra a
trentotto anni, nel vigore delle sue forze, “mentre il regno era agitato da mille fazioni, esposto a guerre,
tradimenti, rivolte, assassini; si vedevano i grandi signori del regno morire
di morte violenta, non si aveva riguardo né del diritto, né della ragione, né dell’equità;
le cose più sacre erano disprezzate e profanate; erano queste le condizioni in cui si trovava il regno” [è lo storico contrario a Pedro a fare questa descrizione ... quando Pedro aveva appena tredici anni! ndr.]; e lo storico aggiunge [malignamente!]: “non si può sapere se il nuovo re ne fosse l’autore o la causa di questi
disordini si devono attribuire alla gelosia e all’ambizione dei Grandi”.
Lo storico è il già nominato Mariana, il quale sarà seguito da
tutti gli altri storici che avevano ritenuto colpevolizzare Pedro, che da un vescovo poco
cristiano, fu considerato il Crudele; ma, per sua fortuna, era
stato precisato che: “Secondo gli storici
più disinteressati la principale fonte di tutti questi mali era la nobiltà che
non rispettava le leggi per la mancanza di una autorità superiore”.
Quando Pedro fu riconosciuto successore del padre a sedici anni, era
ancora un ragazzo inesperto e già dal momento in cui aveva assunto le redini
del regno, gli erano attribuite delle malvagità che invece erano quelle compiute
dal potente ministro Albuquerque (anch’egli giovane di circa
venticinque anni!), alle cui cure
Alfonso aveva affidato Pedro.
Il preconcetto nei confronti
di Pedro era tale da averlo, anche fisicamente,
descritto in modo da mettere in
evidenza i segni somatici che lo disponevano alla crudeltà ... “non aveva niente di affabile e non era facile avvicinarlo; un’aria
rude, sprezzante, qualcosa di selvaggio respingeva tutti quelli che lo
avvicinavano; aveva piacere a schernire
in maniera sferzante; nei suoi accessi di collera si lasciava andare a parole
pungenti e più ingiuriose [...] una passione furiosa per le
donne lo portava a un libertinaggio mostruoso” (vedremo nel par. del
matrimonio con Giovanna de Castro quali fossero state tutte queste sue furiose passioni!).
Sul carattere di Pedro è da dire che dopo l’abbandono da parte
del padre, non aveva avuto dei sani precettori in grado di avviarlo al compito
che lo aspettava, ma. come abbiamo detto, era stato affidato ad Alfonso d’Albuquerque
(**) che ricopriva la carica di Governatore della quale era geloso e si guardava
bene dall’ ispirare al giovane re sentimenti degni della sua nascita e del
rango al quale era destinato e invece di correggere quelle inclinazioni del
giovane principe che fossero apparse distorte, le favoriva, lasciando che Pedro venisse su come un
ragazzo rude e selvaggio!
*) Lo storico Charles Romey a proposito di tutti
questi figli, legittimi e illegittimi fa la seguente riflessione, che condividiamo: “Tutti questi figli illegittimi di Alfonso e
di una adultera, maestri e signori di cui gli storici monarchici parlano con
profondo rispetto prendendoli per uomini considerevoli che agivano nella
pienezza della loro maturità e consapevolezza delle loro azioni, con il re (Pedro) che diventa padre, e questo conte (Enrico) che si rivolta e si sottomette, tutto in
funzione della sua ambizione che lo porta a desiderare di essere re, costoro
erano tutti pressappoco dei ragazzi; il più vecchio dei figli di Eleonora (i fratellastri) aveva vent’anni, il figlio di Maria del Portogallo (Pedro)
ne aveva diciotto.”
**) Juan Alfonso de Albuquerque (1327-1354) era
governatore della Castiglia fin dal tempo del re Alfonso XI; era figlio di Alfonso Sanchez e nipote di Donis
(Dionigi) re del Portogallo; sua madre era figlia di Alfonso Tellez signore di
Albuquerque; sua moglie Isabella de Meneses era figlia di Tello de Meneses e
questo figlio di Alfonso, fratello della regina Maria moglie del re Sancho del
Portogallo: era stato mandato in Castiglia presso il re Alfonso per essere
educato e sotto questo re era divenuto suo favorito e aveva fatto tutta la sua
fortuna, aiutato dai suoi personali talenti nella attività di governo e di
guerra.
CON LA ELIMINAZIONE
DI ALCUNI SUOI NEMICI
PEDRO
METTE ORDINE AL REGNO
uando Pedro I saliva al trono, aveva, come abbiamo detto, poco meno
di sedici anni; biondo di capelli, aveva un fisico aitante e atletico, dedito
alla caccia degli uccelli come il padre, la sua conclamata passione per le
donne, era come si vedrà, effimera e passeggera; amava parlare, più che
ascoltare, e di lui era stato scritto, che “aveva
spiccato il senso della giustizia,
tanto profondo, che aveva finito per
diventare crudele”. In ogni caso durante il suo regno non si videro né
ladri, né briganti: i cattivi soggetti erano ridotti al punto di andar via dal
regno!
Come abbiamo visto, Pedro aveva ereditato un regno turbato da sedizioni
e ribellioni sia da parte dei nobili, superbi e arroganti, sia della
popolazione; per di più, anche durante il regno del padre che aveva
privilegiato l’amante a scapito della regina, si erano formate due correnti,
una sosteneva la legittima regina, Maria del Portogallo e l’altra la sua amante, Eleonora Guzman con i figli
bastardi, così come con Pedro vi saranno quelli che parteggeranno per la regina Bianca di Borbone
e quelli che sosterranno l’amante Maria Padilla.
Una improvvisa malattia che
aveva gravemente colpito Pedro appena salito al trono, (agosto del 1350), tanto
da farlo considerare in fin di vita, aveva risvegliato tutte le ambizioni e le
rivendicazioni dei diversi pretendenti.
Tra costoro vi era la regina dotaria
Eleonora, zia di Pedro, che considerandosi primogenita (nata prima del
fratello, re Alfonso), sosteneva che secondo il costume di Spagna e gli esempi
precedenti delle regine Urraca e Berenguela, la eredità del regno spettasse a
lei; la sua pretesa era avvalorata dalla circostanza che nel testamento, il
fratello Alfonso aveva disposto che se
Pedro non avesse avuto figli (che al momento aveva appena sedici
anni!) il regno dovesse passare a suo
nipote, figlio di Eleonora, l’infante
Ferdinando d’Aragona, il quale era sostenuto dall’Albuquerque e altri
signori.
Alcuni dei signori come Alfonso Fernando Coronel, Garci Lasso (o Garcilaso)
de la Vega, governatore della Galizia e altri, sostenevano invece Juan Nuñez de Lara, principe di Biscaglia, appartenente al lignaggio dei de la Cerda [discendenti da Alfonso il Saggio, il cui figlio Ferdinando de la Cerda era così chiamato
per la cerda, vale a dire la setola,
un lungo pelo che Ferdinando aveva sul petto quando era nato, prendendo questo
cognome - ma non vi era stata alcuna successione in quanto il figlio era
premorto al padre).
Occorre tener presente che questa nobiltà superba e orgogliosa,
era ribelle per vocazione e le rivendicazioni di questi signori nei confronti
di Pedro non erano una novità essendosi già verificate in precedenza durante il
regno di Alfonso XI (nel 1336), che li aveva perdonati, ed ora essi,
approfittando della circostanza che il giovane re si era ammalato, erano
tornati a cospirare.
Non c’è quindi da meravigliarsi se qualcuno di essi fosse trattato
con una certa crudeltà, come vedremo avverrà per Garcilasso de la Vega e
Alfonso Fernando Coronel che, era stato riferito a Pedro, pensando stesse per
morire, volevano dare la corona a Juan Nuñez de Lara.
Nello stesso tempo i vari congiurati
avevano progettato di far sposare ciascun pretendente con la regina madre, Maria del
Portogallo, per poter avere l’aiuto del padre, il re Alfonso del Portogallo; ma
la sua inaspettata sua guarigione mandava in fumo tutte le loro aspettative!
Appena guarito, nell’autunno dello stesso anno (1350), per prima
cosa Pedro riuniva le Cortes a Valladolid; questa assemblea, a causa dei
diversi atti di governo e originali atti amministrativi e legislativi che
furono presi, si prolungò fino al marzo dell'anno successivo [era la prima volta che l’assemblea durava così a lungo], per i numerosi provvedimenti che furono presi, (tra i quali l’Ordinamiento de los Menestrales che riguardava gli esercenti commerciali e il
Quaderno de Peticiones, contenente le rivendicazioni delle città all’inizio del regno, e furono date nuove
sanzioni al Fuero Viejo de Castilla (v. in Corpus juris ecc.) e si discusse anche la importante
questione delle behetrias (*), che Albuquerque voleva fosse
abolita e fu istituito il becerro (*)
il registro della nobiltà; furono inoltre presi provvedimenti relativamente all'Ordine
di san Giacomo, di cui era Gran Maestro il fratellastro di Pedro, Fadrique, disponendosi
la assegnazione della metà dei servizi e sussidi ai quali erano tenuti i cavalieri
dell'Ordine, in favore del re.
Nel novembre di questo anno (1350) il re Pedro IV d'Aragona il Cerimonioso, aboliva il calendario romano di Cesare,
seguito fino allora con kalende, idi e none, e datato dall'incarnazione di Cristo (25 marzo), invece che dalla
Nativitate Domini, così sostituite dai giorni del mese in lingua romana e
latina, successivamente adottato anche dalla Spagna, ma il capo d'anno aveva
inizio a Natale e il 27 dicembre era considerato terzo giorno del nuovo anno.
Nel frattempo Pedro, faceva
trasferire Eleonora Guzman a Talavera (appannaggio della regina madre, da cui
prese il nome di Talavera della Regina)
e quivi tenuta come prigioniera
(Eleonora aveva per amante attuale Ferdinando de Castro).
La regina che voleva
vendicarsi di tutte le umiliazioni subite da quando Eleonora aveva preso il
cuore del re (non escluso un tentativo di far morire con maleficio la madre quando era incinta di uno dei figli, per
mezzo di uno stregone nero), ne approfittava inviando Alfonso Olvedo con
l’incarico di avvelenarla.
Anche questo assassinio fu
attribuito a Pedro, facendo a questo modo aumentare il numero delle crudeltà, vere
o presunte, che gli erano attribuite, in ogni caso inferiori a quelle di altri
monarchi contemporanei o dei secoli successivi.
Pedro era a Siviglia, dove si trovava anche Nuñez de Lara, il quale, non
avendogli Pedro fatto buon viso, si era congedato, recandosi a Burgos, dove si sentiva più sicuro e dove si trovava il partito più
ferocemente contrario ad Albuquerque (i castigliani chiedevano gli fosse
revocata la carica di governatore).
Pedro si era recato a
Burgos, con tutta la sua Corte e giunto in città, Garcilasso andò ad accoglierlo,
ma con tutto il seguito dei suoi sostenitori; il re si ritenne offeso per
questo modo di riceverlo e decise la sua sorte!
Pedro si trovava a
palazzo e fece convocare Garcilasso, il quale si recò accompagnato da tre amici di Burgos; Albuquerque aveva dato ordine a tre arcieri di arrestarlo; dopo
l’arresto, due di essi si recarono da Albuquerque per chiedere cosa dovessero
fare e Albuquerque, che era con il re, si rivolse a lui dicendogli di ordinare ciò
che desiderasse; il re rispose: Fate!
I due arcieri riferirono l’ordine all’altro, ma questo non osava prendere
alcuna iniziativa; uno degli altri due allora tornò a chiedere al re: Signore cosa dobbiamo fare di Garcilasso?
E il re: Albuquerque dice di ucciderlo
e fu così che l’arciere gli assestò un colpo di mazza sulla testa, e poi ancora
altri colpi fin quando egli non cadde morto.
Il cadavere sanguinante
fu buttato dalla finestra in strada; era il giorno in cui i tori erano stati
liberati e correvano per le strade e al loro passaggio calpestarono il cadavere; dopo il passaggio
dei tori, il corpo fu preso e portato sotto le mura della città dove fu scavata
una buca e seppellito.
I tre amici che lo avevano accompagnato, Pero Fernandez de
Medina, Alfonso Fernandez e Alfonso Garcia de Camargo, che in precedenza
avevano partecipato a una sommossa, erano stati messi agli arresti, ma qualche
giorno dopo il re, che era a pranzo con Albuquerque, li fece portare in una sala
vicina e li fece ammazzare.
A Burgos Pedro ricevette la visita (1351) di don Carlos (1332-1387),
nuovo giovane re di Navarra, detto il “Malvagio”
e discendente di Filippo il Bello (pubblicheremo anche su Don Carlos di Navarra il “Malvagio” un articolo), il quale volle instaurare con
Pedro rapporti di amicizia e buon vicinato.
I due re, uno Crudele e
l’altro Malvagio, si promisero reciprocamente di vivere in
perfetta unione; la visita si era svolta nella magnificenza di feste,
spettacoli, tornei e partite di caccia col falco (**) e quando partì a Don Carlos furono donati cavalli, muli e
gioielli.
Anche riguardo a Juan Nuñez de Lara, dopo il suo arrivo a Burgos, si
spargeva la notizia della sua morte, seguita dalla morte di Ferdinando Manuel che si trovava a
Villena (anch’egli contrario all’Albuquerque); queste due morti, avvolte dal
mistero, erano facilmente attribuibili ad Albuquerque che anch’egli in fatto di
crudeltà non aveva pari.
Nel frattempo cessava di vivere anche il figlio del defunto Juan Nuñez de Lara, di nome Nuño, erede della signoria di Biscaglia, di
tre anni, affidato alle cure di una dama di nome Nincia; Pedro, avutane notizia, andava a occupare la regione con le
armi e si impadroniva di diverse città e castelli della Biscaglia, che univa al
regno di Castiglia (1351).
Il fratellastro di Pedro, Enrico di Trastàmara, che si trovava a
Oviedo, avendo saputo della morte della madre e dell’uccisione di Garcilasso de
la Vega e degli altri signori, non sentendosi sicuro, andò a rifugiarsi presso
il re del Portogallo, mentre Tello che si trovava a Palencia, accoglieva Pedro rendendogli
omaggio e riconoscendolo come proprio signore.
*) LE BEHETRIAS E IL
BECERRO
BEHETRIAS. Quando
si liberava un territorio dai mori, per il ripopolamento delle vaste aree
liberate, si dava la possibilità a coltivatori e artigiani di formare una poblaciones vale a dire una popolazione (società) per costituire una
nuova città o villaggio e per difenderne il possesso dai loro nemici e la
comunità usufruiva di certi privilegi
sociali.
Questa attrattiva non poteva mancare di attrarre
persone; i privilegi erano assegnati dal re per mezzo di fueros (v. in Articoli: Il Corpus juris civilis ecc.); l’origine
del nome behetrias o berhetrias
è discussa, probabilmente derivante dal basco beretria, secondo altri deriverebbe dal greco heteria (dove l’h
aspirata ha sostituito la b) intesa come società di uomini liberi che non
vogliono avere un capo o che credono di non averne; in questo senso è usato
nelle Istituzioni di Gaio, indicato in spagnolo con termini benefatia o belfatia, benefactoria ,
da cui behetria.
Il padre di Pedro, Alfonso XI aveva disposto
(1340) l’inventario delle behetrias, con l’indicazione di tutti i luoghi che ne facevano parte e ne
venne fuori un libro (1354) chiamato Las
Behetrias.
Gli interessi della comunità esigevano che non
fossero possibili cessioni di beni a stranieri a meno che lo straniero non si
impegnasse a stabilirsi nel luogo; coloro che si assentavano per un anno
perdevano il possesso dei beni; era vietato ai nobili di stabilirsi in queste
comunità a meno che non rinunciassero al loro stato; la comunità per la difesa
comune aveva caballeros (cavalieri) e
pecheros (tributari a piedi) e tutti obbedivano alla autorità costituita rappresentata
dall’alcade (sindaco) e dal consiglio
degli abitanti detto ayuntamiento; se
la piazza era governata da un proprio eletto o da un nobile in nome del re,
questo non era sottomesso al tribunale locale; la comunità infatti aveva propri
magistrati e tribunali.
Sui proventi versati dalla behetria, il fijosdalgo (o hijosdalgo, scudiero-hidalgo), prendeva
la metà destinata al re.
Tutto questo comportava che le città sottoposte
alla behetrias era considerata città libera
e confederata con le altre con gli
stessi diritti, ciò che aveva determinato non solo confusione e disordini
ma i banditi vi trovavano rifugio per l’impunità riservata ai loro delitti.
Tutto ciò aveva spinto Alfonso Albuquerque,
che aveva l’amministrazione dello Stato, a voler abolire questi privilegi
che costituivano una ingiuria all’autorità sovrana e un pregiudizio per il bene
pubblico, ma aveva trovato l’opposizione di Juan Rodriguez de Sandoval, uno dei
primi cavalieri del regno (nato egli stesso in una behetrias) e della nobiltà;
anche la moglie di Albuquerque, Isabella, possedeva molte terre behetriali; la
proposta presentata da Albuquerque alle Cortes di Valladolid (1351) era respinta.
Diverse città e terre della Vecchia Castiglia,
erano sottoposte alla behetrias e per consuetudine nominavano i loro signori
scegliendoli da una determinata famiglia; Albuquerque approfittando del fatto
che molti signori erano deceduti e occorreva
nominarne altri, intendeva abolire questa consuetudine ritenendo che
spettasse al re creare i principi che avrebbero governato le città, mentre Juan
de Sandoval con altri grandi appoggiavano la consuetudine e
per questo vi furono dei disordini, senza che fosse raggiunto un qualche
risultato.
IL BECERRO.
Era il
Registro in cui era indicata tutta
la nobiltà che godeva delle behetrias
con tutte le indicazioni genealogiche che riguardavano i possessori, con
i diritti spettanti al re e ai signori che possedevano quelle proprietà, per
cui il libro era consultato e utilizzato dai genealogisti.
Il re Pedro aveva disposto la sua pubblicazione e
la regina Isabella volle che il suo originale fosse depositato presso la Real
Cancelleria di Valladolid; successivamente Filippo II aveva ordinato che una
copia fosse conservata nell’archivio di Simancas; il libro era stato stampato
con cura dalla Libreria Hernandez nel
1865.
**) LA CACCIA COL FALCO – LE OTTO SPECIE.
Era la passione dell’epoca, introdotta
dall’imperatore Federico Barbarossa che l’aveva appresa dagli arabi, ma era praticata
anche dai persiani, con origini che si fanno risalire alla Mesopotamia; celebre
il libro De arte venandi cum avibus del
nipote Federico II con una parte dedicata alla falconeria.
Il re Alfonso XI, padre di Pedro, aveva un
prezioso manoscritto miniato sull’arte della caccia che ricalcava il libro di
Federico II, in centottantacinque pagine, abbellito da ritratti delle persone della
corte che vi erano addette ed erano riportate tutte le armi usate per la caccia
e tra i differenti tipi di caccia vi era quella con il falco, la più stimata
dai re di Castiglia e del Portogallo.
Diego Fernando de Ferreira nel suo trattato sulla
caccia riferiva che Ferdinando del Portogallo allevava trecento falchi di
differenti specie.
Nell’epoca di Pedro si contavano otto specie di
falchi (secondo il Talbot-Dillon, i cui nomi non corrispondono alle più moderne
classificazioni): il Sacro, il più grande e stimato dei falchi, così chiamato
non solo dagli spagnoli, ma dagli inglesi e latini; si ritiene che il nome gli
sia stato dato da Virgilio che lo aveva chiamato sacer ales, ali sacre, ma i romani l’avevano appreso dai greci per
i quali era sacer aviis, uccello sacro; l’abate Eugéne
Fourrier )1835-1917) lo aveva chiamato “britannico”.
Il Girfalco per gli italiani, Ger-falcon
o Gerfaut per i francesi: da gerens falces, a causa della forma delle zampe e degli artigli (secondo lo
storico Juan Lopez Velasco), ma girare,
allude al modo di girare nell’aria, planando, prima di lanciarsi sulla preda;
vi è poca differenza tra il Sacro e
il Girfalco. Il Niéble-Nebula-Nuvola è
così chiamato per l’altezza delle nuvole che raggiunge volando. Il Bahari, il
nome è di origine araba e deriva da ultra
marino, in quanto proveniva da territorio d’oltremare. L’Alfanico, termine
ebraico che vuol dire docile, con la
facilità con cui questa specie di falco si alza in volo, utilizzato per le
lepri e le pernici. Il Taragoto prendeva il nome dal fiume Tayaros (?) in
Africa, dove si trovavano una gran quantità di falchi che si distinguevano
particolarmente per la loro aggressività con cui si lanciavano sulla preda. L’Azor,
il cui nome può derivare dalla scoperta delle isole Azzorre, i portoghesi le
scoprirono durante il regno di Alfonso V, derivante da Azores, dal numero degli sparvieri che furono visti in gran gran
quantità. Il Borni, aveva preso il nome di una località (?) sulla
costa della Guinea africana.
La filastrocca spagnola su questi nomi era: Ali
del Niébla, Cuore del Bahari, Testa del Borni, Zampe del Sacro, Corpo del
Girfalco, Occhio dell’Alfanico, Becco del Taragot (il cui significato
corrisponde a: volo del Niébla, coraggio del Bahari, testa del Borni, zampe del
Sacro, corpo del Girfalco, occhi dell’Alfanico,
becco del Taragoto).
L’ASSEDIO DI AGUILAR
E LA MORTE DI
FERDINANDO CORONEL
uando Alfonso Ferdinando Coronel, aveva saputo delle morti di
Burgos e di Eleonora Guzman, pensando che avrebbe seguito la loro stessa sorte,
si era ritirato nella sua città di Aguilar in Andalusia e si era messo a
fortificarla, unitamente alle altre sue piazze e castelli.
Questa città gli era stata assegnata dal defunto re Alfonso XI e
sebbene, con l’intercessione di Albuquerque, Pedro lo avesse gratificato del
titolo di rico-hombre, (titolo di
primo rango presso il re e dava diritto al don
spettante solo ai membri della casa reale), durante la sua malattia, Coronel aveva
parteggiato per Nuñez de Lara.
Era uno del maggiori signori della regione, per nascita,
ricchezze e autorità, ed era ostile al nuovo re, come tanti altri maggiorenti; si
trovava ad Aguilar con il genero Juan de la Cerda, padre della moglie Maria; Coronel
si considerava padrone della città, ritenendo di averla avuta dal defunto re
Alfonso in sovranità quasi assoluta, fino al punto che con questo privilegio
egli riteneva di non essere tenuto a ricevere il re; ma qualcuno dei suoi amici
gli fece notare la temerarietà di un simile atteggiamento e gli suggeriva di
cedere al re tutte le sue piazze e i castelli e di chiedergli di poter andare
con il genero in esilio e il suo orgoglio non gli permise di accettare questo
suggerimento.
Quando Pedro decise di sistemare la faccenda e durante l’estate
(1352) aveva mandato Gutierrez Fernandez de Toledo e Sancho de Roxas per
chiedere la consegna della città, Coronel non diede alcuna risposta; per di più
il pennone reale portato dal corpo di guardia che aveva accompagnato i
messaggeri, dalle mura della città era stato fatto segno a lancio di pietre, per
cui la truppa tornò dal re senza una risposta e per giunta con il pennone reale
danneggiato dalle sassate.
Pedro aveva quindi posto la città sotto assedio e questo durava
oramai da quattro mesi e si era all’inizio del nuovo anno (1353), quando il re dispose
l’assalto finale; fu scavato profondamente sotto un punto delle mura e riempita
la buca con fascine vi fu dato fuoco e
il muro crollò; le truppe potettero entrare in città e molti degli abitanti uscirono per consegnarsi al re.
Gutierrrez Ferrandez dopo essere entrato in città, incontrava
Coronel che a cavallo cercava di rianimare i suoi, facendo mettere delle
barriere per impedire l’accesso al re; a lui si rivolse Gutierrez, chiedendogli:
- “Compare, amico mio, come pensi di
risolvere questa faccenda che hai sollevato?” Coronel rispose: - “Credi che vi sia qualche rimedio?” - “In verità”, rispose Gutierrez “non credo, al punto in cui siamo”; e
Coronel:- “Per me un rimedio lo vedo”;
Quale? disse Gutierrez; “Quello di morire coraggiosamente da
cavaliere”, e armato di corazza si recò in chiesa dove lo raggiunse uno dei
suoi scudieri che gli diceva: - Che fate
don Alfonso Fernadez? Stanno entrando
dalla breccia del muro che è caduto e già don Pedro Estebanez Carpentero è
entrato con tanti soldati”, e Coronel di rimando: - “Che vuoi che sia, io comincerò ad andare a incontrare Domenedio”.
Rimasto fino all’elevazione, Coronel uscì dalla chiesa dove fu
preso da Dia Gomez de Toledo, capo degli scudieri del re, al quale Coronel chiese
se potesse accompagnarlo dal re; Dia Gomez disse di poterlo fare, mentre Coronel,
rivolgendosi ai suoi uomini, raccomandava che preservassero i suoi figli e
impedissero che fosse fatto loro del male.
Egli intanto fu disarmato e lo stavano conducendo dal re quando
incontrano Albuquerque che rivolgendosi a lui gli dice “che senza alcun motivo, aveva sollevato grossi problemi nel reame” e
Coronel di rimando:- “Siamo in Castiglia
e sapete il detto: Castiglia fa gli uomini e Castiglia li perde, e il mio destino è quello di non potermi
sottrarre a questa sventura; una
grazia chiedo, di farmi dare oggi stesso la morte che avevo fatto dare lo stesso
giorno, alla stessa ora, a Gonçalo Martinez d’Oviedo, Maestro di Alcantara”.
Coronel in effetti, era stato incaricato dal re Alfonso XI,
unitamente alla sua amante Eleonora Guzman, di eliminare questo signore e
Coronel, che aveva eseguito l’assassinio, aveva confessato di essere stato in
questa occasione complice del re e della sua amante.
Durante questo colloquio tra Coronel e Albuquerque, arrivava il
re seguito dalla truppa, che non gli rivolgeva parola e Coronel, dal suo canto,
si asteneva dal salutarlo; intanto Coronel preso dai soldati è consegnato al boia che gli
taglia la testa; a tredici anni di distanza, colui che aveva assassinato Gonçalo
Martinez, moriva in circostanze pressoché analoghe.
Con Coronel furono decapitati alla presenza del re altri
cavalieri come Juan Alfonso Carrillo, fratello di Pedro Carrillo comandante di
Gijon, per conto del fratellastro Enrico; il giovane alcayde di Burgillos, Juan Fernandez de Cañedo al quale il re, dieci anni prima, aveva fatto tagliare le
mani, il quale aveva voluto morire con il suo signore; con costoro, morirono
Pedro Coronel, nipote di Alfonso Ferrandez, Juan Gonzalez de Deza, Ponce Diaz
de Quesada e Rodrigo Iñiguez de Biedna; dopo queste
esecuzioni le mura della città furono abbattute e il re, dopo aver perdonato
gli abitanti, fece dichiarare la città in proprietà della figlia Beatrice nata
alcuni giorni prima.
Pedro si stava dirigendo verso la Castiglia, quando apprendeva
che il fratellastro Enrico faceva approvigionare le sue fortezze nelle Asturie
e in particolare continuava a fortificare Gijon. Egli passando dalle terre
appartenenti a Coronel, di Montalvan, Burguillos, Capilla e Torija se ne impossessava,
dirigendosi poi a Gijon che poneva sotto assedio (primavera del 1352), mentre
Enrico, venuto a conoscenza dell’arrivo di Pedro, andava a rifugiarsi con la moglie Juana Manuel che
era con lui, tra le montagne scosccse di Monteyo.
Juana Manuel era dama di compagnia della madre di Enrico,
Eleonora Guzman, ed era figlia di Juan Manuel e sorella di Ferdinando Manuel,
marchese di Villena, uno dei più ricchi signori della corte nelle cui vene
scorreva il sangue reale di
Castiglia, per essere discendente, in
via diretta e maschile, da Ferdinando III e fratello di Alfonso Il Saggio;
poiché Enrico, aveva libero accesso per visitare la madre a Siviglia, costei fece pressione sul figlio perché la
sposasse e il matrimonio fu fatto segretamente (1350) in modo che il re e
l’Albuquerque, non ne venissero a conoscenza in quanto avevano vietato a Enrico
di andare a trovare la madre, che, come abbiamo visto, era stata avvelenata.
Dopo qualche giorno di assedio di Gijon, Pedro Carrillo che
comandava la città si arrese ottenendo il perdono di Pedro a condizione che
Gijon con le altre fortezze non dessero ulteriori motivi di guerra; Pedro
ripartiva per le Asturie, mentre Enrico, avvertito, tornava in città per
firmare il trattato di pace col fratello.
PEDRO INNAMORATO
DI MARIA PADILLA
SPOSA
BIANCA DI BORBONE
uando Pedro aveva messo sotto assedio la fortezza di Gijon (1352),
trovandosi a Sagunto (Sant-Fagund) presso la casa di Isabella Menenses, moglie
di Alfonso d’Albuquerque, aveva incontrato tra aprile e maggio, la giovanissima
Maria Padilla, figlia di Giovanni Garzia de Padilla, signore di Villagera e di
Maria Gonzalez; colpito dalla sua bellezza (ma era piccola di statura – pequeña de cuerpo e muy formosa
– vale a dire grassoccia, secondo i nostri canoni!) “se ne invaghì, preso da ardente passione”.
Albuquerque, informato di questa passione, per assicurarsi i
favori e le buone grazie di Pedro si era rivolto a Juan Fernando d’Hinestrosa,
fratello della madre di Maria, chiedendogli di condurla a Sagunto in modo che
Pedro potesse frequentarla; Hinestrosa, anch’egli per meritarsi la protezione
del re, prestò la sua collaborazione e così i due potettero incontrarsi e
frequentarsi.
I Padilla costituivano una potente tribù di cui facevano parte grandi
come Pero Ponce e Ferdinando Perez Ponce de Leon, Juan Alfonso e Alvaro Perez
de Guzman proprietari pressappoco dei tre quarti dell’Andalusia, con i loro
alleati tra i quali Henrique Henriquez, con il figlio Ferdinando Henriquez,
appartenenti alla casa reale; Henrique
Henriquez era figlio di Enrico di Castiglia, senatore di Roma e suo figlio
Ferdinando era sposato con una sorella di Eleonora Guzman.
Albuquerque aveva condotto l’intrigo, nonostante le trattative in
corso con la Francia, per avere in seguito la riconoscenza di Maria Padilla; in
proposito abbiamo una riflessione dello storico Hermilly, secondo il quale “Albuquerque che voleva assicurarsi le buone
grazie e la stima del re, con la sua infame compiacenza lo assecondava nella
sua passione per Maria Padilla”; Romey è più esplicito quando dice che “Albuquerque e Hinestrosa avevano messo, per
così dire, Maria Padilla nel letto di Pedro”.
Pedro era già stato
fidanzato dal padre a Jeanne, figlia del re d’Inghilterra Edoardo III, che era
stata mandata in Spagna ma in una tappa a Bordeaux era morta di peste e poiché Edoardo
non aveva altre figlie, le Cortes avevano deciso che occorreva trovare un’altra
sposa per il re, per cui Albuquerque [che evidentemente si barcamenava in un pericoloso doppio gioco!], d’accordo con la regina madre mandarono una ambasceria in Francia, presso il
duca Pietro I di Borbone, per chiedere
la mano di una delle sue figlie (ne aveva sei!) per il re di Castiglia. Dell’ambasceria
facevano parte il cardinale Gilles Alvarez d’Albornoz, arcivescovo di Toledo e
Juan Royas, vescovo di Burgos ai quali il duca di buon grado, affidò una delle figlie,
Bianca, “una ragazza di sedici anni, compita,
di grande bellezza, alla quale aggiungeva una affascinante dolcezza”.
L’arrivo di Bianca a Valladolid (1353), che doveva esser causa di
gioia, suscitò invece la ripugnanza di
Pedro il quale dovette subire le pressioni della regina madre e le ragioni del
falso Albuquerque, che si appellava alle cause dell’onore, della politica e della
coscienza per convincerlo al matrimonio.
Nel frattempo Maria Padilla partoriva una bambina alla quale era
dato il nome di Beatrice (1353) e Pedro felice per questa nascita, l’aveva festeggiata
con un magnifico carosello nella cittadina di Torrijos, nelle vicinanze di
Toledo, durante il quale aveva riportato una pericolosa ferita con una forte perdita
di sangue che il chirurgo era riuscito a stento a fermare.
La maternità di Maria aveva reso più violenta la passione di
Pedro e la circostanza indesiderata dell’arrivo di Bianca aveva fatto decadere i
rapporti tra il re e l’Albuquerque, trattato con maggior distacco: non fu che l’inizio
della sua disgrazia.
Il matrimonio ebbe luogo nella chiesa di santa Maria Novella di
Valladolid, dove convennero tutti i signori e i cavalieri del regno nei loro
ricchi costumi, accompagnati dai loro vassalli per onorare la nuova regina,
circondata dal suo seguito che l’aveva accompagnata dalla Francia; la regina
riccamente vestita montava un cavallo bianco condotto dai due fratelli Enrico e
Tello, seguita dal visconte Aymerico VIII giunto da Narbona; Pedro sfoggiava un
abito di stoffa d’oro bordata di ermellino e montava un cavallo bianco condotto
da Albuquerque; seguivano le due regine, la regina madre Maria del Portogallo e
la regina Eleonora d’Aragona e i due infanti di Aragona, Fernando e Juan, il
Gran Maestro dell’Ordine di Calatrava, Juan Nuñez de Prado e tutti gli
altri Grandi.
PEDRO ABBANDONA LA SPOSA
MENTRE UNA DAMA
PUNISCE LE SUE PULSIONI
EROTICHE
CON UN TIZZONE ARDENTE
on si sa se durante il matrimonio Pedro lo abbia consumato, sta
di fatto che il giorno successivo alle nozze partì lasciando Bianca sola e
disperata; il commento di Mariana, che, come si è detto, parteggia per Bianca e
condanna il comportamento di Pedro, é che “Maria
non aveva qualità migliori della giovane regina, né in bellezza, né nella
persona, né tantomeno per la nascita, in quanto la sua famiglia, sebbene cospicua
era infinitamente al disotto del sangue reale di Francia da cui proveniva Bianca”.
Avendo capito le sue intenzioni, la regina d’Aragona e la regina
madre lo pregarono con le lacrime, gettandosi ai suoi piedi e scongiurandolo di
non lasciare in quel modo scandaloso gli ospiti giunti da tutte le parti del regno
senza salutarli e la principessa, così amabile e virtuosa, facendogli notare
che un simile comportamento avrebbe portato a una guerra crudele con i francesi
che non avrebbero accettato un affronto del genere e avrebbe dato anche ai suoi
avversari un motivo di rivolta.
Pedro le rassicurò che non sarebbe partito, ma, dopo aver fatto preparare
i cavalli, partiva insalutato ospite,
per il castello di Montalvan (nei pressi di Toledo) dove si trovava Maria; i
due fratellastri Enrico e Tello e gli infanti di Aragona lo seguirono da
presso: “le Corti dei principi - commenta
Mariana - sono piene di questi cortigiani che pensano di accomodarsi ai tempi e
per una criminale compiacenza, sostengono i sovrani nelle loro dissolutezze”.
Per la sua brusca partenza, Albuquerque e il Gran Maestro Nuñez de Prado,
condannando il comportamento di Pedro, si recarono dalle tre regine che
trovarono afflitte e tutti i signori e cavalieri furono presi dal presentimento
che la slealtà del re avrebbe scatenato la sventura sulla Castiglia; essi
tennero consiglio e dichiararono senza esitazione che il re aveva male agito,
lasciando a quel modo la giovane regina; decisero quindi di andare a chiedere
al re di tornare e Albuquerque partì seguito da milleciqnquecento dei migliori
cavalieri di Castiglia, Leon e Galizia, dirigendosi a Toledo dove si trovava il
re.
Albuquerque aveva fatto
tappa presso il borgo di Almorox dove fu raggiunto da Samuel Levi tesoriere e
consigliere del re che lo invitava a recarsi da lui; ma qualcuno gli aveva
suggerito che Samuel Levi non gli aveva riferito dei disegni del re che aveva
dato ordine di chiudere tutte le porte di Toledo, meno una, sicché Albuquerque
temendo per la sua vita, decise di mandare il suo primo maggiordomo Ruy Diaz Cabeza de Vaca il quale, recatosi dal re, gli disse che “il mio signore vi bacia la mano e vi fa
sapere che si stava recando da voi quando aveva saputo che qualcuno dei vostri intimi
lo aveva diffamato presso di voi ed egli temendo di essere ucciso ha evitato di
venire personalmente. Egli ritiene di essere stato sempre fedele dai tempi di re
Alfonso vostro padre e voi non avete motivo di essere scontento del mio signore
e se qualche cavaliere avesse da dire qualcosa contro don Juan Alfonso, sono io
come suo vassallo e suo maggiordomo a esporre il mio corpo al servizio del mio
signore”.
Con poche parole il re disse al messaggero di riferire a Juan
Alfonso di recarsi pure da lui, rassicurandolo con lettere che scrisse di
propria mano; il maggiordomo riferì del colloquio avuto col re, consegnandogli
le lettere ricevute, ma Albuquerque valutata la situazione ritenne opportuno
non fidarsi e non recarsi dal re.
In questo periodo di tempo (1352), in contrasto con il turbinio
di questi avvenimenti, si verificava lo strano episodio della moglie di un
personaggio della nobiltà, che per conservare la propria moralità compiva un
gesto insolito e piccante e nello stesso tempo particolarmente atroce, di cui ci
è stata debitamente conservata memoria.
La figlia di Ferrando Coronel, di cui abbiamo parlato nel
paragrafo precedente, Maria Coronel, moglie di Juan de la Cerda, il quale aveva
dovuto lasciarla per seguire il suocero, donna passionale e particolarmente
sensibile alle pulsioni del sesso, era una donna onorata e fedele; essendo
rimasta sola e in astinenza per l’assenza del marito, “un
giorno che aveva sentito più furiosi i desideri carnali, non potendo sostenerne
la violenza, prese un tizzone ardente e lo applicò dove il fuoco della passione
si faceva sentire più forte, volendo con questo fuoco esteriore, spegnere la
fiamma interiore che la divorava, preferendo esporsi a una morte crudele
piuttosto che al pericolo di perdere la sua coscienza e il suo onore. Coraggio
eroico (prosegue lo storico) in una donna che meritava di
vivere in un secolo più fortunato e degno dei più grandi elogi, meno per
l’azione alla quale era ricorsa, che non
può essere approvata in sé stessa che per l’amore e il desiderio ardente che
lei aveva di conservare la castità” [all’epoca, evidentemente, non si faceva ricorso all’autoerotismo!].
TRAMA DI ALBUQUERQUE
CHE SI UNISCE AI CONGIURATI
CONTRO PEDRO
adrique, Gran Maestro dell’Ordine di san Giacomo (*), dopo
l’assassinio della madre Eleonora Guzman, con gli altri signori scontenti, si
era preparato a vendicarla ma poi aveva cambiato idea e si era recato a baciare la mano del re che si trovava
a Cuellar, mentre il fratello Tello, con
l’interessamento dei parenti di Maria Padilla, aveva sposato Giovanna de Lara
che gli aveva portato in dote il principato di Biscaglia; questi parenti avevano
convinto il re di consentire al matrimonio per attrarre dalla loro parte ambedue
i suoi fratellastri e metterli contro Albuquerque che consideravano il loro
mortale nemico.
Il re, già indispettito dal
comportamento di Albuquerque, su pressione di costoro, apportò cambiamenti
nelle cariche di Corte, alle quali, in precedenza provvedeva Albuquerque, nominando Gran Ciambellano,
Diego Garcia de Padilla, fratello di Maria, Alvaro d’Albornoz suo Coppiere,
Pedro Gonzales de Mendoça, Maestro di Palazzo e il
figlio Diego de Mendoça, nominato Ammiraglio di
Castiglia.
In quell’anno (1353) le piogge furono così abbondanti che le
campagne erano state tutte sommerse, particolarmente a Siviglia, dove dovettero
chiudere le porte della città e rincalzarle, per evitare che la città fosse
sommersa.
Juan Nuñez de Prado, Gran Maestro di
Calatrava, era in stretti rapporti con Albuquerque e come abbiamo visto, aveva
partecipato alla richiesta fatta a Pedro di prendere con sé la regina Bianca; temendo
una sua vendetta, era andato a rifugiarsi nell’Aragona e vi era rimassto fino
all’inizio dell’anno successivo (1354), quando a seguito delle lettere conciliative
scrittegli da Pedro, si recava ad Almagro, la principale città dell’Ordine; ma,
appena giunto, fu arrestato per ordine del re da Juan de la Cerda (ricompensato
con un’alta carica a Corte).
Arrestato Nuñez, il re fece nominare Gran
Maestro di Calatrava Diego de Padilla, senza dare ai Cavalieri il tempo di
deliberarne la nomina, mentre Nuñez dopo essere stato portato nella
fortezza di Maqueda, improvvisamente moriva; Pedro per questa morte se ne mostrò
addolorato, ma tutto il regno era convinto che l’ordine o quantomeno il
consenso, fosse stato dato da lui.
Dopo questa morte il re decise di ridurre alla ragione con le
armi Albuquerque che, stizzito nei suoi confronti, se n’era andato in
Portogallo; Pedro, aveva deciso di spogliare Albuquerque di tutti i suoi beni e
fece mettere sotto assedio dalle sue truppe la città di Medellin (nella
provincia di Badajoz), nella vecchia Lusitania, invitando il governatore della
città a consegnargliela; il governatore chiese del tempo per poterla riferire all’Albuquerque,
al quale disse di non volersi mettere contro il re e che si sarebbe arreso;
avuto il consenso, il Governatore riferì al re che Albuquerque gli consegnava spontaneamente
tutte le sue città e castelli.
Pedro però si recò ugualmente ad assediare la città di Albuquerque
(in territorio portoghese), dove vi era una guarnigione comandata da Martin
Alfonso Borello; poiché l’impresa non appariva facile,il re si recò a mettere
sotto assedio il castello di Codesséra che si trovava sul confine portoghese;
ma qui trovò una tal resistenza che rinunciò all’impresa lasciando il comando del
controllo della frontiera a Enrico e Fadrique che si trovavano a Badajoz
(1354), con l’ordine di saccheggiare il territorio; questo insensato ordine fu
la causa della sommossa di tutta la Spagna.
Pedro, volendo avere nelle sue mani Albuquerque, inviò
un’ambasciata al re Alfonso del Portogallo, che si trovava a Evora per
festeggiare il matrimonio della figlia Maria con l’Infante Ferdinando d’Aragona,
marchese di Tortosa, al quale gli ambasciatori chiesero che fosse loro consegnato
Juan Alfonso d’Albuquerque, che doveva rendere conto al loro re delle finanze
del regno in quanto si riteneva fossero state commesse delle malversazioni.
Albuquerque che si trovava presso la Corte, rispose di aver amministrato i beni della corona con
il massimo zelo e aver servito il sovrano
con la massima fedeltà e avrebbe difeso la sua persona in campo, contro chiunque avesse osato
accusarlo di malversazione; aggiungendo di essere disposto a render conto del
suo operato, nella Corte portoghese e alla presenza del re Alfonso; il re, dal
suo canto, rinviava gli ambasciatori,
senza accogliere le loro richiesta di consegnare il ministro.
I due fratelli Enrico e Fadrique, che si trovavano a Badajoz a
guardia delle frontiere, covavano il malcontento
e guardavano con rammarico il regno in preda all’amante del re e all’ambizione
dei suoi parenti e favoriti, presero la decisione di collegarsi con Albuquerque,
per avere un incontro segreto, con la partecipazione di alcuni Grandi.
Essi, pur avendo sostenuto Pedro contro Albuquerque, con animo
cospiratore, andarono a incontrarlo segretamente a Elvas (nelle vicinanze di
Badajos) e, riconciliati, concordarono
di raccogliere i partigiani e coinvolgere il principe Pedro del Portogallo promettendogli
la corona del regno (1354), avendo egli il sangue di Castiglia; ma il padre non
si mostrò d’accordo ed essi si rivolsero a Fernando de Castro, contrario a Pedro,
come è stato detto, per aver abusato della sorella.
*) Questa carica di Gran Maestro dell’Ordine di
san Giacomo Pedro la assegnerà al fratello di Maria Juan de Padilla, signore di
Villagera, che era sposato; come è noto presso gli Ordini religiosi militari di
norma vigeva la regola del celibato che,
almeno i Gran Maestri rispettavano; da questo momento, scrive Mariana, contro
le antiche costituzioni, la norma non fu
più seguita.
DISORDINI NEL REGNO
MORTE DI ALBUQUERQUE
E RICHIESTE
DEI GRANDI AL RE
edro riprendeva tutte le città e castelli che Albuquerque aveva
fatto fortificare da quando aveva lasciato la Corte, e rivolgeva le armi contro
il suo fratellastro Fadrique, decidendo di porre l’assedio a Segura, dove questo
si era rintanato; e intanto mandava Juan Fernandez Hinestrosa ad Arévalo, nella
vecchia Castiglia a prelevare la regina Bianca, per portarla all’Alcazar di Toledo,
sotto pretesto che fosse la causa dei disordini del regno e che i signori, per
causa sua, si erano uniti contro di lui.
Gli scontenti si moltiplicavano e Juan de la Cerda che si era
distinto per valore e per i servizi resi al re, andò a unirsi ad essi, ma il
più animato di tutti era Fernando de Castro che non aveva dimenticato l’offesa
mortale fatta dal re alla propria famiglia, mentre la violenza del re non
faceva che acuire, tanto, che la città di Toledo era entrata nel partito degli
scontenti, parteggiando in favore della regina Bianca che temeva di essere
assassinata, se non da Pedro, dai familiari di Maria Padilla.
Bianca, durante il suo trasferimento, mentre passava dalla chiesa
di Santa Maria di Toledo, chiedeva di fermarsi per andare a pregare, e una vola
entrata non voleva più uscire; ma alla fine i suoi amici la convinsero che era
meglio evitare una truce reazione di Pedro, e fu accompagnata all’Alcazar.
La situazione si presentava difficile per Pedro per il numero dei
ribelli divenuto rilevante, per cui egli decise di recarsi a Tordesillas, nella
vecchia Castiglia, dove si trovava sua madre.
Partito il re da Toledo, gli abitanti avevano chiamato Fadrique
per affidargli il governatorato e la difesa della città ed egli giunse
accompagnato da settecento cavalieri; altri signori andarono a postarsi nei
pressi di Tordesillas, tenendo così bloccato il re al fine di fargli accettare
le loro richieste, prima fra tutte quella di disfarsi di Maria Padilla e di
tutti i suoi parenti e amici presso la Corte.
Pedro però non aveva accettato nessuna delle loro richieste ed
essi presero la via di Valladolid (1354) per impossessarsene; ma la città non volle aprir loro le porte, per
cui ripiegarono su Medina del Campo che
occuparono senza neanche un colpo di spada e qui li raggiungeva Fadrique,
nell’intento di prestar loro aiuto.
Albuquerque, ritirandosi dalla Corte, era entrato a far parte del
partito dei signori scontenti, dai quali si era lasciato convincere che Pedro
da quando lo aveva trovato contrario ai propri voleri nei suoi rapporti con
Maria Padilla, lo detestava; Albuquerque però non si era reso conto che passando
dalla parte di quelli che erano i suoi vecchi nemici, firmava la sua condanna
... e costoro ebbero la possibilità di assassinarlo.
Non se ne conoscono le modalità: ma Albuquerque si trovava a
Medina del Campo quando i moriva dopo aver bevuto uno sciroppo che il suo medico
romano, di nome Paolo, con cui era in intimità, gli aveva dato da bere; come
scrive Mariana, egli “ebbe maggior gloria
dopo la caduta” e, gli furono tributati
tutti gli onori che egli stesso aveva indicato nel suo testamento.
Questi signori, ritenendo che il re con la morte di Albuquerque
fosse divenuto più trattabile, chiesero di incontrarlo e l’incontro avvenne in
un villaggio nelle vicinanze di Tordesillas; per evitare sorprese, ognuno
giunse con una scorta di cinquanta cavalieri.
Furono accolti dal re in amicizia e ammessi a baciargli la mano,
secondo l’uso castigliano e dopo i convenevoli presentarono le loro richieste.
Per conto del re, sulle richieste avanzate. prese la parola Gutierrez
de Toledo dicendo loro che rappresentavano i più grandi signori del regno,
illustri per la loro nascita, ma avevano abbandonato il loro re dimenticando la
fedeltà che gli avevano giurato; che il re era disposto a perdonarli se
avessero licenziato le loro truppe, ritirandosi nei loro castelli oppure recandosi
a Corte.
Circa la richiesta che avevano fatto riguardo alla regina Bianca [che chiedevano dovesse andare a Corte], gli fu detto che era presto per
fare ciò che chiedevano e comunque il re era persuaso che questo potesse essere
solo un pretesto per intorbidare il regno.
I signori, avevano dato l’incarico della risposta a Ferrand
d’Ayala che (in sintesi), disse al re: “Chiediamo
umilmente a vostra altezza perdono per
ciò che abbiamo fatto, essendovi stati obbligati per la nostra salvezza in
quanto i nostri nemici hanno congiurato di perderci e abbiamo le prove di
questa loro cattiva volontà; siamo nelle vostre mani, signore, e non avete mai
avuto persone più fedeli, disposte a fare tutto ciò che è necessario nell’interesse della Corona.
Quanto alle azioni dei
monarchi, essi sono elevati al disopra di tutti gli uomini e tutto ciò che fanno è portato a conoscenza di tutti
e niente sfugge al popolo delle loro azioni; è con estremo dolore che la
virtuosa regina Bianca, legittima sposa che abbiamo riconosciuto come regina per
le sue alte qualità, riteniamo che Maria Padilla cerca di perderla; è con
rammarico che la vediamo circondata da adulatori che non cercano che ingannare
il buon cuore di vostra altezza; abbiamo troppo zelo nei vostri confronti per
non esserne toccati; niente basterebbe per addolcire la nostra pena se non
veniamo assicurati che venga apprestato un rimedio pronto ed efficace per
eliminare tanto male; il tempo vi convincerà che la giustezza delle nostre
richieste, la saggezza delle nostre rimostranze, quando con l’età sarete
liberato dalle passioni dalle quali siete stato troppo facilmente preso. [...] Troppo spesso si sono visti
dei principi famosi per le loro alte qualità che hanno appannato il loro nome a
causa di disordini familiari; non si è mai vista una principessa di nascita
così illustre [...] affabile, amabile di spirito e di carattere che ha guadagnato i
nostri cuori [...] delizia di questo regno
per la sua bellezza unita a rare virtù, per la sua modestia, tutto parla
in suo favore; voi, signore, vi siete dato a una passione sregolata, capace di
farvi cadere in un precipizio che vi disonora e vi fa oggetto del nostro
dolore”.
Il re fece sapere che l’importanza della richiesta comportava del
tempo per una decisione e i signori si ritirarono; Pedro però aveva ritenuto offensive
le richieste dei signori e ogni giorno che passava trascurava di prendere una
decisione e non fu difficile capire che i signori non avrebbero ottenuto ciò
che chiedevano e che il re temporeggiava ... per lasciare le cose come stavano;
... ma nel frattempo ... egli correva dov’era Maria!
GLI AMORI DI PEDRO:
IL MATRIMONIO
CON GIOVANNA DE CASTRO
iego Lopez de Haro, signore di Biscaglia, pronipote di
Sancho IV di Castiglia, moriva (1354) lasciando la moglie Giovanna de
Castro, figlia di Pedro Fernando de Castro e di Isabella Ponce de Leon,
considerata una delle più belle dame di Spagna e soprannominata la Formosa (voluttuosa); la notizia fu
riferita a Pedro il quale incuriosito, volle conoscerla ... e appena vista “fu preso da ardente voglia di possederla”.
Disperando di poterla sedurre, per l’alta posizione occupata
dalla vedova e perché Giovanna sapeva, come tutti in Castiglia, della sua
amante Maria Padilla e del matrimonio con Beatrice, Pedro le raccontò di essere
libero di disporre della corona e del proprio letto in quanto il suo matrimonio
con Bianca era nullo e non lo aveva neanche consumato.
Due vescovi codardi, uno di Avila e l’altro di Salamanca, lo appoggiarono in questa sua
tresca, dichiarando che il matrimonio del re con Bianca era nullo; così Pedro a
Salamanca sposò Giovanna, ma nel pomeriggio dello stesso giorno, all’ora del
vespro, arrivava un
cavaliere, Diego Gutierrez de Zaballos, suo vassallo, per annunciargli che i
suoi fratelli e Albuquerque avevano fatto prigioniero Juan Garcia Padilla de
Villagena, fratello di Maria Padilla e che
avevano riunito le loro forze a Badajoz
e si preparavano a entrare in Castiglia.
La mattina seguente Pedro partì per Castro-Xeriz lasciando
Giovanna, senza rivederla mai più; giunto in questa città Pedro mandò a
prendere Maria con la quale si rappacifìcò per l’avventura appena avuta, e lei,
in piena gravidanza, gli partoriva una seconda figlia alla quale era dato il
nome di Costanza.
Giovanna, così abbandonata, si ritirò a Dueñas per affogare il dispiacere, consolandosi del vano titolo di
regina che le fu riconosciuto e del figlio che le nacque al quale fu dato il
nome di Juan, che in seguito, sposando Elvira di Eril, figlia del capitano
catalano Bertrando di Eril, dava origine alla casata dei Castillas.
I signori scontenti e confederati contro Pedro, aumentarono di
numero in quanto ad essi si aggiunse il fratello di Giovanna, Fernando de
Castro con tutto il suo seguito, desideroso di vendicare l’oltraggio subito
dalla sorella.
Gli abitanti di Toledo erano
così indignati per la condotta insensata di Pedro e per come trattava la regina
Bianca, amata dal popolo, che con altre città come Cordova, Jaen, Cuença e Talavera e altre ancora, si confederarono contro di lui.
A questa confederazione si
aggiunsero i due Infanti aragonesi, sempre pronti alla cospirazione, come lo
era la loro madre Eleonora, appoggiati dalla stessa regina madre; si vide così
scoppiare una sanguinosa guerra civile che si protrasse per lungo tempo, che
avrebbe preparato la strada al trono ad Enrico di Trastámara.
LA TERZA MOGLIE
GIOVANNA DE CASTRO
E MORTE DI BIANCA
DI BORBONE
alla terza moglie, Giovanna de Castro, vedova di Diego Lopez de
Haro, si riteneva nato Juan (in ogni
caso nominato da Pedro nel suo testamento), l’unico sopravvissuto (come abbiamo
già detto), tenuto prigioniero in un
castello per quasi cinquant’anni, dai re Enrico II e Giovanni I e liberato da
Giovanni II, il quale, secondo alcuni storici, avrebbe sposato Elvira di Eril figlia del
cavaliere catalano Beltrando di Eril, e sarebbe stato il capostipite della
famiglia dei Castiglias (queste manipolazioni storiche servivano alle grandi
famiglie per vantare le ascendenze reali!).
Secondo altri Juan si era ritirato in convento e fu priore del
monastero di san Domenico di Toledo.
Da Maria de Hinestrosa (cugina di Maria Padilla) Pedro aveva
avuto un figlio Ferrando (1369), morto fanciullo.
Nel monastero reale dei religiosi di san Domenico a Toledo vi è
la tomba di una dama della regina madre, di nome Teresa, dalla quale, dietro
promessa di matrimonio Pedro aveva avuto una figlia di nome Maria, per lungo
tempo priora del monastero e un’altra tomba di due giovani principi, Diego e
Sancho, anch’essi figli naturali di Pedro avuti da una Isabella di cui non si
conosce la famiglia (chissà se non fosse Isabella de Lara!).
Tornando alla sfortunata Bianca, sebbene vivesse relegata come
prigioniera, Mariana riferisce dell’ “intrigo
amoroso” [che contrasterebbe con la vita relegata di cui si parla ... ma
nei casi di rapporti amorosi, per gli amanti tutto è possibile!] da lei avuto con Fadrique, il quale se ne sarebbe invaghito
appena l’aveva vista ... e sarebbe nato un bambino chiamato Enrico, affidato a
una nutrice ebrea di nome Paloma o Colomba, di Siviglia, che sarà considerato
il capostipite della casata degli Enriquez (Romey la ritiene una leggenda di
romanzieri; comunque valga la considerazione sui capostipiti delle grandi famiglie,
fatta innanzi!).
Bianca, dall’Alcazar di Toledo era stata trasferita a Xerez e poi
a Medina Sidonia (1361) dove era morta
all’età di ventiquattro anni senza che se ne conoscesse la causa,
(salva la considerazione che l’ordine di assassinarla fosse stato
dato da Pedro, per motivi politici, in quanto la sua presenza provocava
ribellioni) e sarebbe stata avvelenata dallo stesso medico, Paolo, che aveva
avvelenato Albuquerque.
Pedro lo aveva ricompensato
con grandi benefici, tra i quali un terreno del valore di cento maravédis nei pressi di Siviglia e
nominato suo “contabile maggiore”,
ricompensa che si potrebbe mettere in relazione con la morte di Bianca, più che
di Albuquerque!
Per questa morte, Mariana, coglie l’occasione per scagliarsi contro
Pedro con una invettiva, in cui lo chiama: “sposo
barbaro o piuttosto bestia feroce, mostro inumano, il sangue innocente che
vieni a versare grida vendetta, tu perirai; l’indignazione del cielo griderà
contro di te. [...] Trasportato dal furore, ebbro di piacere in mezzo ai più
orribili disordini, sordo alla voce del Cielo, tu precipiterai nell’abisso
che i tuoi crimini ti avranno scavato, tu alla fine, con il prezzo del tuo
sangue colpevole, pagherai quello che hai versato di tanti innocenti”.
PEDRO PRIGIONIERO
NEL SUO PALAZZO
RIESCE A FUGGIRE
a regina madre rimasta turbata per i comportamenti del figlio,
aveva finito per parteggiare per i signori scontenti invitati a recarsi da lei
a Toro, dove si trovava, mettendo la città nelle loro mani; il re, già
contrariato per il recente discorso che gli avevano fatto quei signori a
Tordesillas, venutone a conoscenza e sentendosi in difficoltà, decise di
recarsi dalla madre per chiederle il suo aiuto, con il suo seguito di Hinestrosa, Samuel Levi, e la sua Corte.
La regina lo ricevette con tenerezza e dimostrazioni di affetto;
egli l’assicurò che si metteva nelle sue mani e che avrebbe fatto tutto ciò che
lei avesse voluto; la regina ne approfittò per far mandare via dalla Corte
alcuni dei suoi accompagnatori sospetti, altri li fece imprigionare, furono sostituiti
tutti gli ufficiali di palazzo che parteggiavano per il re, estromettendo tutti
i Padilla e per giunta facendo mettere agli arresti Hinestrosa e Samuel Levi.
Il principe Fadrique fu nominato Gran Ciambellano, l’infante
Ferdinando d’Aragona (cugino germano di Pedro) Gran Cancelliere del regno, a Juan
de la Cerda furono assegnate la carica e le insegne della corona; a Fernando de
Castro fu data la carica di Maggiordomo maggiore (costui coglieva l’occasione
per sposare Juana, figlia di Eleonora Guzman).
Il re era ora prigioniero nel suo stesso palazzo, guardato a
vista, ma trovò il modo di fuggire recandosi a Segovia in compagnia di Samuel
Levi che aveva ottenuto la libertà su cauzione, come l’aveva avuta Hinestrosa,
a condizione che rabbonisse il re; ma Hinestrosa avuta la libertà, non tenne
fede alla sua promessa ... ma vi era ben poco da rabbonire!
La fuga di Pedro era stata favorita dal fratellastro Tello, che
quel giorno prestava servizio di sorveglianza, il quale lo seguì nella fuga, ma
questa amicizia non doveva durare a lungo; Juan de la Cerda aveva raggiunto
Pedro a Segovia per far pace con lui, ma dopo averlo salutato se ne partì per la
Francia dove fu fatto assassinare dal re Carlo di Navarra (anch’egli
sopranominato “il Malvagio”!), in
circostanze misteriose.
Con Pedro in libertà, Fadrique si recava a Talavera dove aveva
lasciato le truppe e i suoi amici; Ferdinando de Castro se ne andava in Galizia
con la novella sposa( il matrimonio sarà successivamente annullato in quanto i
due erano parenti prossimi). Tello, abbandonando Pedro, andò a rifugiarsi in
Biscaglia, Enrico invece rimase a Toro con la regina, con l’intenzione di
difendere la città in caso di bisogno.
All’inizio dell’anno successivo (1355) il re convocò a Burgos gli
Stati generali durante i quali si lamentava dell’indolenza dei Grandi e della
violenza che gli era stata usata a Toro, chiedendo loro di concedergli una
somma per riunire un’armata per poter punire i rivoltosi; gli Stati
acconsentirono a concedergli la quota di danaro per poter apprestare delle
truppe, chiedendogli di prendere con sé la regina Bianca; il re promise ma non
mantenne a promessa!
Chiusa la sessione, Pedro partì per Medina del Campo dove diede disposizioni per la eliminazione
di Pedro Ruiz de Villegas, Governatore della Castiglia e di Sancho Ruiz de
Rojas di illustri origini, facendo
arrestare altri, sospettati di essergli contrari.
I gemelli Enrico e Fadrique che avevano raccolto le loro truppe a
Talavera, decisero di recarsi a Toledo per mettersi al riparo dalla collera di
Pedro; entrati in città fecero un massacro degli ebrei che erano un migliaio,
saccheggiando le loro case e negozi; Pedro, avvertito, si diresse verso la
città e i due fratelli ritennero opportuno abbandonarla.
Giunto in città Pedro fece uccidere qualcuno dei signori che
riteneva facessero parte degli scontenti suoi avversari e tra la popolazione
fece uccidere ventidue borghesi e fece imprigionare anche il vescovo Pedro
Gomez de Barroso che parteggiava per Bianca, nel castello di Seguenza.
Avendo ristabilito la pace a Toledo, Pedro passò ad altre città cominciando
da Cuenza dove si trovava il fratellastro Sancho il quale andò a rifugiarsi in
Aragona con l’aiuto di Garcia d’Albornoz; avendo trovato la città tranquilla,
Pedro decise di andare a sfogare la sua collera a Toro mettendola sotto
assedio.
Nella città si trovavano la regina madre ed erano tornati i due
gemelli Enrico e Fadrique oltre a Pedro Estevanez Carpintero, Gran Maestro di
Calatrava e gran parte dei signori malcontenti
Nel frattempo Maria Padilla a Tordesillas gli dava una terza figlia di nome Isabella, nuovo
motivo di gioia per Pedro che raddoppiava per lei la sua passione, divenuta
tanto famosa che le canzoni del tempo raccontavano che Pedro era stato
ammaliato da un ebreo che gli aveva dato la fascia (che egli portava attorno
alla sua vita), su cui vi era la figura di un drago!
Nello stesso periodo, Juan Padilla, fratello di Maria e Gran
Maestro era ucciso in uno scontro con la
truppa avversaria comandata da Gonzalez Mexia, Gran Commendatore di
Castiglia e da Gomez Carrillo.
LA REGINA MADRE
TORNA
IN PORTOGALLO
DOVE E’ AVVELENATA
edro intendeva impadronirsi della città di Toro e l’aveva messa
sotto assedio; quivi come abbiamo detto si trovavano Fadrique ed Enrico il
quale aveva trovato il modo di uscire dalla città e recarsi in Galizia; Fadrique
si era recato a trovare il re nel suo accampamento (1356) per parlamentare, ma senza venire a capo di nulla; Pedro riuscì a
prendere la città senza spargimento di sangue, in quanto un guardiano della
quale faceva la guardia, gli aveva aperto la porta, facendo entrare il re con
le truppe.
La prima cosa che fece Pedro, fu quella di far uccidere Pedro
Estevanez Carpintero e Ruy Gonzalez Castañeda che avevano parteggiato
con i malcontenti, sgozzati alla presenza della regina madre, che ne fu tanto inorridita
da cadere svenuta.
La regina, dopo aver maledetto il figlio con mille imprecazioni,
se ne partì per il Portogallo recandosi dal fratello, re Pedro, ma non ebbe una
sorte migliore!
Quivi, era stato scritto, “non si comportava con ritegno e pudore”,
come quando era in Castiglia, dove si era data agli amori con un portoghese di
nome Martin Tello; ma mentre questo comportamento era stato accettato in
Castiglia, in Portogallo il re suo fratello lo aveva trovato disdicevole e per
questo motivo la fece avvelenare.
Anche Pedro del Portogallo era detto “il Crudele” e questa crudeltà essendo generalizzata valeva per tutti; per non
parlare della crudeltà della Inquisizione (v. in Articoli) in piena attività e diretta
da Domenico Guzman (il famoso san Domenico!) con il quale il papa Onorio si
congratulava (1217), unitamente ai suoi seguaci, “incoraggiandoli a proseguire con lo stesso ardore, l’impresa della
persecuzione degli eretici, per la gloria della religione”.
Il Portogallo in fatto di crudeltà, non era da meno della
Castiglia; infatti, anche quando viveva il padre Alfonso IV, il figlio Infante (attualmente
regnante) era stato preso da passione per Agnese de Castro, che non era del suo
rango, dalla quale aveva avuto quattro figli; Pedro, sapendo che il padre non
gli avrebbe dato il consenso di sposarla, si era sposato segretamente, ma quando
il padre ne era venuto a conoscenza, ne
fu tanto indignato da farla assassinare; Alfonso IV poco dopo moriva (1357) e
Pedro prendeva come nuova amante Teresa di Galizia dalla quale ebbe un figlio,
Juan, che gli succederà sul trono.
L’anno seguente (1358) un forte terremoto fece gravi danni in
tutta la Spagna e molte città costiere furono inondate dal mare; a Siviglia
caddero le sfere di ferro che si trovavano sull’alto della torre; il terremoto
era stato particolarmente forte anche a Lisbona, dove la Cappella reale, interamente ricostruita e
resa dal precedente re Alfonso IV tra i più superbi edifici del paese, andò
completamente distrutta; questo avvenimento fu vanamente considerato triste
presagio per il reame di Castiglia, ma il regno di Pedro il Crudele durerà
ancora molto, mentre il popolo, per rassicurarsi, faceva ricorso a preghiere e
processioni, ritenendo così di calmare la collera divina!
PEDRO FA UCCIDERE
FADRIQUE
L’INFANTE D’ARAGONA
LE LORO MOGLI E SUA ZIA
LA REGINA ELEONORA
adrique, Gran Maestro dell’Ordine di san Giacomo, aveva posto
l’assedio al castello di Jumilla che gli si era arreso (1358) e si era recato
da Pedro a Siviglia per portargli la notizia.
Pedro nutriva per lui un odio mortale e mentre attendeva il suo
arrivo, aveva convocato al mattino presto nella sua camera i due Infanti
d’Aragona, unitamente a Diego Perez Sermiento, governatore militare di Castiglia
(con l’incarico segreto di sorvegliare i due Infanti), e prendendo una croce e
i vangeli, li fece giurare che avrebbero mantenuto il segreto su ciò che stava loro
per riferire.
“Cugini,disse, io so e voi sapete
che il Maestro di San Giacomo vi vuole
un gran male ed io ho intenzione di
ucciderlo oggi stesso e vi prego di aiutarmi, e una volta morto penso di
partire per la Biscaglia e andare a uccidere Tello e a voi darò le terre di
Biscaglia e di Lara che vi appartengono essendo tu Juan, sposato a Isabella
figlia di Juan Nuñez de Lara”.
E l’Infante rispose: “Signore,
vi rendo grazie per averci confidato i vostri segreti; è vero che detesto il
Maestro di San Giacomo e il conte Enrico suo fratello e sono contento di ciò
che avete detto in quanto anch’essi mi vogliono del male per essere al vostro
servizio, per cui sono d’accordo sulla sua uccisione e, per vostra grazia,
posso ucciderlo io stesso”. Questa risposta fece contento Pedro che gli
disse: “Cugino Infante, vi sono grato di
ciò che mi dite e si farà così” . Ma Diego Perez Sarmiento disgustato da
questa risposta, disse all’Infante: “Signore,
accontentatevi di ciò che ordinerà il re, gli arcieri non mancheranno di uccidere
il Maestro”; il re però, rimase contrariato da questa risposta e da quel
momento non guardò più di buon occhio il fedele Perez Sarmiento.
Ecco che all’Alcazar alle nove arriva Fadrique e Pedro lo riceve
in buona grazia, chiedendogli se avesse un buon alloggio e di andare a
prenderne possesso e, poiché arrivavano altri visitatori, si sarebbero visti
più tardi.
Fadrique andando via, era passato dall’appartamento di Maria
Padilla che era con le dame e le bambine, per salutarla; Maria non ignorava la
sorte a lui riservata e quando lo vide lo accolse con un viso così triste che
chiunque avrebbe intuito cosa sentisse nel suo animo.
Dopo averla salutata, si recò nel cortile dell’Alcazar dove aveva
lasciato i suoi muli con i bagagli, ma non li trovò; un cavaliere di nome Suer
Gutierrez de Navalès, sembrava volesse
avvertirlo: Signore, la posterla
(porticina dei castelli) del cortile è aperta, uscite di là, non pensate ai
muli; e glielo ripeté diverse volte, ma Fadrique non si mosse, nel frattempo
giunsero due cavalieri che gli dissero che il re lo aspettava ed egli solo ora incominciò
ad avere dei dubbi e man mano che attraversava gli appartamenti del palazzo,
dalle guardie poste alle porte, i dubbi continuavano ad assalirlo; quando
giunse all’appartamento detto di ferro, dove si trovava il re, Pedro aveva
dato ordine che potevano entrare solo il Gran Maestro di Calatrava, Diego
Padilla che non sapeva nulla di ciò che doveva succedere, che lo accompagnava con
altri due cavalieri.
Appena entrati la porta fu chiusa e i due cavalieri si fermarono
sulla porta; nella sala vi era il re e il balestriere maggiore Pero Lopez
Padilla, al quale il re ordinò di arrestare il Maestro: “Quale dei due, chiese
il balestriere”. “Quello di San Giacomo”,
replicò il re.
Quando il balestriere gli si avvicinò, Fadrique oppose resistenza
e il re rivolto agli altri arcieri ordinò di uccidere il Maestro di San Giacomo,
ma gli arcieri non osarono farlo; un ufficiale di camera del re, Rui Gonzalez
de Atienza, a conoscenza del progetto, rivolto agli arcieri li redarguì a voce
alta: Traditori che fate? Non
avete sentito che il re vi ha ordinato di uccidere il Maestro?
Essi allora presero le mazze e con le mazze levate si dirigevano
verso il Maestro che si era svincolato da Pedro Padilla, che lo teneva, ma egli
si svincolava e saltava dalla finestra nel cortile, mettendo mano alla spada,
ma non riuscì a tirarla in quanto l’elsa era impedita dal mantello; essendo
agile, sfuggiva agli arcieri e andava da una parte all’altra del cortile e
riuscì a entrare in una sala detta degli “azulejos”
(per i mosaici e le maioliche del pavimento), ma Nuño Ferrandez de Roa, che con altri lo raggiunse, gli diede un
colpo di mazza sulla testa e lo abbatté; giunsero gli altri e a loro volta lo
colpirono ripetutamente; sopraggiunto il re, credendolo morto rientrò nel
palazzo pensando di incontrare qualcuno degli uomini di Fadrique da uccidere,
ma non incontrò nessuno; egli pensava di incontrare Pero Ruiz de Saldoval
Rostros-de-puerco, vecchio comandante di Montiel e attualmente di Mérida, del
quale voleva vendicarsi, ma non lo trovò.
Invece, un cavaliere del seguito di Fadrique, meno fortunato, Sancho
Ruiz de Villegas, che si trovava nell’Alcazar, avendo sentito tutto quel trambusto,
era andato a rifugiarsi nell’appartamento di Maria (detto del caracol-della lumaca) e, pensando di salvarsi, aveva preso in braccio Beatrice,
la bambina di Pedro, ma Pedro, toltagli la figlia dalle braccia, lo colpì con
una daga che aveva alla cintura, facendosi aiutare da un cavaliere, Juan
Ferrandez de Tovar, suo nemico; ciò fece senza preoccuparsi per la presenza
delle donne e delle bambine!
Pedro quindi, ritornò nella sala dov’era Fadrique che trovò
ancora vivo e sanguinante e tirando la daga che aveva alla cintura, la diede a
un domestico per finirlo (tutto ciò,
commenta lo storico, è raccontato da
Ayala senza meravigliarsi!).
Nella sala (detta delle azulejos-,
delle piastrelle lucide) vi era una
tavola apparecchiata per il pranzo di mezzogiorno, Pedro si sedette e pranzò
alla vista del cadavere del fratello immerso nel suo sangue.
Finito il pranzo, Pedro fece chiamare l’Infante mettendosi in
viaggio per recarsi da Tello che si trovava ad Aguilar del Campo, in Biscaglia,
percorrendo più di centodieci miglia in sette giorni. Quando giunse, Pedro fu
riconosciuto da uno scudiero di Tello che era a caccia e questo corse da Tello
per avvertirlo e Tello se ne fuggì recandosi a Bermeo, dove con una barca di
pescatori si diresse a Bayonne.
Non avendo trovato il fratellastro, Pedro fece arrestare la
moglie, Juana Nuñez de Lara, titolare della
signoria di Biscaglia, mentre lui cercò di inseguire Tello, ma quando giunse a
Bermeo, Tello era già partito giungendo a Saint-Jean-de-Luz, da dove raggiunse Bayonne
via terra, lasciando Pedro infuriato.
L’Infante Juan non ebbe l’accortezza di chiedere a Pedro la
ricompensa promessa e pensò bene di recarsi direttamente a prendere possesso
della Biscaglia (alla quale aveva anche diritto per aver sposato la sorella di Juana
Nuñez, Isabella).
Pedro si vendicò della scorrettezza compiuta da Juan, facendo riunire
le Cortes di Biscaglia, invitandole, ufficialmente, a scegliere l'Infante come
loro signore, ma in segreto aveva suggerito ai principali rappresentanti che si
erano riuniti a Bermeo, di rifiutarlo come loro signore e di dichiarare - come
fecero! - “che essi non ricevevano ordini se non dal re in persona e suoi
successori dopo di lui”.
Pedro poi, si giustificava con l’Infante dicendogli che si
sarebbe recato a Bilbao per vedere se lo avessero accettato loro come signore;
Juan acconsentì, ma incominciò ad avere dei dubbi sulle intenzioni di Pedro nei
suoi confronti!
Essi quindi si recarono a Bilbao alloggiando ciascuno in un
proprio palazzo; e questa parve al re una buona occasione per realizzare il suo
macabro progetto.
La mattina seguente Pedro mandò a chiamare Juan che giunse
accompagnato da due o tre del seguito, che giunti all’appartamento del re, si
fermarono sulla porta ed entrò il solo Juan che non era armato e aveva solo un
pugnale, che gli fu tolto, come per gioco.
All’improvviso, mentre Martin Lopez de Cordova, cameriere del re,
lo afferrava tra le sue braccia tenendolo stretto, un balestriere, Juan Diente lo colpiva con una
mazza sulla testa, colpito anche dagli altri balestrieri.
L’Infante, sebbene colpito rimase in piedi e si precipitò verso
Juan de Hinestrosa, cameriere maggiore del re, che gli diede una stoccata e un
altro balestriere, Gonzalo Recio, lo colpì con la mazza alla testa e l’Infante, con quest’ultimo
colpo, cadde morto.
Pedro fece gettare il
corpo dalla finestra e affacciatosi gridò: “Guardate
biscagliani chi voleva essere vostro signore”; poi diede ordine di buttare
il corpo nel rio Arlanzon perché non ricevesse sepoltura.
Nello stesso tempo mandò Hinestrosa a prelevare la madre
dell’Infante, la regina Eleonora sua zia
e la stessa moglie dell’Infante Juan, Isabella de Lara che si trovavano a Roa; ambedue ignoravano la morte rispettivamente
del figlio e del marito, e le fece condurre prigioniere al castello di Castro
Xeriz, destinate a morire avvelenate, come morì avvelenata la sorella di
Isabella, Juana, moglie di Tello (1359), ad evitare rivendicazioni sulla
Biscaglia.
IL RAPPORTO
DI PEDRO
CON GLI ARABI
DI GRANADA
li arabi non erano meno cospiratori degli spagnoli e gli
assassini dei sultani erano all’ordine del giorno, non escludendo il parricidio,
come era avvenuto al tempo di Alfonso XI, quando regnava Ismail (1329), ucciso
dal figlio Muhamad IV.
Il sultano Abul-Hasan, della dinastia dei Merinis, il cui
capostipite Iagmour Esen ben Zian, che faceva risalire le sue origini ad Alì
marito di Fatima, figlia di Maometto, dopo aver conquistato Tremesen (successivamente
unificato al regno di Tunisi), costituendo il regno di Tremesen (1249), aveva
deciso di conquistare la Spagna ed era andato a stabilirsi a Granada che gli
arabi consideravano terra paradisiaca, tanto da ritenere che il Paradiso
corrispondesse alla parte di cielo che sovrastava quel regno (*).
Regnava Abul-Hegiag-Jousef-ben Nasr (Jousef I) di ventun anni, ucciso
da un forsennato mentre pregava nella moschea (1354) e gli succede il figlio
Muhamad V, principe dolce, umano, compassionevole, il quale aveva un fratello,
Ismail sorretto dalla ambizione della madre che il giorno della morte di Jousef
si era appropriata di una parte del suo tesoro per aprire la strada del trono al figlio.
Sua figlia era moglie del potente sceicco Abu-Saïd-Alala (per altri Abil-Gualid) che soggiaceva alla volontà della
moglie, il quale aveva costituito un partito di congiurati che per alcuni anni erano
stati tranquilli, e quando si sentirono sicuri (1359), entrati nel palazzo
attraverso il tetto con le torce in una mano e la spada nell’altra incominciarono
a massacrare tutti quelli che incontravano; poi, pensando piuttosto alla
propria fortuna, si appropriarono dei tesori che apparivano sotto i loro occhi
e il re riusciva a fuggire e vestito con gli abiti di una schiava, si recava a
Guadix (Cadice) dove la popolazione gli era rimasta fedele (per questo sarà
successivamente sopranominato Mahomet Guadix).
Abu-Saïd insediava come sovrano il
fratello Ismail II, mentre Muhamad si recava presso il re di Fez per chiedergli
aiuto.
Ismail era di bell’aspetto e aveva tratti femminili che lasciavano
trasparire la sua debolezza di carattere e la sua predisposizione ai piaceri e preferiva
starsene rinchiuso nel suo harem piuttosto che dedicarsi al governo
del regno, sì che Abu-Saïd non aveva dovuto impegnarsi molto
per reggerne le sorti ed esercitare il potere.
Ma non si accontentava solo di questo; egli mirava ad avere la
corona sulla propria testa, per cui mandò un corpo di guardia a circondare il
palazzo, mentre Ismail andava a rifugiarsi nella fortezza dell’Alhambra, ma fu
ugualmente raggiunto dalla guardia per arrestarlo e nello stesso tempo era
stato dato l’ordine di assassinarlo durante il tragitto; fu così tagliata la
testa a lui e al suo giovane fratello Caïs e ambedue le teste furono portate per la città nello stupore
generale.
Intanto giungeva Muhamad con l’esercito del re di Fez che sconfisse
quello di Abu-Saïd il quale però a causa di
ulteriori vicissitudini (il re di Fez era stato ucciso e gli era subentrato il
fratello), si era alleato con il re di Aragona con il quale Pedro era in guerra
e, trovandosi in difficoltà, aveva dovuto sottoscrivere la pace cedendo al re
d’Aragona il castello di Ariza a condizione di non arrecare disturbo al re di
Granada.
Pedro però non tenne fede a quest’ultima condizione e aveva
mandato un corpo di cavalieri (1362) a recare disturbo alle frontiere del regno
di Cordova e si era impadronito di diverse piazze e fortezze giungendo nei pressi
di Granada; il corpo di cavalleria comandato dal Gran Maestro di Calatrava
(fratello di Maria Padilla) che si trovava nei pressi di Gualdaquivir in parte era
stato massacrato, mentre il Gran Maestro con alcuni suoi cavalieri era stato fatto
prigioniero.
A Malaga vi era stata una rivolta e gli
abitanti si erano dichiarati per il vecchio re per cui Abu-Saïd trovandosi in una posizione difficile, per uscirne, tra i vari mali
scelse quello di rivolgersi a Pedro; dichiarandosi suo vassallo e offrendogli il
proprio tributo, gli chiedeva il salvacondotto,
mandandogli, in cambio, alcuni prigionieri tra i quali il Gran Maestro
di Calatrava; ottenuto il salvacondotto si presentava a Siviglia con ricchezza
di apparato e magnificenza di abiti e bardature di cavalli, tra uno sfavillio di
oro e pietre preziose da suscitare la umana
cupidigia!
Abu-Saïd fu ricevuto con tutti gli
onori, ma Pedro, mentre aveva dato ordine di preparare per l’ospite una grande
cena (per darsi una giustificazione sulla violazione dei doveri di ospitalità!),
riuniva il consiglio che doveva decidere la sua sorte, al quale faceva presente
che Abu-Saïd si era comportato da usurpatore; il consiglio decise la sua
morte; il motivo segreto del cambiamento della iniziale buona accoglienza, era
stata la tentazione di appropriarsi di tutto quell’oro improvvidamente
ostentato da Abu-Saïd.
La notte tutti i cavalieri del suo seguito vennero massacrati e
la mattina seguente i loro cadaveri furono portati in un campo denominato Tablada dove fu condotto anche Abu-Saïd al quale, mentre Pedro gli si avvicinava con un pugnale per
colpirlo, gli diceva: ”Questa è la fine
che meriti per avermi fatto firmare il trattato di pace con il re d’Aragona”,
mentre Abu-Saïd gli rispondeva “Oh Pedro, che vergognosa vittoria stai
riportando su di me, questa azione è degna
di te che fai perire un re che sulla tua parola è venuto a mettersi nelle tue
mani”.
Muhamad venuto a
conoscenza della fine di Abu-Saïd entrava in Granada ben
accolto dagli abitanti della città; nel frattempo gli giungeva la testa di
Mehemet che Pedro aveva pugnalato e fatto decapitare e il messaggero mentre gliela
faceva rotolare ai suoi piedi gli diceva:
“Re di Granada, possa tu vedere a questo
modo le teste dei tuoi nemici”; Muhamad preso da orrore e paura, inviò a
Pedro venticinque bellissimi cavalli con magnifiche gualdrappe e bardature e
scimitarre ornate d’oro e pietre preziose e liberò altri prigionieri cristiani
che si trovavano nelle sue prigioni, assicurando Pedro della sua riconoscenza
ed esprimendogli il desiderio di vivere con lui in pace.
Durante i sei anni di guerra sanguinosa tra castigliani e
aragonesi, Muhamad aveva prestato aiuto a Pedro con settemila cavalieri e
ottantamila fanti, ma questi aiuti non impedirono la sua caduta della quale ne
approfittava Enrico nella conquista di una parte del regno, come vedremo.
Muhamad V regnerà ancora per molti anni e dopo la sua morte
(1379) gli succederà suo figlio Jousef II Abou-Abdala, ritenuto uno dei
migliori sovrani di Granada per aver costruito a Granada e Cadice edifici stupendi.
*) Dobbiamo avvertire i lettori che la fonte dei
dati storici riportati è costituita da
l’ “Histoire de la Domination des arabes
et des maures en Espagne et Portugal depuis l’invasion de ces peuples jusqu’a
leur expulsion definitive traduit de l’arabe en espagnol de Jouseph Conde”
(traduit en francais par M. de Marlés), III Vol. Paris, 1825 Ed. Alexis Elmery),
ma, consultando altri testi, sia derivati da testi arabi, sia di storici
spagnoli, non abbiamo trovato corrispondenza di nomi e di date, da far venire
spontanea la considerazione che nella storia degli arabi di Spagna regni una
certa anarchia e non sappiamo se ciò provenga dai traduttori; lo stesso Conde, annota,
proprio a proposito delle successioni dei sultani e in particolare degli
avvenimenti riguardanti Muhamad e Abu-Saïd “qui comincia a regnare una totale confusione
tra il racconto degli arabi e quello degli storici spagnoli”.

Cattedrale di Burgos
La maestosa scalinata del pulpito
originaria
ENRICO ACCCLAMATO
RE IN ARAGONA E’
INCORONATO A BURGOS
orta Bianca, Pedro, per difendersi dalla possibile vendetta della
Francia, aveva cercato l'alleanza (1363) con Edoardo III d’Inghilterra e con il
Principe-Nero (*); dall’altro canto, per bilanciare questa alleanza e
detronizzare Pedro, Enrico si allea con Bertrand du Guescelin, con il conte Jean
de Bourbone, conte de la Marche (cugino della regina Bianca) e altri capi
francesi ai quali si unisce don Carlos, re di Navarra.
Per di più il re di Francia, Carlo V (1338-1380), voleva
vendicare l'oltraggio di Bianca di Borbone fatto da Pedro alla casa reale francese
e, abbracciando la causa di Enrico, dava incarico a du Guescelin di raccogliere
i soldati che, da poco licenziati, gli stavano saccheggiando il territorio, per
invadere la Castiglia.
Per arrestare questo esercito Pedro raccoglieva le sue truppe a
Burgos (1366) mentre in Catalogna giungevano le truppe francesi, ricevute del
re d'Aragona, dove giunse anche Enrico che dalle truppe fu acclamato re di
Castiglia.
L’inazione di Pedro al momento dell’invasione del suo regno,
lascia supporre una sua debolezza nel non voler affrontare il nemico, oppure
che egli si fosse reso conto della disaffezione del suo popolo nei suoi
confronti e mentre gli abitanti di Burgos lo spingevano ad affrontare il
nemico, egli lasciò precipitosamente la città dirigendosi a Siviglia, mentre
Enrico si recava a Burgos dove, festosamente accolto dagli abitanti, si faceva incoronare nel monastero di Huelgas.
Enrico non perdette tempo a inseguire Pedro, ma si recò a Toledo
che costituiva una piazza importante, dove fu deliberata la loro sottomissione
a lui; quivi giunsero anche deputati di Avila, Segovia, Madrid, Cuença,
Ciudad-Real che portarono la loro sottomissione, per cui Enrico si trovò
padrone di tutta la Nuova Castiglia; non solo, ma all’Alcazar aveva trovato
argento e con i doni che gli fecero gli abitanti giudei, si trovò in grado di
soddisfare i suoi compagni; mentre a du Guescélin concedeva la signoria di
Molina e Trastàmara e a Hugh de Caverlay che, con il comandante bretone aveva
il comando degli ausiliari, concesse la signoria di Carrion; al fratello Tello,
la sovranità della Biscaglia.
Pedro non aveva forze sufficienti per affrontare il fratello per
cui inviò la figlia Beatrice, sua erede (essendo morto il figlioletto Alfonso),
con un gran tesoro che costituiva parte della sua dote, portata all’infante
Ferdinando del Portogallo, al quale Beatrice era stata promessa e avere un
aiuto militare.
Ma dal Portogallo Pedro doveva ricevere l’umiliazione del rifiuto
al matrimonio e all’aiuto; sotto pretesto che gli abitanti della Castiglia
avevano riconosciuto come nuovo re Enrico, il re del Portogallo fece sapere che
non poteva essere riconosciuta la unione dei due regni, per cui gli accordi
relativi al matrimonio dell’Infante Ferdinando con la figlia Beatrice erano
annullati; tutto quello che fu riconosciuto a Pedro, fu l’attraversamento del
Portogallo per raggiungere la Galizia.
Giunto a Monteras,
l’arcivescovo di Santiago, Ferdinando de Castro e altri signori della Galizia
si unirono a lui e gli consigliarono di tentare la sorte con le armi, anche
perché le città di Zamora, Soria, Logrono e altre, erano ancora dalla sua
parte; quando però gli offrirono di aiutarlo con milleduecento fantaccini e
cinquecento cavalieri, Pedro, per paura o per debolezza, rifiutò e si mise in
viaggio per Santiago, volendo raggiungere la Coruña e imbarcarsi per Bayonne dove si sarebbe congiunto con il
principe di Galles.
Era giunto a Santiago con l’animo predisposto a punire
l’arcivescovo don Suero probabilmente perché gli aveva rinfacciato i suoi
crimini passati, perché l’arcivescovo era nativo di Toledo che egli odiava,
perché aveva prestato aiuto alla regina Bianca, ma il più pressante di tutti
era quello di volersi impadronire delle città e fortezze di don Suero.
Poiché don Suero si era ritirato in una casa di campagna nei
pressi della città, Pedro gli fece sapere che aveva da parlagli e il vescovo si
recò all’appuntamento; giunto alla porta della città trovò venti cavalieri che
lo scortarono fino alla chiesa, davanti alla quale lo attendeva Pedro ; appena
giunto il vescovo fu preso a colpi di lancia al cuore; la stessa fine fece il
suo assistente che lo accompagnava; dopo di che la chiesa fu spogliata di tutti
gli oggetti preziosi e, nello stesso tempo, le fortezze del prelato furono
immediatamente occupate.
Pedro, lasciando la difesa dei suoi interessi a Ferdinando de Castro,
partì per la Coruña dove lo attendevano ventidue velieri, per recarsi a Bayonne e incontrare il re
Edoardo e gli inglesi che gli avrebbero fatto
riprendere il trono.
*) Il Principe Nero era Edoardo di Woodstook (1330-1376) figlio di
Edoardo III d’Inghilterra, non fu re in quanto premorì al padre; ebbe due figli
Edoardo e Riccardo (Cuor di Leone) che divenne re d’Inghilterra.
RITORNO DI ENRICO
E SOTTOMISSIONE
DELLE CITTA’
erso la fine dell’anno (1367), Enrico entrò in Spagna dal
Rossiglione con settecento cavalieri; il re di Aragona cercò di contrastare
l’accesso ma con poca efficacia dei suoi soldati, che favorirono il passaggio
in Navarra da dove Enrico raggiungeva
l’Ebro ad Azagra, e qui tracciando una croce sulla sabbia, giurava di
non rinunciare all’impresa fin quando avesse avuto un soffio di vita.
La vicina città di Calahorra lo accolse tra le sue mura dove
giunsero baroni castigliani che gli offrivano aiuto e vi giunse anche il
vescovo di Toledo; quindi fu accolto a Burgos; Enrico invece di dirigersi a
mezzogiorno, volle assicurarsi le fortezze della Vecchia Castiglia: Leon fu
assediata e presa, le Asturie si sottomisero, Illescas, Buytrago e Madrid gli aprirono
le porte e fu presa anche Toledo che prometteva una resistenza più ostinata.
Si deve rilevare che dove vi fu resistenza, questa era opposta
non dagli abitanti che erano dalla parte di Pedro, ma da parte dei baroni e
signori che erano invece dalla parte di Enrico: ciò che fa ritenere che Pedro
nel suo modo di governare usasse il pugno di ferro nei confronti degli ordini
privilegiati, mentre favoriva il popolo.
La posizione di Pedro vacillava per la mancanza di forze
sufficienti e fu soccorso dal re di Granada;
Maometto V, gli
mise a disposizione mille cavalieri e settemila fanti mentre Pedro aveva
disponibile una truppa di settemila soldati.
Nel nord le città di Vittoria, Salvatierra e Logrono e altre
piazze che erano per Pedro, cambiarono orientamento e si sottomisero al re di
Navarra o a Enrico, mentre Toledo resisteva a quest’ultimo; Pedro lasciò
Siviglia per accorrere in suo aiuto (marzo 1369) e passando per Calatrava si
diresse a Montiel per attendere rinforzi provenienti da Murcia; Enrico convocò
il consiglio di guerra perché con il grosso delle sue truppe intendeva
provocare Pedro alla battaglia, prima che arrivassero le truppe che egli attendeva.
Bertrand du Guesclin stava arrivando dalla Francia con seicento
lance; Enrico fu raggiunto dal Gran Maestro di Santiago e insieme davanti a
Montiel provocarono a battaglia Pedro il quale stava soccombendo e per salvarsi
dovette ritirarsi precipitosamente nella
fortezza che fu messa sotto assedio; questa fortezza aveva viveri per quattro
giorni e quando queste scorte iniziarono a esaurirsi, i suoi soldati
incominciarono a disertare uno alla
volta, recandosi da Enrico.
Nel frattempo, uno dei cavalieri di Pedro, Mendo Rodriguez,
legato a du Guesclin gli fece sapere che voleva incontrarlo in segreto; du
Guesclin accettò l’incontro per la notte nella sua tenda e Rodriguez per conto di
Pedro gli offriva la signoria di Soria, Almazan, Monteagudo, Atienza Deza e
Moron con duecentomila dubloni d’oro, se avesse aiutato Pedro a scappare; il
cavaliere rispose di non poter accettare in quanto egli serviva il suo signore
naturale, il re di Francia; Rodriguez gli suggerì di pensarci su e si
separarono.
Du Guesclin riferì la proposta ai suoi amici, aggiungendo che non
si doveva far nulla contro Enrico; essi gli suggerirono di riferirgli tutto ed
Enrico gli mostrò tutta la sua riconoscenza promettendo che gli avrebbe dato
più di ciò che gli era stato promesso, se avesse attirato Pedro nella sua tenda
e informarlo del suo arrivo.
Du Guescelin reagì di fronte a questa poco onorevole perfidia, ma
gli amici (spregiudicatamente) lo spinsero ad accettare dicendogli che a questo
modo la guerra sarebbe subito finita e con un colpo solo egli sarebbe divenuto
anche ricco.
Il bretone, mettendo da parte la sua iniziale ripugnanza,
assicurò Mendo Rodriguez che avrebbe preso delle misure per la sicurezza del re
e fu convenuto che Pedro avrebbe lasciato la fortezza la sera del 23 marzo e si
sarebbe recato presso la sua tenda per essere scortato in un luogo sicuro.
Nell’ora indicata Pedro, accompagnato da tre fidati cavalieri si
recò presso la tenda del capitano francese e mentre scendeva da cavallo diceva
a du Guesclin “partiamo subito”,; non ricevendo risposta, si rese conto del
tranello e stava per rimontare a cavallo, ma fu trattenuto da due bretoni che
erano lì.
A questo punto è da dire che sulle modalità dell’appuntamento e della
stessa uccisione di Pedro vi sono due versioni diverse; una, rielaborata dagli
storici spagnoli e scenica, data dalla Cronica
di Ayala, dai quali hanno attinto tutti, l’altra del cronista Froissard, quindi
di fonte francese, un po’ meno precisa ma più realista: è quella che riportiamo.



L’ASSASSINIO DI PEDRO
SECONDO FROISSART
l castello di Montiel era una fortezza che avrebbe potuto
resistere per molto tempo ad attacchi esterni se fosse stata dotata di viveri,
ma quando vi si era recato don Pedro (Froissart sempre vivace nelle sue descrizioni lo
chiama dan Piétre!), con i suoi e si
erano rinchiusi, vi erano viveri per soli quattro giorni e non potevano uscire in quanto erano spiati notte e giorno e anche un
uccello non poteva partire dal castello senza essere visto e inseguito;
Pedro era in grande angoscia, per il pericolo in cui si trovava e per la
mancanza di viveri e i suoi lo stavano abbandonando.
Gli fu riferito l’appuntamento di mezzanotte per incontrare
l’avversario e a mezzanotte egli uscì in gran segreto con Ferrante de Castro e
dodici cavalieri; era una notte spessa e buia e seguendo la strada che scendeva
verso il basso, in fondo ad essa vi era Bègue di Vilaines con più di trecento
uomini così stretti l’un con l’altro che sembrava non vi fosse nessuno; Bègue
de Vilaines si fece notare e rivolgendosi a chi gli era di fronte, disse: “Signori tenetevi stretti e non fate alcun movimento,
ho gente (che mi protegge), e con la daga in pugno si avvicinò
all’uomo che era vicino a don Pedro e chiese: Chi sei
tu, parla o sei morto! Quell’uomo era inglese e si rifiutò di parlare e
schivandolo avanzò oltre; e Begue lo lasciò passare e si avvicinò a don Pedro che gli sembrò Enrico, il
fratello bastardo, tanto era buio, perché si somigliavano molto. E mettendogli
la daga sul petto: “Voi chi siete, rispondete o siete morto” e mentre parlava prese il
cavallo per il freno, non volendo che scappasse, come aveva fatto il precedente,
che era stato preso dai suoi.
Il re don Pedre che vide una grossa massa di gente d’arme davanti a lui e
si rese conto di non poter scappare, disse a Bègue de Vilaines che riconobbe: Begue, Begue, io sono il re don Pedro di
Castiglia che ha fatto molti torti per cattivi consigli; mi rendo tuo
prigioniero e con i miei uomini che sono dodici, mi metto sotto la tua custodia
e volontà. E ti prego, in nome della tua
gentilezza, di metterci in salvo e pagherò il riscatto con tua grande
soddisfazione, come vedrai, ringraziando Dio; ho ancora dei beni, ma tu
scansami dalle mani del bastardo Enrico, mio fratello”.
Dopo di che don Pedro
fu condotto nell’alloggio di Begue de Vilains e quindi nella camera (tenda) di
Yons de Lakonnet; dopo circa un’ora giunse Enrico con il visconte Roquebertin,
con il seguito non numeroso; Enrico entrando (poiché non aveva riconosciuto il
fratello), chiede: “Dov’è quel figlio di
p. giudeo che si dice re di Castiglia?”.
Don Pedro, che fu molto ardito e crudele, si avanzò, dicendo: “Sei tu figlio di p., perché sono figlio del
buon re Alfonso” e gli prese il braccio e tirandolo per il braccio, lo
buttò per terra su un pezzo di materasso di seta, buttandosi sopra, mettendo
mano al suo pugnale e lo avrebbe ucciso se il visconte di Roquebertin non avesse preso il suo piede e non lo avesse
fatto andare sotto Enrico e questo gli era sopra e prendendo il lungo pugnale
di Castiglia affilato, che portava nella sciarpa lo fece entrare nel suo corpo e
con lui fu ucciso un cavaliere inglese che si chiamava Raoul Elme, detto il
Verde-scudiero e uno scudiero che si chiamava Jaques Rollans che avevano
assunto la posizione di difesa; a don Ferrante de Castro e agli altri non fu
fatto niente di male; i prigionieri furono lasciati a Begue Vilains e Yons de
Lakonnet.
Così finì il re don Pedro
di Castiglia che aveva regnato in sì grande prosperità.
Questo il racconto di Froissart, mentre, secondo l’altra versione
di Ayala, Pedro si era recato da Bertrand de Guesclin, con il cavallo, armato
di spada; mentre scendeva da cavallo diceva a Du Guesclin “Monta a cavallo è tempo di andare” senza ricevere risposta; in quel
momento si rese conto che gli era stato teso un tranello.
Mentre stava rimontando a cavallo, fu fermato da uno dei bretoni
che si trovava sul posto il quale gli disse di attendere e non lo lasciava
partire, tenendo il morso del cavallo. Con lui erano Ferrante de Castro, Diego Gonzalez d’Oviedo
figlio del Maestro di Alcantara, Rodriguez de Senabria e altri.
A questo punto Ayala ci fa trovare Pedro nella tenda, senza
specificare come vi era finito. Quando Pedro era nella tenda di Bertrand,
Enrico era già lì (nell’accampamento) e avvertito, vi entrò armato, mettendosi
di traverso, non riconobbe il fratello perché era da tanto che non lo vedeva e
un cavaliere che era con Bertrand gli disse: “Guardate, ecco il vostro nemico” e Enrico dubitava ancora che fosse
lui; al che Pedro gli disse due volte: “Sono io, sono io”; ed Enrico lo riconobbe e lo colpì con una daga al viso;
e si dice che ambedue caddero per terra e che Enrico lo colpì, essendo a terra,
con altre ferite; e lì morì don Pedro il
23 marzo (1369).
In pratica in questa versione degli storici spagnoli, Pedro,
attraverso Mendo Rodriguez aveva cercato di corrompere Bertrand de Guesclin ma costoro
avevano concordato di tradire Pedro avvertendo Enrico; Mariana riferisce del
tradimento, dell’incontro dei due fratellastri nella tenda e la lotta, ma con
l’intervento di Guesclin che aveva dato a Enrico, che era per terra, l’aiuto
per uccidere il fratello.
LA NUOVA DINASTIA
DI ENRICO II
DI TRASTAMARA
nrico II dopo
aver ucciso Pedro, introduce una nuova dinastia, che sebbene illegittima
regnerà, come abbiamo già detto, fino alla regina Isabella di Castiglia.
Sebbene fosse stato accettato
come re, il suo regno era stato amareggiato da varie rivendicazioni da parte di
diversi pretendenti tra i quali Ferdinando IV del Portogallo il quale
sosteneva, a ragione, che suo padre era nipote di Beatrice di Castiglia figlia
di Sancho IV il Bravo (1258-1295), re di Castiglia, il quale si era impossessato
di Zamora, Tuy, Galizia, Alcantara e alcune altre città.
Ferdinando del Portogallo, era
seguito da don Carlos di Navarra in
favore del quale si erano dichiarate le città di Logrono, Vittoria, Salvatierra
e Campezo; mentre le città di Molina e Requena si erano messe sotto la protezione di Ferdinando d’Aragona;
la città di Carmona si rifiutò di riceverlo quando Enrico vi si era recato e non
gli erasno state aperte le porte.
Vi erano poi le rivendicazioni
del duca John di Lancaster che già aveva preso il titolo di re di Castiglia e anche di suo fratello Eduard
di York, che, come abbiamo visto, avevano sposato rispettivamente le due figlie
di Pedro, Costanza e Isabella (Elisabeth); e infine vi era il re di Granada,
Maometto IV che, amico di Pedro, gli
aveva rifiutato l’alleanza e si era alleato con Ferdinando d’Aragona e non
avendo potuto prendere la città di Algesiras, l’aveva completamente distrutta.
Enrico, per
avere la sottomissione delle città ribelli, raccolse le sue truppe a Toledo
riducendo all’obbedienza Requena e poi Zamora; avendo saputo che Ferdinando del
Portogallo si stava recando a Coruña egli si diresse verso
l’Estremadura dove compì diversi saccheggi; mentre Ferdinando del Portogallo si
era ritirato, Enrico si recò ad assediare Carmona.
In questo
periodo (1370) moriva di malattia suo fratello Tello che era riuscito a
salvarsi da Pedro; come abbiamo visto, egli aveva la signoria di Biscaglia e di
Lara; non lasciava eredi e Enrico la
assegnava a suo figlio Juan, come eredità della madre, la regina Juana de Lara
(sorella della moglie di Tello); in seguito la Biscaglia sarà incorporata al
regno di Castiglia; Enrico gli era affettuosamente legato e gli fu fatto un
gran funerale degno di un principe e fu sepolto nel monastero di san Francesco
nella città di Palencia.
A Carmona si
trovava Martin Lopez legato a Pedro dal quale era stato nominato tutore dei
suoi figli, che aveva presso di sé e custodiva il tesoro di Pedro; egli
difendeva la città dall’assedio posto da Enrico il quale, per risolvere la
situazione, di notte, aveva mandato quaranta uomini ad assaltare le mura, ma
costoro, salvo qualcuno morto cadendo dalle scale che avevano ceduto sotto il
peso, furono fatti tutti prigionieri e Martin Lopez li aveva fatti uccidere
tutti a colpi di lancia.
Enrico irritato
da questo atto, fece assediare la città in modo da far mancare i viveri e
Martin Lopez fece sapere che avrebbe accettato la capitolazione, a condizione
della vita salva e garantita la sua libertà, accordate da Enrico con
giuramento; ma avuto il possesso della piazza Martin Lopez e Mateos Ferrandez de
Caceres (che era stato cancelliere di Pedro) ed era con lui, furono decapitati;
Enrico inoltre si impadronì del tesoro e mandò i figli di Pedro come
prigionieri a Toledo (1371).
La situazione di
Zamora era anche particolare in quanto era governata da Ferrando Alfonso de
Zamora che la difendeva per conto dei figli di Pedro ai quali il padre l’aveva
assegnata; la questione fu risolta con l’arresto del governatore da parte di
Pedro Fernandez de Velasco, cameriere
del re, che prese possesso della città.
Con strana
combinazione di alleanze, il duca di Lancaster, che aveva già assunto il titolo
di re di Castiglia e si apprestava
con il suo esercito a occupare la Castiglia, si era alleato con Ferdinando del
Portogallo (pretendente della Castiglia), i quali si rivolsero al papa, per
ottenere una pacificazione ... ma il papato (con sede ad Avignone) era in pieno
scisma con le pretese avanzate nei confronti del papa Urbano IV (1261-1264) da
parte dell’antipapa Clemente IV (1265-1268), relativamente ai quali Enrico non
si dichiarava né per l’uno, né per l’altro.
Giunsero i
legati del papa (1371) per la pacificazione tra il Portogallo e la Castiglia, già precedentemente tentata (1369), essa non
aveva avuto luogo (ognuno dei due monarchi doveva restituire le città
occupate), in quanto a sua garanzia era stato stabilito che Ferdinando del
Portogallo dovesse sposare la figlia di Enrico, Leonora.
Ma Ferdinando
non manteneva fede a questo impegno in quanto aveva deciso di sposare Leonor
Tellez, togliendola con violenza al marito Juan Lorenzo de Acuña e il giorno delle sue nozze aveva mandato un messaggero da
Erico, per annunciargli il suo avvenuto matrimonio!
Enrico era
rimasto scontento e a dargli una mano lo soccorreva la decisione del fratello
di Ferdinando, l’Infante del Portogallo Dionis, che lasciava suo fratello e
passava dalla parte di Enrico in Castiglia.
Enrico si recò
con la sua armata in Portogallo e si accampò nei pressi della periferia di
Lisbona (1373) ben difesa per mare e per terra; prima di ritirarsi i suoi
diedero fuoco ad alcuni edifici e si sviluppò un grande incendio che si estese
alle navi che erano nell’arsenale.
Nel frattempo giunse il legato del papa, cardinale Guy di Boulogne
che ottenne i seguenti accordi: Il re del Portogallo avrebbe prestato aiuto a
Enrico con cinque navi quando Enrico avesse prestato soccorso al re di Francia;
il re Ferdinando, a tempo debito, avrebbe fatto uscire dal suo regno Ferrando
de Castro e gli altri castigliani del suo partito con cinquecento cavalieri; a
conferma di questi accordi erano prestate le seguenti garanzie matrimoniali: - Sancho,
conte di Albuquerque, ultimo dei fratelli di Enrico, avrebbe sposato Beatrice,
figlia di Pedro del Portogallo e di Ines de Castro (v. sopra); Fadrico, figlio naturale di
Enrico e di Beatrice Ponce de Leon, avrebbe sposato Beatrice, figlia di
Ferdinando del Portogallo e della regina Leonora; un altro figlio naturale di
Enrico avuto da Elvira Niñuz, avrebbe sposato Isabella,
figlia naturale del re portoghese e avrebbe avuto le signorie delle città di
Visco, Celorico e Linares.
Il primo
matrimonio di Sancho con Beatrice fu subito celebrato, ma durò poco perché
Sancho fu ucciso a Burgos mentre sedava una lite; era uscito infatti perché era
sorta una lite tra i suoi soldati e quelli di Pedro Gonzalez de Mendoza; un
soldato non lo aveva riconosciuto e lo aveva ucciso con un colpo di lancia al
viso; la moglie Beatrice era stata messa incinta ed ebbe una bambina, Leonora, presa
in moglie dall’Infante Ferdinando d’Aragona.
Leonora, figlia
legittima (*) di Enrico e della regina, che
doveva sposare Ferdinando del Portogallo, fu data in sposa all’infante Carlo di
Navarra (poi Carlo III) e il re suo padre restituì le città di cui si era
impadronito; l’Infante fu mandato a Burgos e tenuto presso la corte spagnola
fino al raggiungimento della maggiore età, quando si celebrò il matrimonio
(1375), che la madre non potette veder compiuto, per la sua morte prematura
(1373).
Enrico, per
assicurarsi il regno, sin da quando si era stato fatto incoronare a Burgos (1366),
aveva creato nuovi marchesi e negli anni successivi (1371-1379) aveva nominato dei duchi, assegnando
titoli che in Spagna non erano stati ancora usati; infatti, il titolo ducale
era stato collegato a quello di “grande
di Spagna” (distinti a loro volta in categorie); inoltre Enrico aveva assicurato più potere all’Ordine dei domenicani, al quale la madre Leonora aveva fatto assegnare la gestione
dell’Inquisizione.
Enrico II muore di gotta dopo dieci anni di regno all’età di 46
anni (1379) e secondo gli usi, aveva chiesto di mettergli l’abito dei
domenicani; era stato benevolmente esaltato come “principe pieno di fuoco, intraprendente, attivo, moderatamente
ambizioso, flessibile per adeguarsi a ogni situazione, in attesa dell'occasione,
senza essere impaziente e senza perdere il momento favorevole per
approfittarne; liberale, popolare, affabile, buon amico nei confronti degli
amici sinceri, pronto a ricambiare nei confronti di chi voleva ingannarlo, non vi era al suo tempo
guerriero più bravo e pochi erano i capitani che lo superavano; spesso non fu
molto fortunato ma nelle disgrazie, ben lungi dal lamentarsi dell'incostanza
della fortuna egli seppe più d'ogni altro amministrare le sue risorse”.
*)
Enrico aveva avuto tre figli legittimi, un maschio, Juan suo successore (Juan I) e due femmine, Juana e Leonora e una
caterva di figli naturali, tra i quali: Enrico conte di Cabra, duca di Medina
Sidonia; Alfonso, conte di Gijon il quale sposava Isabella figlia naturale del
re del Portogallo, Juana, Costanza, Beatrice detta anche Juana, Fadrico, duca
di Benavente, morto in Portogallo, Maria di Castiglia, moglie di Diego Hurtado
Mendoza, Costanza di Castiglia detta la Ricca, sposava Juan figlio di Pedro del
Portogallo e Agnese de Castro e cugino di suo padre Enrico; il re Juan I lo
fece duca di Vanenzia di Campos, titolo incorporato ai duchi di Naxera. Leonora
di Castiglia sposò Alfonso d’Aragona figlio dei marchese di Villena
Connestabile di Castiglia;, un’altra Juana di Castiglia sposò Pedro d’Aragona,
figlio del marchese di Villena da cui nacque Enrico d’Aragona e Villena
matematico e astrologo, marito di Maria d’Albornoz; questa Juana sposò in
seconde nozze Dionis figlio di Pedro del Portogallo e Agnese de Castro. Fernando
e Pedro morto fanciullo cadendo dalle braccia della balia; due sorelle, Agnese
e Isabella, si fecero suore nello stesso convento di Santa Chiara di Toledo; gli
storici assicurano ancora qualche altro figlio!
Per
Beatrice figlia del re del Portogallo, che doveva sposare Fadrico, i due re genitori,
decisero che avrebbe sposato l’Infante Enrico figlio di Juan I, appena nato
(1379), ma poi la sposò lo stesso re Juan I in seconde nozze.
FINE