Rappresentazione dell’assassinio di don Pedro

 

 

 

IL REGNO DI

DON PEDRO IL CRUDELE

E IL “DISCORSO” DI VOLTAIRE

SUL SUO ASSASSINIO

 

Michele E. Puglia

 

 

SOMMARIO: IL DISCORSO STORICO-CRITICO” DI VOLTAIRE SULL’ASSASSINIO DI DON PEDRO IL CRUDELE; L’UNIFICAZIONE DEL REGNO DI CASTIGLIA E LEON; LE CRUDELTA’ DI PEDRO SECONDO MATTEO VILLANI E IL GESUITA PÉRE D’ORLEANS; E CHI AVEVA POTUTO PARLAR BENE DI PEDRO? I GIUDEI NELLE DUE LAPIDI DELLA SINAGODA DEL “TRANSITO” DI TOLEDO; I FRATELLASTRI E LE QUALITA’ NEGATIVE ATTRIBUITE A PEDRO; CON LA ELIMINAZIONE DI ALCUNI SUOI NEMICI PEDRO METTE ORDINE AL REGNO; (In Nota: LE BEHETRIAS E IL BECERRO; LA CACCIA COL FALCO-LE SETTE SPECIE); L’ASSEDIO DI ANGUILAR E LA MORTE DI FERDINANDO CORONEL; PEDRO INNAMORATO DI MARIA PADILLA SPOSA BIANCA DI BORBONE; PEDRO ABBANDONA LA SPOSA MENTRE UNA DAMA PUNISCE LE SUE PULSIONI EROTICHE CON UN TIZZONE ARDENTE; TRAMA DI ALBUQUERQUE CHE SI UNISCE AI CONGIURATI CONTRO PEDRO; I RAPPORTI DI PEDRO CON GLI ARABI DI CORDOVA; DISORDINI NEL REGNO MORTE DI ALBUQUERQUE E RICHIESTE DEI GRANDI AL RE; GLI AMORI DI PEDRO: IL MATRIMONIO CON GIOVANNA DE CASTRO; ALDONZA-ALFONSINA CORONEL E MARIA GONZALEZ; I FIGLI DI PEDRO AVUTI DA MARIA PADILLA E SUA MORTE; LA TERZA MOGLIE GIOVANNA DE CASTRO E MORTE DI BIANCA DI BORBONE; PEDRO PRIGIONIERO NEL SUO PALAZZO RIESCE A FUGGIRE; LA REGINA MADRE TORNA IN PORTOGALLO DOVE MUORE AVVELENATA; PEDRO FA UCCIDERE FABRIQUE, L’INFANTE D’ARAGONA, LE LORO MOGLI E SUA ZIA LA REGINA ELEONORA; PEDRO SI LIBERA DI ALTRI SUOI NEMICI FACENDO TAGLIARE LE LORO TESTE; IL RAPPORTO DI PEDRO CON GLI ARABI DI GRANADA; ENRICO ACCLAMATO RE IN ARAGONA E INCORONATO A BURGOS; PEDRO FIRMA IL TRATTATO CON EDOARDO III D’INGHILTERRA; L’ARMATA DI ENRICO SI SCONTRA CON QUELLA INGLESE; RITORNO DI ENRICO E SOTTOMISSIONE DELLE CITTA’; L’ASSASSINIO DI PEDRO SECONDO FRISSART; LA NUOVA DINASTIA DI ENRICO II TRASTAMARA.

 

 

 IL DISCORSO  

STORICO-CRITICO

DI VOLTAIRE

SULL’ASSASSSINIO

DI DON PEDRO IL CRUDELE

 

 

V

oltaire (1698-1778) aveva scritto la tragedia “don Pedro”, ripresa da una precedente tragedia “Pierre le Cruel” di Laurent Du Belloy (1727-1775 autore de “Le Siége de Calais”, L’assedio di Calais”), che era stata solo rappresentata a teatro ma non era stata pubblicata.

Voltaire  era membro dell’Accademia Reale delle Scienze e delle Lettere  e si era messo in contatto con du Belloy [anch’egli membro dell’Accademia] scrivendogli per  sapere se avesse intenzione di pubblicare il suo testo [perché, aveva scritto Voltaire, così si fa tra letterati], ma du Belloy gli aveva risposto che rinunciava a trattare l’argomento, per cui Voltaire dopo aver scritto il testo (1774) lo pubblicava l’anno successivo (anno in cui moriva du Belloy, mentre Voltaire  moriva tre anni dopo).  

L’opera è preceduta da una lettera indirizzata a D’Alambert, segretario dell’Accademia Reale delle Scienze e delle Lettere  (v. in Art. La polemica umanista sulle Differenze tra Platone e Aristotele continua, in Nota i F.lli Boivin) e da un “Discorso storico-critico” che traduciamo interamente, in cui Voltaire prende le difese di don Pedro e si scaglia contro il suo assassino e usurpatore Enrico di Trastámara, uno dei numerosi bastardi di Alfonso XI di Castiglia - egli dice -  che fece a suo fratello e suo re una guerra che non era che una rivolta, facendosi dichiarare dalla sua fazione, legittimo re di Castiglia.

Voltaire prosegue.

Era stato aiutato  in questa impresa, da Guesclin [Bertrand de Guesclin 1320-1380]  che poi divenne connestabile di Francia; questo personaggio,  era allora ciò che in Italia si considera “condottiero”, il quale aveva radunato una truppa di banditi e briganti con cui taglieggiava il papa Urbano IV che si trovava ad Avignone.

Egli fu completamente sconfitto da don Pedro e dal gran Principe Nero, sovrano  della Guienna, il cui nome è immortale, ed era stato lo stesso principe che aveva preso prigioniero il re Giovanni a Poitiers e preso Guesclin a Navarette, mentre Enrico di Trastámara se ne fuggì in Francia e il partito dei bastardi continuava a permanere in Spagna.

Trastámara protetto dalla Francia, ebbe la possibilità di far scomunicare il re, suo fratello, dal papa che risiedeva ancora ad Avignone, che si era legato per  interesse con il re Carlo V [di Francia, 1138-1380] e con il bastardo di Castiglia.

Il re don Pedro fu solennemente dichiarato “bulgaro e non credente[vale a dire appartenente alla setta dei bogomili v. in Art. I mille anni dell’Impero bizantino, Cap. VIII P.I], erano questi i termini della sentenza; ciò che è ancora più strano è che fu preso come pretesto che il re aveva delle amanti.  

Questi anatemi allora erano tanto comuni come gli intrighi amorosi presso gli scomunicati e presso gli scomunicanti; questi amori si mescolavano alle guerre più crudeli; le armi dei papi erano più pericolose che al giorno d’oggi e i principi più abili disponevano di queste armi.

Molti sovrani erano caduti, e molti sovrani erano per cadere; i signori feudali pagavano con grandi somme.

La detestabile educazione che si dava allora agli uomini di tutti i ranghi e senza ranghi, che si dava loro per lungo tempo e ne faceva dei bruti feroci che il fanatismo li scatenava contro tutti i governanti.          

I principi si facevano un dovere sacro della usurpazione; un rescritto dato in una città d’Italia [Roma] in una lingua ignorata dalla moltitudine (latino], assegnava un reame in Spagna o in Norvegia; i rapitori di Stati, i predatori più inumani immersi in tutti i crimini, erano reputati santi e spesso invocati quando, morendo, si facevano rivestire del saio dei predicatori o dei frati minori [è noto che grandi personaggi in punto di morte si facevano indossare il saio, che li mondava da  tutti i peccati e avevano così il passaporto per intraprendere la via diretta per il Paradiso! ndt].  

All’Accademia [di Francia] era stato detto che “i tempi dell’ignoranza erano stati i  tempi della ferocia”; amo ripetere le stesse parole di cui intendo esserne l’eco, per non essere considerato un plagiario.

Trastámara rientrò in Spagna con una bolla in una mano e la spada nell’altra; egli rianimò il suo partito; il gran Principe Nero era in fin di vita a Bordeaux e non poteva più soccorrere don Pedro.

Guesclin fu inviato per la seconda volta da Carlo V che approfittò del triste stato in cui si trovava il Principe Nero; Guesclin prese prigioniero don Pedro  nella battaglia di Montier tra Toledo e Siviglia.

Fu immediatamente dopo questa giornata che Enrico di Trastámara entrava nella tenda di Guesclin dove si trovava suo fratello disarmato, gridando  Dov’è questo giudeo figlio di p... che si dice re di Castiglia e lo assassinò a colpi di pugnale.

L’assassino che non aveva alcun diritto alla corona, che era egli stesso giudeo bastardo, titolo che osò dare al legittimo re, fu riconosciuto re di Castiglia e la sua casa regna tutt’ora in Spagna, sia nella linea maschile sia in quella femminile.

Non deve sorprendere che successivamente gli storici prendono il partito del vincitore contro il vinto; quelli che hanno scritto la storia in Spagna e in Francia non sono dei Taciti: e Mr Horace Walpole, inviato dall’Inghilterra in Spagna, ha ragione di dire nei suoi dubbi su Riccardo III [Dubbi storici sulla vita e regno di Riccardo III, 1788, ndt.], come è già stato sottolineato: “Quando un re fortunato accusa i suoi nemici, tutti gli storici si danno da fare per servirlo come testimoni”, questa è la debolezza di troppe persone di lettere; non che siano più vili o più bassi dei cortigiani di un principe, criminale o fortunato, ma le loro debolezze sono durature,

Se qualche vecchio ammiratore di Carlomagno si avventurasse a leggere un manoscritto  di Fredegario o del monaco di san Gallo, egli potrà esclamare “ah il mentitore!”, ma si fermerebbe a questo; nessuno rivelerebbe l’ignoranza o l’assurdità del monaco; egli sarà citato nei secoli successivi e diverrà un’autorità e un Don Ruinart riferirà la sua testimonianza nei suoi  atti sinceri.

E’ così che tutte le leggende del medioevo  sono riempite delle favole più ridicole e la storia antica certamente non ne è esente; quelli che mentono al genere umano sono sovente animati dalla stoltezza della rivalità nazionale.

Non vi è nessuno degli storici inglesi che abbia mancato l’occasione di fare commenti sui francesi, alcune volte con una rozzezza ridicola.

Veli e Villaret denigrano gli inglesi tanto, fin quanto possono; Mezeray non risparmia mai gli spagnoli: un Tito Livio non potrebbe commettere certe parzialità, egli viveva in un tempo in cui la sua nazione esisteva sola nel mondo conosciuto: romanos rerum dominos (romani padroni di tutto); tutte le altre  [nazioni] erano ai suoi piedi.

Ma al giorno d’oggi che la nostra Europa è divisa in tanti domini che si bilanciano tra di loro; oggi che tanti popoli hanno i loro grandi uomini in tutti i campi, chiunque volesse adulare troppo il suo piccolo paese, rischia di dispiacere agli altri, se per caso egli ne fosse eletto, e deve aspettarsi poco dalla riconoscenza dei suoi.

Non si è mai amata la verità come nel tempo presente; non resta che scoprirla.

Nelle questioni che si sono sollevate così sovente tra tutti i posti d’Europa, è ben difficile scoprire da che parte stia il diritto, e quando lo si è riconosciuto, è pericoloso dirlo.

La critica che verrà fatta dopo circa un secolo, per distruggere i pregiudizi dai quali la storia è sfigurata, è servita più di una volta a sostituire i nuovi errori agli antichi.

Hanno fatto tanto che tutto è divenuto problematico dopo la legge salica fino al sistema delle Lafs [Laws-Leggi (*)]; a forza di scavare, non sappiamo più dove siamo arrivati! [esclamativo del traduttore].

Non solo non conosciamo più l’epoca della creazione dei sette elettori in Germania, del Parlamento in Inghilterra e della parità in Francia. Non vi è una sola Casa sovrana di cui si possa fissare l’origine.

E’ nella storia che il caos è l’inizio del tutto. Chi potrà risalire alla fonte dei nostri usi e delle nostre opinioni popolari?

Perché è stato dato il soprannome a Giovanni il Buono, a questo re che iniziò il regno facendo morire in sua presenza il connestabile, senza alcuna forma di processo; che aveva assassinato quattro cavalieri a Rouen e si comportò così miserabilmente durante tutto il suo regno, che perdette la metà del regno e rovinò l’altra?

Perché è stato dato a questo don Pedro legittimo re di Castiglia, il nome di “crudele”  che doveva essere dato al bastardo Enrico di Trastámara assassino di don Pedro e usurpatore? Perché si chiama “beneamato” quello sciagurato di Carlo VI  che aveva diseredato suo figlio in favore di uno straniero, nemico e oppressore della sua nazione, che aveva immerso  tutto lo Stato nella più orribile sovversione di cui è stata conservata la memoria?

Tutti questi sopranomi, o piuttosto nomignoli che gli storici ripetono ancora senza darne il senso, non vengono dalla stessa causa che fa che un fabbriciere che non sa leggere, ripeta il nome di Gregorio il Taumaturgo, Alberto Magno, di Giuliano l’Apostata, senza sapere cosa  significano questi nomi?

Una certa città fu chiamata la santa o la superba, in cui  non vi era niente di santità né di grandezza. Un certo vascello fu chiamato il fulminante, l’invincibile, che gli fu dato mentre usciva dal porto.

La storia, troppo sovente, non è stata che il racconto di favole e di pregiudizi; quando si intraprende una tragedia ricavata dalla storia, che cosa si fa? l’autore sceglie la  favola o il pregiudizio che più gli piace; egli nella composizione, potrà riguardare Scevola [Muzio] come il rispettabile vincitore della libertà pubblica, come un eroe che punisce la sua mano per essersi sbagliata a uccidere un altro, che il fatale nemico di Roma. Quello potrà rappresentare Scevola come un vile spione, un assassino fanatico, un Poltrot (Jean de Poltrot aveva ucciso il cattolico duca Francesco di Guisa ndt.), un Balthasar Gerard [assassino di Guglielmo I d’Orange].

Questo spagnolo [Gerard aveva dichiarato di essere suddito del re di Spagna in quanto Filippo II di Spagna aveva promesso di pagare venticinquemila scudi per chi avesse ucciso Guglielmo I d’Orange detto “il Taciturno” ndt.], era stato presso Francesco I un capitano coraggiosissimo e molto imprudente, vinto per  sua colpa, avendo mancato alla sua parola (**).

Un professore del Collegio reale lo metterà in cielo per aver protetto le lettere. Un luterano della Germania lo immergerà nell’inferno per aver fatto bruciare dei luterani a Parigi, mentre li bruciavano nell’impero. E se gli ex gesuiti fanno ancora brani di teatro, essi non mancheranno di dire con Daniele “che essi avranno fatto bruciare il delfino se questo delfino non avesse creduto alle indulgenze, tanto questo grande re aveva pietà”.

Abbiamo una tragi-commedia spagnola in cui Pietro, che chiamiamo il crudele  non è chiamato altrimenti che il giustiziere, titolo che gli fu dato spesso da Filippo II.

Ho conosciuto  un giovane che aveva scritto una tragedia di Adonia e Salomone; egli rappresentava Salomone come il più barbaro e il più vile di tutti i parricidi o fratricidi. Sapete bene, egli diceva, che il Signore in un sogno gli donò la saggezza? Potrà anche essere, egli disse, ma egli, al suo risveglio,  non gli donò l’umanità.

Vi sono delle declamazioni nelle scuole, sotto il nome di storie o drammi, o sotto altri nomi, nelle quali la nazione che si celebra è sempre la prima del mondo; i suoi soldati mal pagati, i primi eroi del mondo, sebbene si diano alla fuga. La città capitale che non ha che case di legno, la prima città del mondo; il seggiolone con i chiodi dorati su cui un re goto o alano si sedeva, il primo trono del mondo: e chi lo ha costruito, il primo nel suo campo, sarà allora, probabilmente l’uomo più matto del mondo, se egli non si trova tra persone ancora più matte, che fanno per venti con critica ragionata dei brani nuovi; critica che se ne va l’indomani con il brano, nell’abisso dell’eterno oblio.

Si levano alcune volte al cielo antichi cavalieri difensori o oppressori di donne e delle chiese, superstiziosi e dissoluti, ora ladri, ora prodighi che combattono a oltranza gli uni contro gli altri per l’onore di qualche principessa che ha molto poco onore.

Tutto ciò che si può fare di meglio (a me sembra) quando si divertono a metterle in scena, è di dire con Orazio

 

Seditione dolis, scelere, atque libidine et ira.

Iliacos intra muros peccatur et extra.

(Con discordia, ribellione, inganni, brama e ira,

si pecca dentro e fuori le mura di Troia)

 

 

*) Voltaire in questo suo scritto aveva voluto usare un termine inglese; egli negli anni più giovanili era stato in Inghilterra e tra le sue doti era annoverata la conoscenza della lingua inglese che, da quanto si diceva, aveva imparato durante il suo soggiorno, ma molti ne dubitavano e Voltaire quando si toccava l’argomento era sempre elusivo; nella visita che gli aveva fatto il simpaticissimo e spiritoso James Boswell (“Visita a Rousseau e Voltaire” Adelphi: i due personaggi erano pressoché intrattabili! ndr.), aveva toccato l’argomento chiedendogli se parlasse ancora l’inglese e Voltaire gli aveva risposto con la sua solita  ironia, che “per parlare l’inglese occorre mettere la lingua tra i denti che io non ho più”!   

**) Non è chiaro  perché Voltaire abbia scritto “manquant à sa parole” (mancando alla sua parola), forse perché Gerard quando era stato preso, si era lasciato sfuggire di essere suddito del re di Spagna, facendo capire chi fosse il mandante dell’assassinio.

Gerard si era impegnato a uccidere Guglielmo d’Orange senza aver ricevuto nessun acconto sul compenso, in quanto Filippo II aveva promesso che avrebbe versato la somma indicata solo dopo l’assassinio; Gerard era stato preso subito dopo aver sparato a Guglielmo e gli era stata fatta fare una morte orrenda (Guglielmo era protestante e i cattolici ... poco cristianamente, avevano inneggiato all’assassinio!).

Filippo II aveva gratificato i familiari con proprietà immobiliari e titolo nobiliare, senza versare però la somma promessa a Gerard, probabilmente perché egli, come il padre, pur  essendo straricco per i galeoni di oro e argento che arrivavano dalle Indie, erano sempre in bolletta e pieni di debiti!   

 

 

 

L’UNIFICAZIONE

DEL REGNO

DI CASTIGLIA E LEON

 

                                                                           

D

opo che i Mori si erano impadroniti della Spagna (711-718) il primo a combatterli era stato don Pelagio, figlio di Favila duca di Cantabria e di Luce, di discendenza gotica, il quale, dopo aver conquistato le Asturie, la Galizia e  Leon con il capoluogo Astorga, moriva (737), come re di Oviedo o di Gijon, così come buona parte dei suoi successori.

A Pelagio come primo re (716), la prima volta, era stato attribuito il titolo di don, riservato fino a quel momento ai santi; l’origine di questo “don” era ebraica e il termine era corrispondente al latino “Dominus”.

In seguito alle prime conquiste, con quelle nel corso dei successivi secoli, saranno accorpati i territori delle Asturie, Galizia, Navarra e Biscaya, si formerà poi il regno di Leon che si unirà a quello di Castiglia (che tra Vecchia e Nuova, attraversava tutta la Spagna da nord a sud fino a Siviglia).

Questa unione dei due maggiori regni si era verificata in ritardo in quanto, ogni qualvolta essi erano riuniti, a ogni successiva morte del monarca erano diversamente assegnati ai vari figli; con la conseguenza che alla prima unificazione avvenuta con il matrimonio (1035) di Ferdinando I di Castiglia, detto il Grande (1016-1065) con Sancia I, unica figlia di Alfonso V, re di Leon, alla loro morte erano succeduti (con divisione dei regni), Sancio II (Castiglia 1065-1072), Alfonso VI (Leon 1065-1072) e Urraca I (Castiglia e Leon 1109-1126); Alfonso VI era stato seguito dal nipote Alfonso VII (detto l’imperatore), che riuniva i regni di Leon e Castiglia, alla quale era stata nel frattempo unita la Galizia.

La loro unione definitiva avvenne (1230)  con  Ferdinando III ( 1252) il quale aveva ereditato dal padre Alfonso IX il regno di Castiglia e dalla madre Berenguera, che aveva abdicato (1217)  in suo favore,  il regno di Leon; Alfonso X il Saggio (1252-1284), nel Codice da lui emanato (v. cit. Corpus juris civilis ecc.) si dichiara “Re, per Grazia di Dio, di Castiglia, Toledo, Leon, Galicia, Sevilla, Cordoba, Murcia, Badajos, Baerza y del Agarbe”.      

L’Aragona (*)  invece, seguiva il proprio destino, separata dalla Castiglia; era stato  Carlomagno a toglierla ai mori, facendone un feudo carolingio, con la creazione della contea di Barcellona, assegnata, prima, all’ambizioso goto Bera, che si era ribellato, e dopo che questo era stato sconfitto, la contea era stata assegnata a Bernardo di Settimania, (v. in Specchio dell’Epoca: Dhuoda ecc.) e per questo l’Aragona avrà una sorte separata, come abbiamo detto, fino a Carlo I (1519)(**).

 

 

*)  La Catalogna rappresenta una semplice provincia dell’Aragona, nei tempi attuali rivendica una assurda indipendenza dalla Spagna; quando regnava Carlomagno era una contea, unificata al regno di Aragona nel 1137, seguita a sua volta dalla unificazione dell’Aragona alla Spagna con Carlo I (1519) - nel 2019 - sono stati cinque secoli ... che non risultano commemorati!

Avanzare rivendicazioni a distanza di nove secoli costituisce una vera assurdità completamente fuori del tempo, giustificata da puro e semplice fanatismo e ribellione verso l’autorità centrale, che tra l’altro comporta un danno di perdite economiche inestimabili, come, peraltro si è già verificato!   

Purtroppo per questa sorta di rivendicazioni pseudo-nazionaliste la Catalogna non è la sola, vi sono tante altre piccolissime entità (oltre ai veri e propri nazionalismi che stanno venendo fuori un pò dappertutto) che invocano una indipendenza fuori del tempo, in un’epoca in cui è l’aggregazione quella che si dovrebbe perseguire e non la disgregazione verso la quale ci sta portando il Presidente Donald Trump con l’abbattimento della globalizzazione, con il ritorno ai dazi e ciò se fa bene agli USA, che sta avendo un periodo di economia felice, alla quale però il fortunato Presidente (che è uscito brillantemente dall’impeachment in cui era stato cacciato) è estraneo, fa male agli altri paesi e in particolare all’Europa, stretta in una crisi istituzionale dalla quale difficilmente potrà uscire!

**) In Spagna non si ha alcuna notizia del ricordo dell’avvenimento dei cinquecento anni della unificazione del regno; inutile scrivere, per avere notizie, all’ambasciata di Roma che manda la richiesta all’Istituto di Storia e Archeologia ... che non dà alcuna risposta!!!

Anche in Spagna avranno gli stessi problemi di burocrazia che abbiamo in Italia ... non c’è da meravigliarsi dal momento che le origini sono comuni, in quanto, istituita nell’impero da Carlo V, dalla Spagna era stata estesa al vice-regno di Napoli e ducato di Milano ed ora la ritroviamo dominante e soffocante in Italia ... e da quanto si è detto, anche in Spagna!

 

 

LE CRUDELTA’ DI PEDRO

SECONDO MATTEO VILLANI

E IL GESUITA PÉRE D’ORLEANS

 

 

T

ra gli storici che si erano particolarmente distinti nel descrivere le crudeltà di Pedro, troviamo il nostro Matteo Villani (1283-1363), vivente proprio quando regnava Pedro, il quale, nella sua Cronaca, gli dedicava due capitoli nei quali si scagliava in maniera virulenta contro di lui (e dell’amante – bagascia - Maria Padilla), dopo aver fatto, una modesta premessa di stile nella quale giustificandosi su ciò di cui stava per scrivere, che  avrebbe meritato l’eleganza retorica di Tullio (M.T. Cicerone), egli rifuggendo i vocaboli che dal pubblico per il quale scriveva sarebbero stati poco compresi (ritenendosi orgoglioso del suo scrivere rozzo, ma vero), metteva in pratica la sua usata lingua volgare.

Non sappiamo quali fossero state le sue fonti d’informazione, all’epoca le notizie, magari anche se in qualche modo distorte o gonfiate, viaggiavano rapidamente, sta di fatto comunque, che della uccisione dello zio del re di Aragona e dei venticinque baroni uccisi di proprio pugno e della uccisione dei dodici ambasciatori e dei quaranta cittadini - che egli riporta - non abbiamo trovato  riscontro.

E, riassumendo, Villani così si esprime. “Il crudelissimo e bestiale re di Spagna avendo, contro il volere e consiglio dei suoi baroni palesemente accolto la sua concubina o più volgarmente dicendo, bagascia, e quella sopra modo disonestamente magnificando nel suo reame trascorse la sua tanto disordinata e sconcia vita che tutto l’animo reale cambiò in crudele tirannia. Il forsennato re anticipando coloro che avrebbero potuto imitare i suoi modi sozzi e sfrenati [...] come fiera crucciato, di sua mano uccise due dei suoi fratelli bastardi e lo zio del re d’Aragona e ancor di sua mano uccise venticinque dei baroni giustificandosi con le loro simulate infamie.  Mirabile e abominevole cosa che un re cristiano  [...]  senza giudizio [...] facesse morire  e che di sua sentenza egli fosse il manigoldo e vile esecutore.

Il movimento del perverso tirano non degno di essere nominato re, ma bestia selvaggia, venne in questi giorni di tanta e furiosa pazzia che costringeva i baroni che gli erano rimasti e scampati alla sua crudeltà e i comuni a giurare fedeltà e omaggio alla bagascia sua  [...]. I cittadini di Siviglia eleggevano dodici saggi  (era la richiesta dei nobili di riprendere la regina Bianca, sotto riportata), che per il loro dolce e savio parlare credevano di aver ritratto il re dalla folle e sconcia domanda, il re non fece loro risposta ma si toccò la barba e disse Per questa barba che male così avete parlato e con tale breve e sospettosa risposta gli ambasciadori, impauriti, tornarono a Siviglia.

Il re infellonito poco appresso, n’andò in Siviglia e in una notte andando alle case di tutti i detti ambasciatori, senza misericordia fece tagliare; né contento di tanto male in pochi giorni circa quaranta cittadini fece uccidere nelle loro case.

Io - conclude Villani - non mi posso tenere che non mi morda con dente di perpetua infamia, la memoria di iniquo tiranno [...]. Io ho letto e riletto nelle antiche scritture, quel che si scrive degli antichi pagani, massimamente dei barbari e di simili cose ho trovate, ma che tanta ingiustizia, tanta empietà e crudeltà fosse in un re cristiano, non mi ricordo di aver mai letto giammai”.

 

 

        

 

 

L

o storico “Pére D’Orleans”, al secolo Pierre-Josef Dorleans (1641-1698), gesuita predicatore, tra le sue opere aveva scritto un panphlet su “Pierre le Cruel ou le Chatimant de Dieu”, Pietro il Crudele ovvero il Castigo di Dio (Limoges, 1853).

Appoggiandosi allo storico Mariana (anch’egli gesuita e non tenero con don Pedro), accentua l’accanimento sulla sua crudeltà, e, fin dalle prime pagine, esordisce indicando i due re che quasi contemporaneamente, avevano occupato i troni di Castiglia e di Aragona, ambedue con lo stesso nome.

Il primo, Pedro IV d’Aragona (1319-1380) (*) e il secondo, don Pedro di Castiglia, scrive D’Orleans, “ambedue ingiusti e crudeli, con la differenza che Pedro d’Aragona, esercitava le ingiustizie e la crudeltà solo quando lo ritenesse necessario per il successo dei suoi disegni che gli ispirava l’ambizione, mentre Pedro di Castiglia lo era per la ferocia del suo temperamento, naturalmente sanguinario, da cui aveva derivato il soprannome di Crudele”.

“Essi”, prosegue D’Orleans, “avevano a quell’epoca, ambedue delle buone qualità che contribuiscono a fare i grandi re, di spirito, di valore, dell’attività svolta; per di più il castigliano era un bell’uomo, aveva carnagione bianca, i tratti regolari, i capelli biondi, alto di statura con un’aria di grandezza che lo rendeva rispettabile. L’aragonese era molto brutto, con uno sguardo feroce, di piccola statura ma aveva la precauzione di nascondere queste mancanze, non facendosi vedere in pubblico se non con quella pompa che dona la maestà e non dispensando nessuno dall’osservare l’etichetta stabilita per mantenere il rispetto dovuto al re quando gli si parlava o lo si avvicinava: da ciò il soprannome che gli era stato dato, di Cerimonioso”.

“Il castigliano” – continua pére D’Orleans –  sembrò avere un grande talento per la guerra; l’aragonese conosceva meglio di lui l’arte di renderla utile e non vi ricorreva se non per trarne un vantaggio; avevano ambedue lo spirito duro, imperioso, arrogante; la loro ambizione e i loro capricci sostituivano la legge; ma mentre la condotta dell’aragonese era misurata, politica e molto moderata per impiegare il crimine quando venivano meno gli altri mezzi, al contrario, il castigliano seguendo il torrente delle passioni senza altro scopo che seguirle, insudiciò la sua vita con crimini che ispiravano una lubricità sfrenata e la più barbara delle crudeltà: per definire in una parola questi due principi, uno era Nerone, l’altro era Tiberio”.

“Pietro d'Aragona [salito sul trono all'età di quattordici anni ndt.] era già un cattivo esempio per il suo nuovo vicino di Castiglia e già famoso per essersi disfatto di un fratello e di un cognato, scomodi per la sua ambizione: il primo era il fratello maggiore, Alfonso, morto fanciullo [morte che pére D’Orleans  attribuisce ingiustamente al fratello! ndt.]; il secondo era il  cognato Giacomo di Maiorca [appartenente a un ramo cadetto d’Aragona], che aveva sposato la sorella, che Pietro, aveva accusato di tradimento, facendolo processare e togliendogli l’isola, e altri due beni di famiglia di Giacomo, il Rossiglione e la Cerdagna, che unifica al regno di Aragona, mentre Giacomo, fuggitivo, riparava in Francia”.

D’Orleans, che scrive con estrema eleganza, trova sempre il modo di inveire contro Pedro, definendolo una “tigre” e, molto sottilmente, da buon gesuita [era nota la loro finezza intellettuale] per fortuna di Pedro, coinvolge il governatore della Castiglia Albuquerque, al quale attribuisce “la compiacenza criminale per i vizi di Pedro ispirati dalla sua ambizione e interesse  durante la sua giovinezza, in modo da non poterli più correggere  in tempo”!

E lo storico prosegue: “Pedro detto il Crudele, Castigo di Dio cominciò il suo regno con dei crimini che ispirarono subito il rammarico, ma che presto lo resero odioso al popolo. Vi è da credere che i vizi di questo principe non erano da considerare incorregibili se fossero stati repressi in tempo e se le potenti fazioni che abusarono della sua giovinezza per appropriarsi della sua autorità o per difendersi da quelli che essi sottomettevano non avessero fomentato le sue mollezze o irritato la sua naturale ferocia che in seguito lo portò ai più grandi eccessi”.

A proposito della pessima opinione che D’Orleans si era fatto di Pedro, egli nel commentare quanto Mariana, calcando la mano, aveva scritto su Pedro [attingendo anche lui dalla Cronaca di Pedro Lopez d’Ayala (**)], dice che Mariana aveva scritto “con fiele, che lo rende sospetto, mentre bastava attenersi alla verità; non era necessario cambiare il quadro; era sufficiente rappresentare il principe come era,  per renderlo odioso alla posterità”. 

Su Albuquerque, il padre gesuita, scrive:- “Aveva condotto i suoi affari e quelli del suo re con destrezza e la fortuna lo aveva favorito fino a raggiungere il punto di prosperità che fa ritenere chi arriva, al di sopra di ogni burrasca; egli riconobbe che la politica che impiega il crimine con la virtù, rende spesso la virtù inutile e non raccoglie che il frutto del crimine”.

Conoscendo la inclinazione del re portato ai più colpevoli piaceri, alla crudeltà e al sangue, egli aveva lasciato le briglie quando la sua ambizione e i suoi interessi avevano avuto bisogno di questa condiscendenza per portarlo dov’egli aspirava: egli non omise nulla per correggere i vizi di un temperamento che egli stesso aveva contribuito a corrompere: ma era troppo tardi, non era più tempo di raddrizzare la piega di un uomo che faceva tutto piegare su di lui”.

D’Orleans nella descrizione di Enrico, assassino del fratello, usa toni diversi:- “Enrico era un principe pieno di fuoco, intraprendente, attivo, ambizioso moderato, quantomeno per dissimulare, per piegare, per temporeggiare a proposito, flessibile per adeguarsi a ogni situazione, in attesa dell'occasione, senza essere impaziente e senza perdere il momento favorevole per approfittarne.

Liberale, popolare, affabile, buon amico nei confronti degli amici sinceri, pronto a ricambiare nei confronti di chi voleva ingannarlo, non vi era al suo tempo guerriero più bravo e pochi erano i capitani che lo superavano; spesso  non fu molto fortunato ma nelle disgrazie, ben lungi dal lamentarsi dall’incostanza della fortuna, egli seppe più d'ogni altro amministrare le sue risorse, egli seppe prevedere il cambiamento che la fortuna avrebbe portato a lui e alla sua famiglia quando suo padre morì”.

D’Orleans conclude la sua filippica su Pedro, scrivendo: “Pedro il Crudele era morto così odioso al popolo che non fu difficile al vincitore [Enrico II], già riconosciuto re di Castiglia e già padrone di gran parte del reame, di entrare in possesso del rimanente”.       

Per concludere sull’argomento, padre D’Orleans, non mostra nessuna pietà cristiana verso don Pedro e non gli fa grazia neanche sulla sua richiesta di sepoltura; Pedro infatti, nel suo testamento chiedeva di essere sepolto nella cappella che aveva fatto costruire, unitamente a Maria e al figlio Alfonso e che gli fosse messo il saio di san Francesco; su questa richiesta, mentre lo storico Mariana [suo confratello], aveva dedotto che, “nonostante i suoi disordini, Pedro era stato religioso”, egli più duramente ritiene che Pedro “ai suoi disordini, avesse aggiunto il sacrilegio e l’ipocrisia”!

 

*) Pedro IV d‘Aragona, era primogenito nato dal primo matrimonio del re Alfonso IV il Benigno con la contessa Teresa di Urgell, mentre in seconde nozze aveva sposato Eleonora, sorella di Alfonso XI di Castiglia, dalla quale erano nati o due infanti Fernando e Juan, che con la madre, dopo la morte del padre e la successione di Pietro il Cerimonioso, erano andati a vivere in Spagna dove erano in continuo stato di cospirazione, e certamente per questo motivo Pedro la fece assassinare (1369).

**) Pedro Lopez d’Ayala (1322-1407), umanista spagnolo, Cancelliere maggiore di Castiglia, figlio di Lope Ferrand Perez Lopez d’Ayala, aveva il comando della truppa nell’esercito di Pedro, era l’autore, tra altre opere, della celebre Cronica di Castiglia, in cui erano riportati gli avvenimenti che riguardavano i re di Castiglia che si erano succeduti da Pedro I di Castiglia, Enrico II, Giovanni I ed Enrico III, che si erano susseguiti nell’epoca in cui egli stesso era vissuto, dalla quale avevano attinto tutti gli storici che avevano trattato quel periodo.

 

 

 E CHI AVEVA POTUTO PARLAR

BENE DI PEDRO?

I GIUDEI

NELLE  DUE LAPIDI DELLA

SINAGOGA DEL TRANSITO

DI TOLEDO

 

 

Q

uando Pedro aveva nominato suo “ gran tesoriere” (ministro delle finanze) Samuel Levi, tutti gli ebrei del regno avevano tirato un sospiro di sollievo, perché intravedevano un periodo scevro dalle persecuzioni che di continuo si abbattevano sulle loro teste.

Samuel, era stato scritto, “astuto come tutti quelli della sua razza, aveva compreso l’importanza della sua posizione e aveva rivolto tutti i suoi sforzi alla protezione dei giudei, mettendo a profitto il carattere aperto e franco del monarca. I fratelli e i grandi, i primi ambiziosi, i secondi amici delle novità e delle rivolte, avevano convertito il regno di Castiglia in un teatro di guerra sanguinosa e fratricida che terminava con l’assassinio del re”.

E quando Enrico si impossessava del trono, Samuel sarà accusato di essersi appropriato delle entrate reali e morirà sotto le torture che gli erano state inflitte, nelle “atarazanas” di Siviglia, alle quali il suo fisico non aveva resistito.

E, durante il suo primo anno di regno (1369), gli ebrei di Toledo furono trattati con egual durezza; ad essi, infatti, era stato imposto il pagamento di ventimila dobloni d’oro con l’ordine, se la somma non fosse stata pagata, della vendita  dei loro beni e delle loro persone come schiavi.

Don Pedro aveva permesso la costruzione dell’opera d'arte, voluta da Simon Levi, costituita dalla sontuosa sinagoga in stile mudejar (musulmano) nel quartiere ebraico di Toledo; costruita intorno al 1357 (anno settimo del regno di Pedro), dal rabbino Meir Aldebi e denominata “Sinagoga del Transito”, era successivamente passata in possesso dell’Ordine di san Giovanni e poi divenuta chiesa cattolica di Nostra Signora del Transito (attualmente Museo Sefardita).  

Gli ebrei dal loro canto avevano voluto dar prova della loro riconoscenza  e  sul muro orientale dell’edificio due grandi lapidi, poi rimosse e andate disperse, vi erano delle iscrizioni in lingua ebraica che, trasdotte da un ebreo, nell’epoca in cui Rades de Andrada aveva scritto la “Cronaca dei tre ordini militari”, erano state inserite in quest’opera.

Le iscrizioni prima di essere rimosse erano state fortemente danneggiate se nel 1592 l'erudito Perez Bayer ne aveva tratto delle copie che erano andate anch'esse perdute. Queste copie erano state oggetto di un "bruciante dibattito" tra la Commissione dell'Accademia reale di storia e don Juan José Heydeck, ebreo convertito, e nel 1595 era stato pubblicato un opuscolo intitolato "Ilustracion de la inscricion hebrea que se halta en Nuestra Señora del Transito de la ciudad de Toledo" in cui erano state riportate le due iscrizioni, una delle quali era poetica e l’altra (scrive l'anonimo autore del libro che riporta questi particolari) era una falsa copia che “non trascriviamo per non prolungare il testo di queste note” (in ogni caso questo testo è disponibile in Google libri, con nostra immensa gratitudine; v. in Recensioni, La grande biblioteca virtuale di Google).  

Questa copia, aggiunge l’anonimo storico, è talmente piena di inverosimiglianze filologiche e di tali errori e anacronismi, che avevano convinto l'Accademia a fare un nuovo esame delle lapidi. Ed era risultato con evidenza che il convertito Heydeck non aveva mai visto le lapidi di Toledo o che, se le avesse viste, egli non fosse stato in grado di decifrarle. Era apparso chiaro che egli aveva ripreso l'interpretazione di Andrada e l’avesse tradotta in ebraico e come egli avesse potuto aggiungere di propria mano ciò che avesse ritenuto conveniente per rendere verosimile questa soperchieria letteraria (seguono gli errori in ebraico sui quali non possiamo addentrarci!).

Scrive lo storico Amador de los Rios: “E’ vero motivo di rimpianto vedere come il popolo ebreo gioiva nel vedere un edificio la cui costruzione era dovuta agli architetti mudejares di Toledo, facendo sorgere il loro spirito d’indipendenza.

Le due iscrizioni facevano conoscere le grandi speranze di benessere che avevano conosciuto quando erano state accolte dal figlio di Alfonso XI. Me essi vennero ben presto a dissipare queste sorridenti illusioni; questi bei giorni, questi begli anni mutarono in giorni di sangue e di dolore durante gli insopportabili anni di cattività.

I fratelli di Pedro e i Grandi, i primi ambiziosi, i secondi amici delle novità e delle rivolte, avevano convertito il regno di Castiglia in un teatro di guerra sanguinosa e fratricida che ebbe termine con la uccisione del re sotto le mura di Montiel. Questa lotta in cui si facevano valere interessi contrastanti e irritanti, in cui si combattevano diritti di un trono indebolito dalle rivolte, in cui la Castiglia era la  vittima e i privilegi sempre più crescenti di una nobiltà altamente anarchica, non poteva non travolgere e coinvolgere gli ebrei nei partiti che si formavano”.

Quando la sinagoga fu trasformata in chiesa, fu fatta la iscrizione che, omettendo la intestazione, così si esprimeva (la traduzione è letterale ndt.):

“Le misericordie che il buon Dio ci ha voluto fare, sollecitando per nostro mezzo i giudici e i principi per liberarci dai nostri nemici e dei nostri oppressori. Come non vi erano dei re in Israele che potevano deliberare dell’ultima cattività di Dio in Israele, che per la terza volta fu sollevata da Dio in Israele, noi sparsi gli uni su questa terra, gli altri nelle diverse parti dove essi si trovano ancora desiderando la loro terra e noi la nostra. E noi, quelli di questa terra, noi alziamo questo edificio con braccio forte e possente. Il giorno in cui è stato costruito, è stato un giorno grande e gradito dagli ebrei che attratti dalla sua reputazione, sono venuti dalle estremità della terra per vedere se vi fosse al di sopra di noi qualche signore che fosse per noi come una fortezza, con una perfezione d’intelligenza per governare la nostra repubblica.

Un tal signore non si è trovato tra quelli che erano qui, ma Samuel si è elevato al di sopra di noi per aiutarci e Dio è con lui e con noi. Egli ha trovato grazia e misericordia per noi. Egli è l’uomo di guerra e di pace, potente in tutte le città e grande architetto. Ciò è avvenuto al tempo del re don Pedro. Che Dio gli sia di aiuto! Che ingrandisca il suo Stato, che lo renda prospero, che lo élevi e che metta il suo trono al di sopra di tutti i principi.  Che Dio sia con lui e con tutta la sua famiglia. E che tutti gli uomini si inchinino davanti a lui e che i grandi e tutti coloro che vivono sulla terra lo riconoscano. Che tutti coloro che sentono il suo nome gioiscano nel sentirlo in tutti i suoi reami e a  chi sia manifesto che egli sia stato fatto per essere di Israele lo sostenga e lo difenda”.

Amador de los Rios, scrive in proposito:

Le ultime parole di questa incisione, manifestano chiaramente la protezione che il re don Pedro aveva accordato ai giudei  che gli auguravano prosperità e benessere. Frattanto, tutti i giudei erano giunti dai confini della terra alla notizia della costruzione del nuovo tempio, per vedere se vi fosse qualche mezzo per elevare al di sopra di essi un signore che fosse come una fortezza, con una perfezione di intelligenza per governare la loro repubblica. Queste parole mettono in evidenza l’inquietudine del loro carattere e l’odio nei confronti dei propri dominatori nel momento stesso in cui essi erano ostensibilmente protetti.

Nella iscrizione laterale, prosegue Amador, si trovano confermate, in termini più formali, se possibile, la protezione che loro aveva accordato il re don Pedro. Ecco:

 “Con il suo soccorso e la sua protezione [di don Pedro] noi contribuimmo a costruire questo tempio. Pace sia con lui e tutta la sua generazione e sollievo in tutto il suo lavoro. Oggi Dio ha deliberato sul potere dei nostri nemici e, dopo i giorni della nostra cattività, noi non avevamo mai trovato un altro simile rifugio. Abbiamo costruito questo edificio per consiglio dei nostri saggi, Perché la misericordia di Dio verso di noi è stata grande. Don Rabbi Myr ci ha dichiarato  che la sua memoria [di Pedro!] sia una benedizione. Egli è nato per essere il tesoro del nostro popolo: perché prima di lui, i nostri avevano ogni giorno la guerra alle loro porte. Questo santo uomo [pensa, lettore, come Pedro il Crudele era stato considerato dagli ebrei! ndr.] ha dato un tal sollievo e un tal soccorso ai poveri che non ne avevano mai avuto dai primi giorni, né nei tempi più antichi. Egli non è stato profeta se non della mano di Dio: Uomo giusto che cammina nella perfezione. E’ uno di quelli che ha timore di Dio e che venera il suo santo nome al si sopra di tutto; per di più, aggiunse [Rabbi Myr]  che aveva voluto costruire questa casa e la sua dimora e l’aveva terminata in una buona  annata per Israele [nel senso che era stata costruita in poco tempo]. 

Dio aveva aumentato di ottocento [persone] dei suoi, dopo che era stata costruita questa casa per lui; e questi sono stati uomini e potenti, perché questa casa è sistenuta da una mano forte e da un alto potere. Non si è trovata una nazione nei paesi del mondo che fosse, prima di questa, più grande.

Ma, salve Signor nostro Dio: il tuo nome è forte e potente, tu hai voluto che noi portassimo a termine  felicemente questa dimora e in un buon giorno e bell’anno perché il tuo nome prevalesse in essa e che il nome dei suoi costruttori fosse conosciuto in tutto il mondo e che si dicesse: Ecco la casa delle preghiere costruita per te per invocarvi il nome di Dio, loro redentore”.

 

 

I FRATELLASTRI

E LE QUALITA’ NEGATIVE

ATTRIBUITE A PEDRO

 

 

D

on Pedro I (1334-1369), era figlio di Alfonso XI (1311-1350), o XII: la diversa numerazione è data dalla circostanza che alcuni inseriscono nella cronologia Alfonso I di Aragona e VII di Castiglia, marito della regina Urraca (1109); XImo o XIImo, in ogni caso, fu l’ultimo degli Alfonso di Castiglia e Leon. 

Alfonso aveva sposato (1328) la principessa Maria, figlia del re Alfonso del Portogallo, dalla quale aveva avuto Pedro (I) (1334-1369), primogenito, unico e legittimo, che sarà sopranominato “il Crudele”; il padre, dopo aver avuto questo figlio, abbandonava madre e bambino e si dedicava esclusivamente alla sua amante Eleonora Guzman che viveva a corte e lo aveva asservito ai suoi voleri, infliggendo così alla regina umiliazioni e dispiaceri che peseranno sulla sua esistenza e su quella del piccolo Pedro.

Eleonora era figlia di Pedro Martinez de Guzman e di Beatrice Ponce de Leon, vedova di Juan de Velasco e considerata la più bella donna del reame e, era stato detto, che da quando la vide (il re che aveva diciassette anni e lei non aveva ancora compiuto i diciannove), aveva cessato di essere re per essere divenuto suo schiavo; da lei Alfonso aveva avuto numerosi figli (otto di cui sette maschi e una femmina, oltre a due maschi morti giovanetti), il primo dei quali (nato il 1330) aveva avuto il nome di Pedro ed era morto all’età di otto anni (1338) a causa delle ferite che gli aveva provocato un falcone.

I primi due figli che nacquero dopo, erano gemelli, Enrico conte di Trastámara e Fadrique (Federico), Gran Maestro dell’Ordine di Santiago; seguiva Fernando signore di Ledesma, Juan-Alfonso, Tello [in spagnolo Teglio, signore di Aguillar e poi di Lara e Biscaglia] Pedro e Sancho il muto (morti quando il re Alfonso era in vita), Juan e Juana che sposò  Ferrante de Castro; di questo Juan di quattordici anni e di Pedro di diciotto, tenuti prigionieri a Carmona, Mariana aveva scritto che Pedro per vendicarsi della morte di Hinestrosa (Araviana) che lo aveva sempre sostenuto nel suo rapporto con Maria, li aveva fatti sgozzare (1359) senza riguardo alla loro età e innocenza.

Dei figli naturali (*), Enrico era considerato primogenito (con diritto a tale trattamento) e il re Alfonso non avendo denaro, gli aveva assegnato vari territori, ciò che sarà causa delle sue rivendicazioni sul regno di Pedro.

Con la uccisione di Pedro I, Enrico II diventerà capostipite della dinastia del regno di Castiglia e Leon, che sarà considerata “legittima” e, come si è visto, Voltaire aveva colto l’occasione di una più generale critica neri confronti degli “uomini di lettere e storici, i quali, parteggiando per il vincitore, finiscono col sostenere la legittimità del monarca assassino”.

I regni riuniti di Castiglia e Leon, in seguito, saranno ereditati da Isabella (1451-1504), la quale, gelosa della loro titolarità, anche con l’unione in matrimonio con Ferdinando d’Aragona (1470-1516), aveva voluto mantenere i due regni separati (v. in Art. L’Europa verso la fine del medioevo cap. II) e durante la loro vita essi  saranno considerati solo “nominalmente” uniti, fino a quando non saranno ereditati dal nipote Carlo di Borgogna (1500-1558) che sarà Carlo I (1519), come re di Spagna, e Carlo V come imperatore del SRIG (v. in Art. Carlo V tra Rinascimento, Riforma e Controriforma).  

Alfonso XI era morto di peste durante l’assedio di Gibilterra a trentotto anni, nel vigore delle sue forze, “mentre il regno era agitato da mille fazioni, esposto a guerre, tradimenti, rivolte, assassini; si vedevano i grandi signori del regno morire di morte violenta, non si aveva riguardo né del diritto, né della ragione, né dell’equità; le cose più sacre erano disprezzate e profanate; erano queste le  condizioni in cui si trovava il regno” [è lo storico contrario a Pedro a fare questa descrizione ...  quando Pedro aveva appena tredici anni! ndr.]; e lo storico aggiunge [malignamente!]: “non si può sapere se il nuovo re ne fosse l’autore o la causa di questi disordini si devono attribuire alla gelosia e all’ambizione dei Grandi”.

Lo storico è il già nominato Mariana, il quale sarà seguito da tutti gli altri storici che avevano ritenuto colpevolizzare Pedro, che da un vescovo poco cristiano, fu considerato il Crudele; ma, per sua fortuna, era stato precisato che: “Secondo gli storici più disinteressati la principale fonte di tutti questi mali era la nobiltà che non rispettava le leggi per la mancanza di una autorità superiore”.

Quando Pedro fu riconosciuto successore del padre a sedici anni, era ancora un ragazzo inesperto e già dal momento in cui aveva assunto le redini del regno, gli erano attribuite delle malvagità che invece erano quelle compiute dal potente ministro Albuquerque (anch’egli giovane di circa venticinque anni!), alle cui cure  Alfonso aveva affidato Pedro.  

Il preconcetto nei confronti di Pedro era tale da averlo, anche fisicamente,  descritto  in modo da mettere in evidenza i segni somatici che lo disponevano alla crudeltà ... “non aveva niente di affabile e non era facile avvicinarlo; un’aria rude, sprezzante, qualcosa di selvaggio respingeva tutti quelli che lo avvicinavano;  aveva piacere a schernire in maniera sferzante; nei suoi accessi di collera si lasciava andare a parole pungenti e più ingiuriose  [...] una passione furiosa per le donne lo portava a un libertinaggio mostruoso” (vedremo nel par. del matrimonio con Giovanna de Castro quali fossero state tutte queste sue furiose passioni!).   

Sul carattere di Pedro è da dire che dopo l’abbandono da parte del padre, non aveva avuto dei sani precettori in grado di avviarlo al compito che lo aspettava, ma. come abbiamo detto, era stato affidato ad Alfonso d’Albuquerque (**) che ricopriva la carica di Governatore della quale era geloso e si guardava bene dall’ ispirare al giovane re sentimenti degni della sua nascita e del rango al quale era destinato e invece di correggere quelle inclinazioni del giovane principe che fossero apparse distorte, le favoriva,  lasciando che Pedro venisse su come un ragazzo rude e selvaggio!

 

 

*) Lo storico Charles Romey a proposito di tutti questi figli, legittimi e illegittimi fa la seguente  riflessione, che condividiamo: “Tutti questi figli illegittimi di Alfonso e di una adultera, maestri e signori di cui gli storici monarchici parlano con profondo rispetto prendendoli per uomini considerevoli che agivano nella pienezza della loro maturità e consapevolezza delle loro azioni, con il re (Pedro) che diventa padre, e questo conte (Enrico) che si rivolta e si sottomette, tutto in funzione della sua ambizione che lo porta a desiderare di essere re, costoro erano tutti pressappoco dei ragazzi; il più vecchio dei figli di Eleonora (i fratellastri) aveva vent’anni, il figlio di Maria del Portogallo  (Pedro) ne aveva diciotto.”

**) Juan Alfonso de Albuquerque (1327-1354) era governatore della Castiglia fin dal tempo del re Alfonso XI; era  figlio di Alfonso Sanchez e nipote di Donis (Dionigi) re del Portogallo; sua madre era figlia di Alfonso Tellez signore di Albuquerque; sua moglie Isabella de Meneses era figlia di Tello de Meneses e questo figlio di Alfonso, fratello della regina Maria moglie del re Sancho del Portogallo: era stato mandato in Castiglia presso il re Alfonso per essere educato e sotto questo re era divenuto suo favorito e aveva fatto tutta la sua fortuna, aiutato dai suoi personali talenti nella attività di governo e di guerra.

 

 

CON LA ELIMINAZIONE

DI ALCUNI SUOI NEMICI

 PEDRO

METTE ORDINE AL REGNO

 

 

Q

uando Pedro I saliva al trono, aveva, come abbiamo detto, poco meno di sedici anni; biondo di capelli, aveva un fisico aitante e atletico, dedito alla caccia degli uccelli come il padre, la sua conclamata passione per le donne, era come si vedrà, effimera e passeggera; amava parlare, più che ascoltare, e di lui era stato scritto, che “aveva spiccato il senso della giustizia, tanto profondo, che aveva finito per diventare crudele”. In ogni caso durante il suo regno non si videro né ladri, né briganti: i cattivi soggetti erano ridotti al punto di andar via dal regno!

Come abbiamo visto, Pedro aveva ereditato un regno turbato da sedizioni e ribellioni sia da parte dei nobili, superbi e arroganti, sia della popolazione; per di più, anche durante il regno del padre che aveva privilegiato l’amante a scapito della regina, si erano formate due correnti, una sosteneva la legittima regina, Maria del Portogallo e l’altra  la sua amante, Eleonora Guzman con i figli bastardi, così come con Pedro vi saranno quelli che  parteggeranno per la regina Bianca di Borbone e quelli che sosterranno l’amante Maria Padilla.

Una improvvisa malattia che aveva gravemente colpito Pedro appena salito al trono, (agosto del 1350), tanto da farlo considerare in fin di vita, aveva risvegliato tutte le ambizioni e le rivendicazioni dei diversi pretendenti.

Tra costoro vi era la regina dotaria Eleonora, zia di Pedro, che considerandosi primogenita (nata prima del fratello, re Alfonso), sosteneva che secondo il costume di Spagna e gli esempi precedenti delle regine Urraca e Berenguela, la eredità del regno spettasse a lei; la sua pretesa era avvalorata dalla circostanza che nel testamento, il fratello Alfonso aveva disposto che se Pedro non avesse avuto figli (che al momento aveva appena sedici anni!) il regno dovesse passare a suo nipote,  figlio di Eleonora, l’infante Ferdinando d’Aragona, il quale era sostenuto dall’Albuquerque e altri signori.  

Alcuni dei signori come Alfonso Fernando Coronel, Garci Lasso (o Garcilaso) de la Vega, governatore della Galizia e altri, sostenevano invece Juan Nuñez de Lara, principe di Biscaglia, appartenente al lignaggio dei de la Cerda [discendenti da Alfonso il Saggio, il cui figlio Ferdinando de la Cerda era così chiamato   per la cerda, vale a dire la setola, un lungo pelo che Ferdinando aveva sul petto quando era nato, prendendo questo cognome - ma non vi era stata alcuna successione in quanto il figlio era premorto al padre). 

Occorre tener presente che questa nobiltà superba e orgogliosa, era ribelle per vocazione e le rivendicazioni di questi signori nei confronti di Pedro non erano una novità essendosi già verificate in precedenza durante il regno di Alfonso XI (nel 1336), che li aveva perdonati, ed ora essi, approfittando della circostanza che il giovane re si era ammalato, erano tornati a cospirare.

Non c’è quindi da meravigliarsi se qualcuno di essi fosse trattato con una certa crudeltà, come vedremo avverrà per Garcilasso de la Vega e Alfonso Fernando Coronel che, era stato riferito a Pedro, pensando stesse per morire, volevano dare la corona a Juan Nuñez de Lara.  

Nello stesso tempo i vari congiurati avevano progettato di far sposare ciascun  pretendente con la regina madre, Maria del Portogallo, per poter avere l’aiuto del padre, il re Alfonso del Portogallo; ma la sua inaspettata sua guarigione mandava in fumo tutte le loro aspettative!

Appena guarito, nell’autunno dello stesso anno (1350), per prima cosa Pedro riuniva le Cortes a Valladolid; questa assemblea, a causa dei diversi atti di governo e originali atti amministrativi e legislativi che furono presi, si prolungò fino al marzo dell'anno successivo [era la prima volta che l’assemblea durava così a lungo], per i numerosi provvedimenti che furono presi, (tra i quali l’Ordinamiento de los Menestrales che riguardava gli esercenti commerciali e il Quaderno de Peticiones, contenente le rivendicazioni delle città  all’inizio del regno, e furono date nuove sanzioni al Fuero Viejo de Castilla (v. in Corpus juris ecc.) e si discusse anche la importante questione delle behetrias (*), che Albuquerque voleva fosse abolita e fu istituito il becerro (*) il registro della nobiltà; furono inoltre presi provvedimenti relativamente all'Ordine di san Giacomo, di cui era Gran Maestro il fratellastro di Pedro, Fadrique, disponendosi la assegnazione della metà dei servizi e sussidi ai quali erano tenuti i cavalieri dell'Ordine, in favore del re.

Nel novembre di questo anno (1350) il re Pedro IV d'Aragona il Cerimonioso,  aboliva il calendario romano di Cesare, seguito fino allora con kalende, idi e none, e datato dall'incarnazione di Cristo (25 marzo), invece che dalla Nativitate Domini, così sostituite dai giorni del mese in lingua romana e latina, successivamente adottato anche dalla Spagna, ma il capo d'anno aveva inizio a Natale e il 27 dicembre era considerato terzo giorno del nuovo anno.

Nel frattempo Pedro, faceva trasferire Eleonora Guzman a Talavera (appannaggio della regina madre, da cui prese il nome di Talavera della Regina) e quivi tenuta  come prigioniera (Eleonora aveva per amante attuale Ferdinando de Castro).

La regina che voleva vendicarsi di tutte le umiliazioni subite da quando Eleonora aveva preso il cuore del re (non escluso un tentativo di far morire con maleficio la madre quando era incinta di uno dei figli, per mezzo di uno stregone nero), ne approfittava inviando Alfonso Olvedo con l’incarico di avvelenarla.

Anche questo assassinio fu attribuito a Pedro, facendo a questo modo aumentare il numero delle crudeltà, vere o presunte, che gli erano attribuite, in ogni caso inferiori a quelle di altri monarchi contemporanei o dei secoli successivi.

Pedro era a Siviglia, dove si trovava anche Nuñez de Lara, il quale, non avendogli Pedro fatto buon viso, si era congedato, recandosi a Burgos, dove si sentiva più sicuro e dove si trovava il partito più ferocemente contrario ad Albuquerque (i castigliani chiedevano gli fosse revocata la carica di governatore).

Pedro si era recato a Burgos, con tutta la sua Corte e giunto in città, Garcilasso andò ad accoglierlo, ma con tutto il seguito dei suoi sostenitori; il re si ritenne offeso per questo modo di riceverlo e decise la sua sorte!

Pedro si trovava a palazzo e fece convocare Garcilasso, il quale si recò accompagnato da tre amici di Burgos; Albuquerque aveva dato ordine a tre arcieri di arrestarlo; dopo l’arresto, due di essi si recarono da Albuquerque per chiedere cosa dovessero fare e Albuquerque, che era con il re, si rivolse a lui dicendogli di ordinare ciò che desiderasse; il re rispose: Fate! I due arcieri riferirono l’ordine all’altro, ma questo non osava prendere alcuna iniziativa; uno degli altri due allora tornò a chiedere al re: Signore cosa dobbiamo fare di Garcilasso? E il re: Albuquerque dice di ucciderlo e fu così che l’arciere gli assestò un colpo di mazza sulla testa, e poi ancora altri colpi fin quando egli non cadde morto.

Il cadavere sanguinante fu buttato dalla finestra in strada; era il giorno in cui i tori erano stati liberati e correvano per le strade e al loro passaggio  calpestarono il cadavere; dopo il passaggio dei tori, il corpo fu preso e portato sotto le mura della città dove fu scavata una buca e seppellito.  

I tre amici che lo avevano accompagnato, Pero Fernandez de Medina, Alfonso Fernandez e Alfonso Garcia de Camargo, che in precedenza avevano partecipato a una sommossa, erano stati messi agli arresti, ma qualche giorno dopo il re, che era a pranzo con Albuquerque, li fece portare in una sala vicina e li fece ammazzare.

A Burgos Pedro ricevette la visita (1351) di don Carlos (1332-1387), nuovo giovane re di Navarra, detto il “Malvagio” e discendente di Filippo il Bello (pubblicheremo anche su Don Carlos di Navarra il “Malvagio”  un articolo), il quale volle instaurare con Pedro rapporti di amicizia e buon vicinato.

I due re, uno Crudele e l’altro Malvagio,  si promisero reciprocamente di vivere in perfetta unione; la visita si era svolta nella magnificenza di feste, spettacoli, tornei e partite di caccia col falco (**) e quando partì a Don Carlos furono donati cavalli, muli e gioielli.

Anche riguardo a Juan Nuñez de Lara, dopo il suo arrivo a Burgos, si spargeva la notizia della sua morte, seguita dalla morte di Ferdinando Manuel che si trovava a Villena (anch’egli contrario all’Albuquerque); queste due morti, avvolte dal mistero, erano facilmente attribuibili ad Albuquerque che anch’egli in fatto di crudeltà non aveva pari.

Nel frattempo cessava di vivere anche il figlio del defunto Juan Nuñez de Lara, di nome Nuño, erede della signoria di Biscaglia, di tre anni, affidato alle cure di una dama di nome Nincia; Pedro, avutane notizia, andava a occupare la regione con le armi e si impadroniva di diverse città e castelli della Biscaglia, che univa al regno di Castiglia (1351).

Il fratellastro di Pedro, Enrico di Trastàmara, che si trovava a Oviedo, avendo saputo della morte della madre e dell’uccisione di Garcilasso de la Vega e degli altri signori, non sentendosi sicuro, andò a rifugiarsi presso il re del Portogallo, mentre Tello che si trovava a Palencia, accoglieva Pedro rendendogli omaggio e riconoscendolo come proprio signore.   

 

*) LE BEHETRIAS E IL BECERRO

 

BEHETRIAS. Quando si liberava un territorio dai mori, per il ripopolamento delle vaste aree liberate, si dava la possibilità a coltivatori e artigiani di formare una poblaciones vale a dire una  popolazione (società) per costituire una nuova città o villaggio e per difenderne il possesso dai loro nemici e la comunità usufruiva  di certi privilegi sociali.

Questa attrattiva non poteva mancare di attrarre persone; i privilegi erano assegnati dal re per mezzo di fueros (v. in Articoli: Il Corpus juris civilis ecc.); l’origine del nome behetrias  o berhetrias è discussa, probabilmente derivante dal basco beretria, secondo altri deriverebbe dal greco heteria (dove l’h aspirata ha sostituito la b) intesa come società di uomini liberi che non vogliono avere un capo o che credono di non averne; in questo senso è usato nelle Istituzioni di Gaio, indicato in spagnolo con termini benefatia o belfatia, benefactoria , da cui behetria.

Il padre di Pedro, Alfonso XI aveva disposto (1340) l’inventario delle behetrias, con l’indicazione  di tutti i luoghi che ne facevano parte e ne venne fuori un libro (1354) chiamato Las Behetrias.

Gli interessi della comunità esigevano che non fossero possibili cessioni di beni a stranieri a meno che lo straniero non si impegnasse a stabilirsi nel luogo; coloro che si assentavano per un anno perdevano il possesso dei beni; era vietato ai nobili di stabilirsi in queste comunità a meno che non rinunciassero al loro stato; la comunità per la difesa comune aveva caballeros (cavalieri) e pecheros (tributari a piedi) e tutti obbedivano alla autorità costituita rappresentata dall’alcade (sindaco) e dal consiglio degli abitanti detto ayuntamiento; se la piazza era governata da un proprio eletto o da un nobile in nome del re, questo non era sottomesso al tribunale locale; la comunità infatti aveva propri magistrati e tribunali.

Sui proventi versati dalla behetria, il fijosdalgo (o hijosdalgo, scudiero-hidalgo), prendeva la metà destinata al re.

Tutto questo comportava che le città sottoposte alla behetrias era considerata città libera e confederata con le altre con gli stessi diritti, ciò che aveva determinato non solo confusione e disordini ma i banditi vi trovavano rifugio per l’impunità riservata ai loro delitti. Tutto ciò aveva spinto Alfonso Albuquerque, che aveva l’amministrazione dello Stato, a voler abolire questi privilegi che costituivano una ingiuria all’autorità sovrana e un pregiudizio per il bene pubblico, ma aveva trovato l’opposizione di Juan Rodriguez de Sandoval, uno dei primi cavalieri del regno (nato egli stesso in una behetrias) e della nobiltà; anche la moglie di Albuquerque, Isabella, possedeva molte terre behetriali; la proposta presentata da Albuquerque alle Cortes di Valladolid (1351) era respinta.

Diverse città e terre della Vecchia Castiglia, erano sottoposte alla behetrias e per consuetudine nominavano i loro signori scegliendoli da una determinata famiglia; Albuquerque approfittando del fatto che molti signori erano deceduti e occorreva  nominarne altri, intendeva abolire questa consuetudine ritenendo che spettasse al re creare i principi che avrebbero governato le città, mentre Juan de Sandoval  con  altri grandi appoggiavano la consuetudine e per questo vi furono dei disordini, senza che fosse raggiunto un qualche risultato.

 

IL BECERRO. 

Era il Registro  in cui era indicata tutta la nobiltà che godeva delle behetrias  con tutte le indicazioni genealogiche che riguardavano i possessori, con i diritti spettanti al re e ai signori che possedevano quelle proprietà, per cui il libro era consultato e utilizzato dai genealogisti.

Il re Pedro aveva disposto la sua pubblicazione e la regina Isabella volle che il suo originale fosse depositato presso la Real Cancelleria di Valladolid; successivamente Filippo II aveva ordinato che una copia fosse conservata nell’archivio di Simancas; il libro era stato stampato con cura dalla Libreria Hernandez nel  1865. 

 

**) LA CACCIA COL FALCO – LE OTTO SPECIE.

 

Era la passione dell’epoca, introdotta dall’imperatore Federico Barbarossa che l’aveva appresa dagli arabi, ma era praticata anche dai persiani, con origini che si fanno risalire alla Mesopotamia; celebre il libro De arte venandi cum avibus del nipote Federico II con una parte dedicata alla falconeria.

Il re Alfonso XI, padre di Pedro, aveva un prezioso manoscritto miniato sull’arte della caccia che ricalcava il libro di Federico II, in centottantacinque pagine, abbellito da ritratti delle persone della corte che vi erano addette ed erano riportate tutte le armi usate per la caccia e tra i differenti tipi di caccia vi era quella con il falco, la più stimata dai re di Castiglia e del Portogallo.

Diego Fernando de Ferreira nel suo trattato sulla caccia riferiva che Ferdinando del Portogallo allevava trecento falchi di differenti specie.

Nell’epoca di Pedro si contavano otto specie di falchi (secondo il Talbot-Dillon, i cui nomi non corrispondono alle più moderne classificazioni): il Sacro, il più grande e stimato dei falchi, così chiamato non solo dagli spagnoli, ma dagli inglesi e latini; si ritiene che il nome gli sia stato dato da Virgilio che lo aveva chiamato sacer ales, ali sacre, ma i romani l’avevano appreso dai greci per i quali era sacer aviis, uccello sacro; l’abate Eugéne Fourrier )1835-1917) lo aveva chiamato “britannico”. Il Girfalco per gli italiani, Ger-falcon o Gerfaut per i francesi: da gerens falces, a causa della forma delle zampe e degli artigli (secondo lo storico Juan Lopez Velasco), ma girare, allude al modo di girare nell’aria, planando, prima di lanciarsi sulla preda; vi è poca differenza tra il Sacro e il Girfalco. Il Niéble-Nebula-Nuvola è così chiamato per l’altezza delle nuvole che raggiunge volando. Il Bahari, il nome è di origine araba e deriva da ultra marino, in quanto proveniva da territorio d’oltremare. L’Alfanico, termine ebraico che vuol dire docile, con la facilità con cui questa specie di falco si alza in volo, utilizzato per le lepri e le pernici. Il Taragoto prendeva il nome dal fiume Tayaros (?) in Africa, dove si trovavano una gran quantità di falchi che si distinguevano particolarmente per la loro aggressività con cui si lanciavano sulla preda. L’Azor, il cui nome può derivare dalla scoperta delle isole Azzorre, i portoghesi le scoprirono durante il regno di Alfonso V, derivante da Azores, dal numero degli sparvieri che furono visti in gran gran quantità.  Il Borni,  aveva preso il nome di una località (?) sulla costa della Guinea africana.

La filastrocca spagnola su questi nomi era: Ali del Niébla, Cuore del Bahari, Testa del Borni, Zampe del Sacro, Corpo del Girfalco, Occhio dell’Alfanico, Becco del Taragot (il cui significato corrisponde a: volo del Niébla, coraggio del Bahari, testa del Borni, zampe del Sacro, corpo del Girfalco, occhi dell’Alfanico,  becco del Taragoto).

 

 

L’ASSEDIO DI AGUILAR

E LA MORTE DI

FERDINANDO CORONEL

 

 

Q

uando Alfonso Ferdinando Coronel, aveva saputo delle morti di Burgos e di Eleonora Guzman, pensando che avrebbe seguito la loro stessa sorte, si era ritirato nella sua città di Aguilar in Andalusia e si era messo a fortificarla, unitamente alle altre sue piazze e castelli.

Questa città gli era stata assegnata dal defunto re Alfonso XI e sebbene, con l’intercessione di Albuquerque, Pedro lo avesse gratificato del titolo di rico-hombre, (titolo di primo rango presso il re e dava diritto al don spettante solo ai membri della casa reale), durante la sua malattia, Coronel aveva parteggiato per Nuñez de Lara.

Era uno del maggiori signori della regione, per nascita, ricchezze e autorità, ed era ostile al nuovo re, come tanti altri maggiorenti; si trovava ad Aguilar con il genero Juan de la Cerda, padre della moglie Maria; Coronel si considerava padrone della città, ritenendo di averla avuta dal defunto re Alfonso in sovranità quasi assoluta, fino al punto che con questo privilegio egli riteneva di non essere tenuto a ricevere il re; ma qualcuno dei suoi amici gli fece notare la temerarietà di un simile atteggiamento e gli suggeriva di cedere al re tutte le sue piazze e i castelli e di chiedergli di poter andare con il genero in esilio e il suo orgoglio non gli permise di accettare questo suggerimento.

Quando Pedro decise di sistemare la faccenda e durante l’estate (1352) aveva mandato Gutierrez Fernandez de Toledo e Sancho de Roxas per chiedere la consegna della città, Coronel non diede alcuna risposta; per di più il pennone reale portato dal corpo di guardia che aveva accompagnato i messaggeri, dalle mura della città era stato fatto segno a lancio di pietre, per cui la truppa tornò dal re senza una risposta e per giunta con il pennone reale danneggiato dalle sassate.

Pedro aveva quindi posto la città sotto assedio e questo durava oramai da quattro mesi e si era all’inizio del nuovo anno (1353), quando il re dispose l’assalto finale; fu scavato profondamente sotto un punto delle mura e riempita la buca con  fascine vi fu dato fuoco e il muro crollò; le truppe potettero entrare in città e molti degli abitanti  uscirono per consegnarsi al re.

Gutierrrez Ferrandez dopo essere entrato in città, incontrava Coronel che a cavallo cercava di rianimare i suoi, facendo mettere delle barriere per impedire l’accesso al re; a lui si rivolse Gutierrez, chiedendogli: - “Compare, amico mio, come pensi di risolvere questa faccenda che hai sollevato?” Coronel rispose: - “Credi che vi sia qualche rimedio?” - “In verità”, rispose Gutierrez “non credo, al punto in cui siamo”; e Coronel:- “Per me un rimedio lo vedo”; Quale? disse Gutierrez; “Quello di morire coraggiosamente da cavaliere”, e armato di corazza si recò in chiesa dove lo raggiunse uno dei suoi scudieri che gli diceva: - Che fate don Alfonso Fernadez?  Stanno entrando dalla breccia del muro che è caduto e già don Pedro Estebanez Carpentero è entrato con tanti soldati”, e Coronel di rimando: - “Che vuoi che sia, io comincerò ad andare a incontrare Domenedio”.

Rimasto fino all’elevazione, Coronel uscì dalla chiesa dove fu preso da Dia Gomez de Toledo, capo degli scudieri del re, al quale Coronel chiese se potesse accompagnarlo dal re; Dia Gomez disse di poterlo fare, mentre Coronel, rivolgendosi ai suoi uomini, raccomandava che preservassero i suoi figli e impedissero che fosse fatto loro del male.

Egli intanto fu disarmato e lo stavano conducendo dal re quando incontrano Albuquerque che rivolgendosi a lui gli dice “che senza alcun motivo, aveva sollevato grossi problemi nel reame” e Coronel di rimando:- “Siamo in Castiglia e sapete il detto: Castiglia fa gli uomini e Castiglia li perde, e il mio destino è quello di non potermi sottrarre a questa sventura; una grazia chiedo, di farmi dare oggi stesso la morte che avevo fatto dare lo stesso giorno, alla stessa ora, a Gonçalo Martinez d’Oviedo, Maestro di Alcantara”.

Coronel in effetti, era stato incaricato dal re Alfonso XI, unitamente alla sua amante Eleonora Guzman, di eliminare questo signore e Coronel, che aveva eseguito l’assassinio, aveva confessato di essere stato in questa occasione complice del re e della sua amante.

Durante questo colloquio tra Coronel e Albuquerque, arrivava il re seguito dalla truppa, che non gli rivolgeva parola e Coronel, dal suo canto, si asteneva dal salutarlo; intanto Coronel  preso dai soldati è consegnato al boia che gli taglia la testa; a tredici anni di distanza, colui che aveva assassinato Gonçalo Martinez, moriva in circostanze pressoché analoghe.

Con Coronel furono decapitati alla presenza del re altri cavalieri come Juan Alfonso Carrillo, fratello di Pedro Carrillo comandante di Gijon, per conto del fratellastro Enrico; il giovane alcayde di Burgillos, Juan Fernandez de Cañedo al quale il re, dieci anni prima, aveva fatto tagliare le mani, il quale aveva voluto morire con il suo signore; con costoro, morirono Pedro Coronel, nipote di Alfonso Ferrandez, Juan Gonzalez de Deza, Ponce Diaz de Quesada e Rodrigo Iñiguez de Biedna; dopo queste esecuzioni le mura della città furono abbattute e il re, dopo aver perdonato gli abitanti, fece dichiarare la città in proprietà della figlia Beatrice nata alcuni giorni prima.

Pedro si stava dirigendo verso la Castiglia, quando apprendeva che il fratellastro Enrico faceva approvigionare le sue fortezze nelle Asturie e in particolare continuava a fortificare Gijon. Egli passando dalle terre appartenenti a Coronel, di Montalvan, Burguillos,  Capilla e Torija se ne impossessava, dirigendosi poi a Gijon che poneva sotto assedio (primavera del 1352), mentre Enrico, venuto a conoscenza dell’arrivo di Pedro, andava  a rifugiarsi con la moglie Juana Manuel che era con lui, tra le montagne scosccse di Monteyo.

Juana Manuel era dama di compagnia della madre di Enrico, Eleonora Guzman, ed era figlia di Juan Manuel e sorella di Ferdinando Manuel, marchese di Villena, uno dei più ricchi signori della corte nelle cui vene scorreva  il sangue reale di Castiglia,  per essere discendente, in via diretta e maschile, da Ferdinando III e fratello di Alfonso Il Saggio; poiché Enrico, aveva libero accesso per visitare la madre a Siviglia,  costei fece pressione sul figlio perché la sposasse e il matrimonio fu fatto segretamente (1350) in modo che il re e l’Albuquerque, non ne venissero a conoscenza in quanto avevano vietato a Enrico di andare a trovare la madre, che, come abbiamo visto, era stata avvelenata.

Dopo qualche giorno di assedio di Gijon, Pedro Carrillo che comandava la città si arrese ottenendo il perdono di Pedro a condizione che Gijon con le altre fortezze non dessero ulteriori motivi di guerra; Pedro ripartiva per le Asturie, mentre Enrico, avvertito, tornava in città per firmare il trattato di pace col fratello.

 

 

PEDRO  INNAMORATO

DI MARIA PADILLA

SPOSA

 BIANCA DI BORBONE

 

 

Q

uando Pedro aveva messo sotto assedio la fortezza di Gijon (1352), trovandosi a Sagunto (Sant-Fagund) presso la casa di Isabella Menenses, moglie di Alfonso d’Albuquerque, aveva incontrato tra aprile e maggio, la giovanissima Maria Padilla, figlia di Giovanni Garzia de Padilla, signore di Villagera e di Maria Gonzalez; colpito dalla sua bellezza (ma era piccola di statura – pequeña de cuerpo  e muy formosa – vale a dire grassoccia, secondo i nostri canoni!) “se ne invaghì, preso da ardente passione”. 

Albuquerque, informato di questa passione, per assicurarsi i favori e le buone grazie di Pedro si era rivolto a Juan Fernando d’Hinestrosa, fratello della madre di Maria, chiedendogli di condurla a Sagunto in modo che Pedro potesse frequentarla; Hinestrosa, anch’egli per meritarsi la protezione del re, prestò la sua collaborazione e così i due potettero incontrarsi e frequentarsi.

I Padilla costituivano una potente tribù di cui facevano parte grandi come Pero Ponce e Ferdinando Perez Ponce de Leon, Juan Alfonso e Alvaro Perez de Guzman proprietari pressappoco dei tre quarti dell’Andalusia, con i loro alleati tra i quali Henrique Henriquez, con il figlio Ferdinando Henriquez, appartenenti alla casa reale;  Henrique Henriquez era figlio di Enrico di Castiglia, senatore di Roma e suo figlio Ferdinando era sposato con una sorella di Eleonora Guzman.

Albuquerque aveva condotto l’intrigo, nonostante le trattative in corso con la Francia, per avere in seguito la riconoscenza di Maria Padilla; in proposito abbiamo una riflessione dello storico Hermilly, secondo il quale “Albuquerque che voleva assicurarsi le buone grazie e la stima del re, con la sua infame compiacenza lo assecondava nella sua passione per Maria Padilla”; Romey è più esplicito quando dice che “Albuquerque e Hinestrosa avevano messo, per così dire, Maria Padilla nel letto di Pedro”.

Pedro era già stato fidanzato dal padre a Jeanne, figlia del re d’Inghilterra Edoardo III, che era stata mandata in Spagna ma in una tappa a Bordeaux era morta di peste e poiché Edoardo non aveva altre figlie, le Cortes avevano deciso che occorreva trovare un’altra sposa per il re, per cui Albuquerque  [che evidentemente si barcamenava in un pericoloso doppio gioco!], d’accordo con la regina madre mandarono una ambasceria in Francia, presso il duca  Pietro I di Borbone, per chiedere la mano di una delle sue figlie (ne aveva sei!) per il re di Castiglia. Dell’ambasceria facevano parte il cardinale Gilles Alvarez d’Albornoz, arcivescovo di Toledo e Juan Royas, vescovo di Burgos ai quali il duca di buon grado, affidò una delle figlie, Bianca, “una ragazza di sedici anni, compita, di grande bellezza, alla quale aggiungeva una affascinante dolcezza”.   

L’arrivo di Bianca a Valladolid (1353), che doveva esser causa di gioia, suscitò  invece la ripugnanza di Pedro il quale dovette subire le pressioni della regina madre e le ragioni del falso Albuquerque, che si appellava alle cause dell’onore, della politica e della coscienza per convincerlo al matrimonio.

Nel frattempo Maria Padilla partoriva una bambina alla quale era dato il nome di Beatrice (1353) e Pedro felice per questa nascita, l’aveva festeggiata con un magnifico carosello nella cittadina di Torrijos, nelle vicinanze di Toledo, durante il quale aveva riportato una pericolosa ferita con una forte perdita di sangue che il chirurgo era riuscito a stento a fermare.

La maternità di Maria aveva reso più violenta la passione di Pedro e la circostanza indesiderata dell’arrivo di Bianca aveva fatto decadere i rapporti tra il re e l’Albuquerque, trattato con maggior distacco: non fu che l’inizio della sua disgrazia.  

Il matrimonio ebbe luogo nella chiesa di santa Maria Novella di Valladolid, dove convennero tutti i signori e i cavalieri del regno nei loro ricchi costumi, accompagnati dai loro vassalli per onorare la nuova regina, circondata dal suo seguito che l’aveva accompagnata dalla Francia; la regina riccamente vestita montava un cavallo bianco condotto dai due fratelli Enrico e Tello, seguita dal visconte Aymerico VIII giunto da Narbona; Pedro sfoggiava un abito di stoffa d’oro bordata di ermellino e montava un cavallo bianco condotto da Albuquerque; seguivano le due regine, la regina madre Maria del Portogallo e la regina Eleonora d’Aragona e i due infanti di Aragona, Fernando e Juan, il Gran Maestro dell’Ordine di Calatrava, Juan Nuñez  de Prado e tutti gli altri Grandi.

 

 

PEDRO ABBANDONA LA SPOSA

MENTRE UNA DAMA

PUNISCE LE  SUE PULSIONI

 EROTICHE

CON UN TIZZONE ARDENTE

 

 

N

on si sa se durante il matrimonio Pedro lo abbia consumato, sta di fatto che il giorno successivo alle nozze partì lasciando Bianca sola e disperata; il commento di Mariana, che, come si è detto, parteggia per Bianca e condanna il comportamento di Pedro, é che “Maria non aveva qualità migliori della giovane regina, né in bellezza, né nella persona, né tantomeno per la nascita, in quanto la sua famiglia, sebbene cospicua era infinitamente al disotto del sangue reale di Francia da cui proveniva Bianca”.

Avendo capito le sue intenzioni, la regina d’Aragona e la regina madre lo pregarono con le lacrime, gettandosi ai suoi piedi e scongiurandolo di non lasciare in quel modo scandaloso gli ospiti giunti da tutte le parti del regno senza salutarli e la principessa, così amabile e virtuosa, facendogli notare che un simile comportamento avrebbe portato a una guerra crudele con i francesi che non avrebbero accettato un affronto del genere e avrebbe dato anche ai suoi avversari un motivo di rivolta.

Pedro le rassicurò che non sarebbe partito, ma, dopo aver fatto preparare i cavalli, partiva insalutato ospite, per il castello di Montalvan (nei pressi di Toledo) dove si trovava Maria; i due fratellastri Enrico e Tello e gli infanti di Aragona lo seguirono da presso: “le Corti dei principi - commenta Mariana -  sono piene di questi cortigiani che pensano di accomodarsi ai tempi e per una criminale compiacenza, sostengono i sovrani nelle loro dissolutezze”.    

Per la sua brusca partenza, Albuquerque e il Gran Maestro Nuñez de Prado, condannando il comportamento di Pedro, si recarono dalle tre regine che trovarono afflitte e tutti i signori e cavalieri furono presi dal presentimento che la slealtà del re avrebbe scatenato la sventura sulla Castiglia; essi tennero consiglio e dichiararono senza esitazione che il re aveva male agito, lasciando a quel modo la giovane regina; decisero quindi di andare a chiedere al re di tornare e Albuquerque partì seguito da milleciqnquecento dei migliori cavalieri di Castiglia, Leon e Galizia, dirigendosi a Toledo dove si trovava il re.

Albuquerque aveva fatto tappa presso il borgo di Almorox dove fu raggiunto da Samuel Levi tesoriere e consigliere del re che lo invitava a recarsi da lui; ma qualcuno gli aveva suggerito che Samuel Levi non gli aveva riferito dei disegni del re che aveva dato ordine di chiudere tutte le porte di Toledo, meno una, sicché Albuquerque temendo per la sua vita, decise di mandare il suo primo maggiordomo Ruy Diaz Cabeza de Vaca il quale, recatosi dal re, gli disse che “il mio signore vi bacia la mano e vi fa sapere che si stava recando da voi quando aveva saputo che qualcuno dei vostri intimi lo aveva diffamato presso di voi ed egli temendo di essere ucciso ha evitato di venire personalmente. Egli ritiene di essere stato sempre fedele dai tempi di re Alfonso vostro padre e voi non avete motivo di essere scontento del mio signore e se qualche cavaliere avesse da dire qualcosa contro don Juan Alfonso, sono io come suo vassallo e suo maggiordomo a esporre il mio corpo al servizio del mio signore”.

Con poche parole il re disse al messaggero di riferire a Juan Alfonso di recarsi pure da lui, rassicurandolo con lettere che scrisse di propria mano; il maggiordomo riferì del colloquio avuto col re, consegnandogli le lettere ricevute, ma Albuquerque valutata la situazione ritenne opportuno non fidarsi e non recarsi dal re.  

In questo periodo di tempo (1352), in contrasto con il turbinio di questi avvenimenti, si verificava lo strano episodio della moglie di un personaggio della nobiltà, che per conservare la propria moralità compiva un gesto insolito e piccante e nello stesso tempo particolarmente atroce, di cui ci è stata debitamente conservata memoria.

La figlia di Ferrando Coronel, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente, Maria Coronel, moglie di Juan de la Cerda, il quale aveva dovuto lasciarla per seguire il suocero, donna passionale e particolarmente sensibile alle pulsioni del sesso, era una donna onorata e fedele; essendo rimasta sola e in astinenza per l’assenza del marito,  “un giorno che aveva sentito più furiosi i desideri carnali, non potendo sostenerne la violenza, prese un tizzone ardente e lo applicò dove il fuoco della passione si faceva sentire più forte, volendo con questo fuoco esteriore, spegnere la fiamma interiore che la divorava, preferendo esporsi a una morte crudele piuttosto che al pericolo di perdere la sua coscienza e il suo onore. Coraggio eroico (prosegue lo storico) in una donna che meritava di vivere in un secolo più fortunato e degno dei più grandi elogi, meno per l’azione alla quale era  ricorsa, che non può essere approvata in sé stessa che per l’amore e il desiderio ardente che lei aveva di conservare la castità” [all’epoca, evidentemente, non si faceva ricorso  all’autoerotismo!]. 

 

 

TRAMA DI  ALBUQUERQUE

CHE SI UNISCE AI CONGIURATI

CONTRO PEDRO

 

 

F

adrique, Gran Maestro dell’Ordine di san Giacomo (*), dopo l’assassinio della madre Eleonora Guzman, con gli altri signori scontenti, si era preparato a vendicarla ma poi aveva cambiato idea e si era  recato a baciare la mano del re che si trovava a Cuellar, mentre il fratello Tello, con l’interessamento dei parenti di Maria Padilla, aveva sposato Giovanna de Lara che gli aveva portato in dote il principato di Biscaglia; questi parenti avevano convinto il re di consentire al matrimonio per attrarre dalla loro parte ambedue i suoi fratellastri e metterli contro Albuquerque che consideravano il loro mortale nemico.

Il re, già indispettito dal comportamento di Albuquerque, su pressione di costoro, apportò cambiamenti nelle cariche di Corte, alle quali, in precedenza  provvedeva Albuquerque, nominando Gran Ciambellano, Diego Garcia de Padilla, fratello di Maria, Alvaro d’Albornoz suo Coppiere, Pedro Gonzales de Mendoça, Maestro di Palazzo e il figlio Diego de Mendoça, nominato Ammiraglio di Castiglia.

In quell’anno (1353) le piogge furono così abbondanti che le campagne erano state tutte sommerse, particolarmente a Siviglia, dove dovettero chiudere le porte della città e rincalzarle, per evitare che la città fosse sommersa.

Juan Nuñez de Prado, Gran Maestro di Calatrava, era in stretti rapporti con Albuquerque e come abbiamo visto, aveva partecipato alla richiesta fatta a Pedro di prendere con sé la regina Bianca; temendo una sua vendetta, era andato a rifugiarsi nell’Aragona e vi era rimassto fino all’inizio dell’anno successivo (1354), quando a seguito delle lettere conciliative scrittegli da Pedro, si recava ad Almagro, la principale città dell’Ordine; ma, appena giunto, fu arrestato per ordine del re da Juan de la Cerda (ricompensato con un’alta carica a Corte).

Arrestato Nuñez, il re fece nominare Gran Maestro di Calatrava Diego de Padilla, senza dare ai Cavalieri il tempo di deliberarne la nomina, mentre Nuñez dopo essere stato portato nella fortezza di Maqueda, improvvisamente moriva;  Pedro per questa morte se ne mostrò addolorato, ma tutto il regno era convinto che l’ordine o quantomeno il consenso, fosse stato dato da lui.

Dopo questa morte il re decise di ridurre alla ragione con le armi Albuquerque che, stizzito nei suoi confronti, se n’era andato in Portogallo; Pedro, aveva deciso di spogliare Albuquerque di tutti i suoi beni e fece mettere sotto assedio dalle sue truppe la città di Medellin (nella provincia di Badajoz), nella vecchia Lusitania, invitando il governatore della città a consegnargliela; il governatore chiese del tempo per poterla riferire all’Albuquerque, al quale disse di non volersi mettere contro il re e che si sarebbe arreso; avuto il consenso, il Governatore riferì al re che Albuquerque gli consegnava spontaneamente tutte le sue città e castelli.

Pedro però si recò ugualmente ad assediare la città di Albuquerque (in territorio portoghese), dove vi era una guarnigione comandata da Martin Alfonso Borello; poiché l’impresa non appariva facile,il re si recò a mettere sotto assedio il castello di Codesséra che si trovava sul confine portoghese; ma qui trovò una tal resistenza che rinunciò all’impresa lasciando il comando del controllo della frontiera a Enrico e Fadrique che si trovavano a Badajoz (1354), con l’ordine di saccheggiare il territorio; questo insensato ordine fu la causa della sommossa di tutta la Spagna.

Pedro, volendo avere nelle sue mani Albuquerque, inviò un’ambasciata al re Alfonso del Portogallo, che si trovava a Evora per festeggiare il matrimonio della figlia Maria con l’Infante Ferdinando d’Aragona, marchese di Tortosa, al quale gli ambasciatori chiesero che fosse loro consegnato Juan Alfonso d’Albuquerque, che doveva rendere conto al loro re delle finanze del regno in quanto si riteneva fossero state commesse delle malversazioni.

Albuquerque che si trovava presso la Corte, rispose  di aver amministrato i beni della corona con il massimo zelo e aver servito il sovrano  con la massima fedeltà e avrebbe difeso la sua persona in campo, contro chiunque avesse osato accusarlo di malversazione; aggiungendo di essere disposto a render conto del suo operato, nella Corte portoghese e alla presenza del re Alfonso; il re, dal suo canto,  rinviava gli ambasciatori, senza accogliere le loro richiesta di consegnare il ministro.

I due fratelli Enrico e Fadrique, che si trovavano a Badajoz a guardia delle frontiere,  covavano il malcontento e guardavano con rammarico il regno in preda all’amante del re e all’ambizione dei suoi parenti e favoriti, presero la decisione di collegarsi con Albuquerque, per avere un incontro segreto, con la partecipazione di alcuni Grandi.

Essi, pur avendo sostenuto Pedro contro Albuquerque, con animo cospiratore, andarono a incontrarlo segretamente a Elvas (nelle vicinanze di Badajos) e, riconciliati,  concordarono di raccogliere i partigiani e coinvolgere il principe Pedro del Portogallo promettendogli la corona del regno (1354), avendo egli il sangue di Castiglia; ma il padre non si mostrò d’accordo ed essi si rivolsero a Fernando de Castro, contrario a Pedro, come è stato detto, per aver abusato della sorella.     

 

 

*) Questa carica di Gran Maestro dell’Ordine di san Giacomo Pedro la assegnerà al fratello di Maria Juan de Padilla, signore di Villagera, che era sposato; come è noto presso gli Ordini religiosi militari di norma vigeva la regola  del celibato che, almeno i Gran Maestri rispettavano; da questo momento, scrive Mariana, contro le antiche costituzioni, la norma non  fu più seguita.

 

 

DISORDINI NEL REGNO

 MORTE DI ALBUQUERQUE

E RICHIESTE

DEI GRANDI AL RE

 

 

P

edro riprendeva tutte le città e castelli che Albuquerque aveva fatto fortificare da quando aveva lasciato la Corte, e rivolgeva le armi contro il suo fratellastro Fadrique, decidendo di porre l’assedio a Segura, dove questo si era rintanato; e intanto mandava Juan Fernandez Hinestrosa ad Arévalo, nella vecchia Castiglia a prelevare la regina Bianca, per portarla all’Alcazar di Toledo, sotto pretesto che fosse la causa dei disordini del regno e che i signori, per causa sua, si erano uniti contro di lui.

Gli scontenti si moltiplicavano e Juan de la Cerda che si era distinto per valore e per i servizi resi al re, andò a unirsi ad essi, ma il più animato di tutti era Fernando de Castro che non aveva dimenticato l’offesa mortale fatta dal re alla propria famiglia, mentre la violenza del re non faceva che acuire, tanto, che la città di Toledo era entrata nel partito degli scontenti, parteggiando in favore della regina Bianca che temeva di essere assassinata, se non da Pedro, dai familiari di Maria Padilla.

Bianca, durante il suo trasferimento, mentre passava dalla chiesa di Santa Maria di Toledo, chiedeva di fermarsi per andare a pregare, e una vola entrata non voleva più uscire; ma alla fine i suoi amici la convinsero che era meglio evitare una truce reazione di Pedro, e fu accompagnata all’Alcazar.

La situazione si presentava difficile per Pedro per il numero dei ribelli divenuto rilevante, per cui egli decise di recarsi a Tordesillas, nella vecchia Castiglia, dove si trovava sua madre.

Partito il re da Toledo, gli abitanti avevano chiamato Fadrique per affidargli il governatorato e la difesa della città ed egli giunse accompagnato da settecento cavalieri; altri signori andarono a postarsi nei pressi di Tordesillas, tenendo così bloccato il re al fine di fargli accettare le loro richieste, prima fra tutte quella di disfarsi di Maria Padilla e di tutti i suoi parenti e amici presso la Corte.

Pedro però non aveva accettato nessuna delle loro richieste ed essi presero la via di Valladolid (1354) per impossessarsene;  ma la città non volle aprir loro le porte, per cui ripiegarono su Medina del Campo  che occuparono senza neanche un colpo di spada e qui li raggiungeva Fadrique, nell’intento di prestar loro aiuto.

Albuquerque, ritirandosi dalla Corte, era entrato a far parte del partito dei signori scontenti, dai quali si era lasciato convincere che Pedro da quando lo aveva trovato contrario ai propri voleri nei suoi rapporti con Maria Padilla, lo detestava; Albuquerque però non si era reso conto che passando dalla parte di quelli che erano i suoi vecchi nemici, firmava la sua condanna ... e costoro ebbero la possibilità di assassinarlo.

Non se ne conoscono le modalità: ma Albuquerque si trovava a Medina del Campo quando i moriva dopo aver bevuto uno sciroppo che il suo medico romano, di nome Paolo, con cui era in intimità, gli aveva dato da bere; come scrive Mariana, egli “ebbe maggior gloria dopo la caduta”  e, gli furono tributati tutti gli onori che egli stesso aveva indicato nel suo testamento.

Questi signori, ritenendo che il re con la morte di Albuquerque fosse divenuto più trattabile, chiesero di incontrarlo e l’incontro avvenne in un villaggio nelle vicinanze di Tordesillas; per evitare sorprese, ognuno giunse con una scorta di cinquanta cavalieri.

Furono accolti dal re in amicizia e ammessi a baciargli la mano, secondo l’uso castigliano e dopo i convenevoli presentarono le loro richieste.

Per conto del re, sulle richieste avanzate. prese la parola Gutierrez de Toledo dicendo loro che rappresentavano i più grandi signori del regno, illustri per la loro nascita, ma avevano abbandonato il loro re dimenticando la fedeltà che gli avevano giurato; che il re era disposto a perdonarli se avessero licenziato le loro truppe, ritirandosi nei loro castelli oppure recandosi a Corte.

Circa la richiesta che avevano fatto riguardo alla regina Bianca [che chiedevano dovesse andare a Corte], gli fu detto che era presto per fare ciò che chiedevano e comunque il re era persuaso che questo potesse essere solo un pretesto per intorbidare il regno.

I signori, avevano dato l’incarico della risposta a Ferrand d’Ayala  che (in sintesi), disse al re:  “Chiediamo umilmente a vostra altezza perdono  per ciò che abbiamo fatto, essendovi stati obbligati per la nostra salvezza in quanto i nostri nemici hanno congiurato di perderci e abbiamo le prove di questa loro cattiva volontà; siamo nelle vostre mani, signore, e non avete mai avuto persone più fedeli, disposte a fare tutto ciò che è  necessario nell’interesse della Corona.

Quanto alle azioni dei monarchi, essi sono elevati al disopra di tutti gli uomini e tutto  ciò che fanno è portato a conoscenza di tutti e niente sfugge al popolo delle loro azioni; è con estremo dolore che la virtuosa regina Bianca, legittima sposa che abbiamo riconosciuto come regina per le sue alte qualità, riteniamo che Maria Padilla cerca di perderla; è con rammarico che la vediamo circondata da adulatori che non cercano che ingannare il buon cuore di vostra altezza; abbiamo troppo zelo nei vostri confronti per non esserne toccati; niente basterebbe per addolcire la nostra pena se non veniamo assicurati che venga apprestato un rimedio pronto ed efficace per eliminare tanto male; il tempo vi convincerà che la giustezza delle nostre richieste, la saggezza delle nostre rimostranze, quando con l’età sarete liberato dalle passioni dalle quali siete stato troppo facilmente preso. [...] Troppo spesso si sono visti dei principi famosi per le loro alte qualità che hanno appannato il loro nome a causa di disordini familiari; non si è mai vista una principessa di nascita così illustre [...] affabile, amabile di spirito e di carattere che ha guadagnato i nostri cuori [...] delizia di questo regno  per la sua bellezza unita a rare virtù, per la sua modestia, tutto parla in suo favore; voi, signore, vi siete dato a una passione sregolata, capace di farvi cadere in un precipizio che vi disonora e vi fa oggetto del nostro dolore”.

Il re fece sapere che l’importanza della richiesta comportava del tempo per una decisione e i signori si ritirarono; Pedro però aveva ritenuto offensive le richieste dei signori e ogni giorno che passava trascurava di prendere una decisione e non fu difficile capire che i signori non avrebbero ottenuto ciò che chiedevano e che il re temporeggiava ... per lasciare le cose come stavano; ... ma nel frattempo ... egli correva dov’era Maria!

 

GLI AMORI DI PEDRO:

IL MATRIMONIO

 CON GIOVANNA  DE CASTRO

 

 

D

iego Lopez de Haro, signore di Biscaglia, pronipote di Sancho  IV di Castiglia,  moriva (1354) lasciando la moglie Giovanna de Castro, figlia di Pedro Fernando de Castro e di Isabella Ponce de Leon, considerata una delle più belle dame di Spagna e soprannominata la Formosa (voluttuosa); la notizia fu riferita a Pedro il quale incuriosito, volle conoscerla ... e appena vista “fu preso da ardente voglia di possederla”.

Disperando di poterla sedurre, per l’alta posizione occupata dalla vedova e perché Giovanna sapeva, come tutti in Castiglia, della sua amante Maria Padilla e del matrimonio con Beatrice, Pedro le raccontò di essere libero di disporre della corona e del proprio letto in quanto il suo matrimonio con Bianca era nullo e non lo aveva neanche consumato.

Due vescovi codardi, uno di Avila e l’altro  di Salamanca, lo appoggiarono in questa sua tresca, dichiarando che il matrimonio del re con Bianca era nullo; così Pedro a Salamanca sposò Giovanna, ma nel pomeriggio dello stesso giorno, all’ora del vespro, arrivava un cavaliere, Diego Gutierrez de Zaballos, suo vassallo, per annunciargli che i suoi fratelli e Albuquerque avevano fatto prigioniero Juan Garcia Padilla de Villagena, fratello di Maria Padilla e che  avevano riunito le loro forze a Badajoz  e si preparavano a entrare in Castiglia.

La mattina seguente Pedro partì per Castro-Xeriz lasciando Giovanna, senza rivederla mai più; giunto in questa città Pedro mandò a prendere Maria con la quale si rappacifìcò per l’avventura appena avuta, e lei, in piena gravidanza, gli partoriva una seconda figlia alla quale era dato il nome di Costanza.

Giovanna, così abbandonata, si ritirò a Dueñas per affogare il dispiacere, consolandosi del vano titolo di regina che le fu riconosciuto e del figlio che le nacque al quale fu dato il nome di Juan, che in seguito, sposando Elvira di Eril, figlia del capitano catalano Bertrando di Eril, dava origine alla casata dei Castillas.

I signori scontenti e confederati contro Pedro, aumentarono di numero in quanto ad essi si aggiunse il fratello di Giovanna, Fernando de Castro con tutto il suo seguito, desideroso di vendicare l’oltraggio subito dalla sorella.  

Gli abitanti di Toledo erano così indignati per la condotta insensata di Pedro e per come trattava la regina Bianca, amata dal popolo, che con altre città come Cordova, Jaen, Cuença e Talavera e altre ancora, si confederarono contro di lui.

A questa confederazione si aggiunsero i due Infanti aragonesi, sempre pronti alla cospirazione, come lo era la loro madre Eleonora, appoggiati dalla stessa regina madre; si vide così scoppiare una sanguinosa guerra civile che si protrasse per lungo tempo, che avrebbe preparato la strada al trono ad Enrico di Trastámara.

 

ALDONZA-ALFONSINA

CORONEL

E MARIA GONZALEZ

 

S

i recava in visita (1358) da Pedro, Aldonza (Alfonsina) Coronel, moglie di Alvaro Perez de Guzman (la sorella Maria era moglie di Juan de la Cerda figlio di Luis de Espagna, re delle Isole Fortunate), per chiedergli perdono per il marito esule in Aragona.

Pedro però, al solo vederla, aveva desiderato concupirla! Lei all’inizio non aveva accettato le avances del re,  ma poi di sua volontà usciva dal convento di santa Clara (dove si trovava con la sorella Maria), ospitata da Pedro nella Torre dell'Oro, dove Pedro la faceva sorvegliare da alcuni cavalieri, in quanto Aldonza temeva le ire di Maria Padilla, che in quel periodo si trovava all'Alcazar, e dei suoi parenti.

La tresca non durava molto in quanto Pedro pur trattenendosi con Aldonza, mandava lettere a Maria e alla fine, come sua abitudine, la lasciò per recarsi da Maria, mentre Aldonza se ne tornava in convento.

Pedro a questo modo non faceva altro che provocare i primi tra i Grandi di Spagna, quelli della categoria più alta, ciò che aveva suscitato il risentimento dello storico Mariana, che in proposito aveva scritto che “un uomo schiavo delle  sue passioni è una specie di mostro crudele e intrattabile; don Pedro era talmente preso dalle sue passioni e dal vizio, che nulla poteva distrarlo e gli ostacoli  lo rendevano ancora più accanito”.

Anche con Maria Gonzalez de Hinestrosa, cugina di Maria Padilla e moglie di Garcilasso Carrillo, Pedro si concesse le stesse libertà e la prese (la tomò) per una breve relazione (1359) dalla quale sarebbe nato un figlio di nome Juan, ma lo storico Romey fa notare che nel ricco archivio dei duchi di Medina-Sidonia vi era un documento (del 1361!) da cui risultava che suo marito, Garcilasso Carrillo, aveva già un figlio di qualche anno di nome Juan; questo in seguito fu cameriere del re e alcade di Toledo; e con quest’altra avventura i nemici del re erano aumentati in quanto anche  Garcilasso, offeso per il comportamento di Pedro, presso il quale prestava servizio, se ne andò in Aragona ad ingrossare la fila degli scontenti al servizio di Enrico.

 

 

I FIGLI DI PEDRO

AVUTI 

DA MARIA PADIGLIA

E SUA MORTE

 

 

D

a Maria Padilla, Pedro aveva avuto una prima figlia di nome Beatrice (nata nel 1353) messa a disposizione del primogenito di Pedro del Portogallo, ma non essendo il matrimonio andato a buon fine, Beatrice si trovava a Bayonne quando doveva essere consegnata con le altre due sorelle, in ostaggio, come vedremo,  agli inglesi, dove moriva di peste.

La seconda, Costanza (nata nel 1354), sposava John di Gand, duca di Lancaster, figlio di re Edoardo III d’Inghilterra da cui ebbe la figlia Catalina, divenuta regina di Spagna (strane combinazioni!),  sposando Enrico II, fratellastro e assassino di Pedro; la terza, Isabella (nata nel 1355),  sposava il fratello del duca di Lancaster, Eduard  Aymone duca di York, conte di Cambridge; infine, Alfonso (nato nel 1359) che Pedro considerava il suo successore ed erede legittimo, moriva al terzo anno dalla nascita (1363).

Maria Padilla era morta due anni prima (1361) e di questa morte non se ne conosce la causa, ma si può ritenere che essendo morta nel periodo della nascita del figlio maschio, potrebbe essere morta per setticemia, causa delle stragi di partorienti sia dell’epoca, sia dei secoli successivi, dovuta all’assenza di igiene durante il parto.

Il funerale che le fu riservato per pompa e magnificenza era degno di una regina legittima; il corpo fu sepolto nel monastero di Nostra Signora d’Estrudillo, che lei aveva fatto costruire e fondare con ricchezza di mezzi.

Pedro, nella successiva assemblea degli Stati generali di Calatayud (1362), dichiarava pubblicamente che Maria Padilla, morta da poco, era la sua vera moglie legittima, sposata segretamente molto tempo prima della venuta in Spagna della regina Bianca e che il matrimonio con questa principessa era da considerare nullo e invalido e che egli aveva mantenuto il segreto fino a quel momento, per non dar modo ai Grandi, che cercavano ogni pretesto per rivoltarsi con le armi contro di lui, e inoltre le doveva essere riconosciuto il titolo di regina ed essere sepolta con i reali di Castiglia.

 

 

LA TERZA MOGLIE

GIOVANNA DE CASTRO

E MORTE DI BIANCA

DI BORBONE

 

 

D

alla terza moglie, Giovanna de Castro, vedova di Diego Lopez de Haro, si riteneva  nato Juan (in ogni caso nominato da Pedro nel suo testamento), l’unico sopravvissuto (come abbiamo già detto), tenuto prigioniero  in un castello per quasi cinquant’anni, dai re Enrico II e Giovanni I e liberato da Giovanni II, il quale, secondo alcuni storici,  avrebbe sposato Elvira di Eril figlia del cavaliere catalano Beltrando di Eril, e sarebbe stato il capostipite della famiglia dei Castiglias (queste manipolazioni storiche servivano alle grandi famiglie per vantare le ascendenze reali!).

Secondo altri Juan si era ritirato in convento e fu priore del monastero  di san Domenico di Toledo.

Da Maria de Hinestrosa (cugina di Maria Padilla) Pedro aveva avuto un figlio Ferrando (1369), morto fanciullo.

Nel monastero reale dei religiosi di san Domenico a Toledo vi è la tomba di una dama della regina madre, di nome Teresa, dalla quale, dietro promessa di matrimonio Pedro aveva avuto una figlia di nome Maria, per lungo tempo priora del monastero e un’altra tomba di due giovani principi, Diego e Sancho, anch’essi figli naturali di Pedro avuti da una Isabella di cui non si conosce la famiglia (chissà se non fosse Isabella de Lara!).

Tornando alla sfortunata Bianca, sebbene vivesse relegata come prigioniera, Mariana riferisce dell’ “intrigo amoroso”  [che contrasterebbe con la vita relegata di cui si parla ... ma nei casi di rapporti amorosi, per gli amanti tutto è possibile!] da lei avuto con Fadrique, il quale se ne sarebbe invaghito appena l’aveva vista ... e sarebbe nato un bambino chiamato Enrico, affidato a una nutrice ebrea di nome Paloma o Colomba, di Siviglia, che sarà considerato il capostipite della casata degli Enriquez (Romey la ritiene una leggenda di romanzieri; comunque valga la considerazione sui capostipiti delle grandi famiglie, fatta innanzi!).

Bianca, dall’Alcazar di Toledo era stata trasferita a Xerez e poi a Medina Sidonia  (1361) dove era morta all’età di ventiquattro anni senza che se ne conoscesse la causa,

(salva la considerazione che l’ordine di assassinarla fosse stato dato da Pedro, per motivi politici, in quanto la sua presenza provocava ribellioni) e sarebbe stata avvelenata dallo stesso medico, Paolo, che aveva avvelenato Albuquerque.

Pedro lo aveva ricompensato  con grandi benefici, tra i quali un terreno del valore di cento maravédis nei pressi di Siviglia e nominato suo “contabile maggiore”, ricompensa che si potrebbe mettere in relazione con la morte di Bianca, più che di Albuquerque!

Per questa morte, Mariana, coglie l’occasione per scagliarsi contro Pedro con una invettiva, in cui lo chiama: “sposo barbaro o piuttosto bestia feroce, mostro inumano, il sangue innocente che vieni a versare grida vendetta, tu perirai; l’indignazione del cielo griderà contro di te. [...] Trasportato dal furore, ebbro di piacere in mezzo ai più orribili disordini, sordo alla voce del Cielo, tu precipiterai nell’abisso che i tuoi crimini ti avranno scavato, tu alla fine, con il prezzo del tuo sangue colpevole, pagherai quello che hai versato di tanti innocenti”.

 

 

 PEDRO PRIGIONIERO

NEL SUO PALAZZO

RIESCE A FUGGIRE

 

 

L

a regina madre rimasta turbata per i comportamenti del figlio, aveva finito per parteggiare per i signori scontenti invitati a recarsi da lei a Toro, dove si trovava, mettendo la città nelle loro mani; il re, già contrariato per il recente discorso che gli avevano fatto quei signori a Tordesillas, venutone a conoscenza e sentendosi in difficoltà, decise di recarsi dalla madre per chiederle il suo aiuto, con il suo seguito di  Hinestrosa, Samuel Levi,  e la sua Corte.

La regina lo ricevette con tenerezza e dimostrazioni di affetto; egli l’assicurò che si metteva nelle sue mani e che avrebbe fatto tutto ciò che lei avesse voluto; la regina ne approfittò per far mandare via dalla Corte alcuni dei suoi accompagnatori sospetti, altri li fece imprigionare, furono sostituiti tutti gli ufficiali di palazzo che parteggiavano per il re, estromettendo tutti i Padilla e per giunta facendo mettere agli arresti Hinestrosa e Samuel Levi.   

Il principe Fadrique fu nominato Gran Ciambellano, l’infante Ferdinando d’Aragona (cugino germano di Pedro) Gran Cancelliere del regno, a Juan de la Cerda furono assegnate la carica e le insegne della corona; a Fernando de Castro fu data la carica di Maggiordomo maggiore (costui coglieva l’occasione per sposare Juana, figlia di Eleonora Guzman).

Il re era ora prigioniero nel suo stesso palazzo, guardato a vista, ma trovò il modo di fuggire recandosi a Segovia in compagnia di Samuel Levi che aveva ottenuto la libertà su cauzione, come l’aveva avuta Hinestrosa, a condizione che rabbonisse il re; ma Hinestrosa avuta la libertà, non tenne fede alla sua promessa ... ma vi era ben poco da rabbonire!  

La fuga di Pedro era stata favorita dal fratellastro Tello, che quel giorno prestava servizio di sorveglianza, il quale lo seguì nella fuga, ma questa amicizia non doveva durare a lungo; Juan de la Cerda aveva raggiunto Pedro a Segovia per far pace con lui, ma  dopo averlo salutato se ne partì per la Francia dove fu fatto assassinare dal re Carlo di Navarra (anch’egli sopranominato “il Malvagio”!), in circostanze misteriose.

Con Pedro in libertà, Fadrique si recava a Talavera dove aveva lasciato le truppe e i suoi amici; Ferdinando de Castro se ne andava in Galizia con la novella sposa( il matrimonio sarà successivamente annullato in quanto i due erano parenti prossimi). Tello, abbandonando Pedro, andò a rifugiarsi in Biscaglia, Enrico invece rimase a Toro con la regina, con l’intenzione di difendere la città in caso di bisogno.

All’inizio dell’anno successivo (1355) il re convocò a Burgos gli Stati generali durante i quali si lamentava dell’indolenza dei Grandi e della violenza che gli era stata usata a Toro, chiedendo loro di concedergli una somma per riunire un’armata per poter punire i rivoltosi; gli Stati acconsentirono a concedergli la quota di danaro per poter apprestare delle truppe, chiedendogli di prendere con sé la regina Bianca; il re promise ma non mantenne a promessa!

Chiusa la sessione, Pedro partì per Medina del Campo  dove diede disposizioni per la eliminazione di Pedro Ruiz de Villegas, Governatore della Castiglia e di Sancho Ruiz de Rojas  di illustri origini, facendo arrestare altri, sospettati di essergli contrari.

I gemelli Enrico e Fadrique che avevano raccolto le loro truppe a Talavera, decisero di recarsi a Toledo per mettersi al riparo dalla collera di Pedro; entrati in città fecero un massacro degli ebrei che erano un migliaio, saccheggiando le loro case e negozi; Pedro, avvertito, si diresse verso la città e i due fratelli ritennero opportuno abbandonarla.

Giunto in città Pedro fece uccidere qualcuno dei signori che riteneva facessero parte degli scontenti suoi avversari e tra la popolazione fece uccidere ventidue borghesi e fece imprigionare anche il vescovo Pedro Gomez de Barroso che parteggiava per Bianca, nel castello di Seguenza.

Avendo ristabilito la pace a Toledo, Pedro passò ad altre città cominciando da Cuenza dove si trovava il fratellastro Sancho il quale andò a rifugiarsi in Aragona con l’aiuto di Garcia d’Albornoz; avendo trovato la città tranquilla, Pedro decise di andare a sfogare la sua collera a Toro mettendola sotto assedio.

Nella città si trovavano la regina madre ed erano tornati i due gemelli Enrico e Fadrique oltre a Pedro Estevanez Carpintero, Gran Maestro di Calatrava e gran parte dei signori malcontenti

Nel frattempo Maria Padilla a Tordesillas gli dava  una terza figlia di nome Isabella, nuovo motivo di gioia per Pedro che raddoppiava per lei la sua passione, divenuta tanto famosa che le canzoni del tempo raccontavano che Pedro era stato ammaliato da un ebreo che gli aveva dato la fascia (che egli portava attorno alla sua vita), su cui vi era la figura di un drago!

Nello stesso periodo, Juan Padilla, fratello di Maria e Gran Maestro era ucciso in uno scontro con la  truppa avversaria comandata da Gonzalez Mexia, Gran Commendatore di Castiglia e da Gomez Carrillo.

 

LA REGINA MADRE

 TORNA

IN PORTOGALLO

DOVE E’ AVVELENATA

 

 

P

edro intendeva impadronirsi della città di Toro e l’aveva messa sotto assedio; quivi come abbiamo detto si trovavano Fadrique ed Enrico il quale aveva trovato il modo di uscire dalla città e recarsi in Galizia; Fadrique si era recato a trovare il re nel suo accampamento (1356) per parlamentare, ma  senza venire a capo di nulla; Pedro riuscì a prendere la città senza spargimento di sangue, in quanto un guardiano della quale faceva la guardia, gli aveva aperto la porta, facendo entrare il re con le truppe.

La prima cosa che fece Pedro, fu quella di far uccidere Pedro Estevanez Carpintero e Ruy Gonzalez Castañeda che avevano parteggiato con i malcontenti, sgozzati alla presenza della regina madre, che ne fu tanto inorridita da cadere svenuta.

La regina, dopo aver maledetto il figlio con mille imprecazioni, se ne partì per il Portogallo recandosi dal fratello, re Pedro, ma non ebbe una sorte migliore!

Quivi, era stato scritto,  non si comportava con ritegno e pudore”, come quando era in Castiglia, dove si era data agli amori con un portoghese di nome Martin Tello; ma mentre questo comportamento era stato accettato in Castiglia, in Portogallo il re suo  fratello lo aveva trovato disdicevole e per questo motivo la fece  avvelenare.

Anche Pedro del Portogallo era detto “il Crudele” e questa crudeltà essendo  generalizzata valeva per tutti; per non parlare della crudeltà della Inquisizione (v. in Articoli) in piena attività e diretta da Domenico Guzman (il famoso san Domenico!) con il quale il papa Onorio si congratulava (1217), unitamente ai suoi seguaci, “incoraggiandoli a proseguire con lo stesso ardore, l’impresa della persecuzione degli eretici, per la gloria della religione”.

Il Portogallo in fatto di crudeltà, non era da meno della Castiglia; infatti, anche quando viveva il padre  Alfonso IV, il figlio Infante (attualmente regnante) era stato preso da passione per Agnese de Castro, che non era del suo rango, dalla quale aveva avuto quattro figli; Pedro, sapendo che il padre non gli avrebbe dato il consenso di sposarla, si era sposato segretamente, ma quando il padre ne era venuto a conoscenza,  ne fu tanto indignato da farla assassinare; Alfonso IV poco dopo moriva (1357) e Pedro prendeva come nuova amante Teresa di Galizia dalla quale ebbe un figlio, Juan, che gli succederà sul trono.

L’anno seguente (1358) un forte terremoto fece gravi danni in tutta la Spagna e molte città costiere furono inondate dal mare; a Siviglia caddero le sfere di ferro che si trovavano sull’alto della torre; il terremoto era stato particolarmente forte anche a Lisbona, dove  la Cappella reale, interamente ricostruita e resa dal precedente re Alfonso IV tra i più superbi edifici del paese, andò completamente distrutta; questo avvenimento fu vanamente considerato triste presagio per il reame di Castiglia, ma il regno di Pedro il Crudele durerà ancora molto, mentre il popolo, per rassicurarsi, faceva ricorso a preghiere e processioni, ritenendo così di calmare la collera divina!

 

 

PEDRO FA UCCIDERE

 FADRIQUE

L’INFANTE  D’ARAGONA

LE LORO MOGLI E SUA ZIA

LA REGINA ELEONORA



F

adrique, Gran Maestro dell’Ordine di san Giacomo, aveva posto l’assedio al castello di Jumilla che gli si era arreso (1358) e si era recato da Pedro a Siviglia per portargli la notizia.

Pedro nutriva per lui un odio mortale e mentre attendeva il suo arrivo, aveva convocato al mattino presto nella sua camera i due Infanti d’Aragona, unitamente a Diego Perez Sermiento, governatore militare di Castiglia (con l’incarico segreto di sorvegliare i due Infanti), e prendendo una croce e i vangeli, li fece giurare che avrebbero mantenuto il segreto su ciò che stava loro per riferire.

“Cugini,disse, io so e voi sapete che il Maestro di San Giacomo  vi vuole un gran male  ed io ho intenzione di ucciderlo oggi stesso e vi prego di aiutarmi, e una volta morto penso di partire per la Biscaglia e andare a uccidere Tello e a voi darò le terre di Biscaglia e di Lara che vi appartengono essendo tu Juan, sposato a Isabella figlia di Juan Nuñez de Lara”.

E l’Infante rispose: “Signore, vi rendo grazie per averci confidato i vostri segreti; è vero che detesto il Maestro di San Giacomo e il conte Enrico suo fratello e sono contento di ciò che avete detto in quanto anch’essi mi vogliono del male per essere al vostro servizio, per cui sono d’accordo sulla sua uccisione e, per vostra grazia, posso ucciderlo io stesso”. Questa risposta fece contento Pedro che gli disse: “Cugino Infante, vi sono grato di ciò che mi dite e si farà così” . Ma Diego Perez Sarmiento disgustato da questa risposta, disse all’Infante: “Signore, accontentatevi di ciò che ordinerà il re, gli arcieri non mancheranno di uccidere il Maestro”; il re però, rimase contrariato da questa risposta e da quel momento non guardò più di buon occhio il fedele Perez Sarmiento.

Ecco che all’Alcazar alle nove arriva Fadrique e Pedro lo riceve in buona grazia, chiedendogli se avesse un buon alloggio e di andare a prenderne possesso e, poiché arrivavano altri visitatori, si sarebbero visti più tardi.

Fadrique andando via, era passato dall’appartamento di Maria Padilla che era con le dame e le bambine, per salutarla; Maria non ignorava la sorte a lui riservata e quando lo vide lo accolse con un viso così triste che chiunque avrebbe intuito cosa sentisse nel suo animo.

Dopo averla salutata, si recò nel cortile dell’Alcazar dove aveva lasciato i suoi muli con i bagagli, ma non li trovò; un cavaliere di nome Suer Gutierrez de Navalès,  sembrava volesse avvertirlo: Signore, la posterla (porticina dei castelli) del cortile è aperta, uscite di là, non pensate ai muli; e glielo ripeté diverse volte, ma Fadrique non si mosse, nel frattempo giunsero due cavalieri che gli dissero che il re lo aspettava ed egli solo ora incominciò ad avere dei dubbi e man mano che attraversava gli appartamenti del palazzo, dalle guardie poste alle porte, i dubbi continuavano ad assalirlo; quando giunse all’appartamento detto di ferro, dove si trovava il re, Pedro aveva dato ordine che potevano entrare solo il Gran Maestro di Calatrava, Diego Padilla che non sapeva nulla di ciò che doveva succedere, che lo accompagnava con altri due cavalieri.

Appena entrati la porta fu chiusa e i due cavalieri si fermarono sulla porta; nella sala vi era il re e il balestriere maggiore Pero Lopez Padilla, al quale il re ordinò di arrestare il Maestro: “Quale dei due, chiese il balestriere”. “Quello di San Giacomo”, replicò  il re.

Quando il balestriere gli si avvicinò, Fadrique oppose resistenza e il re rivolto agli altri arcieri ordinò di uccidere il Maestro di San Giacomo, ma gli arcieri non osarono farlo; un ufficiale di camera del re, Rui Gonzalez de Atienza, a conoscenza del progetto, rivolto agli arcieri li redarguì a voce alta: Traditori che fate?  Non avete sentito che il re vi ha ordinato di uccidere il Maestro?

Essi allora presero le mazze e con le mazze levate si dirigevano verso il Maestro che si era svincolato da Pedro Padilla, che lo teneva, ma egli si svincolava e saltava dalla finestra nel cortile, mettendo mano alla spada, ma non riuscì a tirarla in quanto l’elsa era impedita dal mantello; essendo agile, sfuggiva agli arcieri e andava da una parte all’altra del cortile e riuscì a entrare in una sala detta degli “azulejos” (per i mosaici e le maioliche del pavimento), ma Nuño Ferrandez de Roa, che con altri lo raggiunse, gli diede un colpo di mazza sulla testa e lo abbatté; giunsero gli altri e a loro volta lo colpirono ripetutamente; sopraggiunto il re, credendolo morto rientrò nel palazzo pensando di incontrare qualcuno degli uomini di Fadrique da uccidere, ma non incontrò nessuno; egli pensava di incontrare Pero Ruiz de Saldoval Rostros-de-puerco, vecchio comandante di Montiel e attualmente di Mérida, del quale voleva vendicarsi, ma non lo trovò.

Invece, un cavaliere del seguito di Fadrique, meno fortunato, Sancho Ruiz de Villegas, che si trovava nell’Alcazar, avendo sentito tutto quel trambusto, era andato a rifugiarsi nell’appartamento di Maria (detto del caracol-della lumaca) e, pensando di salvarsi, aveva preso in braccio Beatrice, la bambina di Pedro, ma Pedro, toltagli la figlia dalle braccia, lo colpì con una daga che aveva alla cintura, facendosi aiutare da un cavaliere, Juan Ferrandez de Tovar, suo nemico; ciò fece senza preoccuparsi per la presenza delle donne e delle bambine!

Pedro quindi, ritornò nella sala dov’era Fadrique che trovò ancora vivo e sanguinante e tirando la daga che aveva alla cintura, la diede a un domestico per finirlo (tutto ciò, commenta lo storico, è raccontato da Ayala senza meravigliarsi!).

Nella sala (detta delle azulejos-, delle piastrelle lucide) vi era una tavola apparecchiata per il pranzo di mezzogiorno, Pedro si sedette e pranzò alla vista del cadavere del fratello immerso nel suo sangue.

Finito il pranzo, Pedro fece chiamare l’Infante mettendosi in viaggio per recarsi da Tello che si trovava ad Aguilar del Campo, in Biscaglia, percorrendo più di centodieci miglia in sette giorni. Quando giunse, Pedro fu riconosciuto da uno scudiero di Tello che era a caccia e questo corse da Tello per avvertirlo e Tello se ne fuggì recandosi a Bermeo, dove con una barca di pescatori si diresse a Bayonne.

Non avendo trovato il fratellastro, Pedro fece arrestare la moglie, Juana Nuñez de Lara, titolare della signoria di Biscaglia, mentre lui cercò di inseguire Tello, ma quando giunse a Bermeo, Tello era già partito giungendo a Saint-Jean-de-Luz, da dove raggiunse Bayonne via terra, lasciando Pedro infuriato.   

L’Infante Juan non ebbe l’accortezza di chiedere a Pedro la ricompensa promessa e pensò bene di recarsi direttamente a prendere possesso della Biscaglia (alla quale aveva anche diritto per aver sposato la sorella di Juana Nuñez, Isabella).

Pedro si vendicò della scorrettezza compiuta da Juan, facendo riunire le Cortes di Biscaglia, invitandole, ufficialmente, a scegliere l'Infante come loro signore, ma in segreto aveva suggerito ai principali rappresentanti che si erano riuniti a Bermeo, di rifiutarlo come loro signore e di dichiarare - come fecero!  - “che essi non ricevevano ordini se non dal re in persona e suoi successori dopo di lui”.

Pedro poi, si giustificava con l’Infante dicendogli che si sarebbe recato a Bilbao per vedere se lo avessero accettato loro come signore; Juan acconsentì, ma incominciò ad avere dei dubbi sulle intenzioni di Pedro nei suoi confronti!

Essi quindi si recarono a Bilbao alloggiando ciascuno in un proprio palazzo; e questa parve al re una buona occasione per realizzare il suo macabro progetto.

La mattina seguente Pedro mandò a chiamare Juan che giunse accompagnato da due o tre del seguito, che giunti all’appartamento del re, si fermarono sulla porta ed entrò il solo Juan che non era armato e aveva solo un pugnale, che gli fu tolto, come per gioco.

All’improvviso, mentre Martin Lopez de Cordova, cameriere del re, lo afferrava tra le sue braccia tenendolo stretto,  un balestriere, Juan Diente lo colpiva con una mazza sulla testa, colpito anche dagli altri balestrieri.

L’Infante, sebbene colpito rimase in piedi e si precipitò verso Juan de Hinestrosa, cameriere maggiore del re, che gli diede una stoccata e un altro balestriere, Gonzalo Recio, lo colpì con la  mazza alla testa e l’Infante, con quest’ultimo colpo, cadde morto.

Pedro  fece gettare il corpo dalla finestra e affacciatosi gridò: “Guardate biscagliani chi voleva essere vostro signore”; poi diede ordine di buttare il corpo nel rio Arlanzon perché non ricevesse sepoltura.

Nello stesso tempo mandò Hinestrosa a prelevare la madre dell’Infante, la regina  Eleonora sua zia e la stessa moglie dell’Infante Juan, Isabella de Lara che si trovavano a Roa;  ambedue ignoravano la morte rispettivamente del figlio e del marito, e le fece condurre prigioniere al castello di Castro Xeriz, destinate a morire avvelenate, come morì avvelenata la sorella di Isabella, Juana, moglie di Tello (1359), ad evitare rivendicazioni sulla Biscaglia.

 

 

PEDRO SI LIBERA

DI ALTRI SUOI NEMICI

FACENDO TAGLIARE  

LE LORO TESTE

 

 

P

edro si era fermato a Burgos e, nel pieno esercizio del suo potere (aveva ventiquattro anni) faceva eseguire delle esecuzioni capitali in diverse parti del regno: era seguita la decapitazione di Lope Sanchez de Bendaña, commendatore dell’Ordine di San Giacomo per essere stato governatore di Segura nel periodo in cui Fadrique era Gran Maestro; a Toledo fu tagliata la testa al cavaliere Gonzalo Melendez, a Pedro Cabrera e Ferran Alfonse de Gabete a Cordova; a Salamanca perdettero la testa Alfonso Juffré Tenorio e a Toro, Alfonso Perez Formosino; in totale sei esecuzioni!

I rapporti tra Pedro I di Castiglia e Pedro IV d’Aragona erano pieni di reciproche ripicche; i due re (descritti nelle loro personalità da pére d‘Oleans, come abbiamo visto) erano pressoché uguali, di carattere e di ingegno, ambedue fieri, inflessibili, vendicativi; il re di Castiglia era più giovane e più bollente, impetuoso nella collera, più severo e più crudele nella vendetta.

Il re di Aragona si lamentava del fatto che in Castiglia era stato dato asilo ai due fratelli Infanti aragonesi, che mettevano in subbuglio il suo regno e quel ch’era peggio, all’Infante Ferdinando era stato dato il comando di una guarnigione castigliana nelle città di Alicante e Orihuela, come appannaggio e sotto pretesto di dare al re di Castiglia prova della sua fedeltà; ma il re d’Aragona era convinto che ciò fosse stato fatto per offenderlo e per avere una occasione di rivolta quando fosse giunto il momento; inoltre le galere castigliane saccheggiavano le coste aragonesi.

Tra i due non poteva che scoppiare una guerra, che si protrasse per circa sei anni: in uno scontro presso il fiume Araviana morivano molti dei signori fedeli a Pedro  (1359) tra i quali Juan de Hinestrosa.

Per merito del cardinale legato Guy de Boulogne, fu conclusa la pace (1361, ma non sarebbe durata molto a causa della malafede dei due contraenti); essa  stabiliva che i due re avrebbero restituito le piazze conquistate e ognuno avrebbe restituito i signori scontenti che si erano rifugiati nell’uno e nell’altro regno, a condizione che il re di Castiglia avesse concesso una amnistia generale; Enrico di Trastàmara che si trovava tra i rifugiati in Aragona, preferì andarsene in Francia; fatta la pace con il nemico esterno, Pedro dovette regolare i suoi rapporti con gli arabi. di Granada che avevano invaso la Castiglia

 

 

IL RAPPORTO

 DI PEDRO

CON GLI ARABI

DI GRANADA



G

li arabi non erano meno cospiratori degli spagnoli e gli assassini dei sultani erano all’ordine del giorno, non escludendo il parricidio, come era avvenuto al tempo di Alfonso XI, quando regnava Ismail (1329), ucciso dal figlio Muhamad IV.

Il sultano Abul-Hasan, della dinastia dei Merinis, il cui capostipite Iagmour Esen ben Zian, che faceva risalire le sue origini ad Alì marito di Fatima, figlia di Maometto, dopo aver conquistato Tremesen (successivamente unificato al regno di Tunisi), costituendo il regno di Tremesen (1249), aveva deciso di conquistare la Spagna ed era andato a stabilirsi a Granada che gli arabi consideravano terra paradisiaca, tanto da ritenere che il Paradiso corrispondesse alla parte di cielo che sovrastava quel regno (*).

Regnava Abul-Hegiag-Jousef-ben Nasr (Jousef I) di ventun anni, ucciso da un forsennato mentre pregava nella moschea (1354) e gli succede il figlio Muhamad V, principe dolce, umano, compassionevole, il quale aveva un fratello, Ismail sorretto dalla ambizione della madre che il giorno della morte di Jousef si era appropriata di una parte del suo tesoro per aprire la  strada del trono al figlio.

Sua figlia era moglie del potente sceicco Abu-Saïd-Alala (per altri Abil-Gualid) che soggiaceva alla volontà della moglie, il quale aveva costituito un partito di congiurati che per alcuni anni erano stati tranquilli, e quando si sentirono sicuri (1359), entrati nel palazzo attraverso il tetto con le torce in una mano e la spada nell’altra incominciarono a massacrare tutti quelli che incontravano; poi, pensando piuttosto alla propria fortuna, si appropriarono dei tesori che apparivano sotto i loro occhi e il re riusciva a fuggire e vestito con gli abiti di una schiava, si recava a Guadix (Cadice) dove la popolazione gli era rimasta fedele (per questo sarà successivamente sopranominato Mahomet Guadix).

Abu-Saïd insediava come sovrano il fratello Ismail II, mentre Muhamad si recava presso il re di Fez per chiedergli aiuto.

Ismail era di bell’aspetto e aveva tratti femminili che lasciavano trasparire la sua debolezza di carattere e la sua predisposizione ai piaceri e preferiva starsene  rinchiuso nel suo harem piuttosto che dedicarsi al governo del regno, sì che Abu-Saïd non aveva dovuto impegnarsi molto per reggerne le sorti ed esercitare il potere.

Ma non si accontentava solo di questo; egli mirava ad avere la corona sulla propria testa, per cui mandò un corpo di guardia a circondare il palazzo, mentre Ismail andava a rifugiarsi nella fortezza dell’Alhambra, ma fu ugualmente raggiunto dalla guardia per arrestarlo e nello stesso tempo era stato dato l’ordine di assassinarlo durante il tragitto; fu così tagliata la testa a lui e al suo giovane fratello Caïs e ambedue le teste furono portate per la città nello stupore generale.

Intanto giungeva Muhamad con l’esercito del re di Fez che sconfisse quello di Abu-Saïd il quale però a causa di ulteriori vicissitudini (il re di Fez era stato ucciso e gli era subentrato il fratello), si era alleato con il re di Aragona con il quale Pedro era in guerra e, trovandosi in difficoltà, aveva dovuto sottoscrivere la pace cedendo al re d’Aragona il castello di Ariza a condizione di non arrecare disturbo al re di Granada.

Pedro però non tenne fede a quest’ultima condizione e aveva mandato un corpo di cavalieri (1362) a recare disturbo alle frontiere del regno di Cordova e si era impadronito di diverse piazze e fortezze giungendo nei pressi di Granada; il corpo di cavalleria comandato dal Gran Maestro di Calatrava (fratello di Maria Padilla) che si trovava nei pressi di Gualdaquivir in parte era stato massacrato, mentre il Gran Maestro con alcuni suoi cavalieri era stato fatto prigioniero.

 A Malaga vi era stata una rivolta e gli abitanti si erano dichiarati per il vecchio re per cui Abu-Saïd trovandosi in una posizione difficile, per uscirne, tra i vari mali scelse quello di rivolgersi a Pedro; dichiarandosi suo vassallo e offrendogli il proprio tributo, gli chiedeva il salvacondotto,  mandandogli, in cambio, alcuni prigionieri tra i quali il Gran Maestro di Calatrava; ottenuto il salvacondotto si presentava a Siviglia con ricchezza di apparato e magnificenza di abiti e bardature di cavalli, tra uno sfavillio di oro e pietre preziose  da suscitare la umana cupidigia!

Abu-Saïd fu ricevuto con tutti gli onori, ma Pedro, mentre aveva dato ordine di preparare per l’ospite una grande cena (per darsi una giustificazione sulla violazione dei doveri di ospitalità!), riuniva il consiglio che doveva decidere la sua sorte, al quale faceva presente  che Abu-Saïd si era comportato da usurpatore; il consiglio decise la sua morte; il motivo segreto del cambiamento della iniziale buona accoglienza, era stata la tentazione di appropriarsi di tutto quell’oro improvvidamente ostentato da Abu-Saïd.

La notte tutti i cavalieri del suo seguito vennero massacrati e la mattina seguente i loro cadaveri furono portati in un campo denominato Tablada dove fu condotto anche Abu-Saïd al quale, mentre Pedro gli si avvicinava con un pugnale per colpirlo, gli diceva: ”Questa è la fine che meriti per avermi fatto firmare il trattato di pace con il re d’Aragona”, mentre Abu-Saïd gli rispondeva “Oh Pedro, che vergognosa vittoria stai riportando su di me, questa azione è degna di te che fai perire un re che sulla tua parola è venuto a mettersi nelle tue mani”.  

Muhamad  venuto a conoscenza della fine di Abu-Saïd entrava in Granada ben accolto dagli abitanti della città; nel frattempo gli giungeva la testa di Mehemet che Pedro aveva pugnalato e fatto decapitare e il messaggero mentre gliela faceva  rotolare ai suoi piedi gli diceva: “Re di Granada, possa tu vedere a questo modo le teste dei tuoi nemici”; Muhamad preso da orrore e paura, inviò a Pedro venticinque bellissimi cavalli con magnifiche gualdrappe e bardature e scimitarre ornate d’oro e pietre preziose e liberò altri prigionieri cristiani che si trovavano nelle sue prigioni, assicurando Pedro della sua riconoscenza ed esprimendogli il desiderio di vivere con lui in pace.

Durante i sei anni di guerra sanguinosa tra castigliani e aragonesi, Muhamad aveva prestato aiuto a Pedro con settemila cavalieri e ottantamila fanti, ma questi aiuti non impedirono la sua caduta della quale ne approfittava Enrico nella conquista di una parte del regno, come vedremo.

Muhamad V regnerà ancora per molti anni e dopo la sua morte (1379) gli succederà suo figlio Jousef II Abou-Abdala, ritenuto uno dei migliori sovrani di Granada per aver  costruito a Granada e Cadice edifici stupendi.

 

 

*) Dobbiamo avvertire i lettori che la fonte dei dati storici riportati  è costituita da l’ “Histoire de la Domination des arabes et des maures en Espagne et Portugal depuis l’invasion de ces peuples jusqu’a leur expulsion definitive traduit de l’arabe en espagnol de Jouseph Conde” (traduit en francais par M. de Marlés), III Vol. Paris, 1825 Ed. Alexis Elmery), ma, consultando altri testi, sia derivati da testi arabi, sia di storici spagnoli, non abbiamo trovato corrispondenza di nomi e di date, da far venire spontanea la considerazione che nella storia degli arabi di Spagna regni una certa anarchia e non sappiamo se ciò provenga dai traduttori; lo stesso Conde, annota, proprio a proposito delle successioni dei sultani e in particolare degli avvenimenti riguardanti Muhamad e Abu-Saïdqui comincia a regnare una totale confusione tra il racconto degli arabi e quello degli storici spagnoli”.

 

                                    

 

 

Cattedrale di Burgos

La maestosa scalinata del pulpito

originaria

 

 

ENRICO ACCCLAMATO

RE IN ARAGONA  E’

INCORONATO A BURGOS

 

 

M

orta Bianca, Pedro, per difendersi dalla possibile vendetta della Francia, aveva cercato l'alleanza (1363) con Edoardo III d’Inghilterra e con il Principe-Nero (*); dall’altro canto, per bilanciare questa alleanza e detronizzare Pedro, Enrico si allea con Bertrand du Guescelin, con il conte Jean de Bourbone, conte de la Marche (cugino della regina Bianca) e altri capi francesi ai quali si unisce don Carlos, re di Navarra.

Per di più il re di Francia, Carlo V (1338-1380), voleva vendicare l'oltraggio di Bianca di Borbone fatto da Pedro alla casa reale francese e, abbracciando la causa di Enrico, dava incarico a du Guescelin di raccogliere i soldati che, da poco licenziati, gli stavano saccheggiando il territorio, per invadere la Castiglia.

Per arrestare questo esercito Pedro raccoglieva le sue truppe a Burgos (1366) mentre in Catalogna giungevano le truppe francesi, ricevute del re d'Aragona, dove giunse anche Enrico che dalle truppe fu acclamato re di Castiglia.

L’inazione di Pedro al momento dell’invasione del suo regno, lascia supporre una sua debolezza nel non voler affrontare il nemico, oppure che egli si fosse reso conto della disaffezione del suo popolo nei suoi confronti e mentre gli abitanti di Burgos lo spingevano ad affrontare il nemico, egli lasciò precipitosamente la città dirigendosi a Siviglia, mentre Enrico si recava a Burgos dove, festosamente accolto dagli abitanti,  si faceva incoronare  nel monastero di Huelgas.

Enrico non perdette tempo a inseguire Pedro, ma si recò a Toledo che costituiva una piazza importante, dove fu deliberata la loro sottomissione a lui; quivi giunsero anche deputati di Avila, Segovia, Madrid, Cuença, Ciudad-Real che portarono la loro sottomissione, per cui Enrico si trovò padrone di tutta la Nuova Castiglia; non solo, ma all’Alcazar aveva trovato argento e con i doni che gli fecero gli abitanti giudei, si trovò in grado di soddisfare i suoi compagni; mentre a du Guescélin concedeva la signoria di Molina e Trastàmara e a Hugh de Caverlay che, con il comandante bretone aveva il comando degli ausiliari, concesse la signoria di Carrion; al fratello Tello, la sovranità della Biscaglia.

Pedro non aveva forze sufficienti per affrontare il fratello per cui inviò la figlia Beatrice, sua erede (essendo morto il figlioletto Alfonso), con un gran tesoro che costituiva parte della sua dote, portata all’infante Ferdinando del Portogallo, al quale Beatrice era stata promessa e avere un aiuto militare.

Ma dal Portogallo Pedro doveva ricevere l’umiliazione del rifiuto al matrimonio e all’aiuto; sotto pretesto che gli abitanti della Castiglia avevano riconosciuto come nuovo re Enrico, il re del Portogallo fece sapere che non poteva essere riconosciuta la unione dei due regni, per cui gli accordi relativi al matrimonio dell’Infante Ferdinando con la figlia Beatrice erano annullati; tutto quello che fu riconosciuto a Pedro, fu l’attraversamento del Portogallo per raggiungere la Galizia.

Giunto a  Monteras, l’arcivescovo di Santiago, Ferdinando de Castro e altri signori della Galizia si unirono a lui e gli consigliarono di tentare la sorte con le armi, anche perché le città di Zamora, Soria, Logrono e altre, erano ancora dalla sua parte; quando però gli offrirono di aiutarlo con milleduecento fantaccini e cinquecento cavalieri, Pedro, per paura o per debolezza, rifiutò e si mise in viaggio per Santiago, volendo raggiungere la Coruña e imbarcarsi per Bayonne dove si sarebbe congiunto con il principe di Galles.

Era giunto a Santiago con l’animo predisposto a punire l’arcivescovo don Suero probabilmente perché gli aveva rinfacciato i suoi crimini passati, perché l’arcivescovo era nativo di Toledo che egli odiava, perché aveva prestato aiuto alla regina Bianca, ma il più pressante di tutti era quello di volersi impadronire delle città e fortezze di don Suero.

Poiché don Suero si era ritirato in una casa di campagna nei pressi della città, Pedro gli fece sapere che aveva da parlagli e il vescovo si recò all’appuntamento; giunto alla porta della città trovò venti cavalieri che lo scortarono fino alla chiesa, davanti alla quale lo attendeva Pedro ; appena giunto il vescovo fu preso a colpi di lancia al cuore; la stessa fine fece il suo assistente che lo accompagnava; dopo di che la chiesa fu spogliata di tutti gli oggetti preziosi e, nello stesso tempo, le fortezze del prelato furono immediatamente occupate.

Pedro, lasciando la difesa dei suoi interessi a Ferdinando de Castro, partì per la Coruña dove lo attendevano ventidue velieri, per recarsi a Bayonne e incontrare  il re Edoardo e gli inglesi che gli avrebbero fatto  riprendere il trono.

 

 

*) Il Principe Nero era Edoardo di Woodstook (1330-1376) figlio di Edoardo III d’Inghilterra, non fu re in quanto premorì al padre; ebbe due figli Edoardo e Riccardo (Cuor di Leone) che divenne re d’Inghilterra.

 

 

PEDRO FIRMA

 IL TRATTATO

CON EDOARDO III

D’INGHILTERRA

 

 

D

urante la sua permanenza a Santiago, Pedro aveva maturato l’idea di fare uccidere il vescovo don Suero; gli storici che gli erano contrari ritengono che avesse maturato questa decisione perché il vescovo in passato gli aveva rimproverato i suoi crimini, oppure che gli fosse sospetto perché nativo di Toledo, città che aveva preso le difese di Bianca ed era passato dalla parte di Enrico; oppure ancora, perché sospettava che il vescovo intendesse appropriarsi delle sue città e fortezze; certo è che don Suero fu preso da venti cavalieri e condotto all’ingresso della chiesa dove si trovava Pedro e lì fu trafitto a colpi di lancia, unitamente al decano che lo accompagnava.

Pedro quindi si recò con le figlie a La Coruña dove lo attendeva una flotta di venti navi e qui si imbarcò per Bayonne dove  incontrò il re Edoardo III d’Inghilterra e il Principe Nero con i quali firmò il trattato con cui, in cambio del loro aiuto, cedeva la signoria di Biscaglia e la somma cinquantacinquemila fiorini d’oro, oltre a cinquecentocinquantamila fiorini per la paga dell’esercito; a garanzia le sue tre figlie erano consegnate  al Principe-Nero (delle quali Beatrice moriva e, come abbiamo visto, le altre due, Costanza ed Elisabetta sposavano i due fratelli inglesi).   

Nello stesso tempo Enrico si era recato a Siviglia, accolto festosamente dagli abitanti, i quali gli regalarono il tesoro sottratto a Pedro, e la città, con tutta l’Andalusia lo  riconosceva come  re; così Enrico si trovava, padrone di tutto il regno, ad eccezione della Galizia, verso la quale si diresse per sottometterla.

Questa era difesa da Fernando de Castro che si trovava nella città di Lugo, il quale, avendo saputo del trattato fatto con il principe inglese, convenne di cedere la piazza, se non gli fossero giunti soccorsi prima di Natale, con promessa, da parte di Enrico  che in caso di sottomissione, gli avrebbe concesso la signoria di Castro-Xeriz.

Da Lugo, Enrico, si recò a Burgos dove riunì le Cortes e ottenne sussidi per la difesa del regno; dopo aver rinnovato il trattato con il re di Aragona, si incontrò con quello di Navarra al quale offrì una somma di sessantamila pisole e due fortezze per impedire il passaggio al principe inglese, il quale agli inizi della primavera (1367) attraversò con il suo esercito, formato da inglesi, normanni e guasconi i Pirenei; da Roncisvalle scendeva nella piana di Navarra; quivi, con accordi segreti, don Carlos di Navarra (tradendo gli accordi presi con Enrico) aveva concordato che avrebbe fatto prigioniero un generale di Edoardo, Olivier di Manny, per giustificare il suo mancato intervento per bloccare gli inglesi.

 

 

L’ARMATA DI ENRICO

SI SCONTRA

CON QUELLA INGLESE

 

 

L

e due armate si incontrarono (3 aprile 1367) nei pressi di Logrono, qualche miglio a sud dell’Ebro; i castigliani occupavano il territorio di Najera, Enrico e gli alleati erano accampati a Navarrette; Edoardo III aveva inviato una lettera, indirizzata “al nobile e possente conte Enrico di Trastàmara (non al re di Castiglia), per giustificare il suo aiuto a un alleato e parente, offrendo una mediazione tra le due parti, al fine di evitare uno spargimento di sangue”;.

Nella sua risposta Enrico sottolineava “la crudeltà e l’oppressione del governo di Pedro, la cui espulsione costituiva l’atto di una nazione indignata ed esprimeva la risoluzione di mantenere i diritti della nazione e suoi, con le armi”.

Ebbe quindi inizio la furiosa battaglia (3 aprile 1367), con il grido di guerra “Castiglia e Santiago” da una parte e “Guyenna e San Giorgio” dall’altra; essa non poteva non arridere al vincitore delle celebri di Grezy (1346) e Poitiers (1356) (v. L’Europa verso la fine del medioevo P. I, Par. Guerre per cento anni).

Enrico comandava personalmente l’ala sinistra, Tello comandava un corpo di cavalleria ma fuggì dal campo di battaglia; con la fuga di Tello la fanteria incominciò a indietreggiare; nonostante Enrico avesse combattuto nobilmente, dovette rinunciare a resistere e dovette abbandonare il campo con un gruppo di cavalieri e recarsi in Aragona, da dove poi si recò la Francia.

Era una vittoria che dava la possibilità a Pedro di riprendere il regno se si fosse comportato correttamente con gli inglesi; egli infatti per l’aiuto offerto, aveva concesso a Edoardo la signoria della Biscaglia, ma nello stesso tempo aveva dato disposizioni segrete a quegli abitanti di non accettarlo come loro signore; erano anche sorte difficoltà per il pagamento del denaro dovuto alle truppe, che Pedro non era in grado di  pagare, per cui si era dovuto impegnare con giuramento a versare due rate una entro quattro mesi, la seconda entro dodici mesi.

Ma ciò che aveva disgustato maggiormente gli inglesi, era stata la strage che Pedro stava facendo dei prigionieri di guerra; al risentito rimprovero del Principe Nero, Pedro aveva risposto:- A che mi serve la vostra assistenza se non posso punire questi ribelli che andrebbero a raggiungere Enrico per permettergli una vittoria?” 

Tuttavia egli si astenne dall’ulteriore massacro, almeno fino a quando il re Edoardo era rimasto in Castiglia, vale a dire, fino alla firma del trattato di pace tra la Castiglia e l’Aragona; dopo di che Edoardo se ne partì per la Guienne.

Pedro nel frattempo si recava a Toledo dove mise a morte i sostenitori sospetti di Enrico, specie se avevano beni da poter confiscare e fece lo stesso recandosi a Cordova, mentre a Siviglia aveva mandato suoi emissari.

 

 

RITORNO DI ENRICO

 E SOTTOMISSIONE

DELLE CITTA’

 

 

V

erso la fine dell’anno (1367), Enrico entrò in Spagna dal Rossiglione con settecento cavalieri; il re di Aragona cercò di contrastare l’accesso ma con poca efficacia dei suoi soldati, che favorirono il passaggio in Navarra da dove Enrico raggiungeva  l’Ebro ad Azagra, e qui tracciando una croce sulla sabbia, giurava di non rinunciare all’impresa fin quando avesse avuto un soffio di vita.

La vicina città di Calahorra lo accolse tra le sue mura dove giunsero baroni castigliani che gli offrivano aiuto e vi giunse anche il vescovo di Toledo; quindi fu accolto a Burgos; Enrico invece di dirigersi a mezzogiorno, volle assicurarsi le fortezze della Vecchia Castiglia: Leon fu assediata e presa, le Asturie si sottomisero, Illescas, Buytrago e Madrid gli aprirono le porte e fu presa anche Toledo che prometteva una resistenza più ostinata.

Si deve rilevare che dove vi fu resistenza, questa era opposta non dagli abitanti che erano dalla parte di Pedro, ma da parte dei baroni e signori che erano invece dalla parte di Enrico: ciò che fa ritenere che Pedro nel suo modo di governare usasse il pugno di ferro nei confronti degli ordini privilegiati, mentre favoriva il popolo.

La posizione di Pedro vacillava per la mancanza di forze sufficienti e fu soccorso dal  re di Granada; Maometto V, gli mise a disposizione mille cavalieri e settemila fanti mentre Pedro aveva disponibile una truppa di settemila soldati.

Nel nord le città di Vittoria, Salvatierra e Logrono e altre piazze che erano per Pedro, cambiarono orientamento e si sottomisero al re di Navarra o a Enrico, mentre Toledo resisteva a quest’ultimo; Pedro lasciò Siviglia per accorrere in suo aiuto (marzo 1369) e passando per Calatrava si diresse a Montiel per attendere rinforzi provenienti da Murcia; Enrico convocò il consiglio di guerra perché con il grosso delle sue truppe intendeva provocare Pedro alla battaglia, prima che arrivassero le truppe che egli attendeva.

Bertrand du Guesclin stava arrivando dalla Francia con seicento lance; Enrico fu raggiunto dal Gran Maestro di Santiago e insieme davanti a Montiel provocarono a battaglia Pedro il quale stava soccombendo e per salvarsi dovette ritirarsi  precipitosamente nella fortezza che fu messa sotto assedio; questa fortezza aveva viveri per quattro giorni e quando queste scorte iniziarono a esaurirsi, i suoi soldati incominciarono  a disertare uno alla volta, recandosi da Enrico.

Nel frattempo, uno dei cavalieri di Pedro, Mendo Rodriguez, legato a du Guesclin gli fece sapere che voleva incontrarlo in segreto; du Guesclin accettò l’incontro per la notte nella sua tenda e Rodriguez per conto di Pedro gli offriva la signoria di Soria, Almazan, Monteagudo, Atienza Deza e Moron con duecentomila dubloni d’oro, se avesse aiutato Pedro a scappare; il cavaliere rispose di non poter accettare in quanto egli serviva il suo signore naturale, il re di Francia; Rodriguez gli suggerì di pensarci su e si separarono.

Du Guesclin riferì la proposta ai suoi amici, aggiungendo che non si doveva far nulla contro Enrico; essi gli suggerirono di riferirgli tutto ed Enrico gli mostrò tutta la sua riconoscenza promettendo che gli avrebbe dato più di ciò che gli era stato promesso, se avesse attirato Pedro nella sua tenda e informarlo del suo arrivo.

Du Guescelin reagì di fronte a questa poco onorevole perfidia, ma gli amici (spregiudicatamente) lo spinsero ad accettare dicendogli che a questo modo la guerra sarebbe subito finita e con un colpo solo egli sarebbe divenuto anche ricco.

Il bretone, mettendo da parte la sua iniziale ripugnanza, assicurò Mendo Rodriguez che avrebbe preso delle misure per la sicurezza del re e fu convenuto che Pedro avrebbe lasciato la fortezza la sera del 23 marzo e si sarebbe recato presso la sua tenda per essere scortato in un luogo sicuro.  

Nell’ora indicata Pedro, accompagnato da tre fidati cavalieri si recò presso la tenda del capitano francese e mentre scendeva da cavallo diceva a du Guesclin “partiamo subito”,; non ricevendo risposta, si rese conto del tranello e stava per rimontare a cavallo, ma fu trattenuto da due bretoni che erano lì.

A questo punto è da dire che sulle modalità dell’appuntamento e della stessa uccisione di Pedro vi sono due versioni diverse; una, rielaborata dagli storici spagnoli e scenica, data dalla Cronica di Ayala, dai quali hanno attinto tutti, l’altra del cronista Froissard, quindi di fonte francese, un po’ meno precisa ma più realista: è quella che riportiamo.                                           

 

 

 

 

L’ASSASSINIO DI PEDRO

SECONDO FROISSART

 

 

I

l castello di Montiel era una fortezza che avrebbe potuto resistere per molto tempo ad attacchi esterni se fosse stata dotata di viveri, ma quando vi si era recato don Pedro  (Froissart sempre vivace nelle sue descrizioni lo chiama dan Piétre!), con i suoi e si erano rinchiusi, vi erano viveri per soli quattro giorni e non potevano uscire in quanto erano spiati notte e giorno e anche un uccello non poteva partire dal castello senza essere visto e inseguito; Pedro era in grande angoscia, per il pericolo in cui si trovava e per la mancanza di viveri e i suoi lo stavano abbandonando.

Gli fu riferito l’appuntamento di mezzanotte per incontrare l’avversario e a mezzanotte egli uscì in gran segreto con Ferrante de Castro e dodici cavalieri; era una notte spessa e buia e seguendo la strada che scendeva verso il basso, in fondo ad essa vi era Bègue di Vilaines con più di trecento uomini così stretti l’un con l’altro che sembrava non vi fosse nessuno; Bègue de Vilaines si fece notare e rivolgendosi a chi gli era di fronte, disse: “Signori  tenetevi stretti e non fate alcun movimento, ho gente (che mi protegge), e con la daga in pugno si avvicinò all’uomo  che  era vicino a don Pedro e chiese: Chi sei tu, parla o sei morto! Quell’uomo era inglese e si rifiutò di parlare e schivandolo avanzò oltre; e Begue lo lasciò passare e si avvicinò a don Pedro che gli sembrò Enrico, il fratello bastardo, tanto era buio, perché si somigliavano molto. E mettendogli la daga sul petto:  Voi chi siete, rispondete o siete morto” e mentre parlava prese il cavallo per il freno, non volendo che scappasse, come aveva fatto il precedente, che era stato preso dai suoi.

 Il re don Pedre che vide una grossa massa di gente d’arme davanti a lui e si rese conto di non poter scappare, disse a Bègue de Vilaines che riconobbe: Begue, Begue, io sono il re don Pedro di Castiglia che ha fatto molti torti per cattivi consigli; mi rendo tuo prigioniero e con i miei uomini che sono dodici, mi metto sotto la tua custodia e volontà. E ti prego, in nome della tua  gentilezza, di metterci in salvo e pagherò il riscatto con tua grande soddisfazione, come vedrai, ringraziando Dio; ho ancora dei beni, ma tu scansami dalle mani del bastardo Enrico, mio fratello”.

Dopo di che don Pedro fu condotto nell’alloggio di Begue de Vilains e quindi nella camera (tenda) di Yons de Lakonnet; dopo circa un’ora giunse Enrico con il visconte Roquebertin, con il seguito non numeroso; Enrico entrando (poiché non aveva riconosciuto il fratello), chiede: “Dov’è quel figlio di p. giudeo che si dice re di Castiglia?”.

Don Pedro, che fu molto ardito e crudele, si avanzò, dicendo: “Sei tu figlio di p., perché sono figlio del buon re Alfonso” e gli prese il braccio e tirandolo per il braccio, lo buttò per terra su un pezzo di materasso di seta, buttandosi sopra, mettendo mano al suo pugnale e lo avrebbe ucciso se il visconte di Roquebertin non  avesse preso il suo piede e non lo avesse fatto andare sotto Enrico e questo gli era sopra e prendendo il lungo pugnale di Castiglia affilato, che portava nella sciarpa lo fece entrare nel suo corpo e con lui fu ucciso un cavaliere inglese che si chiamava Raoul Elme, detto il Verde-scudiero e uno scudiero che si chiamava Jaques Rollans che avevano assunto la posizione di difesa; a don Ferrante de Castro e agli altri non fu fatto niente di male; i prigionieri furono lasciati a Begue Vilains e Yons de Lakonnet.

Così finì il re don Pedro di Castiglia che aveva regnato in sì grande prosperità.

Questo il racconto di Froissart, mentre, secondo l’altra versione di Ayala, Pedro si era recato da Bertrand de Guesclin, con il cavallo, armato di spada; mentre scendeva da cavallo diceva a Du Guesclin “Monta a cavallo è tempo di andare” senza ricevere risposta; in quel momento si rese conto che gli era stato teso un tranello.

Mentre stava rimontando a cavallo, fu fermato da uno dei bretoni che si trovava sul posto il quale gli disse di attendere e non lo lasciava partire, tenendo il morso del cavallo. Con lui erano  Ferrante de Castro, Diego Gonzalez d’Oviedo figlio del Maestro di Alcantara, Rodriguez de Senabria e altri. 

A questo punto Ayala ci fa trovare Pedro nella tenda, senza specificare come vi era finito. Quando Pedro era nella tenda di Bertrand, Enrico era già lì (nell’accampamento) e avvertito, vi entrò armato, mettendosi di traverso, non riconobbe il fratello perché era da tanto che non lo vedeva e un cavaliere che era con Bertrand gli disse: “Guardate, ecco il vostro nemico” e Enrico dubitava ancora che fosse lui; al che  Pedro gli disse due volte: “Sono io, sono io”; ed Enrico  lo riconobbe e lo colpì con una daga al viso; e si dice che ambedue caddero per terra e che Enrico lo colpì, essendo a terra, con altre ferite;  e lì morì don Pedro il 23 marzo (1369).   

In pratica in questa versione degli storici spagnoli, Pedro, attraverso Mendo Rodriguez aveva cercato di corrompere Bertrand de Guesclin ma costoro avevano concordato di tradire Pedro avvertendo Enrico; Mariana riferisce del tradimento, dell’incontro dei due fratellastri nella tenda e la lotta, ma con l’intervento di Guesclin che aveva dato a Enrico, che era per terra, l’aiuto per uccidere il fratello.

 

 

LA NUOVA DINASTIA

DI ENRICO II

DI TRASTAMARA

 

 

E

nrico II dopo aver ucciso Pedro, introduce una nuova dinastia, che sebbene illegittima regnerà, come abbiamo già detto, fino alla regina  Isabella di Castiglia.

Sebbene fosse stato accettato come re, il suo regno era stato amareggiato da varie rivendicazioni da parte di diversi pretendenti tra i quali Ferdinando IV del Portogallo il quale sosteneva, a ragione, che suo padre era nipote di Beatrice di Castiglia figlia di Sancho IV il Bravo (1258-1295), re di Castiglia, il quale si era impossessato di Zamora, Tuy, Galizia, Alcantara e alcune altre città.

Ferdinando del Portogallo, era seguito da  don Carlos di Navarra in favore del quale si erano dichiarate le città di Logrono, Vittoria, Salvatierra e Campezo; mentre le città di Molina e Requena si erano messe  sotto la protezione di Ferdinando d’Aragona; la città di Carmona si rifiutò di riceverlo quando Enrico vi si era recato e non gli erasno state aperte le porte.

Vi erano poi le rivendicazioni del duca John di Lancaster che già aveva preso il titolo di re di Castiglia e anche di suo fratello Eduard di York, che, come abbiamo visto, avevano sposato rispettivamente le due figlie di Pedro, Costanza e Isabella (Elisabeth); e infine vi era il re di Granada, Maometto IV che, amico di Pedro,  gli aveva rifiutato l’alleanza e si era alleato con Ferdinando d’Aragona e non avendo potuto prendere la città di Algesiras, l’aveva completamente distrutta.

Enrico, per avere la sottomissione delle città ribelli, raccolse le sue truppe a Toledo riducendo all’obbedienza Requena e poi Zamora; avendo saputo che Ferdinando del Portogallo si stava recando a Coruña egli si diresse verso l’Estremadura dove compì diversi saccheggi; mentre Ferdinando del Portogallo si era ritirato, Enrico si recò ad assediare Carmona.

In questo periodo (1370) moriva di malattia suo fratello Tello che era riuscito a salvarsi da Pedro; come abbiamo visto, egli aveva la signoria di Biscaglia e di Lara; non lasciava eredi  e Enrico la assegnava a suo figlio Juan, come eredità della madre, la regina Juana de Lara (sorella della moglie di Tello); in seguito la Biscaglia sarà incorporata al regno di Castiglia; Enrico gli era affettuosamente legato e gli fu fatto un gran funerale degno di un principe e fu sepolto nel monastero di san Francesco nella città di Palencia.

A Carmona si trovava Martin Lopez legato a Pedro dal quale era stato nominato tutore dei suoi figli, che aveva presso di sé e custodiva il tesoro di Pedro; egli difendeva la città dall’assedio posto da Enrico il quale, per risolvere la situazione, di notte, aveva mandato quaranta uomini ad assaltare le mura, ma costoro, salvo qualcuno morto cadendo dalle scale che avevano ceduto sotto il peso, furono fatti tutti prigionieri e Martin Lopez li aveva fatti uccidere tutti a colpi di lancia.

Enrico irritato da questo atto, fece assediare la città in modo da far mancare i viveri e Martin Lopez fece sapere che avrebbe accettato la capitolazione, a condizione della vita salva e garantita la sua libertà, accordate da Enrico con giuramento; ma avuto il possesso della piazza Martin Lopez e Mateos Ferrandez de Caceres (che era stato cancelliere di Pedro) ed era con lui, furono decapitati; Enrico inoltre si impadronì del tesoro e mandò i figli di Pedro come prigionieri a Toledo  (1371).

La situazione di Zamora era anche particolare in quanto era governata da Ferrando Alfonso de Zamora che la difendeva per conto dei figli di Pedro ai quali il padre l’aveva assegnata; la questione fu risolta con l’arresto del governatore da parte di Pedro  Fernandez de Velasco, cameriere del re, che prese possesso della città.

Con strana combinazione di alleanze, il duca di Lancaster, che aveva già assunto il titolo di re di Castiglia e si apprestava con il suo esercito a occupare la Castiglia, si era alleato con Ferdinando del Portogallo (pretendente della Castiglia), i quali si rivolsero al papa, per ottenere una pacificazione ... ma il papato (con sede ad Avignone) era in pieno scisma con le pretese avanzate nei confronti del papa Urbano IV (1261-1264) da parte dell’antipapa Clemente IV (1265-1268), relativamente ai quali Enrico non si dichiarava né per l’uno, né per l’altro.

Giunsero i legati del papa (1371) per la pacificazione tra il Portogallo e la Castiglia,  già precedentemente tentata (1369), essa non aveva avuto luogo (ognuno dei due monarchi doveva restituire le città occupate), in quanto a sua garanzia era stato stabilito che Ferdinando del Portogallo dovesse sposare la figlia di Enrico, Leonora.

Ma Ferdinando non manteneva fede a questo impegno in quanto aveva deciso di sposare Leonor Tellez, togliendola con violenza al marito Juan Lorenzo de Acuña e il giorno delle sue nozze aveva mandato un messaggero da Erico, per annunciargli il suo avvenuto matrimonio!

Enrico era rimasto scontento e a dargli una mano lo soccorreva la decisione del fratello di Ferdinando, l’Infante del Portogallo Dionis, che lasciava suo fratello e passava dalla parte di Enrico in Castiglia.

Enrico si recò con la sua armata in Portogallo e si accampò nei pressi della periferia di Lisbona (1373) ben difesa per mare e per terra; prima di ritirarsi i suoi diedero fuoco ad alcuni edifici e si sviluppò un grande incendio che si estese alle navi che erano nell’arsenale.   

Nel frattempo giunse il legato del papa, cardinale Guy di Boulogne che ottenne i seguenti accordi: Il re del Portogallo avrebbe prestato aiuto a Enrico con cinque navi quando Enrico avesse prestato soccorso al re di Francia; il re Ferdinando, a tempo debito, avrebbe fatto uscire dal suo regno Ferrando de Castro e gli altri castigliani del suo partito con cinquecento cavalieri; a conferma di questi accordi erano prestate le seguenti garanzie matrimoniali: - Sancho, conte di Albuquerque, ultimo dei fratelli di Enrico, avrebbe sposato Beatrice, figlia di Pedro del Portogallo e di Ines de Castro  (v. sopra); Fadrico, figlio naturale di Enrico e di Beatrice Ponce de Leon, avrebbe sposato Beatrice, figlia di Ferdinando del Portogallo e della regina Leonora; un altro figlio naturale di Enrico avuto da Elvira Niñuz, avrebbe sposato Isabella, figlia naturale del re portoghese e avrebbe avuto le signorie delle città di Visco, Celorico e Linares.

Il primo matrimonio di Sancho con Beatrice fu subito celebrato, ma durò poco perché Sancho fu ucciso a Burgos mentre sedava una lite; era uscito infatti perché era sorta una lite tra i suoi soldati e quelli di Pedro Gonzalez de Mendoza; un soldato non lo aveva riconosciuto e lo aveva ucciso con un colpo di lancia al viso; la moglie Beatrice era stata messa incinta ed ebbe una bambina, Leonora, presa in moglie dall’Infante Ferdinando d’Aragona.

Leonora, figlia legittima (*) di Enrico  e della regina, che doveva sposare Ferdinando del Portogallo, fu data in sposa all’infante Carlo di Navarra (poi Carlo III) e il re suo padre restituì le città di cui si era impadronito; l’Infante fu mandato a Burgos e tenuto presso la corte spagnola fino al raggiungimento della maggiore età, quando si celebrò il matrimonio (1375), che la madre non potette veder compiuto, per la sua morte prematura (1373).

Enrico, per assicurarsi il regno, sin da quando si era stato fatto incoronare a Burgos (1366), aveva creato nuovi marchesi e negli anni successivi  (1371-1379) aveva nominato dei duchi, assegnando titoli che in Spagna non erano stati ancora usati; infatti, il titolo ducale era stato collegato a quello di “grande di Spagna” (distinti a loro volta in categorie); inoltre Enrico aveva assicurato più potere all’Ordine dei domenicani, al quale la madre Leonora aveva fatto assegnare la gestione dell’Inquisizione.

Enrico II muore di gotta dopo dieci anni di regno all’età di 46 anni (1379) e secondo gli usi, aveva chiesto di mettergli l’abito dei domenicani; era stato benevolmente esaltato come “principe pieno di fuoco, intraprendente, attivo, moderatamente ambizioso, flessibile per adeguarsi a ogni situazione, in attesa dell'occasione, senza essere impaziente e senza perdere il momento favorevole per approfittarne; liberale, popolare, affabile, buon amico nei confronti degli amici sinceri, pronto a ricambiare nei confronti di chi voleva ingannarlo, non vi era al suo tempo guerriero più bravo e pochi erano i capitani che lo superavano; spesso non fu molto fortunato ma nelle disgrazie, ben lungi dal lamentarsi dell'incostanza della fortuna egli seppe più d'ogni altro amministrare le sue risorse”.

 

 

*) Enrico aveva avuto tre figli legittimi, un maschio, Juan suo successore  (Juan I) e due femmine, Juana e Leonora e una caterva di figli naturali, tra i quali: Enrico conte di Cabra, duca di Medina Sidonia; Alfonso, conte di Gijon il quale sposava Isabella figlia naturale del re del Portogallo, Juana, Costanza, Beatrice detta anche Juana, Fadrico, duca di Benavente, morto in Portogallo, Maria di Castiglia, moglie di Diego Hurtado Mendoza, Costanza di Castiglia detta la Ricca, sposava Juan figlio di Pedro del Portogallo e Agnese de Castro e cugino di suo padre Enrico; il re Juan I lo fece duca di Vanenzia di Campos, titolo incorporato ai duchi di Naxera. Leonora di Castiglia sposò Alfonso d’Aragona figlio dei marchese di Villena Connestabile di Castiglia;, un’altra Juana di Castiglia sposò Pedro d’Aragona, figlio del marchese di Villena da cui nacque Enrico d’Aragona e Villena matematico e astrologo, marito di Maria d’Albornoz; questa Juana sposò in seconde nozze Dionis figlio di Pedro del Portogallo e Agnese de Castro. Fernando e Pedro morto fanciullo cadendo dalle braccia della balia; due sorelle, Agnese e Isabella, si fecero suore nello stesso convento di Santa Chiara di Toledo; gli storici assicurano ancora qualche altro figlio!

Per Beatrice figlia del re del Portogallo, che doveva sposare Fadrico, i due re genitori, decisero che avrebbe sposato l’Infante Enrico figlio di Juan I, appena nato (1379), ma poi la sposò lo stesso re Juan I in seconde nozze.

 

 

 

 

FINE