LA POLEMICA UMANISTA SULLE
"DIFFERENZE TRA PLATONE E ARISTOTELE”
CONTINUA
(nella corrispondenza manoscritta trovata da Louis Boivin-le cadet (*),
presso la Biblioteca Reale (ora Nazionale) di Francia,
con la lettera scritta da Andronico Callisti a Nicola Secondino
(ambasciatore presso il papa)
e la lettera scritta dal cardinale Bessarione
e il libro di Giorgio di Trebisonda,
Comparazione di Aristotele e Platone)
MICHELE-ENRICO PUGLIA
Il presente articolo segue
il precedente sulle
“Polemiche Umanistiche tra Aristotelici
e Platonici”
(In Schede Filosofiche)
SOMMARIO: PREMESSA (In Nota I FRATELLI LOUIS BOIVIN); GIORGIO SCOLARIO; TEODORO GAZA E GIORGIO DI TREBISONA; RIPOSTA DI SECONDINO A ANDRONICO; LE LETTERE DI BESSARIONE; LA LETTERA DI BESSARIONE A MICHELE APOSTOLIO (...“amo Platone, amo Aristotele ... considerateli uomini della più alta saggezza; In Nota Michele Apostolio); IL DILUVIO DI BILE DI GIORGIO DI TREBISONDA IN “COMPARAZIONE DI PLATONE E ARISTOTELE”; TENTATIVO DI BERNARDINO DONATO DI RINFOCOLARE LA POLEMICA; IL MONACO AGOSTINO BURATELLO CHIUDE LA POLEMICA; A NAPOLI NE SORGE ALTRA MA COINVOLGE SOLO ARISTOTELE.
PREMESSA
L |
’autore della scoperta delle lettere e dell’articolo che riportiamo, è Louis Boivin, “le cadet” (jr), letterato e grecista, bibliotecario del re (dal 1692); le lettere, trovate presso la Biblioteca reale le aveva tradotte e riportate nell’articolo “Querelle des philosophes du quinziéme siécle”, pubblicato nella Rivista dell’Accademia che riportiamo tradotta qui di seguito; le Cadet è autore anche di molti altri articoli pubblicati in “Memoires de Litterature tirez des Registres de l’Accademie Royale des Inscriptions e Belles lettres”.
T |
ra un gran numero di documenti curiosi, scrive Boivin, che non sono stati mai stampati, sparsi tra i Manoscritti della Biblioteca del Re, si trovano in buona parte quelli scritti da filosofi del XV secolo, aventi per oggetto la dottrina di Platone, preferita a quella di Aristotele.
E' da questi diversi scritti, come anche da altri testi stampati, che ho estratto tutti i particolari di questa famosa disputa, della quale credo che nessuno si sia assunto l'onere di metterne insieme le circostanze, per offrire un dettaglio storico che espongo in questo lavoro.
Verso la metà del XV secolo, prosegue Boivin, poco tempo prima che i turchi si fossero resi padroni di Costantinopoli, si accese una specie di guerra civile nella Repubblica delle Lettere, tra i filosofi greci che allora fiorivano in gran numero a Venezia, Firenze, Roma e nel resto d'Italia.
Gemisto Pletone, di grande erudizione, uno dei più bei geni del suo secolo e grande platonico, incominciò a screditare Aristotele, la cui filosofia regnava già da lungo tempo in tutte le scuole dell'Occidente nelle quali i suoi discepoli, Averroé, Avicenna e gli altri filosofi arabi, lo avevano saldamente accreditato.
Egli pubblicò infatti, un libretto con il titolo "Sentimenti di Aristotele, differenze tra questo e Platone"; questo scritto, stampato, nel quale la intera filosofia di Platone è preferita a quella di Aristotele, fu attaccato da tre uomini altrettanto illustri.
Frontespizio della Rivista
Memoires de l’Académie des
Inscriptions e Belles Lettres
MDCCXVII
*) I FRATELLI LOUIS BOIVIN
L |
ouis Boivin (1663-1726) “le cadet” (junior) era fratello dell’altro, Louis Boivin (1649-1724) maggiore, detto “l’ainé” (senior), accademico, letterato e studioso di greco. Stranamente, i due fratelli con lo stesso nome avevano anche il padre che si chiamava Louis, figlio di Francois Boivin, ambedue noti avvocati a Montreuil-Argilé (Jure); la madre dei due fratelli era Marie Vattier, sorella di Pierre Vattier professore di lingua araba.
Louis l’ainé aveva studiato con lo stesso insegnante del padre, un buon prete, il quale dopo aver trasmesso all’allievo tutto il suo sapere, gli aveva detto di non aver nient’altro da insegnargli e si congedò da lui.
L’ainé aveva quindici anni e da Montreuil fu mandato a Rouen a studiare retorica presso il collegio dei Gesuiti, dove si distinse come primo della classe; per premio ottenne il rimborso di tutte le spese del collegio; stava tornando a Montreuil, felice di comunicare alla mamma l’esito degli studi, quando apprese la notizia della sua morte (il fratello Louis aveva tre anni); aveva ventidue anni quando perdette anche il padre (le Cadet non aveva compiuto ancora nove e passò sotto la tutela del fratello maggiore).
L’Ainé si era recato una prima volta a Parigi, per portare presso la Biblioteca di Colbert (*), (dove si riunivano i personaggi che divennero accademici presso l’Accademia in fase di costitutuzione, v. nota), la traduzione latina delle opere di Avicenna, curata dallo zio Pierre Vattier, il quale aveva lasciato i manoscritti alla sorella, con la calda raccomandazione di consegnarli a Monsieur Chaplain (**).
Questi manoscritti divennero oggetto di un giallo in quanto dopo essere stati consegnati a M. Chapelain, questo non fece sapere dove li avesse depositati; ne era al corrente il solo Monsieur Thevenot (***), vecchio amico di Vattier, il quale però, pur sapendo dove essi si trovassero, ogni volta che si parlava dei manoscritti ne faceva un mistero e diceva che lo avrebbe detto solo quando si fosse presentato qualcuno in grado di farli stampare; sta di fatto che M. Thavenot morì e non si riuscì a sapere dove i preziosi manoscritti fossero finiti.
Dopo questo primo viaggio, Louis l’ainé si recò a Parigi, per seguire il corso di filosofia presso l’istituto Plessis, dove insegnava il celebre Paul Cohade, detto il filosofo sottile, dove Louis si distinse per il suo talento per la disputa.
Dalla filosofia, Boivin l’ainé passò allo studio della teologia, medicina e giurisprudenza, che però non lo appassionavano come le Belle Lettere (lettere classiche), alle quali si dedicò intensamente; egli aveva come confidenti M. Chapelain e padre Lallement, priore di Sainte Généviéve (poi Sorbona), e iniziò a scrivere versi che potevano essere attribuiti a Orazio o creduti scritti da Virgilio.
Era quindi entrato (1702), nell’Academie Royale des Sciences et Belles Lettres.
Lavoratore infaticabile e modello degli accademici, Louis aveva preso il giovane fratello di dieci anni con sé a Parigi, facendogli seguire il corso di filosofia presso lo stesso istituto Plessie; Louis “le cadet”, indirizzato e seguito dal fratello maggiore nei suoi stessi studi di storia e degli oratori latini e greci, discuterà con successo le sue tesi in queste materie.
A “le cadet” fu dato un appartamento nella Biblioteca del Re e incominciò a lavorare per suo conto sui manoscritti greci; appena assunto (1692), nello stesso anno fece una scoperta strepitosa: consultando il manoscritto delle Omelie di Efrem (scritto agli inizi del XIV sec.), trovò all’interno, in caratteri neri non sbiaditi, un altro testo più antico di dodici - tredici secoli “in lettere onciali” (usate da amanuensi latini e bizantini).
Si trattava di diverse parti, ancora leggibili, del Nuovo Testamento, precedente, come detto di dodici - tredici secoli, e questo esemplare divenne il più prezioso dell’epoca, che nessun’altra Biblioteca possedesse.
Ambedue i fratelli pubblicavano una parte dei loro studi, (che riguardavano la classicità greca, antiche religioni, lingue ecc.), nella rivista dell’Accademia (Memoires de Litterature e Histoire de l’Accadémie royale); alla morte del fratello maggiore Louis, “le cadet” prese il suo posto nell’Accademia,
*)Jean Baptiste Colbert (1619-1683), era ministro dell’economia e delle finanze sotto Luigi XIV (v. in Art. Veleni, messe nere e filtri d’amore,ecc. P.I); erroneamente indicato come fondatore dell’Accademia costituita (1633) dal cardinale Richelieu; la data di costituzione (1666) attribuita a Colbert è dovuta alla circostanza che l’Accademia aveva avuto diversi cambiamenti; lo Statuto infatti fu redatto successivamente (1634/35), mentre con Luigi XIV, glorificato nella litografia della Rivista dell’Accademia (sopra riprodotta), era approvato il Regolamento (1701); inizialmente indicata come “Académie des Inscriptions et Medailles”, era poi divenuta “Académie Royale des Inscriptions et Sciences” (con Colbert, 1666) e in ultimo aveva avuto il nome definitivo di “Académie Royale des Sciences e Belles lettres”.
**) Jean Chapelain (1595-1674), nominato dal cardinale Richelieu, accademico con l’incarico di scrivere un Dizionario della lingua francese curato dall’Accademia.
***) Melchisedec Thevenot (1620-1692), scrittore, fisico e cartografo.
GIORGIO SCOLARIO
GENNADIO
I |
l primo, continua Boivin, era Giorgio Scolario, che fu nominato patriarca di Costantinopoli, conosciuto col nome di “Gennadio”, il quale si applicò particolarmente a dimostrare che i principi di Aristotele si accordavano meglio di quelli di Platone alla teologia cristiana.
Noi non abbiamo quest’opera di Gennadio [andata perduta ndr.], ma ciò che Pletone stesso ci ha conservato nello scritto intitolato "Risposta alle ragioni che Scholario ha allegato per la difesa di Aristotele", che non credo sia mai stata stampata, una sua copia manoscritta si trova nella Biblioteca del Re.
Pletone aveva scritto al suo avversario con tutta l'acredine di un uomo punto sul vivo e con tutta l'autorità di un maestro che fa la lezione a un allievo.
Gennadio non ritenne opportuno replicare nell'immediatezza, prosegue Boivin; volle attendere l’occasiona favorevole, che si presentò poco tempo dopo e non se la lasciò sfuggire.
Egli seppe che Pletone aveva scritto un libro a imitazione della “Repubblica” di Platone, in cui pretendeva di stabilire un nuovo sistema di religione, una teologia puramente pagana; Gennadio lasciò perdere Platone e Aristotele e attaccò direttamente l'autore del nuovo sistema, accusandolo di voler capovolgere la religione cristiana e ristabilire quella pagana che adorava diversi Dei.
Pletone, colpito da questa accusa, non osò pubblicare il suo libro e lo tenne conservato finché visse.
Alla sua morte, Demetrio, principe della famiglia dei Paleologhi presso il quale il libro sarebbe stato dato in deposito, lo mandò a Gennadio, per mezzo del patriarca, il quale prontamente lo censurò e lo condannò al fuoco (*).
Noi abbiamo, scrive Boivin, tra i manoscritti della Biblioteca del Re, la lettera scritta da Gennadio a Giovanni l’Esarca dove questo fatto è raccontato lungamente e la perniciosa dottrina di Pletone è solidamente contestata.
Sebbene la censura del libro di Pletone, pubblicata da Gennadio, non attaccasse direttamente né Pletone, né Platone, tendeva a dimostrare che la lettura dei libri di questo filosofo fosse pericolosa, perché essa aveva talmente alterato lo spirito di Ghemisto, che gli aveva fatto nascere la 'stravagante idea di riformare il governo e la religione (**).
Dopo Gennadio, i due più illustri difensori di Aristotele furono Teodoro Gaza e Giorgio di Creta noto come Giorgio di Trebisonda.
*) Come riferisce Ducas in Historia turco-bizantina 1341-1462, Gennadio il libro lo aveva bruciato personalmente.
**) Pletone (1355-1452) costituzionalmente come autentico “greco-bizantino”, addebitava ai cristiani la rovina dell’impero e li contestava con il voler sovvertire la religione; egli riteneva, [a ragione per chi segue questa teoria], che le religioni si evolvono e poi cambiano, e quella che egli proponeva sarebbe stata una evoluzione del cristianesimo; era stato accusato di paganesimo in quanto auspicava un culto del Sole al quale aveva dedicato inni e preghiere ben accolto dagli umanisti italiani.
TEODORO GAZA E
GIORGIO DI TREBISONDA
G |
aza scrisse direttamente contro Pletone; Giorgio (di Trebisonda) invece cominciò ad attaccare Bessarione [allievo di Pletone], che racconta egli stesso l'origine di questa disputa nel suo libro “Apologia di Platone”. Ecco il fatto.
Aristotele, nel secondo libro della Fisica, dice che: “Tutto ciò che è fatto dalla natura è fatto per qualche fine e quindi che essa non fa niente con disegno, vale a dire con premeditazione, con conoscenza, con ragione”.
Questa tesi era stata attaccata da Pletone che pretendeva, con Platone, “che la natura non fa niente che [se non ndr.] con ragione e con prudenza”.
Gaza prese le parti di Aristotele e scrisse al cardinale Bessarione supplicandolo di far conoscere il suo pensiero su questa questione.
Il cardinale che era discepolo di Pletone e lo consultava ogni giorno sulle questioni filosofiche, diede una risposta molto succinta in cui spiegava i termini dei quali Platone e Aristotele si erano serviti, affermando che i due filosofi non erano tanto distanti nel loro modo di sentire come potesse sembrare.
Giorgio di Trebisonda dopo diverso tempo, rimproverava a Bessarione che gli aveva preferito Gaza, in non so bene, scrive Boivin, su quale argomento; per la stessa ragione egli ce l’aveva altrettanto con Gaza, la cui reputazione gli faceva ombra.
La risposta di Bessarione sulla questione di cui stiamo parlando, gli era capitata tra le mani e ritenne che questo scritto non fosse di Bessarione ma di Gaza; e avendo sollevato la contestazione, aveva offeso tre persone di merito distinto, quali Bessarione, Gaza e Pletone.
A questo modo non fece che litigare nello stesso tempo, col difensore di Platone e anche con quelli dello stesso Aristotele, di cui sosteneva la dottrina.
Il tono della polemica si era riscaldato e altri greci di minor importanza ne presero parte, alcuni in difesa di Gaza, altri in difesa di Pletone. Michele Apostolio, giovane bizantino, legato a Pletone o piuttosto a Bessarione, scrisse contro Gaza e contro Aristotele; il suo scritto non era che un tessuto di ingiurie grossolane, con delle argomentazioni ardite in una materia che egli non conosceva.
Andronico soprannominato Callisti, ovvero figlio di Callisto, scrisse una risposta; questi due documenti, di cui credo non resti attualmente alcuna traccia, scrive Boivin, apparsi contemporaneamente, non furono ben accolti e facevano poco caso allo scritto di Apostolio.
RISPOSTA DI SECONDINO
A ANDRONICO
(...”amo e stimo Teodoro”...)
L |
a risposta di Andronico, prosegue Boivin, fu approvata da persone di buon gusto e soprattutto da Nicola Secondino, uomo di spirito, di cui riporto qui la testimonianza e che giunge a proposito, della quale ho un estratto in quanto non è stata mai stampata: è ad Andronico stesso che questa lettera è indirizzata da Secondino che gli scrisse in questi termini:
Viterbo 5.VI.1462,
“Il dovere di ambasciatore presso Sua Santità mi obbliga a soggiornare tanto a Roma quanto a Viterbo; ho avuto la fortuna di trovare e leggere il vostro scritto contro un certo Michele Apostolio: quest'uomo che io non conosco affatto, ha pubblicato una lettera contro Teodoro Gaza uno scritto pieno di ingiurie e di calunnie, col pretesto di difendere Platone e i platonici, di cui egli abbraccia la disputa; non è passato molto tempo che una persona amica mi ha portato questo documento; io l'ho sfogliato e letto con pochissimo compiacimento.
In effetti, se egli si è permesso di dire liberamente ciò che pensa, mentre prometteva grandi cose, alla fine non fa che dire solo una piccola parte di ciò che aveva promesso di dire.
Mi sono veramente indignato nel vedere Teodoro maltrattato e calunniato ingiustamente, quando sono incappato nello scritto da voi apprestato in sua difesa.
Giudicate la mia gioia. Che è stata grandissima ed è stata dovuta a più di un motivo.
In primo luogo, amo con tutto il mio cuore Teodoro e lo stimo infinitamente: la sua eloquenza, la sua precisione e la sua applicazione nell'approfondire tutte le scienze; non sono i suoi soli talenti che ammiro in lui; ammiro più di ogni altra cosa i suoi costumi, la virtù, questo carattere di probità, questa sua condotta saggia e regolare, questo comportamento onesto, questa beatitudine naturale, le meravigliose disposizioni che gli vedo in tutte le belle cose che fa. E' certo che senza offendere la verità, si può dire che Teodoro è il primo di tutti i greci d'oggigiorno per la sua moralità e per la sua erudizione. Così, mio caro Andronico, sono rimasto molto contento che abbiate preso le sue difese; e ho letto attentamente ciò che avete scritto in suo favore e questa lettura mi ha fatto un estremo piacere; ho visto le sue calunnie respinte, l'amarezza del suo fiele corretta con la dolcezza e oserei dire, con il miele del vostro discorso: le macchie che sono state sparse in maniera indegna sulla verità stessa, interamente oscurate dalla vostra eloquenza, che l'ha resa chiara e brillante, risplendendo, senza bisogno di altro, della propria bellezza; l'ignoranza, l'inciviltà la rozzezza sono bandite nelle relazioni tra le persone oneste.
Tutto ciò mi è estremamente piaciuto; infine, per me è stato nuovo motivo di gioia sapere che siete stato l'autore di un sì bell'intervento e che un così prezioso tessuto è l'opera di una mano che mi è troppo cara.”
Il resto della lettera è dello stesso tenore, molto meglio elaborata della parte iniziale che non può essere oggetto di apprezzamenti, in quanto non abbiamo trovato nulla di particolare sulla questione.
Questo Andronico, continua Boivin, al quale è stata indirizzata la lettera di Secondino, non era né nemico né partigiano di Pletone.
Egli era peripatetico di professione e per questo motivo tenuto a sostenere i sentimenti di Aristotele; ma il suo attaccamento a questo filosofo non andava al di là del suo interesse, e non fino al punto di voler criticare Platone.
Egli rifiutò dunque lo scritto di Apostolio, ma in maniera saggia e corretta; e per dimostrare che le sue intenzioni non erano quelle di offendere il cardinale Bessarione, che allora sembrava dichiararsi interamente per Platone, e che aveva dell'affetto verso Apostolio, gli inviò lo scritto di questo, con la confutazione che aveva scritto, sottomettendosi interamente a ciò che piaceva al cardinale sulla decisione delle questioni proposte.
Bessarione dopo aver letto ed esaminato con attenzione questi due scritti, condannò Apostolio e approvò interamente la risposta di Andronico.
LE DUE LETTERE
DI BESSARIONE
A |
bbiamo tra i manoscritti della Biblioteca Reale, scrive Boivin, due lettere della stessa data sullo stesso soggetto, che non sono state pubblicate.
Esse sono ambedue di Bessarione, la prima indirizzata ad Andronico e non contiene nulla di rimarchevole.
“Ho letto” egli scrive, “lo scritto confuso e mal digerito di Michele Apostolio contro il nostro amico Teodoro Gaza con la vostra saggia risposta all'autore dello stesso scritto. A lettura finita, dopo il giuramento, ho emesso la sentenza di cui vi mando copia; è inutile che io faccia un lungo discorso, che avrei la pena di fare a causa della mia salute.”
La seconda lettera che è piuttosto lunga è indirizzata a Michele Apostolio; essa contiene una eccellente lezione riguardante la venerazione che si deve avere per i grandi personaggi che hanno inventato o perfezionato le arti e le scienze, e sopratutto la cui reputazione è consacrata dalla approvazione costante e universale di tutti i secoli.
La qualità di protettore della nazione greca, congiunta alla dignità di cardinale, davano a Bessarione il diritto di parlare a Apostolio con una certa autorevolezza, così non potrà sorprendere se si trova nella lettera qualche termine un pò duro. Io non credo che essa sia mai stata stampata; Leone Allacci (*) l'ha indicata nella “Diatriba De Georgis” in cui parla di questa disputa, riportando tre o quattro righe [in Jo. Alberti Fabricii: Bibliothecae Graecae Liber V, LV]; ecco la traduzione dell'intero documento.
*) Leone Allacci (1586-1669) teologo studioso di greco di derivazione latina; trasferito a tredici anni da Chio a Roma. Tra i suoi scritti: "De Graecorum hodie quorundam opinapibus" Colonia 1645 in cui discusse dell'esistenza dei vampiri; “De Ecclesiae occidentalis atque orientalis in fidei catholicae dogmatae” Colonia 1655 “Vita e morte di P. F. Alessandro Baldrati da Lugo, fatto morire nella Città di Scio dai Turchi per la Fede Cattolica di Febbraio 1645” Roma 1657 Drammaturgia Roma Mascardi 1666.
LA LETTERA DEL
CARDINALE BESSARIONE
A MICHELE APOSTOLIO (*)
“...amo Platone, amo Aristotele
... considerateli uomini
della più alta saggezza”
I |
l vostro scritto su Pletone contro Teodoro Gaza mi ha sbalordito tanto che non l'avreste creduto, e più ancora stento a credere che sia uscito dalle vostre mani. Me lo ha inviato Andronico figlio di Callisto, con altro suo [scritto], dopo averlo letto attentamente. Il vostro zelo per Platone e i suoi partigiani mi è piaciuto molto, ma non posso approvare la maniera in cui li difendete.
Non è con le ingiurie, ma con le prove, con ragioni solide e con persuasione che si devono difendere gli amici e combattere gli avversari.
Pletone ha oltraggiato Aristotele, Teodoro ha maltrattato Pletone, voi avete parlato male di Teodoro: siete tutti e tre degni di biasimo. Si può mai oltraggiare Aristotele, questo grande filosofo, verso il quale siamo debitori di tante cose eccellenti?
Pletone è un uomo molto erudito, di una genialità superiore. Non si può dire niente contro di lui, a meno che non si dica che, avendo attaccato, egli abbia messo gli altri in condizione di respingere; e Teodoro è uno di quelli che oggi mantiene il primo rango presso i greci. Non vi conviene parlarne con disprezzo di un uomo come lui. Voi siete giovane e lui ha una età che merita essere rispettata. Voi non avete ancora ben studiato le regole della logica: Teodoro ha seguito i suoi corsi in tutte le discipline della letteratura e delle scienze; E’ un errore volergli tener testa, sopratutto quando affronta simili argomenti.
La filosofia non ha cose più importanti di quelle di cui qui si discute e certamente esse sono al di sopra della portata del volgare. E’ impossibile parlarne con esattezza, a meno che non se ne abbia una idea precisa, se non sia stato coltivato, con molta applicazione, lo studio della filosofia e non si sia approfondito lo studio delle scienze che ne dipendono.
Ho dunque sofferto con pena per la vostra accusa di ignoranza a un uomo così erudito come Teodoro. Ma che voi abbiate trattato così indegnamente lo stesso Aristotele, nostra guida e maestro in ogni genere di erudizione; che abbiate osato esprimere ingiurie grossolane, dargli dell'ignorante, stravagante, ingrato e accusarlo di cattive leggi, giusto cielo, come è possibile! Per me, io non credo si possa avere una simile audacia.
Posso appena sopportare Pletone, o piuttosto non lo posso sopportare, qualche considerazione che merita un uomo delle sue qualità, quando gli scappano simili parole contro Aristotele.
Eh, come potrei permetterlo a voi che non avete ancora studiato a fondo nessuna delle sue materie!! Credetemi, per l'avvenire considerate Platone e Aristotele come due uomini della più alta saggezza; seguiteli passo dopo passo, sceglieteli come guida, leggeteli con attenzione, meditateli, anche con l'aiuto di qualche abile maestro, sappiate ben penetrare la profondità dei loro ragionamenti. Perché questi due autori non parlano in maniera da essere capiti da tutti quelli che vogliono intenderli. Dopo di che, se qualche volta esprimono differenti sentimenti, non accusateli di ignoranza; non abbiate mai una simile idea. Osservate piuttosto questa diversità di opinioni come un segno della forza dei loro ragionamenti, della grandezza del loro genio e di ciò che le questioni di cui trattano è oscuro e problematico. Ammirate il loro profondo sapere, e per tutti i sentimenti di un umile riconoscenza tenete conto del bene che essi ci hanno procurato. E’ il miglior partito che possiate prendere. Voi troverete il vostro vantaggio, e nello stesso tempo farete un piacere a me e a tutte le persone sensate.
Avete creduto di obbligarmi a fare altrimenti; voi mi avete veramente mortificato, in primo luogo perché avete oltraggiato apertamente delle persone che non meritavano di essere insultate; in secondo luogo perché avete dimostrato di non essere per niente versato nella lettura delle loro opere. Fareste meglio, se mi credete, a rispettare Teodoro. Onoratelo come vostro maestro, prendete da lui delle lezioni su tutto ciò che potrete. Egli è capace di offrirvi cose molto utili e molto altro ancora.
Per quanto mi riguarda, voglio ben disingannarvi, in modo che in avvenire la voglia di compiacermi non vi faccia parlare di questi grandi uomini, come avete parlato. Sappiate dunque che io amo Platone, amo Aristotele; che ho per l’uno e per l’altro tutta la venerazione che si deve avere per due grandi filosofi; che, per quanto riguarda Pletone, io ammiro la grandezza del suo genio, i talenti che la natura gli ha donato; ma che non approvo per niente questi cattivi umori, questo strano intestardirsi che ha contro Aristotele. Io vorrei, quando Pletone attacca Aristotele o gli altri attaccano o i due principi dei filosofi o lo stesso Pletone o chiunque altro possa essere, io vorrei, dico, che ciò si faccia con tutta la moderazione che Aristotele ha osservato quando aveva contraddetto quelli che lo hanno preceduto.
E' sempre per delle ragioni, che egli stabilisce ciò che (egli) ha da provare e spesso non lo fa che pregando quelli che lo ascoltano e quelli che lo correggono, di perdonare la libertà che egli ha osato prendersi. Egli non pronuncia mai ingiurie. Allorquando egli discute con più veemenza, egli osserva ancora qualche misura. Quanto alle Idee [platoniche], egli dice, son poca cosa, è meglio lasciarle al loro posto. Che esse sussistano o non sussistano, ciò non ha influenza sull'argomento. D’altronde, parlando di alcune altre persone: Queste persone, egli dice non hanno alcuna infarinatura della Dialettica. Ecco ciò che egli abbia mai detto di più ingiurioso. E noi che paragonandoci a questi grandi uomini non siamo che dei piccolissimi personaggi, noi abbiamo l'ardire di trattarli da ignoranti, di beffarli in una maniera incivile, più che le commedie non hanno mai beffeggiato né Cleone né Iperbolo (**) .
E allora, chi siamo noi dunque! Che conoscenza, quale esperienza abbiamo delle cose naturali! In verità questa condotta è ben estranea e ben insensata. Perché, al fine, mio caro Apostolio, non crediate che ciò che sia stato permesso a uomini animati dallo spirito di Platone e Aristotele, a un uomo erudito e di un genio onorevole come Pletone, Plotino, Attico e Porfirio o loro pari, di correggere Aristotele e Platone e qualche volta di biasimarli, non crediate che noi abbiamo lo stesso diritto, voi e io!
Gli antichi censori di Platone e Aristotele possono essere scusati sulle circostanze del tempo in cui essi sono vissuti, gli uni contemporanei, gli altri più distanti dal secolo di questi due filosofi; sulla natura delle loro dispute molto vive e molto ostinate e su ciò che in quei tempi l’invidia non era ancora interamente cessata. La vasta erudizione di un critico che possiede tutte le scienze è una giustificazione legittima. Ma noi che siamo così inferiori a Aristotele e Platone oggigiorno soprattutto che la loro autorità si è consolidata sullo scorrere di una lunga trafila di anni, sull’universale approvazione e sul comune suffragio di tutti gli uomini ed è pervenuta a un sì alto livello, non possiamo sperare in nessuna grazia se noi osiamo così censurarli. Ve lo ripeto ancora una volta, mio caro Apostolio, voi avete parlato molto male di Aristotele senza aver detto nulla in difesa di Pletone, che certamente non ha bisogno di molti discorsi per la sua difesa. Voi avete ingiustamente e senza ragione parlato male di un uomo considerevole per il suo sapere, voglio dire di Teodoro Gaza.
Infine, ben lontano dall’aver fatto tutto ciò che mi fosse gradito, avete fatto una cosa che mi è estremamente dispiaciuta. Dopo ciò, approfittate del suggerimento che vi offro. Io vi amo e vi voglio bene e desidero tanto il vostro utile. Ritrattate ciò che avete detto. Cancellate l’ingiustizia delle vostre calunnie con delle manifestazioni di affetto, e con testimonianze convenienti.
Leggete con riflessione e con calma le risposte di Andronico alle vostre obiezioni. Andate incontro alla verità che egli sostiene: e come lui, dedicate innanzitutto il tempo necessario allo studio della grammatica, dell’ortografia, della lingua, della retorica: apprendete a comporre con esattezza e eleganza. Dopo di ciò osate elevarvi a qualcosa di più grande e fino alla Filosofia stessa.
Abbiate cura della vostra salute e seguite i miei consigli come quelli di un buon amico.
Dai bagni di Viterbo il 19 Maggio 1462.
*) Michele Apostolio (1420c.a-1478) originario di Creta dove viveva il padre Arsenio; a metà del XV sec., era venuto in Italia mettendosi sotto la protezione di Bessarione che come si vede dalla lettera lo tratta da scolaro; ma Apostolio come letterato aveva avuto una consistente produzione (riportata in Fabricius Vol. X), curata poi a Creta da suo figlio Aristobulo.
**) Cleone e Iperbolo sono stati due personaggi storici del III sec. a.C., divenuti personaggi di commedie (Aristofane) e Bessarione intende dire che più che l’opera, oggetto di critica sono stati i personaggi.
IL DILUVIO DI BILE
DI GIORGIO
DI TREBISONDA
IN
“COMPARAZIONE DI
PLATONE E ARISTOTELE”
[Per la punteggiatura è stata rispettata
quella del testo francese]
S |
arebbe da augurarsi, scrive ancora Boivin, che gli Apostolii di oggi, il cui nome è troppo grande, abbiano degli amici tali che Bessarione, che fa loro spalancare gli occhi e che aveva loro insegnato a parlare con rispetto dei personaggi illustri dell’antichità, così bene, come quelli del nostro secolo.
La lettera del cardinale non rimase senza effetto. Apostolio rientrò in se stesso e approfittò dei consigli salutari che gli aveva dato un uomo così giudizioso. Egli non attaccò, almeno dopo quel tempo, come era stato in precedenza: e fino a quando lo stesso cardinale fu morto, egli rese l’ultimo omaggio di riconoscenza con un discorso funebre, la cui copia manoscritta si trova presso la Biblioteca del Re.
Ma, prosegue Boivin, riprendiamo il filo della nostra storia, interrotta dalla lettera che veniamo a leggere.
Nel tempo in cui essa fu scritta, Gemisto Pletone, alla cui disputa partecipavano i filosofi greci della corte del Cardinale, divenuto estremamente vecchio dimorava nel Peloponneso, dove si era ritirato dopo molti anni. La sua veneranda età e il credito di Scolario suo nemico, divenuto patriarca di Costantinopoli, non gli permettevano di difendere la sua causa così vivamente come egli aveva fatto all’inizio. Intanto gli stessi nemici lo temevano ancora o lo rispettavano. Non appena fu morto si scagliarono contro Platone e contro di lui.
Si vide improvvisamente comparire un libro latino intitolato “Comparatio Platonis et Aristotelis” . Alla fine di quest’opera, o piuttosto di questa invettiva, che a dire propriamente non è altro che un diluvio di bile e della bile più nera, contro Platone e i suoi difensori, ecco cosa diceva di Pletone.
“E’ nato per noi, si è levato per noi un secondo Maometto; e questo secondo, se non ce ne guardiamo prevarrà tanto sul primo per le conseguenze funeste della sua cattiva dottrina, che il primo l’ha ripresa da Platone. Allievo e discepolo di questo filosofo in materia di eloquenza, di scienza e di religione, egli ha stabilito la sua dimora nel Peloponneso. Il suo nome ordinario è Gemisto. Egli si è dato lui stesso il nome di Pletone. Può darsi che Gemisto, per farci credere più facilmente che egli è caduto dal cielo, e per impegnarci a ricevere più prontamente la sua dottrina e la sua nuova legge, ha voluto cambiare il nome seguendo l’esempio dei suoi antichi Patriarchi, di cui è detto, che nel tempo in cui il loro nome è stato cambiato, essi sono stati chiamati alle più grandi cose. Egli ha scritto con molta arte e in maniera molto elegante, delle nuove regole per la condotta di vita; e si crede che in questa occasione abbia vomitato un gran numero di blasfemie contro la Religione Cattolica. Ciò che risulta costante, è che egli sia stato così zelante Platonico, che egli non abbia altri sentimenti che quelli di Platone sulla natura degli Dei, su quella dell’anima, sui sacrifici, ecc. .
Io l’ho sentito dire io stesso, quando eravamo a Firenze (perché era venuto per assistere al Concilio con gli altri Greci), che in pochi anni tutti gli uomini in tutte le terre avrebbero abbracciato in un comune sentimento, e con uno stesso spirito, una sola e una stessa Religione, alla prima indicazione che loro sarebbe stata data con una sola predicazione.
E su ciò che io avevo domandato, se fosse stata la Religione di Gesù Cristo o quella di Maometto; né l’una né l’altra, mi rispose, ma una terza che non sarà differente dal paganesimo: parole delle quali rimasi così indignato che da quel momento l’ho sempre detestato, l’ho temuto come una pericolosa vipera, e mi sono determinato a non vederlo e non sentirlo più”.
Questa è l’idea che ci dà di Pletone l’autore della “Comparazione di Platone e Aristotele”. Il resto dell’opera è riempita di invettive e parecchie contro lo stesso Platone. Uno scritto di questa natura non può mancare di fare molto chiasso, soprattutto presso i Platonici.
Il Cardinale Bessarione, uno dei più interessati alla gloria di Platone, di cui egli aveva già preso le difese, era stato uno dei più zelanti a rendersi conto del contenuto del nuovo libro.
Egli lo lesse e rimase molto sorpreso di trovare se non ingiurie e atroci calunnie. Egli ritenne di doverlo rifiutare; ed é ciò che fece pubblicando l’opera che aveva intitolato “In calumniatorem Platonis” .
Questo calunniatore era Giorgio di Trebisonda, con il quale il Cardinale era stato già alle prese su alcune opinioni particolari di Aristotele e di Platone, come abbiamo evidenziato.
L’opera di Bessarione è stampata. Essa è divisa in cinque libri ai quali è stato aggiunto un sesto che riguarda le vecchie contestazioni [l’anno di pubblicazione del presente saggio è stato il 1714 e Boivin non dà indicazioni sulla stampa del libro citato, che evidentemente è posteriore a quella stampata in Italia da Aldo in “libri quatuor”, Venezia, 1516].
E’ opportuno rilevare, scrive
Boivin, che in questi cinque libri non è detta una parola di giustificazione su
Pletone, che non sembrava essere stato maltrattato dal calunniatore (di
Pletone) perché egli aveva intrapreso la difesa di questo Filosofo.
Io non so a cosa attribuire questo silenzio del Cardinale, che aveva spesso
incontrato Pletone, non solamente come maestro, ma come grande personaggio, se
non alla impossibilità di smentire l’accusa che gli veniva rivolta, in
riferimento alla novità introdotta [nella religione] di cui egli passava come
autore.
In effetti, questa accusa era fondata su prove estremamente consistenti e Giorgio di Trebisonda non era stato il primo ad averla fatta. Io stesso credo che il fatto era già interamente assodato al momento in cui il Cardinale Bessarione aveva pubblicato l’Apologia di Platone. Perché fu intorno a quel tempo che il libro di Pletone era stato censurato da Gennadio e condannato al fuoco, a causa della empietà per la quale questo Patriarca pretendeva che ne fosse pieno.
Questa esecuzione ignominiosa ferì talmente la memoria di Pletone che tutti i suoi amici furono apparentemente obbligati ad abbandonare la sua difesa. E in verità, a giudicare l’opera, che egli aveva composto per istituire il suo sistema, dall’estratto che ci resta della lettera di Gennadio indirizzata a Giovanni l’Esarca, non vi può essere nulla di più empio nel disegno del suo autore né di più bizzarro della disposizione stessa e composizione della materia.
Il titolo completo é il seguente: “Questo libro tratta delle leggi, della miglior forma di governo, e di ciò che gli uomini devono osservare in pubblico e, in particolare, per vivere nella maniera più perfetta, più innocente e più onorevole”
Il tutto era diviso in tre libri. I titoli dei capitoli, dove il paganesimo era affermato apertamente, sono riportati da Gennadio, che non aveva emesso alcun giudizio senza entrare nella questione morale, neanche a titolo di ragionamento.
L’empietà e la stravaganza del nuovo legislatore, appariva soprattutto negli articoli concernenti la Religione. Egli riconosceva parecchi Dei, i superiori che egli indicava “al di sopra del Cielo” e gli inferiori “al di sotto del Cielo”; gli uni della prima antichità, gli altri più giovani e di differenti età. Egli dava il nome di Re a questi Dei, e nominava Zeus, come lo nominavano una volta i Pagani.
Secondo lui gli astri avevano un’anima; i demoni non erano degli spiriti maligni; il mondo era eterno. Egli istituiva la poligamia, o la libertà di avere diverse donne. E voleva che fossero in comune. Tutta la sua opera era piena di parecchie stranezze, e di parecchie empietà i cui dettagli sarebbero troppo lunghi da descrivere.
Nonostante tutto ciò, vi sono stati degli scrittori cattolici, nel novero dei quali vi è Leone Allacci, che hanno fortemente rimpianto la perdita di quest’opera di Pletone, e che hanno preteso che il disegno dell’autore non era stato per nulla quello di sovvertire la Religione Cristiana, ma solamente di sviluppare il sistema di Platone, e di dichiarare ciò che lui e gli altri Filosofi avevano scritto sulle materie di Religione e di politica.
Per il resto, il libro del Cardinale Bessarione espose interamente le cattive idee che Giorgio di Trebisonda aveva ripreso da Platone e dalla sua filosofia.
Gli stessi seguaci di Aristotele riversarono le loro prevenzioni contro Platone. Le invettive cessarono da una parte e dall’altra e la pace regnò per diversi anni tra i Filosofi delle due sette.
TENTATIVO DI
BERNARDINO DONATO
DI RINFOCOLARE
LA POLEMICA
N |
el secolo seguente, Bernardino Donato di Verona sembrò voler rinnovare la disputa su un dialogo latino intitolato “De Platonica atque Aristotelica philosophiae differentia” , stampata a Parigi nel 1541, per essere aggiunta al testo greco del piccolo libro di Pletone stampato l’anno precedente da Em. Tusan (?). Questa opera di Donato non è altro che quella di Pletone ridotta in forma di dialogo. Essa è scritta con molta arte, e meritevole di essere letta, come non ha bisogno di altra raccomandazione di quella del suo stile, che e tutt’affatto Ciceroniano, soprattutto nella prefazione indirizzata a Rodolfo [Pio 1500-1564] Cardinale di Carpi, che era stato in Francia come Nunzio.
Il Dialogo di Donato che andò effettivamente a rinfuocare la fiamma della discordia presso i Filosofi, schiatta allora assai litigiosa e facile a irritarsi, fece meno impressione sui loro spiriti dei libri del Cardinale Bessarione che si trovavano nelle mani di tutto il mondo. Molti eruditi, sull’esempio di questo grande uomo, cercarono nello stesso secolo di conciliare la filosofia di Platone con quella di Aristotele.
Nell’anno 1514, Sinforiano Champier, primo medico del duca di Lorena, aveva fatto stampare a Parigi presso Badius, quattro libri in latino, intitolati “Sinphonia Platonis cum Aristotele” .
IL MONACO
AGOSTINO BURATELLO
CHIUDE LA POLEMICA
V |
erso la metà dello stesso secolo,scrive Boivin, un autore spagnolo compose anche in Latino un’opera divisa in cinque libri, che dedicò a Filippo II, allora infante di Spagna, e Re d’Inghilterra.
Quest’opera che ha per titolo “Serbastiani Foxii Morzilli Hispaklensis de Natura Philosophiae, seu de Platonis et Aristotelis consensione, libri V” , fu stampata a Lovanio nell’anno 1556. Può darsi sia tra quelle più solide e meglio scritte in questa materia; e io credo che nessuno abbia mai parlato nella maniera più elegante su questo genere di questioni.
Per il resto, l’autore di quest’opera non tratta che ciò che riguarda la fisica, e si studia meno a paragonare i sentimenti dei due Filosofi che a spiegarli e fissarli [nei loro principi]. Per il resto non sembra abbia avuto molta cura nel completare perfettamente l’idea del titolo che ha messo all’inizio della sua opera.
Erano passati circa vent’anni da quando il libro stampato era apparso per la prima volta, quando un Monaco Agostiniano della città di Ancona chiamato Gabriele Buratello. donava al pubblico una nuova conciliazione dei due filosofi con il titolo “Praecipuarum controversarum Aristotelis et Platonis conciliatio; opus desideratum, et a veteribus et a recensoribus pollicitum, non tamen absolutum”.
Lascio a quelli che sono più versati di me, scrive Boivin, nella lettura di Platone e di Aristotele, la cura di esaminare a fondo se Buratello abbia curato fedelmente e con successo ciò che promette il titolo dell’opera, donde certamente la latinità è ben differente da quella dell’autore spagnolo.
Così ebbe fine questa grande disputa dei Platonici e dei settari di Aristotele. Essa era cominciata con delle invettive; fu terminata, come la maggior parte delle altre diatribe, con degli accomodamenti, e con la riconciliazione delle due parti, che dopo aver lungamente disputato, prima di intendersi, si trovarono infine d’accordo, con poco utile per i sentimenti, sui principali punti della loro dottrina.
A NAPOLI NE SORGE
UN’ALTRA MA
COINVOLGE SOLO
ARISTOTELE
C |
hiusa la polemica tra i due sommi filosofi, a Napoli si accende un altro fuoco, questa volta contro il solo Aristotele accusato di tutte le più insolite malefatte!
Di che cosa veniva accusato, a distanza di circa duemila anni, l’illustre filosofo?
Verso la fine del “1600” un letterato aristotelico gesuita Giovan Battista De Benedictis, originario di Ostuni, aveva insegnato filosofia e teologia (*), seguendo la scuola aristotelica e faceva parte della Compagnia di Gesù.
Sotto il nome di Benedetto Aletino aveva scritto le “Lettere Apologetiche” (in Difesa della Filosofia Scolastica e Filosofia Peripatetica) che prendevano le difese dell’uso che si era fatto di Aristotele nella Scolastica; alla prima ne erano seguite altre quattro: cinque in tutto (stampate in Napoli nel 1694).
Perché Benedetto Aletino aveva scritto queste Lettere per difendere la Scolastica? Eccone o motivi.
Il letterato napoletano Leonardo di Capua, era stato incaricato di eliminare gli abusi e gli errori che si commettevano a Napoli nella medicina; poiché si riteneva che per la sua formazione un buon medico o un buon chimico, più di ogni altra cosa, doveva "fornirsi di ottima filosofia”, e poiché gli abusi e errori dei medici erano attribuiti alla “filosofia perniciosa”, si era risaliti agli errori commessi dai "filosofanti" [insegnanti di filosofia] al cui vilissimo servaggio erano state sottoposte le Scuole.
E, poiché Aristotele, più che di ogni altro aveva usurpato la tirannide delle Scuole, il Capua si dedicò “a dimostrare i gravi errori di Aristotele, contro la Santa Fede, i più notevoli falli contro l'Esperienza e infine contro l'aristotelica dottrina sui principi dello cose, degli elementi, della natura e altre siffatte, appartenenti alla filosofia naturale”.
Ma tutto ciò il Capua lo fece non già perché dalle Scuole fosse bandita quella filosofia ma perché coloro che la insegnavano non seguissero a occhi chiusi ciò che era stato loro insegnato, “ma filtrarlo attraverso l’uso della ragione e della esperienza che sono i principali elementi dell'ottimo filosofare”.
Da ciò fu dato alle stampe un libro che fece decadere la filosofia peripatetica, che già da molto tempo era stata bandita dai suoi cultori, i quali dai libri pubblicati si erano avveduti delle sue manchevolezze; ma erano ancora molti, scriveva Grimaldi, coloro che la seguivano perché non tutti potevano conoscere la lettura di Pico, Patrizi, Mario Nizolio, Gassendi e di altri.
Il ragionamento di Capua, “di toscana favella, di ottimo stile e mirabile erudizione”, veniva letto da tutti, con sommo piacere, anche da non professori, per cui vennero a questo modo svelati i difetti della filosofia peripatetica che prima erano conosciuti da pochi, con la conseguenza che le Scuole aristoteliche caddero in discredito e abbandonate.
Tanto bastò che il Capua fu ritenuto nemico di Aletino il quale si considerava il campione della Scuola peripatetica, e, sentitosi personalmente offeso, incominciò a scrivere le menzionate “Lettere Apologetiche”, nelle quali, Grimaldi riteneva che fosse stato“satireggiato” Capua.
In questa polemica interveniva Costantino Grimaldi che si mostrava suo acerrimo nemico, e rispondeva all'Aletino, che secondo lui le aveva scritte, mirando a offendere il Capua, senza riguardo alla verità, più che per sostenere il merito e difendere Aristotele.
Grimaldi spiegava inoltre, che egli non interveniva per offendere Aristotele, né per difendere Capua e neanche per fare una compiuta critica alla filosofia peripatetica, impresa piuttosto complessa, già da altri intrapresa senza loro gloria, non già perché difficile, ma perché “è malagevole ravvisare quali siano le sue idee su moltissimi punti della sua dottrina, sia per l'artificioso suo oscuro modo di esprimersi, per la corruzione dei suoi libri, per l'incertezza degli stessi nell’ esprimersi, per l'incertezza degli stessi [a causa dei molti apocrifi che circolavano], per le varie interpretazioni dei suoi seguaci, essendo noto che gli interpreti greci erano discordi dagli interpreti arabi e questi dai latini e tutti tra di loro, non rare volte diversi e opposti”.
Egli quindi interveniva “solo per far sì che la verità non sia offuscata dalle nebbie tra le quali si studiava Aristotele ... allorché si rimanga nell’antica cecità di idolatrare il vano suo nome”.
Il conte Costantino Grimaldi (1667 c.a-1750), filosofo, giurista, politico, Consigliere e Senatore del regno, faceva parte di un gruppo già stabilizzato (nella società civile), appartenente alla “Società degli Investiganti” (**), il quale ritenne che lo scritto offendeva il Consigliere Francesco D’Andrea (indicato dall’Aletino sotto il nome di Olgero) e di Leonardo di Capua, Tommaso Cornelio e di altri letterati napoletani, e si era sentito in obbligo di prendere le difese di questo suo amico, collega (nelle cariche pubbliche che ambedue occupavano) e consocio, con gli altri letterati indicati, appartenenti alla “Società degli Investiganti”, scrivendo le “Repliche alle Lettere Apologetiche”, stampate con il titolo di “Discussioni di Storia, Filosofia e Religione”.
A queste rispose l’Aletino, dopo una prima Risposta alla Replica (col titolo Difesa della Scolastica Teologia), scritta nel 1699, e, saltata la Seconda, rispondeva alla Terza, relativamente alla quale Grimaldi sosteneva che “la Seconda Risposta alla mia Replica, non era stata scritta in quanto per l’Aletino sarebbe stato malagevole scagionare Aristotele dagli errori e falli troppo manifesti, ed era quindi passato alla Terza Risposta [chi volesse leggerle le trova pubblicate in Google].
Ma Aletino rispondendo alla Terza Risposta [stampata nel 1705, e dopo averla scritta potrebbe essere morto], forse già malato, si giustificava per la mancata risposta alla Seconda, scrivendo che “lascio disarmata e scoperta la Seconda sotto i colpi di Grimaldi, essendomi difficile affrontare un lavoro così pesante, di rispondere a tutto e non ho potuto fare altro che rispondere alla Terza che mi è parsa più importante e creduta da molti la più difficile e quasi impossibile da affrontare e perché vi era coinvolto il problema religioso”.
Il tema affrontato infatti aveva per oggetto la “Discussione teologica della filosofia cartesiana”, che evitiamo di trattare in quanto ci porterebbe lontano dal tema del presente articolo.
Di queste sue Repliche, Grimaldi scriveva che egli da sconosciuto qual’era, aveva ottenuto un grande successo; la fama infatti gli aveva procurato la nomina a senatore del regno.
Grimaldi, si era accanito nella contestazione in quanto, scriveva, le Lettere Apologetiche, potevano indurre in errore, in quanto apparivano ben fatte; l’Aletino però non aveva potuto continuare nella sua impresa delle Risposte [delle quali, come detto, ne aveva scritte solo due], perché malato, era stato colpito da morte improvvisa (intorno ai sessant’anni).
Della morte di Aletino, Grimaldi se ne era compiaciuto! Aveva infatti scritto che non era ancora giunto [alla lettura] della metà della Seconda Replica, che gli giungeva la notizia della morte di Benedetto Aletino, e spietatamente aggiungeva che:- “Iddio, vendicator degli altrui oltraggi, gli fé pagare il fio dei suoi eccessi, con una morte quasi repente avvenutagli nel suo fior degli anni; potrei dire che gli fu tolta la vita a guisa dell'infame Ario con un violento volvolo (***). Se volessi imitare il suo comportamento”, continuava Grimaldi, “quando nel 1704 fui colpito dalla gocciola [colpo apoplettico] mandando in giro i suoi partigiani che dicevano che era il castigo mandatomi da sant'Ignazio per aver contraddetto le idee della sua Società” [dei Gesuiti difesi da Aletino].
*) Per chi volesse approfondire questa interessante polemica, con tutti i suoi risvolti che coinvolsero i sostenitori della vecchia filosofia aristotelica che si scontrava con la nuova che avanzava (sostenuta dai novatores), è recente il libro di (2017) di Luigi Pezzella, “Benedetto Aletino. Un gesuita a Napoli contro i Moderni”. Terebinto Edizioni.
**) L'Accademia degli Investiganti (alla quale fu contrapposta l’Accademia dei Discordanti) fu una delle prime che erano sorte (nella stessa Napoli Accademia Secretorum Naturae, a Firenze A. del Cimento, a Bologna, a Parigi, sopra menzionata, a Londra Royal Society, a Berlino, A. Naturae Curiosorum) intorno alla metà del 1600, tra il 1640/60, aventi tutte di mira la filosofia naturale, che aveva carattere scientifico.
In particolare questa di Napoli, istituita dai letterati Tommaso Campanella, dal duca di Maddaloni, Carafa, da Giuseppe Valletta, Gennaro e Francesco d'Andrea, Niccolò Amato, che intendeva trasmettere ai giovani la conoscenza dei pregi e difetti della Scolastica e seguiva anch’essa la filosofia naturale che aveva carattere medico-scientifico.
***) Terribile male che si riteneva si attorcigliasse l'intestino facendo uscire il suo contenuto dalla bocca; ma la scienza attuale ci dice che il fenomeno riguarda lo stomaco e poi si estende all’intestino con occlusione o blocco intestinale.
FINE