Isabella di Baviera – Miniatura - Biblioteca Nazionale - Parigi

 

 

 

LA VITA DI

ISABELLA DI BAVIERA

REGINA DI FRANCIA

TRA STORIA E

ROMANZI

 

Michele E. Puglia

 

 

 

SOMMARIO: UNA DUPLICE FESTA DI NOZZE ISPIRA IL MATRIMONIO DEL GIOVANE CARLO VI; AL DUCA STEFANO DI BAVIERA GIUNGE LA RICHIESTA DEL RE DI FRANCIA DI MATRIMONIO CON LA FIGLIA ISABELLA; LA MESCOLANZA DI SANGUE DEI VISCONTI CON I WITTELSBACH DI ISABELLA E I SUOI DELITTI POLITICI; ISABELLA ISTRUITA IN POCO TEMPO ACQUISTA LE DOTI DI UNA REGINA IL DELITTO CLISSON IL PRIMO A LEI ATTRIBUITO; LA TOUR DE NESLES LA FOLLIA DI CARLO E GLI AMORI ATTRIBUITI A ISABELLA; ISABELLA E IL DUCA D’ORLEANS RICORRONO ALLA FALSIFICAZIONE DELLE MONETE ASSASSINIO DEL DUCA; IL RITORNO DEL DUCA DI BORGOGNA LA FRANCIA DIVISA TRA ARMAGNACCHI E BORGOGNONI AMORI DI ISABELLA; IL GIUDIZIO SUL REGNO DI CARLO VI DI ALESSANDRO DUMAS;.

 

 

 UNA DUPLICE

FESTA DI NOZZE

ISPIRA

IL MATRIMONIO

DEL GIOVANE

RE CARLO VI

 

 

C

arlo V di Francia, detto il Saggio per aver ben regnato, tenendo il tesoro pubblico ricco e in ordine, morendo (1380), lasciava due figli maschi, il primo Carlo e il secondo, Luigi; gli succedeva il maggiore, Carlo, che aveva dodici anni e, per la giovane età, doveva essergli nominato un reggente.

Il defunto re aveva tre fratelli, i  duchi, Luigi d’Angiò,  Giovanni di Berry e Filippo di Borgogna; ad essi si aggiungeva il duca di Bar, Luigi di Borbone (*) il quale, con Filippo, curava l’istruzione e l’educazione del giovane re, e tutti e quattro furono nominati reggenti.

Doveva essere nominato anche un connestabile; essendo morto il precedente, Bertrand de Glisquin, il duca d’Angiò, come reggente, riteneva di poterlo nominare lui; ma gli altri gli facevano notare che la nomina dovesse esser fatta dal re, su consiglio di tutti i reggenti.    

La nomina quindi, fu fatta dal re, che nominava Olivier de Clisson, un valente cavaliere di Bretagna, di cui parleremo più avanti, il quale provvide subito a organizzare la sua incoronazione a Reims. Ebbe luogo una grande e lussuosa cerimonia, alla quale erano  convenuti i quattro principi del sangue, i duchi d’Angiò, di Berry, di Borgogna e di Bar, i conti di Hainault, Harcourt e d’Eu e molti baroni e cavalieri.

Era sorta una discussione di precedenza tra i due fratelli d’Angiò e Borgogna, in quanto, nella processione del re dovevano precedere i pari, vale a dire i primi di Francia; Luigi che si riteneva più anziano di Filippo, intendeva stare egli solo davanti al re; inoltre, la polemica si spostava sul ducato, in quanto Luigi sosteneva che il suo ducato fosse pari; ma Filippo gli rispondeva che il proprio ducato fosse decano dei pari; alla fine fu il re, sentito il Consiglio, a risolvere la questione, facendo andare avanti il più anziano,  Filippo.

Vi fu ancora uno strascico in chiesa: il re si era seduto su un banco e Luigi, che prima era rimasto scontento,  gli si sedeva accanto; Filippo  passando al di sopra, si infilava tra il re e suo fratello; Luigi sopportava con pazienza l’intrusione e Filippo da quel momento otteneva il soprannome di Ardito.  

In questa occasione il giovane re, attesa l’età, per i suoi modi e per il suo comportamento, era stato scritto,  sembrava avesse venti-trent’anni; indossava un ricco vestito, ornato con i “fleurs de lys”; dopo  tre giorni di festeggiamenti egli  partiva per Parigi, senza fermarsi in altre città, a causa delle sedizioni di popolo.

A Parigi era accolto da duemila persone, tutte vestite alla stessa maniera, con una veste per metà verde e metà bianca; tutti lo salutarono gridando “Noel” e subito dopo, il re si recava a Palazzo Saint-Pol, dove gli furono portati i doni della città.

Le sedizioni alle quali è stato accennato, erano state causate dal duca d’Angiò che curava le finanze, il quale, appena morto Carlo V, si era impossessato del tesoro pubblico e non aveva sospeso, come ci si aspettava, ma aumentato, le imposte; inoltre, per avidità, risparmiava sulle spese del giovane re, a cui faceva mancare le provvigioni dovute; mentre risultavano spesi per la Corte, sei milioni di franchi, quando Carlo V spendeva un milione e  duecentomila franchi.   

Giovanna I di Napoli (v. in Art. di prossima pubblicazione) non avendo eredi, lo aveva nominato (1380) suo successore; Luigi partendo per Napoli (1382), si fermava ad Avignone  dal papa Clemente VII, che lo incoronava re di Sicilia e Napoli e gli faceva dono della contea di Provenza (venduta da Giovanna I al papa); ma i provenzali si ribellavano facendogli  resistenza.   

Luigi aveva per moglie Maria, figlia del conte Carlo di Blois e di Giovanna di Bretagna, ma su di lei non si hanno notizie, neanche da parte di pére Anselme (che nelle sue “Généalogie” è pieno di curiosità): il motivo era stato indicato da  de Sade, che aveva riferito fosse omosessuale.

A Napoli la situazione era cambiata in quanto Carlo di Durazzo, incoronato da Urbano VI come Carlo III, sconfiggeva Ottone di Brunswick, marito di Giovanna, il quale era stato fatto prigioniero, e Giovanna, prelevata dal castello di Sant’Eramo,  presa come prigioniera, era stata portata a Muro Lucano, dove l’anno seguente (1382), finiva strangolata; Luigi invece moriva (1384) di febbre pestilenziale a Bisceglie (Bari); il suo corpo era portato nella chiesa di Saint Maurice di Angers . 

Il popolo di Parigi si era riunito, lamentando il lusso della Corte e l’aumento delle imposte e si era rivolto al prevosto dei mercanti, il quale si sentiva rispondere “che il re avrebbe fatto il suo dovere”; ma, senza attendere la risposta del re, i rivoltosi si erano sparsi per la città, facendo danni e saccheggiando quaranta abitazioni di ebrei. Nessuno dei nobili aveva riferito al re di questa sommossa, e, come era stato scritto,  facendo invece credere  che tutto fosse stato riferito, ma a poco era stato obbedito.  

In questo periodo, il conte di Saint-Pol si era recato in Inghilterra per sposare la sorella del re Riccardo II, senza aver chiesto l’autorizzazione del re; ma al suo ritorno presentava al re le sue scuse, ottenendo il perdono; era anche in corso la guerra dei cento anni (1337-1435) e la sua lunga durata era dovuta alla circostanza che mentre da una parte inglesi e francesi si combattevano, dall’altra, non mancavano occasioni di matrimoni, come quello di Saint-Pol, festeggiamenti e convivi, che  intercorrevano tra gli uni e gli altri.

Un giorno il re Carlo  andando a caccia aveva visto un cervo che aveva al collo una collana di cuoio dorato; egli dava l'ordine di prenderlo con il laccio senza ucciderlo, e così fu fatto. Sul cuoio era scritto, “Cesar hoc mihi donavit” e il re da quel momento, al suo  stemma faceva aggiungere come tenenti i due cervi, con una fascia d'oro al collo; lo stemma reale inizialmente aveva numerosi gigli,  che furono ridotti a tre.

In questo periodo si verificava  il grande scisma della Chiesa che cessava con il papa Gregorio XI, che aveva riportato la sede da Avignone a Roma (1377), dove moriva (1378) ed era eletto papa Urbano VI, su pressione dei romani che chiedevano un papa romano, minacciando che avrebbero fatto a pezzi i cardinali.

Per accontentare il popolo, i cardinali avevano eletto (1378), Bartolomeo Prignano, personaggio ritenuto mediocre, nato a Napoli e vescovo di Bari, col nome di Urbano VI; a condizione che si fosse dimesso; ma una volta eletto divenne superbo, austero e astuto (ritenuto dal duca del Balzo di Andria, di basso affare e indegno del papato); e conoscendo l’intento dei cardinali, si fece subito solennemente incoronare, comunicando la sua nomina a tutti i principi cristiani.

I cardinali francesi però non accettavano questa nomina e si riunivano a Fondi eleggendo un altro papa, il francese Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII (1378-1394), il quale si trasferiva ad Avignone, aprendo così il grande scisma o scisma d’occidente, definito al Concilio di Pisa, con l’elezione del papa Martino V (1417-1431).

Giovanna I d’Angiò  (di cui abbiamo in preparazione un articolo) che, regnava a Napoli, aveva fatto l’errore di riconoscere il papa Clemente VII, firmando la sua condanna. Urbano VI infatti, intendeva assegnare il regno di Napoli non a lei, ma a Carlo di Durazzo, dal quale si aspettava maggiori signorie per i suoi nipoti; e Carlo, dopo aver sconfitto l’esercito del marito Ott0ne di Brunswick, la farà strangolare. 

Dal re Carlo VI si erano recati ambasciatori dei re di Spagna e Ungheria (1381) per chiedere l’appoggio al papa Urbano VI, che i loro re riconoscevano come unico papa ritenuto regolarmente eletto, altrimenti sarebbero state rotte le reciproche alleanze. Rispondeva il duca Luigi d’Angiò (che, come è stato detto, era stato adottato dalla regina Giovanna rendendolo suo successore), fratello di Carlo V, che era saggio, prudente (forse troppo ... fino ad essere inetto!) e aveva un bel modo di parlare, il quale riteneva che l’elezione di Urbano VI fosse dovuta alla violenza del popolo romano e che l’elezione di Clemente VII era da ritenersi regolare ed era stata  accettata da Carlo V.

Gli ambasciatori furono soddisfatti di questa risposta; ma lo scisma costituiva per la Francia un gran danno, in quanto, sebbene le casse papali di Avignone fossero colme di danaro,  Clemente VII aveva nominato trentasei cardinali, il cui mantenimento era a carico del regno.

La contessa Margherita di Fiandra moriva (1382) e le succedeva il figlio Luigi, il quale era favorevole agli inglesi, e aveva una figlia, Margherita, che era destinata al duca inglese, Lancaster; ma la nonna l’aveva destinata al duca Filippo di Borgogna l’Ardito, che la sposava nello stesso anno, assumendo i titoli di conte d’Artois e di Tethel.

Qualche anno dopo, a Cambrai (12 aprile 1385) alla presenza di Carlo VI e di tutta la cavalleria di Borgogna, Brabante e di Hainaut, si celebravano le duplici nozze del figlio maggiore del duca Alberto di Baviera, Guglielmo d’Ostrevant, con  Margerita figlia del duca di Borgogna; e una delle figlie di Alberto  di Hainaut, Margherita, con Giovanni, conte di Nevers, figlio maggiore del duca di Borgogna.

Questa unione delle Case di Borgogna e di Baviera - Olanda, era opera  della duchessa Giovanna di Brabante, che aveva messo al servizio della casa di Borgogna i suoi rari talenti diplomatici.

Giovanna era divenuta sovrana del ducato di Brabante, dopo la morte del padre Giovanni III (1355); sposata al duca Venceslao di Lussemburgo, era rimasta vedova (1383); non avendo figli, il ducato era destinato alla nipote Margherita di Male, duchessa di Borgogna, per la quale aveva organizzato il matrimonio.

Lieta del duplice matrimonio, nei cinque giorni di feste durante i quali aveva avuto  modo di frequentare i principi e il re Carlo VI, Giovanna si era ricordata che in Baviera vi era una giovane principessa da sposare, figlia del duca Stefano III  di Baviera, della casa di Wittelsbach; il giovane al quale questa principessa sarebbe stata destinata, era il giovane re Carlo VI.

Su questa idea, si era mosso subito lo zio del re, Filippo di Borgogna che riunito il Consiglio, fu deciso di mandare a richiedere al duca Stefano, la mano della figlia Isabella.

 

 

 

*)  Luigi II di Borbone, discendente da Luigi IX (san Luigi) rientrava nella famiglia reale in quanto la sorella Giovanna era moglie di Carlo V.

 

 

 

AL DUCA

STEFANO DI BAVIERA

GIUNGE LA RICHIESTA

DEL RE DI FRANCIA

DI MATRIMONIO CON LA

FIGLIA ISABELLA

 

 

 

G

iovanna, rientrata nel suo ducato, si rivolgeva a Federico di Baviera, fratello di Stefano,  per  fare accettare dal fratello la proposta di matrimonio; poco dopo, poteva annunziare che Isabella sarebbe stata presentata a Carlo VI nel prossimo mese di luglio, al pellegrinaggio che la principessa avrebbe fatto a San Giovanni di Amiens.     

Il duca Stefano era restio a mandare la figlia in Francia, ma Federico lo rassicurava che avrebbe accompagnato lui la nipote, e lo aveva convinto a superare le sue resistenze, dicendogli che non poteva farsi sfuggire l’occasione di vedere la propria figlia, diventare regina di Francia.

Stefano, metà per ambizione e metà per pigrizia, al momento della partenza, dopo aver abbracciato teneramente la figlia, aveva preso in disparte Federico, dicendogli che mandava Isabella “senza neanche uno zecchino, e un rifiuto del re di Francia sarebbe stato per la giovane figlia un gran disonore”; aggiungendo, mentre zio e nipote stavano partendo, “se me la riporterete, diventerete il mio peggior nemico”.

Isabella, partendo, non conosceva il vero motivo e lo scopo del suo viaggio; suo zio Federico aveva dato l'impressione che la conducesse a un pellegrinaggio;  per il resto lei  non aveva per compagnia altri che  la sua nutrice e Caterina di Fastavarin, la sua migliore amica  e sorella d'elezione.

Verso Pentecoste giunsero a Bruxelles, accolti calorosamente dalla duchessa di Brabante e dopo tre giorni, ripresero il viaggio; al momento della partenza,  Giovanna  aveva rassicurato Isabella che si sarebbero riviste ad Amiens. Fecero un’altra tappa a Le Quesnoy, dal duca e duchessa di Hainaut,  Alberto e Margherita, a cui Federico aveva raccontato delle incertezze del fratello a lasciar partire la figlia, al che la duchessa aveva assicurato che sarebbe stata regina di Francia “se Dio vorrà”.

La duchessa aveva trasformato la piccola principessa bavarese, cambiandole gli abiti e facendole indossare la più raffinata biancheria e un elegante vestito e nello stesso tempo le aveva dato lezioni di bon-ton, secondo la moda francese; i progressi furono rapidi, favoriti  dalla circostanza che la fanciulla era naturalmente seducente.

La data dell’incontro si avvicinava e il Consiglio reale l’aveva tenuto segreto, come anche il viaggio del re ad Amiens. Il re attendeva l’arrivo della duchessa di Brabante presso il palazzo del vescovo; agli accompagnatori di Isabella si erano uniti il duca e la duchessa di Hainaut, il loro figlio Guglielmo e altri cavalieri che facevano da scorta; giunti a qualche distanza da Amiens il tredici luglio, furono raggiunti dai due consiglieri del re, Bureau de la Riviére e Guy de Tremoille, che li accompagnarono al palazzo che era stato preparato per loro.

La sera fu impiegata per la visita dei principi e per preparare il programma per l’indomani, al quale provvide la duchessa di Hainaut che si occupava  dei dettagli della toilette di Isabella; il re, nel palazzo vescovile aveva passato delle notti insonni per l’attesa, che riferite alle duchesse avevano suscitato “un buon riso”.

L’ora tanto attesa era giunta (*); Isabella era accompagnata dalle duchesse di Brabante, Borgogna ed Hinaut; Carlo VI era circondato dal duca di Borgogna e suo cugino Guglielmo, dal sire de la Riviere e de Coucy, dal connestabile Olivier de  Clisson e qualche altro signore confidenziale. Isabella entrando si prosternava, ma Carlo facendo qualche passo la prese per mano e l’aiutò a sollevarsi, guardandola intensamente, mentre Isabella rimaneva ferma senza muovere gli occhi o la bocca; Isabella non conosceva il francese ma avvertì che il re la contemplava con ammirazione e amore.

L’incontro terminava, Isabella con le tre duchesse rientrava, quando fu raggiunta dal duca di Borgogna e altri cavalieri e baroni; e il re, interrogato “Se sarà regina di Francia”:- “Per la mia fede, sì, aveva risposto Carlo, non vogliamo altro e dite a mio zio Borgogna che se ne liberi”. Si sentirono allora delle grida”Natale, Natale”, che riempirono le sale del palazzo Hainaut, che salutavano la grande fortuna di Isabella di Baviera.

La sera stessa la fanciulla era stata avvertita che il matrimonio si sarebbe celebrato ad Arras; tale era il desiderio del duca di Borgogna, che aveva previsto un gran concorso di popolo, che sarebbe affluito nella capitale dell'Artois, alla notizia delle nozze reali.

Ma il giorno dopo Isabella si trovava nella camera di madame d'Hainaut che si preparava per il pranzo, fissato prima della partenza, quando vide arrivare il duca Filippo, con qualche signore del Consiglio che chiedeva dove intendesse andare con quella partenza; e le rivelava il progetto, della celebrazione delle nozze ad Arras, e aveva replicato: “Vogliamo che il matrimonio avvenga in questa bella chiesa di Amiens; non abbiamo che da fare in fretta, perché il re non ha dormito  pensando alla sua fidanzata; il matrimonio si farà ad Amiens e senza ritardi lunedì 17”.

Supponendo l'impazienza anche di Isabella,  il principe Filippo concluse: Guariremo i due malati; il giorno di sabato e domenica furono dedicati ai preparativi delle nozze e al regolamento del cerimoniale.

Quando si parlò del contratto di matrimonio su suggerimento del duca Filippo di Borgogna, Carlo VI non ritenne di chiedere a Stefano alcuna dote; le belle qualità della principessa non glielo permettevano; egli rifiutò anche le somme d'argento che Federico aveva portato come regalo di nozze.

La domenica Isabella riceveva in dono da parte del re, una corona  che uguagliava quello di un’intera provincia.

La mattina del lunedì diciassette, le duchesse di Brabante e Borgogna si recavano con numerose dame da Isabella e duchessa Margherita e tutte furono portate alla cattedrale con carri coperti (non ancora c’erano le carrozze), seguite dai duchi Alberto e Federico, da Guglielmo di Hainaut e molti baroni e cavalieri; poi giunse il re  con il duca di Borgogna e tutta la nobiltà di Francia.

Dopo la cerimonia tutti si recarono  al palazzo episcopale per il pranzo; giunta la sera il re era ansioso di trovare la sposa nel suo letto e Froissart aveva scritto: “Passarono insieme la notte in gran dedizione, se potete ben  credere”. Per questo matrimonio non vi furono per popolo e borghesi festeggiamenti o magnifici spettacoli, a causa della fretta con cui era stato preparato.

Il martedì tutti i signori si recarono a salutare gli sposi e il duca Federico  dopo aver salutato la nipote si mise in viaggio per la Baviera per annunciare al duca Stefano, che Isabella era divenuta regina di Francia, mentre il re partiva in quanto era in corso una spedizione contro l’Inghilterra, di cui Isabella ignorava la gravità delle circostanze.

Isabella aveva sedici anni (le Cronache di S. Denys, gliene davano quattordici) e la madre era Taddea Visconti figlia di Bernabò, la cui dinastia si era mostrata cupida, furba e inumana. Azzo. era un'eccezione; gli altri avevano trionfato per la crudeltà, come Luchino che faceva guardare la porta della sua camera  da  due enormi molossi ai quali egli, con un gesto indicava le vittime da sbranare.  Mattia e Galeazzo, i due zii di Taddea sembravano tormentati da ogni sorta di passioni e Bernabò, suo padre, il più focoso e più avido dei tre, era divorato da un'ambizione inaudita, instabile e debosciata, capace degli atti più criminali, per raccogliere tesori nel suo palazzo. Si era dichiarato papa. imperatore e re sul suo territorio e aveva dichiarato che “Dio sarebbe stato impotente di fare qualcosa che lui non avrebbe voluto”.

Ma, questi tiranni italiani, feroci e dissoluti, godevano i piaceri dello spirito  e coltivavano e incoraggiavano le arti; il loro lusso era elegante; dopo lungo tempo erano riusciti ad attrarre poeti e letterati; onoravano la memoria di Dante e Petrarca era loro protetto; per ornare i loro palazzi essi cercavano le migliori opere di pittura e scultura.

 

 

 

 

*) Vi sono altre versioni sull’incontro, secondo il quale  Carlo avrebbe visto Isabella in chiesa; in ogni caso  tutti gli storici sono d’accordo che Carlo fosse stato colpito da Isabella e aveva affrettato i tempi.

 

 

LA MESCOLANZA

DEL SANGUE DEI

VISCONTI CON  

I WITTELSBACH

DI ISABELLA E I SUOI

DELITTI POLITICI

 

 

Q

uesta mescolanza di sangue della famiglia milanese con quella bavarese, aveva dato luogo a una miscela, da una parte di Stefano il Giovane, che, per il suo straordinario amore per il lusso era degno di Taddea, che non poteva accettare la nobiltà senza magnificenza. Dalla loro unione era nato un figlio e una figlia  che avevano molto del carattere dei Visconti e di quello dei Wittelsbach, che si riveleranno in Isabella.

Isabella era emersa in un’epoca in cui le donne avevano il marchio del disprezzo e della debolezza del sesso.

Nei sermoni del XII sec. il tema ricorrente era quello della donna cattiva, mostri della natura, figlie e strumenti del diavolo, fontana di peccato, lubrica come una vipera, sfuggente come un’anguilla e per giunta curiosa, indiscreta, bisbetica.

Nell’immaginario letterario dell’epoca, essa era posta gerarchicamente al terzo posto, come vassalla dell’uomo il quale è vassallo di Dio che ordina ad Adamo di governare Eva con la ragione e ad Eva di servire Adamo con amore, di dargli aiuto; come ricompensa riceverà, assieme a lui  la gloria eterna. 

E, nella descrizione del peccato originale, dopo che Satana aveva tentato Adamo per due volte, e questo aveva resistito con la forza della ragione, Satana aveva pensato di rivolgersi a Eva, facendo leva sulla sua sensualità. Eva infatti vantava il sapore, lo splendore, il piacere procurato dai sensi. Eva rappresentava la debolezza della natura umana  irrazionale e sensitiva. Adamo si perdeva per averle ceduto e per averla per un istante, considerata sua pari, perdendo la sua supremazia. Non era mancato san Bernardo che aveva scritto “ povere donne, idiote e senza cultura” e san Gerolamo nel suo libro “Contro Gioviniano”, in cui parlando della malizia delle donne, ricorreva a  riferimenti biblici.

Una donna che reggeva un regno alla fine del 1300 era di per sé un evento straordinario, oltre a un inconcepibile peccato mortale; e quale poteva essere l’accusa mossa a Isabella? Che fosse dedita alla lussuria, secondo alcuni, sarebbe stata addirittura già corrotta a sedici anni, quando si era sposata ... ma basterebbe tener presente tutte le preoccupazioni del padre quando doveva partire per la Francia, per capire che quelle accuse fossero solo falsità.

 

Certamente non escludiamo che Isabella possa aver avuto alcuni degli amori, attribuiti,  probabilmente anche quelli con i due zii di Carlo VI, Berry e   Borgogna, ma sono ipotesi. Sade aveva comunque fatto intendere che avrebbe avuto tanto da raccontare ... ma si era attenuto solo agli affari politici, attribuendole tutti i delitti che potessero essere collegati con motivazioni politiche, andando fuori ogni limite concepibile, quando l’aveva accusata di aver causato, con polveri avute da monaci italiani (Sade aveva anticipato la fama corrente durante il Rinascimento, che gli italiani fossero ritenuti avvelenatori), non solo la follia del marito, ma anche la morte dei suoi due figli Delfini!

Sade nel libro che le aveva dedicato (*), aveva precisato che avrebbe voluto discolparla dai suoi rapporti amorosi, ciò che non era stato possibile, per la sua dedizione al libertinaggio; egli si era soffermato alla sua dedizione a tutti gli affari politici, così estremamente impegnativi, che, riteniamo,  avrebbero potuto escludere che potesse dedicarsi alla vita libertina che le fosse stata attribuita.

E così si esprimeva: “La vorremmo  discolpare dalle vergognose accuse da cui era oppressa e trovare colpe soltanto nei suoi delatori e questo faticoso compito era indubbiamente nobile se sopratutto il successo avesse coronato le nostre fatiche; ma troppo illuminati dalle innumerevoli prove che trovavamo ogni giorno, non abbiamo potuto che compiangere Isabella e dire la verità. Ora questa verità è tale che mai, in questo terribile regno, colò una goccia di sangue che non fosse stato versato per colpa di Isabella”. 

In conclusione egli la considerava “dalla sfrenata ambizione che tutto sacrificava alle sue pericolose passioni; perfida e depravata, non fu commesso un solo crimine di cui ella non fosse stata la causa o l’oggetto. Resta dunque il torto imperdonabile, aggiungeva, degli storici di averci nascosto la mano che tirava i fili, senza scoprire chi fosse il vero responsabile di ciò che accadeva”. Ciò che in ogni delitto gli consentiva di affermare che l’ispiratrice fosse stata Isabella.

Sade aveva giustificato le sue asserzioni, dicendo di aver consultato nella biblioteca  del convento di Digione (nel 1764), gli estratti dei verbali del processo di Bois-Bourdon (che nessuno degli storici aveva consultato), segretario personale di Isabella (a conoscenza di tutti i suoi segreti), condannato a morte da Carlo VI, il quale sotto tortura aveva fatto tutte le rivelazioni, poi prese in considerazione da Sade. I documenti poi erano andati distrutti.

Ma, egli non  aveva tenuto conto della circostanza che ciò che si diceva sotto tortura, fosse ciò che gli inquisitori volevano sentir dire dal teste (v. in Schede S.: L’inquisizione tra intolleranza religiosa ecc.). In ogni caso Sade, ai fatti riferiti da Bois-Bourdon,  come aveva scritto nella Introduzione, aveva voluto fare un sapiente e raro impiego dei modi romanzeschi ...  e in ogni caso, si era lasciato prendere la mano dalle sue deduzioni, con le quali tutti i delitti di cui parlava, fossero “deduttivamente” collegati a Isabella, convinto che queste deduzioni fossero la logica conseguenza  delle prove fornite dai documenti consultati.

Il periodo della vita in cui era vissuta Isabella, era stato un periodo pieno di avvenimenti particolarmente tragici in quanto era iniziata la guerra con gli inglesi, nota come guerra dei cento anni; in cui si inseriva la guerra civile intercorsa tra le due fazioni di “borgognoni e armagnacchi o orleanisti” (v. sotto), che aveva martoriato la Francia con continue stragi fratricide, per l’odio che correva tra le  due fazioni, che avevano travolto l’intero regno (**), e avevano fatto dire a Voltaire, inorridito per tanto sangue sparso inutilmente “che una parte della nazione aveva sgozzato l’altra”.

Mentre nel VI sec., erano emerse Brunechilde e Fredegonda (v. Art. Brunechilde e Fredegonda ecc), in questo XIVmo, oltre a Isabella, erano emerse la scrittrice Christine de Pizan (1364-1431), la prima a battersi per l’indipendenza della donna; pur vissuta nello stesso periodo di Isabella, nessuno storico ne aveva parlato a causa del maschilismo corrente, al quale abbiamo accennato; di queste, ne farà le spese anche  Giovanna d’Arco, che, alla guerra dei cento anni tra inglesi e francesi, con il suo entusiasmo, pur avendo posto fine con la cacciata definitiva degli inglesi, proprio il re, Carlo VII che lei aveva fatto incoronare, l’aveva fatta consegnare agli inglesi che  si erano vendicati con il processo al castello di Rouen (i cui giudici erano francesi unitamente a esponenti dell’Università di Parigi), condannandola al rogo. 

 

 

 

 

*) De Sade. “Isabella di Baviera” nella traduzione di “Vie sécret de la reine Isabelle de Baviére” Opere complete (trilogia). Newton Compton, 1983; per chi fosse interessato alla lettura,  risulta pubblicata recentemente un’altra traduzione.

**)  Le due fazioni erano capeggiate da esponenti dei rami cadetti provenienti dalla stessa dinastia (che si erano formate a seguito dell’assassinio del duca d’Orleans il 22 novembre 1407 , v. sotto) in quanto il duca di Borgogna era zio del re  e il duca di Orleans era il fratello, e nella lotta era in ballo il potere;  le due fazioni avevano diverse componenti, come la vicinanza degli armagnacchi agli inglesi e dei borgognoni al re (costoro si distinguevano per la croce di s, Andrea con un fleur de lys e in mezzo la scritta Vive le roy), ma era l’odio (nella misura dei tempi!) che spingeva le due parti a massacrarsi ferocemente, come avveniva in altri casi e si era verificato circa quarant’anni prima con la Jaquerie e  poi nella  famosa notte di san Bartolomeo e infine con la Rivoluzione del  1789 (per limitarci alle stragi più importanti!).

 

 

 

ISABELLA  ISTRUITA

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IL DELITTO CLISSON

IL PRIMO  A LEI

ATTRIBUITO

 

 

 

L

a luna di miele era durata tre giorni in quanto Carlo era dovuto partire con l’esercito. La regina, prima della partenza da Amiens si era recata in chiesa per ringraziare san Giovanni Battista per la grazia ricevuta del suo matrimonio e aveva donato un piatto dì oro massiccio ornato di perle e pietre preziose, rimanendo per tutta la vita fedele a questo santo, che lei riteneva l'avesse fatta sposare.

Carlo si era recato nelle Fiandre in rivolta e Isabella era stata portata al castello di Creil che si trovava sulla strada, che avrebbe dato a Carlo la possibilità di andarla a trovare.

Nel frattempo, affidata alle cure della duchessa Bianca di Borgogna, la più onorevole e magnifica delle dame di corte, che poteva vantarsi di discendere da Filippo il Bello, rispettata dal re come una madre. Bianca  era vedova e aveva avuto come marito  Filippo d’Orleans, che era stato invece un debosciato, al quale lei era rimasta fedele; mentre la sorveglianza era stata affidata a Giovanni d’Artois conte d’Eu, che aveva servito il re Carlo V,  le  giornate della giovane regina furono organizzate per le ore di istruzione della lingua francese, del cerimoniale di corte e degli esercizi di equitazione; per il resto si divagava assistendo alle varie feste.

Il re la raggiungeva per qualche giorno e Isabella era stata portata prima  al castello di Vincennes che aveva tutta la ricchezza della regalità francese, e successivamente al palazzo  dello splendore, di Saint-Pol a Parigi;  e così erano passati i primi anni di matrimonio, segnati dalla nascita dei dodici figli, dei quali alcuni morivano; la sua nutrice l’aveva lasciata, per tornarsene in Germania; l’amica Caterina di Fastavarin, Campremy, che era divenuta uno dei principali personaggi della Corte, come primo marito aveva sposato (1388)  il cavaliere Morel di Campermy.

Gli insegnamenti che le erano stati dati in capo a due anni, ritenuti da Isabella che ne aveva fatto tesoro, l’avevano così trasformata, che non era più la piccola principessa bavarese, semplice e ingenua, di quando era giunta in Francia, da lasciare stupefatta madame di Hainaut, che a diciotto anni, la vedeva madre di due figli e perfetta regina.

Isabella ci è  stata descritta in due modi diversi; De Sade la descrive alta e snella, come la vediamo nella miniatura; certamente dopo le prime maternità con l’alimentazione a sazietà di quei tempi, era ingrassata, come si nota in altre miniature. Altra descrizione, di epoca posteriore completamente diversa:  Di piccola taglia, dalla fronte spaziosa, grandi occhi in un viso largo dai tratti accentuati; un forte naso dalle narici aperte, una bocca grande e delle labbra sinuose, un mento rotondo e paffuto; capelli bruni: tali erano i suoi tratti che si ricavavano dalle miniture del tempo che  non danno l’idea di un bel corpo e di tratti regolari, ma compensava la sua media statura con giuste proporzioni; il suo viso era giulivo, vale a dire vivace e gradevole; il suo colore era bruno, la sua pelle scura, ma la sua persona emanava un fascino piccante”. Era stato rilevato che Froissart che tracciava volentieri i ritratti delle belle donne e aveva assistito alle feste di Amiens, non si fosse espresso su Isabella.  

In quest’epoca il suo carattere non era ancora formato e se aveva sentimenti intimi, li dissimulava in quanto sorvegliata dai principi; a Corte gli esercizi religiosi erano tenuti in grande onore e lei era devota alla maniera bavarese, con l’ostentazione delle opere pie e l’affettazione del suo zelo come nel pomposo costume italico.

Animava molto Carlo VI e la sua viva affezione era fatta di ammirazione per il marito così seducente (in effetti Carlo era di bell’aspetto), verso il quale mostrava gratitudine per averla elevata al trono; Isabella era inoltre rimasta legata al ricordo dei suoi, che le ricordavano la Baviera e in fondo era rimasta tedesca.

Si era resa conto delle ragioni politiche che avevano fatto richiedere la sua mano dal re di Francia e nel corso degli avvenimenti si rivelerà cosciente della sua influenza diplomatica come avverrà tra il 1389 e 1392 in cui tra viaggi e feste, godendo di una maggiore libertà, aveva mostrato maggior interesse per gli affari politici ed era l’inizio degli interessi, ai quali poco per volta finirà per  dedicarsi. 

Sade, come abbiamo detto, riteneva tutti i delitti commessi durante il regno di Carlo VI, eseguiti su ispirazione di Isabella;  del primo, organizzato contro Clisson, ne aveva riferito i particolari, che abbiamo ritenuto interessante riportare, in quanto  ognuno possa farsi una propria idea sull’intervento ispiratore di Isabella, sul quale Sade fonda la sua idea.

Il connestabile Olivier de Clisson, che il re aveva messo a capo dei suoi consiglieri,   era nemico del marchese Pierre de Craon, che questo aveva cercato di assassinare; ma Clisson si era salvato dalle numerose pugnalate ricevute, per la robusta cotta che indossava.

Si era ritenuto che Craon si fosse arricchito con i furti al duca d’Angiò; amico e confidente degli amori  del duca d’Orleans, era parente del duca di Bretagna e amico del connestabile. Ma aveva tradito la fiducia che l’Orleans e Isabella avevano di lui, in quanto faceva delle rivelazioni piuttosto indiscrete a Valentina Visconti, moglie di Orleans, amante di Isabella.

Tra il duca, Isabella e la duchessa (Valentina) esisteva una colpevole alleanza, che proteggeva il duca e la regina dai pericoli dell’indiscrezione. Carlo aveva avuto la stessa debolezza del duca; questo amava la moglie di suo fratello, Carlo amava la cognata (ma non si capisce che rivelazioni avesse potuto fare Craon a Valentina, come ritiene Sade, visto che vi fosse un patto tra lei e Isabella! ndr.).

Ma, scriveva Sade, la vera istigatrice di quel delitto, mossa dagli stessi motivi di cui si servivano per opprimere Clisson coloro che erano invidiosi delle sue ricchezze.

Isabella aveva avuto di che dire quando aveva abusato della fiducia di Luigi, suo amante. Bisogna ricordare la sua rappacificazione con quello scellerato, quando il duca di Bretagna le ebbe fatto osservare che il torto fattole dal connestabile, sia sull’ascendente sull’animo del re, sia per le grandi ricchezze che quotidianamente stornava a suo vantaggio, era infinitamente più pericoloso per lei, delle indiscrezioni di Craon, così facili da bloccare. Inoltre, Craon stesso poteva essere il solo uomo, sufficientemente temerario, per sbarazzarla di un nemico ben più temibile per lei, quale poteva essere il connestabile.

 Si intuisce facilmente (scriveva De Sade) che Isabella, di natura vendicativa, non appena ebbe concepito questo progetto, accolse con grande entusiasmo una soluzione che soddisfaceva tanto bene le sue mire.

Clisson, mentendo, aveva  detto che il duca di Bretagna stesse trattando un’alleanza con gli inglesi, contro Carlo VI, con lo scopo di portare la guerra in Bretagna;  Craon si era offerto di vendicare il duca e la sera del Santo Sacramento (Corpus Domini) dopo una festa con ballo e cena a palazzo Saint Paul, all’una dopo mezzanotte, Craon con otto uomini si era appostato in attesa; quando Clisson, uscito dalla festa, si stava dirigendo verso il suo palazzo, Craon, con i suoi stavano attraversando rue Culture Sainte-Catherine e alcuni dei suoi uomini si mischiavano ai valletti che accompagnavano Clisson e spegnevano le torce; Clisson, che non riusciva a vedere cosa fosse successo, credendo che fosse uno scherzo del duca d’Orleans, aveva urlato: Vi ho riconosciuto, mio principe, e perdono alla vostra giovinezza uno scherzo che non si addice né a voi né a me.

Craon si faceva riconoscere: Connestabile, non è il duca d’Orleans, ma sono io che voglio liberare la Francia dal suo più mortale nemico; nessuna pietà; dovete morire; e rivolgendosi ai suoi uomini, diceva: Uccidete .... e non risparmiate nessuno di coloro che cercheranno di difenderlo; ma non avevano potuto farlo perché i valletti di Clisson si erano dati alla fuga  e Clisson si difendeva e anche gli uomini di Craon dopo averlo colpito si erano dati alla fuga, sparpagliandosi nelle strade adiacenti e rifugiandosi nel palazzo di Craon.

Clisson era rimasto solo a cavallo e uno degli assassini, più accanito degli altri, gli vibrava un colpo che lo faceva cadere da cavallo, finendo sulla porta di un fornaio ancora semiaperta, che si spalancava e Clisson rimaneva svenuto. Il re avvertito mentre dormiva, senza vestirsi si recava da Clisson  per consolarlo ed erano chiamati i medici ai quali era affidato per le cure.

Era subito dato al prevosto di Parigi l’ordine di arrestare gli assassini, ma Craon era già fuggito per Sablé, uno dei suoi possedimenti al confine del Main e della Bretagna; lì veniva a sapere che Clisson non era morto e non sentendosi più sicuro nel suo castello, si recava dal duca di Bretagna; il duca lo rimproverava per essersi fatto sfuggire un’occasione così bella per vendicarsi e Craon gli aveva risposto: che il diavolo doveva aver messo la coda, perché i suoi uomini gli avevano inflitto più di sessanta colpi. E il duca: Allora avete due grandi torti, quello di averlo attaccato e quello di averlo mancato.

Il processo contro Craon stabiliva l’abbattimento del suo palazzo e il terreno su cui sorgeva era stato destinato a cimitero e la Rue du Craon  che costeggiava il palazzo,  aveva preso il nome di Mauvais-Garçon; furono rase al suolo tutte le case da lui abitate e la moglie Jeanne de Chatillon e l’unica figlia, furono mandate via quasi nude. Il re aveva chiesto al duca di Bretagna  di consegnargli Craon, ma il duca si era rifiutato e il re aveva deciso di fargli guerra, con la partenza delle truppe fissata per il 5 aprile 1393; durante la partenza  Sade, inseriva l’avvenimento della follia del re, avvenuta l’anno precedente e la causa del ritiro dell’esercito, alle condizioni della sua salute, per cui la guerra contro il duca di Bretagna, in ogni caso, si riduceva a nulla di fatto. 

 

 

 

Il palazzo  e la Torre di Nesles

 

 

LA TOUR DE NESLES

LA FOLLIA

DI CARLO VI

E GLI AMORI

ATTRIBUITI A ISABELLA

 

 

 

A

nticamente, sulla riva destra della Senna,  a qualche metro al di sopra  del ponte delle Arti, vi era un muro di cinta spesso, fiancheggiato da torrette con un certo numero di porte che si aprivano sulla campagna.

Nel 1190 il re Filippo-Augusto aveva disposto il restauro, che era iniziato dal muro dove si trovava il ponte delle Arti. Lì si trovava una torre rotonda che da diversi secoli portava il nome di Tour-qui-fait-le coin, la Torre che fa angolo: questa si elevava su un piazzale occupato dall’ala orientale del palazzo dell’Istituto. Un muro, partendo da  questa torre, giungeva in via Sant’Andrea delle Arti; lì era stata aperta una porta chiamata porta di Buci; dopo questa porta, fino alla Senna, il muro si estendeva senza interruzione; fu in questa cintura che era stato costruito il palazzo di Nesles che aveva dato il suo nome alla Torre. Il palazzo aveva la forma di un immenso triangolo-rettangolo, la cui facciata guardava a mezzogiorno; uno dei lati era fatto dalle mura della cinta e l'altro dalla riva. Da qui partiva la chiesa del convento dei “Grandi-Agostini  e si dirigeva verso la muraglia. La facciata del triangolo, parallela alla riva del fiume, era occupata da due corpi isolati e indipendenti l'uno dall'altro. Il vecchio duca di Berry li aveva trasformati nel 1300, riunendo i due corpi e costruendo una cappella, delle vaste sale e una biblioteca.

Lo spazio triangolare tra i due corpi e lungo la muraglia formava il parco; furono poi aggiunte delle gallerie coperte che davano all’insieme l’aspetto di un convento;  il duca poi acquistando del terreno dal monastero di Saint-Denis, aveva ricavato un giardino, delle scuderie, un maneggio e gli alloggi per la servitù: la sua posizione tra due porte della città, dava la possibilità di uscire ed entrare dalla città, senza controlli.

Nel 1316 il re Edoardo d’Inghilterra, sbarcava in Normandia per assediare Caen, ma i normanni riuscirono a scacciarlo; erano le premesse della guerra dei cento anni che scoppierà qualche anno più tardi (1337-1435); il comando dell’esercito francese era stato affidato a Carlo il Malvagio, re di Navarra, che confiscava per se tutto il complesso, che trovandosi tra due porte della città, dava la possibilità di uscire da Parigi e rientrare con facilità:  questo era poi finito in proprietà di Carlo V,  che lo aveva donato al fratello, duca di Berry (1360) il quale, non  avendolo trovato conforme alla propria magnificenza, aveva affrontato spese dispendiose per il suo abbellimento.    

Agli inizi di agosto 1392 il caldo era eccessivo; durante una spedizione il re era a cavallo e usciva dalla foresta di Mans quando un uomo si lanciava verso il suo cavallo e prendendo le briglie, gridava: Dove andate, principe? Vi hanno tradito. A queste parole Carlo era preso da un accesso di follia furiosa, prendeva la spada e colpiva gli uomini che gli erano vicini, uccidendone quattro.

Da questo momento il male diveniva incurabile sebbene il re durante il suo lungo periodo di regno, avesse periodi di lucidità, che si alternavano a quelli di follia e gli permettevano, con l’aiuto degli zii e del fratello, di esercitare il suo potere. In uno dei momenti di lucidità si approfittò per fargli nominare suo fratello, Luigi d'Orleans, reggente del regno, unitamente alla regina Isabella.

Mentre Carlo, nei momenti di follia, riconosceva il fratello e gli zii, non riconosceva Isabella e i propri figli e Isabella non volle più avvicinarlo; con il consenso della piccola regina, gli fu data una concubina figlia di un mercante di cavalli, da cui ebbe una figlia; la concubina fu fatta sposare a un certo Harpedenne e le fu dato in dote il dominio di Belleville, dal quale la figlia ebbe il nome di Domicella di Belleville (“Historia vitae Caroli VI, di Molé” mns.).

I suoi interessi politici escludevano che potesse dedicarsi alla vita libertina che le era stata attribuita, particolarmente da De Sade, che nel libro che le aveva dedicato, aveva trattato esclusivamente dei suoi intrighi politici non facendo alcun cenno a quelli amorosi, deliberatamente esclusi.

Un libro anonimo, di storia romanzata, che passava per storico (*), e raccontava gli amori di diversi personaggi femminili, tra cui quelli di Isabella, che dal primo giorno del suo matrimonio, Isabella aveva trovato meschino il palazzo di Saint-Pol, residenza di Carlo V e VI, mentre era stata sedotta dallo splendore del palazzo di Nesles.

Dopo il suo matrimonio, il duca di Berry aveva dato a palazzo di Nesles, delle splendide feste, balli, tornei, cacce; il duca si era accorto che Isabella era stata colpita da tanta magnificenza e le aveva mostrato un ardore tutto giovanile, che faceva  dimenticare a Isabella che il seduttore fosse lo zio del marito.

Isabella aveva accettato l'invito del duca e vi era giunta con una barca che l'aveva condotta alla torre, collegata al delizioso palazzo da un passaggio segreto; il giorno seguente, al calar del sole, riattraversando il passaggio segreto e giunta sulla riva della Senna, una barca che l'attendeva la ricondusse al palazzo Saint-Pol; Carlo era assente in quanto si trovava nelle Fiandre ad affrontare gli inglesi.

Dal primo giorno della relazione con il duca, Isabella aveva espresso il desiderio di avere la Torre tutta per sé, e il duca non aveva avuto difficoltà a cederla; Isabella, presone possesso, metteva personale, sulla cui discrezione e devozione potesse contare.

Il duca era al colmo della felicità; la conquista era gloriosa, in quanto questo galante signore era sulla cinquantina, ma non mancava molto ad avere il primo rivale; era Luigi conte d'Evreux e d'Etempes, considerato uno dei più galanti del suo tempo; le molteplici avventure che aveva avuto, gli avevano dato un'aureola a cui doveva la sua fortuna. Il conte era stato invitato alla Torre e si era accorto di non essere il solo e il duca ritenne opportuno accontentarsi della sua parte, per timore di perdere tutto.

Un giorno il conte chiedeva alla regina come mai l'appartamento (del duca) fosse tutto illuminato mentre le porte erano  serrate. Bel cugino, rispose Isabella con collera: allora mi fate spiare. Mia bella sovrana, rispose il conte, è stato uscendo dal Louvre, dopo il coprifuoco, che i miei occhi sono stati colpiti dallo splendore delle luci. Poi aggiunse:- Mi sono spiegato male; se volete perdonarmi, io non ho altro desiderio che quello di piacervi. Isabella si era subito  calmata e non aggiunse altro.

La sera di quel giorno il duca e il conte cenavano insieme e si trovarono a parlare della regina. Bel cugino, diceva il conte, sapete che è un grande onore per voi ricevere sovente le visite di questa perla reale del palazzo Saint-Pol. - Eh caro conte, mi sembra che voi non avete troppo da dispiacervi, ribadiva il duca:  la vita è troppo corta per passare a rimpiangerla, fermiamo gli occhi su ciò che a noi piace. Finita la cena, attraversarono la riviera e il conte vide la finestra della camera della Torre illuminata: E rivolgendosi allo scudiero che l’accompagnava, gli disse: Fernando, ti prometto cinquecento lire se domani a quest’ora mi saprai dire chi è passato da qui. 

Fernando, per tutta la notte aveva sognato come potesse soddisfare il suo padrone e il giorno dopo si era recato alla Torre dove aveva incontrato uno dei suoi compagni di gioventù, che era al servizio della regina e gli aveva espresso il desiderio di vedere la camera, che aveva le finestre scintillanti che brillavano di notte.

Il compagno di Fernando non ebbe niente in contrario per mostrare la camera e salirono al secondo piano, dov’era l’oggetto della curiosità del conte d’Evreux; quando vi giunsero Fernando, fermandosi davanti alla porta, con una mano, mantenne il troppo confidente servitore, e con l’altra gli conficcava un pugnale nel petto.

Il malcapitato spirò quasi immediatamente e dopo aver messo il corpo sul letto, che era il principale mobile della camera, si accovacciava in un angolo, in modo da essere coperto dalle tende; mentre il cuore gli batteva di paura e di speranza, si metteva in attesa che le luci fossero accese, per poter fuggire.    

Isabella aveva preso gusto alle escursioni notturne alla Torre e quella sera stava arrivando con un paggio di nome Arnoldo.

A questo punto dobbiamo rilevare che l’anonimo scrittore che aveva scritto questo romanzo, commetteva un’enorme dimenticanza!  Dimenticava di aver fatto mettere il cadavere del compagno ucciso da Fernando, sul letto, che era l’unico mobile della camera! E raccontava che: Entrata Isabella con Arnoldo, tra i due un dolce trattenimento li tiene impegnati come due amanti di un giorno; mentre Fernando  nel suo angolo attendeva che fossero accese le candele e durante il sonno della regina sarebbe uscito dalla camera. Dopo una lunga attesa la respirazione dei due amanti annunziava che si erano addormentati (sul letto col morto!). Egli lascia il suo angolo e con la mano sulla spada si avvia verso la porta, quando Isabella, svegliata, lanciava un grido. Svegliatosi il paggio correva verso lo scudiero che lo fermava con la punta della spada, mentre diceva, non voglio far del male a nessuno, voglio solo uscire da qui.

Isabella, messo il mantello sulle spalle, si dirigeva verso una porta segreta aperta con la pressione della mano e chiamava: A me Andrea! Costui era un guardiano messo in quel posto da Isabella, con quattro uomini che sorvegliavano la Torre. Fernando si precipitava verso l'uscita segreta, ma cinque uomini armati lo fermavano; è disarmato e legato. Va fatta subito giustizia di questo miserabile che voleva certamente attentare alla mia vita, aveva detto la regina.

Ma Fernando aveva raccontato la storia di Guglielmo. Non fu creduto e, colpito con la spada alle  braccia e alle gambe, si decise a parlare raccontando ciò che gli avesse chiesto il suo padrone e alla fine implorava la grazia. Ma era penetrato troppo nei segreti di Isabella per essere lasciato in vita, che, dopo essersi rivolta a bassa voce verso Andrea, questo in un istante colpiva Fernando che cadeva morto; anche il paggio faceva la stessa fine, colpito da quattro colpi di picca.

Il conte d'Evreu aveva mandato a cercare il suo scudiero e nell’occasione era stato   invitato a cena dal duca di Berry e il duca d'Orleans era il terzo invitato.

La serata si presentava piacevole in quanto partecipavano danzatrici e musici e a un certo punto  arrivava la regina; alzatosi Berry accompagnava la regina al suo posto, in modo da trovarsi seduta tra lui e il conte di Evreux, che presero posto con il duca d’Orleans.

Ripresero le danze e la musica e Isabella appariva eccitata e dopo una comune conversazione, si rivolgeva a verso il conte dicendogli: Ah! Conte, due volte mi avete oltraggiata ieri; tuttavia vi perdono in considerazione della vostra folle testa; ma bevete e ringraziatemi. Mentre parlava aveva fatto cadere dalla sua mano, della polvere nella coppa che stava per porgere, che Luigi accolse trionfante, svuotandola in un attimo, alla salute di Isabella. Ma appena aveva finito di bere, la coppa gli scappava dalla mano tremante, i suoi occhi si spalancarono, il suo petto si sollevava sforzandosi e la sua testa si posava lentamente sulla tavola.

I duchi pensarono che fosse ubriaco; cugino, gli disse il duca di Berry, il bere è un male e vi credevo miglior compagno; due servitori lo presero per adagiarlo su un divano, in fondo alla sala, e il duca d'Orleans si spostava per sedersi accanto a Isabella. Verso la mezzanotte Isabella, stanca si fece portare alla Torre e solo allora i due principi si ricordarono del conte; Berry si avvicinava dicendogli:  cugino è troppo il riposo per una così piccola trasgressione; aprite gli occhi; rientrate in voi.

Luigi non rispondeva e il duca gli prendeva la mano che era ghiacciata,  cercando di sollevargli la testa: è morto, esclamava spaventato; furono chiamati i medici che attribuivano la morte a un colpo apoplettico.

Il duca d'Orleans, ripreso il suo spirito, si ricordava che il conte si era accasciato dopo aver vuotato la coppa offertagli dalla regina e che Luigi era stato avvelenato; ma non diceva niente, ritenendo di tenere il segreto a mente per l'avvenire.

 

 

 

 

*) Episodes de la Tours de Nesles, (dedicato a sette personaggi femminili, tra le quali Isabella di Baviera), Paris Librairie populaire des villes et des campagne (senza data e senza il nome dell’autore e data), dal quale abbiamo ripreso anche il seguente paragrafo in cui si parla del suo legame con Papelon.

 

 

 

ISABELLA E

IL DUCA D’ORLEANS

RICORRONO  ALLA

FALSIFICAZIONE

DELLE MONETE

 ASSASSINIO DEL DUCA

 

 

 

 

U

n avvenimento era venuto a stringere i rapporti che univano Isabella al duca d’Orleans; dopo l’accadimento della follia di Carlo VI, i suoi zii si erano impadroniti del potere; la regina, risoluta a far modificare lo stato di cose, mentre durante la malattia di Carlo si era mostrata indifferente, cambiava atteggiamento, mostrandosi sollecita e più attenta a piacergli.

Nello stesso tempo, Isabella si era data al duca d’Orleans, verso il quale sentiva un vero attaccamento e aveva detto a Carlo, che nessuno dei principi del sangue le sembrasse capace di  governare come il duca d’Orleans; e il re affidava la reggenza al duca (1392), e a lei.

Successivamente il re emetteva un editto (24 aprile 1403), con il quale conferiva a Isabella l’autorità suprema, vale a dire a presiedere al Consiglio reale, annullando la precedente nomina del 1392; ciò che Isabella aveva potuto ottenere per opera del duca Filippo di Borgogna.

Isabella, aveva scritto De Sade, aveva istituito al castello di Vincennes una Corte d’Amore: “non come quelle Corti d’Amore di Avignone presiedute da Laura e cantate dal Petrarca nelle quali si praticavano soltanto le virtù del dio, che veniva oltraggiato da quella di Vincennes,  caratterizzata dalla depravazione di quel secolo grossolano, nel quale s’ignorava la semplice arte di essere viziosi almeno con  decenza”; e qui Isabella aveva la sua Corte e alla Torre aveva  i suoi incontri amorosi con il duca d’Orleans, che aveva sostituito il duca di Berry, divenuto confidente.

Sebbene il duca d’Orleans possedesse beni immensi, per la sua prodigalità, era sempre a corto di danaro; anche la regina aveva necessità di danaro, a causa dei servitori discreti, che doveva pagare a caro prezzo; pur essendo state aumentate le imposte, queste non bastavano a soddisfarli e come espediente il duca di Berry aveva suggerito di alterare la moneta, suggerimento accolto da Isabella.

Nella prigione dello Chatelet, si trovava un famoso falsificatore, Papelon, giovane intelligente e audace, che aveva acquisito grande esperienza nell’uso dei metalli e se  ne serviva per la falsificazione delle monete, tra le quali rientravano anche quelle d’oro e d’argento in piccole quantità. Era stato a quest’uomo che il duca d’Orleans aveva pensato;  Isabella si era mostrata d’accordo e Orleans lo aveva fatto condurre alla loro presenza.  

Orleans gli aveva chiesto quanta di questa moneta falsa avesse stampato; Monsignore, aveva risposto Papelon, senza mostrarsi intimidito: non ho tenuto un registro, ma posso dire centomila scudi d’oro e trecento mila lire d’argento. - E’ un buon mestiere, aveva detto il reggente, che porta lontano, se non s’incontra una corda sul proprio cammino. - Oh monsignore, aveva risposto Papelon, si sa che non appendono tutti i falsificatori di monete! - Andiamo, aveva aggiunto Isabella; sarà bene lasciar vivere questo ragazzo, purché prometta per l’avvenire di non commettere altri misfatti. - Prometti di servirci fedelmente, disse Orleans, se ti accordo la vita? -  Non ho altro desiderio, monsignore, di esservi gradito. - Bene, aggiunse Orleans: in quanto tempo puoi confezionare una somma doppia di quella che hai fatto clandestinamente e della stessa lega? -  Si può fare in sei mesi. fu la risposta.

Seguiva una conversazione tra Orleans, la regina e Berry; e a Papelon fu data la possibilità di installarsi al palazzo Tournelles, residenza del duca d’Orleans, dove sarebbe rimasto notte e giorno, con divieto di uscire senza il permesso del duca. Le cose andarono con soddisfazione dei tre governanti e in meno di quattro mesi la Francia e parzialmente la Germania, furono inondate di moneta falsa.

I ricevitori, ai quali era stato insegnato il modo di riconoscere la moneta falsa, la rifiutarono, di modo che delle somme considerevoli finirono nelle mani di Isabella e dei due duchi, senza che le casse del regno ne soffrissero.

Mai il palazzo di Nesles fu più brillante e mai l’argento fu più regalmente prodigato. La dissolutezza di Isabella aveva raggiunto proporzioni insensate in quanto si divideva, il giorno a Vincennes e la notte alla Torre di Nesles, sede dei bagordi, dove Isabella era rimasta per alcuni giorni e il duca d’Orleans si era mostrato suo degno emulo.

La notizia delle monete false si era sparsa e il popolo aveva appreso a riconoscerle; la giustizia non aveva provveduto ad arrestare i colpevoli e il popolo, dalle minacce era passato alle rivolte. Il duca d’Orleans aveva dovuto far sospendere il lavoro e pagare e far sloggiare Papelon con i suoi operai; ma Papelon aveva avuto una remunerazione insufficiente per coprire le sue spese ed era furioso.

Un giorno che i tre governanti si trovavano nel gabinetto del duca di Berry, un usciere aveva annunciato che un signore, che rifiutando di dire il nome, aveva chiesto di voler parlare con il duca d’Orleans, di una questione della massima importanza. Il duca stava per rispondere quando, lo sconosciuto entrava, dopo aver spinto una guardia, e avanzava con la mano sull’impugnatura della  spada; grande era stata la sorpresa della regina nel riconoscere Papelon.

Come osi presentarti, disse il reggente, senza aver ottenuto il permesso? - Monsignore, disse l’ardito briccone, certamente mi avreste rifiutato il permesso; non avevo altra scelta. - E’ una cosa ben osata, aveva aggiunto la regina; è il caso di perdonarlo se porta una buona notizia.

Isabella era stata colpita dalla prestanza di Papelon, vestito con ricchi abiti che gli davano una grande aria; sentendosi incoraggiato da quanto aveva detto la regina, riprese:- Facendomi grazia della vita, monsignore mi ha promesso di essere dolce se mi sottomettessi ai suoi desideri e se fossi discreto. Io lealmente ho mantenuto la promessa, ma ecco che sono senza denaro e senza un  quattrino per le strade di Parigi. Signora regina, è a voi che chiedo giustizia; se mi condannate, il vostro arresto lo riterrei giusto, onorato di andare in carcere sull’ordine di una così bella e nobile dama; e Papelon cadeva sul collo della regina; non era che un espediente per renderla favorevole. - Fratello, lei disse, volgendosi verso il reggente, avevate promesso. - Cattivo divertimento - disse il duca - costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ti faccio grazia e il tesoriere ti verserà mille scudi. Papelon, soddisfatto, prima di andar via, posò le sue labbra sulla mano della regina e con disinvoltura, con l’aria di un gran personaggio, usciva dalla sala.

La mattina seguente con il cuore leggero e mille scudi in tasca, Papelon si dispose a partire da Parigi; era per strada quando fu avvicinato da uno sconosciuto che gli chiese se accettasse un rendez-vous che una nobildonna gli offriva per la sera. E’ possibile, rispose Papelon, ma chi mi porterà a questo rendez-vous misterioso? - Io stesso, rispose lo sconosciuto. - E dove ci vediamo? - Al Pré-aux-Cleres.

La sera Papelon si recava al  Pré-aux-Cleres e con il suo introduttore salirono sulla barca che li attendeva ai bordi della Senna, portandoli alla Torre. Papelon era violentemente emozionato; sceso alla porta sull’acqua, fu introdotto nell’appartamento della regina dove rimase fino alla sera del giorno seguente.

Di tutto ciò che si era verificato, il duca d’Orleans ne era venuto a conoscenza, e il suo rammarico era divenuto vivo, in quanto la regina pareva essere stata realmente presa dal falso monetario. Ma la regina un giorno gli disse che non poteva risolversi a perdere l’affetto per lui, non potendo legarsi a un miserabile di bassa lega; ma nonostante ciò, lo aveva nominato suo scudiero, ma il duca aveva deciso di porre fine a questo legame.

Una mattina Papelon lasciando la regina, usciva da una nuova costruzione chiamata Soggiorno di Nesles, dove alloggiava, ed era stato avvicinato da due uomini che, con una picca alla mano, stavano per saltargli addosso; ma Papelon li affrontò e intrepido e con destrezza, riuscì a tornare nell’appartamento; questa aggressione gli rivelava di avere un nemico potente, Qualche ora più tardi egli raccontava alla regina ciò che gli fosse accaduto, dichiarando che, se chi aveva attentato alla sua vita non fosse stato punito, egli avrebbe lasciato il regno. Sta tranquillo, gli fu risposto, se non avrai una soddisfazione pronta, l’avrai certamente completa. Isabella aveva capito da chi fosse partito il colpo, e aveva risolto di rivolgersi al duca di Borgogna. 

Il duca d’Orleans, si vantava di avere i favori della moglie del duca di Borgogna, Giovanni senza Paura; forse questa voce era stata propagata da Isabella, che col duca di Borgogna si era rappacificata e sebbene i due si disputassero il potere, l’intimità era cresciuta fino al punto che Giovanni aveva avuto l’accesso alla Torre; egli, senza rompere apparentemente con il duca d’Orleans, aveva deciso  di sbarazzarsene a ogni costo.

Una sera Isabella aveva ricevuto nel suo appartamento privato il duca di Borgogna e dopo aver preso accordi segreti, Isabella annunziava di non tornare a Vincennes ma si sarebbe recata a palazzo Barbette, che si trovava in via Vecchia del Tempio; nello stesso tempo dava disposizione a Papelon di recarsi l’indomani dal duca di Borgogna e di fare tutto ciò che gli avrebbe ordinato. L’indomani Papelon si recava a palazzo Saint-Pol, dove Giovanni senza Paura lo riceveva come un uomo che si aspettava la visita e gli disse che ritenendolo coraggioso e fedele intendeva affidarlo come luogotenente, al capitano Raoul d’Hocquetonville.

Questo capitano era uno che non credeva né a Dio né al diavolo, e capace di mettere uno Stato a fuoco e sangue, per ottenere un conveniente bottino. Nel vedere Papelon per la prima volta, lo trattava come una vecchia conoscenza, dandogli appuntamento per la sera, per affidargli un  incarico di grande importanza.

Giunta a palazzo Barbette, Isabella era stata presa dalle doglie del parto e la notizia era corsa per tutta la città, creando movimento attorno al palazzo; questo incidente senza dubbio, causava  problemi ai suoi progetti, in quanto, d’Horquetonville, relativamente all’incarico che doveva affidare a Papelon, lo aveva annullato.

Il duca d’Orleans si era astenuto dal recarsi da Isabella per evitare di peggiorare i rapporti, ma Isabella che si era prontamente ristabilita, gli aveva fatto sapere di essere dispiaciuta di non averlo potuto vedere in circostanze che dovevano particolarmente interessargli; il duca aveva fatto sapere che si sarebbe recato da lei la sera stessa (era il 22 novembre 1407).

Alla foresteria dell’Immagine di Notre Dame vi era una riunione di uomini d’arme tra i quali vi era il capitano d’Horquetonville e Papelon; il primo oltre ad avere al suo fianco la spada, aveva alla cintura un’ascia; Papelon aveva una spada e un pugnale, gli altri, daghe e bastoni.

Qualcuno, che era stato messo sulla soglia della porta, sentendo passare dei cavalli, a bassa voce avvertì: E’ lui. Un altro uscì per controllare dove si stavano dirigendo i cavalieri che si recavano verso il palazzo Barbette. Tutti uscirono con le torce accese e Raoul li seguiva su un mulo con l’ascia in mano; tutti gli altri si lanciarono sul corpo del duca e dopo averlo raggiunto, Raoul gli sferrava un colpo con l’ascia; il duca, ferito gridava, sono il duca d’Orleans! Perbacco, rispose Papelon, lo sappiamo e gli infilava il pugnale in mezzo al petto; e tutti si avventarono sul corpo del duca, che aveva cessato di vivere, ma gli assassini colpivano ancora; per una diversione, avevano dato fuoco alla foresteria dell’Immagine di Notre Dame, fuggendo in tutte le direzioni.

Presto i parenti e tutta la casa del duca era accorsa sul luogo, ma vanamente cercavano i colpevoli; avevano trovato solo il cadavere sfigurato del principe. Quando Papelon giunse al palazzo Barbette, gli avevano detto che la regina lo aveva cercato e certamente era in ansia; egli si affrettò a recarsi dalla sovrana e fu subito ricevuto. Ti senti vendicato?  Gli disse Isabella quando furono soli; il traditore è morto, aveva risposto lo scudiero; poi, tirando il suo pugnale, aggiunse: e posso mostrarvi il colore del suo sangue. L’aspetto di quest’arma insanguinata, non aveva suscitato in Isabella alcuna emozione; e dopo essersi fatta raccontare i particolari, si addormentò tranquillamente.

L’indomani giunse il duca di Borgogna, accolto come un salvatore. Madame, le disse il duca dopo un’animata discussione: Non possiamo rimanere su questa bella strada. Eh! caro duca.  Non siamo ora i padroni?  No madame; perché io non sono niente e voi ora non avete che un potere incerto.- Dimenticate che io sono la reggente del regno? Disse la regina. - Questa reggenza è solo di nome fin  quando Bernardo d’Armagnac sarà consigliere del re, fu la risposta. Isabella ne fu spaventata; al pensiero di una nuova morte ebbe una sorta di reazione nel suo spirito.

Il conte d’Armagnac, in verità, era suo nemico; egli spingeva il re contro di lei e quando il povero monarca aveva qualche lume di lucidità, il conte ne approfittava per dipingere Isabella con i colori più neri. La regina veniva a conoscere tutto; ma era accusata degli assassinii e spaventata dall’audacia di Giovanni senza Paura che non avrebbe tardato a minacciare la sua autorità su di lei.

Duca, riprese la regina, il cammino di cui parlate non è così bello come appare a voi e il conte Bernardo per noi non è così temibile, come gli Orleans e Valentina Visconti che avete reso vedova, potrebbe ben più di lui influire sullo spirito del  re. E poi, alla mia coscienza ripugna fare della Corte un cimitero. Cerchiamo piuttosto la pace; è il miglior mezzo per abbattere l’orgoglio dei nostri nemici. Dopo che si sarà ristabilita la mia salute, mi recherò dal duca di Berry, perché è troppo amico della concordia per rifiutarci un aiuto in questa occorrenza.

Il duca di Borgogna non fu molto convinto di queste ragioni; egli era convinto che i morti siano i soli a non avere niente da temere; e pur non avendo fatto osservazioni, si ritirò, ma egli era risoluto più che mai a marciare dritto verso lo scopo che si proponeva, il potere supremo.

Ma mentre sognava di continuare con i suoi attacchi, tutt’a un tratto si trovò nella condizione di doversi difendere: lo accusavano di essere l’autore dell’assassinio del duca d’Orleans. Valentina Visconti vedova di quest’ultimo, aveva fatto giurare ai propri figli, sul corpo sanguinante del padre, di vendicare questo crimine, con una vendetta strepitosa.   

Il conte d’Armagnac, aveva sposato la figlia del duca di Berry e il Delfino, ancora giovane si fece capo di questo potente partito.

Isabella, ristabilitasi si recava al palazzo di Nesles a trovare il duca di Berry, il quale dopo averla ascoltata le rispose di non aver cessato di essere suo devoto servitore e avendo compreso che la regina avesse bisogno di lui, di essere pronto  a fare ciò che fosse possibile.

Vediamo duca, rispose la regina; voi non potete essere nello stesso tempo, amico della pace tra uomini e fare la guerra a una donna. Voi unirete, sono certa, i vostri sforzi al fine di evitare una guerra tra i partigiani di Armagnac e quelli del duca di Borgogna, e per mantenere ciascuno nei limiti dei propri diritti; a questo fine vi concedo pieni poteri se io conservo l’autorità che mi è stata concessa dal re.

Queste ultime parole avevano reso il duca più trattabile e diplomatico com’era, intravide, attraverso le difficoltà della situazione dei notevoli e facili successi per lui. Invitava quindi Isabella a rimanere qualche tempo al palazzo di Nesles per poter conferire con lei. Poi si mise a negoziare la riconciliazione della regina con il conte d’Armagnac, solo mezzo per ridare a Isabella il. potere che le era scappato.

 

 

 

IL RITORNO DEL

DUCA DI BORGOGNA

LA FRANCIA DIVISA

TRA  ARMAGNACCHI 

E BORGOGNONI

AMORI DI ISABELLA

 

 

 

I

sabella era tornata al castello di Vincennes, dove incominciava a riprendere i rapporti con il duca di Borgogna, Giovanni senza Paura, il quale, dopo l’assassinio del duca d’Orleans, era andato a rifugiarsi nei suoi domini,  circondandosi di truppe, nel timore di essere attaccato.

Dopo aver avuto dei messaggi da Isabella, con trentamila armati e numerosi signori, si era diretto verso Parigi, dove, accampato l’esercito davanti alle mura, si recava dal re a palazzo Saint-Pol, al quale diceva: Che non vi fosse nessun signore saggio, che non potesse essere tentato dal diavolo; ed era ciò che si è verificato con  suo cugino Luigi d’Orleans, per cui chiedeva al re di riunire una commissione, perché potesse dimostrare che egli non si fosse comportato che per motivi di giustizia. Cugino, gli aveva risposto il re, sarà fatto come chiedete, ma non dimenticate, io spero, che Luigi d’Orleans fosse il mio ben amato fratello.

Nonostante la raccomandazione del re, Giovanni nell’assemblea, si era mostrato poco rispettoso per la memoria del duca d’Orleans, sebbene il re lo avesse perdonato.

Rientrato in grazia del re, Giovanni senza Paura incominciava a battere la breccia sul favore di cui godeva il conte d’Armagnac; questo, per sostenere la lotta, si era alleato col figlio del duca d’Orleans, desideroso di vendicare il padre; come conseguenza, in Francia, che come già abbiamo accennato, si divideva tra borgognoni e armagnacchi, per due volte era scoppiata la guerra civile tra le due fazioni e per due volte si era conclusa la pace, con l’intervento del duca di Berry.

In mezzo a questi disastri, scriveva l’anonimo romanziere, cosa faceva l’ardente Isabella? In preda a un nuovo amore con un signore di nome Boisbourdon, dal castello di Vincennes, in barca, si recava alla Torre di Nesles per incontrare il nuovo favorito, bello e spirituale, che aveva messo l’imperiosa principessa in un tal grado di sottomissione, da inginocchiarsi davanti a lui in una sorta d’estasi che l’aveva privata della sua volontà.

Durante questo soggiorno i due amanti avevano dimenticato il resto del mondo, da non vedere la tempesta che si stava preparando all’orizzonte. La tempesta scoppiava qualche tempo dopo, quando Boisbourdon era arrestato e messo a morte per ordine del re. Isabella per vendicare il suo favorito, si buttava nelle braccia del duca di Borgogna, che diveniva l’arbitro dei destini della Francia.   

Il duca di Berry. in ricordo della sua gloriosa giovinezza, era indignato nel vedere la Francia in preda  a una Messalina, sostenuta da un assassino e aveva preso la risoluzione di recarsi ad Angers, dove erano stati convocati gli armagnacchi e gli Orleans, per combattere Giovanni senza Paura.

Egli, per prima cosa aveva cacciato dalla Torre di Nesles il personale della regina, dove si erano insediati gli armagnacchi, mentre nella torre del palazzo di Saint-Pol si erano insediati i borgognoni, formando così una scintilla che avrebbe potuto accendere il fuoco a Parigi.

La partecipazione del duca di Berry, aveva reso più forti gli armagnacchi e Giovanni aveva compreso di non poter sostenere la lotta, se non avesse trovato l’appoggio del popolo. Fu in questo periodo in cui avvenne lo scontro feroce tra borgognoni, capeggiati dal macellaio o scorticatore, Simonet Caboche, capitano dei borghesi di Parigi e padrone assoluto della città, seguito da tutti i macellai di Parigi al servizio di Giovanni senza Paura, che diceva: se volete legarvi in amicizia con il diavolo, basta tendere la mano agli armagnacchi che sono tutti scomunicati con una bolla del papa.

L’audace macellaio che aveva giocato d’astuzia, aveva avuto la fortuna di sentire, dopo aver pronunziato queste parole, che le campane di Notre Dame si erano messe a suonare e le porte della basilica si erano aperte e il vescovo di Parigi, davanti all’altare maggiore, aveva pronunziato la scomunica degli armagnacchi.

Caboche, raggiunto dai fratelli Guys, capi della macelleria di Santa Geneviéve, e da quelli di Sainctyon e di Tiber, capi della macelleria dello Chatelet, andarono a saccheggiare il palazzo di Nesles, dove, prima di affrontare il saccheggio, dovettero affrontare un combattimento; dopo il palazzo, andarono alla Torre dove abitava Bianca la figlia naturale del duca di Berry, che aveva pensato di uscire dalla camera dove si era rifugiata  e seguendo ciò che diceva il padre,”che il pericolo spaventa chi lo vede da lontano” decise di andare incontro agli assalitori e uscendo dalla camera dove si era nascosta, aveva gridato: “Amici, oggi avete fatto un gran macello; a che cosa vi serve ora continuare, quando non rimangono che donne alle quali gli uomini di guerra accordano rispetto e protezione? Perbacco, aveva detto Caboche alzando la testa, ecco un gentile usignolo, e volgendosi verso Bianca: Nobile dama, vi prometto la vita e la libertà, salvo il riscatto. - Cessate di scassinare le porte, riprese Bianca, ve le apriamo noi stesse.

Nello stesso tempo Bianca, resasi conto di non poter rimanere sola in quel posto con le sue donne in mezzo ai cadaveri, chiese a Caboche, con voce carezzevole di accompagnarla al palazzo Saint-Pol; ma Bianca fu portata da Caboche con una barca all’Ile de Citè, dove abitava Caboche, che affidava Bianca e il seguito alla madre che le ospitava per il versamento del riscatto.

Ma il duca di Borgogna invece del riscatto aveva proposto uno scambio, in quanto Goys, capo della macelleria Sain-Geneviéve, era stato fatto prigioniero e Caboche, con rammarico, aveva dovuto accettare lo scambio. Bianca e il seguito furono quindi consegnate a Marcelon, tesoriere del duca, che le accompagnava a palazzo Saint-Pol dal duca di Borgogna e dalla regina.

Il duca di Berry che si trovava a Saint-Cloud, riceveva la visita del tesoriere Marcelon e di un inviato del duca di Borgogna, che gli annunziavano che era libero di tornare al palazzo di Nesles, dove il duca trovava solo rovine; tuttavia il fedele tesoriere lo rincuorava con parole che illuminarono il viso del duca.

Venuta a sapere del rientro del duca, Isabella gli mandava la figlia Bianca che tornando al palazzo di Nesle, trovava il padre moribondo, colto da un colpo di apoplessia e lo stesso Caboche che era presente, se pur con l’abito sporco di sangue, si era profondamente intenerito. Caboche le riferiva che Thomas de Mercq, suo futuro sposo, era morto; Bianca, presa da una crisi, si ritirava nell’abazia di Maubuisson presso Pontoise, dove l’anno seguente prese il velo.

Moriva anche il figlio del duca di Berry, Giovanni, senza figli maschi e il palazzo di Nesles, tornava in proprietà della corona.  Il figlio di Giovanni senza Paura (1404) Filippo il Buono, non pensava che a vendicare il padre assassinato; egli conduceva trattative con il re inglese Enrico V e con Isabella, che tradiva il suo  sposo, suo figlio e il suo paese, che voleva consegnare agli inglesi e li faceva entrare a Parigi.

Enrico V d'Inghilterra, riconosciuto erede di Carlo VI di Francia, moriva all’improvviso (1422) e moriva anche Carlo VI; a Enrico V, succedeva, il figlio appena nato, Enrico VI, e a Carlo  VI succedeva il Delfino Carlo VII.

Tre donne si levavano in aiuto della patria: Margherita di Francia, Agnese Sorel e Giovanna d’Arco che con il suo entusiasmo, aveva costretto gli inglesi a togliere l’assedio a Orleans e faceva anche incoronare Carlo VII a Reims, che la tradirà, consegnandola agli inglesi.

Il duca di Borgogna abbandonava gli inglesi e firmava un trattato di pace con Carlo VII  (1535); infine la morte di Isabella concorreva al ristabilimento della pace e due anni dopo Parigi apriva le porte al re.

Carlo VII faceva dono a suo nipote, il connestabile de Richmont, duca di Bretagna, del palazzo di Nesles, in ricompensa dei servizi da lui resi durante la guerra; ma morto il duca senza figli, il palazzo ritornava alla corona; le storie del palazzo di Nesles, per il romanziere ignoto, continuavano, ma a noi interessava non andare oltre i fatti  collegati a Isabella di Baviera.

 

 

 

Salmon offre il suo libro a Carlo VI –

 Miniatura Biblioteca Nazionale - Parigi

 

 

IL GIUDIZIO DI

ALESSANDRO DUMAS

SUL REGNO DI CARLO VI

 

 

 

 

I

l regno di Carlo VI, regno unico e bizzarro nei nostri annali, era stato scritto, regno folle che era passato tra due apparizioni soprannaturali, quella del vegliardo della foresta di Mans (v. sopra) e quello della giovane pastorella di Domremy (Giovanna d’Arco), fu uno dei più sfortunati della Francia e attraverso questo principe, fu uno uno dei più disprezzati della monarchia. Il nome di “ben-amato” che gli fu dato dal popolo, era prevalso sul nome di “insensato” che gli era stato dato dai grandi; tanto la sua famiglia gli si era mostrata ingrata, quanto il popolo gli era stato fedele.

Nella sua giovinezza aveva saputo essere piacevole con tutti, per il suo coraggio e la sua affabilità; nella vecchiaia aveva svegliato le simpatie del popolo per la sua miseria e il suo infortunio.

Quando la sua follia gli lasciava un istante di riposo, egli riprendeva  nelle sue mani gli affari di Stato e il popolo sentiva che le cose miglioravano, avvertendo la sua presenza; era un sole che di tanto in tanto brillava attraverso nubi sobrie, rivivificando l'anima della Francia.

Il giorno successivo alla sua morte il corpo fu messo in una bara di piombo e portato da cavalieri e scudieri, nella chiesa di Saint-Pol dove rimase esposto nella cappella ardente, fino al ritorno del duca di Bedfort. Durante i venti giorni che durò l’esposizione, le messe furono cantate e celebrate nella cappella, come era costume di quando il re era vivo. I quattro ordini mendicanti di Parigi,vennero ogni giorno per prestare il loro servizio e chiunque poteva entrare e pregare sul suo corpo . Infine, l’8 novembre arrivò il duca di Bedfort; il Parlamento vedendo che tardava, aveva già preso le misure relative alle esequie del re; queste misure erano la vendita dei mobili del palazzo Saint-Pol, tanto era la miseria reale. Il dieci, il corpo fu portato alla chiesa di Notre-Dame; le processioni di tutte le chiese e  dei deputati dell’università, lo precedevano; i prelati erano a destra, coperti dai loro abiti pontificali, i dottori e rettori erano a sinistra, rivestiti dei loro abiti. Il feretro era sostenuto, dalla parte destra dagli scudieri e maitres d’hotel della casa del re; e sul lato sinistro, dai prevosti di Parigi e mercanti e sergenti d’arme.

Il re era posato su un drappo d’oro seminato di fiori di giglio e sopra vi era una sua ’immagine perfettamente somigliante, con la   corona d’oro sulla testa, e portante alle mani coperte di guanti bianchi, un anello guarnito di pietre preziose e due scudi, uno d’oro, l’altro d’argento. Il corpo era vestito d’un drappo  d’oro a campo vermiglio e portava un mantello uguale riccamente ornato di ermellino; le calze erano nere; le scarpe di velur azzurro erano cosparse di fiori di giglio d’oro. Il drappo che copriva i resti mortali era portato da quelli della corte del parlamento, seguito dai paggi, e poi, dopo un piccolo intervallo, cavalcava  solo e vestito di nero il duca di Bedfort, reggente del regno.

Era pietoso osservare questo povero re, così tradito durante la vita, così abbandonato dopo la morte, che nessun principe con i fiori di giglio, assistesse al funerale e che il dolore della Francia era portato da un inglese; è che la guerra civile e la guerra straniera, dopo dodici anni, avevano soffiato così violentemente sul regno che aveva levato e disperso tutte le foglie del ramo reale. Dopo il duca di Bedfort, seguivano a piedi il cancelliere di Francia, i capi delle richieste, i signori dei conti, i notai, i borghesi e infine la gente comune di Parigi in gran moltitudine che non si era mai vista al seguito di un corteo reale.

E’ in quest’ordine che il corpo del re fu portato a Notre-Dame; solo la testa del corteo era potuta entrare, tanto era grande la folla; la messa era stata officiata dal patriarca di Costantinopoli; finito l’ufficio, il corteo si rimise in marcia per Saint-Denis, ripassando per il ponte di Change, tanto il ponte di Notre-Dame era ingombro di popolo. A mezzo cammino di Saint-Denis, i misuratori di sale di Parigi, portante ciascuno un fior di giglio d’oro sul petto, in virtù di un antico privilegio della corporazione, presero il corpo dalle mani degli scudieri e dei sergenti d’arme e lo portarono fino alla croce, quando era a tre quarti del percorso; a questo punto, li attendeva l’abate di Saint-Denis. Era accompagnato dai religiosi, dal clero, dai borghesi e dal popolo, che portavano una moltitudine di torce, essendo arrivata la notte.

Il corteo si diresse alla chiesa, dove fu detta un’altra messa cantata e poiché il corpo doveva essere deposto nella tomba il giorno dopo, fu messo in mezzo al coro; fu recitata l’offerta e il duca di Bedfort rimase da solo.

Il giorno dopo un  nuovo servizio fu fatto per il riposo dell’anima del re. Tutta la notte la chiesa era rimasta illuminata e si consumarono ventimila lire di cera e le elemosine furono fatte con tanta larghezza che seimila persone ebbero ciascuno tre bianchi, moneta reale. Finito il servizio gli uscieri aprirono i cancelli del caveau; il corpo, preceduto dalle torce, fu portato giù presso la tomba del re Carlo V.    

Il patriarca di Costantinopoli, prese un ramo di bosso, lo bagnò nell’acqua benedetta  e pronunciò le preghiere dei morti; gli uscieri d’arme del re, ruppero le loro verghe bianche e le gettarono sulla tomba, riversandole dall’alto in basso e la prima palata di terra fu buttata sulla bara, separando le due dinastie e i due regni. Quando la fossa fu riempita, il re d’armi, du Berry, salì sopra e disse ad alta voce: Dio voglia avere pietà e misericordia dell’eccellentissimo principe Carlo re di Francia, sesto di nome, nostro naturale sovrano e  signore.

I singhiozzi scoppiarono da tutte le parti, ed egli gridò di nuovo, dopo una leggera pausa: Dio dia buona vita a Enrico, per la grazia di Dio, re di Francia e d’Inghilterra, nostro sovrano signore. Dopo aver proferito queste parole, i sergenti d’arme prelevarono le loro mazze, i fiori di giglio in alto, e gridarono in due riprese: Viva il re! Viva il re!

La folla rimase in silenzio e questo grido sacrilego non fu ripetuto; esso andò a perdersi senza eco, sul vuoto cupo e sepolcrale delle tombe dei re di Francia e fece trasalire di spavento  dalle loro tombe tre monarchi messi in seguito uno accanto all’altro.

L’indomani, Enrico VI d’Inghilterra, di diciotto mesi, fu proclamato re di Francia, sotto la reggenza di Bedfort.

 

 

 

 

 

 

FINE