RIVISTA STORICA VIRTUALE
Domenico di
Michelino - Dante e i tre regni -
Firenze - s. Maria del Fiore
SFERE
CELESTI E
GERARCHIE
ANGELICHE
tra Aristotele, Dionigi e Dante
MICHELE
E. PUGLIA
SOMMARIO:
INTRODUZIONE; FUNZIONI DELLA GERARCHIA; LA PRIMA GERARCHIA: CHERUBINI, SERAFINI
E TRONI; LA SECONDA GERARCHIA: DOMINAZIONI, POTENZE E VIRTU’; LA
TRADIZIONE SACERDOTALE; LE VISIONI DI ZACCARIA,EZECHIELE E DANIELE; LA TERZA
GERARCHIA: PRINCIPATI ARCANGELI E ANGELI;
LE QUALITA’ CHE POSSIEDONO LE TRE GERARCHIE E IL NUMERO DEGLI
ANGELI; DELLE NUMEROSE FORME SOTTO LE QUALI APPAIONO LE NATURE ANGELICHE: I.
COME GLI SPIRITI SONO PARAGONATI AL FUOCO; II. COME VENGA LORO ATTRIBUITA LA FORMA UMANA E I NOSTRI
ATTRIBUTI CORPOREI; III. PERCHE’ SI ATTRIBUISCONO LORO VESTI E CINTURE; IV. DIVERSI STRUMENTI PRESI DALLE
NOSTRE ARTI; V. PERCHE’
VENGONO PARAGONATI AI VENTI E ALLE NUBI...; VI. O APPAIONO COME MATERIALI DI BRONZO, DI ELETTRO O DI PIETRE
PREZIOSE DI DIVERSI COLORI...; VII.
E AGLI STESSI ANIMALI COME IL LEONE, IL BOVE E L’AQUILA...; VIII. O
QUANDO SI DESCRIVONO COME FIUMI, CARRI E RUOTE;
IL
PENSIERO DI DANTE.
INTRODUZIONE
L |
a concezione dei Pitagorici, della
sfericità della Terra, porta alla conseguenza di considerare il cielo (ouranós) composto da sfere che
abbracciano la Terra (Pitagora aveva coniato il termine cosmos per designare il tutto che abbraccia la Terra in una visione
di armonia e ordine dell’universo), alla quale aderirono tutte le scuole
filosofiche successive. Platone, alla concezione fisica del cielo introduce una
concezione spirituale, in precedenza di carattere mitologico, considerando un
tutto di movimento e ordine rappresentato dalla divinità (l’UNO)
principio movente e ordinatore degli astri.
Aristotele, sulla base della visione
geometrica di Eudosso ricorre alla figurazione delle sfere omocentriche (la Terra al centro) con un movimento circolare (da destra
verso sinistra), non uniforme per ciascuna sfera, intorno alla Terra fissa e
immobile, che spiega l’apparente movimento degli astri, vale a dire del
Sole, della Luna e dei sette pianeti allora conosciuti, ciascuno con una
propria sfera, mentre tutte le altre stelle considerate fisse, si trovano in
nell’unica sfera più esterna. Iniziando dalla sfera più bassa della Luna, segue la
sfera di Mercurio, poi di Venere,
del Sole di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle fisse e infine del Primo
Motore mobile.
L’etere elemento
del mondo superiore celeste è separato da quello infralunare dai quattro elementi di formazione del
mondo, nell’ordine terra aria, acqua e fuoco a cui si aggiunge la quinta
essenza, cioé il cielo. Il tutto è mosso in un movimento eterno
determinato da un movente eterno, e perciò eternamente in atto e
necessariamente immateriale.
Questo mondo superiore
celeste con le speculazioni filosofiche e religiose verrà popolato di
spiriti, demoni e angeli, che ritroviamo fin dall’antichità presso
gli assiri e babilonesi, presso i quali esistevano varie categorie di divinità
astrali e messaggeri delle divinità, rappresentati con grandi ali che simbolizzavano la loro potenza
protettiva, con il corpo di leone o aquila per simbolizzare la forza e
l’agilità. Questi esseri ebbero molta importanza nel mazdeismo
(Zarathustra) che riteneva che vi fosse una eterna lotta tra esseri divini ed
esseri demoniaci, rappresentanti del bene e del male.
Li ritroviamo poi presso
i pensatori greci sotto il nome di «daimones» da Talete ed Eraclito secondo i quali l’universo è pieno
di dei, vale a dire «sostanze
separate»; i Pitragorici ritenevano che i sogni venivano mandati dai
geni che riempiono l’aria. Democrito riteneva che lo spazio fosse abitato
da geni.
Platone parla di una
«specie celeste di dei, in gran
parte di fuoco per essere splendida e molto bella da vedere» e riteneva che vi fossero dei minori (daimones) che come ministri di Dio
seguono l’uomo con buone ispirazioni e governano ciascuna contrada.
Per Aristotele «sopra il cielo vi sono
esseri non soggetti ad
alterazioni e passioni che
conducono vita ottima ed eterna» che imprimono il movimento alle
sfere del cielo. Tali motori, associati a un corpo di natura incorruttibile
sono «intelligenze» cioé enti spirituali dotati di
intelletto e volontà. Essi sono ordinati gerarchicamente così
come gerarchico e procedente dall’uno sull’altro è il loro
movimento e il moto dei cieli, che
si trasmette infine nella partecipazione causale della generazione e corruzione e di tutte le mutazioni in atto nel
cosmo
Con Plotino (e siamo
già verso la via cristiana) troviamo i démoni di natura eterna, generati dall’anima del
mondo, che sono fatti di una corporeità intermedia e possono venire a
contatto degli uomini (anche Cicerone li aveva inseriti nel Somnium Scipionis): il sole è un
dio perché animato e così pure gli astri.
Secondo Porfirio
(233/4-305) sono gli angeli a portare a Dio le nostre preghiere difendendoci dai demoni (o démoni malvagi). Giamblico
(250?-330) aveva fatto una prima distinzione in quattro categorie: gli angeli
che sollevano gli uomini dalla materia; gli arcangeli che portano le anime nei
cieli; i demoni che li immergono
nella materia; gli eroi che presiedono agli affari del mondo. Proclo
(412-485) distingue quattro serie di spiriti che hanno il compito di aiutare
l’uomo a ritornare a Dio
I testi religiosi come
la Bibbia e il Corano, con tutte queste idee che si erano andate man mano
sviluppando, massimamente la concezione aristotelica, avevano fornito ai
filosofi arabi e ai padri della Chiesa la possibilità di sviluppare
l’angelologia, divenuta oramai
una materia speculativa.
Gli scrittori cristiani
alle nove sfere celesti si ricollegano creando il sistema delle nove gerarchie o cori celesti.
Dobbiamo a Dionigi
(480-525) pseudo Aeropagita, così detto perché sarebbe stato il
primo vescovo di Atene discepolo di s. Paolo e da questo convertito,
considerato autore di testi (De divinis
nominibus, De theologia mystica,De
ecclesiastica hierarchia), che invece erano stati scritti da un
cristiano della fine del V sec., probabilmente siriano, e dal modo ispirato in
cui aveva scritto il testo, come si avrà modo di constatare, un mistico,
il quale codifica per primo nel libro «De coelesti hierarchia», le gerarchie celesti organizzandole
in un tutto sistematico e descrivendone minutamente la loro disposizione e le
loro funzioni. Il libro ebbe un
grande successo e dette luogo a tutte le successive elaborazioni dell’angelologia.
Dionigi non individua
esattamente il posto in cui esse si trovano, ma in base alla distinzione di
Aristotele delle sfere del cielo dove sono fissati i pianeti e le stelle, al di
sopra delle quali vi è il mondo sovraceleste, la loro posizione è
da individuare nella stessa disposizione (come vedremo più avanti nei
nove cerchi di Dante) delle sfere
celesti, al di sopra delle quali si trova Dio, motore immobile.
Dionigi tiene in ogni
caso a precisare per tutti gli angeli, che si tratta di essenze di puro
spirito, e i padri della Chiesa (Giustino, Atenagora, Clemente Alessandrino, s.
Cipriano, Lattanzio, s. Ambrogio) tratti in inganno dall’ apocrifo Libro
di Enoc credettero che i figli di Dio (Gen.,
VI,2) «che peccarono con le figlie
degli uomini» fossero gli angeli, non fatti di solo spirito, e
con Tertulliano si attribuì agli angeli una corporeità visibile a
Dio, ma con la capacità di assumere quando lo desideravano, le fattezze
umane. Questa opinione permase per tutto il medioevo, durante il quale nei
processi alle streghe si prevedevano i delitti di unione carnale delle streghe
con i demoni, ed ebbe termine con s. Tommaso che la eliminò
definitivamente.
Non mancarono gli
approfondimenti speculativi da parte degli scolastici (v. Schede: La
Scolastica) Onorio d’Autun, (Elucidarium),
s. Anselmo, Pietro Lombardo, s. Bonaventura, Alberto Magno, s. Tommaso. Duns
Scoto fino al «De angelis»
di Suarez (1548-1617).
Le Scritture,
scrive Dionigi, chiamano col nome
di Angeli gli
spiriti beati. La teologia, aggiunge, designa indifferentemente con questo comune
appellativo in generale tutte le nature celesti, (Salmo CII, S. Matteo I. 5)
mentre nell'esplicazione particolare di ciascun ordine, gli Angeli occupano l'ultimo grado della gerarchia invisibile, e al disopra
di loro si trova la milizia degli Arcangeli, dei Principati,
delle Potenze, delle Virtù.
In ogni costituzione
gerarchica, precisa Dionigi, gli ordini superiori possiedono la luce e la
facoltà degli ordini inferiori, senza che questi abbiano reciprocamente
la perfezione di quelli.
La teologia, chiama Angeli la moltitudine sacra delle supreme
intelligenze, perché servono anche a manifestare lo splendore della luce
divina. Ma per nessun motivo le celesti nature dell'ultimo ordine potrebbero
ricevere la denominazione di Principati, di Troni, di Serafini, perché non
partecipano di tutti i doni degli spiriti superiori.
Questo nome di Angeli fu dato a tutte le Virtù celesti per la loro comune rassomiglianza con
la Divinità e per la loro partecipazione, più o meno intensa, ai
suoi eterni splendori.
La teologia ha designato
con nomi diversi tutte le nature angeliche, ma è stato Dio, secondo
Dionigi, a distinguerle in tre gerarchie distinte a loro volta in tre ordini ciascuna («cori angelici»).
La prima gerarchia é la più divina che
attinge direttamente alla sorgente gli
splendori eterni, essa circonda sempre la Divinità e si unisce
indissolubilmente ad essa in modo più diretto delle altre due (Ezechiele
I; Isaia VI) e comprende i tre ordini dei Troni, e gli ordini ai quali si
attribuiscono occhi ed ali, che in ebraico si chiamano Cherubini e Serafini; essi sono posti immediatamente dopo
Dio e meno separati da lui che gli altri spiriti.
Nella seconda gerarchia si trovano le Potenze, le Dominazioni e le Virtù. Infine nella terza ed ultima troviamo gli Angeli, gli Arcangeli e i Principati.
FUNZIONI
DELLA GERARCHIA
T |
utta la gerarchia ha per
fine invariabile una certa imitazione e rassomiglianza della Divinità, e
che ogni attività che essa impone tende al doppio fine di ricevere e di
conferire una purezza immacolata, una divina luce ed una perfetta conoscenza
dei santi misteri.
Esse sono dunque al
massimo della purezza, non solo perché nessuna macchia o sozzura le
contamina e perché non subiscono la legge della nostra materia, ma sopratutto perché,
inaccessibili ad ogni principio di degradazione e dotate di una santità
trascendente, si elevano con ciò al disopra degli altri spiriti, per
divini che siano; ed anche perché trovano in un generoso amore di Dio,
la forza di mantenersi liberamente e invariabilmente nel loro proprio ordine, e
nessuna alterazione può loro sopraggiungere, poiché le obbliga
santamente alle funzioni meravigliose che loro furono assegnate per la rigidezza
di una invincibile volontà.
Esse sono ugualmente
contemplative; e con ciò non si deve intendere che percepiscano le cose
intellettuali per mezzo di simboli sensibili, né che la vista di varie e
pie immagini le elevi a Dio, ma che esse
sono inondate di una luce che sorpassa ogni conoscenza spirituale, ed
ammesse, per quanto lo conceda la loro natura, alla visione di quella bellezza
che risplende nelle tre adorabili Persone. Esse quindi gioiscono
dell'umanità del Salvatore in ben altro modo che sotto il velo di qualche
figura che ne adombri le auguste perfezioni, perché, penetrando esse in
lui liberamente, ricevono e conoscono direttamente i suoi santi splendori.
Insomma, ad esse
é data la possibilità di imitare Gesù Cristo nel modo
più nobile, e che partecipano, secondo la loro capacità, all'
immediata irradiazione della sua virtù divina ed umana.
Esse sono anche
perfette, non perché sappiano spiegare i misteri nascosti sotto la
varietà dei simboli, ma perché nella loro alta ed intima unione
con la Divinità, acquistano a contatto con le opere divine, quella
scienza ineffabile che possiedono gli angeli; perché non già per
mezzo di qualche altra santa natura, ma immediatamente da Dio ricevono la loro
iniziazione.
Esse si elevano dunque
fino a lui senza intermediario, per loro propria virtù, e per il grado
superiore che occupano; e per questo ancora dimorano in una immutabile
santità e sono chiamate alla contemplazione dalla bontà puramente
intelligibile.
Costituite così
in modo meraviglioso dall'autore di tutte le gerarchie, ch'esse circondano nel
primo ordine, imparano da Dio stesso le alte e sovrane ragioni delle opere
divine.
Tale é da
ritenere il senso dei diversi nomi che hanno questi spiriti.
Ed ora si passa
all’esame delle gerarchie che esse formano, e come la Sacra Scrittura
intende il sublime ordine delle intelligenze più elevate.
LA PRIMA
GERARCHIA:
CHERUBINI,
SERAFINI E TRONI
S |
appiamo, prima di tutto,
che la prima gerarchia é ugualmente propria a tutte le nature superiori,
le quali, venendo immediatamente dopo il loro sovrano autore, e poste, per
così dire, vicino all' infinito, sorpassano ogni potenza creata visibile
od invisibile.
Ora, i teologi insegnano
chiaramente che, per una ammirevole disposizione, gli ordini inferiori delle
pure intelligenze sono istruiti intorno alle cose divine dagli ordini
superiori, mentre gli spiriti del primo ordine ricevono direttamente da Dio
stesso la comunicazione della scienza.
Le Sacre Scritture ci
mostrano che qualcuna di quelle sante nature impara dalle nature più
auguste che il Signore delle virtù celesti e il Re della gloria si
innalza in forma umana nei cieli, (Salmo X) o che qualche altra interroga
Gesù Cristo in persona, e desidera conoscere l'opera sacra della nostra
redenzione, e raccoglie le istruzioni dalla sua propria bocca, ed é
informata da lui stesso intorno ai miracoli operati dalla sua bontà in
pro degli uomini, «Sono io, egli
dice, che parlo di giustizia e sono io il protettore che do salute»
(Isaia LXIII, 1) .
Così la prima
gerarchia degli spiriti beati é retta dallo stesso sovrano iniziatore; e
poiché essa dirige immediatamente verso di lui il suo conato,
raccogliendo, nella misura delle sue forze, la purezza senza macchia che
produce la viva luce d'onde nasce la perfetta santità, si purifica, s' illumina
e si perfeziona, e diventa pura di tutto ciò che é infimo,
luminosa dei primi raggi della luce, ricca e adorna di una scienza sublime,
attinta alla stessa sorgente. Inoltre si potrebbe dire in una parola, che
questa derivazione della scienza divina é nello stesso tempo
purificazione, illuminazione e perfezione, poiché purifica veramente da
ogni ignoranza, comunicando ad ogni intelligenza, secondo la propria
dignità, la conoscenza dei misteri ineffabili. Rischiara inoltre e, per
la purezza che largisce, permette agli spiriti di contemplare nell'immensa
irradiazione di quella luce sovra-eminente le cose che non avevano ancora
vedute; e, infine le perfeziona, confermandole nella chiara intuizione dei
più magnifici splendori.
Tale é, per
quanto é dato sapere della prima gerarchia dei cieli. Ordinata a guisa
di un cerchio intorno alla Divinità, la circonda immediatamente, e tra
le gioie di una perenne conoscenza, esulta nella meravigliosa fissità di
quell'entusiasmo che trasporta gli angeli.
Essa gioisce delle sue
molte, chiare e pure visioni; essa brilla sotto il dolce riflesso dello
splendore infinito; essa è nutrita di un alimento divino, insieme
abbondante (perché nella sua prima distribuzione) e realmente uno e
perfettamente identico, a causa della semplicità dell'augusta sostanza.
Per di più essa
ha l'onore di essere associata a Dio e di cooperare alle sue opere,
ridisegnando, nella misura del suo potere le perfezioni e le azioni divine.
Essa conosce eminentemente alcuni ineffabili misteri e, secondo la sua
capacità, entra a parte della scienza dell'Altissimo.
La teologia ha insegnato
all'umanità gli inni che cantano questi sublimi spiriti ed il luogo
donde emana l'eccellenza della luce che li inonda: poiché, per parlare
il linguaggio terrestre, qualcuno di loro ripete col fragore delle grandi
acque: «Benedetta sia la gloria di
Dio dal santo luogo ov'egli risiede!» (Ezechiele III, 12), ed altri
fanno risuonare questo maestoso e celebre cantico: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti; tutta la terra
é piena della sua gloria!» (Isaia VI, 3).
E’ bene ricordare
che la prima gerarchia, iniziata dalla infinita carità alla conoscenza
dei divini misteri, li trasmette beneficamente alle gerarchie inferiori.
Per dir tutto in una parola,conclude
Dionigi, essa insegna loro che la maestà terribile, degna di ogni lode e
al disopra di ogni benedizione, deve essere conosciuta e glorificata quanto
é possibile dalle intelligenze alle quali il Signore si comunica, perché,
secondo la testimonianza della Scrittura, esse sono per la loro
sublimità divina, come augusti e santi luoghi ove la divinità
riposa. Essa insegna loro che l'unità semplicissima, sussistendo in tre
persone, abbraccia nella cura della sua provvidenza la intera creazione, dalle
più nobili essenze dei cieli alle più vili sostanze della terra;
perché é l'eterno principio e la causa di tutte le creature, e
tutte le stringe in un vincolo meraviglioso, ineffabile.
Ogni nome dato alle
intelligenze celesti é il segno delle proprietà divine che le
distinguono. Così, secondo le testimonianze dei dotti ebrei, scrive
Dionigi, la parola Serafini significa luce e calore, e la parola Cherubini, pienezza di scienza e
sovrabbondanza di saggezza.
I loro diversi nomi di
fiamme ardenti, troni, fiumi di sapienza, esprimono le loro divine attitudini.
E così il nome di Serafini indica manifestamente il loro durevole
e perpetuo trasporto per le cose divine, l'ardore, l’intensità, la
impetuosità santa del loro generoso ed invisibile slancio, e quella
potente forza con la quale sollevano, trasfigurano e trasformano a loro
immagine le nature subalterne, vivificandole, arroventandole coi fuochi dai
quali essi stessi sono divorati: il calore purificante consuma ogni sozzura e,
infine, costituisce quella attiva, perenne ed inesauribile proprietà di
ricevere e di comunicare la luce e di dissipare e abolire ogni oscurità
ed ogni tenebra.
Il nome di Cherubini, mostra che costoro sono chiamati a
conoscere e ammirare Dio, a contemplare la luce nel suo splendore originale e
la bontà increata nei suoi più splendidi irraggiamenti e che
partecipando della sapienza, si foggiano a sua somiglianza, e spandono, senza
invidia, sulle essenze inferiori, l'onda dei doni meravigliosi che hanno
ricevuto.
Il nome di nobili ed
augusti Troni significa che sono completamente
liberati dalle umilianti passioni della terra; che aspirano nel loro sforzo
sublime e costante a lasciare lontano, al di sotto di loro, tutto ciò
che é basso e vile; che sono uniti all'Altissimo con tutte le loro forze
e con una ammirabile tenacia; che ricevono con anima pura e impassibile le
dolci visite della Divinità; e che portano, in certo modo, Dio in se
stessi, e si inchinano con un fremito rispettoso davanti ai suoi santi voleri.
LA SECONDA
GERARCHIA:
DOMINAZIONI,
POTENZE E VIRTU’
L |
a seconda classe delle
intelligenze celesti che proviamo a contemplare con occhio spirituale delle Dominazioni e le ammirabili falangi
delle Potenze e delle Virtù.
Poiché ogni nome dato a questi esseri superiori rivela le
proprietà auguste per mezzo delle quali si accostano alla
divinità. Così il nome di sante Dominazioni è da ritenere indichi la loro sublime spiritualità,
libera da ogni impedimento materiale, e la loro autorità, libera e
severa a un tempo, non macchiata mai dalla tirannia di alcuna vile passione.
Poiché, non subendo né la vergogna di alcuna schiavitù,
né le conseguenze d'una degradante caduta, questi nobili intelletti non
sono assillati che dal bisogno insaziabile di possedere Colui che è la
dominazione essenziale e l'origine di ogni dominazione. Esse si formano da se
stesse e formano gli spiriti subalterni a somiglianza della Divinità.
Disprezzando ogni cosa vana, esse rivolgono la loro attività verso
l'essere vero e partecipano al suo eterno e santo principato.
Il nome sacro di Virtù, sembra indicare quel virile ed
invincibile vigore che esse spiegano nell'esercizio delle loro divine funzioni
e che impedisce loro di ripiegarsi e di cadere sotto il peso delle auguste
verità che sono loro manifestate. Così, sospinte energicamente ad
imitare Dio, esse non si abbattono vilmente sotto l'influsso celeste, ma
contemplando con occhio attento la virtù sopraessenziale, originale, ed
applicandosi a riprodurne una perfetta immagine, si innalzano con tutte le loro
forze verso il loro archetipo, e, a loro volta, si protendono, a guisa della
Divinità, verso le essenze inferiori per trasformarle.
Il nome di celesti Potenze, che sono della stessa gerarchia delle Dominazioni e delle Virtù, indica il perfetto ordine col quale si presentano all'influenza
divina, e l'esercizio legittimo della loro sublime e santa autorità.
Poiché non si abbandonano agli eccessi di un potere tirannico, ma
slanciandosi verso le cose superiori con ordinato impeto, e trascinando
amorosamente verso la stessa meta le intelligenze meno elevate, da una parte
tendono ad accostarsi alla potenza sovrana e prima, e dall'altra la riflettono
su gli ordini angelici per mezzo delle ammirabili funzioni che è dato
loro di adempiere. Adornata di queste sacre qualità, la seconda
gerarchia degli spiriti celesti ottiene purità, luce e perfezione, nel
modo che abbiamo detto, per mezzo cioè degli splendori divini che a lei
trasmette la prima gerarchia, e che in tal modo non le giungono se non al
secondo grado della loro manifestazione.
Così la
comunicazione della scienza che vien fatta ad un angelo da un altro angelo,
spiega come i doni celesti sembrino perdere del loro splendore in proporzione
dell'allontanarsi dalla loro origine per abbassarsi su esseri meno elevati.
Perché come i nostri maestri insegnano, parlando delle cose sante, che
l'intuizione pura ci istruisce più perfettamente che ogni comunicazione
mediatamente ricevuta, così si può pensare che la partecipazione
diretta alla quale sono chiamati gli angeli superiori, manifesti loro assai
meglio la divinità che se vi fossero iniziati per mezzo di altre
creature.
La
tradizione sacerdotale
La nostra tradizione
sacerdotale insegna che gli spiriti del primo ordine purificano, illuminano e
perfezionano le intelligenze meno nobili, le quali per tal mezzo si innalzano
verso il principio sovra-essenziale di tutte le cose e partecipano, per quel
tanto che la loro condizione lo permette, alla purezza, alla illuminazione ed
alla perfezione mistica. Perché, per una legge generale stabilita dalla
divina saggezza, le grazie divine non vengono comunicate agli inferiori se non
per il ministero dei superiori.
Questa dottrina è
espressa nella Scrittura.
Così quando Dio,
per clemenza paterna, ebbe punito Israele prevaricatore, consegnandolo, per la
sua conversione e la sua salvezza, al giogo odioso delle nazioni barbare, volle
anche, studiandosi di ricondurre al bene i teneri oggetti della sua
sollecitudine, spezzare le loro catene e ristabilirli nella dolcezza della loro
antica felicità.
Le visioni
di Zaccaria, Ezechiele e Daniele.
Un uomo di Dio, chiamato
Zaccaria, vide uno di quegli angeli del primo ordine che circondano la
divinità (Zaccaria I. 22) il quale riceveva da Dio stesso consolanti
parole; e verso di lui s'avanzava uno spirito d'ordine inferiore per conoscere
ciò che era stato rivelato. Questi, informato della volontà
divina per mezzo di quella iniziazione misteriosa, la comunicò a sua
volta al profeta, il quale seppe così che la città di
Gerusalemme, in mezzo all'abbondanza, si sarebbe rallegrata della moltitudine
dei suoi abitanti.
Un altro teologo,
Ezechiele, ci fa sapere che il Signore gloriosissimo che regna sui Cherubini,
emanò nella sua adorabile giustizia questo decreto che sotto ai paterni
castighi che dovevano correggere, come è stato detto, il popolo di
Israele, gli innocenti sarebbero stati benignamente separati dai colpevoli.
Questa disposizione fu comunicata al primo dei Cherubini, i cui fianchi
brillano sotto una cintura di zaffiri ed è vestito con la veste
ondeggiante dei pontefici. Nel tempo stesso ricevette l'ordine di trasmettere
il segreto divino agli altri angeli armati di scuri. A lui poi venne particolarmente
ordinato di traversare Gerusalemme e di apporre un segno sulla fronte degli
uomini innocenti; e agli altri fu detto: «Seguitelo attraverso la città; colpite, e che il vostro occhio
non si lasci commuovere; ma non accostatevi a quelli che portano il segno».
E non é per
simile ordine che un angelo dice a Daniele: «Il decreto è pronunziato»? (Daniele IX, 23) e che uno
spirito del primo ordine va a prendere dei carboni ardenti in mezzo ai
cherubini? (Ezechiele X). E non riconosciamo ancor più nettamente questa
distinzione gerarchica degli angeli, vedendo un cherubino porre quei carboni
nelle mani di quell'altro, che é rivestito della stola sacra? vedendo
che chiama l'arcangelo Gabriele, gli dice: «Fai intendere questa visione al profeta» (Daniele VIII, 16) e
imparando infine tutto ciò che riferiscono i teologi che trattano
dell'ammirabile subordinazione dei cori angelici? Tipo augusto che la nostra
gerarchia deve riprodurre con quella perfezione che le é possibile, per
essere come un riflesso della bellezza degli angeli e per elevarci, con l'aiuto
del loro ministero, verso il principio assoluto di ogni supremazia e di ogni
autorità.
LA TERZA
GERARCHIA:
PRINCIPATI
ARCANGELI E ANGELI
L'ultima gerarchia
celeste nella quale brillano i santi Principati, Arcangeli e Angeli.
Il nome di celesti Principati indica che possiedono il divino
segreto di comandare con quel perfetto ordine che conviene alle potenze
superiori, di dirigere se stessi invariabilmente e di guidare autorevolmente
gli altri verso Colui che regna al di sopra di tutto, di formarsi, nel limite
del possibile, sopra il modello del principato originale e di manifestare
infine la loro autorità sovrana colla bella disposizione delle loro
proprie forze.
L'ordine degli Arcangeli appartiene alla stessa divisione dei
santi Principati. E’ vero tuttavia, come è stato già detto
che essi formano una sola e medesima divisione con gli Angeli. Ma poiché ogni gerarchia
comprende prima, seconda e terza potenza, l'ordine sacro degli Arcangeli é un centro gerarchico in cui gli estremi si trovano armoniosamente
riuniti. Infatti ha qualche cosa in comune coi Principati e con tutti gli Angeli. Come i primi, si tiene volto appassionatamente verso il
principio sovra-essenziale d'ogni cosa, si studia di divenire simile a lui e
conduce gli Angeli alla unità con l'invisibile
sforzo di una autorità saggia e disciplinata; come gli altri compie le
funzioni di ambasciatore, e ricevendo dalle nature superiori la luce dovutagli,
la trasmette, con divina carità, prima agli Angeli e poi per loro mezzo, agli uomini,
secondo le disposizioni proprie di ogni iniziato.
Poiché, come
già si é visto, gli Angeli completano i diversi ordini degli spiriti celesti e solo in
ultimo, dopo tutti gli altri, viene data loro la perfezione angelica.
Per questa ragione e
rispetto a noi, il nome di Angeli si adatta meglio a loro che ai primi,
poiché le funzioni del loro ordine ci sono più note e riguardano
il mondo più da vicino.
Infatti, bisogna pensare
che la prima gerarchia, più prossima per il suo ordine
al santuario della Divinità, governa la seconda con mezzi misteriosi e
segreti; che la seconda, a sua volta, accogliendo le Dominazioni le Virtù e Potenze, guida la gerarchia dei Principati, degli Arcangeli e degli Angeli in modo più chiaro della prima,
ma tuttavia più occulto della terza; e che questa infine, meglio
conosciuta da noi, regge le gerarchie umane, l'una per mezzo dell'altra,
affinché l'uomo si innalzi e si volga a Dio e comunichi e si unisca con
lui, seguendo gli stessi gradi per i quali, mediante la meravigliosa
subordinazione delle varie gerarchie, la divina bontà ha fatto
discendere verso di noi le sante emanazioni della luce eterna.
Perciò i teologi
assegnano agli Angeli la presidenza delle nostre gerarchie,
attribuendo a S. Michele il governo del popolo ebreo, e ad altri il governo di
altri popoli (Daniele X); poiché l’Eterno ha limitato le nazioni
in ragione del numero degli Angeli (Deuteronomio XXXII).
E se si dovesse
chiedere perché i soli Ebrei
furono chiamati alla conoscenza della verità, noi risponderemo che non
bisogna imputare al governo dei buoni Angeli la caduta universale dei popoli nella idolatria, ma che
volontariamente, da se stessi, gli uomini hanno abbandonata la via che conduce
a Dio, trascinati dall'orgoglio e dalla perversità, verso il culto
ignominioso delle divinità menzognere.
L’Arcangelo
Michele
LE
QUALITA’ CHE POSSIEDONO
LE TRE
GERARCHIE
E IL
NUMERO DEGLI ANGELI
Dionigi si avvia alla
conclusione dando dei chiarimenti a possibili domande che possano essere fatte
per esempio, se le qualità
che possiedono le tre gerarchie siano le stesse, e spiega che il primo ordine delle gerarchie celesti
possiede in maggior misura di tutti gli altri un divorante ardore e una larga
parte nel tesoro della saggezza infinita, e la sapiente e sublime esperienza
dei misteri sacri, e quella proprietà dei Troni che annunzia una
intelligenza continuamente preparata alle visite della divinità.
Mentre, precisa, gli
ordini inferiori se pur partecipano
all'amore, alla saggezza, alla scienza, all'onore di ricevere Dio, queste
grazie non giungono loro che più debolmente ed in modo subalterno, e non
si elevano verso Dio se non per mezzo dell'aiuto degli angeli superiori, che
furono per primi arricchiti dei benefici celesti.
Ecco perché le
nature meno sublimi riconoscono per loro iniziatori questi spiriti più
nobili, riferendo prima a Dio, e poi ad essi, le funzioni che hanno l'onore di
compiere.
Oppure, quale possa
essere il
numero degli Angeli che senza essere
infinito è grandissimo, così grande che gli uomini non possono
immaginarlo, che Dio solo conosce, e
supera il numero delle creature sensibili.
E ritiene che ve ne sono
mille volte mille, e diecimila volte diecimila, raddoppiando così il numero
previsto nella Scrittura e moltiplicando l'una per l'altra le cifre più
elevate che abbiamo, e con ciò facendoci veder chiaramente che ci
è impossibile esprimere il numero di quelle creature.
E aggiunge:
Poiché gli ordini delle armate celesti sono affollati, e sfuggono al
debole e limitato apprezzamento dei nostri calcoli materiali, e la enumerazione
non può esserne fatta sapientemente se non da quella conoscenza
sovrumana e trascendente che comunica loro sì liberamente il Signore,
saggezza increata, scienza infinita, principio sovra-essenziale e causa potente
di ogni cosa, forza misteriosa che governa gli esseri e li determina
accogliendoli in sé.
LE
NUMEROSE FORME
SOTTO LE
QUALI APPAIONO
LE NATURE
ANGELICHE
Nell’ultimo capitolo, per concludere la sua opera Dionigi,
dopo aver precisato che trovava lecito concedere un po' di
riposo al suo intelletto, necessariamente
affaticato dalle considerazioni astratte sui santi Angeli, (fatica che riteniamo veramente improba
ndr.) riteneva poter ora abbassare lo sguardo sul ricco e svariato spettacolo delle numerose forme sotto le quali
appaiono le nature angeliche, per risalire quindi dal
simbolo grossolano all'intelligibile e pura realtà.
Dionigi,ponendosi il quesito su quali
siano le diverse forme di cui la Scrittura riveste gli Angeli; gli attributi
materiali che dà loro e il significato misterioso di quei simboli, risolve il
problema nel modo seguente.
I. Come gli spiriti sono paragonati al fuoco.
La teologia sceglie con
una certa predilezione il simbolo
del fuoco. Infatti, come è noto, essa ci descrive ruote ardenti, animali
tutti fiamme, ed uomini che sembrano lampi ardenti; essa ci mostra le celesti
essenze circondate da bracieri accesi e da fiumi nei quali scorrono flutti di
fuoco con rumorosa rapidità.
Nel suo linguaggio i Troni sono di fuoco, gli augusti Serafini sono ardenti, come dice il loro
stesso nome, e scaldano e divorano come il fuoco; insomma, nel più alto
come nel più basso grado dell'essere, appare sempre il glorioso simbolo del
fuoco. A me pare che questa figura esprima una certa conformità degli
angeli, con la Divinità, poiché presso i teologi l'essenza
suprema, pura e senza forma, ci viene spesso rappresentata con l'immagine del
fuoco, che ha nelle sue proprietà sensibili, per così dire, come
una oscura rassomiglianza con la natura divina.
Poiché il fuoco
materiale é sparso dappertutto e si mescola, senza confondersi, con
tutti gli elementi, dai quali resta sempre eminentemente distinto; splendente
per natura, e tuttavia nascosto, e la sua presenza non si manifesta che quando
trova materia alla sua attività; violento e invisibile, doma tutto con
la sua propria forza e si assimila energicamente ciò che ha afferrato;
si comunica agli oggetti e li modifica in ragione diretta dalla loro vicinanza;
rinnova ogni cosa col suo calore vivificante, e brilla d'una luce
inestinguibile; sempre indomo, inalterabile, discerne la sua preda, non subisce
mai nessun cambiamento, ma s'innalza verso il cielo e con la rapidità
della sua fuga, sembra voler sottrarsi ad ogni asservimento; dotato di una
costante attività, comunica il moto alle cose sensibili; avvolge
ciò che divora e non si lascia avvolgere; non é un accidente
delle altre sostanze; le sue invasioni sono lente ed insensibili, e i suoi splendori
rilucono nei corpi ai quali s'è attaccato; é impetuoso e forte,
presente a tutto in modo inavvertito; lasciato in pace, talora sembra estinto,
ma se qualcuno lo risveglia, per così dire, con una scossa, subito si
libera dalla sua prigione naturale, e brilla e si leva nell'aria e si comunica
liberamente senza mai menomarsi.
Si potrebbero notare
ancora numerose proprietà del fuoco che sono come un simbolo materiale
delle operazioni divine. Fermandosi dunque su queste relazioni conosciute, la
teologia indica con l' immagine del fuoco le nature celesti, insegnando
così la loro rassomiglianza con Dio e lo sforzo che fanno per imitarlo.
II. Come
venga loro attribuita la forma umana e i nostri attributi corporei.
Gli Angeli sono
rappresentati anche in forma umana, perché l'uomo é dotato
d'intelligenza, e può elevare lo sguardo in alto; perché ha la
forma del corpo eretta e nobile, ed é nato per esercitare il comando;
perché infine, se é inferiore agli animali irragionevoli per
ciò che concerne l'energia dei sensi, li supera per la propria
intelligenza, per la potenza della ragione e per la dignità della sua
anima, naturalmente libera e invincibile.
Si possono anche, a mio
parere, scrive Dionigi, trarre delle analogie dalle diverse parti del corpo
umano per rappresentare assai fedelmente gli spiriti angelici.
Per esempio, l'organo della vista indica con quale profonda intelligenza
gli abitanti dei cieli contemplano i segreti eterni, e con quale
docilità, con quale tranquillità soave, con quale rapida intuizione
essi ricevono la limpidezza purissima e la dolce abbondanza delle luci
divine. Il senso così delicato dell'odorato, simboleggia la facoltà che
hanno di gustare il buon odore delle cose che sorpassano l'intelligenza, di
discernere con sagacità e di fuggire con orrore tutto ciò che non
esala quel supremo profumo. L'udito rammenta che é dato loro di
partecipare con un'ammirabile scienza, ai benefici dell'ispirazione divina. Il gusto mostra che si satollano del nutrimento spirituale e si dissetano
in torrenti d'ineffabili delizie. Il tatto significa la loro
abilità nel distinguere ciò che loro conviene naturalmente e
ciò che potrebbe loro nuocere. Le palpebre e le sopracciglia indicano la loro fedeltà nel
vigilare sulle sante nozioni che si hanno apprese.
L'adolescenza e la giovinezza raffigurano il vigore
sempre rinnovato della loro vita; e i denti simboleggiano la potenza
di dividere, per così dire, in frammenti il nutrimento intelligibile che
è loro concesso; poiché ogni spirito, per una saggia provvidenza,
decompone la nozione semplice che ha ricevuto dalle potenze superiori, e la
trasmette, così come l'ha avuta, ai suoi inferiori, secondo la loro
disposizione rispetto a quella iniziazione.
Le spalle, le braccia e le
mani indicano la forza che hanno gli
spiriti di agire e di eseguire ciò che hanno deliberato.
Per il cuore bisogna intendere la
loro vita divina che va comunicandosi, con dolce effusione, alle cose affidate
alla loro protettrice influenza; e per il petto quella maschia energia
che, facendo la guardia intorno al cuore, mantiene invincibile la sua forza.
I reni sono l'emblema della potente
fecondità delle celesti intelligenze, ed i piedi sono l'immagine della
loro viva agilità e di quell'impetuoso ed eterno movimento che li trasporta
verso le cose divine; ed é anche per ciò che la teologia ha
rappresentato gli angeli con ali ai piedi, essendo le ali una felice immagine
della rapidità della corsa, di quello slancio divino che li spinge
continuamente più in alto e li libera in modo sì perfetto da ogni
bassa affezione. La leggerezza delle ali dimostra che quelle sublimi nature non
hanno nulla di terrestre e che nessuna corruzione appesantisce il loro
ascendere verso i cieli. La nudità in generale e, particolarmente la nudità dei piedi, ci dice che la loro attività
non é impedita, che sono pienamente liberi da esteriori legami e che si
sforzano d'imitare la semplicità che é in Dio.
III.
Perché si attribuiscono loro vesti e cinture.
Poiché, nell'unità del
suo fine e nella diversità dei suoi mezzi, la divina saggezza
attribuisce delle vesti agli spiriti ed arma le loro mani di strumenti diversi,
spieghiamo ancora, nel miglior modo possibile, ciò che rappresentano
questi nuovi emblemi.
Io credo dunque, scrive
Dioonigi, che le loro vesti radiose e fiammanti simboleggino la
conformità degli Angeli con la Divinità, come consegue dal
significato simbolico del fuoco, e quella virtù che essi possiedono
d'illuminare, avendo essi la loro dimora nei cieli, nel dolce paese della luce;
e infine anche la loro capacità di ricevere e la loro facoltà di
trasmettere la luce puramente intelligibile. La veste sacerdotale significa che
essi iniziano alla contemplazione dei misteri celesti, e che la loro vita
é tutta quanta consacrata a Dio.
La cintura significa che
vigilano alla conservazione della loro fecondità spirituale e che
raccogliendo fedelmente in se stessi le loro diverse potenze, le conservano con
una specie di meraviglioso vincolo in uno stato d'identità immutabile.
IV. Diversi
strumenti presi dalle nostre arti.
Le verghe che essi
portano sono una figura della loro reale autorità e della rettitudine
con la quale eseguiscono ogni cosa.
Le lance e le scuri
esprimono il potere che hanno di discernere i contrari, e la sagacità,
la vivacità e la potenza di questo discernimento.
Gli strumenti geometrici
e gli arnesi delle varie arti, dimostrano che sanno fondare, edificare e
compiere le loro opere, e che possiedono tutte le virtù di quella
secondaria provvidenza che chiama e conduce al loro fine le nature inferiori.
Qualche volta questi
oggetti emblematici, attribuiti alle sante intelligenze annunziano il giudizio
di Dio su noi (Numeri, XXII; II Re XXIV; Amos, VIII; Geremia, XXIV), come, per
esempio, la severità di una utile correzione, o la vendetta della
giustizia, oppure la liberazione del pericolo e la fine del castigo, il ritorno
della prosperità perduta, ovvero, infine, l'aumento graduale di grazie
corporali o spirituali. Ma senza dubbio una intelligenza chiaroveggente
saprà bene applicare le cose visibili alle invisibili.
V.
Perché vengono paragonati ai venti ed alle nubi.
Quando gli Angeli
vengono chiamati venti (Daniele, VII), con ciò si allude alla loro
grande agilità e alla rapidità della loro azione, che si
esercita, per così dire, istantaneamente su tutte le cose, e il
movimento sul quale si abbassano e si innalzano facilmente per trascinare i
loro subordinati verso una più sublime altezza e per comunicarsi a loro
con una provvidenziale bontà. Si potrebbe anche dire che questo nome di venti,
di aria agitata, indica una certa rassomiglianza fra gli angeli e Dio;
poiché, come l'abbiamo a lungo dimostrato nella teologia simbolica,
interpretando il senso misterioso dei quattro elementi, l'aria é un
simbolo molto espressivo delle opere divine, perché sollecita, in certo
modo, e vivifica la natura, perché va e viene con una corsa rapida e
senza arresto, e perché ignoriamo le misteriose profondità nelle
quali prende e perde il suo movimento, secondo la parola dell'Apostolo:
«Voi non sapete nè donde
viene, né dove va» (S. Giovanni III, 8).
La teologia rappresenta
anche gli angeli sotto forma di nubi; insegnando con ciò che
quelle intelligenze sono felicemente inondate d'una santa e ineffabile luce e
che, dopo aver ricevuto con modesta gioia la gloria di quella diretta
illuminazione, ne lasciano giungere ai loro inferiori gli abbondanti raggi,
sebbene saviamente temperati; e che infine possono comunicare la vita,
l'accrescimento e la perfezione spandendo come una rugiada spirituale e
fecondando il seno che la riceve col miracolo di quella generazione sacra.
VI. o appaiono come materiali di bronzo, di elettro, o di pietre
preziose di diversi colori.
Altre volte é
detto che gli angeli appaiono come materiali di bronzo, di elettro, o di pietre
preziose di diversi colori. L'elettro, metallo composto d'oro e d'argento,
presenta, a causa della prima di queste sostanze, uno splendore incorruttibile
e mantiene inalterabilmente la sua purità senza macchia, e a causa della
seconda, una specie di dolce e celeste chiarezza.
Il bronzo, dopo tutto
ciò che si é veduto, potrebbe essere paragonato tanto al fuoco,
quanto all'oro stesso.
Il significato simbolico
delle gemme sarà diverso, secondo la varietà dei loro colori;
così le bianche ricordano la luce, le rosse il fuoco, le gialle lo
splendore dell'oro, le verdi il vigore della giovinezza. Ogni forma avrà
dunque il suo significato occulto e sarà il tipo sensibile d'una
realtà misteriosa. Ma credo di avere trattato sufficientemente questo soggetto;
ora cerchiamo di spiegare le forme animali di cui la teologia riveste talvolta
gli spiriti celesti.
VII. O sotto la figura di animali come il
leone, il bove e l'aquila.
Sotto la figura del
leone bisogna intendere l'autorità e la forza invincibile delle sante
intelligenze e il divino mistero che vien loro concesso di ravvolgersi di una
maestosa oscurità, sottraendo santamente agli sguardi indiscreti le
tracce dei loro rapporti con la divinità, (imitando il leone
che si dice cancelli colla sua coda l'impronta dei suoi passi, quando fugge
davanti al cacciatore).
La figura del bove,
applicata agli angeli, esprime la loro potente forza, e ci suggerisce l'idea
che essi aprono in loro stessi dei solchi spirituali per ricevervi le
fecondità delle piogge celesti: e le corna sono il simbolo della energia
con la quale essi vegliano su loro medesimi.
La figura dell'aquila
rammenta la loro regale elevazione e la loro agilità, l'impeto col quale
si slanciano sulla preda di cui si nutrono, la loro sagacia nello scoprirla e
la loro facilità nel ghermirla, e soprattutto quella acuta vista che
permette loro di contemplare arditamente e di figgere senza fatica i loro
sguardi nelle splendide e radiose luci del sole divino.
Il cavallo é il
simbolo della docilità e dell'obbedienza; il suo colore é
ugualmente significativo (Apocalisse, 20; Zaccaria, VIII): bianco, rappresenta quello splendore degli
angeli che li avvicina allo splendore increato; baio, l'oscurità dei divini misteri; sauro, il divorante ardore del fuoco; toppato di bianco e di nero, la facoltà di
mettere in rapporto e di conciliare insieme gli estremi, di piegare saviamente
il superiore verso l'inferiore e di invitare ciò che é meno
perfetto ad unirsi a ciò che é più elevato.
E se noi non ci studiassimo
di osservare una certa sobrietà, potremmo con felici paragoni attribuire
alle potenze celesti tutte le qualità e le forme corporali di questi
vari animali, per mezzo di ravvicinamenti dai quali, pur tra le differenze
sensibili, scaturirebbe l'analogia come se ad esempio, noi vedessimo nella
irascibilità dei bruti quella maschia energia degli spiriti di cui la
collera non é che un oscuro vestigio; oppure nella cupidigia di quelli,
il divino amore di questi, o, per dir tutto in una parola, nei sensi e negli
organi degli animali irragionevoli, i pensieri purissimi e le funzioni
immateriali degli Angeli.
Ho detto assai per chi
é intelligente; anche l'interpretazione d'uno solo di questi simboli
é sufficiente per portare alla soluzione delle questioni analoghe.
VIII. O
quando si descrivono come fiumi, carri, ruote.
Consideriamo ancora
ciò che intende dire la teologia quando, parlando degli Angeli, ci
descrive fiumi, carri e ruote.
Il fiume di fuoco
raffigura quelle acque vivificanti che, uscendo dal seno inesauribile della
Divinità, traboccano largamente sulle celesti intelligenze e nutrono la
loro fecondità. I carri figurano l'armonica uguaglianza che unisce gli
spiriti di uno stesso ordine. Le ruote fornite d'ali, correndo senza deviazioni
e senza soste verso il fine prefisso, esprimono la potente attività e
l'inflessibile energia con le quali l'angelo, entrando nella via che gli viene
aperta, prosegue invariabilmente e senza deviazioni, la sua corsa spirituale
nelle regioni celesti.
Ma questo simbolismo
delle ruote é suscettibile ancora di un'altra interpretazione;
perché quel nome di galgal che gli é dato secondo il
profeta, (Ezechiele, X, 13) significa, in ebraico, rivoluzione e rivelazione.
Infatti quelle ruote intelligenti e infiammate hanno le loro rivoluzioni che le
trascinano con un movimento eterno intorno al loro bene immutabile; ed hanno le
loro rivelazioni, o manifestazioni dei segreti divini, e ciò avviene
quando iniziano le nature inferiori e fanno giunger loro la grazia delle
più sante aspirazioni.
Ci resta da spiegare
finalmente in qual modo si deve intender l'allegrezza degli Angeli.
Perché non crediamo già che sottostiamo agli eccessi delle nostre
gioie passionali. Dicendo ch'essi si rallegrano con Dio ogni volta che sono
ritrovati coloro che erano perduti, si esprime la divina contentezza e quella
specie di pacifico diletto da cui sono dolcemente inebriati ogni volta che la
Provvidenza riconduce le anime a salvazione, ed anche quell'ineffabile senso di
felicità che provano i santi della terra quando Dio li rallegra con
l'effusione della sua augusta luce.
Queste sono le
spiegazioni che dovevo dare trattando dei simboli usati dalla teologia.
Quantunque incompleto,
spero che questo lavoro aiuterà la nostra mente ad elevarsi al di sopra
delle grossolane immagini materiali.
Che se tu mi obietti, o
Timoteo, che io non ho fatto menzione di tutte le virtù, funzioni e
immagini che la Scrittura attribuisce agli Angeli, io risponderò
confessandoti il vero, che cioè in certi casi avrei avuto bisogno di una
scienza che non é di questo mondo, e di un iniziatore e di una guida; e
ti dirò anche come certe spiegazioni che io ometto siano implicitamente
racchiuse in ciò che ho spiegato.
Così ho voluto
nel tempo stesso serbare in questi discorsi una giusta misura ed onorare con il
mio silenzio le sante profondità che io non posso scandagliare.
IL
PENSIERO DI DANTE
Dante partendo dal
numero perfetto della Trinità aveva diviso il Paradiso (ma anche
l’Inferno e Purgatorio) in tre parti, giungendo al multiplo di nove per i
cerchi (disposti secondo la distinzione di Aristotele), riprende la sua
classificazione da Dionigi: Primo mobile, Stelle fisse, Cielo di Saturno, di
Giove, di Marte, del Sole, di Venere, di Mercurio e della Luna, ai quali
corrispondevano i cori angelici, disponendo: nel primo cerchio Dio e i Serafini, nel secondo i Cherubini, e poi di seguito i Troni, Dominazioni,Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli e infine gli Angeli le cui velocità sono maggiori o
minori in rapporto alla maggiore o minore intensità di amore per Dio.
L’angelo nel contesto del medioevo è visto come una emanazione della provvidenza
che coordina il tutto legandolo a un’armonia universale e prendendo le
mosse da Dionigi, degli angeli si stabilivano origini, compiti, funzioni.
Per il popolo incolto e superstizioso costituiva una sintesi di
forze consolatrici e portatrici di aiuto derivanti da eredità arcaiche
delle antiche religioni e dall’ebraismo. L’angelo era considerato
un amico e compagno che assisteva ciascuno, facendogli da guida e da
protettore.
Di tutto ciò non si trova traccia nella esposizione di
Dante, secondo il quale gli angeli sono figli della creazione e strumento
dell’armonia ordinata e organica
dell’universo. Distinguendo i buoni dai perversi, essi sono sfavillanti
di luce e superbeati, secondo una gerarchia reale si comportano come dignitari
della corte divina e ciascuno o ciascun gruppo, con compiti e funzioni ben
determinati. Essi sono esecutori del pensiero e della volontà divina nei
confronti degli uomini, in quanto si pongono appunto nella via di mezzo tra Dio
e gli uomini, e di Dio hanno alcune qualità come la luminosità e
trovandosi a lui vicino godono della fonte della beatitudine e del potere,
lasciando cadere il loro influsso sugli uomini.
Questo influsso non viene però inviato direttamente ma attraverso i cieli: da ciò il
ricorso che nelle varie epoche si è fatto all’astrologia di cui si
parlerà in apposito articolo.
FINE