RIVISTA STORICA VIRTUALE

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Domenico di Michelino - Dante e i tre regni -  Firenze  - s. Maria del Fiore

 

SFERE CELESTI E

GERARCHIE ANGELICHE

 tra Aristotele, Dionigi e Dante

 

MICHELE E. PUGLIA

 

 

SOMMARIO: INTRODUZIONE; FUNZIONI DELLA GERARCHIA; LA PRIMA GERARCHIA: CHERUBINI, SERAFINI E TRONI; LA SECONDA GERARCHIA: DOMINAZIONI, POTENZE E VIRTU’; LA TRADIZIONE SACERDOTALE; LE VISIONI DI ZACCARIA,EZECHIELE E DANIELE; LA TERZA GERARCHIA: PRINCIPATI ARCANGELI E ANGELI;  LE QUALITA’ CHE POSSIEDONO LE TRE GERARCHIE E IL NUMERO DEGLI ANGELI; DELLE NUMEROSE FORME SOTTO LE QUALI APPAIONO LE NATURE ANGELICHE: I. COME GLI SPIRITI SONO PARAGONATI AL FUOCO; II. COME VENGA LORO ATTRIBUITA LA FORMA UMANA E I NOSTRI ATTRIBUTI CORPOREI; III. PERCHE’ SI ATTRIBUISCONO LORO VESTI E CINTURE; IV. DIVERSI STRUMENTI PRESI DALLE NOSTRE ARTI; V. PERCHE’ VENGONO PARAGONATI AI VENTI E ALLE NUBI...; VI. O APPAIONO COME MATERIALI DI BRONZO, DI ELETTRO O DI PIETRE PREZIOSE DI DIVERSI COLORI...; VII. E AGLI STESSI ANIMALI COME IL LEONE, IL BOVE E L’AQUILA...; VIII. O QUANDO SI DESCRIVONO COME FIUMI, CARRI E RUOTE;

IL PENSIERO DI DANTE.

 

 

INTRODUZIONE

 

L

a concezione dei Pitagorici, della sfericità della Terra, porta alla conseguenza di considerare il cielo (ouranós) composto da sfere che abbracciano la Terra (Pitagora aveva coniato il termine cosmos per designare il tutto che abbraccia la Terra in una visione di armonia e ordine dell’universo), alla quale aderirono tutte le scuole filosofiche successive. Platone, alla concezione fisica del cielo introduce una concezione spirituale, in precedenza di carattere mitologico, considerando un tutto di movimento e ordine rappresentato dalla divinità (l’UNO) principio movente e ordinatore degli astri.

Aristotele, sulla base della visione geometrica di Eudosso ricorre alla figurazione delle sfere  omocentriche (la Terra al centro)  con un movimento circolare (da destra verso sinistra), non uniforme per ciascuna sfera, intorno alla Terra fissa e immobile, che spiega l’apparente movimento degli astri, vale a dire del Sole, della Luna e dei sette pianeti allora conosciuti, ciascuno con una propria sfera, mentre tutte le altre stelle considerate fisse, si trovano in nell’unica sfera più esterna. Iniziando dalla sfera  più bassa della Luna, segue la sfera  di Mercurio, poi di Venere, del Sole di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle fisse e infine del Primo Motore mobile.

L’etere elemento del mondo superiore celeste è separato da quello  infralunare  dai quattro elementi di formazione del mondo, nell’ordine terra aria, acqua e fuoco a cui si aggiunge la quinta essenza, cioé il cielo. Il tutto è mosso in un movimento eterno determinato da un movente eterno, e perciò eternamente in atto e necessariamente immateriale. 

Questo mondo superiore celeste con le speculazioni filosofiche e religiose verrà popolato di spiriti, demoni e angeli, che ritroviamo fin dall’antichità presso gli assiri e babilonesi, presso i quali esistevano  varie categorie di divinità astrali e messaggeri delle divinità, rappresentati con grandi ali  che simbolizzavano la loro potenza protettiva, con il corpo di leone o aquila per  simbolizzare la forza e l’agilità. Questi esseri ebbero molta importanza nel mazdeismo (Zarathustra) che riteneva che vi fosse una eterna lotta tra esseri divini ed esseri demoniaci, rappresentanti del bene e del male.

Li ritroviamo poi presso i pensatori greci sotto il nome di «daimones» da Talete ed Eraclito secondo  i quali l’universo è pieno di dei, vale a dire «sostanze separate»; i Pitragorici ritenevano che i sogni venivano mandati dai geni che riempiono l’aria. Democrito riteneva che lo spazio fosse abitato da geni.

Platone parla di una «specie celeste di dei, in gran parte di fuoco per essere splendida e molto bella da vedere» e riteneva che vi fossero dei minori (daimones) che come ministri di Dio seguono l’uomo con buone ispirazioni e governano ciascuna contrada.

Per Aristotele  «sopra il cielo  vi sono esseri non soggetti  ad alterazioni  e passioni che conducono vita ottima ed eterna» che imprimono il movimento alle sfere del cielo. Tali motori, associati a un corpo di natura incorruttibile sono «intelligenze»  cioé enti spirituali dotati di intelletto e volontà. Essi sono ordinati gerarchicamente così come gerarchico e procedente dall’uno sull’altro è il loro movimento  e il moto dei cieli, che si trasmette infine nella partecipazione causale della generazione e corruzione  e di tutte le mutazioni in atto nel cosmo

Con Plotino (e siamo già verso la via cristiana) troviamo i démoni di natura eterna, generati dall’anima del mondo, che sono fatti di una corporeità intermedia e possono venire a contatto degli uomini (anche Cicerone li aveva inseriti nel Somnium Scipionis): il sole è un dio perché animato e così pure gli astri.

Secondo Porfirio (233/4-305) sono gli angeli a portare a Dio le nostre  preghiere difendendoci dai demoni (o démoni malvagi). Giamblico (250?-330) aveva fatto una prima distinzione in quattro categorie: gli angeli che sollevano gli uomini dalla materia; gli arcangeli che portano le anime nei cieli; i demoni che li immergono  nella materia; gli eroi che presiedono agli affari del mondo. Proclo (412-485) distingue quattro serie di spiriti che hanno il compito di aiutare l’uomo a ritornare a Dio

I testi religiosi come la Bibbia e il Corano, con tutte queste idee che si erano andate man mano sviluppando, massimamente la concezione aristotelica, avevano fornito ai filosofi arabi e ai padri della Chiesa la possibilità di sviluppare l’angelologia, divenuta oramai una materia speculativa.

Gli scrittori cristiani alle nove sfere celesti si ricollegano creando il sistema  delle nove gerarchie o cori celesti.

Dobbiamo a Dionigi (480-525) pseudo Aeropagita, così detto perché sarebbe stato il primo vescovo di Atene discepolo di s. Paolo e da questo convertito, considerato autore di testi (De divinis nominibus, De theologia mystica,De  ecclesiastica hierarchia), che invece erano stati scritti da un cristiano della fine del V sec., probabilmente siriano, e dal modo ispirato in cui aveva scritto il testo, come si avrà modo di constatare, un mistico, il quale codifica per primo nel libro «De coelesti hierarchia», le gerarchie celesti organizzandole in un tutto sistematico e descrivendone minutamente la loro disposizione e le loro  funzioni. Il libro ebbe un grande successo e dette luogo a tutte le successive elaborazioni dell’angelologia.

Dionigi non individua esattamente il posto in cui esse si trovano, ma in base alla distinzione di Aristotele delle sfere del cielo dove sono fissati i pianeti e le stelle, al di sopra delle quali vi è il mondo sovraceleste, la loro posizione è da individuare nella stessa disposizione (come vedremo più avanti nei nove cerchi di  Dante) delle sfere celesti, al di sopra delle quali si trova Dio, motore immobile.

Dionigi tiene in ogni caso a precisare per tutti gli angeli, che si tratta di essenze di puro spirito, e i padri della Chiesa (Giustino, Atenagora, Clemente Alessandrino, s. Cipriano, Lattanzio, s. Ambrogio) tratti in inganno dall’ apocrifo Libro di Enoc credettero che i figli di Dio (Gen., VI,2) «che peccarono con le figlie degli uomini» fossero gli angeli, non fatti di solo spirito, e con Tertulliano si attribuì agli angeli una corporeità visibile a Dio, ma con la capacità di assumere quando lo desideravano, le fattezze umane. Questa opinione permase per tutto il medioevo, durante il quale nei processi alle streghe si prevedevano i delitti di unione carnale delle streghe con i demoni, ed ebbe termine con s. Tommaso che la eliminò definitivamente.

Non mancarono gli approfondimenti speculativi da parte degli scolastici (v. Schede: La Scolastica) Onorio d’Autun, (Elucidarium), s. Anselmo, Pietro Lombardo, s. Bonaventura, Alberto Magno, s. Tommaso. Duns Scoto fino al «De angelis» di  Suarez (1548-1617).

Le Scritture, scrive  Dionigi, chiamano col nome di Angeli gli spiriti beati. La teologia, aggiunge, designa indifferentemente con questo comune appellativo in generale tutte le nature celesti, (Salmo CII, S. Matteo I. 5) mentre nell'esplicazione particolare di ciascun ordine, gli Angeli occupano l'ultimo grado della gerarchia invisibile, e al disopra di loro si trova la milizia degli Arcangeli, dei Principati, delle Potenze, delle Virtù.

In ogni costituzione gerarchica, precisa Dionigi, gli ordini superiori possiedono la luce e la facoltà degli ordini inferiori, senza che questi abbiano reciprocamente la perfezione di quelli.

La teologia, chiama Angeli la moltitudine sacra delle supreme intelligenze, perché servono anche a manifestare lo splendore della luce divina. Ma per nessun motivo le celesti nature dell'ultimo ordine potrebbero ricevere la denominazione di Principati, di Troni, di Serafini, perché non partecipano di tutti i doni degli spiriti superiori.

Questo nome di Angeli fu dato a tutte le Virtù celesti per la loro comune rassomiglianza con la Divinità e per la loro partecipazione, più o meno intensa, ai suoi eterni splendori.

La teologia ha designato con nomi diversi tutte le nature angeliche, ma è stato Dio, secondo Dionigi, a distinguerle in tre gerarchie distinte a loro volta in tre ordini ciascuna («cori angelici»).

La prima gerarchia é la più divina che attinge direttamente alla sorgente gli splendori eterni, essa circonda sempre la Divinità e si unisce indissolubilmente ad essa in modo più diretto delle altre due (Ezechiele I; Isaia VI) e comprende i tre ordini dei Troni, e gli ordini ai quali si attribuiscono occhi ed ali, che in ebraico si chiamano Cherubini e Serafini; essi sono posti immediatamente dopo Dio e meno separati da lui che gli altri spiriti.

Nella seconda gerarchia si trovano le Potenze, le Dominazioni e le Virtù. Infine nella terza ed ultima troviamo gli Angeli, gli Arcangeli e i Principati.

 

 

FUNZIONI DELLA GERARCHIA

 

 

T

utta la gerarchia ha per fine invariabile una certa imitazione e rassomiglianza della Divinità, e che ogni attività che essa impone tende al doppio fine di ricevere e di conferire una purezza immacolata, una divina luce ed una perfetta conoscenza dei santi misteri.

Esse sono dunque al massimo della purezza, non solo perché nessuna macchia o sozzura le contamina e perché non subiscono la legge della nostra  materia, ma sopratutto perché, inaccessibili ad ogni principio di degradazione e dotate di una santità trascendente, si elevano con ciò al disopra degli altri spiriti, per divini che siano; ed anche perché trovano in un generoso amore di Dio, la forza di mantenersi liberamente e invariabilmente nel loro proprio ordine, e nessuna alterazione può loro sopraggiungere, poiché le obbliga santamente alle funzioni meravigliose che loro furono assegnate per la rigidezza di una invincibile volontà.

Esse sono ugualmente contemplative; e con ciò non si deve intendere che percepiscano le cose intellettuali per mezzo di simboli sensibili, né che la vista di varie e pie immagini le elevi a Dio, ma che esse  sono inondate di una luce che sorpassa ogni conoscenza spirituale, ed ammesse, per quanto lo conceda la loro natura, alla visione di quella bellezza che risplende nelle tre adorabili Persone. Esse quindi gioiscono dell'umanità del Salvatore in ben altro modo che sotto il velo di qualche figura che ne adombri le auguste perfezioni, perché, penetrando esse in lui liberamente, ricevono e conoscono direttamente i suoi santi splendori.

Insomma, ad esse é data la possibilità di imitare Gesù Cristo nel modo più nobile, e che partecipano, secondo la loro capacità, all' immediata irradiazione della sua virtù divina ed umana.

Esse sono anche perfette, non perché sappiano spiegare i misteri nascosti sotto la varietà dei simboli, ma perché nella loro alta ed intima unione con la Divinità, acquistano a contatto con le opere divine, quella scienza ineffabile che possiedono gli angeli; perché non già per mezzo di qualche altra santa natura, ma immediatamente da Dio ricevono la loro iniziazione.

Esse si elevano dunque fino a lui senza intermediario, per loro propria virtù, e per il grado superiore che occupano; e per questo ancora dimorano in una immutabile santità e sono chiamate alla contemplazione dalla bontà puramente intelligibile.

Costituite così in modo meraviglioso dall'autore di tutte le gerarchie, ch'esse circondano nel primo ordine, imparano da Dio stesso le alte e sovrane ragioni delle opere divine.

Tale é da ritenere il senso dei diversi nomi che hanno questi spiriti.

Ed ora si passa all’esame delle gerarchie che esse formano, e come la Sacra Scrittura intende il sublime ordine delle intelligenze più elevate.

 

 

LA PRIMA GERARCHIA:

CHERUBINI, SERAFINI E TRONI

 

S

appiamo, prima di tutto, che la prima gerarchia é ugualmente propria a tutte le nature superiori, le quali, venendo immediatamente dopo il loro sovrano autore, e poste, per così dire, vicino all' infinito, sorpassano ogni potenza creata visibile od invisibile.

Ora, i teologi insegnano chiaramente che, per una ammirevole disposizione, gli ordini inferiori delle pure intelligenze sono istruiti intorno alle cose divine dagli ordini superiori, mentre gli spiriti del primo ordine ricevono direttamente da Dio stesso la comunicazione della scienza.

Le Sacre Scritture ci mostrano che qualcuna di quelle sante nature impara dalle nature più auguste che il Signore delle virtù celesti e il Re della gloria si innalza in forma umana nei cieli, (Salmo X) o che qualche altra interroga Gesù Cristo in persona, e desidera conoscere l'opera sacra della nostra redenzione, e raccoglie le istruzioni dalla sua propria bocca, ed é informata da lui stesso intorno ai miracoli operati dalla sua bontà in pro degli uomini, «Sono io, egli dice, che parlo di giustizia e sono io il protettore che do salute» (Isaia LXIII, 1) .

Così la prima gerarchia degli spiriti beati é retta dallo stesso sovrano iniziatore; e poiché essa dirige immediatamente verso di lui il suo conato, raccogliendo, nella misura delle sue forze, la purezza senza macchia che produce la viva luce d'onde nasce la perfetta santità, si purifica, s' illumina e si perfeziona, e diventa pura di tutto ciò che é infimo, luminosa dei primi raggi della luce, ricca e adorna di una scienza sublime, attinta alla stessa sorgente. Inoltre si potrebbe dire in una parola, che questa derivazione della scienza divina é nello stesso tempo purificazione, illuminazione e perfezione, poiché purifica veramente da ogni ignoranza, comunicando ad ogni intelligenza, secondo la propria dignità, la conoscenza dei misteri ineffabili. Rischiara inoltre e, per la purezza che largisce, permette agli spiriti di contemplare nell'immensa irradiazione di quella luce sovra-eminente le cose che non avevano ancora vedute; e, infine le perfeziona, confermandole nella chiara intuizione dei più magnifici splendori.

Tale é, per quanto é dato sapere della prima gerarchia dei cieli. Ordinata a guisa di un cerchio intorno alla Divinità, la circonda immediatamente, e tra le gioie di una perenne conoscenza, esulta nella meravigliosa fissità di quell'entusiasmo che trasporta gli angeli.

Essa gioisce delle sue molte, chiare e pure visioni; essa brilla sotto il dolce riflesso dello splendore infinito; essa è nutrita di un alimento divino, insieme abbondante (perché nella sua prima distribuzione) e realmente uno e perfettamente identico, a causa della semplicità dell'augusta sostanza.

Per di più essa ha l'onore di essere associata a Dio e di cooperare alle sue opere, ridisegnando, nella misura del suo potere le perfezioni e le azioni divine. Essa conosce eminentemente alcuni ineffabili misteri e, secondo la sua capacità, entra a parte della scienza dell'Altissimo.

La teologia ha insegnato all'umanità gli inni che cantano questi sublimi spiriti ed il luogo donde emana l'eccellenza della luce che li inonda: poiché, per parlare il linguaggio terrestre, qualcuno di loro ripete col fragore delle grandi acque: «Benedetta sia la gloria di Dio dal santo luogo ov'egli risiede!» (Ezechiele III, 12), ed altri fanno risuonare questo maestoso e celebre cantico:  «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti; tutta la terra é piena della sua gloria!» (Isaia VI, 3).

E’ bene ricordare che la prima gerarchia, iniziata dalla infinita carità alla conoscenza dei divini misteri, li trasmette beneficamente alle gerarchie inferiori.

Per dir tutto in una parola,conclude Dionigi, essa insegna loro che la maestà terribile, degna di ogni lode e al disopra di ogni benedizione, deve essere conosciuta e glorificata quanto é possibile dalle intelligenze alle quali il Signore si comunica, perché, secondo la testimonianza della Scrittura, esse sono per la loro sublimità divina, come augusti e santi luoghi ove la divinità riposa. Essa insegna loro che l'unità semplicissima, sussistendo in tre persone, abbraccia nella cura della sua provvidenza la intera creazione, dalle più nobili essenze dei cieli alle più vili sostanze della terra; perché é l'eterno principio e la causa di tutte le creature, e tutte le stringe in un vincolo meraviglioso, ineffabile.

Ogni nome dato alle intelligenze celesti é il segno delle proprietà divine che le distinguono. Così, secondo le testimonianze dei dotti ebrei, scrive Dionigi, la parola Serafini significa luce e calore, e la parola Cherubini, pienezza di scienza e sovrabbondanza di saggezza.

I loro diversi nomi di fiamme ardenti, troni, fiumi di sapienza, esprimono le loro divine attitudini.

E così il nome di Serafini indica manifestamente il loro durevole e perpetuo trasporto per le cose divine, l'ardore, l’intensità, la impetuosità santa del loro generoso ed invisibile slancio, e quella potente forza con la quale sollevano, trasfigurano e trasformano a loro immagine le nature subalterne, vivificandole, arroventandole coi fuochi dai quali essi stessi sono divorati: il calore purificante consuma ogni sozzura e, infine, costituisce quella attiva, perenne ed inesauribile proprietà di ricevere e di comunicare la luce e di dissipare e abolire ogni oscurità ed ogni tenebra.

Il nome di Cherubini, mostra che costoro sono chiamati a conoscere e ammirare Dio, a contemplare la luce nel suo splendore originale e la bontà increata nei suoi più splendidi irraggiamenti e che partecipando della sapienza, si foggiano a sua somiglianza, e spandono, senza invidia, sulle essenze inferiori, l'onda dei doni meravigliosi che hanno ricevuto.

Il nome di nobili ed augusti Troni significa che sono completamente liberati dalle umilianti passioni della terra; che aspirano nel loro sforzo sublime e costante a lasciare lontano, al di sotto di loro, tutto ciò che é basso e vile; che sono uniti all'Altissimo con tutte le loro forze e con una ammirabile tenacia; che ricevono con anima pura e impassibile le dolci visite della Divinità; e che portano, in certo modo, Dio in se stessi, e si inchinano con un fremito rispettoso davanti ai suoi santi voleri.

 

 

LA SECONDA GERARCHIA:

DOMINAZIONI, POTENZE E VIRTU’

 

 

L

a seconda classe delle intelligenze celesti che proviamo a contemplare con occhio spirituale delle Dominazioni e le ammirabili falangi delle Potenze e delle Virtù.

Poiché ogni nome dato a questi esseri superiori rivela le proprietà auguste per mezzo delle quali si accostano alla divinità. Così il nome di sante Dominazioni è da ritenere indichi la loro sublime spiritualità, libera da ogni impedimento materiale, e la loro autorità, libera e severa a un tempo, non macchiata mai dalla tirannia di alcuna vile passione. Poiché, non subendo né la vergogna di alcuna schiavitù, né le conseguenze d'una degradante caduta, questi nobili intelletti non sono assillati che dal bisogno insaziabile di possedere Colui che è la dominazione essenziale e l'origine di ogni dominazione. Esse si formano da se stesse e formano gli spiriti subalterni a somiglianza della Divinità. Disprezzando ogni cosa vana, esse rivolgono la loro attività verso l'essere vero e partecipano al suo eterno e santo principato.

Il nome sacro di Virtù, sembra indicare quel virile ed invincibile vigore che esse spiegano nell'esercizio delle loro divine funzioni e che impedisce loro di ripiegarsi e di cadere sotto il peso delle auguste verità che sono loro manifestate. Così, sospinte energicamente ad imitare Dio, esse non si abbattono vilmente sotto l'influsso celeste, ma contemplando con occhio attento la virtù sopraessenziale, originale, ed applicandosi a riprodurne una perfetta immagine, si innalzano con tutte le loro forze verso il loro archetipo, e, a loro volta, si protendono, a guisa della Divinità, verso le essenze inferiori per trasformarle.

Il nome di celesti Potenze, che sono della stessa gerarchia delle Dominazioni e delle Virtù, indica il perfetto ordine col quale si presentano all'influenza divina, e l'esercizio legittimo della loro sublime e santa autorità. Poiché non si abbandonano agli eccessi di un potere tirannico, ma slanciandosi verso le cose superiori con ordinato impeto, e trascinando amorosamente verso la stessa meta le intelligenze meno elevate, da una parte tendono ad accostarsi alla potenza sovrana e prima, e dall'altra la riflettono su gli ordini angelici per mezzo delle ammirabili funzioni che è dato loro di adempiere. Adornata di queste sacre qualità, la seconda gerarchia degli spiriti celesti ottiene purità, luce e perfezione, nel modo che abbiamo detto, per mezzo cioè degli splendori divini che a lei trasmette la prima gerarchia, e che in tal modo non le giungono se non al secondo grado della loro manifestazione.

 Così la comunicazione della scienza che vien fatta ad un angelo da un altro angelo, spiega come i doni celesti sembrino perdere del loro splendore in proporzione dell'allontanarsi dalla loro origine per abbassarsi su esseri meno elevati. Perché come i nostri maestri insegnano, parlando delle cose sante, che l'intuizione pura ci istruisce più perfettamente che ogni comunicazione mediatamente ricevuta, così si può pensare che la partecipazione diretta alla quale sono chiamati gli angeli superiori, manifesti loro assai meglio la divinità che se vi fossero iniziati per mezzo di altre creature.

 

La tradizione sacerdotale

 

La nostra tradizione sacerdotale insegna che gli spiriti del primo ordine purificano, illuminano e perfezionano le intelligenze meno nobili, le quali per tal mezzo si innalzano verso il principio sovra-essenziale di tutte le cose e partecipano, per quel tanto che la loro condizione lo permette, alla purezza, alla illuminazione ed alla perfezione mistica. Perché, per una legge generale stabilita dalla divina saggezza, le grazie divine non vengono comunicate agli inferiori se non per il ministero dei superiori.

Questa dottrina è espressa nella Scrittura.

Così quando Dio, per clemenza paterna, ebbe punito Israele prevaricatore, consegnandolo, per la sua conversione e la sua salvezza, al giogo odioso delle nazioni barbare, volle anche, studiandosi di ricondurre al bene i teneri oggetti della sua sollecitudine, spezzare le loro catene e ristabilirli nella dolcezza della loro antica felicità.

 

Le visioni di Zaccaria, Ezechiele e Daniele.

 

Un uomo di Dio, chiamato Zaccaria, vide uno di quegli angeli del primo ordine che circondano la divinità (Zaccaria I. 22) il quale riceveva da Dio stesso consolanti parole; e verso di lui s'avanzava uno spirito d'ordine inferiore per conoscere ciò che era stato rivelato. Questi, informato della volontà divina per mezzo di quella iniziazione misteriosa, la comunicò a sua volta al profeta, il quale seppe così che la città di Gerusalemme, in mezzo all'abbondanza, si sarebbe rallegrata della moltitudine dei suoi abitanti.

Un altro teologo, Ezechiele, ci fa sapere che il Signore gloriosissimo che regna sui Cherubini, emanò nella sua adorabile giustizia questo decreto che sotto ai paterni castighi che dovevano correggere, come è stato detto, il popolo di Israele, gli innocenti sarebbero stati benignamente separati dai colpevoli. Questa disposizione fu comunicata al primo dei Cherubini, i cui fianchi brillano sotto una cintura di zaffiri ed è vestito con la veste ondeggiante dei pontefici. Nel tempo stesso ricevette l'ordine di trasmettere il segreto divino agli altri angeli armati di scuri. A lui poi venne particolarmente ordinato di traversare Gerusalemme e di apporre un segno sulla fronte degli uomini innocenti; e agli altri fu detto: «Seguitelo attraverso la città; colpite, e che il vostro occhio non si lasci commuovere; ma non accostatevi a quelli che portano il segno».

E non é per simile ordine che un angelo dice a Daniele: «Il decreto è pronunziato»? (Daniele IX, 23) e che uno spirito del primo ordine va a prendere dei carboni ardenti in mezzo ai cherubini? (Ezechiele X). E non riconosciamo ancor più nettamente questa distinzione gerarchica degli angeli, vedendo un cherubino porre quei carboni nelle mani di quell'altro, che é rivestito della stola sacra? vedendo che chiama l'arcangelo Gabriele, gli dice: «Fai intendere questa visione al profeta» (Daniele VIII, 16) e imparando infine tutto ciò che riferiscono i teologi che trattano dell'ammirabile subordinazione dei cori angelici? Tipo augusto che la nostra gerarchia deve riprodurre con quella perfezione che le é possibile, per essere come un riflesso della bellezza degli angeli e per elevarci, con l'aiuto del loro ministero, verso il principio assoluto di ogni supremazia e di ogni autorità.

 

 

LA TERZA GERARCHIA:

PRINCIPATI ARCANGELI E ANGELI

 

 

L'ultima gerarchia celeste nella quale brillano i santi Principati,  Arcangeli e Angeli.

Il nome di celesti Principati indica che possiedono il divino segreto di comandare con quel perfetto ordine che conviene alle potenze superiori, di dirigere se stessi invariabilmente e di guidare autorevolmente gli altri verso Colui che regna al di sopra di tutto, di formarsi, nel limite del possibile, sopra il modello del principato originale e di manifestare infine la loro autorità sovrana colla bella disposizione delle loro proprie forze.

L'ordine degli Arcangeli appartiene alla stessa divisione dei santi Principati. E’ vero tuttavia, come è stato già detto che essi formano una sola e medesima divisione con gli Angeli. Ma poiché ogni gerarchia comprende prima, seconda e terza potenza, l'ordine sacro degli Arcangeli é un centro gerarchico in cui gli estremi si trovano armoniosamente riuniti. Infatti ha qualche cosa in comune coi Principati e con tutti gli Angeli. Come i primi, si tiene  volto appassionatamente verso il principio sovra-essenziale d'ogni cosa, si studia di divenire simile a lui e conduce gli Angeli alla unità con l'invisibile sforzo di una autorità saggia e disciplinata; come gli altri compie le funzioni di ambasciatore, e ricevendo dalle nature superiori la luce dovutagli, la trasmette, con divina carità, prima agli Angeli e poi per loro mezzo, agli uomini, secondo le disposizioni proprie di ogni iniziato.

Poiché, come già si é visto, gli Angeli completano i diversi ordini degli spiriti celesti e solo in ultimo, dopo tutti gli altri, viene data loro la perfezione angelica.

Per questa ragione e rispetto a noi, il nome di Angeli si adatta meglio a loro che ai primi, poiché le funzioni del loro ordine ci sono più note e riguardano il mondo più da vicino.

Infatti, bisogna pensare che la prima gerarchia, più prossima per il suo ordine al santuario della Divinità, governa la seconda con mezzi misteriosi e segreti; che la seconda, a sua volta, accogliendo le Dominazioni le Virtù  e Potenze, guida la gerarchia dei Principati, degli Arcangeli e degli Angeli in modo più chiaro della prima, ma tuttavia più occulto della terza; e che questa infine, meglio conosciuta da noi, regge le gerarchie umane, l'una per mezzo dell'altra, affinché l'uomo si innalzi e si volga a Dio e comunichi e si unisca con lui, seguendo gli stessi gradi per i quali, mediante la meravigliosa subordinazione delle varie gerarchie, la divina bontà ha fatto discendere verso di noi le sante emanazioni della luce eterna.

Perciò i teologi assegnano agli Angeli la presidenza delle nostre gerarchie, attribuendo a S. Michele il governo del popolo ebreo, e ad altri il governo di altri popoli (Daniele X); poiché l’Eterno ha limitato le nazioni in ragione del numero degli Angeli (Deuteronomio XXXII).

E se si dovesse chiedere  perché i soli Ebrei furono chiamati alla conoscenza della verità, noi risponderemo che non bisogna imputare al governo dei buoni Angeli la caduta universale dei popoli nella idolatria, ma che volontariamente, da se stessi, gli uomini hanno abbandonata la via che conduce a Dio, trascinati dall'orgoglio e dalla perversità, verso il culto ignominioso delle divinità menzognere.

 

L’Arcangelo Michele

LE QUALITA’ CHE POSSIEDONO

LE TRE GERARCHIE

E IL NUMERO DEGLI ANGELI

 

 Dionigi si avvia alla conclusione dando dei chiarimenti a possibili domande che possano essere fatte per  esempio, se le qualità che possiedono le tre gerarchie siano le stesse, e spiega che il primo ordine delle gerarchie celesti possiede in maggior misura di tutti gli altri un divorante ardore e una larga parte nel tesoro della saggezza infinita, e la sapiente e sublime esperienza dei misteri sacri, e quella proprietà dei Troni che annunzia una intelligenza continuamente preparata alle visite della divinità.

Mentre, precisa, gli ordini inferiori se pur  partecipano all'amore, alla saggezza, alla scienza, all'onore di ricevere Dio, queste grazie non giungono loro che più debolmente ed in modo subalterno, e non si elevano verso Dio se non per mezzo dell'aiuto degli angeli superiori, che furono per primi arricchiti dei benefici celesti.

Ecco perché le nature meno sublimi riconoscono per loro iniziatori questi spiriti più nobili, riferendo prima a Dio, e poi ad essi, le funzioni che hanno l'onore di compiere.

Oppure, quale possa essere il  numero degli Angeli che senza essere infinito è grandissimo, così grande che gli uomini non possono immaginarlo, che Dio solo conosce, e supera il numero delle creature sensibili.

E ritiene che ve ne sono mille volte mille, e diecimila volte diecimila, raddoppiando così il numero previsto nella Scrittura e moltiplicando l'una per l'altra le cifre più elevate che abbiamo, e con ciò facendoci veder chiaramente che ci è impossibile esprimere il numero di quelle creature.

E aggiunge: Poiché gli ordini delle armate celesti sono affollati, e sfuggono al debole e limitato apprezzamento dei nostri calcoli materiali, e la enumerazione non può esserne fatta sapientemente se non da quella conoscenza sovrumana e trascendente che comunica loro sì liberamente il Signore, saggezza increata, scienza infinita, principio sovra-essenziale e causa potente di ogni cosa, forza misteriosa che governa gli esseri e li determina accogliendoli in sé.

 

 

LE NUMEROSE FORME

SOTTO LE QUALI APPAIONO

LE NATURE ANGELICHE

 

Nell’ultimo capitolo, per concludere la sua opera Dionigi, dopo aver precisato che trovava lecito concedere un po' di riposo al suo intelletto, necessariamente affaticato dalle considerazioni astratte sui santi Angeli,  (fatica che riteniamo veramente improba ndr.) riteneva poter ora abbassare lo sguardo sul ricco e svariato spettacolo delle numerose forme sotto le quali appaiono le nature angeliche, per risalire quindi dal simbolo grossolano all'intelligibile e pura realtà.

Dionigi,ponendosi il quesito su quali siano le diverse forme di cui la Scrittura riveste gli Angeli; gli attributi materiali che dà loro e il significato misterioso di quei simboli, risolve il problema nel modo seguente.

 

I. Come gli spiriti sono paragonati al fuoco.

 

La teologia sceglie con una certa predilezione il simbolo del fuoco. Infatti, come è noto, essa ci descrive ruote ardenti, animali tutti fiamme, ed uomini che sembrano lampi ardenti; essa ci mostra le celesti essenze circondate da bracieri accesi e da fiumi nei quali scorrono flutti di fuoco con rumorosa rapidità.

Nel suo linguaggio i Troni sono di fuoco, gli augusti Serafini sono ardenti, come dice il loro stesso nome, e scaldano e divorano come il fuoco; insomma, nel più alto come nel più basso grado dell'essere, appare sempre il glorioso simbolo del fuoco. A me pare che questa figura esprima una certa conformità degli angeli, con la Divinità, poiché presso i teologi l'essenza suprema, pura e senza forma, ci viene spesso rappresentata con l'immagine del fuoco, che ha nelle sue proprietà sensibili, per così dire, come una oscura rassomiglianza con la natura divina.

Poiché il fuoco materiale é sparso dappertutto e si mescola, senza confondersi, con tutti gli elementi, dai quali resta sempre eminentemente distinto; splendente per natura, e tuttavia nascosto, e la sua presenza non si manifesta che quando trova materia alla sua attività; violento e invisibile, doma tutto con la sua propria forza e si assimila energicamente ciò che ha afferrato; si comunica agli oggetti e li modifica in ragione diretta dalla loro vicinanza; rinnova ogni cosa col suo calore vivificante, e brilla d'una luce inestinguibile; sempre indomo, inalterabile, discerne la sua preda, non subisce mai nessun cambiamento, ma s'innalza verso il cielo e con la rapidità della sua fuga, sembra voler sottrarsi ad ogni asservimento; dotato di una costante attività, comunica il moto alle cose sensibili; avvolge ciò che divora e non si lascia avvolgere; non é un accidente delle altre sostanze; le sue invasioni sono lente ed insensibili, e i suoi splendori rilucono nei corpi ai quali s'è attaccato; é impetuoso e forte, presente a tutto in modo inavvertito; lasciato in pace, talora sembra estinto, ma se qualcuno lo risveglia, per così dire, con una scossa, subito si libera dalla sua prigione naturale, e brilla e si leva nell'aria e si comunica liberamente senza mai menomarsi.

Si potrebbero notare ancora numerose proprietà del fuoco che sono come un simbolo materiale delle operazioni divine. Fermandosi dunque su queste relazioni conosciute, la teologia indica con l' immagine del fuoco le nature celesti, insegnando così la loro rassomiglianza con Dio e lo sforzo che fanno per imitarlo.

 

II. Come venga loro attribuita la forma umana e i nostri attributi corporei.

 

Gli Angeli sono rappresentati anche in forma umana, perché l'uomo é dotato d'intelligenza, e può elevare lo sguardo in alto; perché ha la forma del corpo eretta e nobile, ed é nato per esercitare il comando; perché infine, se é inferiore agli animali irragionevoli per ciò che concerne l'energia dei sensi, li supera per la propria intelligenza, per la potenza della ragione e per la dignità della sua anima, naturalmente libera e invincibile.

Si possono anche, a mio parere, scrive Dionigi, trarre delle analogie dalle diverse parti del corpo umano per rappresentare assai fedelmente gli spiriti angelici.

Per esempio, l'organo della vista indica con quale profonda intelligenza gli abitanti dei cieli contemplano i segreti eterni, e con quale docilità, con quale tranquillità soave, con quale rapida intuizione essi  ricevono la limpidezza purissima e la dolce abbondanza delle luci divine. Il senso così delicato dell'odorato, simboleggia la facoltà che hanno di gustare il buon odore delle cose che sorpassano l'intelligenza, di discernere con sagacità e di fuggire con orrore tutto ciò che non esala quel supremo profumo. L'udito rammenta che é dato loro di partecipare con un'ammirabile scienza, ai benefici dell'ispirazione divina. Il gusto mostra che si satollano del nutrimento spirituale e si dissetano in torrenti d'ineffabili delizie. Il tatto significa la loro abilità nel distinguere ciò che loro conviene naturalmente e ciò che potrebbe loro nuocere. Le palpebre e le sopracciglia indicano la loro fedeltà nel vigilare sulle sante nozioni che si hanno apprese.

L'adolescenza e la giovinezza raffigurano il vigore sempre rinnovato della loro vita; e i denti simboleggiano la potenza di dividere, per così dire, in frammenti il nutrimento intelligibile che è loro concesso; poiché ogni spirito, per una saggia provvidenza, decompone la nozione semplice che ha ricevuto dalle potenze superiori, e la trasmette, così come l'ha avuta, ai suoi inferiori, secondo la loro disposizione rispetto a quella iniziazione.

Le spalle, le braccia e le mani indicano la forza che hanno gli spiriti di agire e di eseguire ciò che hanno deliberato.

Per il cuore bisogna intendere la loro vita divina che va comunicandosi, con dolce effusione, alle cose affidate alla loro protettrice influenza; e per il petto quella maschia energia che, facendo la guardia intorno al cuore, mantiene invincibile la sua forza.

I reni sono l'emblema della potente fecondità delle celesti intelligenze, ed i piedi sono l'immagine della loro viva agilità e di quell'impetuoso ed eterno movimento che li trasporta verso le cose divine; ed é anche per ciò che la teologia ha rappresentato gli angeli con ali ai piedi, essendo le ali una felice immagine della rapidità della corsa, di quello slancio divino che li spinge continuamente più in alto e li libera in modo sì perfetto da ogni bassa affezione. La leggerezza delle ali dimostra che quelle sublimi nature non hanno nulla di terrestre e che nessuna corruzione appesantisce il loro ascendere verso i cieli. La nudità in generale e, particolarmente la nudità dei piedi, ci dice che la loro attività non é impedita, che sono pienamente liberi da esteriori legami e che si sforzano d'imitare la semplicità che é in Dio.

 

III. Perché si attribuiscono loro vesti e cinture.

 

Poiché, nell'unità del suo fine e nella diversità dei suoi mezzi, la divina saggezza attribuisce delle vesti agli spiriti ed arma le loro mani di strumenti diversi, spieghiamo ancora, nel miglior modo possibile, ciò che rappresentano questi nuovi emblemi.

Io credo dunque, scrive Dioonigi, che le loro vesti radiose e fiammanti simboleggino la conformità degli Angeli con la Divinità, come consegue dal significato simbolico del fuoco, e quella virtù che essi possiedono d'illuminare, avendo essi la loro dimora nei cieli, nel dolce paese della luce; e infine anche la loro capacità di ricevere e la loro facoltà di trasmettere la luce puramente intelligibile. La veste sacerdotale significa che essi iniziano alla contemplazione dei misteri celesti, e che la loro vita é tutta quanta consacrata a Dio.

La cintura significa che vigilano alla conservazione della loro fecondità spirituale e che raccogliendo fedelmente in se stessi le loro diverse potenze, le conservano con una specie di meraviglioso vincolo in uno stato d'identità immutabile.

 

IV. Diversi strumenti presi dalle nostre arti.

 

Le verghe che essi portano sono una figura della loro reale autorità e della rettitudine con la quale eseguiscono ogni cosa.

Le lance e le scuri esprimono il potere che hanno di discernere i contrari, e la sagacità, la vivacità e la potenza di questo discernimento.

Gli strumenti geometrici e gli arnesi delle varie arti, dimostrano che sanno fondare, edificare e compiere le loro opere, e che possiedono tutte le virtù di quella secondaria provvidenza che chiama e conduce al loro fine le nature inferiori.

Qualche volta questi oggetti emblematici, attribuiti alle sante intelligenze annunziano il giudizio di Dio su noi (Numeri, XXII; II Re XXIV; Amos, VIII; Geremia, XXIV), come, per esempio, la severità di una utile correzione, o la vendetta della giustizia, oppure la liberazione del pericolo e la fine del castigo, il ritorno della prosperità perduta, ovvero, infine, l'aumento graduale di grazie corporali o spirituali. Ma senza dubbio una intelligenza chiaroveggente saprà bene applicare le cose visibili alle invisibili.

 

V. Perché vengono paragonati ai venti ed alle nubi.

 

Quando gli Angeli vengono chiamati venti (Daniele, VII), con ciò si allude alla loro grande agilità e alla rapidità della loro azione, che si esercita, per così dire, istantaneamente su tutte le cose, e il movimento sul quale si abbassano e si innalzano facilmente per trascinare i loro subordinati verso una più sublime altezza e per comunicarsi a loro con una provvidenziale bontà. Si potrebbe anche dire che questo nome di venti, di aria agitata, indica una certa rassomiglianza fra gli angeli e Dio; poiché, come l'abbiamo a lungo dimostrato nella teologia simbolica, interpretando il senso misterioso dei quattro elementi, l'aria é un simbolo molto espressivo delle opere divine, perché sollecita, in certo modo, e vivifica la natura, perché va e viene con una corsa rapida e senza arresto, e perché ignoriamo le misteriose profondità nelle quali prende e perde il suo movimento, secondo la parola dell'Apostolo:  «Voi non sapete nè donde viene, né dove va» (S. Giovanni III, 8).

La teologia rappresenta anche gli angeli sotto forma di nubi; insegnando con ciò che quelle intelligenze sono felicemente inondate d'una santa e ineffabile luce e che, dopo aver ricevuto con modesta gioia la gloria di quella diretta illuminazione, ne lasciano giungere ai loro inferiori gli abbondanti raggi, sebbene saviamente temperati; e che infine possono comunicare la vita, l'accrescimento e la perfezione spandendo come una rugiada spirituale e fecondando il seno che la riceve col miracolo di quella generazione sacra.

 

VI. o appaiono come materiali di bronzo, di elettro, o di pietre preziose di diversi colori.

 

Altre volte é detto che gli angeli appaiono come materiali di bronzo, di elettro, o di pietre preziose di diversi colori. L'elettro, metallo composto d'oro e d'argento, presenta, a causa della prima di queste sostanze, uno splendore incorruttibile e mantiene inalterabilmente la sua purità senza macchia, e a causa della seconda, una specie di dolce e celeste chiarezza.

Il bronzo, dopo tutto ciò che si é veduto, potrebbe essere paragonato tanto al fuoco, quanto all'oro stesso.

Il significato simbolico delle gemme sarà diverso, secondo la varietà dei loro colori; così le bianche ricordano la luce, le rosse il fuoco, le gialle lo splendore dell'oro, le verdi il vigore della giovinezza. Ogni forma avrà dunque il suo significato occulto e sarà il tipo sensibile d'una realtà misteriosa. Ma credo di avere trattato sufficientemente questo soggetto; ora cerchiamo di spiegare le forme animali di cui la teologia riveste talvolta gli spiriti celesti.

 

VII.  O sotto la figura di animali come il leone, il bove e l'aquila.

 

Sotto la figura del leone bisogna intendere l'autorità e la forza invincibile delle sante intelligenze e il divino mistero che vien loro concesso di ravvolgersi di una maestosa oscurità, sottraendo santamente agli sguardi indiscreti le tracce dei loro rapporti con la divinità, (imitando il leone che si dice cancelli colla sua coda l'impronta dei suoi passi, quando fugge davanti al cacciatore).

La figura del bove, applicata agli angeli, esprime la loro potente forza, e ci suggerisce l'idea che essi aprono in loro stessi dei solchi spirituali per ricevervi le fecondità delle piogge celesti: e le corna sono il simbolo della energia con la quale essi vegliano su loro medesimi.

La figura dell'aquila rammenta la loro regale elevazione e la loro agilità, l'impeto col quale si slanciano sulla preda di cui si nutrono, la loro sagacia nello scoprirla e la loro facilità nel ghermirla, e soprattutto quella acuta vista che permette loro di contemplare arditamente e di figgere senza fatica i loro sguardi nelle splendide e radiose luci del sole divino.

Il cavallo é il simbolo della docilità e dell'obbedienza; il suo colore é ugualmente significativo (Apocalisse, 20; Zaccaria, VIII): bianco, rappresenta quello splendore degli angeli che li avvicina allo splendore increato; baio, l'oscurità dei divini misteri; sauro, il divorante ardore del fuoco; toppato di bianco e di nero, la facoltà di mettere in rapporto e di conciliare insieme gli estremi, di piegare saviamente il superiore verso l'inferiore e di invitare ciò che é meno perfetto ad unirsi a ciò che é più elevato.

E se noi non ci studiassimo di osservare una certa sobrietà, potremmo con felici paragoni attribuire alle potenze celesti tutte le qualità e le forme corporali di questi vari animali, per mezzo di ravvicinamenti dai quali, pur tra le differenze sensibili, scaturirebbe l'analogia come se ad esempio, noi vedessimo nella irascibilità dei bruti quella maschia energia degli spiriti di cui la collera non é che un oscuro vestigio; oppure nella cupidigia di quelli, il divino amore di questi, o, per dir tutto in una parola, nei sensi e negli organi degli animali irragionevoli, i pensieri purissimi e le funzioni immateriali degli Angeli.

Ho detto assai per chi é intelligente; anche l'interpretazione d'uno solo di questi simboli é sufficiente per portare alla soluzione delle questioni analoghe.

 

VIII. O quando si descrivono come fiumi, carri, ruote.

 

Consideriamo ancora ciò che intende dire la teologia quando, parlando degli Angeli, ci descrive fiumi, carri e ruote.

Il fiume di fuoco raffigura quelle acque vivificanti che, uscendo dal seno inesauribile della Divinità, traboccano largamente sulle celesti intelligenze e nutrono la loro fecondità. I carri figurano l'armonica uguaglianza che unisce gli spiriti di uno stesso ordine. Le ruote fornite d'ali, correndo senza deviazioni e senza soste verso il fine prefisso, esprimono la potente attività e l'inflessibile energia con le quali l'angelo, entrando nella via che gli viene aperta, prosegue invariabilmente e senza deviazioni, la sua corsa spirituale nelle regioni celesti.

Ma questo simbolismo delle ruote é suscettibile ancora di un'altra interpretazione; perché quel nome di galgal che gli é dato secondo il profeta, (Ezechiele, X, 13) significa, in ebraico, rivoluzione e rivelazione. Infatti quelle ruote intelligenti e infiammate hanno le loro rivoluzioni che le trascinano con un movimento eterno intorno al loro bene immutabile; ed hanno le loro rivelazioni, o manifestazioni dei segreti divini, e ciò avviene quando iniziano le nature inferiori e fanno giunger loro la grazia delle più sante aspirazioni.

Ci resta da spiegare finalmente in qual modo si deve intender l'allegrezza degli Angeli. Perché non crediamo già che sottostiamo agli eccessi delle nostre gioie passionali. Dicendo ch'essi si rallegrano con Dio ogni volta che sono ritrovati coloro che erano perduti, si esprime la divina contentezza e quella specie di pacifico diletto da cui sono dolcemente inebriati ogni volta che la Provvidenza riconduce le anime a salvazione, ed anche quell'ineffabile senso di felicità che provano i santi della terra quando Dio li rallegra con l'effusione della sua augusta luce.

Queste sono le spiegazioni che dovevo dare trattando dei simboli usati dalla teologia.

Quantunque incompleto, spero che questo lavoro aiuterà la nostra mente ad elevarsi al di sopra delle grossolane immagini materiali.

Che se tu mi obietti, o Timoteo, che io non ho fatto menzione di tutte le virtù, funzioni e immagini che la Scrittura attribuisce agli Angeli, io risponderò confessandoti il vero, che cioè in certi casi avrei avuto bisogno di una scienza che non é di questo mondo, e di un iniziatore e di una guida; e ti dirò anche come certe spiegazioni che io ometto siano implicitamente racchiuse in ciò che ho spiegato.

Così ho voluto nel tempo stesso serbare in questi discorsi una giusta misura ed onorare con il mio silenzio le sante profondità che io non posso scandagliare.

 

IL PENSIERO DI DANTE

 

Dante partendo dal numero perfetto della Trinità aveva diviso il Paradiso (ma anche l’Inferno e Purgatorio) in tre parti, giungendo al multiplo di nove per i cerchi (disposti secondo la distinzione di Aristotele), riprende la sua classificazione da Dionigi: Primo mobile, Stelle fisse, Cielo di Saturno, di Giove, di Marte, del Sole, di Venere, di Mercurio e della Luna, ai quali corrispondevano i cori angelici, disponendo: nel primo cerchio Dio e i Serafini, nel secondo i Cherubini, e poi di seguito i Troni, Dominazioni,Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli e infine gli Angeli le cui velocità sono maggiori o minori in rapporto alla maggiore o minore intensità di amore per Dio.

L’angelo nel contesto del medioevo è visto  come una emanazione della provvidenza che coordina il tutto legandolo a un’armonia universale e prendendo le mosse da Dionigi, degli angeli si stabilivano origini, compiti, funzioni.

Per il popolo incolto e superstizioso costituiva una sintesi di forze consolatrici e portatrici di aiuto derivanti da eredità arcaiche delle antiche religioni e dall’ebraismo. L’angelo era considerato un amico e compagno che assisteva ciascuno, facendogli da guida e da protettore.

Di tutto ciò non si trova traccia nella esposizione di Dante, secondo il quale gli angeli sono figli della creazione e strumento dell’armonia ordinata  e organica dell’universo. Distinguendo i buoni dai perversi, essi sono sfavillanti di luce e superbeati, secondo una gerarchia reale si comportano come dignitari della corte divina e ciascuno o ciascun gruppo, con compiti e funzioni ben determinati. Essi sono esecutori del pensiero e della volontà divina nei confronti degli uomini, in quanto si pongono appunto nella via di mezzo tra Dio e gli uomini, e di Dio hanno alcune qualità come la luminosità e trovandosi a lui vicino godono della fonte della beatitudine e del potere, lasciando cadere il loro influsso sugli uomini.

Questo influsso non viene però inviato direttamente  ma attraverso i cieli: da ciò il ricorso che nelle varie epoche si è fatto all’astrologia di cui si parlerà in apposito articolo.

 

 

FINE