Affresco di Guglielma (inglese) venerata a Brunate

 

 

GUGLIELMINA LA BOEMA

I GUGLIELMITI

E LE SETTE

DEL XIII SECOLO

 

 

Michele E. Puglia

 

 

 SOMMARIO: GUGLIELMINA GIUNGE A MILANO DALLA BOEMIA; IL PROCESSO CONTRO MATTEO VISCONTI LA DOTTRINA DEL SARAMITA E LE CONDANNE; MANFREDA VISCONTI DA PIROVANO E IL SUO DECALOGO; SARAMITA E MANFREDA  TRA ACCUSE E RITRATTAZIONI; GUGLIELMINA E I GUGLIELMITI SECONDO CESARE CANTU’; I MONTANISTI ED ALTRE SETTE DEL XIII SEC.; MANIE E ALLUCINAZIONI RELIGIOSE SECONDO LA PSICHIATRIA DEL XIX SEC.; L’INQUISIZIONE NASCE DELLA IMPORTANZA POLITICA DATA ALLE SETTE; I QUATTRO ELEMENTI DELLE ALLUCINAZIONI; LE ALLUCINAZIONI DEL SARAMITA; E DI SUOR MANFREDA; LE MONOMANIE RELIGIOSE.

  

 

GUGLIELMINA

GIUNGE A MILANO

DALLA BOEMIA

 

 

 

C

orreva l’anno 1282 quando nel mese di settembre moriva Guglielmina detta la Boema, eretica per la Chiesa, divenuta famosa per essersi votata a una vita ascetica e di preghiera, tale, da farla considerare in stato di santità; in punto di morte, il suo letto era circondato dai suoi discepoli ai quali raccomandava l'unione e la fraterna carità; con le sue ultime volontà aveva lasciato i suoi beni al monastero di Chiaravalle, dove aveva chiesto di esser sepolta.

In quel periodo infieriva la guerra tra milanesi e lodigiani e costoro avevano manifestato l’intenzione di ottenere le sue spoglie mortali, per cui, appena morta fu frettolosamente sepolta nella chiesa di san Pietro all'Orto; i suoi seguaci si rivolsero al marchese del Monferrato e con l’aiuto dell'arcivescovo Ottone Visconti, fu loro concesso il permesso di disseppellire il corpo che fu portato nel monastero di Chiaravalle.

I monaci del monastero, dopo averlo lavato con cura con acqua e vino (il liquido  servito per le abluzioni sarà conservato in quanto si riteneva avesse proprietà miracolose), lo rivestirono con abiti monacali e lo seppellirono nella cripta dell'Abazia di  Chiaravalle (abbattuta verso la fine del 1700), dove fu innalzato un magnifico altare divenuto oggetto di pellegrinaggio durante le tre feste di san Bartolomeo, Ognissanti e Pentecoste, durante i quali i monaci  distribuivano pane  e vino in sua memoria; lampade e ceri ardevano sulla sua tomba e i visitatori che si scambiavano notizie dei suoi prodigi, veri o presunti, la consideravano una santa.

Era giunta a Milano (1262) con un figlioletto, morto poco dopo; senza far mostra di ricchezze; si diceva fosse figlia di re (*)  (queste notizie, erano state propalate dal poco accomandabile Andrea Saramita, di cui parleremo più avanti); aveva chiesto ospitalità ai monaci cistercensi che le concedevano di abitare presso di loro a Porta Nuova, a Santo Stefano in Borgogna e a san Pietro all’Orto e le concessero assistenza.

In quel tempo vi erano molte donne pie, di sangue aristocratico o reale, beatificate o santificate; tra queste, quattro secoli prima vi era stata un’altra  Guglielma, indicata come figlia del re d’Inghilterra e venerata come santa a Brunate (**); poi una Beatrice figlia di Ezzelino da Romano e moglie di Galeazzo Manfredo signore di Vicenza (v. Art. Ezzelino da Romano ecc.), che seguiva l’esempio di una sua zia con lo stesso nome, Beatrice, che aveva abbracciato la vita religiosa (1262).

Vi era stata una beata Margherita, figlia di Bela IV d’Ungheria consacrata dai genitori in un convento di domenicane (1271); una beata Solomea, badessa di santa Chiara,  nativa della Polonia; costei figlia del duca di Cracovia doveva sposare il figlio del re d’Ungheria, Andrea, ma aveva persuaso il fidanzato a vivere in castità e aveva edificato alcuni conventi di cui era badessa (1268); infine, è ricordata una beata Picinardi di nobile casato, morta nel mantovano (1268).

Guglielmina, fisicamente aveva tratti aristocratici e parlava e si esprimeva in latino per cui si poteva ritenere provenisse senza’altro da famiglia di livello principesco se non reale; pur non avendo disponibilità economiche, era caritatevole e ai bisognosi dava del suo e il popolo la esaltava perché con le sue dolci maniere si prendeva cura e consolava gli afflitti; uno dei testimoni del primo processo, Damisio Cotta riferiva “quando mi trovavo contristato ricorrevo a costei e ne partivo esilarato e tranquillo”; e le figlie di Bonadeo, Giovanna e Jacoba avevano elogiato l’onestà e bontà di cuore di Guglielmina “la quale parlava sempre di cose oneste e religiose”.

 

 

*) La dinastia dei Premyslidi aveva fondato il regno di Boemia e si estingueva nel 1306 con Venceslao III. Premislao-Ottocaro I (1155-1230) dopo aver ripudiato la prima moglie Adleda di Meissen, sorella del marchese Teodorico e i figli da lei avuti, sposava Costanza figlia del re di Pannonia (Ungheria) che gli dava due figli maschi, Venceslao il quale  morendo lasciò il regno a Ottocaro II (1230-1278); costui  ebbe un figlio, Venceslao e tre femmine delle quali una sposò Ularlico principe di Carinzia, la seconda sposò Enrico di Vratislavia, la terza si ritirò nel convento di s. Chiara a Praga: è probabile che una delle due sorelle sposate avesse o avesse avuto un bambino e rimasta vedova era partita per Milano, prendendo il nome di Guglielma.

Vi è invece chi sostiene che le tre sorelle erano figlie di Venceslao e non di Ottocaro, ma questo poco interessa ai fini della regalità attribuita a Guglielma; è stato detto che essa non sia stata indicata da nessuno scrittore di storia boema, cosa possibile in quanto chi entrava in convento cambiava nome; bisognerebbe conoscere il vero nome di Guglielma, se non si ritenga essere stata Agnese, la terza figlia, che poteva aver avuto in convento un bambino, come succedeva spesso a quei tempi e fosse andata via per quella macchia che portava sulla propria coscienza; è questa Agnese ad essere stata beatificata da papa Woitila, e in ogni caso la storia di chi fosse realmente Guglielmina, rimane un mistero.

**) Questa Guglielma, considerata anche regina d’Ungheria a volte è confusa  con Guglielmina la Boema di cui parliamo nel presente articolo; la prima è indicata come figlia del re d’Inghilterra, che non si sa chi fosse, in quanto il regno d’Inghilterra non era ancora unificato ed era divisa in  diversi reami e sarebbe estremamente difficile individuare di quale re Guglielma fosse figlia.

Quanto al re d’Ungheria (l’argomento è trattato da Michele Caffi “Dell’Abazia di Chiaravalle”, Milano 1842) il cui racconto troviamo interessante, ma non sappiamo quanto possa essere storicamente esatto perché non sono indicate date certe, ma si fa solo generico riferimento a “dopo il 795, quando il re d’Ungheria, Teodo aveva sposato Guglielma figlia del re d’Inghilterra e, poco dopo  (800), partiva per la Terra Santa”.

Anche per l’Ungheria, relativamente agli anni precedenti all’800, sui re non vi sono notizie storiche ma esse sono considerate mitiche. Inoltre la partenza di Teodo per la Palestina ai primi dell’anno “800” non ha nessuna giustificazione in quanto, in questo periodo non vi erano guerre dei cristiani con i musulmani dediti ad altre conquiste.

Lo storico prosegue: Teodo partiva per la Palestina lasciava il regno e la moglie alle cura del fratello il quale voleva approfittare della cognata che non gli si volle concedere e lui per vendicarsi, presso il fratello l’aveva accusata di infedeltà. Guglielma fu processata e condannata a morte, riuscì a fuggire recandosi in Francia, accolta dal re presso la sua corte. Ma, uno scalco si innamorò di lei che non aveva voluto cedere, e anche questa volta, accusata di infanticidio fu condannata  a morte, ma liberata, si diresse in Italia ritirandosi in un monastero, acquistando fama di santità e taumaturgia. Il re d’Ungheria recatosi per chiederle perdono la riportò in Ungheria dove Guglielma morì, ma fu venerata a Morbegno e Brunate.  

Il Caffi indica come fonte una Relazione scritta dal padre Andrea Ferrari, conservata nella Biblioteca Vaticana, precisando che un libretto fu stampato in Como nel 1642, ma di questo libretto non si hanno notizie.

 

 

IL PROCESSO CONTRO

MATTEO VISCONTI

LA DOTTRINA DEL

  SARAMITA

E LE CONDANNE

 

 

T

ra gli storici si erano formate due correnti, una che considerava Guglielmina una pia devota e un’altra, contraria, che le attribuiva azioni infamanti: contro costoro però aveva fatto giustizia proprio la santa Inquisizione (v. in Art. L’Inquisizione ecc.), che pur considerandola eretica, l’aveva assolta dalle accuse infamanti, di pura invenzione rispetto al tenore di vita da lei condotto.

Guglielmina infatti in tutto il periodo passato a Milano era vissuta nei conventi dai quali non si poteva uscire di notte; essa era dedita alla preghiera e a una vita mistica e provvedeva ad assistere i malati, alcuni dei quali si consideravano guariti per miracolo, per cui costoro la consideravano una santa.

Insomma, tutte le voci che circolavano su Guglielmina non provenivano da lei, ma le erano attribuite; chi invece aveva approfittato di lei erano i due impostori Andrea Saramita, ex prete e la suora Mayfreda o Mainfreda o Manfreda Pirovano (più esattamente Visconti da Pirovano), prima cugina, per via materna, di Matteo Visconti (1250-1322), figlio di Teobaldo Visconti e nipote dell’arcivescovo di Milano Ottone Visconti (primo signore di Milano *) e di Anastasia Pirovano; Matteo, fatto a sua volta dallo zio signore di Milano, aveva esteso il suo dominio a tutta la Lombardia; contro di lui l’Inquisizione aveva imbastito un processo apertamente politico piuttosto che  religioso.   

Prima del processo, il papa Giovanni XXII, aveva inviato l’anatema (aprile 1324) contro Matteo Visconti; in questo atto si menzionava come sua prossima parente materna,  Manfreda, la quale asseriva che “lo Spirito Santo si era incarnato in una tal Guglielma”, per questo Manfreda era stata data alle fiamme: “e si faceva colpa a Matteo di aver molto supplicato per la sua libera­zione, ciò che smentisce quei cronisti antichi che dicono aver lui denunziata quella setta”.  

Dallo stesso documento e da una lettera (del 1322), dalla chiesa di Valenza diocesi di Pavia, dall'arcivescovo frate Aicardo, che nel sinodo Bergolicense aveva fatto condannare Matteo, appare che altri suoi progenitori fossero stati sospettati o condannati d'eresia, cioè il nonno, una zia, Giacomo e Obizzone: e che Galeazzo, figlio di Matteo, professava gli errori della Manfreda, e per questo fu arre­stato, ma poi rilasciato per le minacce di Matteo.

Quando Giovanni e Luchino Visconti si riconciliarono con la Chiesa, supplicarono fosse riveduto il processo del loro padre, il quale in fin di vita si era pentito e ricreduto nella canonica di Crescenzago; Benedetto XII rimproverò severamente l'eccessivo rigore di Aicardo, e annullò la sen­tenza: fatta esaminare dai fratelli cardinali e sentita la relazione dei fratelli cardinali, dopo debito esame del processo e della sentenza che abbiamo trovato iniqua e con l’autorità apostolica  la dichiariamo iniqua e irrituale (**).

Chi approfittava per proprio conto di tutta questa situazione, era Andrea  Saramita il quale per avvalorare la circostanza della regalità di Guglielmina, raccontava di essersi recato (con un frate di nome Mirano (o Miromo), cappellano della chiesa di san Fermo, a Praga, ma limitandosi a dire di  aver saputo che il re era morto, e gli era stato confermato che Guglielma era figlia del re”! 

Questa scarna ipotesi non era credibile in quanto Andrea non aveva dato riferimenti più circostanziati non indicando né il nome del re, né quello delle figlie del re e quale di queste si fosse recata in Italia, compreso il suo nome sostituito da quello di Guglielma, che non compariva in nessuna genealogia di quei monarchi!

La nuova dottrina predicata dal  Saramita era basata sui seguenti dogmi: 1. Guglielma è lo Spirito Santo, la terza persona della SS. Trinità incarnata nella persona di una donna, come Cristo è stato in quella di un uomo; 2. l’arcangelo Gabriele annunciò a Pentecoste, alla regina Costanza, questa incarnazione e Guglielma è nata in Pentecoste nell’anno seguente. 3. Guglielma è quindi un Dio femmina come Cristo è Dio maschio; 4. Essa è morta come Cristo secondo la sua natura umana, ma non secondo la sua natura divina; 5. Come lui, lei risusciterà, ascenderà al cielo e ispirerà i suoi discepoli; 6. Come lui aveva cinque piaghe nel corpo; 7. Alla stessa maniera di Cristo, che ebbe per successore il Santo Padre, così Guglielma ha lasciato i suoi poteri alla suora Manfreda Pirovano dell’Ordine degli Umiliati; 8. Manfreda deve in conseguenza fondare una gerarchia femminile che succederà a quella del papa e dei cardinali; 9. I nuovi Vangeli emanati da Guglielma dovevano sostituire quelli esistenti, inutili. 10. Anche lei dopo la morte sarebbe apparsa ai discepoli. 11. Visitando la sua tomba si sarebbero ottenute le indulgenze come se si fosse andati in pellegrinaggio a Gerusalemme. 12. Anche i seguaci di Guglielma avrebbero dovuto sostenere tormenti e morte come gli apostoli di Cristo e tra di essi vi sarebbero stati alcuni come Giuda che avrebbero tradito i loro colleghi e li avrebbero consegnati ai loro nemici, i ministri dell’inquisizione.

Queste eresie, troppo assurde per essere pericolose, richiamarono l’attenzione dell’inquisitore Manfredo di Dovaria soltanto qualche anno più tardi (1283), ma siccome i colpevoli abiurarono i loro errori e promisero il pentimento, l’inquisitore si contentò di imporre loro una penitenza.

Il processo che si era svolto  nella chiesa dei frati Umiliati (***)  si chiudeva con la condanna al rogo di Manfreda e Saramita come empi ed ostinati discepoli di Guglielmina, e  della suora Giacoma de Bassanis che non aveva voluto rinunciare alla credenza che Guglielma fosse lo Spirito Santo, insieme alle ossa di Guglielmina che furono fatte estrarre dalla tomba; Jacopo da Ferno ed altri che avevano abiurato, erano stati assolti. 

In quegli anni, con papa Bonifacio VIII (1294-1303)  si moriva sui roghi per molto meno. L’Inquisizione (creata da poco, nel 1260)  subito si attivò e i due inquisitori domenicani Guido da Coccolato e Ranieri da Pirovano dichiararono Guglielmina  eretica, la fecero disseppellire e bruciarono le sue immagini e le sue ossa sul rogo,  insieme ad alcuni religiosi, fra i quali, naturalmente, Manfreda Visconti e Andrea Saramita. Il rogo fu alzato in piazza della Vetra, vicino a sant’Ambrogio, a Milano, dove tre secoli più tardi (1630) verrà eretta la Colonna Infame, di cui il Manzoni ci ha ampiamente  raccontato, nei particolari più pestiferi, 

 

 

 

*) L' arcivescovo Ottone Visconti (1295) per confermare il suo di­ritto sugli Umiliati nel 1287  riuniva un sinodo nel quale sanzionava il decreto di obbedienza degli Umiliati alla sua diocesi, con I'ob­bligo di pagare le decima e i fodri. Vi si oppose Loderengo, Direttore generale degli Umiliati, l’anno 1288. La cosa venne de­ferita al papa Nicola IV che con lettera diretta nello stesso anno agli Umiliati li dichiara sottratti dalla giurisdizione arcivescovile.

Nessun pontefice, dopo Innocenzo III (1198-1216), avea sciolto gli Umi­liati dalla giurisdizione dei Vescovi. Innocenzo IV (1243-1254) che avea permesso l’elezione dei  loro Prepositi, aveva in pari tempo ordi­nato ai vescovi diocesani che non osassero rifiutare il beneficio della conferma a colui che fosse stato dall' Ordine scelto ed ap­provato.

**) Nos, qui sumus omnibus in justitia debitore, nolentes justitiam denegare, hujusmodi pro­cessus et sententias archiepiscopi et inquisitorum per noa­nullo à ex fratribus nostri. B. R. E. cardinalibus examinari fecimus, et ipsorum relatione audita, nos, una cum eisdem et aliis fratribus nostri, in concistorio, ipsos processua et senten­tias cum maturitate ac discussione debiti, examinavimus et inique factos invenimua . . . et auctoritate apostolica ini­que facta ac nulla et irrita declaramus, etc. (Ughelli)

***) Il monastero delle Umiliate di Brera era detto Casa di Biassono (Domus de Biassono) nome derivato da due nobili sorelle di Biassono (tredici miglia da Milano) che avevano donato la loro casa; il  monastero conservò questo nome  fino al 1300, poi assunse il nome di Santa Caterina in Brera fino al 1786 in cui fu demolito; quivi era stata riporodotta l’immagine di Guglielmina rappresentata da Santa Caterina.

 

 

MANFREDA VISCONTI

DA PIROVANO

E II SUO DECALOGO

 

 

M

orta Gugliclmina, i suoi seguaci si mantennero nelle loro credenze e tenevano spesso conciliaboli, sia nel chiostro di Chiaravalle, sia in quello delle Umiliate di santa Caterina in Brera; Manfreda, continuava le adunanze a cui intervenivano uomini, donne di ogni età e condizione, nelle quali essa, fedele alla missione che aveva assunto, parlava di religione, predicava, componeva litanie e ncl  giorno di Pasqua (1299), vestitasi con alcune sue compagne di abiti pontificali, celebrava una messa in casa di un ccrto Jacopo da Fcrno, con l’epistola letta da Albertonc da Novate, mentre il vangelo  era cantato dal Saramita che aveva composto lui stesso.  

A questo punto, per alcuni storici, tali riunioni, incominciate con simili stravaganti riti, terminavano con scandali peggiori, giacché compiute le cerimonie, Manfreda ordinava che tutti i suoi seguaci, senza distinzione di sesso, fatta comunanza tra loro, si dessero ai più criminosi piaceri: e i medesimi storici affermavano che Gugliclmina stessa avesse tenuto vergognoso commercio con Andrea Saramitam (ma dal primo processo contro Guglielmina era risultata indenne da simili accuse).

Anche Manfreda (i due amanti avevano il talento dell’inventiva religiosa, che più avanti sarà esaminata sotto l’aspetto psichiatrico) aveva redatto di propria mano un decalogo, che faceva circolare, attribuito a Guglielmina del seguente tenore:  

I. Diceva la Guglielmina di , essere lo Spirito Santo, terza persona della santissima Trinità, incarnata nel “sesso femminile”, e nata da Costanza alla quale Gabriele aveva annunziato a Maria Vergine l'Incarnazione del Verbo divino; cosi asseriva che l'arcangelo Raffaele aveva annunziato alla moglie del re di Boemia e regina. II. Come l'arcangelo Gabriele alla regina Costanza l'incarnazione del Divino Spirito nello stesso sacro giorno della Pentecoste, in cui dopo un anno intero, la Guglielmina era nata.  III. Come Cristo fu vero Dio e vero uomo nel sesso virile, cosi ella si spacciava per vero Dio e vero uomo nel sesso femminile, venuto al mondo per salvare i Giudei, i Saraceni e i falsi cristiani, nello stesso modo che per mezzo di Cristo e del suo sacrosanto sangue, si salvavano i veri cristiani.  IV. Ch'ella, come Cristo, doveva morire secondo la natura umana, non secondo la divina. V. Che essa doveva risorgere col corpo nel sesso femminile, prima della risurrezione del genere umano, per salire al cielo alla presenza dei suoi discepoli, amici e devoti. Vl. Come Cristo lasciò in terra san Pietro apostolo per suo vicario ed a lui diede a reggere la chiesa; del pari la Guglielmina, che pretendeva d'essere lo Spirito Santo, aveva lasciato sua vicaria nel mondo Manfreda, monaca dell'ordine delle Umiliate. VII. Ad imitazione di san Pietro, Manfreda vicaria della Guglielmina era per celebrare la messa al sepolcro del supposto Spirito Santo incarnato; e di poi, con solenne apparato, era per sedere e predicare nel maggior tempio di Milano e in Roma, nella sede apostolica, dove la Guglielmina doveva avere apostoli e discepoli come Cristo.  VIlI. Manfreda era per essere vera papessa colla stessa podestà ed autorità che aveva il papa; in guisa che il pontefice ed il pontificato romano doveva essere abolito e cedere il luogo alla papessa Manfreda, la quale avrebbe battezzati i Giudei, i Saraceni e tutte l'altre nazioni che non avevano ancora ricevuto il battesimo. IX. I quattro vangeli dovevano pure essere aboliti col sostituirne altri quattro, scritti per ordine della Guglielmina. X. Anch'essa dopo la morte sarebbe comparsa ai suoi discepoli. XI. A quelli che avrebbero visitato il suo sepolcro a Chiaravalle, sarebbe stato concesso tanta d'indulgenza, quanta a quelli che visitavano il santo Sepolcro di Gerusalemme; perciò da tutte le parti del mondo sarebbero accorsi i pellegrini a Chiaravalle per visitarlo. XII. Anche i seguaci del supposto Spirito Santo, cioè di Guglielmina, avrebbero dovuto sostenere tormenti e morti, come gli apostoli di Cristo; e anche tra costoro vi sarebbero stati alcuni, i quali, come Giuda, avrebbero tradito i loro colleghi e li avrebbero dati nelle mani dei loro persecutori, cioè dei ministri della Inquisizione.

 

 

SARAMITA E MANFREDA

TRA  ACCUSE

E RITRATTAZIONI

 

 

S

uor Manfreda insegnava ai suoi fedeli a non dire la verità quando fossero stati interrogati dalla Inquisizione; diceva loro che sarebbero stati aiutati dallo Spi­rito Santo e avrebbero sofferto tutto per la Guglielmina, come gli apo­stoli per Gesù; che il papa presente (Bonifazio VIII) non poteva assolvere condannare, perciò da ritenere creato non legalmente; avrebbe guadagnato tante indulgenze chi avesse visitato il sepolcro della Guglielmina a Chiaravalle, quante quelle della Terra Santa.    

Andrea e suor Manfreda dicevano vedere la Guglielmina parlare con loro, benedir la loro mensa; avevano preparato una clamide di porpora con fibbia d'argento, una veste di porpora e sandali d'oro  di cui essa si sarebbe rivestita dopo risorta; suor Manfreda, per mezzo della Guglielmina, aveva grazia, virtù ed autorità maggiori che non n'abbia avute mai san Pietro.

Andrea Saramita aveva detto che vestivano di bruno perchè così vestiva la Guglielmina ed essa, chiamata Felice, riteneva essere lo Spirito Santo; molti davano ai loro figliuoli il nome di Felicino e Felicina e Paracleto e quando andavano a Chiaravalle a venerarla, l'abate facea dare loro pane, vino ed altro; nelle solennità di santa Guglielma, i monaci (Marchisio, Lombardo, Graziadio e Alessandro) predicavano in suo onore, facevano panegirici su di lei e ne commendavano la sua vita e la sua congregazione.  

 — Fui presente — testimonia Saramita,  quando morì la Gu­glielmina, andai dal marchese di Monferrato pregan­dolo mi desse una scorta onde portare il suo corpo con sicurezza a Chia­ravalle, stando allora in guerra Milanesi e Lodigiani. Essa diceva a quelli che la circondavano: “Voi credete vedere e non vedrete per la vostra incredulità”, alludendo alle cinque pia­ghe che avea sul suo corpo. Credo che la Guglielmina sia lo Spirito Santo che deve risorgere e che essa fece molte cose simili a Cristo.

Ma essa non disse mai che fosse lo Spirito Santo, cercò mai a persuadercelo: bensì disse a Manfreda che l'arcangelo Raffaello ne aveva annunziato la nascita alla beata Co­stanza sua madre o quando fu concepita e quanto tempo sarebbe stata nel ventre, perchè essa era nata il giorno di pentecoste; pareami devesse esserle tutto ciò accaduto a somiglianza di Cristo.

Non dissi che in gloria divina superasse Maria e ogni altro santo: pur credo essa sia la terza persona della Trinità di essenza divina e l'avrei detto a tutti se non temessi ispirar orrore. Il corpo suo non essendo ancora glorificato, nol tenevo per più glorioso di quello della B. Vergine.

Altre volte egli invece (Saramita), confessava averle essa detto che era discesa dal cielo su marmoreo sasso, sfolgorante di vivissima luce; ed essere lo Spirito Santo: e la Manfreda aveva udito altret­tanto dalla Guglielmina, e che dal 1262 (vale a dire da quando Guglielma era giunta a Milano)  non era stato nella messa consacrato il solo corpo di Gesù Cristo, ma quello puro dello Spirito Santo, che  era il suo.

Credeva suor Manfreda dover essere papa vero e con piena e reale giurisdizione: vicaria dello Spirito Santo in Terra, cessando il papato presente, i suoi riti, la sua autorità, e suc­cedendovi la Manfreda che dovrà battezzare giudei, sara­ceni e gli altri non battezzati: i quattro vangeli si conserveranno finchè suor Manfreda sia investita della pacifica po­tenza di Pietro: allora cesseranno, e quattro sapienti mandati dalla Guglielmina ne scriveranno di nuovi, che porteranno i nomi dei loro autori.  

Manfreda confessò aver composte le litanie e aver cre­duto alla Guglielmina, e tenere conferenze, dove si recitavano gli evangeli, le epistole e alcuni miracoli. Essa aveva avuto dell'acqua con cui fu lavato il cadavere della Guglielmina, ma non l'adoperava per devozione per guarire infermità.

Sibillia, vedova di Beltrame Malcolzati, diceva avere udito dal Saramita e dalla Manfreda che Guglielmina era lo Spirito Santo, vero dio e vero uomo, che dovea risorgere ed appa­rire col corpo  e visibilmente ascendere al cielo, al cospetto dei  suoi devoti e mandare lo Spirito Santo  in forma di lingue info­cate: e che essa dovesse      redimere i giudei e  quanti  erano fuori del cristianesimo.

Che suor Manfreda avea ricevuto in con­segna la sua Chiesa e le chiavi del Regno dei cieli: che Franceschino Malcolzati canterebbe la prima messa al sepol­cro della Guglielmina e Manfreda la seconda.

La Manfreda prese colle sue mani un'ostia portatale da Chiaravalle e la pose in bocca a Sibil­lia in onore della Guglielmina. Sibil­lia in casa teneva la cassa in cui prima fu sepolta la Gugliel­mina, portatale dal Saramita perché la richiedevano i  suoi vicini in via S. Pietro all'Orto, mentre i monaci di Chiaravalle la volevano per , come quelli presso cui la Guglielmina avea scelto di esser sepolta. Aveva pure in casa un padiglione di zendado vermiglio (drappo), che fu messo sopra la bara quando venne trasferita a Chiaravalle.

Tornata poi al Sant'Uffizio, la Sibillia confessò che suor Manfreda si era vestita degli abiti pontificali con due altre suore, di dalmatica il Saramita e il Macalzati; altri di cotte e ac­comodato una specie di altare, vi posero il calice e quanto occorresse per la messa: la Manfreda celebrò, Andrea recitò il vangelo; Albertono Novati lesse l'epistola.

Il Saramita le disse che, entrato una volta in camera della Guglielmina, la trovò che pregava e alzatasi gli dichiarò esser lei lo Spirito Santo, venuto in forma di donna, perché, se fosse venuta in forma di uomo, sarebbe morta come Cristo e tutto il mondo ne perirebbe. Di subito, Saramita asseriva che le apparve una cattedra e Guglielmina la converti in un bue, e a lui disse: — Tienlo se puoi e subito sparve. E soggiungeva che il nome suo non morrà  e per essa molti saranno consolati e molti tribolati.

E molti son nominati quali devoti della Guglielmina, e aveano comprato bellissimi drappi e tovaglie in sua  venerazione e per ornarla al suo ritorno in terra.

Ma la cosa più strana era la connivenza dei monaci cistercensi i quali credevano bensì ehe lei fosse dei reali di Boemia, ma non lo Spirito Santo: la casa in S. Pietro all'Orto ov'essa abitava, era proprietà del loro monastero;  da sei anni accendevano lampade al se­polcro della Guglielmina, udendo che liberava molti da in­fermità; udendo che Guglielmina era lo Spirito Santo, alcuni di loro andaromo difilato alla sua casa a interrogarla, ed essa indignata rispose: Ite, ego non sum Deus, ma esser di carne e d'ossa e aver condotto seco a Milano un figliuolo: o se non facessero penitenza di quelle credenze, andrebbero all' inferno.

Da ciò e da molti altri riscontri, conclude Cantù, pare chiarito che  Gu­glielmina non fosse che una pia donna e tutto il resto in­venzione o fantasia della Manfreda e del Saramita. Delle oscenità, simili a quelle dei vecehi Gnostici e dei moderni Quietisti, che stabilivano una bugiarda solidarietà fra la religione e le fantasie più mostruose  e delle quali sono imputati dai primi cronisti e storici, non si trovano quasi orme.

 

 

GUGLIELMINA

E I GUGLIELMITI

SECONDO

CESARE CANTU’

 

 

C

esare Cantù, si era molto occupato delle eresie in genere, e nel caso di Guglielmina dopo aver fatto le sue ricerche ed esaminati gli atti del processo, aveva tenuto una conferenza, successivamente stampata (1867) su Guglielmina (e su Pietro Tamburini autore della Storia Genereale dell’Inquisizione in 4 Voll., perseguitato dalla Inquisizione), nella quale vi sono spunti interessanti che riteniamo riportare.

Egli, confermando quanto era stato precedentemente accertato e detto scrive: Fra i devoti di Guglielmina (detti Guglielmiti*) vi era Manfreda da Piro­vano, monaca dell'ordine delle Umiliate di Santa Caterina, in Brera.

Costei teneva adunanze di fedeli, predicava, componeva litanie, e diceva che la Guglielmina era lo Spirito Santo, incarnatosi per redimere giudei, sa­raceni e mali cristiani; che l’ arcangelo Raffaele l’aveva annunziata a sua madre Costanza, moglie del re di Boemia, il giorno della pentecoste.

Nata un anno dopo quell'annunciazione, era vero dio e vero uomo nel sesso femminile, come Cristo nel maschile, e dal sacrosanto suo sangue resterebbero salvati i miscredenti; secondo la natura umna, non secondo la divina, al pari di Cristo, doveva morire, risorgere e alla presenza dei discepoli e dei devoti salire al cielo per elevare l'umanità femminile.

Come Cristo avea lasciato in terra San Pietro, suo vicario nel reggere la Chiesa, cosi la Guglielmina avea lasciato Manfreda, la quale, nella Pasqua del 1299, ve­stitasi di abiti pontificali, con altre compagne celebrava una messa in casa di Jacopo da Ferno, ove Albertone da Novate recitò l'epistola e Andrea Saramita una lezione di vangelo da lui composto, predicando che:

Tempo verrebbe che Manfreda più so­lennemente celebrerebbe sul sepolcro dello Spirito Santo in­carnato, indi nel duomo di Milano: poi in Roma, predicherebbe dalla sede apostolica: diverrebbe vera papessa, con l’autorità del pontefice odierno, il quale sarebbe abolito e surrogato dalla Manfreda, che battezzerebbe le genti ancor sedute nelle tenebre.

I quattro Vangeli avrebbero dato luogo a quattro altri, stesi per ordine della Guglielmina. Il visitar la sua tomba era meritorio quanto il visitar quella di Cristo, onde da tutte le plaghe s'accorrerebbe a Chiaravalle; ma i suoi seguaci sarebbero esposti a tormenti e supplizj; non mancherebbe qualche Giuda che li tradisse, e li desse nelle mani de' nemici (vale a dire dell'Inquisizione).

Questa infatti li colse, processandoli; Manfreda trovandosi di fronte alle fiamme del patibolo, per discolparsi, accusava Guglielma di tutto ciò di cui essa stessa era responsabile e aveva predicato, per cui Andrea Saramita e Manfreda di Pirovano raccontavano (falsamente) di aver sentito da Guglielmina, che lei era lo Spirito Santo, terza persona della SS. Trinità, che dovea risorgere ed ascendere in cielo, alla presenza dei  suoi devoti.

Fra’ Mirano (o Miromo), testimoniava che: “Ero presente quando Andrea e Manfreda annunziavano tali cose ai devoti; udii pure da loro che, sì come Cristo, sotto forma d'uomo, così Guglielmina deve soffrire sotto forma di donna per li peccati dei falsi cristiani e di coloro che crocifissero Cristo, e dopo che la Guglielmina fosse risorta ed ascesa al cielo, dovea mandare ai suoi discepoli, nel giorno di pentecoste, lo Spirito paracleto; doveansi mutar leggi, rinnovare i vangeli, ordi­nare i cardinali; e la risorta divenire arcivescovo e pontefice”.

Andrea, Albertano di Novate, Franceschino Malcolzati portarono ostie da Chiaravalle. Alcuni devoti avevano fatto dipingere l'immagine della Guglielmina (**) sotto il nome di Santa Caterina.

 

 

 

*) La carta della Papessa, appartenente ai celebri tarocchi (v. Art. Ermete Trismegisto e il Libro di Tot)  Visconti, realizzati nella prima metà del ‘400, su probabile commessa del duca Filippo Maria Visconti per le nozze della figlia Bianca Maria con Francesco Sforza, secondo alcuni sono un ricordo e un omaggio della famiglia Visconti alla sfortunata suor Manfreda Visconti-Pirovano.                                                                                                                                                         

 **) L’immagine di Guglielmina era stata dipinta ancor vivente nella chiesa di santa Maria Maggiore e di sant'Eufemia, e dopo la sua morte, nella cbiesa di santa Maria Matcr Domini, poi detta Canonica a Porta Nuova, dove ardeva di continuo gran copia di ceri.

 

 

I MONTANISTI

E ALTRE SETTE

 

 

V

oi mi insegnate, prosegue Cantù, come già i Montanisti considerassero Cristo non quale ultimo termine del progresso morale e reli­gioso, ma che sarebbe stato seguito da una nuova rivelazione; con­cetto svolto poi dal Leasing nell'Educazione progressiva del genere umano. ignorate come l'illustre filologo Postel (Guillaume, 1510-1581) cre­desse e sostenesse di una madre Giovanna veneziana, press'a poco quel che i Guglielmiti credevano della pia Boema.

Alla fine del secolo passato Gemaina Wilkinson a Filadelfia si spacciava per Cristo. Nel 1809 il presidente Agier in Francia, predicava la riedificazione di Gerusalemme e le beatitudini spirituali che sarebbero cominciate nel 1849.

E nel 1849 nella diocesi di Novara fece gran rumore il prete Grignaschi, che si faceva passare per Gesù Cristo, assecondato da una Giovannona, da una Fa­chia e da un Accatino.

Nel 1822 si fecero sin ventidue edizioni del “Precursore dell'Anticristo”, che annunziava una nuova ap­parizione del Salvatore: e da poco era morta in Inghilterra Gio­vanna Soutchote di 64 anni, vergine e gravida, che si riteneva la donna dell' Apocalisse e aveva promesso di resuscitare.

A proposito dei Guglielmiti, Cantù cita il libretto di Ogniben, nel quale, egli scrive, l’autore vuole scorgere in quel processo, un movente politico, al quale appena accenna, ma principalmente dimostrare che la Guglielmina fosse una santa donna e i processati, degli allucinati, mossi in parte da furore erotico e in parte da mania religiosa, riscaldata dalle questioni che allora si agitavano sulla grazia, sullo stato delle anime prima del giudizio, sulla rovinosa teoria del libero arbitrio (qui Cantù appone un sic col quale fa intendere di essere poco convinto della tesi di Ogniben) e contina richiamando il processo a Matteo Visconti di cui abbiamo già detto. 

 

 

*) Questa setta si rifaceva alla dottrina di Gioacchino da Fiore (1130-1202) che profetizzava l’avvento del Terzo Regno, quello dello Spirito Santo, previsto secondo numeri ricorrenti nell’Apocalisse, per l’anno 1260.

In quell’anno il potere della Chiesa e del Papa sarebbero cessati e  la guida del mondo sarebbe stata affidata a una donna, una Papessa, diretta incarnazione dello Spirito Santo, che avrebbe inaugurato un periodo di concordia e di pace. Si può immaginare la reazione della Chiesa che vedeva con preoccupazione diffondersi le idee del frate calabrese in particolare fra le fila degli Spirituali francescani, sempre pronti a trovare motivi e pretesti per scardinare il potere terreno del Papa. 

 Nel 1263, infatti, le idee di Gioacchino da Fiore e del suo seguace Gerardo di Borgo San Donnino, furono definitivamente dichiarate eretiche in quanto accusate di separare le tre persone della Trinità (eresia Triteista).

 

 

 

MANIE E ALLUCINAZIONI

RELIGIOSE

SECONDO LA PSICHIATRIA

DEL XIX SEC.

 

 

 

A

ndrea Ogniben, medico e psichiatra, nel libro  I Guglielmiti del secolo XIII” (Una pagina di storia milanese, Perugia 1867) aveva esaminato il problema delle diverse sette che erano sorte in quel periodo e l’aveva analizzato dal punto di vista psichiatrico, come ora lo esponiamo.  

Relativamente a fatti e testimonianze l’autore si era documentato sulla base degli atti del processo con testi specificamente indicati (di cui cita anche le pagine), che evitiamo di riportare.

La diversa costituzione politico sociale di un popolo -  dice Ogniben - spiega sulle aberrazioni intellettuali e volitive dello stesso una così forte influenza da imprimervi un carattere parti­colare. Non dissimili da ogni altra malattia esse si infor­mano alle condizioni civili e religiose dei tempi, come le malattie in genere, partecipano delle costituzioni epidemiche dominanti.

 • Questa pratica verità fu altamente compresa da valorosi psichiatri del nostro secolo, alcuni dei quali giunsero tanto oltre da impegnarsi di fare una esatta esposizione de­gli avvenimenti principali di un' epoca, col solo aiuto delle allucinazioni di uomini che in quell'epoca viveano (Esqui­rol, Jean--Etienne Dominique 1772-1840, psichiatra francese).

Per la nostra analisi, prosegue Ogniben, è necessario investigare innanzitutto quali siano state le condizioni politico religiose del XIII secolo, per poter conscienziosamente stabilire un giusto criterio eziologico delle monomanie religiose dei personaggi.

II secolo nel quale viveano i Guglielmiti era un secolo di ignoranza, di pregiudizi e, come assai bene si esprime il Vico, di barbarie ricorsa. Una strabocchevole pompa del culto cat­tolico e nella sua materiale applicazione spettacolare, anziché aprire il cuore dei fedeli a una santa emozione, ne pasceva in quella vece l' imperizia e la loro curiosità.

La semplicità dei riti e delle massime dei primitivi cristiani aveva ceduto il po­sto all'incremento delle liturgie e alle più intricate questioni teologiche.

Il popolo assai spesso dimentico dei propri do­veri e trascinato dalla foga del suo entusiasmo, trasportava con pompa solenne e all' insaputa dei vescovi, le ossa di uomini ignoti e forse di malfattori, che egli stesso avea canonizzato.

L' autorità politica, come giustamente afferma il Muratori, si trovò in quei tempi o troppo occupata o distratta da soverchie cure o troppo debole per opporsi con efficacia alla propagazione dell'errore.

Per questo noi ve­diamo molte volte abitanti delle varie città accecati più dal fanatismo religioso, che mossi da municipale egoismo,  contendersi con Ie armi alla mano il possesso di profane reliquie commettendo violenti rapine e commettendo anche i più orribili misfatti.

A pervertire profondamente il sentimento religioso si diffusero in seno al cattolicismo pagane e mostruose leggende: quindi l’albero di noce, la quercia ed altro si ritenevano cose sacre; il popolo abbandonato ad un pazzo tripudio vi girava intorno e le leggi civili maggiormente assecondendo le sue balzane credenze proibiva severamente che fosse applicata la scure; gli animali, ed in special modo i serpenti erano venerati con ridicole

cerimonie, e nel principio del secolo decimo quarto si idolatrava perfino colui che  nello stesso tempo era cre­duto il più fatale nemico (Demonomania).

In quella uni­versale commozione religiosa molti erano privilegiati dalle visioni degli Angeli, dalle rivelazioni dei Santi; man­cava la scaltrezza dei sacerdoti, che avvalendosi della igno­ranza e della superstizione del popolo, predicavano ovun­que portentosi miracoli per attirar nelle loro chiese mag­gior numero di devoti e di oblatori.

Queste condizioni ci­vili e religiose si trovano esattamente riassunte nel pro­cesso contro i Guglielmiti, nel quale si ravvisano due altri fatti storici che hanno morbosamente influenzato lo spirito umano di quel secolo, voglio dire le Crociate per il Santo Sepolcro e il Pellegrinaggio a Roma per la remis­sione dei peccati (Giubileo del 1300).

Se poi vogliamo aggiungere il disprezzo dei laici verso gli ecclesiastici per la mollezza e rilassatezza dei loro costumi, la gelosia dei monasteri per ec­cesso di privilegi pontificali e le aspirazioni di indipen­denza nazionale sempre contesa dal supremo feudalesimo papale, le lucubrazioni sulla Grazia, le ripetute con­tese sul Purgatorio (dichiarato inesistente da papa Woytila mdr.) e sullo stato delle anime prima del giudizio finale, la rovinosa teoria del libero arbitrio, agitata non solo fra i teologi, ma a grave danno della morale diffusa tra il popolo ignorante, noi avremmo esposte le prin­cipali cagioni delle eresie, che in vari periodi del secolo XIII conturbarono profondamente e fatalmente divisero in vari partiti politici l’Italia e i special modo il Ducato di Milano nel cui seno vi erao tredici sette di religione, che all'occhio dello psichiatra non sono che alluci­nazioni o altre forme di manie politico-religiose.

 

 

  L’INQUISIZIONE NASCE

DALLA

IMPORTANZA POLITICA

DATA ALLE SETTE

 

 

I

 successori di Pietro apostolo, scrive Ogniben, in quanto infeudati al dominio tem­porale, diedero a queste sette una importanza politica anziché un significato puramente religioso  e bandito dal loro animo ogni sentimento di paterna pietà, innalzarono ovunque tribunali d'inquisizione e, stretta la mano ai po­tenti della terra, sanzionarono contro i miseri alcune leggi penali.

Queste leggi, sia per la loro inopportuna applicazione sia per I' eccessivo rigore, non solo furono inefficaci, ma rin­crudendo aspramente le piaghe che esse intedevano sanare, fu­rono causa di particolari aberrazioni dell' intendi­mento umano.

Ne abbiamo una prova evidente nell'allucinazione di Albertono Novati che faceva parte della congregazione dei Gugliel­miti, il quale “avea veduto al sepolcro di Guglielma, Andrea Saramita legato mani e piedi dagli inquisitori e Guglielma sciogliere affettuosa i legami; avea veduto gli inquisitori essere lì per prendere Manfreda, ma un Angelo ruotando qua e là una spada sanguinolenta, difenderla da  quel pe­ricolo”.

In questo secolo, e precisamente nella sua seconda metà, era sorta in Milano una controversia as­sai grave intorno ai riti ambrosiano e romano; l'arcive­scovo di Milano sosteneva il primo, il pontefice il secondo.

Questo stato equivoco di cose conturbò la coscienza di molti conventuali di vari ordini religiosi e aveva  esaltato a tal punto le menti dei frati Umiliati di casa Braida (poi Brera), che alcuni di essi commisero nel loro chiostro gravissimi delitti (cinque frati avevano suscitato scandalo per essersi proditoriamente rivoltati contro i loro superiori *).

Questi ribelli erano quasi tutti Guglielmiti che facevano parte dell’Ordine degli Umiliati, i quali seguivano una varietà di forme liturgiche che avevano portato alla mania di cui erano affetti parecchi degli accusati e i due, Andrea Saramita e suor Manfreda, di cui il processo ha conservato prove irrefragabili.

Andrea Saramita (figlio di Ghirardi Saramita), racconta Ogniben, era sacerdote e seguendo I’ andazzo di quel tempo era divenuto marito e genitore; credulo, su­perstizioso, smemorato, pusillanime, ma in pari tempo at­tivo, socievole, generoso, leale, amato e rispettato da tutti.

La madre, vedova Riccadona era contraria alle dottrine del marito che aveva cercato di salvare consumando i propri averi: Era stata accusata dal marito e dalla figlia (suor Meliore) per vendicarsi della sua contrarietà alla setta, ma lei era riuscita a dimostrare che la loro accusa derivava dalla vendetta e riuscì a salvarsi.

Per compenetrarsi sulla natura spirituale degli Angeli, egli stillava continuamente il cervello sui i libri di Sant’Agostino e spaventato dalla fatale teoria del libero arbitrio si adoperava di scioglierne le fila intricate. Ma non si accorse che nell’intensità degli studi, sempre più si accasciava la sua intelligenza e si perver­tiva il suo giudizio.

Svariati fantasmi di persone viventi ehe egli apprezzava ed amava, rapidamente si affollavano nella sua vivace immaginazione, esercitavano sopra i vari or­gani dei suoi sensi specifici una così forte impressione, che egli ne percepiva la reale loro esistenza e si gettava in braccio alle stesse con inconsulta fiducia;  e con parole e con atti e molto più con scritti, spiegava una progressiva incoe­renza di idee, le più bizzarramente assortite.

Di tutto ciò ne fu testimone la signora Sibillia Mal­colzati, la quale presentatasi al tribunale di inqui­sizione, deponeva sulla persona di Andrea Saramita quanto segue: “Andrea Saramita mi disse alla presenza di molti, che fu alla casa di Guglielma; la vide pregare e pregando si alzò e gli disse che era lo Spirito Santo sotto forma di donna perchè se fosse venuta sotto forma d’uomo sarebbe morta come Cristo fu morto, ed il mondo tutto perirebbe. Allora comparve una cattedra che Guglielma convertì in un bue, indi mi disse: Vedi quel bue? tienilo se  puoi, ed il bue sparì”.

 

 

 

*) Il motivo della ribellione era dovuta alla circostanza che gli Umiliati dipendevano dalla Santa Sede e non dall’Arcivescovo, vale a dire che seguivano il rito romano e non potevano seguire il rito ambrosiano che gli avrebbe dato maggior libertà civile e religiosa.

Tra l’arcivescovo di Milano e il papa vi era una contina lotta sulla differenza del rito: mentre l’arcivescovo Ottone  Visconti aveva  emesso un decreto (marzo 1290) della officiatura per tutte le corporazioni religiose che dovevano seguire il rito ambrosiano,  il papa, contrariamente al decreto dell’arcivescovo, aveva concesso (1292) alle Agostiniane di Cantalupo di continuare in perpetuo  l’’officiatura secondo il rito romano.

 

 

I QUATTRO

ELEMENTI DELLE

ALLUCINAZIONI

 

 

 

L

' esame della presente narrazione, scrive Ogniben, ci mette sott'occhio quattro verità, che sono i caratteri essenziali delle alluci­nazioni. 1. Che Andrea Saramita non attribuisce a stesso l'idea che Guglielmina sia Spirito Santo, ma gli viene rife­rita dal fantasma femminile. 2. Che Andrea Saramita ha inteso bene quello che gli disse Guglielma ed anzi ripeteva le sue parole quando ne aveva voglia. 3. Che vi erano due sensi specifici impressionati dal fantasma, l' udito e la vista. 4. Che in seguito all'impressione che per la sua spontanea trasfor­mazione del pensiero egli credeva reale, spiegava tutto il suo buon volere ad obbedirla, della qual cosa ne son testi­moni tutti gli accusati, i quali o prima o dopo, tutti concor­demente assicurano che Andrea Saramita per lungo volger di tempo insegnava che Guglielmina fosse lo Spirito Santo.

Le al­lucinazioni di Andrea Saramita erano molto gravi, 1. per­chè continue; 2. perchè somma era la confidenza che egli aveva delle stesse; 3. perchè estese ed irregolarmente lo coinvolgevano così di giorno come di notte e sembra anche, che alcune volte fossero accompagnate da illusioni.

Si può provare in forza di argomento esclusivo che il predetto An­drea Saramita non fosse ispirato: poichè l’ispirazione agisce immediatamente dopo il pensiero e parla agli altri senza coscienza di quello che dice: poteva essere sonnambulo, in quanto le persone che son prese da tal malattia nulla ricor­dano.

Pare inoltre che le allucinazioni o monomanie sen­soriali del Saramita, fossero subordinate a una mania che non è sempre la raziocinante del Pinel (Philippe Pinel, 1745-1826, francese, innovatore nel campo della  psichiatria), e ciò  io deduco dalle sue deposizioni.

Egli in­fatti mostrandosi incoerente con le stesse sue allucinazioni aspetta Guglielma che deve risorgere, ed a questo scopo le prepara preziose vesti; e questa donna continuamente gli appare, benedice alla sua mensa ed assicura gli inquisi­tori che era resuscitata tutta bella di vivissima luce. Cre­deva inoltre alle altrui allucinazioni che si opponevano diret­tamente alle sue. Era infatti sua opinione che Guglielmina avesse come Cristo cinque piaghe, perché glie lo aveva detto una certa Adelina.

Una franca ed aperta opposizione alle dottrine di un allucinato non vale a fargli cambiare la propria opinione e se qualche rara volta è coronata di felice successo, assai spesso però fa più ostinato il maniaco nelle proprie credenze.

Questo fatto noi vediamo verificarsi in Andrea Saramita il quale, quantunque Guglielma lo garrisca fortemente delle sue stravaganze, pure da questi rimproveri egli ne trae più forte ragione a crederla quale non era.

Si osserva poi negli al­lucinati una inqualificabile timidezza di palesare agli altri quello di cui essi sono pienamente convinti, e raccontano in pari tempo a tutti, quello che non vorrebbero manifestare.

Andrea Saramita ci dà un bellissimo saggio di un tal pro­cedere. Egli a tutti ed in ogni occasione, raccontava le sue particolari credenze, e nello stesso tempo vuole che gli accusati non dicano agli inquisitori quanto avea detto loro.  

Fra Ghirardo di Novazzano era suo amico: egli tutto sapeva perchè tutto gli avea raccontato. Un giorno gli si avvicina ed Andrea chiude il libro che trattava di Guglielma, non volendo che lo leggesse. Che più? Davanti alla Inqui­sizione crede di professare giustamente la più riprovevole delle eresie, e nello stesso tempo confessa di averne orrore, raccontandola ai suoi amici.

E già una circostanza che i maniaci offrono nei loro scritti, maggiori incoerenze che riportano nei loro discorsi. Noi possiamo constatare la verità di questa pratica osservazione nel Saramita. Emerge dal processo che Andrea Sa­ramita avea scritto che “l'arcangelo Raffaello avea annun­ciato a Costanza regina di Boemia (che egli beatifica), la incarnazione di Guglielma che concepiva nello stesso giorno e che dopo un anno nel giorno stesso Guglielma vedesse la luce”.

Questa deposizione non ammette ulteriori commenti.

Da un altro suo scritto risulta che Gu­glielmina era discesa dal Cielo tutta bella di candida luce e posandosi sopra marmoreo sasso gli diceva che essa era lo Spirito Santo; e vi aggiunse molti altri errori che il notaio omise perchè credeva inutili a registrarsi; essendo  opinione degli  inquisitori che tali cose dicesse a caso, anzi le simulasse.

La mania religiosa di Andrea Saramita - prosegue Ogniben nella sua analisi -  non era del tutto acquisita. Egli avea ereditato da sua madre Riccadona una suscettibilità organica al suo perfetto sviluppo.

 

 

LE ALLUCINAZIONI

DI SARAMITA

 

 

F

orse il motivo per cui gli avvenimenti del secolo XIII e le particolari circostanze nelle quali Andrea Saramita si trovava, eser­citarono sopra il suo sistema nervoso quelle abnormi impres­sioni delle quali tanti suoi amici, per quanto si sappia dalla storia, ne furono esenti. lo non dico questo, scrive Ogniben, perchè il pro­cesso ci fa sapere che sua madre Riccadona era stata molte volte citata innanzi l'Inquisizione, unitamente alla so­rella Meliore, anc’essa suora; ma perchè suo figlio Andrea  aveva deposto innanzi l' inquisizione, che nella chiesa di S. Sim­pliciano le era apparsa Guglielma sotto forma di donna. Questa, se nell’apparizione poteva essere stata una illusione, nella sua essenza patologica la si può considerare una mo­nomania sensoriale, atteso il tempo nel quale si svolse e aberrazione raziocinante,  alla quale subordinava le sue a­zioni.   

Suor Manfreda, per la liberazione della quale Matteo Visconti avea tanto pregato, non era meno allucinata di An­drea Saramita. Forse avea erditato dal ramo ascendente della sua famiglia una predisposizione a questo male. Dico forse, perchè non è certo, ma solamente probabile, che sua zia Anastasia di Pirovano, madre di Matteo, soffrisse nella sua gestazione di allucinazioni: La favola dei buoi, consegnata alla storia dalla tradi­zione di quei popoli superstiziosi, dà molto a dubitarne; ed il soprannome di Bruggia (che vuol dire muggito) dato a Matteo, si può interpretare come un costante riferimento alla realtà del passato.

Suor Manfreda di Pirovano quindi, apparteneva direttamente alla nobilissima famiglia milanese, dal cui ramo ascendente erano usciti nello spazio di un secolo, due arcivescovi, zelanti del culto cattolico e I'ultimo di essi che fu Uberto II di Pirovano, prozio di Manfreda, si era dedicato allo studio delle cose teologiche nelle quali aveva nome di valoroso; anzi era celebre un suo opuscolo che trattava del vecchio testamento unito al nuovo.

 

 

E DI SUOR  MANFREDA

 

 

S

uor  Manfreda era professa dell' Ordine degli Umiliati; io – scrive Ogniben – non posso sapere se a questo genere di vita essa fosse mossa dal fanatismo religioso ove la costringesse il dispo­tismo della legge feudale (vale a dire l’obbligo dei genitori di farle finire in convento ndr.), oppure l’avesse trascinata un crudele disinganno d'amore.

I suoi atti deliranti son profumati di religiosa pietà ed anche per effetto della cattiva disciplina dell'Ordine, essa era esente da quella brutale sozzura che segna in quel tempo la decadenza e la corruzione dei monasteri, riprovata dallo sdegno di Dante, derisa dal Boccaccio, compianta dal Mabillon (Jean, 1632-1707, teologo benedettino).

La principale oc­cupazione della sua vita monastica era lo studio della vita di Gesù Cristo; immersa in quello studio, le si insinua nell'anima un'ardente passione che poscia tutta la investe di una angelica luce.

Cristo è divenuto il suo amante, il suo sposo (e il caso non era unico, tra le altre da ricordare tra le più erotizzate, santa Brigida! ndr.); lo vagheggia nel volto, lo simpatizza nei suoi discorsi alle turbe; ne segue da lontano le sue traece, lo accompagna sul Golgota, raccoglie con ansia affannosa i suoi aliti, piange disperatamente la sua morte.

Questo Saramita di­vinizzato dalla santa morale che predicava le ha messo nell'animo un ardente desiderio di vederlo. E tanto più essa si lusinga, perchè crede che gli apostoli l’abbiano an­ch'essi veduto splendente di gloria, anzi abbiano parlato con lui e lui stesso toccato. Le entusiastiche narrazioni dei poveri pescatori esaltano la sua immaginazione, traviano il suo giudizio.

I suoi sonni sono interrotti da sogni. Vari fantasmi le parlano la notte con ragionamenti sconnessi. Sorpresa, pur non vi crede e nella giornata spiega il vangelo alle suore e ad altre persone, senza che si possa dire alcuna cosa di lei; ma il suo entusiasmo è maggiormente influenzato dalle allucina­zioni di Andrea Saramita. Una candida colomba, qual vezzoso amorino, aleggiandole intorno dolcemente si posa sul suo guanciale e le scioglie un linguaggio che lei conosce assai bene.

Le palpita il cuore, ad un tratto si desta. Crede di essere con l'amica sua di­letta, Guglielma, ehe era morta, ma invece si trova sola. An­ziché conoscere il disinganno, vi medita sopra; la crede una visione operata da una mano suprema, e si compiace in stessa. Era Guglielma che le era apparsa sotto forma di colomba; ma la colomba è la figura simboleggiata dalla Chiesa dello Spirito Santo; dunque Guglielma è lo Spirito Santo.

Le allucinazioni continuano, le sue persuasioni si fanno sem­pre più salde, anzi queste ultime danno alle prime un nuo­vo indirizzo; chè dopo il suo falso raziocinio Guglielma non le appare più sotto forma di colomba, ma di persona del suo sesso. Essa le ordina che dica agli altri suoi amici che lei  sia lo Spirito Santo. Ma se ella mi ha or­dinato che ad altri lo riferisca, dunque io sono sua vicaria su questa terra. Fra quel morboso lavorio di fenomeni cerebrali vi erano alcuni momenti in cui essa rideva delle sue stra­vaganze. Ma questi momenti avevano la durata del baleno, e po­scia ella credeva a stessa, e fermamente credeva, ma non tanto, che alcuna volta ne dubitasse.

Se non che la lotta fra la ragione e gli affetti è già decisa e Man­freda divenuta vittima involontaria delle sue aberrazioni. La prende una eccessiva esaltazione dell'entusiasmo religioso; si crede in relazione colla divinità e vicaria della stessa qui in terra. Piena di santo orgoglio, vuole che ognuno le si prostri dinanzi, le baci la mano e i piedi. Di­spensa l'acqua con la quale si lavava le mani, forse per guarire le altrui infermità.

Tutta amore per tutti, li vuol tutti ripieni della sua grazia; in ogni luogo, in ogni mo­mento dà ai suoi fedeli il pane da lei consacrato e final­mente atteggiandosi alla foggia di sacerdote celebra la messa solenne; e molti altri, pur essi vestiti da sacerdoti, l'assistono.

 

 

LE MONOMANIE

RELIGIOSE

 

 

Q

uesta forma di monomania, chiamata dal March “con­templativa” e dall'Esquiroltheomania, scrive Ogniben, viene pur confermata dal Cameil, il quale assicura, che la teomania è rimarche­vole per la eccessiva esaltazione dell'entusiasmo religioso.

Il teomaniaco, egli dice, è fermamente convinto di rappre­sentare Dio su questa terra; si persuade che la sua onnipo­tenza gli permetta di governare la natura e gli elementi; che egli è chiamato a rigenerare la specie umana e popo­lare di felici il soggiorno celeste, etc. .

Da tali osservazioni ognuno può conoscere l’analogia di carattere morboso del teomaniaco di Cameil, con suor Manfreda, la quale per il sen­timento d'orgoglio che manifesta, sintomo patognomonico delle monomanie religiose, sembra tutta simile alla donna descritta da Pinel, che frequentando le chiese finì col di­sprezzare il marito e pretendere da lui che le si inginoc­chiasse davanti, credendosi un'anima privilegiata e ripiena di grazie soprannaturali. Tutte quelle osservazioni che ho fatto parlando di Andrea Saramita, debbono pure essere applicate alle allucinazioni di Suor Manfreda.

Noi non possiamo con­sultare gli scritti di questa donna circa le sue concezioni deliranti. Sappiamo però che questi trattavano di lodi a Gu­glielma e di ritmi ed argomentiamo che negli stessi vi fosse riferita un'allucinazione nella quale oltre il senso dell'udito e della vista sarebbe stato impressionato anche il senso tattile.

Le monomanie religiose di quel se­colo, assai di frequente si associavano a fenomeni erotici più o meno distinti. Per convincersi di una tal verità sa­rebbe imteressante consultare la vita di papa Clemente V e degli altri autori  (*) dove si parla delle vergognose turpitudini delle sette religiose (**) allora dominanti, alle quali appartenevano i pseudo apostoli di Alfonso De Castro, i fraticelli di opinione di Filippo da Bergamo, nonché fra’ Dolcino e Margherita Novaresi che Dante, con profondo senno politico  collocò in quella orribile bolgia (Inferno, Canto XXVIII, VIII Cerchio, IX Bolgia), ove con eterna vicenda si squarciavano le membra Maometto, Aly, il Pier da Medicina e il Mosca (Che fu in mal  seme per la gente Tosca).  

Di Suor Manfreda sebbene non si possa dire altrettanto, pure dai suoi atti e dalla sua particolare posizione alla quale si era atteggiata in presenza di molti, la si può dichiarare non del tutto scevra di ero­tismo. La qual morbosa complicazione io credo dover di­pendere da un pregiudizio religioso che solo si riscontra, come afferma giustamente il Bayle (Marie-Henry Bayle 1783-1842 scrittore-psicologo francese), negli uomini di religione cattolico-cristiana e del qual pregiudizio ne fanno fede i Turlupini del secolo XIII che si riprodussero negli Anabat­tisti del secolo XVI.

Quanto agli altri accusati noi possiamo dire solamente, che ciecamente credevano alle dicerie di Andrea Saramita e di suor Manfreda, anzi da essi questi due venivano os­sequiati ed imitati. È’ questo fatto, una solenne testimonianza di quanto ritenuto da molti psichiatri, che la pazzia influisce sulla civiltà, nella stessa guisa che la civiltà influisce sulla pazzia.

La storia della fondazione di molte religioni è la storia di grandi uomini, che nell'accesso delle loro intercorrenti allucinazioni pretesero di essere figli di Dio, da Lui mandati su questa terra a reggere il genere umano o  a liberarlo. 

I popoli timorosi perché ignoranti, sotto impeto delle loro fervide immaginazioni, e, nell' infanzia delle loro convi­venze sociali, credettero alle rivelazioni di questi uomini sin­golari e, alle loro salme o alla loro memoria tributarono quella riverenza e omaggio, che solo conviene al Nume supremo .

Il filosofo e lo psicologo, squarciando il velo misterioso di una fede imposta alle menti umane dal dispotismo sacer­dotale, ci mostrano chiaramente l'origine umana di una re­ligione tutta amore e santità.

Senza punto toccare la vita di quell'Uomo, che sarà sempre la sublime incarnazione delle virtù cittadine, quella dei suoi primi discepoli, io ricorderò solamente al lettore le gravi ed evidenti monomanie sensoriali del “Rapito di Patmos” (Giovanni che aveva scritto l’Apocalisse ndr.), che dopo parecchi secoli conturbarono vivamente le co­scienze, e sconvolsero profondamente l’ ordine interno delle civili società.

M. Leuret nei suoi “Fragmens sur la folieha stabilito i numerosi rapporti che esistono fra gli alienati e un gran numero di Santi: egli ha ricordato, che la più parte degli Ordini religiosi deve la sua fondazione a visionari che aveano ricevuto nelle visioni, le regole imposte dai loro ai propri discepoli, e ha dimostrato che le regole di condotta da loro tracciate in un gran numero di opere mistiche, con­dussero alla perdita di intelligenza i loro proseliti.

lo darò fine pertanto, conclude Ogniben, a questo lavoro dal quale il lettore potrà fare le seguenti deduzioni: -1. Che il processo di Guglielmina (deve aver influenzato la politica di Matteo), il che si vedrà più chiaramente nella seconda mia operetta intitolata: “Matteo I Visconti e l' Inquisizione - Romanzo storico”. - 2. Che Guglielmina non fu una prostituta un' eretica, ma una onesta cittadina milanese. - 3. Che gli ac­cusati puniti col rogo erano incolpabili perchè allucinati. - 4. Che i monaci di Chiaravalle erano colpevoli per compar­tecipazione dolosa all' eresia e rimasero impuniti.

 

 

 

*) Bartolomeo Platina, la Cronografia di Giovanni Nauclero, il vo­lume II dell'Antimonio di Leonardo Cogusio, l' elenco alfa­betico di tutte le eresie di Gabriele Patroclo, la storia delle eresie di Bernini, il libro VI delle antichità dei Visconti, di Gaudenzio Merula e infine il libro I della storia di Novara di Carlo di Pietro dalla Basilica

**) Si riteneva che le varie sette dei “Poveri di Lione”, dei “Fraticelli” ai quali appartenevano fra Dolcino e Margherita Novaresi, di Armanno Pungilupo di Ferrara, fossero figlie di quella dei “Guglielmiti”. ma le sette sorte nel XIII sec. non erano le prime che erano sorte nell’XI.mo secolo se non si vuole andare ancora più indietro (v. in Art. I mille anni ecc. Cap. VIII, P.I, Nilo, Pauliciani e Bogomili, e L’inquisizione tra inolleranza ecc.  La crociata contro gli Albigesi)).

Nel sud della Francia e Nord Italia si erano diffusi i Catari provenienti dalla Bulgaria che per il successo ottenuto si erano imposti come Chiesa Catara.

Contro i suoi predicatori “i perfetti” furono accesi  i fuochi che bruciavano gli eretici: a Colonia nel 1143, ad Arras nel 1172 e,  nel Concilio di Arras (11183) erano stati accusati come eretici  nobiles, ignobiles, clerici, milites, rustici, virgines, vidue, uxorate.

Nelle città della Lombardia si diffusero, come Ordini secolari (tutti movimenti pauperistici), gli Umiliati (che conducevano vita comune), nati dai “Paterini” o “Patarini” di Gherardo Segarelli di Parma e di Armanno Pungilupo di Ferrara o boni homines, gli Arnaldisti (Arnaldo da Brescia 1090-1155)) .

Il papa Lucio III (1181-1185) aveva emanato un decreto con norme su come  trattare l’eresia, individuare e punire gli eretici.

 

 

 

FINE