Mappamondo eseguito da Giulio Alieni (1623) su suggerimento di Padre Matteo Ricci
conservato presso la Biblioteca Ambrosiana Milano

 

Non si prendono

tutti i pesci

alla stessa maniera,

né tutti i popoli

con gli stessi mezzi.

 Matteo Ricci-Li Ma-theu Si-T’Ai

 

PADRE MATTEO RICCI

E LA SUA

OPERA SCIENTIFICA

IN CINA

 

Michele Puglia

 

Breve annotazione  su Marco Polo

 

Sembra opportuno far rilevare ai lettori che si apprestano a leggere il presente saggio che in esso in cui si parla abbondantemente della Cina, non è stato fatto alcun cenno

a Marco Polo (a parte l’incipit del viaggio via terra) recatosi in Cina circa trecento anni prima di p. Matteo Ricci, in quanto consideriamo i  due personaggi tanto diversi l’uno dall’altro che non sarebbe possibile nessun paragone e nessun richiamo a comunanze di vita dell’uno o dell’altro.

Eppure, proprio alla fine della stesura dell’articolo

 da un vecchio documentario televisivo  commemorativo di p. Ricci,  abbiano rilevato con orrore e raccapriccio, che i due grandi personaggi venivano presentasti in un antagonismo del tutto fuori  tempo e fuori luogo!

Verso ambedue i personaggi abbiamo nutrito e  nutriamo la stessa ammirazione (ognuno per il suo campo di competenza) il viaggiatore veneziano, del quale abbiamo notato, nella trasmissione sono stati fatti riferimenti piuttosto astiosi, quasi che la sua figura avesse fatto insorgere qualche dubbio

 su alcune priorità attribuite a p. Ricci, o all’’alto e indiscusso  valore scientifico

attribuito alla sua  opera .

Il paragone o anche un minimo riferimento alle avventure dell’uno e all’opera dell’altro ci sono sembrate assolutamente dissacranti in quanto l’unica cosa che possa aver accomunato

i due personaggi è stata di essere due italiana che in epoche antiche e diverse,

 hanno fatto il loro viaggio in Cina....con null’altro in comune!

 Per ambedue i personaggi, come già detto, nutriamo identica passione e ammirazione:  nei confronti di Marco Polo per la lettura giovanile de Il milione col quale Marco ha affascinato e continua ad affascinare milioni di lettori e per il tarlo della Cina che egli ha saputo trasmettere;

 e per p. Ricci al quale conduce necessariamente il tarlo della Cina (si vedano i ns. articoli su Cina oggi e in Cronologie, Gli imperatori del Celeste Impero, sperando di poter continuare!), che ci ha portati anche ad approfondirne la parte scientifica di quella cultura,

 che ha dato luogo al presente lavoro.

Creare tra di essi paragoni è semplicemente assurdo!

Abbiamo pubblicato in questa stessa rivista una polemica sorta in epoca rinascimentale

tra umanisti sostenitori di Platone e  sostenitori di Aristotele (Art. Polemiche umanistiche, ecc.) in cui da parte di creatori di zizzanie si era cercato di mettere i due filosofi, maestro e allievo, l’un contro l’altro, quando invece essi, pur seguendo strade diverse erano andati d’amore e d’accordo fino al termine della loro vita: ed era stato invece il risentimento e l’odio che nutrivano coloro che li volevano mettere contro, che avevano dato fuoco alle polemiche.

Tornando al nostro argomento, l’assurdità di un paragone (che solo una TV pre-destinata a creare polemiche e provocazioni fine a sé stesse!)  sorge dalla diversità stessa dei due personaggi

che si erano recati in Cina per scopi diversi (i cinesi li ricordano ambedue!):

Marco giovanetto avviato alla  mercatura, dotato di intelligenza e perspicacia che lo porteranno a imparare a parlare e scrivere  i quattro idiomi dei tatari e diventare indispensabile per Kubilai Kan che gli affidava delicati incarichi diplomatici, detterà il racconto delle sue esperienze nei trentacinque anni di permanenza in Cina, al suo compagno di cella Rustichello da Pisa

(ricordiamo che a Venezia non solo gli ambasciatori ma anche i mercanti che si recavano all’estero erano tenuti a descrivere al Senato della Repubblica i paesi che visitavano) con il risultato, che le sue descrizioni di meraviglie ...a milioni  avevano reso famoso, sin dai suoi tempi il suo  Milione  divenuto capolavoro della letteratura mondiale... nonostante qualche spulciatore avesse avanzato  l’ipotesi che il libro fosse stato inventato...perché non aveva parlato della grande muraglia , del o degli spaghetti!

P. Ricci invece era un uomo di lettere,  umanista e scienziato e come si vedrà nell’articolo, senza  avere nulla che potesse accostarlo all’altro altrettanto grande  personaggio

in un qualsiasi paragone o peggio, in una loro contrapposizione.



 

SOMMARIO: I PRIMI PORTOGHESI SI INSEDIANO IN CINA; PADRE FRANCESCO SAVERIO GIUNGE IN GIAPPONE E MUORE NELL’ISOLA DI CHANG-TCH’OAN; L’ATTIVITA’ DEI GESUITI (in nota: LA POLEMICA DEI RITI); IL PATRIMONIO CULTURALE DI P. MATTEO RICCI (in nota: TRATTATI ASTRONOMICI E MATEMATICI IN OCCIDENTE: ASTRONOMIA; MATEMATICA E GEOMETRIA; I TESTI MEDIEVALI); L’ASTRONOMIA CINESE ALL’ARRIVO DI PADRE RICCI E GLI OSSERVATORI DI NANCHINO E PECHINO; IL MAPPAMONDO DI P. RICCI; CALCOLI MATEMATICI E OROSCOPI; I DONI PER IL FIGLIO DEL CIELO; LA MEDICINA: MEDICI PROFESSIONISTI;  E CIARLATANI; I GESUITI GIUNTI DOPO LA MORTE DI P. RICCI; LE OPERE SCIENIFICHE DI P. RICCI.



I PRIMI PORTOGHESI SI

INSEDIANO IN CINA

 

A

i tempi di Marco Polo in Cina si arrivava via terra percorrendo la Via della Seta; dopo che Bartolomeo Diaz aveva doppiato il Capo di Buona Speranza (1488) e aveva aperto la strada verso il Pacifico, Vasco de Gama raggiunge le coste dell’India (1498) e  da questo momento in Cina si può giungere più comodamente via mare.

I primi a raggiungerla furono i portoghesi ai quali i cinesi avevano dato il nome di Fo-lang-ki (Franchi), abituati a vivere vagando per i mari e barattando tutto ciò che avevano, e per ciò che non avevano, ricorrevano all’inganno.

Indesiderati e poco raccomandabili, non avevano fatto una buona impressione ai raffinati cinesi, perché si erano presentati nel loro aspetto peggiore di esseri pelosi e maleodoranti, prepotenti e sanguinari perché  mettevano facilmente mano alla spada; inoltre mangiavano con le dita e non con i bastoncini, e non avevano nessuna cognizione dell’etichetta.

Giunti nella rada di Canton  (1514), si erano insediati nell’isola di Lin-tin, alla foce del fiume su cui sorgeva la città di Canton e poco per volta furono raggiunti da altri avventurieri provenienti da Malacca. Vi costruirono una fortezza piazzandovi cannoni, e più che dedicarsi alla attività mercantile, si dedicarono a quella piratesca praticando rapine, estorsioni e tratta di bambini cinesi che trafficanti locali rapivano e gli vendevano come schiavi: nell’immaginario popolare si riteneva che li cuocessero e li mangiassero.

Erano talmente esecrati che i cinesi li designavano con il nome di Fancui (fang-kouei),  diavoli stranieri e successivamente, quando  accettarono di pagare  i diritti di dogana, fan-jen, uomini stranieri.

 

 P. FRANCESCO SAVERIO

GIUNGE IN GIAPPONE

E MUORE NELL’ISOLA

 DI CHANG-TCH’OAN

 

 

I

gnazio de Loyola (1491-1556), intrepido cavaliere, rimasto gravemente ferito combattendo a Pamplona contro i francesi (1521), durante la lunga convalescenza aveva meditato di mettersi al servizio di Cristo. 

Dopo aver compiuto i suoi studi (a Barcellona, Alcalà e Salamanca), si era recato a Parigi (1528) dove ai suoi sei amici (*), aveva parlato del suo progetto al quale tutti aderivano, Ignazio chiedeva e otteneva dal papa Paolo III Farnese (1540) il riconoscimento (con la bolla Regimini militantis Ecclesiae) della Compagnia di Gesù e l’anno seguente (1541) era eletto dai suoi  compagni Generale della Compagnia.

Il re del Portogallo Giovanni III in quello stesso periodo, aveva incaricato il suo ambasciatore a Roma, Pedro de Mascarenhas di richiedere al papa dei missionari da mandare nelle Indie orientali.

Il papa aveva rivolto la richiesta a Ignazio il quale aveva mandato Francesco de Xavier (1506-1552) il quale con altri confratelli si imbarcava da Lisbona per Goa (1542), dove  fu fondata una missione.

Durante sette anni della sua permanenza a Goa p. Francesco-Saverio aveva accarezzato il sogno di convertire la impenetrabile Cina, per cui partito per Malacca si recò in Giappone (1549) dove iniziava la sua missione, ma con una certa difficoltà, determinata dalla scarsa conoscenza iniziale della lingua, della religione e delle usanze locali.

In Giappone l’autorità della Cina era tale da essere presa a modello in qualsiasi campo e p. Francesco-Saverio concepì l’idea di conquistare prima la Cina, in modo che poi il Giappone  si sarebbe convertito senza difficoltà.

La missione di Goa aveva richiesto, per necessità, la sua presenza, per cui dovette ritornare (1551) ma la sua intenzione era quella di trovare un modo per potersi introdurre in Cina.

Durante il viaggio sul vascello portoghese Santa Croce, incontrò un suo amico, Diogo Pereira, proprietario del vascello, col quale si confidò  parlando della sua idea.

Pereira suggerì che il modo migliore per aggirare la impenetrabilità del Celeste impero era di organizzare un’ambasceria ufficiale per conto del re del Portogallo.

Pereira era un ricco mercante e si dichiarò disponibile per questo incarico; il viceré dell’India e il vescovo di Goa accolsero di buon grado il progetto e gli procurarono le credenziali di ambasciatore e con tale incarico e p. Francesco-Saverio in qualità di nunzio apostolico, si diressero a Malacca per poi recarsi in Cina.

Il governatore di Malacca però fece saltare tutto il piano in quanto, furioso di vedere un mercante promosso ambasciatore, non autorizzò la partenza del Santa Croce e trattenne Pereira a Malacca.

P. Francesco-Saverio si diresse all’isola di Chang-tch’oan, in prossimità di Canton, dove i mandarini di Koang.tong lasciavano che si svolgesse un traffico semi-clandestino di merci portate da giunche cinesi che si incontravano con navi europee.

Quivi intavolò trattative con i comandanti delle giunche cantonesi (i comandanti dei  vascelli erano chiamati ka-pi-tan, da cui è derivato l’uso di questo termine), per convincerli a introdurlo nei pressi di Canton. Ma nessuno volle rischiare di vedersi tagliare la testa, che era la punizione prevista per chi faceva entrare di nascosto in Cina uno straniero. 

Solo un mercante dietro pagamento della ingente somma di duecento cruzeiros, si offrì di lasciarlo davanti a una delle porte di Canton. ma intascato il danaro, il mercante non si presentò all’appuntamento e p. Francesco-Saverio rimase solo col suo accompagnatore, Antonio (un giovane cinese allievo della scuola di Goa), nell’isola  rimasta deserta in quanto era sopraggiunto il mese di novembre, le contrattazioni erano terminate e tutti i mercanti erano partiti.

Era rimasto all’attracco il Santa Croce dove chiesero ospitalità, ma p. Francesco Saverio febbricitante non sopportava il rollio e un portoghese si offrì di ospitarlo nella sua capanna nell’isola. La febbre aumentò e preso da delirio il padre pronunciava parole incomprensibili, probabilmente in basco, la lingua della sua infanzia, spirando il sabato del tre dicembre (1552), di fronte alla sospirata Cina che aveva sognato di convertire.

Altri otto confratelli (1565) giunsero a Macao dove si stabilirono senza poter entrare in Cina. Macao (Ngao-men) era una piccola isola di rocce, posta all’entrata occidentale  della riviera di Canton, di difficile accesso, che in tempi precedenti aveva servito da riparo ai pirati che desolavano le vicine coste e il governatore cinese aveva permesso ai mercanti portoghesi di abitarla, per scacciarli.

In Cina avevano provato a entrare anche quattro francescani, sbarcati nei pressi di Canton (1575) senza il permesso delle autorità, ma furono arrestati e imprigionati; uno morì in carcere, gli altri vennero espulsi.

 

L’ATTIVITA’ DEI GESUITI

 

 

N

el frattempo in Occidente la schiera dei gesuiti, definita da Montaigne “seminario di cristianità”, si andava continuamente ingrossando. Era formata da elementi dotati di vivace intelletto, esaltato da una raffinata cultura, spinti da una volontà di conquista delle anime (non escludendo la forza per quelle riluttanti!), alla quale spesso si aggiungeva una buona dose di fanatismo.

Ovunque andassero si amalgamavano con l’ambiente, assorbendo usi, costumi e lingue delle popolazioni presso le quali andavano a esercitare il loro apostolato.

Ovunque si trovassero, dovevano inviare delle relazioni a Roma, che spesso diventavano meravigliosi testi di storia di popoli e civiltà, come il testo in cui p. Ricci narrava la sua fantastica esperienza nell’estremo Oriente, “Dell’intrata della Compagnia del Giesù e christianità in Cina”scritta in volgare e tradotta in latino dal suo confratello francese padre Nikolas Trigault (De Christiana expeditione apud Sinas etc.; p. Trigault tradurrà in cinese le favole di Esopo) e successivamente nelle principali lingue in Occidente.

Con questi presupposti, i gesuiti si erano subito inseriti nei centri di potere delle Corti europee, diventando confessori-consiglieri (spirituali e non), di principi, imperatori, re e regine, molti di essi raggiunsero una grande notorietà in tutto il mondo, come padre Ricci e tanti altri, alcuni dei quali ricordati nel presente articolo,  come lo divennero molti dei loro allievi (****).

 “Nessuna speranza di convertire i cinesi se non si ricorrerà alla forza e li si costringerà a cedere ai nostri soldati”, aveva scritto il gesuita spagnolo Juan Bautista Ribeira; e il portoghese Melchor Nunes Barreto auspicava che i principi cristiani d’Europa ”smettessero di combattersi e costringessero con le armi l’imperatore della Cina a concedere ai missionari il diritto di predicare la verità e ai cinesi quello di ascoltarla”.

Ma il successo giunse solo quando lo zelo aggressivo fu sostituito con la paziente astuzia. Giunse infatti a Macao (1578) p. Alessandro Valignano-Fan Lin-Gan Li-Chan (1538-1606), nativo di  Chieti negli Abruzzi (**), visitatore (diremmo delegato per gli  affari esteri, ndr.) delle missioni gesuite delle Indie Orientali (ma si era occupato anche delle Indie Occidentali), compresa Cina e  Giappone, raggiunto due anni dopo da p. Michele Ruggeri-Lo Min-Kien Fou-Tch’ou (1543-1607), nativo di  Spinazzola nelle Puglie, i quali, abbandonato l’iniziale spirito di crociata dei loro predecessori, con umiltà, si misero a studiare il cinese e a presentare con successo la dottrina cristiana nelle forme più adatte alla mentalità locale.  

Dopo una permanenza di oltre due secoli, la idilliaca posizione che i gesuiti erano riusciti a raggiungere, avrà termine a causa della “polemica sui riti” (***) sorta con gli altri due ordini religiosi concorrenti, francescani e domenicani.

 

*) Pierre Lefevre, Francesco de Xavier, Giacomo Lainez, Alfonso Salmeron,  Nicola Alfonso soprannominato Bobadilla e Simone Rodriguez d’Avedo, tutti spagnoli.

**) Padre Valignano o Valignani aveva scritto “Litterae de statu Japoniae et Chinae ab anno 1580”; “Commentarii ad Japonis et ad caeteras Indiae natione christianae fidei mysteris imbuendas ”e (incontestabilmente, in quanto se ne era da alcuno contestata la paternità) di “Admiranda regni sinensis” che si trova inserito in “De rebus japonicis  indicis et peruanis” di J. Hugo (1605).

 

***) LA POLEMICA SUI RITI.

 

Si era sviluppata tra gesuiti, domenicani e francescani: questi ultimi non accettavano la  politica dei gesuiti intesa ad avvicinarsi quanto più possibile alla civiltà cinese.

I gesuiti ritenevano che il cristianesimo avesse un nucleo originario della propria dottrina da considerare immutabile, al quale si erano sovrapposte posteriori sovrastrutture culturali, e di esse andasse salvaguardato solo il nucleo originale.

Quando si erano resi conto che potevano convincere le coscienze con la persuasione e non con forza, erano entrati nell’ordine di idee che occorresse tener conto che l’ambiente culturale cinese era un dato di fatto incontrovertibile che andasse salvaguardato.

Ma tale concezione pratica e moderna era considerata dagli altri Ordini  radicale e inquietante.

I contrasti erano accentuati dal diverso comportamento degli uni e degli altri in quanto, i francescani e domenicani predicavano al popolo, i gesuiti avevano rapporti con le classi elevate e colte.

La polemica si sviluppò sul problema del culto degli antenati che i cinesi praticavano per tradizione da secoli,  consacrato dal confucianesimo, il cui rito era affidato al capofamiglia e non al sacerdote.

Mentre per i gesuiti il suo significato aveva valore etico-filosofico e non specificamente religioso, e di conseguenza lo ritenevano conciliabile con il cristianesimo, gli altri due Ordini religiosi intendevano il rito più sbrigativamente, come  pratica superstiziosa, mettendolo sullo stesso piano dell’idolatria che  ritenevano dovesse essere sradicato.

Si giunse alla frattura quando i due ordini accusarono i gesuiti, che permettevano ai convertiti di mantenere il culto degli antenati, di mettere a repentaglio la religione.

Gli Ordini si rivolsero a Roma e il papa (Clemente X) inviò una commissione d’inchiesta (1705) con a capo il cardinale de Tournon.

Il legato del papa fu ricevuto dal colto imperatore K’ang-hi (una specie di re Sole cinese v. in cit. Cronologia degli Imperatori del Celeste impero), col quale il cardinale che non conosceva la lingua, dovette discutere alcuni passi della dottrina confuciana. Il cardinale che esprimeva, attraverso interpreti, sue opinioni personali, non fece altro che indispettire il (anche culturalmente) raffinato imperatore che lo giudicò “straniero incolto”.  

Il papa, ritenendo di risolvere la questione con la mentalità Occidentale, non solo diede ulteriore appoggio al legato... contro lo stesso imperatore, ma diede ordine (!) a tutta la comunità cristiana di respingere la decisione dell’imperatore sulla conservazione della tradizione.

Inutile che l’imperatore avesse scritto al papa sostenendo che dal punto di vista della tradizione cinese, l’opinione dei gesuiti era la più esatta.

Il cardinale de Tournon emetteva un decreto (1706) che condannava la Compagnia di Gesù e la stessa opinione dell’imperatore (!).

L’approccio era risultato errato: l’imperatore che aveva emanato (1692) un “editto della tolleranza” con cui autorizzava la costruzione delle chiese in tutta la Cina, revocava l’editto, e pur non essendovi state persecuzioni alla maniera europea (sconosciute in Cina), mentre i gesuiti  rimasero presso la corte imperiale come funzionari per svolgere le sole attività scientifiche, senza poter svolgere quella missionaria, l’attività della Chiesa andò man mano esaurendosi, fino a scomparire nel XVIII sec. .

 

 

 

 

IL PATRIMONIO

CULTURALE DI P. RICCI

 

 

 

 

P

adre Matteo Ricci (1552-1610) giungeva in Cina (1582), con una cultura da umanista. Dotato di grande personalità, i suoi primi studi di belle lettere li aveva svolti nel paese nativo di Macerata e proseguiti a Roma dove aveva studiato ambedue i diritti (utroque jure) ed era stato istruito nelle materie scientifiche (geografia e matematica) per la sua naturale predisposizione, da p. Cristoforo Clavio, autore tra l’altro, del “Commentario al Trattato di Sacrobosco” (1) .

Quando era finalmente giunto alla Corte imperiale (di cui più avanti vedremo le vicissitudini), p. Ricci portava nella sua preparazione tutto il patrimonio di studi e nuove scoperte scientifiche e astronomiche (v. nota) che si erano nel frattempo diffuse in Occidente, da Copernico a Galileo,nonché geografiche, letterarie e filosofiche e musicali.

I gesuiti che arrivarono dopo di lui portarono il patrimonio del Discorso sul metodo di Cartesio, seguito da Leibniz e Spinoza; insomma, con p. Ricci era giunta in Cina tutta la ricchezza culturale prodotta dall’Umanesimo e dal Rinascimento (v. in Cronologie, Cronologia del 1500, il Secolo delle meraviglie), sebbene circoscritta, per la massima parte, a una ristretta cerchia di intellettuali che comunque erano i satelliti che giravano intorno alla corte imperiale.

La sua attività di ricerca, inoltre, lo aveva portato a una corposa produzione di opere letterarie e scientifiche, nella massima parte scritte o tradotte in cinese (delle quali ci limiteremo a indicare solo quelle scientifiche alla cui attività è  limitato il presente articolo).

Le sue occupazioni oltre a quelle scientifiche e religiose, si erano sviluppate anche in campo  diplomatico, nei rapporti con la Russia e altre delegazioni europee, che saranno egregiamente proseguite da p. Shenck (sotto).

Appena finiti gli studi a Roma, era partito per Lisbona  (15.V.1577) dove si imbarcò per Goa, raggiunta dopo quattro mesi di massacrante navigazione (16.IX); veniva quindi mandato da p. Valignano a Macao.

La sua meta era Pechino il cui ingresso, come abbiamo visto con p. Francesco-Saverio era vietato agli stranieri, che non aveva potuto raggiungere subito, e aveva dovuto farlo per gradi: prima si era diretto a Canton (1582-1595), poi a Nanchino (1595-1601) infine a Pechino (1601-1610).

Nel frattempo si era impadronito alla perfezione della lingua, aveva studiato la religione e la storia della Cina, vestitosi della tonaca di monaco confuciano conformando a questi la sua vita, mendicando con loro alle porte dei templi  intrattenendosi con i più dotti su Confucio e i suoi insegnamenti.

Un giorno però un vecchio mandarino (*), impressionato dalla ricchezza del suo sapere, gli diede un prezioso consiglio: “La vostra sapienza - gli disse -  ci ha riempito di  stupore e vi suggerisco di cambiare il vostro tenore di vita; nello stato miserevole che avete voluto assumere potrete farvi ascoltare soltanto da pochi. Se vi presenterete come uno dei nostri letterati, verrete accolto dappertutto con grandi onori”. E P. Ricci resosi conto che i panni del bonzo non lo avrebbero portato dov’egli  mirava, lasciata la tonaca, indossava le  vesti di seta azzurra del letterato; anche il suo nome, con la sostituzione delle prime due lettere di Ricci pronunciate alla maniera cinese, diventava Li Ma-theu  Si Tai, per tutti dottor Li.

P. Ricci aveva capito che poteva arrivare a guadagnare lo spirito dei cinesi attraverso le scienze e dall’impressione favorevole ottenuta, fu incoraggiato a costruire delle sfere celesti e terrestri, e per segnare le ore, dei quadranti solari di cui fece omaggio ai primi mandarini dell’impero. e così acquistò la reputazione di sapiente nella letteratura celeste e astronomia e con la costruzione di un mappamondo (v. sotto) riuscirà a conquistare - cosa ritenuta impensabile - la stima e l’amicizia dell’imperatore.

La missione si era nel frattempo stabilita a Tchao-Tcheou alla frontiera del Kiang-si dove p. Ricci aveva ricevuto la visita di un giovane eunuco, noto letterato, K’iu T’ai-sou, figlio di una famiglia ricchissima, il quale aveva dissipato tutte le sue ricchezze in una vita lussuosa, praticando l’alchimia alla ricerca della formula della pietra filosofale (**), di cui si riteneva i gesuiti fossero a conoscenza, lo supplicò di prenderlo come discepolo.

P. Ricci lo prese con sé e invece di insegnargli a scoprire la pietra filosofale, gli insegnò la matematica, geometria e meccanica in cui T’ai-sou aveva mostrato facilità e avidità di apprendimento. Non solo ma T’ai-sou, affascinato dalla cultura dell’Occidente volle conoscere i principi della filosofia occidentale, dove, con il Discorso sul metodo di Cartesio e il Novum Organum di Bacone, era appena stata aperta la strada della filosofia moderna, della cui diffusione T’ai-sou si renderà interprete in Cina.

Bastava che p. Ricci si recasse in qualche località come si verificò quando si era recato a Nan-tch’ang fou dove tutti volevano conoscere lo straniero venuto dall’Occidente che aveva la barba fino alla cintura. Dopo aver fatto delle conferenze in cui aveva divertito gli intellettuali che lo ascoltavano con un gioco di memoria (aveva fatto scrivere delle frasi non connesse tra di loro e dopo averle lette una sola volta le aveva ripetute a memoria, prima nell’ordine scritto e poi invertendolo, cominciando dall’ultima), lasciando l’uditorio esterrefatto.

Richiesto di svelarne il segreto “divino”, p. Ricci pubblicò in cinese un breve trattato sulla memoria artificiale o mnemotecnica (v. sotto Opere)  al quale aggiunse un altro sull’amicizia in forma di dialogo, Saggio sull’amicizia (Jiaoyou lun).

Il viceré ne fu anch’egli incuriosito e p. Ricci gli fece omaggio dei due libri e di un prisma in cristallo che decomponeva la luce del sole, che suscitava la meraviglia dei cinesi e così ottenne dal viceré il permesso di stabilirsi a Nan tch’ang.

Nel frattempo p. Ricci veniva nominato rettore delle due sedi di Tchao-Tcheou e Nan tch’ang e sempre pensando di raggiungere Pechino  cercò di stringere amicizia con i grandi mandarini e i membri della famiglia imperiale che risiedevano in quest’ultima città.

Occorre però tener presente che tutto questo entusiasmo e l’apertura mostrata per tutte le novità portate dai gesuiti, era assolutamente esteriore, insomma non funzionava nei confronti dello spirito dei cinesi che rimase estraneo e chiuso alla cultura occidentale, come lo sarà per la religione.

I cinesi, infatti, pur mostrando ammirazione per le innovazioni tecniche e pratiche, e interesse per i progressi dell’astronomia e per la cartografia  (l’imperatore Ch’en-lung rimarrà affascinato dal progetto di palazzo in stile europeo predisposto dai gesuiti, come gli alti dignitari lo erano stati per gli occhiali e gli orologi), la loro ammirazione non era andata oltre, nel senso che essa rimaneva sulla superficie e non si spingeva nel fondo del loro spirito che avrebbe certamente portato a una occidentalizzazione, che essi comunque non accettavano, non fosse altro perché il loro sistema continuava a funzionare e questo li faceva sentire autosufficienti nei confronti degli europei

 

 

*) Il termine mandarino non era cinese ma portoghese, per i cinesi il termine era “quoàn” che significa signoreggiare, comandare, governare.

**) Anche in Cina  gli alchimisti fin dall’antichità erano alla ricerca della pietra filosofale che oltre a trasformare i metalli in oro, costituiva elisir di lunga vita e, come in Occidente, vi era chi asseriva di averne trovato il segreto. Si raccontava che in mezzo a un lago della provincia del Szu-tchouan, quindici secoli prima dell’era cristiana un personaggio celebre per la sua saggezza e santità chiamato Hoan-ti - corrispondente al dio Mercurio dei greci - si interessava di alchimia e si raccontava avesse lasciato dei libri che avevano dato adito a una moltitudine di frodi. Molti ciarlatani infatti sfruttavano la credulità popolare spacciandosi ciascuno per unico possessore di questo segreto, ma le vittime non erano poveri ignoranti del popolo, ne erano infatuati i grandi, i ricchi e i letterati. In Europa vi era l’esempio dell’imperatore Rodolfo d’Asburgo che aveva reso Praga città di magia e vi convenivano non solo studiosi (che gli chiedevano aiuti economici!) come l’inglese John Dee (v. in Articoli Rinascimento magico alla corte di Elisabetta I ecc.) che gli avrebbe venduto un misterioso libro di magia e Giordano Bruno, ma anche normali ciarlatani di cui Rodolfo fu spesso vittima.

Nel periodo in cui p. Ricci viaggiava per le varie città, vi era un certo numero di avventurieri che raccontava di bruciare il cinabro (tan) e di purificare il mercurio “con l’intento di tendere trappole per  cupidi e sciocchi”. Lo stesso p. Ricci aveva scritto che si era sparsa per tutta la Cina una leggenda che sarebbe durata per i secoli a venire, senza possibilità di farla scomparire e data per certa, pur essendo completamente falsa: - Essa diceva che il viceré di Shiuhing aveva fatto chiamare i padri per chiedere loro la ricetta per cambiare il cinabro in argento ma gli avevano risposto che essi erano costretti a non poterla rivelare, per questo erano stati scacciati da Shiuhing.

 

 

TRATTATI ASTRONOMICI E MATEMATICI IN OCCIDENTE:

 

ASTRONOMIA

 

1) Il trattato di astronomia noto come “Sfera” (Sphaera Mundi) era stato scritto dal matematico e astronomo Giovanni di Sacrobosco (fine sec. XII-1256), autore anche del “De computo ecclesiastico”;  il suo nome inglese era John of Holywood (oggi Halifax), latinizzato in Johannis de Sacro Bosco. Il suo testo era in pratica il primo di questa materia (stampato a Ferrara nel 1472), il cui merito era stato quello della esposizione elementare di concetti che  seppur contenuti in testi precedenti, erano espressi con estrema chiarezza che ne aveva permesso la diffusione in tutte le scuole del Medioevo in cui circolavano copie manoscritte.

Più o meno nella stessa epoca erano apparse in Spagna le “Tavole astronomiche” dette “alfonsine”,  patrocinate dal re di Castiglia  Alfonso X (1223-1284), con la collaborazione di matematici mori di Granada che si erano recati presso la sua corte per questo scopo (ricordiamo che gli arabi erano stati gli eredi della cultura greca trasmessa, proprio in quel periodo, all’Occidente; v. in questa rivista, in Articoli, La scienza araba alle origini della cultura europea).

Erano seguiti gli studi e le scoperte:

Dell’astronomo polacco Nicolò Copernico (1473-1543), autore di Rivoluzioni dei Mondi Celesti (Nicolai Copernici thorunensis de revolutionibus orbium caelestium libri VI) opera fondamentale  del sistema del moto eliocentrico, che da lui prese il nome, successivamente perfezionato da Galileo e da Keplero e a causa del terremoto che avrebbe provocato (e provocò)  nella Chiesa, perché non si accordava con le Sacre Scritture, contrariamente alle quali risultava che la Terra è sferica e con gli altri cinque  pianeti allora conosciuti girava intorno al Sole (idea pur avanzata nell’antichità da Aristarco, alla quale si era opposta l’autorità di Aristotele e della Chiesa e successivamente confermata da Tolomeo). Pur avendo scritto l’opera nel corso della sua vita, e le sue idee erano circolate segretamente, ritenne opportuno (su suggerimento degli stessi amici) attendere di essere sul letto di morte per affidare il manoscritto a un amico, che lo fece stampare subito dopo la sua morte (1543) a Norimberga. 

Erano seguiti gli studi e le scoperte del danese Tycho Brahe (1546-1601), che aveva scritto, tra le opere principali: Introduzione alla Nuova Astronomia (Astronomiae instauratae progymnasmata); Secondo Libro intorno alle Recenti Apparizioni nel Mondo Celeste (De mundi aetherei recentioribus phaenomenis liber secundus); Meccanica della Nuova Astronomia (Astronomiae instauratae mechanica).

Giovanni Keplero (1571-1630), scrisse come prima opera “Mistero Cosmografico” (Prodromus dissertationum, continens mysterium cosmographicum de admirabili proportione orbium coelestium, deque causis coelorum numeri, magnitudinis motuumque periodicorum genuinis et propriis, demonstratum per quinque regularia corpora geometrica)., seguita da “Astronomia Nuova”  (Astronomia nova, seu physica coelestis tradita commentariis de motibus stellae Martis ex observationibus G.V. Tychonis Brahe) pubblicata a Praga nel 1609; Armonia del Mondo (Harmonices mundi libri V), pubblicata a Linz nel 1619; Epitome dell’Astronomia Copernicana (Epitome astronomiae copernicanae), pubblicata a Francoforte nel 1618-1621; Tavole Rodolfine (Tabulae rudolphinae) pubblicata a Linz e a Ulma nel 1627 nelle quali Keplero aveva potuto calcolare esattamente l'orbita di Marte e quelle degli altri pianeti portando così a compimento una serie di tavole già iniziate da Tycho Brahe che le voleva chiamare "Rudolphinae" in onore del suo protettore Rodolfo II.

Keplero le completò e ne conservò il nome e fra varie difficoltà poté pubblicarle nel 1627. Sono queste le prime tavole celesti fondate sulla nuova ipotesi eliocentrica del moto ellittico. Keplero con questa sua opera, e insieme a Copernico, Galileo e Newton, avevano aperto la strada per la nuova astronomia, che dopo di loro, anche con i mezzi strumentali perfezionati da Keplero, fece rilevanti progressi.

Galileo Galilei (1564-1642) dopo le osservazioni fatte con il cannocchiale che gli avevano rivelato tutto un altro aspetto del creato, aveva scritto il “Sidereus Nuncius” magna longeque admirabilia spectacula pandens suspiciendaque proponens, etc. (pubblicato a Venezia nel 1610) dedicato al Granduca di Toscana Cosimo II dei Medici,  in cui descrive brevemente le sue celebri scoperte che faranno tremare principalmente le fondamenta  della Chiesa e porteranno lo scompiglio tra gli studiosi con la mente chiusa ai vecchi schemi (Cremonini a Padova e Magini a Bologna, ma Galileo ebbe l’adesione dei gesuiti), come si è già visto, legati alla tradizione risalente ad Aristotele, con ambedue le visioni conciliate nel dogmatismo della scolastica che concepiva l'universo tra Dio, che comprendeva il tutto e la centralità dell’uomo compreso dal tutto. Keplero, dopo una iniziale incertezza aderisce scrivendo  la “Dissertatio cum Nuncio Sidereo”.

Galileo negli anni successivi prepara il “Dialogo sopra i due Massimi Sistemi del Mondo”  tra le opere più celebri che esistano al mondo in ogni genere di letteratura, sia per il metodo di indagine scientifica sia per le numerose e tristi vicende delle quali fu vittima. Per la sua  pubblicazione Galileo si era premunito recandosi a Roma (1630) per una preliminare autorizzazione all’ imprimatur, che era riuscito ad ottenere. Così l’opera fu pubblicata a Firenze (1632) ma nello stesso anno, dopo il processo, considerata opera eretica fu messa all’Indice,

Giordano Bruno ( 1548-1600) era stato il primo a presentare una nuova cosmologia, avanzando l’ipotesi di un universo infinito e con numerosi mondi con il libro “De infinito universo e mondi” che aveva suscitato la reazione della Inquisizione che lo fece arrestare a  Venezia e arso vivo, con l’ultima crudeltà usata nei suoi confronti, con a mordacchia alla bocca per non farlo parlare, in Campo dei Fiori a Roma.

 

Per una idea sulle attuali scoperte astronomiche si veda in questa rivista, in Schede: “L’Universo in poche righe” e “L’Universo secondo Stephen Hawking”.

 

MATEMATICA E ARITMETICA

 

Per quanto attiene agli studi di matematica e aritmetica in quegli anni, avevano raggiunto un elevato livello con le più recenti opere di:

Nicolò Tartaglia (1499/1506-1557),  “General trattato dei numeri et misure” (1560); 

Fra' Luca Pacioli (1445 c.ca-1514), “Somma sull'aritmetica, Geometria, Proporzioni e Proporzionalità” (Summa de Aritmethica, Geometria, Proportioni et Proportionalità) pubblicata a Venezia  (1494), che, come opera enciclopedica faceva riferimento ai precedenti testi di Leonardo Fibonacci (Libro d'abbaco, v. sotto) non solo, ma queste nuove opere utilizzavano tutte i fondamentali “Elementi” di Euclide che erano famosi in quanto l’autore aveva dato della Geometria una sintesi così esatta  e così chiara che avevano soppiantato tutti gli altri trattati  (e p. Ricci, li farà  tradurre, come vedremo, in cinese), la cui materia era stata nel frattempo integrata dagli studi di  Boezio, Giordano Nemorario, Biagio da Parma, del citato Sacrobosco, Regiomontano (Johannes Műller), Alberto di Sassonia, Prosdocimo da Beldomani, Campana di Novara, Stifel, e Gerolamo Cardano (1501-1571) il quale nel suo trattato di matematica  “Ars Magna” (Artis magnae, sive de regulis algebraicis liber unus qui et totius operis de Arithmetica est in ordine decimus, stampato a Norimberga nel 1545), si rifaceva alla formula di risoluzione delle equazioni cubiche, trovata originariamente dal bolognese Scipione del Ferro e posseduta da Niccolò Tartaglia, nonché alle opere dei  maggiori algebristi arabi. Altra opera di Cardano è il trattato di matematica “Pratica Aritmetica” (Practica arithmeticae et mensurandis singularis) pubblicato a  Milano nel 1539, in 67 capitoli. Questo libro, in parte deriva dal Libro d'abbaco (v. sopra) di Fibonacci, e dalla Somma sull'aritmetica ecc. di Luca Pacioli (v. sopra). Cardano, oltre a indicare artifici mnemonici per il calcolo rapido, per la sua personale predisposizione verso la astrologia, stabilisce una corrispondenza fra i cosiddetti “quadrati magici” e gli astri Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Da questi quadrati magici, divisi in tante caselle dentro le quali vanno scritti dei numeri la cui sommatoria è sempre la stessa orizzontalmente e verticalmente, ottenendo in ambedue i casi i numeri 13, 34, 65, 111, 175, 260, 369, che sono in relazione diretta con gli astri indicati. La Practica arithmeticae è integrata da un'opera minore: “Libellus qui dicitur computus minor”, utilizzato nelle contrattazioni e per il computo nell’uso dei traffici e nelle registrazioni da parte dei mercanti.

 

I TESTI MEDIEVALI:

 

Leonardo Fibonacci (Leonardo Pisano), vissuto nella seconda metà del XIImo sec. e nella prima metà del XIIImo sec.,, aveva scritto il “Libro di Abbaco” (Liber Abaci), nel 1202, successivamente ampliato (1228).

Fibonacci, considerato come il primo algebrista che si incontri in Occidente  ad aver  introdotto il sistema di numeri arabi. La sua conoscenza sui numeri arabi era dovuta alla istruzione ricevuta durante la sua fanciullezza in Algeria (dove il padre lavorava nelle dogane) e dove apprese “l'abbaco all'uso degli Hindi”

Ebbe poi la possibilità, per ragioni di commercio, di approfondire le sue conoscenze in questa materia insegnata in Egitto, Siria, Sicilia e Provenza, in modo da poter impostare il suo “Liber Abaci” con ordine e unità di metodo, e per la sua chiarezza divenne testo di insegnamento universitario e servì anche per la compilazione dei manuali di aritmetica a uso dei mercanti.

Nella sua prima parte contenente quindici capitoli, egli indica le prime nove cifre della numerazione che chiama “indiane” che in effetti sono dieci perché a esse è da aggiungere lo zero (da zefiro) “quod arabice zephirum appellatur”; tra l’altro egli parla del calcolo digitale (non come lo intendiamo oggi...ma usando le dita, di cui abbiamo dato qualche esempio in Articoli: “L’educazione del giovane feudatario... da Duoda” ecc.), e poi delle quattro operazioni ecc. La seconda parte del libro è dedicato alle "Regola d'Algebra.

Il libro è da considerare tra i più importanti dell'epoca e per la fama che aveva raggiunto era stato invitato in Sicilia, alla Corte dell’imperatore Federico II che amava le scienze.

Altra opera celebre di Fibonacci è il trattato “Pratica della Geometria” (Practica Geometriae), composta nel 1220, impostata sullo stile degli Elementi di Euclide. Pur essendo stato il suo fine didattico, l'opera costituisce una delle maggiori trattazioni di geometria del Medioevo.

Nella stessa epoca, abbiamo il testo del matematico fiorentino Paolo dei Ficozzi (1282-1374) detto anche Paolo dell'Abbaco autore dell’operetta “Regoluzze di Mastro Pagolo Astrologo” (tra 1329 e 1340), diffusa nel Medioevo in numerose copie manoscritte,

Mastro Pagolo era noto come “aritmetico, astrologo e geometra” e nelle Regoluzze si trovano elementi del Libro d'Abbaco e della Pratica della geometria di Fibonacci  di cui abbiamo appena parlato.

Esso ebbe grande diffusione non solo nel Medioevo ma anche dopo come ci ha fatto sapere Leonardo che considera Mastro Pagolo lo Specchio dell’Astrologia, e gli aveva dedicato un sonetto: "I' fu' lo specchio dell'Astrologia-Paghol chiamato e non trovai ma' pari - Ch'ho fatto già diecimila scolari,  Ottimi e buoni nella geometria".

 

 

I DONI

PER IL FIGLIO DEL CIELO

 

Q

uando era succeduto al padre, l’imperatore Chin Tsong (dai p.gesuiti indicato come Wan Li) aveva l’età di dieci anni (1573) sotto la reggenza della madre, imperatrice  Ouang-Chi. Visse la sua vita da recluso nell’immenso palazzo della Città proibita (1), circondato da donne ed eunuchi. Non vi è da meravigliarsi che a diciassette anni la vita oziosa lo avesse portato alla facile ubriachezza, alla lussuria e reso  rapace e facile agli accessi di collera. L’obesità da cui sarà affetto negli anni, gli aveva fatto raggiungere una grossezza smisurata tanto che la sua voce era appena percepibile a due passi di distanza. Nessuno aveva potuto tracciare un suo ritratto perché non si lasciava avvicinare che dai suoi eunuchi e ministri (e i padri gesuiti non avevano potuto avvicinarlo).

Durante il suo lungo regno di quarantasette anni era apparso in pubblico solo poche volte. Amante di oggetti d’arte  verrà attribuito alle “porcellane” il nome dell’epoca della dinastia Ming” (ma appartenevano solo all’epoca di Wan-Li!). Raccogliendo oggetti rari e curiosi aveva ordinato al forno di King-té-tchen, in un solo anno, ventisettemila tazze e sottotazze, seimilacinquecento coppe per il vino, seimila brocche  e settecento grandi vasi per pesci rossi (con una così gran raccolta alcuni di questi oggetti sono giunti fino a noi ricercati da collezionisti di tutto il mondo).

P. Ricci aveva stretto amicizia con un personaggio, l’eunuco (2) Wat-Tchong ming  che doveva recarsi a Pechino per ricevere la nomina di presidente del Li-pou (Tribunale supermo civile, prima Corte sovrana, v. n. 4 par. seg.), dove Wat fu raggiunto da p. Ricci  accompagnato da p. Cattaneo,  .

Wat li ospitò e ammirò i regali che essi portavano all’imperatore, ma poiché non potevano servire a trasmutare il cinabro in argento (come si è visto, ai padri si attribuiva la conoscenza del segreto) aveva  lasciato intendere che il momento per introdurre i missionari nella capitale non era adatto.

Non solo, ma la Cina in quel momento era in guerra con il Giappone e si era sparsa la voce che i due padri fossero spie giapponesi. Essi furono invitati a recarsi a Nanchino, ma p. Ricci da solo si diresse verso la città di Sou-tcheou fou dove sperava di incontrare K’iu T’ai-sou che avrebbe potuto aiutarlo. Costui però invece di prestargli l’aiuto sperato, lo invitò a costruire una residenza per i padri, ma p. Ricci non accolse la proposta e se ne partì per Nanchino dove il presidente Wat-Tchong ming gli presentò altri mandarini, “desiderosi di parlare con lui di astronomia, matematica, geografia  e conversare amichevolmente su vari argomenti”.

Raggiunto da p. Cattaneo, gli fu offerto a buon prezzo un palazzo rimasto per lungo tempo disabitato perché ritenuto infestato da folletti e abitato dagli spiriti. Ma i padri andarono ugualmente ad abitarlo... e diavoli e fantasmi non si fecero vedere...e ciò suscitò molta impressione!

P. Ricci però pensava sempre a Pechino e partì (1600) per Chan-tong dopo aver avuto il permesso dal Censore dell’impero, accompagnato questa volta da p. Didace de Pentoja.

Al loro arrivo a Chan-tong il ricco e potente eunuco Ma-t’ang avendo saputo dei regali che essi portavano, li fece fermare, impossessandosi dei regali. Ma t’ang aveva trovato tra gli oggetti personali di padre Ricci un crocifisso con il Cristo con le spine e il sangue delle ferite che sembrava vero; Ma-t’ang pensò che servisse per uccidere con sortilegio l’imperatore; inutile spiegargli di cosa si trattasse; andò su tutte le furie e i due padri furono mandati a T’ien-tsin in un convento di bonzi, sotto stretta sorveglianza.

Nel frattempo l’imperatore era venuto a conoscenza del dono degli orologi che suonavano le ore che uno straniero veniva a portargli e saputo che gli stranieri erano a T’ien-tsin, ordinò di condurli a Pechino.

Finalmente, nel mese di gennaio (1601) i due padri giunsero a Pechino, ma non ancora alla presenza dell’imperatore, non consentita dall’etichetta di corte (3) e furono ospitati in un palazzo fuori della cinta delle mura della Città proibita.

I regali destarono l’ammirazione generale, soprattutto gli orologi (che aiuteranno molto p. Ricci, nella sua impresa, come vedremo).  Dei due orologi, uno era grande di ferro con la sua bella cassa artisticamente lavorata con foglie e draghi dorati rappresentanti i simboli dell’imperatore, il tutto elegantemente inciso con bulino. L’altro orologio non era alto che un palmo (che l’imperatore terrà con sé giorno e notte), ma tutto di bronzo dorato e di bellissima fattura, ambedue al posto delle lancette avevano una mano che segnava le ore, ed erano stati messi  in una cassa dorata. Oltre agli orologi vi erano tre quadri dipinti a olio (che all’epoca i cinesi ignoravano come ignoravano gli effetti della prospettiva che destavano il loro stupore), dei quali uno  riproduceva la Madonna di S. Luca, l’altro la Vergine col Bambino e l’ altro la Vergine con Gesù e San Giovanni Battista, una croce, due prismi triangolari (4) con ornamenti di argento,  tutto  in una scatola fabbricata in Giappone il cui valore era superiore al contenuto. Tra i regali vi era inoltre, qualche specchio (5), un Theatrum Mundi di Ortelius con una copertura dorata, una croce (reliquiario) ornata di pietre preziose, un “breviario” elegantemente rilegato in oro con l’epigrafe: “Qui si trova la dottrina della vera divinità di cui è riportata l’immagine” e infine un clavicembalo, molto apprezzato dai cinesi, dal quale l’imperatore avrebbe avuto un singolare piacere.

Il primo eunuco andò però ad annunciare che potevano lasciare il palazzo e se volevano vivere a Pechino, avrebbero avuto una pensione mensile. 

Come detto l’etichetta di corte non consentiva che gli stranieri potessero essere presentati all’imperatore (dei contatti con i due stranieri era stato addirittura incaricato il Tribunale degli Stranieri). L’imperatore però era incuriosito non solo dalle descrizioni che gli venivano fatte dei due stranieri e aveva dato ordine di predisporre i loro ritratti. Ma aveva voluto conoscere i particolari dell’Occidente che mandava a chiedere, come vestivano i loro re, dove abitavano, cosa mangiavano, come mangiavano. P. Ricci aveva con sé i disegni dell’’Escorial, di S. Marco a Venezia, le descrizioni del recente funerale di Filippo II  (1598) e della sua cassa funebre in legno e della sua tomba in marno; l’’imperatore rise sui palazzi reali che giudicò scomodi per i loro diversi piani e tutte le loro scale.   

Dopo varie vicissitudini che colpirono i due padri con le varie persecuzioni non solo di Ma-T’ang  (che non aveva portato all’imperatore la relazione e richiesta scritta per essere ricevuto, che p. Ricci gli aveva consegnato) ma dei numerosi potenti mandarini eunuchi di palazzo, si verificò che gli orologi si erano fermati e sebbene p. Ricci avesse dato istruzioni ai matematici per ricaricarli, questi non erano riusciti a farli funzionare, per cui furono chiamati a Corte e p. Ricci entrò finalmente in contatto diretto con l’imperatore (al quale stando in ginocchio ci si rivolgeva, non chiamandolo maestà, ma con le parole Van-sai”, mille anni (di vita). E, per la stima che p. Ricci si era guadagnato, era stato nominato scienziato di corte e gli era stato affidato l’incarico di insegnare matematica e morale al figlio prediletto designato come suo successore. La cosa indusse molti cortigiani a fare di lui e dei suoi confratelli che lo avevano raggiunto nella capitale, i precettori dei loro rampolli.

Padre Ricci morì nel l6l0, dopo circa dieci anni di soggiorno a Pechino; il Figlio del Cielo gli fece erigere un monumento funebre e per meglio onorarlo donò ai gesuiti un terreno per costruire  una chiesa.

 

 

1)  La città purpurea proibita (Zjin-cheng) costruita dall’imperatore Young-Lo (1402-1424) era racchiusa da un triplice ordine di mura di cinta e tutti i palazzi che circondavano quella del Figlio del Cielo (Tien-Su) erano allineati con la Stella polare, dove si trovava la Casa da cui proveniva l’imperatore. Il palazzo imperiale si diceva avesse aveva novemila novecento novantanove stanze in quanto il nove era ritenuto numero favorevole (ma in effetti esse erano ottomilaottocentoottantasei)!

2) All’epoca (1602) il numero degli eunuchi a Corte era di circa sedicimila e su ventimila concorrenti ne erano stati assunti tremila; le caratteristiche richieste erano la prestanza fisica e la facilità di parola.,.. anche se ignoranti e stupidi; è chiaro che quelli più intelligenti si facevano strada (con intrighi e violenze) diventando ricchissimi e potenti, come gli eunuchi indicati in articolo.

3) L’etichetta prevedeva anche il k’ow-t’ow, il saluto di sottomissione che consisteva nell’ avvicinare per tre volte la fronte per terra, usato dai vassalli (un’ambasciata russa nel 1805 e una inglese nel 1816 furono respinte perché si erano rifiutate di salutare l’imperatore a questo modo). Non ci è stato dato sapere se i padri gesuiti lo praticassero, perché nessuno ne parla; certo è che p. Ricci quando si presentava presso mandarini di corte rimaneva in ginocchio con il capo abbassato.

4) Questi prismi, che scomponevano la luce solare, molto apprezzati dai cinesi, erano una novità in quanto da non molto i vetrai di Venezia avevano fatto la scoperta per ottenere la purezza del cristallo, la cui caratteristica era la perfetta  trasparenza, ottenuta con pasta di silicio che consentiva di fabbricare le lenti che finite nelle mani di Galileo e rivolte verso il cielo invece gli avevano fatto le note rivelazioni.

Poiché ci piace collegare il passato con il presente, facciamo rilevare che un perfezionamento nella lavorazione del vetro è stato raggiunto negli anni cinquanta, ottenuta facendo galleggiare il vetro ad alte temperature, sul metall0, anch’esso ad alte temperature, invenzione che permette di costruire lastre resistenti, perfette nella loro purezza, che con l’acciaio sono ora utilizzate nella costruzione dei grattacieli (p. es. quello per ora più alto al mondo, nell’emirato del Dubai).

Una più recente grande invenzione, nelle applicazioni del vetro, è stata quella delle fibre ottiche che hanno la capacità di curvare il fascio di luce molto utilizzate in chirurgia e  nella moderna tecnologia.

 5) Gli specchi portati dai gesuiti erano più raffinati di quelli  cinesi che utilizzavano una tecnica più rudimentale a getto ed erano concavi.

 

 

L’ASTRONOMIA CINESE

ALL’ARRIVO DI P. RICCI

E GLI OSSERVATORII

DI NANCHINO E PECHINO

 

 

I

 cinesi erano dediti alle osservazioni astronomiche e dai loro annali risultava che da oltre quattromila anni avevano inventato una sorta di ciclo solare composto di sessant’anni.

Sin dai tempi più antichi (l’epoca si faceva risalire a tempi successivi al diluvio, che secondo gli attuali studi risalirebbe a circa diecimila anni a.C., determinato da un innalzamento delle acque del Mediterraneo, ma i cinesi non lo sapevano!) avevano cominciato a osservare i movimenti del cielo, ma la loro scienza non era molto precisa né esatta da poter indicare i minuti primi o secondi, per cui indicavano solo i gradi interi.

Le loro cronologie facevano menzione delle eclissi di sole (ne riportavano duecento); indicavano gli anni, i mesi  ma non le ore, il numero dei pianeti e delle comete di cui descrivevano le apparizioni (1) (uguali a quelle indicate in Europa dal 13mo al 17mo secolo).

Agli astronomi cinesi era ben noto l’anno composto da 365 giorni e poco meno di sei ore, come il movimento medio dei pianeti.

Essi possedevano dai tempi più antichi la scienza dei numeri e le loro cronache riportavano nello stesso tempo che i primi saggi usavano nascondere sotto il simbolo dei numeri, i precetti della vita morale e i segreti dell’arte di ben governare che si trasmettevano di mano in mano con la corona (in sezione Cronologie: v. Cronologia degli Imperatori del Celeste Impero). I simboli dei numeri andarono oscurandosi nel tempo, di guisa che alla fine furono abbandonati.

Padre Ricci relativamente ai numeri fa notare  che i cinesi, nonostante in Cina fossero giunti molti arabi, i numeri li scrivevano con le lettere e racconta di aver visto a Nanchino (Nan-ching-capitale del sud, era stata inizialmente la prima capitale e quando Pechino era assurta a capitale, era divenuta la seconda capitale) e Pechino, diversi strumenti astrologici in bronzo e di grandi dimensioni e rimarchevoli per l’epoca in cui erano stati costruiti.

A Nanchino sull’alto del monte dove erano stati costruiti diversi edifici, vi era uno strumento di bronzo con intorno molti ornamenti che aveva pressappoco centocinquant’anni (quindi risalente intorno al 1450  ndr.) esposto alle intemperie, senza che nel frattempo avesse riportato alcun danno.

Gli strumenti dunque visti da p. Ricci, erano quattro: Una sfera celeste (Hoan- hsiang) di sei piedi di diametro che tre persone con le mani tese non erano in grado di abbracciare, con i paralleli e i meridiani disposti di grado in grado messo per metà in un cubo di bronzo con una piccola porta per entrare e manovrare la grande sfera che poggiava sul suo asse: l’asse del polo Nord e Sud; l’equatore al centro , equidistante dai due poli; un emisfero visibile, l’altro nascosto (2). Il secondo strumento era costituito da una sfera armillare (Ling-tung), costituita da una grande sfera di due braccia di diametro  fornita di un cerchio orizzontale  e di due poli, con delle armille accoppiate divise in 365° e qualche minuto, per l’osservazione degli astri. Il terzo era un  grande gnomo (gnomone:  Kao-piao), alto da otto a dieci metri (3). Il quarto, era costituito da una macchina composta da tre o quattro astrolabi di quattro metri di diametro con il proprio strumento geodetico (teodolito) e suoi livelli.

Su ciascuno di questi strumenti vi erano scritte in cinese, che davano la spiegazione di ciascuna parte, con i nomi di ventotto costellazioni dello zodiaco corrispondenti ai nostri dodici segni celesti.

Gli strumenti di Pechino erano somiglianti a quelli di Nanchino e certamente ambedue erano stati fatti dalla stessa mano.

Vi erano inoltre, in ciascuna delle due città, due collegi di matematici e astronomi (Tribunale dei matematici, v. n. 4) che avevano a disposizione strumenti con cui a turno, di notte, osservavano il movimento del cielo, e le osservazioni erano comunicate all’imperatore e da esse si traevano pronostici per l’avvenire.

I cinesi, come detto erano (e lo sono tutt’ora!) estremamente superstiziosi e davano grande importanza al movimento degli astri e particolarmente alle eclissi di luna, sulla quale avevano una idea bizzarra.

Ritenevano infatti che esse fossero causate dall’avvicinamento di un drago che cercava di divorarla e per impedire questo approccio, ricorrevano al frastuono di strumenti musicali e a genuflessioni (simile all’idea che avevano i wikinghi come riferito da Stephen Hawking nella citata Scheda dell’Universo secondo S.H.).

Calcolare e predire le eclissi era quindi un vero e proprio affare di Stato, in quanto l’imperatore inviava a tutte le provincie dei corrieri incaricati di avvertire la popolazione  del giorno e ora in cui esse avevano inizio, con lo scopo che in ogni città, al momento fissato, i magistrati potessero riunirsi con i bonzi e cacciare il drago al suono di trombe, tamburi, piatti e altri simili strumenti.

 

 

1) L’anno 104 a.C. Se-ma-thsien per ordine di suo padre Sse-ma-than redasse diversi precetti per supportare il movimento dei pianeti, le eclissi, le congiunzioni le opposizioni e la redazione del testo (Sse-ki) fu curata dall’astronomo Lo-thia-hong. 

 2) L’astronomo Lo-hia-hong utilizzava un globo con grandi cerchi che rappresentavano  paralleli e meridiani e si serviva di uno strumento di ottone per misurare l’estensione delle ventotto costellazioni.

3) Lo gnomone, serviva per misurare in tutte le stagioni le ombre del sole e per mezzo delle ombre si tracciavano le linee meridiane; mettendo lo strumento sul meridiano, si mettevano in evidenza le stelle e le costellazioni che passavano per il meridiano. Per mezzo di un orologio ad acqua si determinava l’intervallo del tempo tra il passaggio di una stella attraverso il meridiano e il calare e levarsi del sole, la durata dei giorni, il tempo che i pianeti impiegavano sull’orizzonte, i crepuscoli della sera e del mattino ecc.

4) Il fondatore della dinastia Han, Lieu (o Liu)-pang (202-195) aveva ristabilito il Tribunale dei matematici che aveva il compito ufficiale delle osservazioni astronomiche e della redazione annuale del calendario imperiale, che stampato in un numero  rilevante di copie, veniva mandato a tutte le autorità delle provincie.

I Tribunali erano di due gradi ed erano distribuiti in tutte le province che avevano a Pechino i corrispondenti Tribunali supremi, ed erano:

 1. Il Tribunale supremo degli Uffici Civili, Li-pou, incaricato di designare  i Mandarini civili che promuovevano gli incarichi civili, le promozioni, i cambi, le destituzioni, le dimissioni le censure i degradi.

2. Il Tribunale supremo delle Finanze, Hou-pou, incaricato delle imposte e tasse, del commercio del sale, del trasporto del riso, del tributo a Pechino e del censimento della popolazione.

3. Il Tribunale supremo dei Riti Li-pou, incaricato del culto della religione, delle cerimonie, degli esami letterari dell’osservanza del lutto.

4. Il Tribunale supremo della Guerra, Ping-pou,  con i Mandarini militari delle stazioni dei messaggeri pubblici. 

5. Il Tribunale della giustizia criminale, Hing-pou, incaricato di esaminare le cause criminali e di determinare le pene proporzionate.

6. Il Tribunale supremo dei Lavori pubblici, Kong-pou  incaricato della costruzione e riparazione  degli edifici pubblici, delle fortificazioni, delle tombe degli imperatori della cura delle rive dei fiumi.

7. Il Tribunale dell’Astronomia e degli gli Stranieri si occupava delle questioni inerenti l’astronomia e degli Stranieri sui quali, quando erano autorizzati alla residenza, era esercitata la sorveglianza.

Ognuno di essi era composto da un Presidente e almeno dodici Consiglieri. 

 

 

IL MAPPAMONDO

DI P. RICCI

 

 

P

adre Ricci aveva costruito per gli amici cinesi che lo frequentavano e si occupavano di scienze, per soddisfare le loro curiosità scientifiche, quadranti solari (addirittura uno che segnava il giorno e la notte con il sorgere e calar del sole, e indicava il crepuscolo), quadranti geometrici, sfere e globi terrestri, oltre a mostrare le figure di apparecchi  riportati nel testo “Astrolabio” di Clavio.

E da tener presente che anche i cinesi ritenevano che la Terra fosse piana e quadrata (idea come si è visto, che da poco era stata superata in Occidente) e non avevano nessuna idea degli “antipodi” e che vi fosse “un solo cielo liquido (vale a dire pieno di aria) in cui si muovevano gli astri” (mentre p. Ricci secondo la dottrina di Tolomeo i nove cieli li riteneva solidi). Non solo, ma quanto al territorio cinese, si riteneva che fosse al centro della Terra e la occupasse quasi interamente.

P. Ricci aveva quindi avuto l’idea di disegnare un mappamondo facendone due copie, una per sé, l’altra destinata all’amico mandarino Lingozuon;  il disegno era stato diviso  in sei sezioni su altrettanti pezzi di tela, tutti collegati in modo da poter essere riuniti. La copia destinata a Lingozuon era finita  nelle mani  dell’imperatore: ma nessuno gliene aveva parlato prima, per non incorrere nella sua collera. Infatti, come poter presentare all’imperatore che credeva di regnare sul mondo intero, una immagine della Cina che costituiva appena la quarta parte del mondo? Per questo gli eunuchi si erano ben guardati dal mettere la pianta sotto i suoi occhi, sapendo quale sorte potesse attenderli se fosse caduta nelle sue mani in un momento di cattivo umore.

P. Ricci per non creare traumi, aveva avuto già l’accortezza (come si può rilevare dalla riproduzione) di mettere la Cina più verso il centro del suo mappamondo, rendendo più piccolo il resto dell’Asia a Ovest con la piccola appendice dell’India.

L’imperatore invece di risentirsi ne era rimasto così soddisfatto, sia  dell’opera sia delle note che l’accompagnavano (in cinese 3ùe a carattere religioso..., con brevi spunti sul vero Dio, sull’autorità e governo della Chiesa nei paesi in cui era riconosciuta la sua autorità, ecc.!) che inviò a Ricci l’ordine di stamparne dodici esemplari su seta, per poterle esporre negli appartamenti del proprio palazzo, regalarle  al figlio maggiore e a una delle sue concubine. Ma la copia in possesso di p. Ricci era rovinata e il gesuita fece dire all’imperatore che le avrebbe preparate nel giro di un mese e avrebbe fatto un mappamondo più completo e più esteso. Ma l’imperatore non voleva attendere un mese e per avere subito il lavoro diede incarico ai propri maestri di fare delle copie dall’esemplare che era nelle sue mani.

L’avvenimento ebbe tali proporzioni che tutti i mandarini si recarono da p. Ricci a felicitarsi della nuova testimonianza della confidenza dell’imperatore che per essere ritenuto una divinità, ricopriva estrema importanza.

 

 

CALCOLI MATEMATICI

E OROSCOPI

 

 

P

rima dell’arrivo dei Gesuiti, gli astronomi cinesi rimanevano impigliati nei loro calcoli a causa dell'imperfezione della loro  scienza, e ciò, non solo attirava su di loro la collera dell'imperatore, ma dava luogo alle più grandi inquietudini in tutto l'impero, oltre ad aver determinato per ben quarantacinque volte la riforma del calendario, prima della riforma dei pp. Adam  Schall e Jaques Rho (v. sotto par. I gesuiti giunti dopo ...ecc.).

Per la mancanza di un regolo, tutti i loro calcoli astronomici erano basati sul solstizio d'inverno. Esso costituiva il punto di partenza da cui poter determinare il movimento del cielo e le divisioni del tempo e questo non solo per soddisfare la loro curiosità scientifica, ma per ben fissare i vari punti del cielo e anche i tempi propizi e non propizi, ritenuti estremamente importanti per quel popolo che non prendeva  mai nessuna iniziativa, per insignificante che fosse, se prima non aveva consultato l'oroscopo.

Era importante quindi determinare con precisione il giorno in cui cominciava  l'anno, perché il più piccolo errore su questo punto avrebbe falsificato ogni calcolo degli astronomi e costoro avrebbero potuto indicare  come favorevoli dei giorni e delle ore che trali non fossero, e ciò costituiva, come detto, un affare di Stato per tutti i cinesi e veniva fatto stampare dall’imperatore all’inizio dell’anno in un enorme numero di copie che venivano mandate in tutte le provincie  (v. sopra nota 4).

Esso era compilato a seguito di minuziosi studi e osservazioni da parte dei matematici dell’imperatore ed era severamente vietato a chiunque apportarvi modifiche.

L’anno in Cina aveva inizio con il novilunio più prossimo al cinque febbraio; era in questo giorno che per i Cinesi entrava nel segno denominato “resurrezione della primavera”.

L’anno contava dodici  mesi lunari, uno di ventinove giorni, gli altri di trenta. Ogni cinque anni essi raccordavano l’anno solare con dei giorni intercalari.

Le settimane erano designate con il nome dei sette pianeti a ciascuna delle quali erano assegnate quattro costellazioni, una per ciascun giorno, di modo che una volta giunti al ventottesimo, si succedevano di sette in sette fino a tornare al primo.

Essi cominciavano e terminavano il giorno che aveva inizio a mezzanotte e diviso in dodici ore uguali e poi in cento parti in modo che ciascuna era divisa in cento minuti: pertanto un giorno intero era formato da diecimila minuti.

Essi inoltre, non contavano le ore in base all’ordine numerico che esse occupavano durante la giornata, ma le chiamavano ciascuna con il nome proprio.

Essi credevano che il cielo fosse stato creato nella prima ora del giorno, la notte alla seconda, l’uomo alla terza, ed era per questo motivo che le prime tre ore della giornata, costituivano un mistero ai loro occhi.

Il Tribunale dei matematici (v. sopra nota 4), che preparava il calendario aveva la funzione, non solo come detto, di annunciare il giorno in cui cominciava l’anno e il mese o il sole entrava in ciascuno dei segni dello zodiaco, o cadevano le eclissi, e di determinare i diversi aspetti della luna, le configurazioni dei pianeti, ma di distinguere e indicare i giorni e le ore propizie, di guisa che ciascuno potesse essere in grado di sapere ciò che doveva o non doveva fare in un determinato momento: se chiedere la grazia all’imperatore, se offrire un sacrificio, quando onorare la memoria dei defunti,  quando studiare, lavarsi, sposarsi, ricevere gli amici a pranzo, cambiare abitazione, gettare le fondamenta della casa, mettersi in viaggio. seminare, piantare; perché tutte le azioni della vita pubblica e privata, quelle che riguardavano i propri corpi o la terra, erano ritenute sottoposte alle influenze celesti  (è il principio delle energie del Feng-Shui secondo il quale “l’uono poggia i piedi sulla Terra, la testa nel Cielo e nello spazio intermedio si attua il suo destino” ndr.), ed essi non facevano mai niente senza consultare il calendario, per cui le prescrizioni erano accolte come degli oracoli infallibili.

Senza entrare in particolari su come i matematici preparavano un oroscopo, si può dire che essi prendevano alcuni caratteri, nel numero di dieci che attribuivano all’anno, da cui estraevano cinque elementi. Poi li assemblavano in sessanta maniere differenti con i nomi delle dodici ore del giorno. Prendevano quindi le ventotto costellazioni e combinando insieme le proprietà dell’elemento, della costellazione e del pianeta, deducevano il pronostico buono o cattivo e l’oggetto determinato su cui cadeva la loro influenza, favorevole o sfavorevole.  

Vi erano dei libri autorevoli, studiati come lo erano nel medioevo in Occidente quelli di Aristotele, ma le finalità erano a carattere esclusivamente pubblico e non privato. Infatti uno degli imperatori aveva proibito di servirsi dell’astrologia per usi diversi dalla preparazione dei calendari, a causa del turbamento che  potevano suscitare nello Stato certe predizioni degli astrologi. E ciò per evitare che presso il popolo (superstizioso come quello cinese), potesse verificarsi che, “predire a qualcuno ambizioso e intraprendente che un giorno sarebbe divenuto imperatore, costui potesse cercare di diventarlo effettivamente”! (1)  

 

1) L’imperatore Thsin-chi-hoang-ti (in cit. Cronologia Imperatori del Celeste Impero col nome di Shih-Huang-ti) che aveva preso il potere (255-206) inaugurando la dinastia T’sin o Ch’in o Quin, tiranno, superstizioso e violento, nell’anno 34mo del suo regno (213 a.C.)  aveva fatto di più! Aveva dato disposizione, sotto pena di morte, di bruciare tutti i libri classici, di morale, filosofia, astronomia e  storia, eccettuati da questa proscrizione i libri che indovinavano la sorte, di medicina, di agricoltura e gli annali della sua dinastia. Al decreto fu data esecuzione con estremo rigore in tutto l’impero e nella sola capitale furono messi a morte più di quattrocentocinquanta letterati considerati rivoltosi in quanto non avevano eseguito le disposizioni imperiali. L’imperatore non sopravvisse che tre anni al suo infame decreto (210) e quando fu seppellito si seguì la barbara usanza di seppellire con lui un gran numero di vittime viventi: a noi moderni è noto per il ritrovamento dell’ esercito di terracotta.

 

 

LA MEDICINA:

MEDICI PROFESSIONISTI

 

 

L

a medicina era pressappoco nella stessa situazione dell’astronomia. Infatti non si possedevano i principi di questa scienza che si conoscessero in via generale e a forza di pazienza e osservazioni, si ottenevano dei risultati che potevano equivalere a quelli dei medici che potevano aver studiato nelle università.

P. Ricci osservava in maniera piuttosto sbrigativa (non tenendo conto che vi erano trattati che risalivano all’epoca Sung (960-1126) e non faceva nessun accenno all’agopuntura) che per quest’arte (come per la matematica) non vi erano scuole pubbliche, ma ciascuno imparava da un proprio maestro e se si facevano esami nelle corti e si rilasciavano diplomi, essi non erano gratificanti e non vi era nessuna differenza tra quelli che avevano il diploma e quelli che non lo avevano.

Per questo non era vietato a nessuno praticare l’arte medica, sia se dell’arte si conoscesse molto sia se si conoscesse poco; è certo, egli aggiungeva, che sia alla medicina sia alla matematica, “si applicano persone che non possono studiar bene le lettere (ciò che al contrario avviene in Italia dove alla matematica e alle scienze si preferiscono le c.d. materie umanistiche!) “per il poco ingegno e abilità e così queste scienze sono in così bassa stima e fioriscono assai poco”.   

I medici ottenevano (come d’altronde gli alchimisti in Occidente) i loro rimedi dai metalli, sementi, radici, erbe, foglie, cortecce, ecc, e avevano dei libri con il loro disegno in modo da collegarli alle loro proprietà e virtù. Seguivano in questo, la dottrina di un loro antico imperatore chiamato Jen-ti (non individuato ndr.) corrispondente all’Ippocrate occidentale.

Il medico portava con sé la sua farmacia con cui componeva e somministrava i rimedi che prescriveva; egli non tornava dal malato per la seconda volta, se non chiamato, perché in Cina ciascuno, senza far tornare lo stesso medico, poteva chiamarne un altro, se non fosse stato contento del precedente.

I medici cinesi non estraevano il sangue se non in casi eccezionali; essi rimpiazzavano il salasso con una dieta rigorosa che è appena credibile, scrive p. Ricci, se non vi fossero state numerose testimonianze:  Lasciavano infatti i malati digiuni per dieci, quindici e anche venti giorni, senza lasciar prendere loro alcun nutrimento; consentivano di bere soltanto acqua, quanta se ne voleva e succo di pera tre o quattro volte al giorno. Il padre Bartoli citava il caso di un fratello della Compagnia che fu guarito con questo metodo da una malattia mortale.

Il loro aforisma (che padre Ricci raccomandava ai medici europei) era il seguente: “Se l’acqua nella marmitta bolle e deborda, voi o cercherete di togliere il fuoco o aggiungete dell’acqua fredda, perché se  cercherete di togliere l’acqua che bolle, voi non potrete impedire a quella che resta di continuare a bollire. Per la stessa ragione, se voi volete calmare l’ardore del sangue in quelli che hanno la febbre, non cercate di tirarlo via con il salasso, ma toglietegli con la dieta ciò che alimenta il calore  o correggetelo con qualche rinfrescante”.

Essi quindi ritenevano che procedendo a questo modo si poteva star certi che gli esiti sarebbero stati straordinari.

E’ da dire, si precisava, che i medici cinesi avevano una abilità straordinaria a fare le diagnosi dei malati e non era necessario che il malato spiegasse ciò che sentiva. Essi gli si sedevano accanto e gli veniva tastato il polso per circa mezz’ora; dopodiché gli veniva fatto  l’elenco di tutti i sintomi che aveva avuto, giorno per giorno, come se essi stessi li avessero provati e annunciavano per di più, i sintomi che gli si sarebbero rivelati nei giorni seguenti.

 

E CIARLATANI

 

 

A

ccanto ai medici che avevano seguito gli studi e conseguito un diploma, poiché l’esercizio della attività era libero, proliferava un numero rilevante di ciarlatani; a proposito di costoro, era stato scritto: “poiché il numero degli insensati è molto grande dappertutto, essi trovano credito presso la popolazione e sono anche più stimati e ricercati dei primi” (ciò in sintesi riassume quanto scritto in Doktor Faust ecc., v. in sez. Articoli).

 “I cinesi” si precisava “per la maggior parte non credono all’immortalità dell’anima, avendo su questo argomento delle idee confuse e incerte (*) e tutte le loro esperienze le limitano alla vita presente.

Essi si aggrappano alla esistenza con una sorta di ardore frenetico e la morte è per loro il più grande di tutti i mali, per questo la detestano e guardano alla vita  come al primo di tutti i beni. E come la vita potrà essere peggiore della morte se l’uomo fosse condannato su questa terra alle privazioni e alla sofferenza, essi ritengono renderla più dolce possibile, cercando di acquistare con tutti i mezzi la fortuna  con la quale possono procurarsi ogni altra gioia. Da ciò la passione che essi portano fino alla mania e che i ciarlatani di cui stiamo parlando sanno meravigliosamente interpretare.

Costoro si vantano di possedere dei rimedi misteriosi che hanno la virtù di ringiovanire gli anziani e di prolungare la vita per diversi secoli. Per meglio persuadere i più ingenui della loro efficacia, si mostrano essi stessi come esempio. A sentirli, essi hanno già vissuto quattro o cinquecento anni e raccontano, per provarlo, avvenimenti lontani come se ne fossero stati testimoni.

Quando sono riusciti a convincere la popolazione di una città o di un villaggio e a vendere le loro ricette, passano a un altro paese  lasciando le loro  vittime  attendere in pace gli effetti degli elisir che hanno acquistato”.

  

 

*) La credenza generalizzata dell’epoca, in Cina, era che il corpo umano avesse due anime, una materiale uscita dallo sperma e l’altra aeriforme (hounn) che si formava dopo la nascita, poco a poco per condensazione dell’aria respirata; le due anime vivevano e agivano in funzione del vigore fisico e morale che avevano acquisito con l’alimentazione e lo studio. Dopo la morte la loro preoccupazione era di procurarsi con tutti i mezzi il necessario per mantenere la loro vita spettrale. Se quindi all’anima veniva procurato il nutrimento, essa non faceva né bene né male, ma se veniva affamata essa si dava al brigantaggio. Uno dei padri gesuiti, L. Wieger (nel libro Histoire des croyance religeuse e philosopique 1917), a proposito delle reliquie costituite da parti del corpo di un defunto, non molto gradite ai cinesi  (v. sotto), riportando il pensiero dei Letterati interpreti di Confucio, riferiva che: “l’anima superiore lascia il corpo al momento della morte, mentre l’anima inferiore poteva rimanere nel corpo per un tempo variabile, per cui questi corpi non più umani e informi, con la sola anima inferiore, diventavano orribili vampiri, stupidi e feroci. Per questo un cranio un osso o qualsiasi parte del corpo, dopo tanti secoli avrebbe potuto compiere ogni sorta di cattiverie e per questo motivo non accettavano di tenerli in casa”.

In una borsa di p. Ricci, quando era stato arrestato da Ma-T’ang avevano trovato un reliquario con ossa umane, Han Yu aveva detto che non si doveva lasciare introdurre a Corte simili novità che potevano portare malaugurio.

Non solo ma quando P. Ricci era in attesa di essere ricevuto a Corte, l’imperatore si era rivolto al tribunale dei Riti che doveva approvare la ammissione a Corte di uno straniero e il Tribunale aveva risposto che “l’Europa non aveva alcun legame con la Cina e non segue le nostre leggi” (analoga risposta darà l’imperatore Qian-long (1736-1796) a re  Giorgio III d’Inghilterra “... “i re di qualsiasi paese per mare e per terra portano ogni sorta di doni preziosi... di conseguenza,  non ci manca niente.”) .

Le immagini di T’ien-Tchou (madre del Cielo) e di una vergine - proseguiva il Tribunale -  che padre Ma-thieu offre come tributo, non sono di gran valore; per le ossa che egli dice essere di un immortale, sembra strano che “andando in alto” non portino con sé le loro ossa.noi giudichiamo”, concludeva il Tribunale, “che non si devono accettare simili presenti, né permettere a Li Ma-teou di rimanere a Corte; egli deve tornare al proprio paese”. E così p. Ricci non vide mai l’imperatore Wan-li!

 

 

I GESUITI GIUNTI DOPO

LA MORTE DI P. RICCI

 

 

A

ltri tre gesuiti giunti subito dopo la morte di p. Ricci mantennero il prestigio raggiunto  per suo merito nella conoscenza delle scienze.

Lo seguirono il suo collaboratore p. Pantoja affiancato da p. Longobardi (1) e poi da p Schreck (2); dopo costoro  giunsero  p. Johann Adam Schall von Bell (3), e p. Jaques Rho (4) e altri ancora (v. nota) dei quali indichiamo solo i primi che seguirono subito dopo la morte di p. Ricci..

P. Schall fu nominato direttore dell’osservatorio astronomico di Pechino incaricato nel 1629 della riforma del calendario, presentata all’imperatore nel 1634 e per le sue specifiche conoscenze in balistica...gli fu affidata la direzione della fonderia dei cannoni!

I gesuiti che riformarono il calendario tradussero il “Catalogo delle stelle” con le loro declinazioni di cui era autore Tyco Brahe (v. nota Astronomia); i nomi cinesi che essi diedero alle stelle erano i nomi che avevano dato gli antichi astronomi, mentre  le ascensioni, latitudini, longitudini e declinazioni erano quelle di Tyco Brahe. Si poteva comunque subito capire quali fossero le novità introdotte dai gesuiti  dai precedenti rilevamenti apportati dagli astronomi cinesi, che avevano indicato le differenti costellazioni e diviso il cielo tra di esse.

Padre P. Gaubil (in Observations mathematique, astronomiques et geografique, Paris  1732) rileva che “gli astronomi cinesi indicavano il luogo delle Pleiadi e distinguevano le stelle e avevano i loro segni per individuarle nel loro Catalogo, e ciò avevano fatto dal duemillesimo fino al centocinquantesimo anno a.C.” .

 

1) I pp. D. Pantoja (che aveva fatto dipingere  da p. J. Neva per l’imperatore quattro carte, una per ogni parte del mondo, arricchite da ornamenti a sbalzo in oro) e N. Longobardi avevano avuto, a quanto risulta, una produzione esclusivamente religiosa .

2) P. Schreck (più propriamente Jean Terrenz 1576-1630) Teng Yu-han An-P’ouo, svizzero, medico, matematico e filosofo; conosceva oltre al latino, la lingua ebraica, caldea e greca e parlava correntemente il francese, inglese e portoghese, aveva avuto una consistente produzione scientifica. Si era occupato della riforma del Calendario per l’imperatore T’chong-t’cheng (1627-1644), successivamente modificato da p. Schall (1634), e aveva scritto un libro sulla struttura del corpo umano (2 Voll.), uno sulla esplicazione degli strumenti di meccanica (3 Voll.), un compendio delle due sfere (2 Voll.), uno sulla costruzione delle sfere (1 Voll.), uno sullo zodiaco e l’eclittica (1 Vol.), uno sui calcoli da fare sulle eclissi (3 Voll.), un libro sulla situazione medica della Nuova Spagna e infine uno strano libro che dimostra la sua molteplicità di interessi, su scritti andati perduti di Paracelso e sulla interpretazione di vocaboli oscuri ai quali aveva fatto ricorso Paracelso: v. in Cronologia 1500,1541) Compendium eorum quae à philosophus Paracelso suis in scriptis dispersa sunt, catalogus in quam plurima teofrastica vocabula solita obscuritate referta dilucidantur).

3) Padre Johann Adam Schall von Bell-T’ang Jo-wang Tao Wei (1591-1666) di Colonia eminente astronomo e scienziato, era stato vicino a Galileo ed erta giunto in Cina nel 1621. P. Schall aveva costruito un quadrante solare orizzontale, sconosciuto in Cina, in marmo bianco di cinque piedi di lunghezza sostenuto da un drago di squisita fattura. Aveva anche costruito per personaggi della Corte  dei piccoli quadranti solari d’avorio e per gli astronomi degli occhiali di diversa gradazione, delle sfere, dei compassi, astrolabi ecc. tutti strumenti che facilitavano le osservazioni.

 4) Padre Jaques Rho-Lou Ya-ko wei-chao (1593-1638), milanese di origine, aveva scritto (oltre a opere religiose) una poderosa opera di matematica di dieci volumi di “Geometria teorica e pratica delle linee, superfici e solidi” (Tch’é-liang ts’iuen i) ed era stato il primo a introdurre in Cina le regole del calcolo dello scozzese John Neper (1550-1617) che aveva appena inventato i “Logaritmi”. 

P. Ferdinand Verbiest-Nan Hoai-Jen Toen-Pé (1623-1688) belga: a leggere i dati biografici di questi padri non c’è che da rimanere strabiliati e pieni di ammirazione per la molteplicità delle loro conoscenze e delle loro attività. P. Verbiest fu per l’imperatore in carica K’ang-hi (1662-1722) quello che era stato p. Mattei per l’imperatore Wan-li. Astronomo, cartografo, esperto di idraulica... e esperto anche nella fabbricazione di pezzi di artiglieria! Aveva composto i calendari di diverse annate del regno di K’ang-li, in cinese e tartaro, calcolando per ciascun anno il movimento degli astri. Non solo: essendo stati vani tutti i tentativi fatti in precedenza per evitare le inondazioni di un vasto territorio, studiando la pendenza, la direzione e la portata delle acque, fece costruire un canale che raccoglieva diverse sorgenti che  provocavano gli allagamenti, rendendo fertili quei terreni che prima erano inutilizzabili. Ma non è tutto! P. Verbiest faceva da interprete (1676) all’ambasciata russa in quanto i russi non conoscevano né il manciù né il cinese e costoro non conoscevano il russo e tutti accettarono il latino, col risultato che i gesuiti assunsero presso l’ambasciata russa di Pechino il ruolo di interpreti divenendo depositari dei segreti di Stato delle due Corti. P. Verbiest tra opere religiose e scientifiche, di matematica, astronomiche e geografiche, e memorie su vari argomenti scritte per l’imperatore, ne scrisse quaranta, delle quali basti citare Teoria, uso e fabbricazione degli strumenti di astronomia e di meccanica (I-siang tche in 14 Voll, Pechino 1673, ristampata in 16 Voll nello stesso anno  col titolo Sin tche ling t’ai i-siang tche) e Astronomia perpetua per l’imperatore Kang-hi (K’ang-hi yong-nien li-fa, in 32 Voll., Pechino 1678).

Oltre a p. Ricci che aveva aperto la strada, gli altri gesuiti cvhe lo seguirono, con i loro scritti diedero all’Occidente l’immagine di una Cina che faceva sognare i grandi spiriti e tra questi i pp. che seguono.

 P. Martino Martini-Wei K’oang-Kouo Tsi T’ai (1614-1661), trentino, morto nella missione di Hang-tcheu, aveva scritto due opere fondamentali, in geografia (1655) il Novus Atlas Sinensis, corredato da splendide mappe che egli stesso aveva preparato, e in storia (1658) la Sinicae Historiae Deca Prima (poi seguì la Deca seconda di cui non si hanno notizie); da questa era stata estrapolata la Guerra tartarica (De bello tartarico: dei mongoli-manciù che governeranno con la loro dinastia dal 1644 v. cit. Cronologia Imperatori del Celeste impero): tradotta in francese e molte altre lingue costituiva l’ unica storia della Cina dall’antichità in poi basata su fonti cinesi.  

P. Alvarez Semedo-Lou Té-Tchao Ki-Yuen (1585-1658) portoghese; aveva proseguito la storia di p. Martini con la Storia Universale della Cina scritta i francese la quale però, nonostante il titolo, riguardava solo il periodo contemporaneo del padre gesuita, seguita dalla relazione di

P Gabriel de Magalan  con “Nuova relazione della Cina”.

●  Dalle relazioni inviate a Roma da p. Daniello Bartoli era stato tratto  (1663) un volume dedicato alla Cina.

P. Athanasius Kircher pubblicava (1667) un grosso volume sulla “Istoria della Compagnia di Gesù e la China Illustrata” arricchita da bellissime incisioni.

 

 

LE OPERE

SCIENTIFICHE DI P. RICCI

 

La produzione scientifica di p. Ricci  era risultata intensa nella stesura dei seguenti testi scritti anche con collaboratori:

Elementi di geometria - Jihe yuanben (traduzione cinese dei primi sei libri degli Elementi di Euclide, nell'edizione e commento di C. Clavio fatta da Paul Tsiu sotto la direzione di p. Ricci), Pechino 1607, seguita da numerose successive nuove edizioni.

Aritmetica pratica - T’ong wen sonn tche (11 Voll). scritto dal discepolo Li Tche-tsao (dott. Leon) Pechino 1614.

Geometria pratica - Tch’é liang fa i (1 vol.); costituisce la sostanza delle lezioni tenute da p. Ricci sulla teoria delle misure astronomiche per mezzo dei triangoli rettangoli e di un trattato sulla fabbricazione degli strumenti e delle regole pratiche per servirsene.

Sviluppo della teoria del triangolo rettangolo - Keou-kou i (1 Vol),  contiene illustrazioni aritmetiche e delle loro proprietà geometriche.

Trattato delle figure isoperimetre - Huangrong jiaoyi (1. Vol.), scritto da Li Tche-tsao sotto la direz. di p. Ricci, Pechino 1609. é un breve trattato di geometria in  diciotto proposizioni sulle superfici e i volumi proporzionali delle diverse figure piane e solide iniziando dal triangolo e andando per gradi fino al cerchio e alle sfere.

Sviluppo della sfera celeste - Hoen kai t’ong hien t’ou chouo, 2 Voll., tratta della proiezione stereografica della sfera celeste, illustrata da figure e descrizioni minuziose con tavole delle posizioni delle stelle fisse e le declinazioni del sole.

Completa mappa geografica di tutti i paesi del mondo - Kunyu wanguo quan tu, si tatta del famoso mappamondo descritto in articolo. Pechino 1602, con successive nuove edizioni.

Spiegazione del cielo materiale e della terra - K’ien k’oen t’i i; 2 Voll.; 3 Voll. nell’edizione successiva;

Saggio sui quattro elementi-Si yuanxing lun (Nanchino 1599-1600). P. Ricci aveva scritto questo libro in seguito a una discussione, durante una conferenza, sugli elementi  della natura che in Occidente erano i quattro dei filosofi greci: acqua aria terra fuoco, mentre i cinesi ne calcolavano cinque: escludendo l’aria, agli altri tre elementi, acqua, terra e fuoco aggiungevano il metallo e il legno.

Trattato delle costellazioni - Jingtian gai, Pechino 1601

Il disco solare è più grande del globo terrestre e questo è più grande del disco lunare - Riqiu dayu diqiu, diqiu dayu yueqiu, Pechino dopo il 1606-07.

Astrolabio e sfera con figure e commento - Hungai tong xian tushuo (traduzione cinese dell'Astrolabio di C. Clavio, in collaborazione con Li Zizhao), Pechino 1607.

Trattato di aritmetica - Tongwen suanzhi , Pechino 1613.

Teoria e metodo delle misure - Celiang fayi, 1617.

Spiegazioni del triangolo - Gougu yi1607.

Misteriosa mappa visiva di tutto il mondo Liangyi xuanlan tu, Pechino 1603;

Completa mappa geografica dei monti e dei mari - Shanhai yudi quantu, Nanchino 1600.

●  Mnemotecnica occidentale - Xiguo Jifa, citato in articolo, pubblicato dopo il 1625.

●  A proposito del clavicembalo regalato all’imperatore, è  da aggiungere che nell’intento di far conoscere la musica del clavicembalo, a cura di p. Ricci furono scritte “Otto canzoni per clavicembalo occidentale”.

 

 

FINE