Diana di Poitiers idealizzata da
F. Cluet - National Gallery - Londra
DIANA DI POITIERS
AMANTE
RINASCIMENTALE
SOMMARIO:
ANTEFATTO DEGLI AVVENIMENTI DELLA PRIMA META’ DEL “ 500”;
LA DORATA CREATURA;
LUIGI XII SISTEMA LE QUESTIONI INTERNE DEL SUO DIVORZIO E LE PRETESE DELLE PRINCIPESSE;
LA FANCIULLEZZA DI DIANA E L’INTRECCIO DEI MATRIMONI PRINCIPESCHI;
LA PRIMA CAVALCATA DI FRANCESCO I E L’OSPITALITA’ DI DIANA;
LA GRANDE FESTA DI CARLO DI BORBONE E IL PARENTADO DI DIANA CON I MEDICI;
GLI ATTRITI TRA FRANCESCO I E IL BORBONE E LA SUA DRAMMATICA DECISIONE;
SAINT VALLIER SALVATO DALLA FIGLIA DIANA INGIUSTAMENTE CALUNNIATA;
LA PRIGIONIA DI FRANCESCO E DEI FIGLI - FRANCESCO FESTEGGIA LA LIBERTA’ CON UNA NUOVA AMANTE;
IL TRATTATO DELLE DAME E LA LIBERAZIONE DEI FIGLI DI FRANCIA;
IL MATRIMONIO DI ENRICO CON CATERINA DE’ MEDICI;
CONTRO OGNI ASPETTATIVA ENRICO DIVENTA DELFINO;
L’INCONTRO CHE SEGNA L’INIZIO DEL RAPPORTO TRA ENRICO E DIANA;
IL REGNO DI FRANCESCO II LA REGGENZA DI CATERINA L’ASSASSINIO DI COLIGNY E I CALVINISTI;
IL DUELLO GIUDIZIARIO CON LO SPADONE SVELATO “LE COUP DE JARNAC”;
I CAMBIAMENTI A CORTE E LA “PÉTITE BANDE” DI CATERINA;
IL MATRIMONIO DI MARIA STUART E FINE DEL RAPPORTO TRA CATERINA E DIANA;
UNA FINE PREANNUNCIATA DAGLI ASTROLOGI.
ANTEFATTO
DEGLI AVVENIMENTI
DELLA PRIMA META’
DEL “
S |
crivere di Diana di Poitiers significa raccontare avvenimenti che
si sono verificati in Francia e Italia, e non solo, durante la prima
metà del “
Questo articolo costituisce un antefatto degli avvenimenti che si
svilupperanno in tutto il secolo, principalmente in Francia, Spagna, Italia e
Germania e avranno per protagonisti Francesco I di Francia e Carlo V il quale,
tra le fortune che gli erano letteralmente cascate sulla testa (come corone di
regni!), vi era quella di essersi trovato a vivere in pieno Rinascimento, senza
averne saputo cogliere lo spirito e ancor più, senza aver incrementato,
come mecenate, il suo sviluppo, intento a far guerre, per inseguire, a pro suo, l’idea della monarchia universale, dilapidando
così tutto l’oro (quarantamila tonnellate!) proveniente dal Nuovo
Mondo (v. Articoli: Carlo V tra Rinascimento, Riforma e Controriforma P.I).
Mentre Francesco I oltre alle donne, amava anche l’arte e
non amava invece, Parigi fetida e turbolenta e l’arcaico Louvre di cui
aveva fatto abbattere il donjon;
Chambord era stata l’opera della sua esuberante giovinezza, Fontainbleu
diventerà il simbolo del Rinascimento francese che si svilupperà
con l’arrivo del Rosso (1531), del Primaticcio (1533), di Benvenuto
Cellini e infine di Leonardo, che tra l’altro gli lascerà
Non solo, ma tra i personaggi che si affacciano fin
dall’inizio nell’avventura di questo nuovo secolo, troviamo Carlo
di Borbone, questo grande vassallo dalla fierezza selvaggia, dalle ambizioni
indecise, guidato dai cambiamenti del suo umore e dalle sue inquietudini
segrete, decisamente contro-corrente in una Francia tutta raccolta intorno al
proprio re rinascimentale quale era Francesco I, con la conseguenza che tra i
due personaggi i rapporti sarebbero stati, come vedremo, fortemente traumatici:
tra l’altro per la redazione di questo articolo ci siamo serviti del
prezioso libretto di Philippe Erlanger (1903-1987), Gallimard,1974.
L |
a “dorata creatura dalla bellezza
impareggiabile, la divinità della Rinascenza francese, la maga che aveva
stregato un principe del quale poteva esser madre”, è una
delle definizioni date a Diana di Poitiers, considerata l’impronta del
XVI sec., “le gran
siécle”.
Di nobiltà
feudale, attestata da una infinità di titoli (*) portati dal padre Jean
de Poitiers (un Raimondo di Poitiers aveva partecipato alla Crociata: v. in
Art. I mille anni dell’impero bizantino: Cap. VIII, P. II) e dalla
proprietà di tre castelli di famiglia, di Saint-Vallier, Pizançon e Estoile-Serignan, che testimoniavano la decadenza
dell’epoca feudale rispetto all’epoca rinascimentale che si stava
affermando lungo
Jean era
nato (1475) da Aymar VI e Anne de
Nel 1125
capo della casa di Poitiers era il conte di Velentinois e il suo stemma era
armato di una fiamma capovolta con il motto “Qui me alit, me estinguit - Chi soffia su di me, mi spegne.”
Alla fine
del XIV sec. la famiglia si era divisa in due rami, di Saint-Vallier e di
Valentinois, in quanto il re Carlo VII aveva richiesto la cessione delle
proprietà feudali di Diois e Valentinois; in cambio il re si impegnava a
pagare cinquantamila scudi d’oro per la prima e settemila fiorini di
rendita per la seconda.
La vendita
non aveva avuto fortuna in quanto il re si era impossessato delle
proprietà, ma non era stato in grado di far fronte ai pagamenti: ne era
seguito un secolo di contestazioni tra i Saint-Vallier e la casa reale.
Il matrimonio di una figlia di questa nobiltà primaria, costituiva un affare di Stato e Anna de Beaujeau, che
amministrava il regno di Francia per conto del fratello minore di quattordici
anni (futuro Carlo VIII), aveva pensato di farlo sposare a Diana.
Anna di
Beaujeau, era figlia di Luigi XI di Valois (1423-1483) il quale aveva avuto
numerosi figli, ma viventi erano rimaste due sorelle, Giovanna e Anna e il
fratello Carlo; aveva sposato Pietro di Borbone, conte di Beaujeau, a ventidue
anni; dagli ultimi sussulti della feudalità, Anna, reggente del fratello
Carlo, aveva trasformato il regno in un sistema centralizzato durevole, che
neanche Luigi XI si sarebbe sognato di realizzare.
Carlo,
divenuto nel frattempo maggiorenne (1491) e incoronato come Carlo VIII, grazie
a sua sorella Anna, qualificata come “Madame
Quando Anna
di Valois aveva cessato di svolgere la carica di reggente, poiché il
marito Pietro di Borbone, alla morte del fratello maggiore, aveva ereditato il
titolo e le proprietà, con i sui talenti, Anna
si dedicava alla amministrazione degli immensi beni della casata, gestendoli
personalmente.
Anna aveva
avuto dal marito una figlia, Susanna, deforme e affetta dalla deturpante
scrofola (una sua riproduzione la riproduce però come una bambina sana),
ma la madre non si perse d’animo e prese presso di sé un giovane
cugino del marito, Carlo di Montpensier (1490-1527), erede del ramo cadetto dei
Borbone-Montpensier, che diventerà famoso come Connestabile di Borbone.
Madame
In questo
frangente, Luisa di Savoia (1476-1531) figlia del conte Filippo di Bresse
(questo ramo di Bresse sostituiva
il ramo ducale che si era estinto in quel torno di tempo, per cui il conte di
Bresse diveniva duca Filippo II di Savoia; alla estinzione di quest’altro
ramo, subentrerà il ramo di Carignano) e di Margherita di Borbone,
sorella del duca; Luisa, all’età di dieci anni viveva (in Francia)
in povertà e la zia la prese con sé, affidandole le cure della
figlia Susanna: sarà la terza delle primedonne di Francia!
Madame
Luisa era
una donna dalla volontà ferrea e paziente (la divisa del suo stemma sarà:“Umiltà
e pazienza”), sapeva mantenere i segreti e accettava anche le
umiliazioni (per comparire decentemente, aveva venduto ottanta libri per
acquistare un vestito di satin cremisi),
doti che servirono a forgiarle il carattere che, anche con la sua profonda
asprezza, le avevano dato la possibilità di educare i due figli, che
diventeranno grandi personaggi per
*) Marchese di Crotone, visconte de l’Etoile, barone di
Clérieux-Serignan-Carbempré e Chantemerle, conte di Diois e
Valentinois.
LUIGI XII
SISTEMA LE QUESTIONI
INTERNE DEL SUO DIVORZIO
E LE PRETESE
DELLE PRINCPESSE
C |
arlo VIII (v. cit. Art. L’Europa verso la fine del
medioevo, P. IV), moriva improvvisamente battendo la testa all’architrave
di una porta che stava attraversando a cavallo; ma era stata avanzata
l’ipotesi dell’avvelenamento causato da una arancia presa da un
paniere che gli era stato mandato in dono dall’Italia (era l’epoca
dei Borgia e gli italiani erano considerati grandi avvelenatori!).
Era stato lasciato morire su di un pagliericcio per nove ore, in
una delle sale più sporche del castello di Amboise, senza che nessuno
gli prestasse assistenza; con lui si estingueva la dinastia dei Valois.
Gli
succedeva il duca Luigi d’Orleans (1462-1515) al quale Luigi XI aveva
dato in moglie (1476) la figlia Giovanna di Valois (1464-1505), che si diceva
avesse l’anima di una santa e il corpo di un mostro; Luigi era una testa
calda, tenebroso e senza cervello, ma quando prese la corona col nome di Luigi
XII, subì una tal metamorfosi, da diventare un sovrano liberale che
aveva saputo guadagnarsi da una parte l’affetto del popolo, da essere
considerato “padre del popolo”,
e dall’altra, aver avuto l’ammirazione dei grandi per il suo carattere
cavalleresco, di gentiluomo e di cavaliere.
Il giudizio
nei suoi confronti non fu unanime: Voltaire aveva detto che “aveva le qualità che fanno dare a un
re il nome di padre per il popolo e non quello che glielo fanno dare per la
nobiltà”; e ancora secondo Voltaire: “non fu né un eroe né un gran politico”;
altri avevano criticato la sua parsimonia dicendo che: “aveva una piccola anima e un piccolo
spirito, la parsimonia”; insomma ogni medaglia ha sempre il suo
rovescio!
Il re
dovette innanzitutto risolvere il rapporto con la moglie Giovanna, dalla quale
si separava (1499), per sposare la moglie di Carlo VIII di cui era stato intimo
amico, la piccola e fiera Anna di Bretagna della quale si era anche innamorato (la
seconda delle tre prime donne!).
Il processo
che era seguito nei confronti della regina Giovanna aveva presentato spunti
piuttosto intriganti e piccanti in quanto Giovanna sosteneva che dopo ventisei
anni di matrimonio (ma erano stati poco meno), aveva i suoi giusti motivi per
ostacolarlo, contestando le affermazioni del marito (*).
Dall’Italia
era giunto Cesare Borgia che per conto del padre papa Alessandro VI, portava la
bolla per l’annullamento del matrimonio del re, oltre al cappello
cardinalizio per Georges d’Amboise.
Il re gli
mostrò tutta la sua gratitudine concedendogli il ducato (così
elevato da contea 1498) di Valentinois e
Diois, con le proteste di Jean de Poitiers che non aveva rinunciato alla
proprietà non ancora pagata, il quale intentava un processo innanzi al
Parlamento di Grenoble.
Jean nel
frattempo sposava un’altra Giovanna, figlia di Imbert de Baternay,
signore di Bouchage, che portava una dote di ventimila scudi d’oro e per
di più in futuro tutti i beni della famiglia Baternay sarebbero passati
ai Poitiers-Saint-Vallier.
I benefici
concessi dal re a Cesare non si limitavano al ducato; il re lo nominava
comandante di una compagnia di cento
lance, gli furono dati trentamila ducati e assegnata una rendita di
ventimila lire; inoltre il re si impegnava a
prestargli aiuto per la conquista della Romagna e gli faceva sposare (**)
Charlotte (1499), figlia del sire
Alain d’Albret, che doveva essere dotata (dal papa) della somma di
duecentomila scudi.
Cesare, da
Charlotte aveva una figlia, Louise, duchessa di Valentinois che sposava (1517)
il sire Louis II de
Trémouille; con questo matrimonio si concordava finalmente la
restituzione del ducato (***) a Philippe de Bourbon-Busset (1530).
Infine,
Luisa, l’avida savoiarda che desiderava mettere sul trono il figlio
Francesco e reclamava il ducato d’Orleans (che da quel momento sarà
assegnato ai Delfini), fu
accontentata con alcune terre e un incarico a Corte.
*) Per giustificare il divorzio, Luigi XII sosteneva di aver
subito minacce da parte di Luigi XI e di Carlo VIII per sposare Giovanna, e le
accuse a lei rivolte erano di essere inidonea alla maternità, per essere per natura imperfetta per
accoppiarsi e per essere viziata e malfatta per potersi
congiungere con un uomo, sì da
non poter concepire, per non poter ricevere il seme maschile; per di
più, la regina, per pudore, non permetteva di essere guardata dal marito
quando erano da soli, per cui non si poteva dare un giudizio sul suo corpo e si
riteneva che tali comportamenti fossero contrari ai fini di un buon matrimonio.
La regina però, durante il suo interrogatorio rispose
senza mezzi termini, sostenendo innanzitutto che la parentela entro il quarto
grado e l’affinità spirituale non costituivano impedimenti
sufficienti e che comunque a suo tempo era stata concessa la dispensa; inoltre,
che il matrimonio non era stato forzato e le condizioni erano riportate nel
contratto; per quanto riguardava gli amplessi con il marito, contrariamente
alle sue affermazioni, lei i loro rapporti intimi li descriveva “senza remore e assolutamente liberi, come avviene tra marito e moglie”, precisando
che “il re l’aveva conosciuta
intimamente e carnalmente”.
Alla regina era stato chiesto se avesse dei difetti che le altre
donne non avessero e lei rispose: “io
non sono né meno bella né meno ben fatta di tutte le altre donne,
e non credo di essere meno adatta al matrimonio e sono adatta al rapporto con
un uomo”.
Il re inoltre fece chiedere una visita da parte delle levatrici,
ma la regina rifiutò, “per
pudore e perché riteneva una visita del tutto inutile e anche
perché il re la conosceva bene per i ripetuti rapporti carnali che
avevano avuto, che non erano stati estorti con la violenza”.
A conferma di ciò, la regina volle dare un esempio di
questi loro rapporti intimi e molto liberi, ricordando che una volta il re era
andato a visitarla a Ligniéres, dove si era fermato per dieci o dodici
giorni, durante i quali “essi
avevano pernottato solus cum sola, nudus cum nudas, avendo rapporti carnali
senza impedimenti, con copula carnale, guardandoci, baciandoci, con amplessi e
altri segni di appetiti che si verificano gioiosamente nella copula coniugale;
ciò - proseguiva la regina - aveva portato il marito ad alzarsi dal
letto e in presenza di altre persone aveva detto di aver bisogno di bere e di
mangiare per averne fatte tre o quattro”, dicendo in lingua gallica,
“mi sono ben guadagnato da bere
perché ho f... mia moglie durante la notte per tre, quattro
volte”; ciò,
aggiunse la regina, è avvenuto da quando è morto Luigi XI.
Alla fine la regina poiché il divorzio era
affare di Stato, rinunziò a ulteriori difese e lasciò che fosse
pronunciata la sentenza di annullamento del suo matrimonio e come duchessa di
Berry creava nei suoi possedimenti (a Bourges), un convento
dell’Annunziata, dove si ritirava per guadagnare il regno dei cieli (fu
infatti considerata in stato di santità).
**) Questo matrimonio era un matrimonio di ripiego in quanto in
quel periodo in Francia si trovava un’altra Carlotta, figlia di Federigo
d’Aragona (di cui abbiamo parlato nell’articolo su Antonio Ferraris
il Galateo,v.) che Cesare aveva già chiesto di
sposare (per le sue mire espansioniste!).
La risposta della principessa fu decisa: disse “di non volere per marito un prete, figlio di
prete, sanguinario, fratricida, un uomo abominevole per nascita, ma molto
più per la perfidia dei suoi costumi”, e così Cesare
ripiegò su Charlotte!
***) Le vicissitudini del ducato non finivano qui, perché
Enrico II lo donava (1548) a Diana e alla sua morte (1566) il ducato ritornava
alla Corona; successivamente Luigi XIII lo donava ai principi di Monaco (1641)
e poi con
LA
FANCIULLEZZA
DI DIANA E
L’INTRECCIO DEI
MATRIMONI PRINCIPESCHI
D |
ella madre
di Diana si sa solo che aveva fatto cinque figli, di cui due maschi, dei quali
il primo, Filiberto, moriva alla nascita, mentre sopravviveva Guglielmo, e
delle tre femmine Diana era la primogenita, seguivano Anna e Francesca.
Il padre era
legato a Diana e fin dall’età di sei anni, piccola e fragile, la
portava a caccia tra i rudi cacciatori e le dame con il viso tinto di rosso o
mascherate con velour nero, per
salvare il colore della pelle.
Queste
abitudini collegate alla caccia: alzarsi presto al mattino, fare bagni con
acqua fredda; cavalcare focosamente e cacciare tra i boschi i nobili animali,
aveva contribuito a darle un fisico resistente, con il gusto di forzare per farcela che le
rimarrà per tutta la vita; così la bambina cresceva e presto
incomincerà anche a leggere buoni libri, e il soffio della rinascenza
entrerà anche nel castello di Saint-Vallier.
Anna di
Beaujeu e Anna di Bretagna, raccoglievano nelle loro Corti giovanette di alta
nascita (dette per questo “madri
delle vergini”); Diana invece era stata mandata dalla zia Anna de
Bourbon-Beaujeau, Madame
Morto il
duca di Borbone (1505), Anna di Beaujeu riesce a realizzare il suo desiderio di
matrimonio per la figlia Susanna che sposa Carlo di Montpensier (nonostante la
nuova opposizione del consiglio di famiglia e del Parlamento!); Luigi XII, non
riuscendo a contrastarla, accettava anche la clausola di matrimonio voluta
dalla madre, con la quale i due sposi si facevano reciproca donazione dei
propri beni, col risultato che il quindicenne giovane Borbone diventava
l’uomo più ricco di Francia: una potenza che si confrontava con la
corona.
Durante una
malattia di Luigi XII la regina aveva destinato la figlia Claudia (piccola e
mingherlina) a Carlo d’Asburgo (futuro Carlo V), di sei anni, erede
dell’Austria, Paesi Bassi, Spagna e nuove scoperte di Cristoforo Colombo,
mentre Borgogna e Bretagna avrebbero costituito la dote della principessa,
ciò che sarebbe stata una jattura per l’unità della
Francia.
Il
maresciallo Pierre Rohan di Gié riusciva a sventare questo matrimonio
mentre gli Stati Generali invitavano il re, nel frattempo guarito, a far
sposare la figlia a Monsieur Francois,
che era tutto francese: il
fidanzamento era celebrato con magnifici festeggiamenti che si chiudevano con
un grande torneo.
E’ durante questi giorni
che, secondo la tradizione, M.me Luise a trent’anni era stata presa da
fatale amore per il sedicenne Carlo di Montpensier che un giorno si
vanterà di averla posseduta (ma questo rapporto non risulta documentato).
Jean de
Poitier aveva stretto con lui intima amicizia e Carlo incomincia a ricevere le
sue prime cariche: la nomina di luogotenente del Delfinato (1512) e
l’anno seguente quella di Gran Siniscalcato di Provenza.
La regina
dal suo canto continuava a sperare nella nascita del Delfino, e continuava a
rinviare il matrimonio di Claudia; la indomabile Anna aveva raggiunto i
trentasette anni e dopo tante inutili gravidanze, sentendosi vicino alla fine
dei suoi giorni, mandava a chiamare Luisa e le affidava l’amministrazione
dei suoi beni e la tutela della figlia e dopo questo gesto di
magnanimità, moriva (9 genn. 1514); la cerimonia per il matrimonio tra
il gigante Francesco e la piccola Claudia (*) era stata piuttosto lugubre in
quanto i due sposi per il recente lutto vestivano di nero.
Il re Luigi
XII, rimasto solo, dava segni di insofferenza per il vedovato e a cinquantadue
anni sposava la diciottenne e focosa Maria Tudor (1496-1533), sorella di Enrico
VIII d’Inghilterra.
Quando lei
era arrivata in Francia, aveva pensato di trovare un Delfino che avrebbe potuto darle quelle emozioni che non avrebbe
potuto avere dal marito, ma non avendo trovato una simile soluzione, si era
messa a corteggiare Francesco.
Un
cortigiano, il cavalier Grignaux, aveva riferito la circostanza a Luisa, che,
furente, le fa una violenta scenata; il re Luigi dal suo canto si sforza di
piacerle e, dimenticando le prescrizioni dei medici, cambia le sue abitudini e
ordina feste che durano fino all’alba; sei settimane di questo regime
bastano a portarlo all’altro mondo e gli araldi annunciano (1 genn. 1515)
che il padre del popolo è
morto; Maria se ne tornerà in Inghilterra dove sposerà il
trentenne Charles Brandon duca di Suffolk (1484-1545) al quale darà un
maschio e due femmine.
*) Francesco I (1494-1547), da Claudia (1499-1525), aveva numerosi numerosi
figli quasi tutti falcidiati da morte prematura o tragica, dei quali tre
maschi: il primo, Francesco (1517-1536), Delfino, di debole costituzione, era
premorto al padre a diciotto anni; Enrico (1519-1559), poi Enrico II, morto
dopo essere stato gravemente ferito durante un torneo; e Carlo duca
d’Orleans (1522-1545), morto
a ventitre anni; le figlie erano: Maddalena (1520-1537), che sposava Giacomo V di Scozia (1512-1542, morta a
diciassette anni); Luisa morta a due anni (1515-1517); Carlotta morta a otto
anni (1516-1524); Margherita (1523-1574), duchessa di Berry che sposava (1559) Emanuele Filiberto, duca di Savoia (1528-1580) era stata
l’unica ad essere vissuta quarantanove anni.
In
seconde nozze (1530), Francesco aveva sposato Eleonora d'Asburgo (1498-1558), sorella di Carlo V, senza avere figli, mentre dalle pur
numerose amanti aveva avuto un solo
figlio illegittimo: Nicolas d'Estouteville.
Per il primogenito Francesco (1544-1560), somigliante al padre
che lo amava tanto, era destinata la
piccola regina (incoronata subito dopo la nascita) Maria Stuarda (1542-1587), giunta dalla
Svezia all’età di sei anni e sposati (1558) quando Francesco ne aveva quattordici e lei sedici; Francesco, di
debole costituzione (probabilmente per influenza della sifilide del padre),
moriva dopo due anni di matrimonio; alla morte del padre era incoronato il
secondogenito Enrico, che aveva sposato Caterina de’ Medici, divenuto re,
come Enrico II, protagonista del presente articolo.
Alla morte di Enrico II gli succedeva il figlio Francesco II, al
quale succedeva il fratello Carlo, incoronato come Carlo IX (1550-1574) di
dieci anni, sotto la reggenza della
madre; moriva anch’egli prematuramente due anni dopo la notte di san
Bartolomeo (1572); si era detto, straziato dal dolore per aver ordinato quella
strage (su istigazione della madre); gli succedeva il fratello Enrico III
(1551-1589) morto assassinato; con lui si estingueva la dinastia dei
Valois-Angouléme; suo successore era Enrico IV di Navarra (1553-1610),
primo della dinastia dei Borbone, anch’egli morto assassinato da Francois
Ravaillac.
DI FRANCESCO I
E L’OSPITALITA’
DI DIANA
F |
rancesco
faceva la sua prima cavalcata a Parigi; alto con il viso faunesco, il sorriso
accattivante e il suo nobile aspetto maestoso e seducente; delicato ed elegante
nei modi come nessun cavaliere al mondo; di lui era stato detto che: anche a vederlo tra la folla chiunque
avrebbe detto che era il re.
Aveva
vent’anni e la regina Claudia quindici; la sorella Margherita delle Margherite (per i poeti la decima musa e la quarta
grazia), ventidue anni, Carlo di Borbone (non più Montpensier),
venticinque.
Francesco
dipendeva totalmente dalla madre Luisa; non prendeva mai una decisione senza il
suo assenso; uno dei suoi primi atti fu di concedere la spada di Connestabile
(la prima del reame) a Carlo di Borbone, già pieno di cariche:
finalmente ora regnava l’armonia familiare; Luigi XII e Anna di Bretagna
erano stati virtuosi e avari e avevano imposto l’austerità: le
loro ombre furono spazzate via ... e la
vita riprese tra feste e amori.
Diana aveva
quindici anni, l’età in cui una fanciulla si preparava a diventare
donna ed era entrata a far parte delle damigelle della regina Claudia che,
dolce di carattere, accettava in silenzio la tirannia di Luisa e le
infedeltà di Francesco.
Il
Connestabile Carlo, per gratitudine nei confronti dei Poitier pensò di
negoziare il matrimonio tra Diana e Louis de Brézé conte di
Maulevrie, barone di Bec-Crespin e Mauny, signore di Nogent-le-Roi, Anet,
Brissa, Brevaltà e Mont-Chauvet, Gran Siniscalco di Normandia, nipote
naturale di Carlo VII e di Agnese Sorel, ai quali la coppia era somigliante:
lui, un essere mostruoso di cinquantasei anni che ne mostrava dieci di
più, con la gobba e grossolano nella figura, aveva ereditato i caratteri somatici del
nonno Carlo VII, e lei, come Agnese ... si potevano definire, la bella e la bestia!
Diana non
aveva nessun motivo di protestare perché le ragazze delle grandi
famiglie erano destinate ad essere contrattate dai loro parenti; l’avo di
Brézé era Pietro II di Brézé ministro di Carlo VII;
suo figlio Giacomo aveva sposato Charlotte figlia naturale del monarca avuto
dall’amante Agnese Sorél.
Charlotte
aveva ereditato la sensualità della madre e se la spassava con uno
scudiero quando il marito li aveva sorpresi a letto; lo scudiero era stato
ucciso sul posto, con un fendente di spada, e Giacomo, dopo essere stato condannato
a morte, era stato graziato.
La piccola e
bella Diana di quindici anni, sposava (29 Marzo 1525) il mostruoso barone di
cinquantasei anni, alla presenza del re, della regina e di tutta la prima
nobiltà del regno; la luna di miele, se così si può
chiamare simile mostruosità, durò poco, perché erano in
corso preparativi di guerra per la campagna d’Italia in cui i francesi,
dopo la battaglia vittoriosa di Marignano (14 Sett. 1515) entrarono in Milano
(1° Ott.) dove Francesco assegnava al Connestabile, che era stato determinante
per la vittoria, il titolo di vice-re.
Al ritorno
il Grand Senechal condivise con Diana una vita coniugale tanto serena da
diventare irritante, ma la prestigiosa carica del marito metteva Diana, bambina
e Grande Senechalle, tra le prime
donne del regno, al di sopra di tante dame più anziane e superbe;
certamente la sua acquisita maturità le fece acquistare il piacere
perverso di tante piccole rivincite.
Se dal
marito non aveva appreso il piacere della passione e dei sensi, aveva invece
appreso il senso della politica, del calcolo, la capacità delle grandi
famiglie di aumentare la loro opulenza e il loro credito sociale: il suo
carattere divenne secco, positivo, autoritario, in una parola, conservatore.
A Corte,
Francesco viveva nel suo harem ideale
e voleva che anche i suoi cortigiani avessero le amanti, ma era rispettoso
delle donne con le quali aveva un comportamento ammirevole, dando il buon
esempio; abituato a vivere tra due donne (la madre e la sorella), amava lo
spirito femminile quanto la loro bellezza, come amava il bello dell’arte
e per questo aveva lo spirito del mecenate (che mancava al suo arido rivale
Carlo V!).
Margherita delle Margherite con la
contessa di Chateaubriand (amante di Francesco) avevano il loro clan privato e
dissoluto; Claudia, isolata, presiedeva la sua piccola corte che trovava
conforto nella pietà religiosa, all’insegna del motto
“Candidior candidis” più
bianco del bianco.
Diana nel suo amato e solitario castello di Anet, che contrastava con la
nuova architettura dei castelli della Loira, passava le sue giornate cavalcando
nei boschi, filando, leggendo e intrattenendo gli ospiti con la musica, quando
giungevano dalla Corte.
Spesso era
in viaggio per partecipare agli impegni mondani o ufficiali; si era recata a
Amboise, poi a Grénoble, poi era stata al matrimonio della sorella a
Valence; a Saint-Vallier al secondo matrimonio del padre, che sposava Francoise
Chabanne-La Palisse; a Rouen Francesco faceva l’ingresso trionfale per
ricevere le chiavi della città dal Gran Siniscalco; il re era vestito
con drappo d’oro increspato con collana dell’Ordine di Saint Michel
(istituito da Luigi XI nel 1469), cavalcando un magnifico palafreno coperto da
gualdrappa uguale al suo abito, seguito da cavalieri dell’Ordine, e dalla
nobiltà.
Il re fu
ospitato a Bouvreuil con gli onori di casa fatti dalla sedicenne Diana che
provvide al seguito del re di millecinquecento persone definite “le più dissipate, le più sibarite,
le più beffarde del mondo”; il re si era trovato così bene, che vi rimase
tre settimane, periodo considerevole per un re capriccioso e nomade come
Francesco.
I Brézé
erano al settimo cielo per il favore goduto e per il fasto offerto; poco dopo,
il ricevimento si
ripeté con l’arrivo del duca d’Alençon, cognato del re (marito della sorella Margherita), nominato
governatore onorario della provincia (che nulla toglieva alla carica di
Siniscalco effettivo, ricoperta da Brézé).
In primavera
(1517) Diana ebbe la prima maternità con la primogenita Francesca (**) e
anche la regina partorì il Delfino
Francesco; quando si riprese, poté fare (dopo due anni
dall’incoronazione) il suo ingresso trionfale a Parigi.
Diana era
accanto alla regina, su una lettiera ricoperta di drappo d’argento posta
su un carro ricoperto da un drappo d’oro increspato; la regina aveva la
corona ricoperta di pietre preziose e una collana di pietre preziose che un
giorno indosserà anche Diana.
Seguivano i
cavalieri dell’Ordine di St. Michel, i principi del sangue, il Gran
Siniscalco di Normandia, la madre del re con le sue dame, le duchesse e
contesse; davanti alla porta di Saint Denis vi era un altare con una nuvola che
aprendosi lasciava uscire una donna che aveva tra le mani una corona
d’oro rappresentante la regina; alla sua destra e sinistra vi erano sei
dame che rappresentavano il Vecchio Testamento e sotto l’altare quattro
dame che rappresentavano
Al palazzo
reale era servito un pranzo su una grande tavola di marmo con tovaglia d’oro
su cui vi era vasellame d’oro e d’argento; ciascun servizio era
accompagnato dal suono di trombe; il giorno seguente vi fu un torneo tra il re
e il conte di Saint-Pol.
*) Duca di Borbone,
d’Auvergne e Chatellrault, conte di Clermont, Montpensier,
Forez, de
**) Diana oltre a Francoise che sarà maritata a Robert de
CARLO DI BORBONE E
IL PARENTADO DI DIANA
CON I MEDICI
S |
usanna di
Borbone, contrariamente alle aspettative, aveva messo al mondo un figlio che
riempiva d’orgoglio il Connestabile il quale vedeva perpetuare il suo
nome con tutti i suoi titoli (*).
Il
Connestabile aveva subito pensato di festeggiare l’avvenimento con una
festa alla quale aveva partecipato il re e la corte; la festa era abbagliante e
lo splendore uguagliava quella di un sovrano ... anche di più ... tanto
da suscitare nel sovrano una certa gelosia, come quella che proverà
Luigi XIV per la grande festa di Fouquet circa cent’anni dopo (v.
Articoli: Veleni, Filtri d’Amore e Messe Nere ecc. P.I).
Nè
Blois né Amboise potevano rivaleggiare con lo splendore di Moulins e di
Chantelle dove i mobili, la biblioteca, i quadri, il vasellame erano di una
meraviglia unica; gli stessi paggi avevano abiti di seta su cui fiammeggiava,
con fili d’oro, la divisa del padrone di casa “Partout où le soleil darde ses rayons, j’irai les attendre
au passage - Dappertutto dove il sole
manda i suoi raggi, io andrò ad attenderli al loro passaggio”.
Per il
Connestabile tutto doveva risplendere d’oro, dagli specchi agli speroni;
egli stesso risplendeva di pietre preziose, che lungi dal renderlo effeminato, rendevano più
affascinante il suo aspetto altero e tormentato. Carlo di Borbone, con la sua
fierezza selvaggia, le sue imprecise ambizioni, le sue inquietudini segrete,
costituiva una eccezione unica in una Francia raccolta attorno al suo sovrano:
pericolo che il Borbone non poteva non conoscere e per di più con la sua
grande festa aveva acceso i fari sulla sua straordinaria ricchezza e sulla sua
imprudente vanità.
Il
Connestabile, come vedremo, sarà la rovina di sé stesso per non
essersi reso conto che la sua altissima posizione richiedeva delle particolari
accortezze: p. es. durante la festa si era messo a corteggiare sfrontatamente
la sorella del re, Margherita (1492-1594), sotto gli occhi della madre Luisa,
che sprizzava fiele dagli occhi.
Il prozio di Diana Giovanni III de
Il destino
aveva voluto stroncare la vita di questi due giovani sposi, ma prima di morire
avevano avuto la fortuna di mettere al mondo una bambina alla quale fu dato il
nome di Caterina, Caterina de’ Medici: un astrologo aveva vaticinato che “la sua vita sarebbe stata piena di dolore,
di agitazione e di burrasche”.
Lo sposo che
le veniva destinato era solo il secondo figlio di Francesco I, Enrico, che
nasceva in quello stesso anno (1519): Diana compiva vent’anni.
Diana non
era la donna fragile e diafana descritta da poeti e romanzieri e ritratta dai
pittori.
Era stata descritta e ritratta come un tipo fragile e diafano, ma
era molto diversa: “sotto una
cuffia che userà per tutta la vita, i capelli le scendevano a
metà della fronte ampia e bombata, aveva un naso dritto e prominente,
occhi non grandi ma lo sguardo era penetrante, le labbra strette e sottili che
le davano un aspetto altezzoso e sdegnoso, nessuna traccia di sensualità
in questa figura tranquilla, dedita agli sport aveva un fisico robusto,
presentava spalle larghe, il petto ampio, la pelle vivificata da una buona
circolazione che denotava una natura sana e forte”.
Si era
voluto favoleggiare sull’innamoramento di Francesco nei confronti di
Diana per aver scritto su un ritratto “Bella a vedersi, onesta da frequentare”, molto chiaro, ma non
era per lui ... Francesco aveva ben altri appetiti; in
seguito Diana verrà coinvolta ugualmente in uno scandalo che,
come vedremo, sarà la delizia di scrittori e romanzieri!
GLI ATTRITI
TRA FRANCESCO I
E IL BORBONE
E
DECISIONE
S |
iamo
nell’anno della elezione del nuovo imperatore del S.R.I. (1519)
già da secoli eredità degli Asburgo, destinata al diciannovenne
Carlo di Borgogna, da poco divenuto re di Spagna.
Francesco I
avanza la sua candidatura, mancante di qualsiasi sostegno in quanto i sette
elettori sono tutti tedeschi e il giovanissimo Carlo ha già imparato che
se non si riesce per meriti, si può riuscire con la corruzione, ottenuta corrompendo sei dei sette elettori; la spesa totale
sostenuta da Carlo era stata di ben 850mila fiorini (pari a otto q.li e mezzo
d’oro, v. in Carlo V tra Rinascimento ecc.), una parte dei quali versata
ufficialmente e una parte versata in nero: si inaugurava così il periodo
di corruzione più sfacciata, che sarà una delle piaghe del regime
spagnolo facilmente recepita dall’Italia (attualmente ai primissimi
posti!).
Con la nomina del nuovo Cesare, per
Il Borbone, come abbiamo detto aveva una personalità
complessa difficile da governare, oltre a soffrire di depressione; destinato alla
caduta o al tradimento; si verificheranno tutte e due le ipotesi, anche se dal
suo re aveva ottenuto il comando supremo delle armate francesi e la nomina di
viceré dopo la conquista del milanese (1521); ma i motivi di attrito con
Francesco I non mancheranno e la decisione di passare dalla parte
dell’imperatore, rimarranno un mistero.
Tra questi motivi vi
erano in primo luogo i maggiori titoli che avesse il Borbone più di Francesco, da poter
cingere la corona; poi vi era la circostanza che, avendo Francesco mandato le
truppe a Velenciennes, invece di dare il comando a lui, lo aveva dato al
cognato duca d’Alençon, ciò che
aveva acceso il suo risentimento.
Nel frattempo era morto il figlio e poi la moglie Susanna e
questa morte aveva suscitato le brame di Francesco e della madre Luisa, per
impossessarsi della sostanziosa eredità, sostenendo che l’atto di donazione fatto
da Susanna fosse nullo: ed ebbe
inizio il processo feudale (1522) con il quale la corona rivendicava
l’Auvergne e il Borbonese, feudi di Luigi XI, e Luisa tutto il resto!
La vecchia duchessa di Borbone (che moriva nel 1522) suggeriva al
Connestabile che la sola arma efficace per tenere a bada il re, sarebbe stata
l’alleanza con un potente, che non poteva che essere l’imperatore,
ricorrendo a una alleanza tra la casa di Borgogna alla quale apparteneva
l’imperatore e la casa di Borbone: il Connestabile seguì questo
funesto consiglio e si rivolse all’imperatore e a Enrico VIII che non
aveva rinunciato alla corona francese che per poco tempo era stata portata da
Enrico VI d’Inghilterra.
Incontratosi con il cugino Jean de Saint Vallier per il
matrimonio di suo figlio, il Connestabile, dopo averlo fatto giurare su un
pezzo della vera croce di mantenere il segreto che stava per rivelargli, gli
disse che Carlo V e Enrico VIII gli offrivano, il primo in matrimonio la
sorella e duecentomila scudi, l’altro una somma quasi uguale e ambedue
Saint-Vallier rimase allibito e il Connestabile aggiunse che
doveva incontrare il conte Beaurain de Reulx, inviato dell’imperatore e
ambedue si recarono all’appuntamento con Beaurain, che ripeté le
proposte dell’imperatore che intendeva smembrare
Saint-Vallier la mattina parlando con il
Borbone gli diceva preoccupato di aver passato tutta la notte a esaminare i
suoi progetti e come un fratello gli faceva rilevare che stava perdendo se
stesso e la sua patria: “se il
vostro segreto fosse conosciuto voi perireste e perireste da infame; se il
disegno riuscisse andreste a combattere i vostri parenti, i vostri amici, tutti
quelli che amate, tutti quelli che vi sono cari”. “Ah, rispose Borbone, che vuoi che faccia; mi hanno preso tutto, vogliono che espiri
nell’obbrobrio e nella miseria” e caddero uno nelle braccia
dell’altro piangendo a singhiozzi.
Prima di lasciarsi il Connestabile gli disse: “Cugino, non ne parliamo più, rinuncio
al mio progetto...giurami che non dirai a nessuno ciò che ti ho detto e
da parte mia ti giuro che non penserò più a queste vergognose
follie”, ma appena si lasciarono,
non si sa perché, il Connestabile cambiò opinione e
firmò il trattato che prevedeva una quadrupla invasione della Francia,
mandando ad avvertire gli amici che lo sostenevano a prepararsi.
Nel frattempo Francesco per ora ignaro, aveva preparato l’esercito per
venire in Italia e aveva nominato la madre Luisa governatrice del regno e il
Connestabile luogotenente del regno.
I muri avevano orecchie: non era passato molto tempo che
Francesco era venuto a conoscenza “del
tradimento di un grande personaggio di sangue reale che voleva liberare lo Stato
e nello stesso tempo
aveva dei progetti sulla vita del re”.
Già i lanzichenecchi tedeschi, pagati dal Borbone,
attraversavano
Francesco, stanco di essere vittima, gli rese visita, mostrandosi
affettuoso, lo rassicurò che il processo non gli avrebbe procurato alcun
serio danno e gli assegnava il comando dell’avanguardia
dell’esercito; il Connestabile gli rispose che era troppo stanco per
accettare questo incarico ma promise che lo avrebbe fatto quando avrebbe
recuperato le forze e finse di partire per La-Palisse e raggiungere Chantelle;
mentre gli spagnoli entravano in Guascogna e i tedeschi in Champagne; egli
apprendeva che un’armata di quattromila gendarmi andava a circondare
Chantelle, per cui se ne fuggì accompagnato da un solo uomo di nome
Pomperàn; dopo un’odissea romanzesca, un emissario di Francesco
riuscì a raggiungere le forze imperiali e gli offriva l’amnistia,
ma egli rispose che era: Troppo tardi!
SAINT VALLIER
SALVATO DALLA
FIGLIA DIANA
INGIUSTAMENTE
CALUNNIATA
C |
hi paga le
conseguenze della ribellione di Carlo di Borbone è Jean di Saint-Vallier
che è arrestato con sette gentiluomini (*) con il vescovo d’Autun,
Du Puy; portato davanti al re, quest’ultimo, dando sfogo al suo furore,
si scagliava contro Saint-Vallier e l’avrebbe massacrato se non glielo
avessero impedito.
La
commissione giudicatrice formata dal consigliere Jean Brinon, René de
Savoie, Gran Maestro di Francia, e il maresciallo de Chabannes, commissario reale, assistiti da
Guillaume Luillet, “maitre de
requetes”, iniziarono l’interrogatorio; Saint-Vallier negava
tutto ciò che gli veniva contestato, salvo la sua amicizia con il
Connestabile.
Come
prigioniero dava segni di insofferenza, lanciava invettive, spesso piangeva e
singhiozzava, scriveva ai parenti; gli era tornata la febbre intermittente
denominata “febbre di
Saint-Vallier” (che aveva preso in Italia e certamente si trattava di
malaria) e il medico lo aveva dichiarato in pericolo; Diana era rimasta colpita
da questa sventura che danneggiava la grandezza della famiglia e la perdita del
rispetto del re la colpiva come una infamia.
Circondato
da pericoli il re ritenne concedere la grazia a tutti gli altri arrestati
escluso Saint-Vallier, per il quale i giudici disposero la tortura con
esclusione del “cavalletto”,
che i medici avevano sconsigliato a causa delle condizioni di salute del
prigioniero.
Accusato di
lesa maestà egli fu condannato a perdere i suoi beni, l’onore e le
dignità e a subire la pena capitale con la decapitazione; inutilmente
Diana e il Gran Siniscalco avevano chiesto la grazia al re, alla regina e a
Madame.
Jean de
Sain-Vallier (17 febbraio 1524) fu messo su un cavallo e condotto al patibolo
in abito infamante, in piazza de
Questo fu
consegnato al signor Michel Dollet il quale lesse
l’ordinanza del re che concedeva la grazia della vita ma lo condannava a
vivere tra quattro mura di pietra con una finestrella attraverso la quale gli
sarebbe stato somministrato da bere e da mangiare.
Fu chiesto
al condannato se accettava questa clemenza; sì,
rispose e ringraziava Dio, baciava il patibolo, faceva continuamente il segno
della croce, rideva, piangeva, abbracciava le guardie: l’intervento del
Gran Siniscalco presso il re e le preghiere di Diana, avevano ottenuto questo
miracolo.
Ma questa avventura di
Saint-Vallier colpì l’immaginazione generale, in particolare di
scrittori e romanzieri: Regnier de
Henri Sauval
in “Galanteries des Rois de
France” (Vol. I, Paris 1738): scriveva: “Diana andò a gettarsi in lacrime ai piedi del re e chiese la
grazia per colui che le aveva dato la vita; era così bella e toccante
che ottenne ciò che chiedeva e fece entrare nel suo cuore l’amore
mascherato dalla pietà e conservò questa conquista fino al
funesto viaggio che il re fece in Italia”.
La disinformazione (consapevole?) prosegue con Arnoul le Ferron
(in Grand Annales de France) e
Belleforest che mettono assieme i vari errori dicendo: “Diana di Poitiers figlia unica (!), nutrita
al servizio della madre del re (!) e della regina Claudia, tanto commosse il re
con le sue lacrime, che ottenne la grazia per il padre, pronta a seguire colui
che si sarebbe preoccupato se la giustizia avesse avuto il sopravvento”; Mézeray riprendeva: “Dicono che il re aveva inviato la grazia dopo aver preso la figlia
Diana che aveva compiuto quattordici anni” (invece ne aveva
venticinque!).
Occorre giungere a
Michelet che faceva rilevare come da Mazeray ag li storici che lo avevano
seguito, avevano preteso che Francesco, alle preghiere di Diana, avesse
accordato la grazia a Saint-Vallier e che Diana avesse pagato concedendo al re il sacrificio
del suo onore.
Gabriel Henri Gaillard
(Histoire de Francois Ier, Paris
1759) aveva scritto: “Non conto tra
le amanti di Francesco I, Diana di Poitier che si è voluto considerarla
amante prima di suo marito; è stata una calunnia dei protestanti che lei
aveva perseguitato e che l’avevano resa odiosa”.
I romantici poi, non
avevano potuto fare a meno di appropriarsi di una avventura del genere,
più falsa che vera, e avevano seguito i pettegolezzi degli storici
(innanzi indicati) e tra questi, Victor Hugo, che aveva mostrato un
Saint-Vallier con la barba bianca (ma aveva quarantanove anni!) e accusava
l’odioso e priapico Francesco I, di aver offuscato, appassito, insozzato,
disonorato, fatta a pezzi Diana di Poitiers: ma la questione non era chiusa in
quanto diciassette lettere attribuite a
Diana (!), attesterebbero un legame con Francesco dopo aver salvato il
padre!
Vi è da
aggiungere che anche l’ambasciatore veneziano Lorenzo Contarini in uno dei
suoi dispacci (del 1552, ma Diana si era legata dal 1536/37), aveva scritto:
“Rimasta giovane, vedova e bella,
essa fu amata e gustata da Francesco I e da altri ancora, secondo il dire di
tutti, dopo essa finì nelle mani di Enrico II”. Ma erano solo
maldicenze!
In ogni caso
ci sembra difficile pensare che se Diana avesse mercanteggiato per la vita di
suo padre, egli non sarebbe finito a scontare la pena chiuso tra quattro mura e
tra i propri escrementi per tutto il resto della vita, che si poteva considerare
una condanna peggiore della morte!
*) Aimard de Prie, Francois Descars, Pierre Popillon, Saint
Bonnet, Gilbert Gay detto Baudemanche, Brion e Desguiéres.
DI FRANCESCO
E DEI FIGLI
FRANCESCO FESTEGGIA
UNA NUOVA AMANTE
L |
a regina Claudia moriva (1524), probabilmente a causa del mal di Napoli (ma in Italia la sifilide
era considerata mal francese e
secondo il Galateo v. L’educazione
ecc, l’origine era spagnola) trasmessale da Francesco; il Borbone
divenuto generale di Carlo V, come traditore del suo re, era considerato un
capobanda e sconfiggeva il suo rivale Bonnivet invadendo
Borbone sul cadavere di Bonnivet aveva detto: “Oh maledetto, sei stato la causa della
rovina della Francia e della mia”; Luisa che rivestiva la carica di
reggente, dal suo canto dichiarava: “Il
re è prigioniero ma
Diana, cattolica,
gioiva nel vedere che il braccio secolare perseguitava gli eretici, oggetto di
benevolenza di Francesco e Margherita, il cui spirito era stato infettato dal
detestabile monaco di Württemberg; e con lei
erano molti gli umanisti che respingevano la nuova dottrina proveniente dalla
Germania: Erasmo aveva detto “ho
covato un uovo di colomba, Lutero ha fatto uscire un serpente”.
Francesco aveva dovuto firmare il Trattato di Madrid (Gennaio 1526), ma prima di firmarlo aveva
dichiarato a un notaio che cedeva alla violenza; questo trattato riconosceva
A garanzia del trattato oltre al giuramento, l’imperatore
aveva chiesto la consegna dei figli di Francia, il Delfino Francesco, di nove anni, di spirito vivo impetuoso e affascinante,
somigliante al padre; Enrico era meno dotato, esperto cavaliere, amante delle
giostre, dei tornei e degli esercizi fisici, che non riscattavano la sua natura
taciturna e malinconica (caratteristica presa dalla madre Claudia e dal nonno
materno Luigi XII); erano accompagnati da Luisa con il seguito di cui faceva
parte Diana, fino a Bayonne, luogo della consegna dei ragazzi al Lautrec,
incaricato di condurli in Spagna.
Diana prese il piccolo Enrico tra le sue braccia e lo
baciò sulla fronte: nessuno avrebbe potuto prevedere quale forza avrebbe
avuto questo gesto materno sul futuro del regno; Francesco dopo essere sbarcato
in Francia, gridò “Dio,
grazie, sono ancora re”!
Rientrato in Francia, il priapico Francesco sostituiva la sua
ultima amante Francoise de Chateaubriant alla quale con dolcezza dedicava dei
versi di addio, e in odio verso
Francesco le aveva fatto assegnare una pensione di cinquantamila lire e
le aveva fatto sposare il bretone Jean de Brosse, nominato prima conte e poi
duca d’Etempes, al quale fu dato il governatorato del borbonese,
dell’Auvergne e della Bretagna, con le relative pensioni delle quali,
cinicamente, Anne se ne appropriava.
La duchessa godeva di due castelli, Etemps e Limoours, di un
palazzo in rue des Hirondelles e numerose terre e manieri dai nomi affascinanti
Chevreuse, Angerville, Argenvillieres, Egreville, Dourdan,
Molti autori le assegnavano un ruolo di primo piano negli affari
di Stato, ciò che avrebbe significato disconoscere il carattere
assolutista del sovrano che sosteneva “Io non sopporterei che in Francia vi sia più di un re”;
ma non vi è dubbio che la giovane duchessa, particolarmente negli ultimi
anni del re, sapesse bene come far prevalere i suoi suggerimenti.
IL TRATTATO
DELLE DAME
E
DEI FIGLI DI FRANCIA
I |
l trattato di Madrid languiva per le resistenze di Francesco che
non lo aveva ratificato; la decisione di
sbloccare questa situazione fu presa da Margherita d’Austria zia di Carlo
V che governava le Fiandre e dalla madre di Francesco, Luisa di Savoia; le due
dame si erano incontrate a Cambrai e avevano preso due palazzi contigui,
aprendo una porta nel muro che li divideva, per metterli in comuunicazione.
Dopo un mese di lavoro (1529), stilarono gli accordi sulla
revisione del trattato: l’imperatore rinunciava alle sue pretese sulla
Borgogna e accettava la somma di due milioni di scudi per la liberazione dei
due figli di Francesco, dopo un primo versamento di unmilione e duecentomila
scudi (ma secondo altra fonte, risulterebbe, come si vedrà più
avanti, che la somma sarebbe stata consegnata (1530) in unica soluzione);
Francesco si impegnava a restituire Hesdin e a cedere Tournai e il Tournesis
(rimanenze dell’impero); rinunziava alla sovranità sulle Fiandre e
l’Artois e tra ulteriori accordi Francesco si impegnava a ritirare le
truppe francesi in Italia, cedendo i suoi diritti su Milano, Asti, Genova e
Napoli, impegnandosi ad aiutare l’imperatore a cacciare i veneziani dai
porti della Puglia e a non intromettersi in questioni che toccavano gli
interessi dell’imperatore in Italia e Germania.
Luisa moriva pressocché in miseria, due anni dopo (il
22.IX.1531), ma nei suoi forzieri fu trovata la somma di
unmilionecinquecentomila scudi d’oro che costituivano i fondi destinati
alla sussistenza dell’armata francese, e altri quattrocentomila che
avevano causato la perdita del milanese.
La sorella di Francesco, Margherita, la perla del Rinascimento,
sposava un re senza regno, Enrico d’Albret, re di Navarra, limitata a
Bearn e relegata tra i sassi dei Pirenei, ma il fratello le aveva concesso di
abitare presso di lui.
Carlo di Borbone aveva perso la vita durante il sacco di Roma
(1527) e Bevenuto Cellini che si trovava a Fontainbleu con i pittori
Primaticcio e il Rosso, si vantava di essere stato lui a ucciderlo con una
schioppettata; la clausola relativa alle eredità del Borbone e dei
suoi amici, non fu completamente osservata e diede luogo a lunghe
contestazioni.
I decreti emessi contro Carlo di Borbone e dei suoi amici furono
abrogati (1530), ma il principe d’Orange morì senza aver
recuperato i suoi beni; Saint-Vallier recuperò il patrimonio perduto,
aumentato dalle contee di Diois e Valentinois che la sua famiglia ottenne dopo un secolo; egli si
sposò per la terza volta a cinquantasette anni e non lasciò
più il suo castello di Pizançon fino alla
sua morte (1539).
Al nipote del Connestabile ed erede, Luigi di Borbone, principe di
Il principe rinnovò le sue pretese dopo la morte di
Francesco e le contestazioni terminarono con Carlo IX (1560), che gli rese
Beaujeu e Dombes e il principe prese il titolo di duca di Montpensier
(ricordiamo che i due titoli di duca e principe si equivalevano e la corona era
la stessa con cinque foglie di acanto di cui le due marginali si vedono a
metà, intervallate da una o tre perle per la corona del principe, v. Articoli:
Blasoni, corone e nobiltà).
La corte si trovava a Bordeaux dov’era anche Diana e la
consegna dei figli di Francia ebbe luogo sulle rive di Bidassoa, a luglio (1530) anziché a marzo, a causa delle
difficoltà per reperire la consistente somma di danaro che Francesco pagava per il riscatto di due milioni
di scudi, portati con ottanta casse da venticinquemila scudi, ciascuna a dorso
di mulo; Eleonora col seguito, del quale faceva parte Diana, accompagnava i
giovani principi che furono raggiunti da Francesco a Bayonne per poi recarsi a
Bordeux.
Francesco dopo quattro anni di dura prigionia, trovò i
suoi due figli Francesco di tredici anni ed Enrico di undici, completamente
cambiati; egli rivolgeva il suo affetto soprattutto al primogenito che gli
somigliava, mentre Enrico era il meno amato e ne soffriva nella sua malinconia,
ricambiando in freddezza, in quanto non aveva alcuna attrazione per il padre
troppo frivolo e la nonna Luisa troppo dura.
Durante la cattività in Spagna, Enrico aveva letto il romanzo Amadigi di Gaula (di Garcia Ordóñez de Montalvo v. in Art. I
libri della biblioteca di don Chisciotte) da cui era stato conquistato e
come Amadigi avrebbe affrontato mille pericoli per conquistare la principessa
Oriana alla quale aveva dato il volto della donna da cui aveva avuto il gesto
di tenerezza all’inizio della sua prigionia e che ora lo abbracciava
teneramente: lui aveva undici anni e Diana trentuno.
Francesco sposava
Eleonora, che per lui la sera prima del matrimonio, che ebbe luogo nel
convento di Verrieres in Guascogna, aveva ballato una sarabanda moresca;
successivamente (5 marzo 1531) Eleonora fu consacrata regina (espressamente
richiesta da Carlo V) nella cattedrale di Saint Denis, accompagnata dalle tre
dame più importanti del regno, M.me Maitresse de Montmorency, che
portava due pani uno d’oro, l’altro d’argento; M.me
l’Ammiraglia, moglie di Chabot de Brion, che portava il vino e
Francesco seguiva la cerimonia da una finestra; il pubblico
trovava Eleonora dalle spalle robuste, lunga di corpo e corta di gambe, i suoi
capelli neri le giungevano fino ai talloni e li portava attorcigliati a un
nastro.
I festeggiamenti si protrassero per una settimane e Francesco, in
pubblico, non le risparmierà le sue manifestazioni di affetto piuttosto
pesanti, da scandalizzare l’ambasciatore inglese; i festeggiamenti
terminarono con un torneo organizzato (due mesi dopo con messaggeri inviati
presso tutti i castelli per annunziarlo) in rue Saint-Antoine che si sviluppava
fino al convento dei Celestini e aveva richiamato cavalieri da tutto il regno; per i due
piccoli principi era il battesimo delle armi; il Delfino apriva la parata, seguiva il duca d’Orleans con lo
stendardo, abbassato quando stava
passando davanti a Diana.
La prigionia in Spagna era stata dura; il padre, tenuto in una
cella e i figli, trattati come prigionieri, gli erano stati tolti i loro i
domestici familiari, sostituiti con carcerieri estranei, tenuti in una stretta
prigione e in una costrizione morale che li segnerà per tutta la vita.
Tornati dalla Spagna, furono allevati senza disciplina; il padre aveva
infatti voluto che fossero allevati in piena libertà per togliere loro
il timore della soggezione acquisita durante la prigionia; ma il risultato fu
mediocre.
Il primogenito Francesco, il Delfino,
era tornato tetro e bizzarro, amava le lettere più delle armi, aveva dei
passatempi solitari e aveva con sé solo pochi intimi e gli piaceva
lavorare la terra; aveva fatto felice il padre quando aveva preso la prima
amante, M.me d’Estrange: ma il destino gli aveva assegnato una vita
breve, perché potesse continuare.
Enrico, destinato a regnare, sarà malinconico, a volte
debole, a volte violento, sensitivo e rancoroso, facilmente portato
all’astio e spesso sottomesso nei confronti di chi guadagnerà la
sua fiducia, ciò avverrà quando Diana farà valere il suo
carattere virile; durante le feste a Corte il suo sguardo era vago e si
illuminava solo quando lo rivolgeva verso Diana; tra i due nascerà
l’amore platonico cavalleresco, l’amor cortese dell’epoca
medievale. Carlo, il terzogenito duca d’Angouléme, per la sua foga
e la sua grazia, era un folle temerario.
Matrimonio di Enrico e Caterina
IL MATRIMONIO
DI ENRICO CON
CATERINA DE’ MEDICI
U |
ndici anni era l’età giusta per Enrico duca
d’Orleans, secondogenito di Francesco I, per preparargli un matrimonio
per il quale, in un primo momento, era stata indicata l’infanta del
Portogallo, figlia di primo letto della regina Eleonora; ma gli interessi di
Francesco erano rivolti all’Italia dove intendeva rimettere piede.
Il papa del momento era Clemente VII, nato come Giulio Zanobi,
figlio naturale di Giuliano de’ Medici ucciso nella congiura de’
Pazzi (v. in Specchio dell’Epoca) e Caterina era cugina (ma passava per
nipote) che fu proposta a Francesco tramite il cardinale de Gramont con
l’appoggio di Montmorency (*) e di Brézé il quale sarebbe
stato felice che la moglie Diana che aveva tra i suoi parenti (come abbiamo visto
innanzi) i de
Il contratto di matrimonio (1531) prevedeva una rendita per il
principe di trentamila lire e una dote di diecimila e un castello ammobiliato
per Caterina; con una clausola segreta con la quale il papa si impegnava a fare
ottenere al duca d’Orleans il ducato di Milano e il ducato di Urbino e un
gruppo importante di città italiane (Luigi di Brézé non
vedeva il compimento di questo contratto perché come abbiamo detto
moriva nello stesso anno 1531 all’età di settantadue anni); il
papa inoltre versava centomila scudi per i beni che Caterina aveva in Toscana.
Le trattative erano durate tre anni, alla fine il papa e il re si
incontrano (1533) in gran pompa a Marsiglia e occupano lo stesso palazzo.
Gli sposi avevano ambedue quattordici anni; piccola e rotonda
(nel quadro è stata resa longilinea!), Caterina aveva un viso paffuto, una
mascella carnosa, grossi occhi prominenti ... “mani e piedi ammirevoli” (quando non vi erano altre parti del
corpo da elogiaare, ci si soffermava su mani, braccia e piedi!); il papa aveva voluto, ad ogni buon
conto, che i due sposi consumassero il matrimonio.
Eccettuati il re e la regina Eleonora, la corte magnificamente
riunita per le grandi occasioni, osservava la piccola “parvenu-marchante” (i Medici erano
considerati routourier, plebei, disprezzo mai avvenuto nella civile e
democratica Bisanzio), che si dirigeva verso il trono dove, con la modestia che
l’accompagnerà per tutta la sua vita, si prosternò davanti
al re, baciandogli il piede; Francesco, la risollevò immediatamente e
l’abbracciò, presentandola alla regina, ai figli di Francia e ai
principi della casa reale.
Il papa Clemente VII, per rendere indissolubile l’unione, dopo
aver egli stesso celebrato la messa, volle che essa fosse immediatamente
consumata e si recò personalmente all’alba per verificare se lo
sposo (ambedue quattordicenni), avesse compiuto il suo dovere e protrasse di
tre mesi la permanenza a Marsiglia, sperando di vedere Caterina incinta; ma ne
rimase deluso e lasciò la nipote con questo consiglio: “Una donna di spirito sa ben avere dei figli”;
egli morì dopo dieci mesi, e questo matrimonio, almeno in apparenza,
appariva del tutto inutile.
Caterina si farà apprezzare per la sua finezza e
intelligenza e per la sua cultura, conosceva infatti oltre all’italiano,
il latino, il greco, il francese, le matematiche e la scienza degli astri,
mostrando particolari interessi per le arti magiche; divenne cacciatrice e
introdusse, per salvare la verginità delle donne, un nuovo modo di
montare a cavallo, quello della gamba sull’arcione.
*) Anné (erroneamente indicato senza
l’accento corrisponde ad Anneo non ad Anna!) de Montmorency.
Morto il Borbone (v.
sotto), il Parlamento pronunciava la sua definitiva condanna e i principi della
sua Casa, Vendôme e Saint Pol cadevano in disgrazia. La spada di connestabile
non era concessa a nessuno, ma furono assegnate le nuove cariche: a Chabot de
Brion fu assegnata la carica di ammiraglio, i generali Trivulzio e
Madame Margherita lo aveva fatto sposare
alla sua nipote naturale, Maddalena di Savoia, nominandolo governatore della
Languedoc e chiamandolo “mio nipote”.
Anné era legato da stretta amicizia
con il Gran Siniscalco e Diana e sarà lui a segnare il destino di Enrico
e Diana nel suo meraviglioso castello d’Ecouen, come vedremo.
CONTRO OGNI
ASPETTATIVA
IL CADETTO ENRICO
DIVENTA DELFINO
L
a lotta di Francesco I contro Carlo V era di difesa, in quanto
Carlo con la sua idea della monarchia universale aspirava a regnare su tutta la
cristianità; oltretutto Carlo per recarsi dalla Spagna nei territori
dell’impero aveva bisogno di un corridoio che attraversasse
Sin dalla
elezione di Carlo di Borgogna e di Spagna a imperatore del SRIG (1519) i
rapporti tra i due monarchi si erano inaspriti al punto che Carlo V (1536)
attraversava le Alpi per invadere
Francesco aveva ritenuto opporgli la terra bruciata, cento tra
città e villaggi erano stati rasi al suolo; i mulini distrutti, i campi
inariditi, i pozzi avvelenati, le botti sfondate; al posto di un ammirabile
giardino fu creato un deserto; erano state lasciate le vigne e gli alberi da
frutta che avrebbero procurato la dissenteria tra i soldati affamati.
Carlo V si
era fermato e accampato ad Aix; privo di viveri aveva mandato soldati verso Arles, Tarascona,
Marsiglia città imprendibili se non con lungo assedio: ad agosto i
francesi potevano tirare un sospiro di sollievo.
Fu allora
che il Delfino, recatosi a Tournon,
giocando a pallacorda, sudato, aveva chiesto al suo scudiero Montecuculli un bicchiere
di acque fresca e dopo averla bevuta era stato
colpito da sincope (10 agosto 1536).
Il re affranto dal
dolore non dubitò che lo avesse avvelenato Montecuculli, al servizio di
Carlo V; arrestato e torturato egli disse ciò che volevano i giudici;
Carlo V protestò contro l’oltraggiosa calunnia; i suoi generali a
loro volta accusarono Caterina, che proveniva dalla terra dei Borgia e dei
veleni, in quanto una simile disgrazia la rendeva Delfina.
Morto un re se ne fa un altro; Enrico, era il nuovo Delfino (4 Sett.) e il suo titolo di
duca d’Orleans passava al fratello cadetto, Carlo duca
d’Angouléme; il Gran Maestro Francois de Montmorency gli aveva
preparato un ingresso trionfale ad Avignone che segnerà l’amicizia
del giovane e malinconico principe con il quadragenario burbero uomo di corte.
Carlo V (14 sett.) ordinò la ritirata; senza combattere
aveva perso la metà dell’esercito; i danni subiti dalla Provenza
ammontavano a tremilioni di scudi d’oro; sarebbe stato il momento buono
per attaccare ciò che rimaneva del suo esercito e abbassare la superbia
di Carlo V ma Montmorency sebbene ottimo generale, non era stato in grado di
prendere una simile decisione.
L’INCONTRO CHE SEGNA
L’INIZIO DEL RAPPORTO
TRA ENRICO E DIANA
M |
orto il Delfino
Francesco (agosto 1536) gli subentra il secondogenito Enrico per il quale
Montmorency prepara un fastoso ingresso trionfale ad Avignone (il 4 settembre);
erano passati due anni dal matrimonio con Caterina, senza maternità,
e sebbene Enrico fosse affetto da ipospadia
(malformazione dell’uretra e del pene che comunque non gli impediva di
avere rapporti sessuali), fu decretata la sterilità di Caterina.
Un divorzio era impensabile: ciò che il consolidato costume
dell’epoca suggeriva era una amante! Chi avrebbe potuto risolvere il
problema del giovane Delfino era
Montmorency, il quale aveva pensato di far scendere dall’Olimpo in cui
viveva, la dea Diana, anche se la differenza di età tra i due potesse
sembrare abissale.
Montmorency tra le sue residenze amava il castello
d’Ecouen, una sontuosa dimora degna di un sovrano, traboccante di oggetti
d’arte, di marmi, di vetri particolarmente erotici, sculture “scioccanti d’impudore da far
ruggire Rabelais”: niente di più naturale che far incontrare
il giovane principe e la contessa in un ambiente così voluttuoso da
eccitare i sensi di Enrico e i desideri di un corpo adolescente per Diana, che
per marito aveva avuto un vecchio gobbo.
Ma, è stato scritto, la
cacciatrice non divenne schiava di Venere; il
rapporto tra i due non aveva coinvolto l’erotismo ma una tenerezza che
poteva intercorrere tra madre e
figlio,
Enrico, durante la prigionia spagnola aveva acquisito gusti sobri
nel vestire, scegliendo come colori il nero e il bianco (adottati da Diana alla
morte del marito) cha aveva già usato nei tornei con il simbolo della Luna crescente e il motto “Denec totum impleat orbem” Fino a quando si riempie tutto il giro;
diventerà celebre il suo monogramma con
Pare che dal loro rapporto fosse nata una bambina allevata da
Diana con un’altra figlia naturale avuta da Enrico in occasione della sua
esperienza soldatesca come comandante dell’armata francese (con
Montmorency luogotenente generale), venuta in Italia (ottobre 1537).
Enrico aveva incontrato sulla sua strada una piemontese di rara
bellezza, Filippa Duc, l’aveva violentata e messa incinta; alla bambina
era stato dato il nome di Diana, ciò che a molti aveva fatto sorgere il
sospetto che fosse anche una loro figlia; in ogni caso le bambine allevate da
Diana erano tre, una sarebbe stata la figlia di Filippa, l’altra era la
figlia che Enrico aveva avuto da Maria Fleming, governante di Maria Stuart e la
terza era la figlia di Enrico e Diana.
A Corte si mormorava che per la sterilità di Caterina,
Enrico dovesse ripudiarla; Claude de Guisa proponeva come nuova moglie la sua
seconda figlia, nota per la sua bellezza (la sua primogenita aveva sposato il
re di Scozia); il Consiglio preconizzava un divorzio al quale Montorency non si
opponeva. v
Venutane a conoscenza, tremando e singhiozzando Caterina era
corsa a gettarsi ai piedi di Francesco e abbracciandogli le ginocchia si
dichiarava disposta ad entrare in convento; Francesco amava la nuora che per
lui aveva cercato in Toscana preziosi manoscritti e di cui sapeva apprezzare la
poco nota potenza della sua intelligenza; per lui Caterina, che aveva
conservato l’accento e la modestia della sua regione d’origine, e
nulla della cultura latina le fosse
estraneo, rappresentava il prestigio dell’Italia:- “Il gigante prese la piccola Caterina e
sollevandola e abbracciandola le disse, figlia
mia Dio ha voluto che fossi mia nuora e la donna del Delfino, io non voglio che
sia altrimenti e può darsi che Dio vorrà concedere i tuoi e i
nostri desideri”; Caterina si mostrò riconoscente al re e a
madame d’Etampes.
Costei, gelosa di Diana che primeggiava a Corte, si era
assicurata i servizi di un poeta che imitava Giovenale e tra i suoi versi
(Hendecasyllabes) più benevoli metteva in evidenza i suoi difetti
fisici, della faccia tinta della cacciatrice, delle rughe, dei denti finti, dei
capelli grigi, del suo colore viziato; per di più M.me d’Etampes,
per sottolineare la sua giovinezza, si vantava di essere nata quando Diana
aveva sposato il Gran Siniscalco (tra di loro vi erano nove anni di
differenza!).
Caterina aveva avuto una sterilità che si era protratta
per dieci anni ... ma alla fine, circondata com’era da astrologi,
alchimisti, stregoni, consultando i tarocchi (v. Art. Ermete Trismegisto e il
libro di Tot ecc.), portando talismani, bevendo filtri, evitando di viaggiare
sui muli (ritenuti animali infecondi), senza interrompere le pratiche di
devozione e invocando l’intervento divino, consultando i testi di Alberto
Magno, Fozio, il Taberiensis, Isidoro il Fisico, a ventitre anni rimase incinta
(1543) e in tredici anni ebbe dieci figli, quasi tutti morti giovani a causa
del mal sangue del padre: il primo maschio (1544) fu Francesco, Delfino,
destinato ad essere il futuro re di Francia.
Nel 1539 Francesco I
si era ammalato di un ascesso al perineo
sul quale i medici avrebbero discusso nei secoli successivi; morirà
all’età di cinquantatre anni (1547), consumato dalla sifilide
contratta da giovane e trasmessa alle donne di cui aveva fatto strage dei loro
cuori, e delle loro vite.
Da ricerche fatte
dal medico Guyon, gliel’avrebbe trasmessa in Guienna, tramite la moglie,
un avvocato geloso, quando aveva saputo che la moglie era divenuta sua amante;
l’avvocato si era infettato volontariamente per trasmetterla alla moglie
e questa al giovane Francesco; mentre l’avvocato si era curato ed era
guarito, Francesco era stato mal curato
da medici incompetenti in base alla sua qualità (di re),
piuttosto che secondo il male; su questa circostanza della malattia contratta a
diciassette anni non vi sono dubbi in quanto annotata in un diario (1512) dalla
madre Luisa.
IL REGNO DI
FRANCESCO II
L’ASSASSINIO DI COLIGNY
E I CALVINISTI
E |
nrico ferito
durante un torneo, muore e gli succede il figlio quindicenne Francesco II; i
fratelli Guisa convincono Caterina ad affidare a loro il governo del regno, ma
interveniva il principe di Condé, Luigi di Borbone, il quale pretendeva
la istituzione di una reggenza che spettava a suo fratello Antonio di Borbone,
re di Navarra (in quanto marito di Jeanne d’Albret, regina di Navarra),
erede al trono di Francia nel caso di estinzione dei Valois.
Antonio era
debole di carattere e non fece valere i suoi diritti; ne sortì un
complotto, noto come “congiura di
Amboise”, inteso a catturare gli ambiziosi e inseparabili fratelli,
duca Francesco di Guisa e cardinale Carlo di Lorena; un esercito raccolto nei
pressi di Amboise avrebbe permesso al Condé di assumere il potere; la
trama fu scoperta e il governo poté togliere di mezzo i cospiratori.
La congiura
ebbe ripercussioni religiose in quanto i Guisa erano stati costretti a moderare
la loro tracotanza e porre un freno alle persecuzioni e perfino a concedere
agli ugonotti una conciliazione nazionale dei vescovi e degli stati generali
che discussero il problema religioso.
Francesco, moriva dopo due anni
di matrimonio con Maria Stuart (1560), e gli succedeva il fratello Carlo col
nome di Carlo IX di dieci anni. la cui reggenza era affidata alla madre Caterina.
La regina
cercando una conciliazione tra cattolici e ugonotti, aveva riunito una
commissione a Poissy (1560) credendo di poter ottenere un accordo politico, ma
la commissione non si adeguava a questa decisione; i fratelli Guisa unitisi a
Montmorency, lasciavano
Caterina, in
difficoltà, cercava di salvare la pace con l’Editto di tolleranza (1562) il quale prevedeva per gli ugonotti la
libertà di culto fuori delle città, consentiva il culto privato
entro le mura cittadine, la facoltà di tenere sinodi e il riconoscimento
dei pastori, previo giuramento di fedeltà alle istituzioni; ma questo
provvedimento raggiunse risultati opposti perché il proselitismo
calvinista si era spinto oltre i limiti previsti e aveva assunto le
caratteristiche di una diffusione forzata della dottrina e del culto riformati,
a cui corrispose una energica risposta dei cattolici, specie del nord, dove
l’attaccamento dei contadini alla religione era maggiore.
A Vassy i
seguaci del duca Francesco di Guisa, durante un servizio religioso (1562), si
scatenarono nel massacro di una trentina di fedeli; a loro volta gli ugonotti
in diverse città (Lion, Tours, Blois, Rouen) assalirono i cattolici:
aveva così inizio la guerra civile.
A
Fontainbleu la famiglia reale era tenuta prigioniera dai cattolici: la
situazione era sfuggita di mano a Caterina che aveva firmato l’editto di Amboise (1563) con il quale accordava
ai soli nobili la facoltà di praticare il culto riformato nei loro
castelli (Calvino, che possiamo considerare un fondamentalista, accusava
Antonio di Borbone di essere un miserabile che aveva pensato alla propria
sicurezza e alla tranquillità dei suoi compagni di fede).
Il 24 Agosto 1572 Caterina consentiva di eliminare
l’ammiraglio Gaspard de Coligny e con la sua morte aveva inizio il
massacro di san Bartolomeo.
Coligny era
il nipote eretico del cattolico Montmorency e capo degli ugonotti; con tutto il
suo seguito si era unito ad Antonio di Borbone; anche i suoi fratelli Francois
d’Andelot e il cardinale, principe vescovo di Beauvais, si erano
convertiti; i calvinisti (che in Francia stavano avendo una grande espansione
(*)) erano organizzati militarmente e godevano di finanziamenti offerti da
ricchi banchieri e i proventi delle elargizioni volontarie dei fedeli (questo
rapporto tra ricchezza e calvinismo sarà teorizzata da Max Weber ne
“L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo”).
Coligny,
come suo zio, era un personaggio irreprensibile; aveva speso la sua vita al
servizio del re, si era mostrato soldato coraggioso, eccellente
organizzatore e capo severo; la sua conversione era stata lenta e turbata da conflitti interiori;
quando decise di passare all’azione, lo fece solo per ottenere la
libertà di coscienza e di culto per gli ugonotti suoi correligionari e
non per combattere il sistema
politico o il re.
Gli
ufficiali di Enrico di Guisa si recarono da Coligny e sfondata la porta, lo
trovano che in ginocchio pregava; un soldato lo colpisce e ancora vivo lo
buttano dalla finestra; dopo essersi assicurato che fosse morto, il duca diede
ordine ai soldati di diffondere la parola d’ordine “tuez-tuez” ammazza-ammazza, ordine del re: ebbe così inizio il massacro
che durò tutto il giorno della domenica 24; il giorno 25 lunedì,
era stato trovato un biancospino, fiorito fuori stagione; considerato un
miracolo, si fecero suonare le campane, ma il popolo aveva scambiato il suono
delle campane per invito a riprendere il massacro, che continuò per
tutto il giorno.
A Parigi vi
erano stati duemila morti, cinquemila nelle province (la valutazione era tra i
cinquemila e trentamila morti); il filosofo Pierre Ramus, inventore del sistema
di logica, era stato fatto ammazzare da un suo collega invidioso; il duca della
Rochefoucauld che il giorno prima aveva giocato a pallacorda con il re, vedendo
arrivare degli uomini mascherati aveva pensato che fossero venuti per invitarlo
a uno scherzo regale, ma fu ammazzato!
Il 26 Carlo
IX si recò al Palazzo di Giustizia attraversando le strade piene di
cadaveri e attestò al Parlamento di aver ordinato il massacro; ma due
anni dopo, prima di morire consumato dal mal sottile, esclamava: “Che ecatombe, che assassinio. Quale
cattivo consiglio ho seguito. Mio Dio, perdonami. Sono perduto”; il
30 Maggio 1574, spirava dopo aver raccomandato la
moglie e la figlia al fratello Enrico, suo successore col nome di Enrico III (1551-1589),
ultimo dei Valois, ucciso dal frate Jaques Clément dopo aver ordinato
l’assassinio dei fratelli Enrico e Luigi di Guisa.
Gli succedeva il figlio di Antonio di Borbone, Enrico, come
Enrico IV; questi era ugonotto e divenuto re si convertiva al cattolicesimo;
giudicando inattuabile il progetto di riunione di cattolici e protestanti,
emanava l’Editto di Nantes (1598)
che concedeva ai calvinisti la libertà di coscienza e l’accesso
alle cariche pubbliche; centocinquanta città erano considerate “città rifugio”,
difese da guarnigioni protestanti e comandate da un governatore protestante,
esponente della nobiltà; il movimento ugonotto, così organizzato
su base militare era lo Stato nello Stato, che il cardinale Richelieu
combatté e distrusse, con il colpo di grazia finale di Luigi XIV che lo
revocava nel 1685 (v. Articoli: Amanti e
favorite del re Sole ecc.); fu ucciso dal fanatico cattolico Francois
Ravaillac.
*) L’adesione dei francesi al
calvinismo era dovuto al fatto che
In pratica il calvinismo tendeva a
considerare la vita religiosa, specie in un’epoca di dissipazione, come
una specie di guerra e in tempo di guerra il francese accetta una limitazione
alla sua libertà e si può dire che il calvinismo francese fosse
nato con le armi in pugno in quanto fin dall’inizio dovette combattere contro
le persecuzioni che
portarono alle guerre di religione.
Nella “Disciplina” (redatta nel 1559), era confermato il carattere
democratico dell’Ordinamento adottato a Poitiers (1557) con
l’elezione popolare dei diaconi, riservando al concistoro la scelta dei pastori, fatta salva l’approvazione
del laicato.
Non a caso gli ultimi anni di Francesco I e
quelli di Enrico II, furono contrassegnati da un inasprimento delle
persecuzioni dei protestanti che aumentavano di numero, come avverrà in
seguito con l’anarchia (v. “Anarchia”
in Schede S.), quando gli anarchici più si perseguitavano e più
aumentavano!
Nell’ “Institutio religio christiana” Calvino attribuiva una
triplice funzione alla morale divina: 1. Indicare la virtù che Dio
richiede agli uomini e dimostrarci la nostra impotenza a conseguirla con le
nostre sole forze e quindi la nostra contraddizione di peccatori su cui grava
la maledizione della colpa originale; 2. Porre un freno alla nostra
malvagità con la paura del castigo; 3. Additare agli eletti la via verso
la santità a cui Dio li chiama (gli Eletti: individuati in coloro
che diventavano ricchi!).
IL
DUELLO
GIUDIZIARIO
CON LO
SPADONE
SVELATO
“
LE COUPE DE JARNAC”
|
N |
on si sa bene come fossero andate effettivamente le cose, ma si
trattava di un pettegolezzo di Corte,
originato proprio dal Delfino: i personaggi coinvolti erano Guy Chabot de
Jarnac e Montelieu, cognato della duchessa d’Etampes e Francois Vivonne
de
La duchessa d’Etampes, aveva una sorella, Louise de
Pisseleu sposata a Chabot de Jarnac, damerino
di piccola nobiltà, che faceva
sfoggio di abiti più che di armi da guerra; costui era amico di
Vivonne de
Su queste premesse circolavano due versioni, una, secondo la
quale un giorno il Delfino (su suggerimento di Diana che, come abbiamo detto,
detestava la duchessa d’Etampes) avrebbe chiesto a Jarnac come potesse
avere quel suo tenore di vita e Jarnac avrebbe risposto che sua suocera “aveva delle accortezze nei suoi
confronti”; Enrico fingendo di aver frainteso, riferiva la cosa a un
pettegolo ... che propalava che “il
damerino fosse l’amante della suocera”!
Brantôme ci dà una versione diversa che riteniamo sia da
prendere in considerazione in quanto nelle sue Memorie egli aveva pubblicato anche delle pezze giustificative,
frutto delle sue ricerche.
Secondo questa versione, dopo che Chabot de Jarnac si era
espresso con Vivonne de
Una tale ingiuria secondo le idee del tempo gettava il disonore
sulla famiglia e Chabot de Jarnac giurò che “chiunque avesse così mentito era un perfido, un disgraziato, un
vigliacco”; ma si era scavato la fossa, in quanto Vivonne de
Anche la suocera, Madeleine de Puy-Guyon diretta interessata,
aveva intentato azione penale contro Vivonne de
Nel frattempo Francesco I moriva e gli succedeva Enrico II al
quale fu rinnovata la richiesta ed Enrico dava subito via libera al duello giudiziario ancor prima di essere
incoronato; il 23 aprile si riuniva il Consiglio nel castello di Anet, che
fissava la data del duello per il 10 luglio e il luogo, presso il castello di
Saint Germain de Laye: nulla di simile si era più verificato dai tempi
di san Luigi!
Una immensa curiosità si era sollevata in tutto il regno;
dalle città, dalle campagne, dai castelli, una folla di nobili e
borghesi si era riversata a Saint Germain per assistere allo straordinario
spettacolo e per vedere con i propri occhi
Prima di questa parata d’armi se ne dovette fare una
funebre, dei corpi di Francesco I, del Delfino Francesco e del duca Carlo
d’Orleans, che si trovavano nella chiesa di Nôtre Dame des Champs, i quali furono portati a Saint Denis;
il funerale attraversò le strade di Parigi tutte ricoperte di viola con
bordi d’argento, tra il clamore delle armi, i pennacchi neri, le lanterne
velate di crépes, le fiammelle
dei ceri e gli sfavillanti costumi del servizio d’onore che migliaia di
curiosi ammiravano sbalorditi.
Il dieci luglio allestite le lizze, fin dalle sei del mattino
l’intera corte presenziava pomposamente con una immensa folla; molti vi
si erano recati per vedere con i propri occhi il re tra le due dame, la rotonda
fiorentina ricoperta di sete con le sue famose perle e la
siluette della Gran Siniscalca: il maestoso spettacolo riportava al
lontano medioevo, come se il Rinascimento non fosse mai esistito.
Chabot de Jarnac, spaventato per la fine che avrebbe fatto, si
era rivolto a Diana che di fronte alla richiesta di risparmiargli il duello era
rimasta di marmo, rispondendo semplicemente che “era la volontà del re”; Jarnac si preparava a immolare
la sua vita; come unico rimedio si era rivolto all’emerito maestro
d’armi, il capitano italiano Caize.
L’unico vantaggio avuto da Chabot de Jarnac era stato
quello di poter scegliere l’arma che gli salverà la vita (*): la
richiesta del suo padrino Claud Gouffier de Boisy, aveva lasciato sbalorditi i “giudici di campo”;
l’arma era insolita, si trattava dello spadone; arma inusitata
fin dal secolo precedente, (molto usata dai lanzichenecchi, ottima nei
combattimenti con chi fosse ricoperto da corazza), pesante, imbarazzante fuori
moda e da maneggiare con due mani.
Il duca Claude d’Aumale che faceva parte dei “giudici di campo”, si era
opposto, ma i giudici dopo aver discusso per tutto il giorno di daghe, spade,
cotte, maglie e delle pesanti spade del tempo di Carlo il Temerario
(1433-1477), acconsentirono all’arma scelta da Chabot de Jarnac: si erano fatte
le sei del pomeriggio, con la folla esasperata per la lunga attesa quando,
finalmente fu annunciata la fatidica frase: Laissez-les-aller
les bons combattentes (Lasciateli andare i buoni combattenti).
Vivonne de
Il combattimento era “á toute
outrance”, a oltranza, fino alla morte di uno dei combattenti e per
le modalità in cui si svolse, ebbe pochi attimi di durata.
Quando si parla del c.d. “colpo
di Jarnac” non si fa riferimento all’arma che lo aveva
consentito (erroneamente le riproduzioni del duello riportano i due contendenti
con le normali spade!): il geniale suggerimento dato dal capitano Caize a un
inesperto come Jarnac, era stato di scegliere lo spadone,
che per di più
il suo avversario non poteva usare a causa del suo braccio teso (**).
Lo spadone era infatti molto più lungo della normale spada
con la quale Jarnac si poteva tenere a distanza dall’avversario, da non
essere facilmente colpito con la normale spada; egli, senza pensare di mettersi
in guardia per salvaguardare il proprio corpo, poté sferrare un primo
colpo mirando alle gambe e ferendo l’avversario al ginocchio destro;
Vivonne de
“Rendimi il mio
onore, ringraziando Dio e il re” gli
urlò Jarnac, ma Vivonne non rispondeva; il vincitore andò a
inginocchiarsi davanti al re: Sire, vi
supplico di considerarmi un uomo dabbene! Vi dono
Enrico non era capace di rispondere all’istante al
prodigioso accidente che lo aveva sbalordito e paralizzato dal
furore e dalla umiliazione, rimanendo senza voce.
Jarnac ritornò dal ferito, supplicandolo di rialzarsi, ma
Vivonne, tentò di sollevarsi appoggiandosi all’altro ginocchio e cercando
di colpirlo, ma ricadde; Jarnac non osava dargli il colpo di grazia e non
sapendo cosa fare, si inginocchiò di nuovo davanti al re che rimase muto
e livido: - “Sire, vi prego,
lasciate che ve lo offra, dal momento che è stato allevato nella vostra
casa: Sire, consideratemi uomo dabbene”.
Il silenzio reale impediva la riparazione dovuta al vincitore e
richiedeva di causare la morte del vinto; egli insisteva; Amadigi non si rassegnava alla vergogna di offrire alla sua dama il premio
della sua disfatta. Jarnac, fuori di se torna
ancora da Vivonne, dicendogli: “In
nome del tuo Creatore, riconosci che rimarremo amici”. Poi, per la
terza volta si recò dal re: “Sire,
per l’amor di Dio, almeno prendetelo”.
A questo punto intervenne Montorency il
quale esaminato il ferito, si rivolse al re: Sire, guardate che il ferito deve essere spostato” ; silenzio del re, la folla
cominciava a rumoreggiare; Jarnac ricorse al personaggio centrale di tutta
questa storia, Diana! “Oh madame,
me lo avevate ben detto”; il re si spaventò e può
darsi, per riguardo a lei, ordinò di finirla: Le sue strette labbra si
aprirono e disse: Me lo donate? Si, sire, aggiunse Jarnac, non sono uomo dabbene?
Secondo le regole Enrico doveva metter fine a questa faccenda
dicendo “Voi siete uomo dabbene”;
ma non aveva coraggio e disse: “Voi
avete fatto il vostro dovere e vi deve essere restituito l’onore
perduto.” Le acclamazioni del pubblico coprirono le sue parole;
Montmorency, sbalordito, invocò la tradizione: il
vincitore doveva fare il giro attorno alle lizze con la passeggiata trionfale,
ma Jarnac rifiutò questo onore e salì sul palco reale; Enrico lo
abbracciò: “Avete combattuto
da Cesare, gli disse, parlate da Aristotele”;
non accordò alcun riguardo al suo campione che fu portato via inanimato il
quale morì dissanguato dopo due giorni.
Il popolo manifestò selvaggiamente, andando ad assaltare
il padiglione di Vivonne che la sera precedente aveva offerto una lussuosa cena
ed erano rimasti tutti gli avanzi e tutto i vasellame
d’argento fornito dai nobili che vi avevano partecipato: fu tutto dissipato, saccheggiato e rubato.
Il re si sfogò dando ordine alle guardie di ristabilire
l’ordine senza pietà e tutto terminò a colpi di alabarda e
di bastone impartiti dai capitani e arcieri dalle guardie; tutto finì, scrive Brantôme, “come il saccheggio di una città presa d’assalto”.
Sull’esito del duello, era stato scritto (Vielleville) “Dio che l’attendeva al
passaggio, da vincitore di fantasia, lo rese vinto nel fatto”.
*) In proposito Brantôme,
nipote di
**) Sulla scelta
dell’arma, riferisce Brantôme, lo zio si era
trovato svantaggiato in quanto aveva il braccio destro rigido e teso a causa di
un colpo di archibugio; egli per questo motivo non poteva maneggiare
l’arma scelta da Jarnac e infatti, in questo duello aveva dovuto
ricorrere alla normale spada, non potendo maneggiare uno spadone.
I CAMBIAMENTI
A CORTE E
“
DI
CATERINA
I |
l re cercò di dimenticare l’umiliazione subita con
lo sfarzo della sua incoronazione (26.VII.1547); la cerimonia si svolse a Reims
e fu una delle più sfarzose della monarchia (su probabile suggerimento
di Diana!); era stato ordinato il rinnovo dell’antico decoro del
cerimoniale, con rifacimento di tutti gli ornamenti e costumi tra i quali
spiccava il celebre monogramma di Enrico con la sua iniziale associata alla falce di luna che rappresentava
Diana.
Nel successivo mese di settembre Caterina partoriva la prima
femmina, delle numerose maternità che seguiranno, che non le daranno
né felicità né prestigio, perché la governante del
regno rimaneva Diana.
Caterina però, rinfrancata e assistita dalle quattro
più importanti dame del regno: la onnipresente Diana e le dame Jaquelin
de Longwy, moglie di Louis de Bourbon-Montpensier, Marguerite de Bourbon-Nevers
de Vendome e Marie de Bourbon, contessa di Saint-Pol, organizza un proprio
circolo: attorno alle quattro dame si raccolgono le giovinette appartenenti
alle migliori famiglie del reame; ben presto ne arriveranno dall’Italia,
Fiandre e Scozia; sarà la famosa petite
bande che prima di servire alla politica di Caterina, le permette di
tendere sottili insidie a Diana, mentre i giovani gentiluomini mendicavano i
sorrisi di queste trenta grazie; ma la grande novità per i gentiluomini
fu il divieto di assistere al mattino, al “lever” e alla sera al “coucher” delle fanciulle ... nelle loro camere, consentito al
tempo di Francesco I!
Con la concessione del ducato di Valentinois e Diois, Diana
assurge a rango di principessa del sangue; Enrico aveva voluto portare a
termine la pendenza dei beni di Jean de Poitiers, e, rimettendo la confisca nei
confronti di Jean, aveva accordato a Diana
il feudo della contea di Saint-Vallier e il ducato di Valentinois e
Diois; e quando Caterina è incoronata regina (10.VI.1549) è lei
che le siede accanto e, delle sue due figlie, Francoise duchessa de Bouillon
teneva il cero, e Louise, duchessa d’Aumale, raccoglieva le offerte.
La regina Eleonora, che aveva dovuto subire tante umiliazioni e
amarezze, aveva abbandonato
Caterina permetteva
a tutte le persone moralmente integre di partecipare ai concerti e spettacoli;
in una sala, attorno a lei, ricoperta di perle, vi erano sedie diverse
l’una dall’altra mentre le giovanette, con i loro ampi vestiti,
sedevano su cuscini messi sui tappeti orientali che ricoprivano il parquet, che Caterina faceva venire da
Venezia; esse creavano un effetto di peonie di svariati colori, disseminate per
la sala; i servitori, paggi e lacché erano vestiti con due colori o
rosso e giallo o verde e bianco; il mondo,
scriveva Brantôme, non aveva mai visto
niente di uguale.
Una frattura alla
gamba per una caduta da cavallo (1550) costringe Diana a rimanere prigioniera
ad Anet ed Enrico ne approfitta per concedersi uno svago amoroso con la
trentenne lady Flaming, bella d’aspetto e di maniere, governante di Maria
Stuart (di fatto era Johanna Stuart figlia naturale di Giacomo IV, nonno di
Maria).
La faccenda aveva
suscitato dei rumori a Corte per come si erano svolti i fatti; si era infatti notato
che Montmorency di notte si introduceva nell’appartamento della piccola
Maria; gli zii offesi, ritennero che il Connestabile volesse disonorare la
reginetta, ma si scoprì che egli accompagnava Enrico nei suoi incontri
con
La principessa
rinascimentale conosceva tutti i poeti, gli artisti, pittori, scultori,
architetti e li utilizzava a suo profitto: Philibert de l’Orme era stato
nominato sovrintendente degli edifici reali e Diana lo aveva chiamato per
abbellire i suoi castelli: primo Anet, dove, senza sacrificare la parte vecchia
cara a suo marito, fa costruire un blocco nuovo, creando un’opera
rinascimentale (1552) dove spiccava l’ammirabile biblioteca; poi si
dedica ai castelli Chenonceaux e Chaumont uno più bello
dell’altro; quest’ultimo era stato reclamato da Caterina come
appartenente al demanio; dopo una breve resistenza Diana lo aveva restituito
per non andare incontro alla brutale confisca, riservata ai castelli detenuti
dalla duchessa d’Etampes.
IL
MATRIMONIO DI
MARIA
STUART
E FINE
DEL RAPPORTO
TRA CATERINA E DIANA
I |
Guisa, facendo
intravedere a Enrico una unione della Scozia al regno di Francia, proposero il
matrimonio di Maria con il Delfino Francesco che aveva tre anni e mezzo e avuto
l’assenso, la piccola Maria incoronata regina il giorno dopo la sua
nascita, fu mandata presso
A quindici anni la “Rosa
di Scozia” brillava a Corte come
un astro di prima grandezza; gli uomini non finivano mai di esserne abbagliati;
a Corte era lei a dominare, travolgere, sconvolgere tutto.
I fratelli Guisa, approfittando della circostanza che Montmorency
era stato arrestato (con il maresciallo Jaques d’Albon de
Saint-André) e non faceva più parte del Consiglio reale, mentre
Carlo di Lorena
accresceva la sua insolenza, il fratello Louis, entrava a far
parte del Consiglio e per prima cosa reclamò il matrimonio della nipote
Maria con il Delfino Francesco.
La regina Caterina riteneva che il matrimonio del nipote fosse
prematuro e si unì a Diana che era della medesima opinione; lo stesso
Enrico che non riusciva a liberarsi dei Guisa, esasperato dalle pressioni,
diede il suo consenso “perché non mi rompano più la testa”: il matrimonio fu celebrato il 24
giugno 1558; il Delfino aveva quattordici anni, Maria sedici; Maria era la
nuova Delfina.
Quell’anno era stato un anno di carestia: per le strade vi
era gente morta di fame; di anarchia del potere centrale, di rivolta dei
protestanti e di depressione economica, con la moneta ridotta alla metà
del suo valore; l’eccessivo aumento dei prezzi aveva travolto chi viveva
di rendita, funzionari, piccola nobiltà; intere città erano
coinvolte nella crisi.
Il bellicoso Carlo di Lorena aveva suscitato una reazione di
massa dei protestanti portando all’esasperazione Enrico che in proposito
aveva detto: “Giuro che se non
avessi i problemi esterni (ai confini),
per le strade farei correre il sangue e le teste di questa canaglia”.
L’imperatore Carlo V si era appena dimesso e il figlio Filippo
II aveva fatto ammassare le sue truppe presso i confini dell’Artois;
Filippo aveva come stratega militare l’abile duca Emanuele-Filiberto di
Savoia detto Testa di Ferro, che lo
aveva convinto a rinunciare alle rivendicazioni in Italia, per colpire
La felicità della Delfina non durerà per molto in
quanto, dopo appena due anni di matrimonio, a diciotto anni, rimarrà
vedova: avrà termine la sua la vita spensierata di leggerezza e di sogno
passata presso
Una possibile sua permanenza presso
Infatti, un giorno, con Caterina si era mostrata insolente nel
rinfacciarle di essere “mercante e
banchiera e lei figlia di re”; dovette tornarsene in Scozia
dove, a causa di sue scelte sbagliate, dettate dalla sua particolare accentuata
sensualità che si svilupperà fin dalle prime esperienze,
andrà incontro a una vita (ci auguriamo poter finire un articolo
già iniziato!) che sarà da tragedia ... fino alla fine!
Era giunto anche il momento in cui anche l’idilliaco
rapporto, vero o falso, che aveva legato moglie e amante del re, durato
ventiquattro anni, aveva termine: Un giorno Diana aveva trovato la regina
assorta a leggere un libro: - Cosa
leggete, madame? Gli storici di questo reame, dove trovo che di tempo in tempo,
in tutte le epoche, le puttane hanno diretto gli affari dei re; la frase
rimbalzò di reggia in reggia in tutta la cristianità: la maschera
della accettazione della condivisione del marito, era finalmente caduta!
Tornato libero dalla prigionia, Montmorency si reca a Saint
Germain dal re che lo accoglie con grandi manifestazioni di amicizia e
benevolenza; il Connestabile riprende tutte le sue cariche e finalmente Enrico
può liberarsi dalla stretta morsa dei Guisa; ma lo sport che egli ama di
più, gli riserva una tragica fine.
UNA
FINE
PREANNUNCIATA
DAGLI
ASTROLOGI
M |
ai gli astrologi erano stati così vicini alle loro
previsioni: da tempo (1552) l’astrologo Luca Gaurico aveva avvertito
Enrico di non frequentare i tornei e di “evitare i combattimenti in campo chiuso, specie al compimento del
quarantunesimo anno di età”; tre anni dopo apparvero le
(ambigue) Centurie di Nostradamus; la
quarta sembrava essere la
più chiara di tutte le previsioni del celebre astrologo, a parte
l’ambiguità tra il giovane e
vecchio leone, a voler essere chiari avrebbe dovuto dire “il vecchio leone sormonterà il giovane”:
Le lion jeune, le vieux sourmontera (Il giovane leone il vecchio
sopraffarrà)
Au champ bellique par singulierr duel (In campo da combattimento per
singolar
duello)
Dans cage d’or les yeux lui le crevera (Nel casco
d’oro gli occhi creperà)
Deux
plaie ont fait mourir, mort cruelle. (Due ferite lo faranno morire, di
morte crudele).
La regina e
il Connestabile ne furono colpiti, ma Enrico aveva risposto che sarebbe stato
contento di morire per mano di chiunque fosse bravo, valoroso e che avesse
gloria; Caterina assisté con orrore ai preparativi del torneo e un sogno
l’aveva persuasa che il suo signore andava a sfidare la sorte; ma Enrico
non desiderava altro che dar prova della sua forza.
Seguendo la tradizione la palizzata era stata preparata nella
strada più larga di Parigi, Via Saint-Antoine davanti al palazzo delle
Tournelles (poi place des Vosges), residenza estiva della Corte; il torneo
iniziava il 28 giugno 1559.
I quattro arbitri del torneo erano lo stesso re e i duchi di
Guisa, Ferrara e Nemours: il re aveva i colori di Diana, bianco e nero, Guisa
bianco e incarnato, Ferrara, giallo e rosso e Nemours giallo e nero.
Le dame e i cardinali erano in tribuna dove Diana sedeva fra tre
regine, Elisabetta di Spagna (figlia di Enrico, che aveva appena sposato
Filippo II), la regina madre Caterina e Maria, regina di Scozia e Delfina.
Enrico montava un bellissimo cavallo turco che aveva un nome non
troppo propiziatorio, Malheur; il 30
il caldo era soffocante; quando era apparsa la regina in abito violetto, il suo
viso era livido per il dolore.
Il re si scontrò prima con il duca di Savoia e poi con il
duca di Guisa; Caterina gli aveva fatto sapere di smetterla per l’ora tarda
e per il caldo, ma Enrico voleva misurarsi con il capo della guardia scozzese
Gabriel de Montgomery che in un torneo precedente lo aveva scavalcato.
Nenours gli disse che la regina lo supplicava di non farlo, per
amor suo; ma Enrico rispondeva che correva questa lancia proprio per
l’amore che aveva per lei; il maresciallo di Vieilleville gli disse che
aveva già rotto diverse lance e avrebbe fatto bene a riposare e
aggiunse: “Sire, giuro su Dio che
sono più di tre notti che non faccio che sognare che vi arriverà
un malore oggi e che quest’ultimo giorno vi sarà fatale; fate pure
ciò che vi piaccia”.
Enrico era ostinato e per tutta risposta chiese a Vielleville di
armarlo, sebbene questo compito spettasse al Gran scudiero Boisy; “Sire”, gli disse Vielleville,
“non ho mai fatto nulla di
più contrario”; ma mentre il maresciallo gli stava fermando la
cinghia della visiera, il re si svincolò spazientito e, insensibile alle
suppliche della regina, si fece metter in sella e partiva per affrontare
Montgomery, con la cinghia della visiera non bloccata.
Tra il suono di trombe e trombette avviene il primo scontro; i
due cavalieri rompono le prime lance; Enrico cambia la sua, Mongomery non si sa
come mai, tiene la sua con la punta spezzata; al nuovo scontro, stranamente le
fanfare tacciono; nello scontro, la lancia spezzata di Montgomery sollevando la
visiera non ferma di Enrico, penetra nel suo occhio uscendo dalla tempia; il re
rimane in sella fino alla fine della lizza dove è preso dalle braccia
degli scudieri: Sono morto, disse. Lo
portano sanguinante alle Tournelles; Diana lo aveva seguito con gli occhi e non
lo rivedrà mai più!
Enrico morirà dopo sei giorni; avrebbero potuto salvarlo
se avessero pulito la ferita e fossero intervenuti con il trapano; erano state
utilizzate quattro teste di condannati per fare delle prove; il re Filippo II
aveva mandato il celebre Andrea Vesalio che giunse quando l’infezione si
era propagata nel corpo e non poté far più niente.
Enrico dimostrò la sua ingenuità politica
raccomandando a Filippo II la famiglia e
Diana non fu chiamata al letto del moribondo e si ricordò
del suo oroscopo che diceva:- “Téte de neige sauvera; Puis
téte d’or perdera - testa di neve salverà-testa d’oro
perderà”.
La sera dell’8 luglio, Enrico non era ancora morto, che
Caterina aveva mandato a prendere i gioielli della corona che Diana
restituì “chiedendo perdono
alla regina per le sue offese e mettendo nelle sue mani tutti i suoi beni e la
sua vita”; la regina si trasferì al Louvre con i nuovi sovrani
Francesco e Maria e i Guisa che prenderanno le redini del potere.
Il duca Francesco occupava l’appartamento che era stato di
Diana, accanto a quello del re, il fratello Carlo l’appartamento di
Montmorency il quale, rimasto a vegliare le spoglie del re, si ritirerà
nel suo castello di Chantilly; con il consenso di Caterina il duca Francesco
assunse il comando dell’esercito, suo fratello Carlo la carica di primo
ministro.
Diana dovette restituire il castello di Chenonceau, in cambio
Caterina le concedeva il castello di Chaumont da lei acquistato con proprio
denaro e pagato centoventimila lire (1550): era la sede delle sue esperienze
magiche, lì si trovava l’uovo filosofico, la verga divinatoria, la
clessidra, la pantacorda (probabile strumento astronomico), la sfera, il
crogiolo, l’apparecchio necessario alla evocazione degli spiriti;
lì si trovava il famoso specchio che Caterina interrogava, dove vide i
suoi tre figli che avrebbero regnato e Enrico IV (figlio di Antonio di Borbone
e Jeanne d’Albret) che avrebbe regnato dopo di loro.
Diana, lontana dalla Corte si dedicò alla amministrazione
dei suoi beni e non soggiornò molto a Chaumont, dividendo i suoi
soggiorni ad Anet, a Beynes e al castello di Limours, uno dei castelli tolti
alla duchessa d’Etempes.
Nessuno di tutti coloro che avevano ricevuto da lei favori e
gratificazioni l’aveva riavvicinata e lei aveva accettato la sua
disgrazia con una dignità esemplare, osservando da lontano tutti gli
avvenimenti che durante i suoi ultimi anni avevano turbato il regno; sarebbe
vissuta ancora sette anni dalla morte di Enrico, intossicandosi
inconsapevolmente per rincorrere il mito dell’eterna giovinezza.
Il celebre
pallore del suo volto, accentuato dal nero dei suoi abiti, non era altro che
anemia provocata dall’elisir che
assumeva: una velenosa mistura di oro e di acidi, che invece di darle la
giovinezza, l’avevano portata alla tomba.
Si trattava
di un composto di acido nitrico e muriatico con l’aggiunta di oro
ricavato da una moneta; le sue ossa nel sepolcro di Anet, profanate durante la rivoluzione francese, erano state fortunatamente ritrovate e
analizzate avevano dato una percentuale di oro duecentocinquanta volte
superiore alla norma!
Se avesse continuato
a fare solo i suoi bagni freddi che faceva da quando era bambina, con il regime
che seguiva, avrebbe potuto vivere ancora più a lungo.
Pur non
essendo molto portata per la religione (ma come abbiamo visto si era scagliata
contro i protestanti), aveva lasciato delle dotazioni alle ragazze povere di
Anet e alla chiesa delle Figlie Pentite,
ottenendo in cambio che nelle numerose messe celebrate per la salvezza della
sua anima, fosse detto ad alta voce: Pregate
Dio per Diana di Poitiers”.
FINE