Diana di Poitiers idealizzata da F. Cluet - National Gallery - Londra

                                                  

 

DIANA DI POITIERS

AMANTE

RINASCIMENTALE

 

 

SOMMARIO: ANTEFATTO DEGLI AVVENIMENTI DELLA PRIMA META’ DEL “ 500”; LA DORATA CREATURA; LUIGI XII SISTEMA LE QUESTIONI INTERNE DEL SUO DIVORZIO E LE PRETESE DELLE PRINCIPESSE; LA FANCIULLEZZA DI DIANA E L’INTRECCIO DEI MATRIMONI PRINCIPESCHI; LA PRIMA CAVALCATA DI FRANCESCO I E L’OSPITALITA’ DI DIANA; LA GRANDE FESTA DI CARLO DI BORBONE E IL PARENTADO DI DIANA CON I  MEDICI; GLI ATTRITI TRA FRANCESCO I E IL BORBONE E LA SUA DRAMMATICA DECISIONE; SAINT VALLIER SALVATO DALLA FIGLIA DIANA INGIUSTAMENTE CALUNNIATA; LA PRIGIONIA DI FRANCESCO E DEI FIGLI - FRANCESCO FESTEGGIA LA LIBERTA’ CON UNA NUOVA AMANTE; IL TRATTATO DELLE DAME E LA LIBERAZIONE DEI FIGLI DI FRANCIA; IL MATRIMONIO DI ENRICO CON CATERINA DE’ MEDICI; CONTRO OGNI ASPETTATIVA ENRICO DIVENTA DELFINO; L’INCONTRO CHE SEGNA L’INIZIO DEL RAPPORTO TRA ENRICO E DIANA; IL REGNO DI FRANCESCO II LA REGGENZA DI CATERINA L’ASSASSINIO DI COLIGNY E I CALVINISTI; IL DUELLO GIUDIZIARIO CON LO SPADONE SVELATO “LE COUP DE JARNAC”; I CAMBIAMENTI A CORTE E LA “PÉTITE BANDE” DI CATERINA; IL MATRIMONIO DI MARIA STUART E FINE DEL RAPPORTO TRA CATERINA E DIANA; UNA FINE PREANNUNCIATA DAGLI ASTROLOGI.

 

 

ANTEFATTO

DEGLI AVVENIMENTI 

DELLA PRIMA META’

DEL “500”

 

 

S

crivere di Diana di Poitiers significa raccontare avvenimenti che si sono verificati in Francia e Italia, e non solo, durante la prima metà del “500”, vale a dire nell’epoca brillante del Rinascimento.

Questo articolo costituisce un antefatto degli avvenimenti che si svilupperanno in tutto il secolo, principalmente in Francia, Spagna, Italia e Germania e avranno per protagonisti Francesco I di Francia e Carlo V il quale, tra le fortune che gli erano letteralmente cascate sulla testa (come corone di regni!), vi era quella di essersi trovato a vivere in pieno Rinascimento, senza averne saputo cogliere lo spirito e ancor più, senza aver incrementato, come mecenate, il suo sviluppo, intento a far guerre, per inseguire, a pro suo, l’idea della monarchia universale, dilapidando così tutto l’oro (quarantamila tonnellate!) proveniente dal Nuovo Mondo (v. Articoli: Carlo V tra Rinascimento, Riforma e Controriforma P.I).

Mentre Francesco I oltre alle donne, amava anche l’arte e non amava invece, Parigi fetida e turbolenta e l’arcaico Louvre di cui aveva fatto abbattere il donjon; Chambord era stata l’opera della sua esuberante giovinezza, Fontainbleu diventerà il simbolo del Rinascimento francese che si svilupperà con l’arrivo del Rosso (1531), del Primaticcio (1533), di Benvenuto Cellini e infine di Leonardo, che tra l’altro gli lascerà la Gioconda.

Non solo, ma tra i personaggi che si affacciano fin dall’inizio nell’avventura di questo nuovo secolo, troviamo Carlo di Borbone, questo grande vassallo dalla fierezza selvaggia, dalle ambizioni indecise, guidato dai cambiamenti del suo umore e dalle sue inquietudini segrete, decisamente contro-corrente in una Francia tutta raccolta intorno al proprio re rinascimentale quale era Francesco I, con la conseguenza che tra i due personaggi i rapporti sarebbero stati, come vedremo, fortemente traumatici: tra l’altro per la redazione di questo articolo ci siamo serviti del prezioso libretto di Philippe Erlanger (1903-1987), Gallimard,1974.

 

 

LA DORATA CREATURA

 

 

L

a “dorata creatura dalla bellezza impareggiabile, la divinità della Rinascenza francese, la maga che aveva stregato un principe del quale poteva esser madre”, è una delle definizioni date a Diana di Poitiers, considerata l’impronta del XVI sec., “le gran siécle”.

Di nobiltà feudale, attestata da una infinità di titoli (*) portati dal padre Jean de Poitiers (un Raimondo di Poitiers aveva partecipato alla Crociata: v. in Art. I mille anni dell’impero bizantino: Cap. VIII, P. II) e dalla proprietà di tre castelli di famiglia, di Saint-Vallier, Pizançon e Estoile-Serignan, che testimoniavano la decadenza dell’epoca feudale rispetto all’epoca rinascimentale che si stava affermando lungo la Loira, con quei nuovi castelli che possono essere considerati l’orgoglio dell’epoca e della Francia.

Jean era nato (1475) da Aymar VI e Anne de la Tour, figlia del conte d’Auvergne, tra i tanti titoli (*) aveva quello di sire di Saint-Vallier ed era un uomo forte, avventuroso, battagliero, sottomesso alla Chiesa e fedele alle tradizioni feudali.

Nel 1125 capo della casa di Poitiers era il conte di Velentinois e il suo stemma era armato di una fiamma capovolta con il motto “Qui me alit, me estinguit - Chi soffia su di me, mi spegne.”

Alla fine del XIV sec. la famiglia si era divisa in due rami, di Saint-Vallier e di Valentinois, in quanto il re Carlo VII aveva richiesto la cessione delle proprietà feudali di Diois e Valentinois; in cambio il re si impegnava a pagare cinquantamila scudi d’oro per la prima e settemila fiorini di rendita per la seconda.

La vendita non aveva avuto fortuna in quanto il re si era impossessato delle proprietà, ma non era stato in grado di far fronte ai pagamenti: ne era seguito un secolo di contestazioni tra i Saint-Vallier e la casa reale.

Il matrimonio di una figlia di questa nobiltà primaria, costituiva un affare di Stato e Anna de Beaujeau, che amministrava il regno di Francia per conto del fratello minore di quattordici anni (futuro Carlo VIII), aveva pensato di farlo sposare a Diana.

Anna di Beaujeau, era figlia di Luigi XI di Valois (1423-1483) il quale aveva avuto numerosi figli, ma viventi erano rimaste due sorelle, Giovanna e Anna e il fratello Carlo; aveva sposato Pietro di Borbone, conte di Beaujeau, a ventidue anni; dagli ultimi sussulti della feudalità, Anna, reggente del fratello Carlo, aveva trasformato il regno in un sistema centralizzato durevole, che neanche Luigi XI si sarebbe sognato di realizzare.

Carlo, divenuto nel frattempo maggiorenne (1491) e incoronato come Carlo VIII, grazie a sua sorella Anna, qualificata come “Madame la Grande”, aveva instaurato un potere quasi assoluto; di sorpresa, andava a prendersi Anna di Bretagna  (n. 1476), sposata in segreto e per procura da Massimiliano d’Asburgo (v. Articoli, L’Europa verso la fine del medioevo, P. IV: La discesa in Italia di Carlo VIII), facendo all’imperatore un duplice oltraggio in quanto vi erano accordi di un matrimonio tra Carlo e la stessa figlia dell’imperatore Margherita.

Quando Anna di Valois aveva cessato di svolgere la carica di reggente, poiché il marito Pietro di Borbone, alla morte del fratello maggiore, aveva ereditato il titolo e le proprietà, con i sui talenti, Anna si dedicava alla amministrazione degli immensi beni della casata, gestendoli personalmente.

Anna aveva avuto dal marito una figlia, Susanna, deforme e affetta dalla deturpante scrofola (una sua riproduzione la riproduce però come una bambina sana), ma la madre non si perse d’animo e prese presso di sé un giovane cugino del marito, Carlo di Montpensier (1490-1527), erede del ramo cadetto dei Borbone-Montpensier, che diventerà famoso come Connestabile di Borbone.

Madame la Grande (la prima delle tre primedonne della storia di Francia!), amava questo ragazzo, figlio di Gilberto di Montpensier, mezzo italiano in quanto la madre era Chiara Gonzaga e, nonostante l’opposizione del marito (a rendere madre la ragazza malata!) e dell’intero consiglio di famiglia, intendeva prenderlo come genero.

In questo frangente, Luisa di Savoia (1476-1531) figlia del conte Filippo di Bresse (questo ramo di Bresse  sostituiva il ramo ducale che si era estinto in quel torno di tempo, per cui il conte di Bresse diveniva duca Filippo II di Savoia; alla estinzione di quest’altro ramo, subentrerà il ramo di Carignano) e di Margherita di Borbone, sorella del duca; Luisa, all’età di dieci anni viveva (in Francia) in povertà e la zia la prese con sé, affidandole le cure della figlia Susanna: sarà la terza delle primedonne di Francia!

Madame la Grande combinava anche per Luisa, di undici anni, il matrimonio con il conte d’Angouléme, che, senza disdegnare altri amori, l’aveva messa due volte incinta ed erano nati Francesco e Margherita, lasciandola vedova a diciannove anni.

Luisa era una donna dalla volontà ferrea e paziente (la divisa del suo stemma sarà:“Umiltà e pazienza”), sapeva mantenere i segreti e accettava anche le umiliazioni (per comparire decentemente, aveva venduto ottanta libri per acquistare un vestito di satin cremisi), doti che servirono a forgiarle il carattere che, anche con la sua profonda asprezza, le avevano dato la possibilità di educare i due figli, che diventeranno grandi personaggi per la Francia.

 

 

*) Marchese di Crotone, visconte de l’Etoile, barone di Clérieux-Serignan-Carbempré e Chantemerle, conte di Diois e Valentinois.

 

 

LUIGI XII

SISTEMA LE QUESTIONI

INTERNE DEL SUO DIVORZIO

E LE PRETESE

DELLE PRINCPESSE

 

 

C

arlo VIII (v. cit. Art. L’Europa verso la fine del medioevo, P. IV), moriva improvvisamente battendo la testa all’architrave di una porta che stava attraversando a cavallo; ma era stata avanzata l’ipotesi dell’avvelenamento causato da una arancia presa da un paniere che gli era stato mandato in dono dall’Italia (era l’epoca dei Borgia e gli italiani erano considerati grandi avvelenatori!).

Era stato lasciato morire su di un pagliericcio per nove ore, in una delle sale più sporche del castello di Amboise, senza che nessuno gli prestasse assistenza; con lui si estingueva la dinastia dei Valois.

Gli succedeva il duca Luigi d’Orleans (1462-1515) al quale Luigi XI aveva dato in moglie (1476) la figlia Giovanna di Valois (1464-1505), che si diceva avesse l’anima di una santa e il corpo di un mostro; Luigi era una testa calda, tenebroso e senza cervello, ma quando prese la corona col nome di Luigi XII, subì una tal metamorfosi, da diventare un sovrano liberale che aveva saputo guadagnarsi da una parte l’affetto del popolo, da essere considerato “padre del popolo”, e dall’altra, aver avuto l’ammirazione dei grandi per il suo carattere cavalleresco, di gentiluomo e di cavaliere.

Il giudizio nei suoi confronti non fu unanime: Voltaire aveva detto che “aveva le qualità che fanno dare a un re il nome di padre per il popolo e non quello che glielo fanno dare per la nobiltà”; e ancora secondo Voltaire: “non fu né un eroe né un gran politico”; altri avevano criticato la sua parsimonia dicendo che: “aveva una piccola anima e un piccolo spirito, la parsimonia”; insomma ogni medaglia ha sempre il suo rovescio!

Il re dovette innanzitutto risolvere il rapporto con la moglie Giovanna, dalla quale si separava (1499), per sposare la moglie di Carlo VIII di cui era stato intimo amico, la piccola e fiera Anna di Bretagna della quale si era anche innamorato (la seconda delle tre prime donne!).

Il processo che era seguito nei confronti della regina Giovanna aveva presentato spunti piuttosto intriganti e piccanti in quanto Giovanna sosteneva che dopo ventisei anni di matrimonio (ma erano stati poco meno), aveva i suoi giusti motivi per ostacolarlo, contestando le affermazioni del marito (*).

Dall’Italia era giunto Cesare Borgia che per conto del padre papa Alessandro VI, portava la bolla per l’annullamento del matrimonio del re, oltre al cappello cardinalizio per Georges d’Amboise.

Il re gli mostrò tutta la sua gratitudine concedendogli il ducato (così elevato da contea 1498) di Valentinois e Diois, con le proteste di Jean de Poitiers che non aveva rinunciato alla proprietà non ancora pagata, il quale intentava un processo innanzi al Parlamento di Grenoble.

Jean nel frattempo sposava un’altra Giovanna, figlia di Imbert de Baternay, signore di Bouchage, che portava una dote di ventimila scudi d’oro e per di più in futuro tutti i beni della famiglia Baternay sarebbero passati ai Poitiers-Saint-Vallier.

I benefici concessi dal re a Cesare non si limitavano al ducato; il re lo nominava comandante di una compagnia di cento lance, gli furono dati trentamila ducati e assegnata una rendita di ventimila lire; inoltre il re si impegnava a prestargli aiuto per la conquista della Romagna e gli faceva sposare (**) Charlotte (1499), figlia del sire Alain d’Albret, che doveva essere dotata (dal papa) della somma di duecentomila scudi.

Cesare, da Charlotte aveva una figlia, Louise, duchessa di Valentinois che sposava (1517) il sire Louis II de Trémouille; con questo matrimonio si concordava finalmente la restituzione del ducato (***) a Philippe de Bourbon-Busset  (1530).

Infine, Luisa, l’avida savoiarda che desiderava mettere sul trono il figlio Francesco e reclamava il ducato d’Orleans (che da quel momento sarà assegnato ai Delfini), fu accontentata con alcune terre e un incarico a Corte.

 

 

 

*) Per giustificare il divorzio, Luigi XII sosteneva di aver subito minacce da parte di Luigi XI e di Carlo VIII per sposare Giovanna, e le accuse a lei rivolte erano di essere inidonea alla maternità, per essere per natura imperfetta per accoppiarsi e per essere viziata e malfatta per potersi congiungere con un uomo, sì da non poter concepire, per non poter ricevere il seme maschile; per di più, la regina, per pudore, non permetteva di essere guardata dal marito quando erano da soli, per cui non si poteva dare un giudizio sul suo corpo e si riteneva che tali comportamenti fossero contrari ai fini di un buon matrimonio.  

La regina però, durante il suo interrogatorio rispose senza mezzi termini, sostenendo innanzitutto che la parentela entro il quarto grado e l’affinità spirituale non costituivano impedimenti sufficienti e che comunque a suo tempo era stata concessa la dispensa; inoltre, che il matrimonio non era stato forzato e le condizioni erano riportate nel contratto; per quanto riguardava gli amplessi con il marito, contrariamente alle sue affermazioni, lei i loro rapporti intimi li descriveva “senza remore e assolutamente liberi, come avviene tra marito e moglie”, precisando che “il re l’aveva conosciuta intimamente e carnalmente”.

Alla regina era stato chiesto se avesse dei difetti che le altre donne non avessero e lei rispose: “io non sono né meno bella né meno ben fatta di tutte le altre donne, e non credo di essere meno adatta al matrimonio e sono adatta al rapporto con un uomo”.

Il re inoltre fece chiedere una visita da parte delle levatrici, ma la regina rifiutò, “per pudore e perché riteneva una visita del tutto inutile e anche perché il re la conosceva bene per i ripetuti rapporti carnali che avevano avuto, che non erano stati estorti con la violenza”.

A conferma di ciò, la regina volle dare un esempio di questi loro rapporti intimi e molto liberi, ricordando che una volta il re era andato a visitarla a Ligniéres, dove si era fermato per dieci o dodici giorni, durante i quali “essi avevano pernottato solus cum sola, nudus cum nudas, avendo rapporti carnali senza impedimenti, con copula carnale, guardandoci, baciandoci, con amplessi e altri segni di appetiti che si verificano gioiosamente nella copula coniugale; ciò - proseguiva la regina -  aveva portato il marito ad alzarsi dal letto e in presenza di altre persone aveva detto di aver bisogno di bere e di mangiare per averne fatte tre o quattro”, dicendo in lingua gallica, “mi sono ben guadagnato da bere perché ho f... mia moglie durante la notte per tre, quattro volte”;  ciò, aggiunse la regina, è avvenuto da quando è morto Luigi XI.

Alla fine la regina poiché il divorzio era affare di Stato, rinunziò a ulteriori difese e lasciò che fosse pronunciata la sentenza di annullamento del suo matrimonio e come duchessa di Berry creava nei suoi possedimenti (a Bourges), un convento dell’Annunziata, dove si ritirava per guadagnare il regno dei cieli (fu infatti considerata in stato di santità).

**) Questo matrimonio era un matrimonio di ripiego in quanto in quel periodo in Francia si trovava un’altra Carlotta, figlia di Federigo d’Aragona (di cui abbiamo parlato nell’articolo su Antonio Ferraris il Galateo,v.) che Cesare aveva già chiesto di sposare (per le sue mire espansioniste!).

La risposta della principessa fu decisa: disse “di non volere per marito un prete, figlio di prete, sanguinario, fratricida, un uomo abominevole per nascita, ma molto più per la perfidia dei suoi costumi”, e così Cesare ripiegò su Charlotte!

***) Le vicissitudini del ducato non finivano qui, perché Enrico II lo donava (1548) a Diana e alla sua morte (1566) il ducato ritornava alla Corona; successivamente Luigi XIII lo donava ai principi di Monaco (1641) e poi con la Rivoluzione (1793), fu annesso definitivamente alla Francia.

 

 

LA

FANCIULLEZZA

DI DIANA E

L’INTRECCIO DEI

MATRIMONI PRINCIPESCHI

 

 

D

ella madre di Diana si sa solo che aveva fatto cinque figli, di cui due maschi, dei quali il primo, Filiberto, moriva alla nascita, mentre sopravviveva Guglielmo, e delle tre femmine Diana era la primogenita, seguivano Anna e Francesca.

Il padre era legato a Diana e fin dall’età di sei anni, piccola e fragile, la portava a caccia tra i rudi cacciatori e le dame con il viso tinto di rosso o mascherate con velour nero, per salvare il colore della pelle.

Queste abitudini collegate alla caccia: alzarsi presto al mattino, fare bagni con acqua fredda; cavalcare focosamente e cacciare tra i boschi i nobili animali, aveva contribuito a darle un fisico resistente, con il gusto di forzare per farcela che le rimarrà per tutta la vita; così la bambina cresceva e presto incomincerà anche a leggere buoni libri, e il soffio della rinascenza entrerà anche nel castello di Saint-Vallier.

Anna di Beaujeu e Anna di Bretagna, raccoglievano nelle loro Corti giovanette di alta nascita (dette per questo “madri delle vergini”); Diana invece era stata mandata dalla zia Anna de Bourbon-Beaujeau, Madame la Grande, di cui era stato detto che era “severa come una cattedrale”, della quale aveva subito l’influenza; successivamente era stata mandata da Luisa di Savoia trovandosi accanto a Francesco, che le avrebbe dedicato i primi versi poetici: ma sono solo supposizioni! 

Morto il duca di Borbone (1505), Anna di Beaujeu riesce a realizzare il suo desiderio di matrimonio per la figlia Susanna che sposa Carlo di Montpensier (nonostante la nuova opposizione del consiglio di famiglia e del Parlamento!); Luigi XII, non riuscendo a contrastarla, accettava anche la clausola di matrimonio voluta dalla madre, con la quale i due sposi si facevano reciproca donazione dei propri beni, col risultato che il quindicenne giovane Borbone diventava l’uomo più ricco di Francia: una potenza che si confrontava con la corona.

Durante una malattia di Luigi XII la regina aveva destinato la figlia Claudia (piccola e mingherlina) a Carlo d’Asburgo (futuro Carlo V), di sei anni, erede dell’Austria, Paesi Bassi, Spagna e nuove scoperte di Cristoforo Colombo, mentre Borgogna e Bretagna avrebbero costituito la dote della principessa, ciò che sarebbe stata una jattura per l’unità della Francia.

Il maresciallo Pierre Rohan di Gié riusciva a sventare questo matrimonio mentre gli Stati Generali invitavano il re, nel frattempo guarito, a far sposare la figlia a Monsieur Francois, che era tutto francese: il fidanzamento era celebrato con magnifici festeggiamenti che si chiudevano con un grande torneo.

E’ durante questi giorni che, secondo la tradizione, M.me Luise a trent’anni era stata presa da fatale amore per il sedicenne Carlo di Montpensier che un giorno si vanterà di averla posseduta (ma questo rapporto non risulta documentato).

Jean de Poitier aveva stretto con lui intima amicizia e Carlo incomincia a ricevere le sue prime cariche: la nomina di luogotenente del Delfinato (1512) e l’anno seguente quella di Gran Siniscalcato di Provenza.

La regina dal suo canto continuava a sperare nella nascita del Delfino, e  continuava a rinviare il matrimonio di Claudia; la indomabile Anna aveva raggiunto i trentasette anni e dopo tante inutili gravidanze, sentendosi vicino alla fine dei suoi giorni, mandava a chiamare Luisa e le affidava l’amministrazione dei suoi beni e la tutela della figlia e dopo questo gesto di magnanimità, moriva (9 genn. 1514); la cerimonia per il matrimonio tra il gigante Francesco e la piccola Claudia (*) era stata piuttosto lugubre in quanto i due sposi per il recente lutto vestivano di nero.

Il re Luigi XII, rimasto solo, dava segni di insofferenza per il vedovato e a cinquantadue anni sposava la diciottenne e focosa Maria Tudor (1496-1533), sorella di Enrico VIII d’Inghilterra.

Quando lei era arrivata in Francia, aveva pensato di trovare un Delfino che avrebbe potuto darle quelle emozioni che non avrebbe potuto avere dal marito, ma non avendo trovato una simile soluzione, si era messa a corteggiare Francesco.  

Un cortigiano, il cavalier Grignaux, aveva riferito la circostanza a Luisa, che, furente, le fa una violenta scenata; il re Luigi dal suo canto si sforza di piacerle e, dimenticando le prescrizioni dei medici, cambia le sue abitudini e ordina feste che durano fino all’alba; sei settimane di questo regime bastano a portarlo all’altro mondo e gli araldi annunciano (1 genn. 1515) che il padre del popolo è morto; Maria se ne tornerà in Inghilterra dove sposerà il trentenne Charles Brandon duca di Suffolk (1484-1545) al quale darà un maschio e due femmine.

 

 

 

*) Francesco I (1494-1547), da Claudia  (1499-1525), aveva numerosi numerosi figli quasi tutti falcidiati da morte prematura o tragica, dei quali tre maschi: il primo, Francesco (1517-1536), Delfino, di debole costituzione, era premorto al padre a diciotto anni; Enrico (1519-1559), poi Enrico II, morto dopo essere stato gravemente ferito durante un torneo; e Carlo duca d’Orleans (1522-1545),  morto a ventitre anni; le figlie erano: Maddalena (1520-1537), che sposava Giacomo V di Scozia (1512-1542, morta a diciassette anni); Luisa morta a due anni (1515-1517); Carlotta morta a otto anni (1516-1524); Margherita (1523-1574), duchessa di Berry che sposava (1559) Emanuele Filiberto, duca di Savoia (1528-1580) era stata l’unica ad essere vissuta quarantanove anni. 

In seconde nozze (1530), Francesco aveva sposato Eleonora d'Asburgo (1498-1558), sorella di Carlo V, senza avere figli, mentre dalle pur numerose amanti  aveva avuto un solo figlio illegittimo: Nicolas d'Estouteville.

Per il primogenito Francesco (1544-1560), somigliante al padre che lo amava tanto, era destinata la piccola regina (incoronata subito dopo la nascita) Maria Stuarda (1542-1587), giunta dalla Svezia all’età di sei anni e sposati (1558) quando Francesco ne aveva quattordici e lei sedici; Francesco, di debole costituzione (probabilmente per influenza della sifilide del padre), moriva dopo due anni di matrimonio; alla morte del padre era incoronato il secondogenito Enrico, che aveva sposato Caterina de’ Medici, divenuto re, come Enrico II, protagonista del presente articolo.

Alla morte di Enrico II gli succedeva il figlio Francesco II, al quale succedeva il fratello Carlo, incoronato come Carlo IX (1550-1574) di dieci anni, sotto la  reggenza della madre; moriva anch’egli prematuramente due anni dopo la notte di san Bartolomeo (1572); si era detto, straziato dal dolore per aver ordinato quella strage (su istigazione della madre); gli succedeva il fratello Enrico III (1551-1589) morto assassinato; con lui si estingueva la dinastia dei Valois-Angouléme; suo successore era Enrico IV di Navarra (1553-1610), primo della dinastia dei Borbone, anch’egli morto assassinato da Francois Ravaillac.

 

 

 

LA PRIMA CAVALCATA

DI FRANCESCO I

E L’OSPITALITA’

 DI DIANA 

                                                     

 

F

rancesco faceva la sua prima cavalcata a Parigi; alto con il viso faunesco, il sorriso accattivante e il suo nobile aspetto maestoso e seducente; delicato ed elegante nei modi come nessun cavaliere al mondo; di lui era stato detto che: anche a vederlo tra la folla chiunque avrebbe detto che era il re.

Aveva vent’anni e la regina Claudia quindici; la sorella Margherita delle Margherite (per i poeti la decima musa e la quarta grazia), ventidue anni, Carlo di Borbone (non più Montpensier), venticinque.

Francesco dipendeva totalmente dalla madre Luisa; non prendeva mai una decisione senza il suo assenso; uno dei suoi primi atti fu di concedere la spada di Connestabile (la prima del reame) a Carlo di Borbone, già pieno di cariche: finalmente ora regnava l’armonia familiare; Luigi XII e Anna di Bretagna erano stati virtuosi e avari e avevano imposto l’austerità: le loro ombre furono spazzate via ... e la vita riprese tra feste e amori.

Diana aveva quindici anni, l’età in cui una fanciulla si preparava a diventare donna ed era entrata a far parte delle damigelle della regina Claudia che, dolce di carattere, accettava in silenzio la tirannia di Luisa e le infedeltà di Francesco.

Il Connestabile Carlo, per gratitudine nei confronti dei Poitier pensò di negoziare il matrimonio tra Diana e Louis de Brézé conte di Maulevrie, barone di Bec-Crespin e Mauny, signore di Nogent-le-Roi, Anet, Brissa, Brevaltà e Mont-Chauvet, Gran Siniscalco di Normandia, nipote naturale di Carlo VII e di Agnese Sorel, ai quali la coppia era somigliante: lui, un essere mostruoso di cinquantasei anni che ne mostrava dieci di più, con la gobba e grossolano nella figura,  aveva ereditato i caratteri somatici del nonno Carlo VII, e lei, come Agnese ... si potevano definire, la bella e la bestia!

Diana non aveva nessun motivo di protestare perché le ragazze delle grandi famiglie erano destinate ad essere contrattate dai loro parenti; l’avo di Brézé era Pietro II di Brézé ministro di Carlo VII; suo figlio Giacomo aveva sposato Charlotte figlia naturale del monarca avuto dall’amante Agnese Sorél.

Charlotte aveva ereditato la sensualità della madre e se la spassava con uno scudiero quando il marito li aveva sorpresi a letto; lo scudiero era stato ucciso sul posto, con un fendente di spada, e Giacomo, dopo essere stato  condannato a morte, era stato graziato.

La piccola e bella Diana di quindici anni, sposava (29 Marzo 1525) il mostruoso barone di cinquantasei anni, alla presenza del re, della regina e di tutta la prima nobiltà del regno; la luna di miele, se così si può chiamare simile mostruosità, durò poco, perché erano in corso preparativi di guerra per la campagna d’Italia in cui i francesi, dopo la battaglia vittoriosa di Marignano (14 Sett. 1515) entrarono in Milano (1° Ott.) dove Francesco assegnava al Connestabile, che era stato determinante per la vittoria, il titolo di vice-re.

Al ritorno il Grand Senechal condivise con Diana una vita coniugale tanto serena da diventare irritante, ma la prestigiosa carica del marito metteva Diana, bambina e Grande Senechalle, tra le prime donne del regno, al di sopra di tante dame più anziane e superbe; certamente la sua acquisita maturità le fece acquistare il piacere perverso di tante piccole rivincite.

Se dal marito non aveva appreso il piacere della passione e dei sensi, aveva invece appreso il senso della politica, del calcolo, la capacità delle grandi famiglie di aumentare la loro opulenza e il loro credito sociale: il suo carattere divenne secco, positivo, autoritario, in una parola, conservatore.

La Normandia, dove governava il marito, le trasmetteva la forza di uno spirito realista e l’arte di perseguire pazientemente tutte le prove che non erano solo le cavalcate nelle selvagge foreste della Normandia; aveva scelto di abitare nel triste castello di Anet, costruito dal suocero, dove un giorno farà trionfare la nuova arte rinascimentale. 

A Corte, Francesco viveva nel suo harem ideale e voleva che anche i suoi cortigiani avessero le amanti, ma era rispettoso delle donne con le quali aveva un comportamento ammirevole, dando il buon esempio; abituato a vivere tra due donne (la madre e la sorella), amava lo spirito femminile quanto la loro bellezza, come amava il bello dell’arte e per questo aveva lo spirito del mecenate (che mancava al suo arido rivale Carlo V!).

Margherita delle Margherite con la contessa di Chateaubriand (amante di Francesco) avevano il loro clan privato e dissoluto; Claudia, isolata, presiedeva la sua piccola corte che trovava conforto nella pietà religiosa, all’insegna del motto “Candidior candidis” più bianco del bianco.

Diana  nel suo amato e solitario castello di Anet, che contrastava con la nuova architettura dei castelli della Loira, passava le sue giornate cavalcando nei boschi, filando, leggendo e intrattenendo gli ospiti con la musica, quando giungevano dalla Corte.

Spesso era in viaggio per partecipare agli impegni mondani o ufficiali; si era recata a Amboise, poi a Grénoble, poi era stata al matrimonio della sorella a Valence; a Saint-Vallier al secondo matrimonio del padre, che sposava Francoise Chabanne-La Palisse; a Rouen Francesco faceva l’ingresso trionfale per ricevere le chiavi della città dal Gran Siniscalco; il re era vestito con drappo d’oro increspato con collana dell’Ordine di Saint Michel (istituito da Luigi XI nel 1469), cavalcando un magnifico palafreno coperto da gualdrappa uguale al suo abito, seguito da cavalieri dell’Ordine, e dalla nobiltà.

Il re fu ospitato a Bouvreuil con gli onori di casa fatti dalla sedicenne Diana che provvide al seguito del re di millecinquecento persone definite “le più dissipate, le più sibarite, le più beffarde del mondo”; il re si era trovato  così bene, che vi rimase tre settimane, periodo considerevole per un re capriccioso e nomade come Francesco.

I Brézé erano al settimo cielo per il favore goduto e per il fasto offerto; poco dopo, il ricevimento si  ripeté con l’arrivo del duca d’Alençon, cognato del re (marito della sorella Margherita), nominato governatore onorario della provincia (che nulla toglieva alla carica di Siniscalco effettivo, ricoperta da Brézé).

In primavera (1517) Diana ebbe la prima maternità con la primogenita Francesca (**) e anche la regina partorì il Delfino Francesco; quando si riprese, poté fare (dopo due anni dall’incoronazione) il suo ingresso trionfale a Parigi. 

Diana era accanto alla regina, su una lettiera ricoperta di drappo d’argento posta su un carro ricoperto da un drappo d’oro increspato; la regina aveva la corona ricoperta di pietre preziose e una collana di pietre preziose che un giorno indosserà anche Diana.

Seguivano i cavalieri dell’Ordine di St. Michel, i principi del sangue, il Gran Siniscalco di Normandia, la madre del re con le sue dame, le duchesse e contesse; davanti alla porta di Saint Denis vi era un altare con una nuvola che aprendosi lasciava uscire una donna che aveva tra le mani una corona d’oro rappresentante la regina; alla sua destra e sinistra vi erano sei dame che rappresentavano il Vecchio Testamento e sotto l’altare quattro dame che rappresentavano la Giustizia, la Magnanimità, la Prudenza e la Temperanza, impersonate dalle quattro vedove che regnavano in Francia, M.me d’Angouléme, madre del re, M.me d’Alençon, M.me de Bourbon e M.me de Vendôme;¸il corteo proseguiva per Parigi arredata di tappezzerie.

Al palazzo reale era servito un pranzo su una grande tavola di marmo con tovaglia d’oro su cui vi era vasellame d’oro e d’argento; ciascun servizio era accompagnato dal suono di trombe; il giorno seguente vi fu un torneo tra il re e il conte di Saint-Pol.

 

 

 *) Duca di Borbone, d’Auvergne e Chatellrault, conte di Clermont, Montpensier,  Forez, de la Marche e de Gien, visconte di Carlat, Muret, signore di Beaujolais, Combrailles, Mercoeur, d’Annomay, Roiche-en-Bernier, Bourbon-Lancey, principe di Dombes.                                                  

**) Diana oltre a Francoise che sarà maritata a Robert de la Mark duca di Buglione ebbe un’altra figlia, Louise maritata a Claude de Lorraine duc d’Aumale.

                     

 

 

LA GRANDE FESTA DI

CARLO DI BORBONE E

IL PARENTADO DI DIANA

CON I MEDICI

 

 

S

usanna di Borbone, contrariamente alle aspettative, aveva messo al mondo un figlio che riempiva d’orgoglio il Connestabile il quale vedeva perpetuare il suo nome con tutti i suoi titoli (*).

Il Connestabile aveva subito pensato di festeggiare l’avvenimento con una festa alla quale aveva partecipato il re e la corte; la festa era abbagliante e lo splendore uguagliava quella di un sovrano ... anche di più ... tanto da suscitare nel sovrano una certa gelosia, come quella che proverà Luigi XIV per la grande festa di Fouquet circa cent’anni dopo (v. Articoli: Veleni, Filtri d’Amore e Messe Nere  ecc. P.I).

Nè Blois né Amboise potevano rivaleggiare con lo splendore di Moulins e di Chantelle dove i mobili, la biblioteca, i quadri, il vasellame erano di una meraviglia unica; gli stessi paggi avevano abiti di seta su cui fiammeggiava, con fili d’oro, la divisa del padrone di casa “Partout où le soleil darde ses rayons, j’irai les attendre au passage - Dappertutto dove il sole manda i suoi raggi, io andrò ad attenderli al loro passaggio”.

Per il Connestabile tutto doveva risplendere d’oro, dagli specchi agli speroni; egli stesso risplendeva di pietre preziose, che lungi dal renderlo effeminato, rendevano  più affascinante il suo aspetto altero e tormentato. Carlo di Borbone, con la sua fierezza selvaggia, le sue imprecise ambizioni, le sue inquietudini segrete, costituiva una eccezione unica in una Francia raccolta attorno al suo sovrano: pericolo che il Borbone non poteva non conoscere  e per di più con la sua grande festa aveva acceso i fari sulla sua straordinaria ricchezza e sulla sua imprudente vanità.

Il Connestabile, come vedremo, sarà la rovina di sé stesso per non essersi reso conto che la sua altissima posizione richiedeva delle particolari accortezze: p. es. durante la festa si era messo a corteggiare sfrontatamente la sorella del re, Margherita (1492-1594), sotto gli occhi della madre Luisa, che sprizzava fiele dagli occhi.

Il  prozio di Diana Giovanni III de la Tour d’Auvergne, conte di Boulogne, aveva delle figlie che, come si è detto per le figlie delle grandi famiglie, servivano come strumenti di politica e diplomazia: Anna de la Tour, sposata a Giovanni di Scozia, duca d’Albany, garantiva l’alleanza con la Scozia; la sorella Maddalena, aveva sposato Lorenzo de’ Medici  figlio di Piero (Amboise 2 maggio 1518),  nipote del papa Leone X (figlio del Magnifico) e (nella famiglia) unico duca di Urbino.

Il destino aveva voluto stroncare la vita di questi due giovani sposi, ma prima di morire avevano avuto la fortuna di mettere al mondo una bambina alla quale fu dato il nome di Caterina, Caterina de’ Medici: un astrologo  aveva vaticinato che “la sua vita sarebbe stata piena di dolore, di agitazione e di burrasche”.

Lo sposo che le veniva destinato era solo il secondo figlio di Francesco I, Enrico, che nasceva in quello stesso anno (1519): Diana compiva vent’anni.

Diana non era la donna fragile e diafana descritta da poeti e romanzieri e ritratta dai pittori.

Era stata descritta e ritratta come un tipo fragile e diafano, ma era molto diversa: “sotto una cuffia che userà per tutta la vita, i capelli le scendevano a metà della fronte ampia e bombata, aveva un naso dritto e prominente, occhi non grandi ma lo sguardo era penetrante, le labbra strette e sottili che le davano un aspetto altezzoso e sdegnoso, nessuna traccia di sensualità in questa figura tranquilla, dedita agli sport aveva un fisico robusto, presentava spalle larghe, il petto ampio, la pelle vivificata da una buona circolazione che denotava una natura sana e forte”.

Si era voluto favoleggiare sull’innamoramento di Francesco nei confronti di Diana per aver scritto su un ritratto “Bella a vedersi, onesta da frequentare”, molto chiaro, ma non era per lui ... Francesco aveva ben altri appetiti; in seguito Diana verrà coinvolta ugualmente in uno scandalo che, come vedremo, sarà la delizia di scrittori e romanzieri!

 

                     

GLI ATTRITI

TRA FRANCESCO I

E IL BORBONE

E LA SUA DRAMMATICA

DECISIONE

 

 

S

iamo nell’anno della elezione del nuovo imperatore del S.R.I. (1519) già da secoli eredità degli Asburgo, destinata al diciannovenne Carlo di Borgogna, da poco divenuto re di Spagna.

Francesco I avanza la sua candidatura, mancante di qualsiasi sostegno in quanto i sette elettori sono tutti tedeschi e il giovanissimo Carlo ha già imparato che se non si riesce per meriti, si può riuscire con la corruzione, ottenuta corrompendo sei dei sette elettori; la spesa totale sostenuta da Carlo era stata di ben 850mila fiorini (pari a otto q.li e mezzo d’oro, v. in Carlo V tra Rinascimento ecc.), una parte dei quali versata ufficialmente e una parte versata in nero: si inaugurava così il periodo di corruzione più sfacciata, che sarà una delle piaghe del regime spagnolo facilmente recepita dall’Italia (attualmente ai primissimi posti!).

Con la nomina del nuovo Cesare, per la Francia si prepara un assedio alle sue frontiere da parte di Carlo V, il quale incomincia a fare al Connestabile (1519) delle avances per farlo passare dalla sua parte.

Il Borbone, come abbiamo detto aveva una personalità complessa difficile da governare, oltre a soffrire di depressione; destinato  alla caduta o al tradimento; si verificheranno tutte e due le ipotesi, anche se dal suo re aveva ottenuto il comando supremo delle armate francesi e la nomina di viceré dopo la conquista del milanese (1521); ma i motivi di attrito con Francesco I non mancheranno e la decisione di passare dalla parte dell’imperatore, rimarranno un mistero.

Tra questi motivi vi erano in primo luogo i maggiori titoli che avesse il Borbone  più di Francesco, da poter cingere la corona; poi vi era la circostanza che, avendo Francesco mandato le truppe a Velenciennes, invece di dare il comando a lui, lo aveva dato al cognato duca d’Alençon, ciò che aveva acceso il suo risentimento.

Nel frattempo era morto il figlio e poi la moglie Susanna e questa morte aveva suscitato le brame di Francesco e della madre Luisa, per impossessarsi della sostanziosa eredità, sostenendo che l’atto di  donazione fatto da Susanna fosse nullo: ed ebbe  inizio il processo feudale (1522) con il quale la corona rivendicava l’Auvergne e il Borbonese, feudi di Luigi XI, e Luisa tutto il resto!

La vecchia duchessa di Borbone (che moriva nel 1522) suggeriva al Connestabile che la sola arma efficace per tenere a bada il re, sarebbe stata l’alleanza con un potente, che non poteva che essere l’imperatore, ricorrendo a una alleanza tra la casa di Borgogna alla quale apparteneva l’imperatore e la casa di Borbone: il Connestabile seguì questo funesto consiglio e si rivolse all’imperatore e a Enrico VIII che non aveva rinunciato alla corona francese che per poco tempo era stata portata da Enrico VI d’Inghilterra.

Incontratosi con il cugino Jean de Saint Vallier per il matrimonio di suo figlio, il Connestabile, dopo averlo fatto giurare su un pezzo della vera croce di mantenere il segreto che stava per rivelargli, gli disse che Carlo V e Enrico VIII gli offrivano, il primo in matrimonio la sorella e duecentomila scudi, l’altro una somma quasi uguale e ambedue la Provenza, il Lionnese e la Champagne (un vero reame) mentre l’imperatore avrebbe recuperato la sua  Borgogna ed Enrico VIII la desiderata corona francese.

Saint-Vallier rimase allibito e il Connestabile aggiunse che doveva incontrare il conte Beaurain de Reulx, inviato dell’imperatore e ambedue si recarono all’appuntamento con Beaurain, che ripeté le proposte dell’imperatore che intendeva smembrare la Francia dopo averla invasa, con la popolazione che si sarebbe sollevata in favore del principe; il Connestabile non aveva dato alcuna risposta, il conte Beaurain dopo aver chiamato il signor di Saint-Bonnet, gli dava le istruzioni, confermando il matrimonio con la sorella dell’imperatore, e lo mandava dall’imperatore.

Saint-Vallier  la mattina parlando con il Borbone gli diceva preoccupato di aver passato tutta la notte a esaminare i suoi progetti e come un fratello gli faceva rilevare che stava perdendo se stesso e la sua patria: “se il vostro segreto fosse conosciuto voi perireste e perireste da infame; se il disegno riuscisse andreste a combattere i vostri parenti, i vostri amici, tutti quelli che amate, tutti quelli che vi sono cari”. “Ah, rispose Borbone, che vuoi che faccia; mi hanno preso tutto, vogliono che espiri nell’obbrobrio e nella miseria” e caddero uno nelle braccia dell’altro piangendo a singhiozzi.

Prima di lasciarsi il Connestabile gli disse: “Cugino, non ne parliamo più, rinuncio al mio progetto...giurami che non dirai a nessuno ciò che ti ho detto e da parte mia ti giuro che non penserò più a queste vergognose follie”, ma appena si lasciarono, non si sa perché, il Connestabile cambiò opinione e firmò il trattato che prevedeva una quadrupla invasione della Francia, mandando ad avvertire gli amici che lo sostenevano a prepararsi.

Nel frattempo Francesco per ora ignaro, aveva preparato l’esercito per venire in Italia e aveva nominato la madre Luisa governatrice del regno e il Connestabile luogotenente del regno.

I muri avevano orecchie: non era passato molto tempo che Francesco era venuto a conoscenza “del tradimento di un grande personaggio di sangue reale che voleva liberare lo Stato e nello stesso tempo  aveva dei progetti sulla vita del re”.

Già i lanzichenecchi tedeschi, pagati dal Borbone, attraversavano la Franca-Contea, gli inglesi sbarcavano a Calais, gli spagnoli attraversavano la frontiera, anche se a costoro il Connestabile aveva chiesto di rallentare la loro marcia in attesa che l’armata reale attraversasse le Alpi per recarsi in Italia.

Francesco, stanco di essere vittima, gli rese visita, mostrandosi affettuoso, lo rassicurò che il processo non gli avrebbe procurato alcun serio danno e gli assegnava il comando dell’avanguardia dell’esercito; il Connestabile gli rispose che era troppo stanco per accettare questo incarico ma promise che lo avrebbe fatto quando avrebbe recuperato le forze e finse di partire per La-Palisse e raggiungere Chantelle; mentre gli spagnoli entravano in Guascogna e i tedeschi in Champagne; egli apprendeva che un’armata di quattromila gendarmi andava a circondare Chantelle, per cui se ne fuggì accompagnato da un solo uomo di nome Pomperàn; dopo un’odissea romanzesca, un emissario di Francesco riuscì a raggiungere le forze imperiali e gli offriva l’amnistia, ma egli rispose che era: Troppo tardi!

 

 

SAINT VALLIER

SALVATO DALLA

FIGLIA DIANA

INGIUSTAMENTE

CALUNNIATA

 

 

 

C

hi paga le conseguenze della ribellione di Carlo di Borbone è Jean di Saint-Vallier che è arrestato con sette gentiluomini (*) con il vescovo d’Autun, Du Puy; portato davanti al re, quest’ultimo, dando sfogo al suo furore, si scagliava contro Saint-Vallier e l’avrebbe massacrato se non glielo avessero impedito.

La commissione giudicatrice formata dal consigliere Jean Brinon, René de Savoie, Gran Maestro di Francia, e il maresciallo de Chabannes,  commissario reale, assistiti da Guillaume Luillet, “maitre de requetes”, iniziarono l’interrogatorio; Saint-Vallier negava tutto ciò che gli veniva contestato, salvo la sua amicizia con il Connestabile.

Come prigioniero dava segni di insofferenza, lanciava invettive, spesso piangeva e singhiozzava, scriveva ai parenti; gli era tornata la febbre intermittente denominata “febbre di Saint-Vallier” (che aveva preso in Italia e certamente si trattava di malaria) e il medico lo aveva dichiarato in pericolo; Diana era rimasta colpita da questa sventura che danneggiava la grandezza della famiglia e la perdita del rispetto del re la colpiva come una infamia.

Circondato da pericoli il re ritenne concedere la grazia a tutti gli altri arrestati escluso Saint-Vallier, per il quale i giudici disposero la tortura con esclusione del “cavalletto”, che i medici avevano sconsigliato a causa delle condizioni di salute del prigioniero.

Accusato di lesa maestà egli fu condannato a perdere i suoi beni, l’onore e le dignità e a subire la pena capitale con la decapitazione; inutilmente Diana e il Gran Siniscalco avevano chiesto la grazia al re, alla regina e a Madame.

Jean de Sain-Vallier (17 febbraio 1524) fu messo su un cavallo e condotto al patibolo in abito infamante, in piazza de la Gréve piena di popolo: egli tremava di freddo, di paura e senza l’aiuto di un arciere che lo sosteneva, sarebbe caduto per terra; i due boia Macé e Rotillon avevano dovuto tirarlo sul patibolo come se fosse già morto; gli misero un farsetto e lo fecero inginocchiare; per un’ora intera rimase in questa posizione, tremando e pregando, aspettando da un momento all’altro di veder brandito sulla sua testa lo spadone del boia; la folla cominciò a indignarsi per questa crudeltà quando all’improvviso si sentì arrivare tutto d’un fiato, un cavaliere al galoppo che gridava: Fermatevi ecco l’ordine del re!

Questo fu consegnato al signor Michel Dollet il quale lesse l’ordinanza del re che concedeva la grazia della vita ma lo condannava a vivere tra quattro mura di pietra con una finestrella attraverso la quale gli sarebbe stato somministrato da bere e da mangiare.

Fu chiesto al condannato se accettava questa clemenza; sì, rispose e ringraziava Dio, baciava il patibolo, faceva continuamente il segno della croce, rideva, piangeva, abbracciava le guardie: l’intervento del Gran Siniscalco presso il re e le preghiere di Diana, avevano ottenuto questo miracolo.

Ma questa avventura di Saint-Vallier colpì l’immaginazione generale, in particolare di scrittori e romanzieri: Regnier de la Planchel, autore de “L’Etat de la France sous Francois Ier” aveva scritto che “Nella sua giovane età Diana aveva acquistato con la sua verginità la vita del signore di Saint-Vallier”; questa versione che smentiva quella del “Bourgeois de Paris”, era del tutto inverosimile in quanto Diana era sposata a Brezé da nove anni e aveva avuto due figlie; anche Brantôme aveva seguito la linea accusatrice, scrivendo “Ho sentito parlare di un gran signore che sul patibolo stava per avere la testa tagliata e grazie all’intervento della figlia che era tra le più belle, aveva ottenuto la grazia e scendendo dal patibolo non aveva detto altro se non:- Dio salvi il bon con di mia figlia che mi ha così ben salvato”.

Henri  Sauval in “Galanteries des Rois de France” (Vol. I, Paris 1738): scriveva: “Diana andò a gettarsi in lacrime ai piedi del re e chiese la grazia per colui che le aveva dato la vita; era così bella e toccante che ottenne ciò che chiedeva e fece entrare nel suo cuore l’amore mascherato dalla pietà e conservò questa conquista fino al funesto viaggio che il re fece in Italia”.

La disinformazione (consapevole?) prosegue con Arnoul le Ferron (in Grand Annales de France) e Belleforest che mettono assieme i vari errori dicendo: “Diana di Poitiers figlia unica (!), nutrita al servizio della madre del re (!) e della regina Claudia, tanto commosse il re con le sue lacrime, che ottenne la grazia per il padre, pronta a seguire colui che si sarebbe preoccupato se la giustizia avesse avuto il sopravvento”; Mézeray riprendeva: “Dicono che il re aveva inviato la grazia dopo aver preso la figlia Diana che aveva compiuto quattordici anni” (invece ne aveva venticinque!).

Occorre giungere a Michelet che faceva rilevare come da Mazeray ag li storici che lo avevano seguito, avevano preteso che Francesco, alle preghiere di Diana, avesse accordato la grazia a Saint-Vallier e che Diana avesse pagato  concedendo al re il sacrificio del suo onore.

Gabriel Henri Gaillard (Histoire de Francois Ier, Paris 1759) aveva scritto: “Non conto tra le amanti di Francesco I, Diana di Poitier che si è voluto considerarla amante prima di suo marito; è stata una calunnia dei protestanti che lei aveva perseguitato e che l’avevano resa odiosa”.

I romantici poi, non avevano potuto fare a meno di appropriarsi di una avventura del genere, più falsa che vera, e avevano seguito i pettegolezzi degli storici (innanzi indicati) e tra questi, Victor Hugo, che aveva mostrato un Saint-Vallier con la barba bianca (ma aveva quarantanove anni!) e accusava l’odioso e priapico Francesco I, di aver offuscato, appassito, insozzato, disonorato, fatta a pezzi Diana di Poitiers: ma la questione non era chiusa in quanto diciassette lettere attribuite a Diana (!), attesterebbero un legame con Francesco dopo aver salvato il padre!

Vi è da aggiungere che anche l’ambasciatore veneziano Lorenzo Contarini in uno dei suoi dispacci (del 1552, ma Diana si era legata dal 1536/37), aveva scritto: “Rimasta giovane, vedova e bella, essa fu amata e gustata da Francesco I e da altri ancora, secondo il dire di tutti, dopo essa finì nelle mani di Enrico II”. Ma erano solo maldicenze!

In ogni caso ci sembra difficile pensare che se Diana avesse mercanteggiato per la vita di suo padre, egli non sarebbe finito a scontare la pena chiuso tra quattro mura e tra i propri escrementi per tutto il resto della vita, che si poteva considerare una condanna peggiore della morte! 

 

 

*) Aimard de Prie, Francois Descars, Pierre Popillon, Saint Bonnet, Gilbert Gay detto Baudemanche, Brion e Desguiéres.

 

                                                                     

LA PRIGIONIA

DI FRANCESCO

E DEI FIGLI

FRANCESCO FESTEGGIA

LA LIBERTA’ CON

UNA NUOVA AMANTE

 

 

L

a regina Claudia moriva (1524), probabilmente a causa del mal di Napoli (ma in Italia la sifilide era considerata mal francese e secondo il Galateo v. L’educazione ecc, l’origine era spagnola) trasmessale da Francesco; il Borbone divenuto generale di Carlo V, come traditore del suo re, era considerato un capobanda e sconfiggeva il suo rivale Bonnivet invadendo la Provenza; Francesco dal suo canto si dirigerà in Italia e andrà a porre l’assedio a Pavia dove dopo una cruenta battaglia (24.II.1525) era fatto prigioniero; il duca d’Alençon, principale responsabile della sconfitta, moriva di dolore seguito dalla morte di Bonnivet.

Borbone sul cadavere di Bonnivet aveva detto: “Oh maledetto, sei stato la causa della rovina della Francia e della mia”; Luisa che rivestiva la carica di reggente, dal suo canto dichiarava: “Il re è prigioniero ma la Francia è libera”; con la morte di d’Alençon si rendeva libero il governatorato di Normandia che Luisa affidava definitivamente al Gran Siniscalco Brézé.

Diana, cattolica, gioiva nel vedere che il braccio secolare perseguitava gli eretici, oggetto di benevolenza di Francesco e Margherita, il cui spirito era stato infettato dal detestabile monaco di Württemberg; e con lei erano molti gli umanisti che respingevano la nuova dottrina proveniente dalla Germania: Erasmo aveva detto “ho covato un uovo di colomba, Lutero ha fatto uscire un serpente”.

Francesco aveva dovuto firmare il Trattato di Madrid (Gennaio 1526), ma prima di firmarlo aveva dichiarato a un notaio che cedeva alla violenza; questo trattato riconosceva la Borgogna e il Milanese all’imperatore e la Provenza e gli antichi possedimenti al Borbone; era concessa la riabilitazione degli amici, con la restituzione dei beni confiscati (Saint-Vallier usciva dalle quattro mura dov’era relegato e si ritirava nel Delfinato, ma non rientrava nel possesso dei suoi beni); inoltre Francesco avrebbe sposato la sorella dell’imperatore, la bruna Eleonora, vedova del re del Portogallo, dalle grosse labbra degli Asburgo, precedentemente promessa al Borbone; a Francesco portava una dote di centomila scudi.

A garanzia del trattato oltre al giuramento, l’imperatore aveva chiesto la consegna dei figli di Francia, il Delfino Francesco, di nove anni, di spirito vivo impetuoso e affascinante, somigliante al padre; Enrico era meno dotato, esperto cavaliere, amante delle giostre, dei tornei e degli esercizi fisici, che non riscattavano la sua natura taciturna e malinconica (caratteristica presa dalla madre Claudia e dal nonno materno Luigi XII); erano accompagnati da Luisa con il seguito di cui faceva parte Diana, fino a Bayonne, luogo della consegna dei ragazzi al Lautrec, incaricato di condurli in Spagna.

Diana prese il piccolo Enrico tra le sue braccia e lo baciò sulla fronte: nessuno avrebbe potuto prevedere quale forza avrebbe avuto questo gesto materno sul futuro del regno; Francesco dopo essere sbarcato in Francia, gridò “Dio, grazie, sono ancora re”!

Rientrato in Francia, il priapico Francesco sostituiva la sua ultima amante Francoise de Chateaubriant alla quale con dolcezza dedicava dei versi di addio, e in odio verso la Spagna e verso la bruna Eleonora, prendeva la diciottenne Anna de Heilly (ripresa dal Primaticcio come Anne de Pisseleu, divenuta duchessa d’Etemps) “dalla pelle bianchissima, denominata bella tra le sapienti e sapiente tra le belle; aveva gli occhi blu, la fronte bombata, il naso lungo, la bocca seducente solo poco guastata dalla prominenza delle guance”; oltre a interessarsi degli affari di stato, amante dell’arte, della poesia e della filosofia, si era circondata di artisti e filosofi e di opere d’arte raccolte nei castelli d’Etampes e Limours.

Francesco le aveva fatto assegnare una pensione di cinquantamila lire e le aveva fatto sposare il bretone Jean de Brosse, nominato prima conte e poi duca d’Etempes, al quale fu dato il governatorato del borbonese, dell’Auvergne e della Bretagna, con le relative pensioni delle quali, cinicamente, Anne se ne appropriava.

La duchessa godeva di due castelli, Etemps e Limoours, di un palazzo in rue des Hirondelles e numerose terre e manieri dai nomi affascinanti Chevreuse, Angerville, Argenvillieres, Egreville, Dourdan, La Ferté, Alais, Bures, Suevres, Orlu, Brétoncourt, Suscinio, Braunay.

Molti autori le assegnavano un ruolo di primo piano negli affari di Stato, ciò che avrebbe significato disconoscere il carattere assolutista del sovrano che sosteneva “Io non sopporterei che in Francia vi sia più di un re”; ma non vi è dubbio che la giovane duchessa, particolarmente negli ultimi anni del re, sapesse bene come far prevalere i suoi suggerimenti.

 

 

IL TRATTATO

DELLE DAME

E LA LIBERAZIONE

DEI FIGLI DI FRANCIA

 

 

I

l trattato di Madrid languiva per le resistenze di Francesco che non lo aveva  ratificato; la decisione di sbloccare questa situazione fu presa da Margherita d’Austria zia di Carlo V che governava le Fiandre e dalla madre di Francesco, Luisa di Savoia; le due dame si erano incontrate a Cambrai e avevano preso due palazzi contigui, aprendo una porta nel muro che li divideva, per metterli in comuunicazione.

Dopo un mese di lavoro (1529), stilarono gli accordi sulla revisione del trattato: l’imperatore rinunciava alle sue pretese sulla Borgogna e accettava la somma di due milioni di scudi per la liberazione dei due figli di Francesco, dopo un primo versamento di unmilione e duecentomila scudi (ma secondo altra fonte, risulterebbe, come si vedrà più avanti, che la somma sarebbe stata consegnata (1530) in unica soluzione); Francesco si impegnava a restituire Hesdin e a cedere Tournai e il Tournesis (rimanenze dell’impero); rinunziava alla sovranità sulle Fiandre e l’Artois e tra ulteriori accordi Francesco si impegnava a ritirare le truppe francesi in Italia, cedendo i suoi diritti su Milano, Asti, Genova e Napoli, impegnandosi ad aiutare l’imperatore a cacciare i veneziani dai porti della Puglia e a non intromettersi in questioni che toccavano gli interessi dell’imperatore in Italia e Germania. 

Luisa moriva pressocché in miseria, due anni dopo (il 22.IX.1531), ma nei suoi forzieri fu trovata la somma di unmilionecinquecentomila scudi d’oro che costituivano i fondi destinati alla sussistenza dell’armata francese, e altri quattrocentomila che avevano causato la perdita del milanese.

La sorella di Francesco, Margherita, la perla del Rinascimento, sposava un re senza regno, Enrico d’Albret, re di Navarra, limitata a Bearn e relegata tra i sassi dei Pirenei, ma il fratello le aveva concesso di abitare presso di lui.

Carlo di Borbone aveva perso la vita durante il sacco di Roma (1527) e Bevenuto Cellini che si trovava a Fontainbleu con i pittori Primaticcio e il Rosso, si vantava di essere stato lui a ucciderlo con una schioppettata; la clausola relativa alle  eredità del Borbone e dei suoi amici, non fu completamente osservata e diede luogo a lunghe contestazioni.

I decreti emessi contro Carlo di Borbone e dei suoi amici furono abrogati (1530), ma il principe d’Orange morì senza aver recuperato i suoi beni; Saint-Vallier recuperò il patrimonio perduto, aumentato dalle contee di Diois e Valentinois che la sua famiglia  ottenne dopo un secolo; egli si sposò per la terza volta a cinquantasette anni e non lasciò più il suo castello di Pizançon fino alla sua morte (1539).

Al nipote del Connestabile ed erede, Luigi  di Borbone, principe di La Roche-sur-Yon, il re non restituì che una piccola parte dei possedimenti dello zio; le contestazioni si trascinarono per anni; il consiglio del re dichiarava (1537) che il principe di La Roche-sur-Yon non aveva alcun diritto all’eredità; poi il re gli cedette (1538) la contea di Montpensier, il Delfinato e l’Auvergne e altre terre meno importanti.

Il principe rinnovò le sue pretese dopo la morte di Francesco e le contestazioni terminarono con Carlo IX (1560), che gli rese Beaujeu e Dombes e il principe prese il titolo di duca di Montpensier (ricordiamo che i due titoli di duca e principe si equivalevano e la corona era la stessa con cinque foglie di acanto di cui le due marginali si vedono a metà, intervallate da una o tre perle per la corona del principe, v. Articoli: Blasoni, corone e nobiltà).

La corte si trovava a Bordeaux dov’era anche Diana e la consegna dei figli di Francia ebbe luogo sulle rive di Bidassoa, a  luglio (1530) anziché a marzo, a causa delle difficoltà per reperire la consistente somma di danaro che Francesco pagava per il riscatto di due milioni di scudi, portati con ottanta casse da venticinquemila scudi, ciascuna a dorso di mulo; Eleonora col seguito, del quale faceva parte Diana, accompagnava i giovani principi che furono raggiunti da Francesco a Bayonne per poi recarsi a Bordeux.

Francesco dopo quattro anni di dura prigionia, trovò i suoi due figli Francesco di tredici anni ed Enrico di undici, completamente cambiati; egli rivolgeva il suo affetto soprattutto al primogenito che gli somigliava, mentre Enrico era il meno amato e ne soffriva nella sua malinconia, ricambiando in freddezza, in quanto non aveva alcuna attrazione per il padre troppo frivolo e la nonna Luisa troppo dura.

Durante la cattività in Spagna, Enrico aveva letto il  romanzo Amadigi di Gaula (di Garcia Ordóñez de Montalvo v. in Art. I libri della biblioteca di don Chisciotte) da cui era stato conquistato e come Amadigi avrebbe affrontato mille pericoli per conquistare la principessa Oriana alla quale aveva dato il volto della donna da cui aveva avuto il gesto di tenerezza all’inizio della sua prigionia e che ora lo abbracciava teneramente: lui aveva undici anni e Diana trentuno.

Francesco sposava  Eleonora, che per lui la sera prima del matrimonio, che ebbe luogo nel convento di Verrieres in Guascogna, aveva ballato una sarabanda moresca; successivamente (5 marzo 1531) Eleonora fu consacrata regina (espressamente richiesta da Carlo V) nella cattedrale di Saint Denis, accompagnata dalle tre dame più importanti del regno, M.me Maitresse de Montmorency, che portava due pani uno d’oro, l’altro d’argento; M.me l’Ammiraglia, moglie di Chabot de Brion, che portava il vino e la Gran Senechal Diana che portava una candela di cera vergine.

Francesco seguiva la cerimonia da una finestra; il pubblico trovava Eleonora dalle spalle robuste, lunga di corpo e corta di gambe, i suoi capelli neri le giungevano fino ai talloni e li portava attorcigliati a un nastro. 

I festeggiamenti si protrassero per una settimane e Francesco, in pubblico, non le risparmierà le sue manifestazioni di affetto piuttosto pesanti, da scandalizzare l’ambasciatore inglese; i festeggiamenti terminarono con un torneo organizzato (due mesi dopo con messaggeri inviati presso tutti i castelli per annunziarlo) in rue Saint-Antoine che si sviluppava fino al convento dei Celestini e aveva richiamato  cavalieri da tutto il regno; per i due piccoli principi era il battesimo delle armi; il Delfino apriva la parata, seguiva il duca d’Orleans con lo stendardo,  abbassato quando stava passando davanti a Diana.

La prigionia in Spagna era stata dura; il padre, tenuto in una cella e i figli, trattati come prigionieri, gli erano stati tolti i loro i domestici familiari, sostituiti con carcerieri estranei, tenuti in una stretta prigione e in una costrizione morale che li segnerà per tutta la vita.

Tornati dalla Spagna, furono allevati  senza disciplina; il padre aveva infatti voluto che fossero allevati in piena libertà per togliere loro il timore della soggezione acquisita durante la prigionia; ma il risultato fu mediocre.

Il primogenito Francesco, il Delfino, era tornato tetro e bizzarro, amava le lettere più delle armi, aveva dei passatempi solitari e aveva con sé solo pochi intimi e gli piaceva lavorare la terra; aveva fatto felice il padre quando aveva preso la prima amante, M.me d’Estrange: ma il destino gli aveva assegnato una vita breve, perché potesse continuare.

Enrico, destinato a regnare, sarà malinconico, a volte debole, a volte violento, sensitivo e rancoroso, facilmente portato all’astio e spesso sottomesso nei confronti di chi guadagnerà la sua fiducia, ciò avverrà quando Diana farà valere il suo carattere virile; durante le feste a Corte il suo sguardo era vago e si illuminava solo quando lo rivolgeva verso Diana; tra i due nascerà l’amore platonico cavalleresco, l’amor cortese dell’epoca medievale. Carlo, il terzogenito duca d’Angouléme, per la sua foga e la sua grazia, era un folle temerario.

 

 

 

Matrimonio di Enrico e Caterina

 

 

IL MATRIMONIO

DI ENRICO CON

CATERINA DE’ MEDICI

 

 

U

ndici anni era l’età giusta per Enrico duca d’Orleans, secondogenito di Francesco I, per preparargli un matrimonio per il quale, in un primo momento, era stata indicata l’infanta del Portogallo, figlia di primo letto della regina Eleonora; ma gli interessi di Francesco erano rivolti all’Italia dove intendeva rimettere piede.

Il papa del momento era Clemente VII, nato come Giulio Zanobi, figlio naturale di Giuliano de’ Medici ucciso nella congiura de’ Pazzi (v. in Specchio dell’Epoca) e Caterina era cugina (ma passava per nipote) che fu proposta a Francesco tramite il cardinale de Gramont con l’appoggio di Montmorency (*) e di Brézé il quale sarebbe stato felice che la moglie Diana che aveva tra i suoi parenti (come abbiamo visto innanzi) i de la Tour, in comune con la madre di Caterina, Maddalena de la Tour, divenisse parente della duchessa d’Orleans. 

Il contratto di matrimonio (1531) prevedeva una rendita per il principe di trentamila lire e una dote di diecimila e un castello ammobiliato per Caterina; con una clausola segreta con la quale il papa si impegnava a fare ottenere al duca d’Orleans il ducato di Milano e il ducato di Urbino e un gruppo importante di città italiane (Luigi di Brézé non vedeva il compimento di questo contratto perché come abbiamo detto moriva nello stesso anno 1531 all’età di settantadue anni); il papa inoltre versava centomila scudi per i beni che Caterina aveva in Toscana.

Le trattative erano durate tre anni, alla fine il papa e il re si incontrano (1533) in gran pompa a Marsiglia e occupano lo stesso palazzo.

Gli sposi avevano ambedue quattordici anni; piccola e rotonda (nel quadro è stata resa longilinea!), Caterina  aveva un viso paffuto, una mascella carnosa, grossi occhi prominenti ... “mani e piedi ammirevoli” (quando non vi erano altre parti del corpo da elogiaare, ci si soffermava su mani, braccia e piedi!); il papa aveva voluto, ad ogni buon conto, che i due sposi consumassero il matrimonio.

Eccettuati il re e la regina Eleonora, la corte magnificamente riunita per le grandi occasioni, osservava la piccola “parvenu-marchante” (i Medici erano considerati routourier, plebei, disprezzo mai avvenuto nella civile e democratica Bisanzio), che si dirigeva verso il trono dove, con la modestia che l’accompagnerà per tutta la sua vita, si prosternò davanti al re, baciandogli il piede; Francesco, la risollevò immediatamente e l’abbracciò, presentandola alla regina, ai figli di Francia e ai principi della casa reale.

Il papa Clemente VII, per rendere indissolubile l’unione, dopo aver egli stesso celebrato la messa, volle che essa fosse immediatamente consumata e si recò personalmente all’alba per verificare se lo sposo (ambedue quattordicenni), avesse compiuto il suo dovere e protrasse di tre mesi la permanenza a Marsiglia, sperando di vedere Caterina incinta; ma ne rimase deluso e lasciò la nipote con questo consiglio: “Una donna di spirito sa ben avere dei figli”; egli morì dopo dieci mesi, e questo matrimonio, almeno in apparenza, appariva del tutto inutile. 

Caterina si farà apprezzare per la sua finezza e intelligenza e per la sua cultura, conosceva infatti oltre all’italiano, il latino, il greco, il francese, le matematiche e la scienza degli astri, mostrando particolari interessi per le arti magiche; divenne cacciatrice e introdusse, per salvare la verginità delle donne, un nuovo modo di montare a cavallo, quello della gamba sull’arcione.  

 

 

 

*) Anné (erroneamente indicato senza l’accento corrisponde ad Anneo non ad Anna!) de Montmorency.

Morto il Borbone (v. sotto), il Parlamento pronunciava la sua definitiva condanna e i principi della sua Casa, Vendôme e Saint Pol cadevano in disgrazia. La spada di connestabile non era concessa a nessuno, ma furono assegnate le nuove cariche: a Chabot de Brion fu assegnata la carica di ammiraglio, i generali Trivulzio e La Mark furono promossi marescialli, la carica di Gran maestro fu assegnata all’astro nascente Anné de Montorency di 36 anni, rude e brutale, proprietario di immense ricchezze; era stato compagno di cattività del re Francesco ed era il membro più autorevole del suo Consiglio.

Madame Margherita lo aveva fatto sposare alla sua nipote naturale, Maddalena di Savoia, nominandolo governatore della Languedoc e chiamandolo “mio nipote”.

Anné era legato da stretta amicizia con il Gran Siniscalco e Diana e sarà lui a segnare il destino di Enrico e Diana nel suo meraviglioso castello d’Ecouen, come vedremo.

 

 

CONTRO OGNI

ASPETTATIVA

IL CADETTO ENRICO

DIVENTA DELFINO

 

L

a lotta di Francesco I contro Carlo V era di difesa, in quanto Carlo con la sua idea della monarchia universale aspirava a regnare su tutta la cristianità; oltretutto Carlo per recarsi dalla Spagna nei territori dell’impero aveva bisogno di un corridoio che attraversasse la Francia; la lotta di  Francesco era appunto quella di non diventare vassallo della Casa d’Austria, e per questo motivo si era legato al Sultano, scandalizzando la cristianità.

Sin dalla elezione di Carlo di Borgogna e di Spagna a imperatore del SRIG (1519) i rapporti tra i due monarchi si erano inaspriti al punto che Carlo V (1536) attraversava le Alpi per invadere la Francia.

Francesco aveva ritenuto opporgli la terra bruciata, cento tra città e villaggi erano stati rasi al suolo; i mulini distrutti, i campi inariditi, i pozzi avvelenati, le botti sfondate; al posto di un ammirabile giardino fu creato un deserto; erano state lasciate le vigne e gli alberi da frutta che avrebbero procurato la dissenteria tra i soldati affamati.

Carlo V si era fermato e accampato ad Aix; privo di viveri aveva mandato  soldati verso Arles, Tarascona, Marsiglia città imprendibili se non con lungo assedio: ad agosto i francesi potevano tirare un sospiro di sollievo.

Fu allora che il Delfino, recatosi a Tournon, giocando a pallacorda, sudato, aveva chiesto al suo scudiero Montecuculli un bicchiere di acque fresca e dopo averla bevuta era stato colpito da sincope (10 agosto 1536).

Il re affranto dal dolore non dubitò che lo avesse avvelenato Montecuculli, al servizio di Carlo V; arrestato e torturato egli disse ciò che volevano i giudici; Carlo V protestò contro l’oltraggiosa calunnia; i suoi generali a loro volta accusarono Caterina, che proveniva dalla terra dei Borgia e dei veleni, in quanto una simile disgrazia la rendeva Delfina.

Morto un re se ne fa un altro; Enrico, era il nuovo Delfino (4 Sett.) e il suo titolo di duca d’Orleans passava al fratello cadetto, Carlo duca d’Angouléme; il Gran Maestro Francois de Montmorency gli aveva preparato un ingresso trionfale ad Avignone che segnerà l’amicizia del giovane e malinconico principe con il quadragenario burbero uomo di corte.

Carlo V (14 sett.) ordinò la ritirata; senza combattere aveva perso la metà dell’esercito; i danni subiti dalla Provenza ammontavano a tremilioni di scudi d’oro; sarebbe stato il momento buono per attaccare ciò che rimaneva del suo esercito e abbassare la superbia di Carlo V ma Montmorency sebbene ottimo generale, non era stato in grado di prendere una simile decisione.

 

 

L’INCONTRO CHE SEGNA

L’INIZIO DEL RAPPORTO

TRA ENRICO E DIANA

 

 

M

orto il Delfino Francesco (agosto 1536) gli subentra il secondogenito Enrico per il quale Montmorency prepara un fastoso ingresso trionfale ad Avignone (il 4 settembre); erano passati due anni dal matrimonio con Caterina, senza maternità, e sebbene Enrico fosse affetto da ipospadia (malformazione dell’uretra e del pene che comunque non gli impediva di avere rapporti sessuali), fu decretata la sterilità di Caterina.

Un divorzio era impensabile: ciò che  il consolidato costume dell’epoca suggeriva era una amante! Chi avrebbe potuto risolvere il problema del giovane Delfino era Montmorency, il quale aveva pensato di far scendere dall’Olimpo in cui viveva, la dea Diana, anche se la differenza di età tra i due potesse sembrare abissale.

Montmorency tra le sue residenze amava il castello d’Ecouen, una sontuosa dimora degna di un sovrano, traboccante di oggetti d’arte, di marmi, di vetri particolarmente erotici, sculture “scioccanti d’impudore da far ruggire Rabelais”: niente di più naturale che far incontrare il giovane principe e la contessa in un ambiente così voluttuoso da eccitare i sensi di Enrico e i desideri di un corpo adolescente per Diana, che per marito aveva avuto un vecchio gobbo.

Ma, è stato scritto, la cacciatrice non divenne schiava di Venere;  il rapporto tra i due non aveva coinvolto l’erotismo ma una tenerezza che poteva  intercorrere tra madre e figlio,

Enrico, durante la prigionia spagnola aveva acquisito gusti sobri nel vestire, scegliendo come colori il nero e il bianco (adottati da Diana alla morte del marito) cha aveva già usato nei tornei con il simbolo della Luna crescente e il motto Denec  totum impleat orbem” Fino a quando si riempie tutto il giro; diventerà celebre il suo monogramma con la E accompagnata dalla falce di luna che rappresentava Diana.

Pare che dal loro rapporto fosse nata una bambina allevata da Diana con un’altra figlia naturale avuta da Enrico in occasione della sua esperienza soldatesca come comandante dell’armata francese (con Montmorency luogotenente generale), venuta in Italia (ottobre 1537).

Enrico aveva incontrato sulla sua strada una piemontese di rara bellezza, Filippa Duc, l’aveva violentata e messa incinta; alla bambina era stato dato il nome di Diana, ciò che a molti aveva fatto sorgere il sospetto che fosse anche una loro figlia; in ogni caso le bambine allevate da Diana erano tre, una sarebbe stata la figlia di Filippa, l’altra era la figlia che Enrico aveva avuto da Maria Fleming, governante di Maria Stuart e la terza era la figlia di Enrico e Diana. 

A Corte si mormorava che per la sterilità di Caterina, Enrico dovesse ripudiarla; Claude de Guisa proponeva come nuova moglie la sua seconda figlia, nota per la sua bellezza (la sua primogenita aveva sposato il re di Scozia); il Consiglio preconizzava un divorzio al quale Montorency non si opponeva.  v

Venutane a conoscenza, tremando e singhiozzando Caterina era corsa a gettarsi ai piedi di Francesco e abbracciandogli le ginocchia si dichiarava disposta ad entrare in convento; Francesco amava la nuora che per lui aveva cercato in Toscana preziosi manoscritti e di cui sapeva apprezzare la poco nota potenza della sua intelligenza; per lui Caterina, che aveva conservato l’accento e la modestia della sua regione d’origine, e nulla della cultura latina le fosse  estraneo, rappresentava il prestigio dell’Italia:- “Il gigante prese la piccola Caterina e sollevandola e abbracciandola le disse, figlia mia Dio ha voluto che fossi mia nuora e la donna del Delfino, io non voglio che sia altrimenti e può darsi che Dio vorrà concedere i tuoi e i nostri desideri”; Caterina si mostrò riconoscente al re e a madame d’Etampes.

Costei, gelosa di Diana che primeggiava a Corte, si era assicurata i servizi di un poeta che imitava Giovenale e tra i suoi versi (Hendecasyllabes) più benevoli metteva in evidenza i suoi difetti fisici, della faccia tinta della cacciatrice, delle rughe, dei denti finti, dei capelli grigi, del suo colore viziato; per di più M.me d’Etampes, per sottolineare la sua giovinezza, si vantava di essere nata quando Diana aveva sposato il Gran Siniscalco (tra di loro vi erano nove anni di differenza!). 

Caterina aveva avuto una sterilità che si era protratta per dieci anni ... ma alla fine, circondata com’era da astrologi, alchimisti, stregoni, consultando i tarocchi (v. Art. Ermete Trismegisto e il libro di Tot ecc.), portando talismani, bevendo filtri, evitando di viaggiare sui muli (ritenuti animali infecondi), senza interrompere le pratiche di devozione e invocando l’intervento divino, consultando i testi di Alberto Magno, Fozio, il Taberiensis, Isidoro il Fisico, a ventitre anni rimase incinta (1543) e in tredici anni ebbe dieci figli, quasi tutti morti giovani a causa del mal sangue del padre: il primo maschio (1544) fu Francesco, Delfino, destinato ad essere il futuro re di Francia.

Nel 1539 Francesco I si era ammalato di un ascesso al perineo sul quale i medici avrebbero discusso nei secoli successivi; morirà all’età di cinquantatre anni (1547), consumato dalla sifilide contratta da giovane e trasmessa alle donne di cui aveva fatto strage dei loro cuori, e delle loro vite.

Da ricerche fatte dal medico Guyon, gliel’avrebbe trasmessa in Guienna, tramite la moglie, un avvocato geloso, quando aveva saputo che la moglie era divenuta sua amante; l’avvocato si era infettato volontariamente per trasmetterla alla moglie e questa al giovane Francesco; mentre l’avvocato si era curato ed era guarito, Francesco era stato mal curato  da medici incompetenti in base alla sua qualità (di re), piuttosto che secondo il male; su questa circostanza della malattia contratta a diciassette anni non vi sono dubbi in quanto annotata in un diario (1512) dalla madre Luisa. 

 

 

IL REGNO DI

FRANCESCO II

LA REGGENZA DI CATERINA

L’ASSASSINIO DI COLIGNY

 E I CALVINISTI

 

 

E

nrico ferito durante un torneo, muore e gli succede il figlio quindicenne Francesco II; i fratelli Guisa convincono Caterina ad affidare a loro il governo del regno, ma interveniva il principe di Condé, Luigi di Borbone, il quale pretendeva la istituzione di una reggenza che spettava a suo fratello Antonio di Borbone, re di Navarra (in quanto marito di Jeanne d’Albret, regina di Navarra), erede al trono di Francia nel caso di estinzione dei Valois.

Antonio era debole di carattere e non fece valere i suoi diritti; ne sortì un complotto, noto come “congiura di Amboise”, inteso a catturare gli ambiziosi e inseparabili fratelli, duca Francesco di Guisa e cardinale Carlo di Lorena; un esercito raccolto nei pressi di Amboise avrebbe permesso al Condé di assumere il potere; la trama fu scoperta e il governo poté togliere di mezzo i cospiratori.

La congiura ebbe ripercussioni religiose in quanto i Guisa erano stati costretti a moderare la loro tracotanza e porre un freno alle persecuzioni e perfino a concedere agli ugonotti una conciliazione nazionale dei vescovi e degli stati generali che discussero il problema religioso.

Francesco, moriva dopo due anni di matrimonio con Maria Stuart (1560), e gli succedeva il fratello Carlo col nome di Carlo IX di dieci anni. la cui reggenza era affidata alla madre Caterina.

La regina cercando una conciliazione tra cattolici e ugonotti, aveva riunito una commissione a Poissy (1560) credendo di poter ottenere un accordo politico, ma la commissione non si adeguava a questa decisione; i fratelli Guisa unitisi a Montmorency, lasciavano la Corte (1561) mentre cattolici e ugonotti si armavano; la politica dei Guisa aveva portato la Francia sull’orlo dello sfacelo; la presa di potere del Borbone sarebbe stato un altro passo verso il baratro.

Caterina, in difficoltà, cercava di salvare la pace con l’Editto di tolleranza (1562) il quale prevedeva per gli ugonotti la libertà di culto fuori delle città, consentiva il culto privato entro le mura cittadine, la facoltà di tenere sinodi e il riconoscimento dei pastori, previo giuramento di fedeltà alle istituzioni; ma questo provvedimento raggiunse risultati opposti perché il proselitismo calvinista si era spinto oltre i limiti previsti e aveva assunto le caratteristiche di una diffusione forzata della dottrina e del culto riformati, a cui corrispose una energica risposta dei cattolici, specie del nord, dove l’attaccamento dei contadini alla religione era maggiore.

A Vassy i seguaci del duca Francesco di Guisa, durante un servizio religioso (1562), si scatenarono nel massacro di una trentina di fedeli; a loro volta gli ugonotti in diverse città (Lion, Tours, Blois, Rouen) assalirono i cattolici: aveva così inizio la guerra civile.

A Fontainbleu la famiglia reale era tenuta prigioniera dai cattolici: la situazione era sfuggita di mano a Caterina che aveva firmato l’editto di Amboise (1563) con il quale  accordava ai soli nobili la facoltà di praticare il culto riformato nei loro castelli (Calvino, che possiamo considerare un fondamentalista, accusava Antonio di Borbone di essere un miserabile che aveva pensato alla propria sicurezza e alla tranquillità dei suoi compagni di fede).

Il 24 Agosto 1572 Caterina consentiva di eliminare l’ammiraglio Gaspard de Coligny e con la sua morte aveva inizio il massacro di san Bartolomeo.

Coligny era il nipote eretico del cattolico Montmorency e capo degli ugonotti; con tutto il suo seguito si era unito ad Antonio di Borbone; anche i suoi fratelli Francois d’Andelot e il cardinale, principe vescovo di Beauvais, si erano convertiti; i calvinisti (che in Francia stavano avendo una grande espansione (*)) erano organizzati militarmente e godevano di finanziamenti offerti da ricchi banchieri e i proventi delle elargizioni volontarie dei fedeli (questo rapporto tra ricchezza e calvinismo sarà teorizzata da Max Weber ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”).

Coligny, come suo zio, era un personaggio irreprensibile; aveva speso la sua vita al servizio del re, si era mostrato  soldato coraggioso, eccellente organizzatore e capo severo; la sua conversione era stata  lenta e turbata da conflitti interiori; quando decise di passare all’azione, lo fece solo per ottenere la libertà di coscienza e di culto per gli ugonotti suoi correligionari e non per  combattere il sistema politico o il re.

Gli ufficiali di Enrico di Guisa si recarono da Coligny e sfondata la porta, lo trovano che in ginocchio pregava; un soldato lo colpisce e ancora vivo lo buttano dalla finestra; dopo essersi assicurato che fosse morto, il duca diede ordine ai soldati di diffondere la parola d’ordine “tuez-tuezammazza-ammazza, ordine del re: ebbe così inizio il massacro che durò tutto il giorno della domenica 24; il giorno 25 lunedì, era stato trovato un biancospino, fiorito fuori stagione; considerato un miracolo, si fecero suonare le campane, ma il popolo aveva scambiato il suono delle campane per invito a riprendere il massacro, che continuò per tutto il giorno.

A Parigi vi erano stati duemila morti, cinquemila nelle province (la valutazione era tra i cinquemila e trentamila morti); il filosofo Pierre Ramus, inventore del sistema di logica, era stato fatto ammazzare da un suo collega invidioso; il duca della Rochefoucauld che il giorno prima aveva giocato a pallacorda con il re, vedendo arrivare degli uomini mascherati aveva pensato che fossero venuti per invitarlo a uno scherzo regale, ma fu ammazzato!

Il 26 Carlo IX si recò al Palazzo di Giustizia attraversando le strade piene di cadaveri e attestò al Parlamento di aver ordinato il massacro; ma due anni dopo, prima di morire consumato dal mal sottile, esclamava: “Che ecatombe, che assassinio. Quale cattivo consiglio ho seguito. Mio Dio, perdonami. Sono perduto”; il 30 Maggio 1574, spirava dopo aver raccomandato la moglie e la figlia al fratello Enrico, suo successore col nome di Enrico III (1551-1589), ultimo dei Valois, ucciso dal frate Jaques Clément dopo aver ordinato l’assassinio dei fratelli Enrico e Luigi di Guisa.

Gli succedeva il figlio di Antonio di Borbone, Enrico, come Enrico IV; questi era ugonotto e divenuto re si convertiva al cattolicesimo; giudicando inattuabile il progetto di riunione di cattolici e protestanti, emanava l’Editto di Nantes (1598) che concedeva ai calvinisti la libertà di coscienza e l’accesso alle cariche pubbliche; centocinquanta città erano considerate “città rifugio”, difese da guarnigioni protestanti e comandate da un governatore protestante, esponente della nobiltà; il movimento ugonotto, così organizzato su base militare era lo Stato nello Stato, che il cardinale Richelieu combatté e distrusse, con il colpo di grazia finale di Luigi XIV che lo revocava nel 1685 (v. Articoli: Amanti e favorite del re Sole ecc.); fu ucciso dal fanatico cattolico Francois Ravaillac.

 

 

 

*) L’adesione dei francesi al calvinismo era dovuto al fatto che la Francia aveva profondamente radicata la cultura giuridica e la teologia di Calvino portava i segni dei suoi studi giuridici e appagava l’istinto francese per l’ordine e la disciplina, con una consonanza tra il calvinismo e la mentalità francese che aborriva l’anarchia e vedeva in un governo forte la condizione per il benessere del paese: una chiesa che avesse lasciato troppa libertà  all’individuo sarebbe apparsa sospetta agli occhi francesi.

In pratica il calvinismo tendeva a considerare la vita religiosa, specie in un’epoca di dissipazione, come una specie di guerra e in tempo di guerra il francese accetta una limitazione alla sua libertà e si può dire che il calvinismo francese fosse nato con le armi in pugno in quanto fin dall’inizio dovette combattere contro le persecuzioni che  portarono alle guerre di religione.

Nella “Disciplina” (redatta nel 1559), era confermato il carattere democratico dell’Ordinamento adottato a Poitiers (1557) con l’elezione popolare dei diaconi, riservando al concistoro la scelta dei pastori, fatta salva l’approvazione del laicato.

Non a caso gli ultimi anni di Francesco I e quelli di Enrico II, furono contrassegnati da un inasprimento delle persecuzioni dei protestanti che aumentavano di numero, come avverrà in seguito con l’anarchia (v. “Anarchia” in Schede S.), quando gli anarchici più si perseguitavano e più aumentavano!

Nell’ “Institutio religio christiana” Calvino attribuiva una triplice funzione alla morale divina: 1. Indicare la virtù che Dio richiede agli uomini e dimostrarci la nostra impotenza a conseguirla con le nostre sole forze e quindi la nostra contraddizione di peccatori su cui grava la maledizione della colpa originale; 2. Porre un freno alla nostra malvagità con la paura del castigo; 3. Additare agli eletti la via verso la santità a cui Dio li chiama  (gli Eletti: individuati in coloro che diventavano ricchi!).

                                                                                                

 

IL

DUELLO GIUDIZIARIO

CON LO SPADONE

SVELATO

“ LE COUPE DE JARNAC

 

 

 

 

N

on si sa bene come fossero andate effettivamente le cose, ma si trattava di un pettegolezzo di Corte, originato proprio dal Delfino: i personaggi coinvolti erano Guy Chabot de Jarnac e Montelieu, cognato della duchessa d’Etampes e Francois Vivonne de la Chastaigneraye, celebre spadaccino, uscito sempre indenne dai duelli, dal quale era partito il pettegolezzo.

La duchessa d’Etampes, aveva una sorella, Louise de Pisseleu sposata a Chabot de Jarnac,  damerino di piccola nobiltà, che faceva sfoggio di abiti più che di armi da guerra; costui era amico di Vivonne de la Chastaigneraye al quale parlando della suocera (seconda moglie del padre, all’epoca vivente) aveva detto che con lei intratteneva “stretti rapporti”.

Su queste premesse circolavano due versioni, una, secondo la quale un giorno il Delfino (su suggerimento di Diana che, come abbiamo detto, detestava la duchessa d’Etampes) avrebbe chiesto a Jarnac come potesse avere quel suo tenore di vita e Jarnac avrebbe risposto che sua suocera “aveva delle accortezze nei suoi confronti”; Enrico fingendo di aver frainteso, riferiva la cosa a un pettegolo ... che propalava che “il damerino fosse l’amante della suocera”!

Brantôme ci dà una versione diversa che riteniamo sia da prendere in considerazione in quanto nelle sue Memorie egli aveva pubblicato anche delle pezze giustificative, frutto delle sue ricerche.

Secondo questa versione, dopo che Chabot de Jarnac si era espresso con Vivonne de la Chastaigneraye nel modo riferito, quest’ultimo era andato a riferire il fatto  al Delfino (che, secondo il nostro parere avrebbe rinfocolato il pettegolezzo!) ... e, venutone a conoscenza un pettegolo, come era stato detto, il pettegolezzo non solo era dilagato, ma il termine inizialmente usato da Jarnac, era divenuto chevaucher-cavalcare, e quindi si raccontava che Chabot de Jarnac cavalcava la suocera!

Una tale ingiuria secondo le idee del tempo gettava il disonore sulla famiglia e Chabot de Jarnac giurò che “chiunque avesse così mentito era un perfido, un disgraziato, un vigliacco”; ma si era scavato la fossa, in quanto Vivonne de la Chastaigneraye, dal quale il pettegolezzo era partito, lanciava la sfida e chiedeva al re Francesco, il permesso del duello, che era negato.

Anche la suocera, Madeleine de Puy-Guyon diretta interessata, aveva intentato azione penale contro Vivonne de la Chastaigneraye, il quale non si era presentato alla udienza e la signora aveva fatto ricorso al Consiglio del re, superato dagli eventi.

Nel frattempo Francesco I moriva e gli succedeva Enrico II al quale fu rinnovata la richiesta ed Enrico dava subito via libera al duello giudiziario ancor prima di essere incoronato;  il 23 aprile si riuniva  il Consiglio nel castello di Anet, che fissava la data del duello per il 10 luglio e il luogo, presso il castello di Saint Germain de Laye: nulla di simile si era più verificato dai tempi di san Luigi!

Una immensa curiosità si era sollevata in tutto il regno; dalle città, dalle campagne, dai castelli, una folla di nobili e borghesi si era riversata a Saint Germain per assistere allo straordinario spettacolo e per vedere con i propri occhi la Corte che divorava il loro denaro e le loro fortune.

Prima di questa parata d’armi se ne dovette fare una funebre, dei corpi di Francesco I, del Delfino Francesco e del duca Carlo d’Orleans, che si trovavano nella chiesa di Nôtre Dame des Champs, i quali furono portati a Saint Denis; il funerale attraversò le strade di Parigi tutte ricoperte di viola con bordi d’argento, tra il clamore delle armi, i pennacchi neri, le lanterne velate di crépes, le fiammelle dei ceri e gli sfavillanti costumi del servizio d’onore che migliaia di curiosi ammiravano sbalorditi.

Il dieci luglio allestite le lizze, fin dalle sei del mattino l’intera corte presenziava pomposamente con una immensa folla; molti vi si erano recati per vedere con i propri occhi il re tra le due dame, la rotonda fiorentina ricoperta di sete con le sue famose perle e la siluette della Gran Siniscalca: il maestoso spettacolo riportava al lontano medioevo, come se il Rinascimento non fosse mai esistito.

Chabot de Jarnac, spaventato per la fine che avrebbe fatto, si era rivolto a Diana che di fronte alla richiesta di risparmiargli il duello era rimasta di marmo, rispondendo semplicemente che “era la volontà del re”; Jarnac si preparava a immolare la sua vita; come unico rimedio si era rivolto all’emerito maestro d’armi, il capitano italiano Caize.

L’unico vantaggio avuto da Chabot de Jarnac era stato quello di poter scegliere l’arma che gli salverà la vita (*): la richiesta del suo padrino Claud Gouffier de Boisy, aveva lasciato sbalorditi i “giudici di campo”; l’arma era insolita, si trattava dello spadone; arma inusitata fin dal secolo precedente, (molto usata dai lanzichenecchi, ottima nei combattimenti con chi fosse ricoperto da corazza), pesante, imbarazzante fuori moda e da maneggiare con due mani.

Il duca Claude d’Aumale che faceva parte dei “giudici di campo”, si era opposto, ma i giudici dopo aver discusso per tutto il giorno di daghe, spade, cotte, maglie e delle pesanti spade del tempo di Carlo il Temerario (1433-1477), acconsentirono all’arma scelta da  Chabot de Jarnac: si erano fatte le sei del pomeriggio, con la folla esasperata per la lunga attesa quando, finalmente fu annunciata la fatidica frase: Laissez-les-aller les bons combattentes (Lasciateli andare i buoni combattenti).

Vivonne de la Chastaigneraye fece un ingresso quasi trionfale, da vincitore, accompagnato dal suo padrino duca d’Aumale, seguito da trecento gentiluomini tutti vestiti con i suoi colori  bianco e incarnato, accompagnati dalla cadenza dei tamburi e suono di trombe, che fece il giro del campo e poi si diresse verso il proprio padiglione.

Il combattimento era “á toute outrance”, a oltranza, fino alla morte di uno dei combattenti e per le modalità in cui si svolse, ebbe pochi attimi di durata.

Quando si parla del c.d. “colpo di Jarnac” non si fa riferimento all’arma che lo aveva consentito (erroneamente le riproduzioni del duello riportano i due contendenti con le normali spade!): il geniale suggerimento dato dal capitano Caize a un inesperto come Jarnac, era stato di scegliere lo spadone,  che per di più il suo avversario non poteva usare a causa del suo braccio teso (**).

Lo spadone era infatti molto più lungo della normale spada con la quale Jarnac si poteva tenere a distanza dall’avversario, da non essere facilmente colpito con la normale spada; egli, senza pensare di mettersi in guardia per salvaguardare il proprio corpo, poté sferrare un primo colpo mirando alle gambe e ferendo l’avversario al ginocchio destro; Vivonne de la Chastaigneraye ferito barcollò e con un secondo colpo inferto alla gamba, Vivonne, tra lo stupore generale, stramazzò al suolo. 

Rendimi il mio onore, ringraziando Dio e il re”  gli urlò Jarnac, ma Vivonne non rispondeva; il vincitore andò a inginocchiarsi davanti al re: Sire, vi supplico di considerarmi un uomo dabbene! Vi dono la Chastaigneraye, prendetelo!

Enrico non era capace di rispondere all’istante al prodigioso accidente che lo aveva  sbalordito e paralizzato dal furore e dalla umiliazione, rimanendo senza voce.

Jarnac ritornò dal ferito, supplicandolo di rialzarsi, ma Vivonne, tentò di sollevarsi appoggiandosi all’altro ginocchio e cercando di colpirlo, ma ricadde; Jarnac non osava dargli il colpo di grazia e non sapendo cosa fare, si inginocchiò di nuovo davanti al re che rimase muto e livido: - “Sire, vi prego, lasciate che ve lo offra, dal momento che è stato allevato nella vostra casa: Sire, consideratemi uomo dabbene”.

Il silenzio reale impediva la riparazione dovuta al vincitore e richiedeva di causare la morte del vinto;  egli insisteva; Amadigi non si rassegnava alla vergogna di offrire alla sua dama il premio della sua disfatta. Jarnac, fuori di se torna ancora da Vivonne, dicendogli: “In nome del tuo Creatore, riconosci che rimarremo amici”. Poi, per la terza volta si recò dal re: “Sire, per l’amor di Dio, almeno prendetelo”.

 A questo punto intervenne Montorency il quale esaminato il ferito, si rivolse al re: Sire, guardate che il ferito deve essere spostato ; silenzio del re, la folla cominciava a rumoreggiare; Jarnac ricorse al personaggio centrale di tutta questa storia, Diana! “Oh madame, me lo avevate ben detto”; il re si spaventò e può darsi, per riguardo a lei, ordinò di finirla: Le sue strette labbra si aprirono e disse: Me lo donate? Si, sire, aggiunse Jarnac, non sono uomo dabbene?

Secondo le regole Enrico doveva metter fine a questa faccenda dicendo “Voi siete uomo dabbene”; ma non aveva coraggio e disse: “Voi avete fatto il vostro dovere e vi deve essere restituito l’onore perduto.” Le acclamazioni del pubblico coprirono le sue parole;

Montmorency, sbalordito, invocò la tradizione: il vincitore doveva fare il giro attorno alle lizze con la passeggiata trionfale, ma Jarnac rifiutò questo onore e salì sul palco reale; Enrico lo abbracciò: “Avete combattuto da Cesare, gli disse, parlate da Aristotele”; non accordò alcun riguardo al suo campione che fu portato via inanimato il quale morì dissanguato dopo due giorni.

Il popolo manifestò selvaggiamente, andando ad assaltare il padiglione di Vivonne che la sera precedente aveva offerto una lussuosa cena ed erano rimasti tutti gli avanzi e tutto i vasellame d’argento fornito dai nobili che vi avevano partecipato: fu tutto dissipato, saccheggiato e rubato.

Il re si sfogò dando ordine alle guardie di ristabilire l’ordine senza pietà e tutto terminò a colpi di alabarda e di bastone impartiti dai capitani e arcieri dalle guardie; tutto finì, scrive Brantôme, “come il saccheggio di una città presa d’assalto”. 

Sull’esito del duello, era stato scritto (Vielleville) “Dio che l’attendeva al passaggio, da vincitore di fantasia, lo rese vinto nel fatto”.

 

 

 

*) In proposito Brantôme, nipote di la Chastaigneraye aveva scritto un “Discorso sul duello”, in cui tratta l’argomento, dicendo che la scelta dell’arma doveva esser assegnata allo zio, ma non spiega il motivo; probabilmente lo storico riteneva che l’offeso fosse lo zio che Jarnac aveva considerato vigliacco, per aver messo in giro la circostanza ingiuriosa; ma giustamente i giudici di campo avevano ritenuto offeso Jarnac in quanto l’offesa iniziale l’aveva ricevuta lui quando era stato messo in giro il pettegolezzo che egli fosse l’amante della suocera!

**) Sulla scelta dell’arma, riferisce Brantôme, lo zio si era trovato svantaggiato in quanto aveva il braccio destro rigido e teso a causa di un colpo di archibugio; egli per questo motivo non poteva maneggiare l’arma scelta da Jarnac e infatti, in questo duello aveva dovuto ricorrere alla normale spada, non potendo maneggiare uno spadone.

 

 

 

I CAMBIAMENTI

A CORTE E

LA PÉTITE BANDE

 DI CATERINA

 

 

I

l re cercò di dimenticare l’umiliazione subita con lo sfarzo della sua incoronazione (26.VII.1547); la cerimonia si svolse a Reims e fu una delle più sfarzose della monarchia (su probabile suggerimento di Diana!); era stato ordinato il rinnovo dell’antico decoro del cerimoniale, con rifacimento di tutti gli ornamenti e costumi tra i quali spiccava il celebre monogramma di Enrico con la sua iniziale associata alla falce di luna che rappresentava Diana.

Nel successivo mese di settembre Caterina partoriva la prima femmina, delle numerose maternità che seguiranno, che non le daranno né felicità né prestigio, perché la governante del regno rimaneva Diana.

Caterina però, rinfrancata e assistita dalle quattro più importanti dame del regno: la onnipresente Diana e le dame Jaquelin de Longwy, moglie di Louis de Bourbon-Montpensier, Marguerite de Bourbon-Nevers de Vendome e Marie de Bourbon, contessa di Saint-Pol, organizza un proprio circolo: attorno alle quattro dame si raccolgono le giovinette appartenenti alle migliori famiglie del reame; ben presto ne arriveranno dall’Italia, Fiandre e Scozia; sarà la famosa petite bande che prima di servire alla politica di Caterina, le permette di tendere sottili insidie a Diana, mentre i giovani gentiluomini mendicavano i sorrisi di queste trenta grazie; ma la grande novità per i gentiluomini fu il divieto di assistere al mattino, al “lever” e alla sera al “coucher” delle fanciulle ... nelle loro camere, consentito al tempo di Francesco I!

Con la concessione del ducato di Valentinois e Diois, Diana assurge a rango di principessa del sangue; Enrico aveva voluto portare a termine la pendenza dei beni di Jean de Poitiers, e, rimettendo la confisca nei confronti di Jean, aveva accordato a Diana  il feudo della contea di Saint-Vallier e il ducato di Valentinois e Diois; e quando Caterina è incoronata regina (10.VI.1549) è lei che le siede accanto e, delle sue due figlie, Francoise duchessa de Bouillon teneva il cero, e Louise, duchessa d’Aumale, raccoglieva le offerte.

La regina Eleonora, che aveva dovuto subire tante umiliazioni e amarezze, aveva abbandonato la Corte tornandosene in Spagna, ma prima di partire aveva preteso che madame de Canaples, una delle ultime amanti di Francesco, fosse mandata via dalla Corte; costei, dalla amicizia con Diana,  poté ottenere di non finire in un monastero.

Caterina permetteva a tutte le persone moralmente integre di partecipare ai concerti e spettacoli; in una sala, attorno a lei, ricoperta di perle, vi erano sedie diverse l’una dall’altra mentre le giovanette, con i loro ampi vestiti, sedevano su cuscini messi sui tappeti orientali che ricoprivano il parquet, che Caterina faceva venire da Venezia; esse creavano un effetto di peonie di svariati colori, disseminate per la sala; i servitori, paggi e lacché erano vestiti con due colori o rosso e giallo o verde e bianco; il mondo, scriveva Brantôme, non aveva mai visto niente di uguale.

Una frattura alla gamba per una caduta da cavallo (1550) costringe Diana a rimanere prigioniera ad Anet ed Enrico ne approfitta per concedersi uno svago amoroso con la trentenne lady Flaming, bella d’aspetto e di maniere, governante di Maria Stuart (di fatto era Johanna Stuart figlia naturale di Giacomo IV, nonno di Maria).

La faccenda aveva suscitato dei rumori a Corte per come si erano svolti i fatti; si era infatti notato che Montmorency di notte si introduceva nell’appartamento della piccola Maria; gli zii offesi, ritennero che il Connestabile volesse disonorare la reginetta, ma si scoprì che egli accompagnava Enrico nei suoi incontri con la Fleming; da questi incontri, come abbiamo detto, era nata una bambina e un maschietto, Henry d’Angouléme, riconosciuto da Enrico e noto come le Batard d’Angouléme; rientrata Diana, la Fleming fu congedata e il menage continuò pacificamente a tre, come prima!

La principessa rinascimentale conosceva tutti i poeti, gli artisti, pittori, scultori, architetti e li utilizzava a suo profitto: Philibert de l’Orme era stato nominato sovrintendente degli edifici reali e Diana lo aveva chiamato per abbellire i suoi castelli: primo Anet, dove, senza sacrificare la parte vecchia cara a suo marito, fa costruire un blocco nuovo, creando un’opera rinascimentale (1552) dove spiccava l’ammirabile biblioteca; poi si dedica ai castelli Chenonceaux e Chaumont uno più bello dell’altro; quest’ultimo era stato reclamato da Caterina come appartenente al demanio; dopo una breve resistenza Diana lo aveva restituito per non andare incontro alla brutale confisca, riservata ai castelli detenuti dalla duchessa d’Etampes. 

 

 

IL MATRIMONIO DI

MARIA STUART

E FINE DEL RAPPORTO

 TRA CATERINA E DIANA

 

 

I

 Guisa, facendo intravedere a Enrico una unione della Scozia al regno di Francia, proposero il matrimonio di Maria con il Delfino Francesco che aveva tre anni e mezzo e avuto l’assenso, la piccola Maria incoronata regina il giorno dopo la sua nascita, fu mandata presso la Corte di Francia all’età di sei anni.

A quindici anni la “Rosa di Scozia”  brillava a Corte come un astro di prima grandezza; gli uomini non finivano mai di esserne abbagliati; a Corte era lei a dominare, travolgere, sconvolgere tutto.

I fratelli Guisa, approfittando della circostanza che Montmorency era stato arrestato (con il maresciallo Jaques d’Albon de Saint-André) e non faceva più parte del Consiglio reale, mentre Carlo di Lorena  accresceva la sua insolenza, il fratello Louis, entrava a far parte del Consiglio e per prima cosa reclamò il matrimonio della nipote Maria con il Delfino Francesco.

La regina Caterina riteneva che il matrimonio del nipote fosse prematuro e si unì a Diana che era della medesima opinione; lo stesso Enrico che non riusciva a liberarsi dei Guisa, esasperato dalle pressioni, diede il suo consenso  perché non mi rompano più la testa”:  il matrimonio fu celebrato il 24 giugno 1558; il Delfino aveva quattordici anni, Maria sedici; Maria era la nuova Delfina.

Quell’anno era stato un anno di carestia: per le strade vi era gente morta di fame; di anarchia del potere centrale, di rivolta dei protestanti e di depressione economica, con la moneta ridotta alla metà del suo valore; l’eccessivo aumento dei prezzi aveva travolto chi viveva di rendita, funzionari, piccola nobiltà; intere città erano coinvolte nella crisi.

Il bellicoso Carlo di Lorena aveva suscitato una reazione di massa dei protestanti portando all’esasperazione Enrico che in proposito aveva detto: “Giuro che se non avessi i problemi esterni (ai confini), per le strade farei correre il sangue e le teste di questa canaglia”.

L’imperatore Carlo V si era appena dimesso e il figlio Filippo II aveva fatto ammassare le sue truppe presso i confini dell’Artois; Filippo aveva come stratega militare l’abile duca Emanuele-Filiberto di Savoia detto Testa di Ferro, che lo aveva convinto a rinunciare alle rivendicazioni in Italia, per  colpire la Francia che fu invasa al Nord con la conseguente battaglia di Saint-Laurent (San Quentin) dove, per una falsa manovra compiuta da Montmorency, egli fu fatto prigioniero con seimila dei suoi e rimasero sul campo tremila morti tra i quali  si trovava Jean di Borbone conte d’Enghien (10.VIII.1557); i rapporti tra Enrico II e Filippo II furono regolati con il trattato di Cateau Cambresis (1559).

La felicità della Delfina non durerà per molto in quanto, dopo appena due anni di matrimonio, a diciotto anni, rimarrà vedova: avrà termine la sua la vita spensierata di leggerezza e di sogno passata presso la Corte di Francia.

Una possibile sua permanenza presso la Corte francese lei stessa l’aveva resa impossibile, a causa della sua mancanza di saggezza e umiltà (che le mancheranno anche negli anni della maturità).

Infatti, un giorno, con Caterina si era mostrata insolente nel rinfacciarle di essere “mercante e banchiera e lei figlia di re”;  dovette tornarsene in Scozia dove, a causa di sue scelte sbagliate, dettate dalla sua particolare accentuata sensualità che si svilupperà fin dalle prime esperienze, andrà incontro a una vita (ci auguriamo poter finire un articolo già iniziato!) che sarà da tragedia ... fino alla fine!

Era giunto anche il momento in cui anche l’idilliaco rapporto, vero o falso, che aveva legato moglie e amante del re, durato ventiquattro anni, aveva termine: Un giorno Diana aveva trovato la regina assorta a leggere un libro: - Cosa leggete, madame? Gli storici di questo reame, dove trovo che di tempo in tempo, in tutte le epoche, le puttane hanno diretto gli affari dei re; la frase rimbalzò di reggia in reggia in tutta la cristianità: la maschera della accettazione della condivisione del marito, era finalmente caduta!

Tornato libero dalla prigionia, Montmorency si reca a Saint Germain dal re che lo accoglie con grandi manifestazioni di amicizia e benevolenza; il Connestabile riprende tutte le sue cariche e finalmente Enrico può liberarsi dalla stretta morsa dei Guisa; ma lo sport che egli ama di più, gli riserva una tragica fine.

 

 

UNA FINE

PREANNUNCIATA

DAGLI ASTROLOGI

 

 

M

ai gli astrologi erano stati così vicini alle loro previsioni: da tempo (1552) l’astrologo Luca Gaurico aveva avvertito Enrico di non frequentare i tornei e di “evitare i combattimenti in campo chiuso, specie al compimento del quarantunesimo anno di età”; tre anni dopo apparvero le (ambigue) Centurie di Nostradamus; la quarta  sembrava essere la più chiara di tutte le previsioni del celebre astrologo, a parte l’ambiguità tra il giovane e vecchio leone, a voler essere chiari avrebbe dovuto dire “il vecchio leone sormonterà il giovane”:

Le lion jeune, le vieux sourmontera (Il giovane leone il vecchio sopraffarrà)

Au champ bellique par singulierr duel (In campo da combattimento per singolar 

                                                                                                                duello)

Dans cage d’or les yeux lui le crevera (Nel casco d’oro gli occhi creperà)

Deux plaie ont fait mourir, mort cruelle.  (Due ferite lo faranno morire, di                       

                                                                                              morte crudele).

La regina e il Connestabile ne furono colpiti, ma Enrico aveva risposto che sarebbe stato contento di morire per mano di chiunque fosse bravo, valoroso e che avesse gloria; Caterina assisté con orrore ai preparativi del torneo e un sogno l’aveva persuasa che il suo signore andava a sfidare la sorte; ma Enrico non desiderava altro che dar prova della sua forza.

Seguendo la tradizione la palizzata era stata preparata nella strada più larga di Parigi, Via Saint-Antoine davanti al palazzo delle Tournelles (poi place des Vosges), residenza estiva della Corte; il torneo iniziava il 28 giugno 1559.

I quattro arbitri del torneo erano lo stesso re e i duchi di Guisa, Ferrara e Nemours: il re aveva i colori di Diana, bianco e nero, Guisa bianco e incarnato, Ferrara, giallo e rosso e Nemours giallo e nero.

Le dame e i cardinali erano in tribuna dove Diana sedeva fra tre regine, Elisabetta di Spagna (figlia di Enrico, che aveva appena sposato Filippo II), la regina madre Caterina e Maria, regina di Scozia e Delfina.

Enrico montava un bellissimo cavallo turco che aveva un nome non troppo propiziatorio, Malheur; il 30 il caldo era soffocante; quando era apparsa la regina in abito violetto, il suo viso era livido per il dolore.

Il re si scontrò prima con il duca di Savoia e poi con il duca di Guisa; Caterina gli aveva fatto sapere di smetterla per l’ora tarda e per il caldo, ma Enrico voleva misurarsi con il capo della guardia scozzese Gabriel de Montgomery che in un torneo precedente lo aveva scavalcato.

Nenours gli disse che la regina lo supplicava di non farlo, per amor suo; ma Enrico rispondeva che correva questa lancia proprio per l’amore che aveva per lei; il maresciallo di Vieilleville gli disse che aveva già rotto diverse lance e avrebbe fatto bene a riposare e aggiunse: “Sire, giuro su Dio che sono più di tre notti che non faccio che sognare che vi arriverà un malore oggi e che quest’ultimo giorno vi sarà fatale; fate pure ciò che vi piaccia”.

Enrico era ostinato e per tutta risposta chiese a Vielleville di armarlo, sebbene questo compito spettasse al Gran scudiero Boisy; “Sire”, gli disse Vielleville, “non ho mai fatto nulla di più contrario”; ma mentre il maresciallo gli stava fermando la cinghia della visiera, il re si svincolò spazientito e, insensibile alle suppliche della regina, si fece metter in sella e partiva per affrontare Montgomery, con la cinghia della visiera non bloccata.

Tra il suono di trombe e trombette avviene il primo scontro; i due cavalieri rompono le prime lance; Enrico cambia la sua, Mongomery non si sa come mai, tiene la sua con la punta spezzata; al nuovo scontro, stranamente le fanfare tacciono; nello scontro, la lancia spezzata di Montgomery sollevando la visiera non ferma di Enrico, penetra nel suo occhio uscendo dalla tempia; il re rimane in sella fino alla fine della lizza dove è preso dalle braccia degli scudieri: Sono morto, disse. Lo portano sanguinante alle Tournelles; Diana lo aveva seguito con gli  occhi e non lo rivedrà mai più!

Enrico morirà dopo sei giorni; avrebbero potuto salvarlo se avessero pulito la ferita e fossero intervenuti con il trapano; erano state utilizzate quattro teste di condannati per fare delle prove; il re Filippo II aveva mandato il celebre Andrea Vesalio che giunse quando l’infezione si era propagata nel corpo e non poté far più niente.

Enrico dimostrò la sua ingenuità politica raccomandando a Filippo II la famiglia e la Francia, dandogli così la possibilità di interferire negli affari del regno.

Diana non fu chiamata al letto del moribondo e si ricordò del suo oroscopo che diceva:-Téte de neige sauvera; Puis téte d’or perdera - testa di neve salverà-testa d’oro perderà”.

La sera dell’8 luglio, Enrico non era ancora morto, che Caterina aveva mandato a prendere i gioielli della corona che Diana restituì “chiedendo perdono alla regina per le sue offese e mettendo nelle sue mani tutti i suoi beni e la sua vita”; la regina si trasferì al Louvre con i nuovi sovrani Francesco e Maria e i Guisa che prenderanno le redini del potere.

Il duca Francesco occupava l’appartamento che era stato di Diana, accanto a quello del re, il fratello Carlo  l’appartamento di Montmorency il quale, rimasto a vegliare le spoglie del re, si ritirerà nel suo castello di Chantilly; con il consenso di Caterina il duca Francesco assunse il comando dell’esercito, suo fratello Carlo la carica di primo ministro.

Diana dovette restituire il castello di Chenonceau, in cambio Caterina le concedeva il castello di Chaumont da lei acquistato con proprio denaro e pagato centoventimila lire (1550): era la sede delle sue esperienze magiche, lì si trovava l’uovo filosofico, la verga divinatoria, la clessidra, la pantacorda (probabile strumento astronomico), la sfera, il crogiolo, l’apparecchio necessario alla evocazione degli spiriti; lì si trovava il famoso specchio che Caterina interrogava, dove vide i suoi tre figli che avrebbero regnato e Enrico IV (figlio di Antonio di Borbone e Jeanne d’Albret) che avrebbe regnato dopo di loro.

Diana, lontana dalla Corte si dedicò alla amministrazione dei suoi beni e non soggiornò molto a Chaumont, dividendo i suoi soggiorni ad Anet, a Beynes e al castello di Limours, uno dei castelli tolti alla duchessa d’Etempes.

Nessuno di tutti coloro che avevano ricevuto da lei favori e gratificazioni l’aveva riavvicinata e lei aveva accettato la sua disgrazia con una dignità esemplare, osservando da lontano tutti gli avvenimenti che durante i suoi ultimi anni avevano turbato il regno; sarebbe vissuta ancora sette anni dalla morte di Enrico, intossicandosi inconsapevolmente per rincorrere il mito dell’eterna giovinezza.

Il celebre pallore del suo volto, accentuato dal nero dei suoi abiti, non era altro che anemia provocata dall’elisir che assumeva: una velenosa mistura di oro e di acidi, che invece di darle la giovinezza, l’avevano portata alla tomba.

Si trattava di un composto di acido nitrico e muriatico con l’aggiunta di oro ricavato da una moneta; le sue ossa nel sepolcro di Anet, profanate durante la rivoluzione francese, erano state fortunatamente ritrovate e analizzate avevano dato una percentuale di oro duecentocinquanta volte superiore alla norma! 

Se avesse continuato a fare solo i suoi bagni freddi che faceva da quando era bambina, con il regime che seguiva, avrebbe potuto vivere ancora più a lungo.

Pur non essendo molto portata per la religione (ma come abbiamo visto si era scagliata contro i protestanti), aveva lasciato delle dotazioni alle ragazze povere di Anet e alla chiesa delle Figlie Pentite, ottenendo in cambio che nelle numerose messe celebrate per la salvezza della sua anima, fosse detto ad alta voce: Pregate Dio per Diana di Poitiers”.

 

 

 

FINE