IL “COGITO, ERGO SUM”

DI CARTESIO

CON LE SCOPERTE

SUL CERVELLO

E’ DA INVERTIRE IN

“SUM, ERGO COGITO”.

 

Michele E. Puglia

 

 

SOMMARIO: CARTESIO E LA GLANDOLA PINEALE SEDE DELL’ANIMA; INTRODUZIONE (In Nota I GIOVANI E L’ITALIA CHE PIANGE); IL CAMMINO DELLE SCIENZE NEL XV E XVI.MO SECOLO; L’ESISTENZA DELL’ANIMA E’ PIU’ CERTA DI QUELLA DEL CORPO (In Nota: LA PSICHIATRIA NELL’ANTICHITA’); IL CERVELLO UMANO E L’ANIMA SECONDO CARTESIO; LE PROVE DELLA ESISTENZA DI DIO E DELL’ANIMA OSSIA I FONDAMENTI DELLA METAFISICA NEL “DISCORSO SUL METODO”; LA GLANDOLA IL CERVELLO UMANO L’ANIMA E “GLI SPIRITI ANIMALI” NEL TESTO SU ”L’UOMO”: CONCLUSIONI.

 

 

 

 

Renato Cartesio

(1596-1650)

 

 

 CARTESIO E LA

GLANDOLA PINEALE

 SEDE DELL’ANIMA

 

 

 

Definita come il terzo occhio (secondo la mistica indiana, sesto chakra che si trova tra le due sopracciglia), dispensatore di conoscenza; conosciuta fin dai tempi degli antichi egizi; le tradizioni mistiche e le scuole esoteriche la considerano come collegamento tra il mondo fisico e quello spirituale,  ritenendola come centro dei poteri soprannaturali.

Si ritiene (ma senza prove scientifiche) che lo sviluppo dei talenti psichici sia strettamente collegato a questo organo ritenuto di visione superiore.

Questo piccolo organo a forma di pigna della misura di un cm. per un cm. e mezzo, posto nel cervello, secerne melatonina e contiene l'ormone che regola il ciclo sonno-veglia e alcuni ormoni sessuali.

La sua funzione fisiologica rimasta sconosciuta fino a quando Cartesio le aveva dato il crisma di sede dell’anima che alcuni scienziati contemporanei (credenti) hanno esteso al cervello,  ma senza prove perché il mondo dello spirito non è in grado di fornirle (!) e occorre ricorrere alla fede.

Sulle potenzialità del cervello la scienza è ancora ai primordi e vi è molto da scoprire non solo sul cervello ma anche sul  cervelletto che costituiva il cervello dell’ominide, sul quale in seguito si era svilupppato sovrapponendosi, il cervello dell’homo sapiens. e a decifrarne il contenuto si verrebbe a conoscere la vera storia delle origini dell’uomo.

 

 

INTRODUZIONE

 

 

C

artesio si pone come la pietra miliare della nuova filosofia, soppiantando definitivamente la filosofia peripatetica e scolastica:

Possiamo chiederci, perché?

Perché il sistema filosofico fino a quel momento  non aveva tenuto in alcun conto lo studio delle scienze che avveniva separatamente; senza le scoperte e gli studi scientifici del XV e XVI e inizio del XVII, se non avesse assimilato le scienze del suo tempo, è stato detto, Cartesio non sarebbe stato che un Telesio, un Campanella, un Manus o Vanini.

Cartesio nel collegio dei gesuiti, cultori delle scinze (v. in Articoli, Padre Matteo Ricci ecc.), aveva ricevuto una eredità di conoscenze positive  senza le quali nessuna nuova filosofia sarebbe stata possibile; senza le quali lo spirito umano avrebbe continuato a girare nello stesso cerchio di idee.

Il Rinascimento era stato come una nuova primavera che con la sua brillante fioritura (v. in Articoli: Carlo V. tra Rinascimento, Riforma e Controriforma P. I e II) dopo il lungo inverno medievale, aveva aperto una nuova strada alle arti, alle scienze, alla filosofia.

Dopo quindici secoli in cui avevano dominato Platone, Aristotele, Epicuro e Zenone, Galeno, Archimede, Euclide, Ipparco e Apollonio, la scoperta della stampa aveva permesso di diffondere le loro opere, diffondendo il germe della conoscenza che avrebbe consentito nuove scoperte.

E chi aveva aperto la strada, tra la fine del XV e l’inizio del XVI sec. a Cartesio?  Leonardo da Vinci (1452-1519).

La filosofia cartesiana, come vedremo, si era formata sulla base di tutte le scoperte dei due secoli precedenti, avendo Cartesio tra le sue teorie ritenuto individuare la sede dell’anima nel cervello, più esattamente, come abbiamo accennato, nella glandola pineale, teoria a sua volta travolta dalle nuove scoperte sul cervello nei sec. XIX e XX.

Ovviamente con le nuove idee portate da Cartesio, questa sua nuova filosofia (come era stato scritto in: Opere di Cartesio, Meditazioni filosofiche, Pavia 1818) eccitò e risvegliò lo spirito filosofico e suscitò nello stesso tempo l’invidia e l’ammirazione, l’arditezza e la superstizione; la verità e il pregiudizio gli procurarono una immensità di seguaci e di nemici; alcuni cercarono tra le rovine dell’aristotelismo di trovare una via che li conducesse contro la nuova filosofia; altri, arditi richiamarono nuovi sistemi e misero in campo nuove armi; altri ancora ricorsero alla persecuzione e alla teologia, ma questa si rifiutò ed anzi alcuni teologi (Cartesio,ricordiamo, aveva frequentato scuole dei gesuiti) lo giustificarono con i loro scritti.

Si dichiararono contro, Arnaud (Antoine, teologo 1612-1694), Voezio, Hobbes (Thomas 1588-1679), e Regiomontano (Johannes Mϋller di Koenisberg 1436-1476) ma tra i suoi grandi ammiratori furono Cristoforo Wittig, Johann Clauberg (1622-1651), Andrea Tobia e Giacomo Gousset (!).

Cartesio anche ai suoi tempi fu fortemente contestasto dal gesuita napoletano Benedetto Aletino con le Lettere Apologetiche (Opera in cui si dimostra quanto falsa e pia sia la filosofia di Renato delle Carte, e perché questo si debba stimare più d’Aristotele).

Particolare menzione meritano Pierre Gassendi (1592-1655) di scuola epicurea, il quale contestava a Cartesio la immaterialità dell’anima, la sua immortalità e l’esistenza di Dio, sì che in Francia lo scontro avvenne tra cartesiani e gassendisti-epicurei; basti dire che Gassendi gli oppose il “nihil est in intellectu quod prius non fuerrit in sensu (nulla vi è nell’intelleto che prima non fu nei sensi)  e Malebranche (1638-1716), scosso vivamente dalla nuova filosofia. scriveva il libro: “Della ricerca della verità”, che contiene tutte le osservazioni sulla verità e i relativi errori.

Poiché il presente articolo ha carattere prettamente divulgativo (con la speranza che i giovanissimi si appassionino alle scienze e alla matematica nella quale in Italia continuano a scarseggiare (*)), la trattazione è limitata solo alla parte relativa al cervello e al suo preteso collegamento con l’anima.

 

 

I GIOVANI E L’ITALIA CHE PIANGE.

 

*) Il richiamo ai giovani italiani, molti dei quali (i più meritevoli) vanno a cercare lavoro all’estero, ci pensare al loro futuro, ma, purtroppo per loro, le previsioni non sono ottimistiche in quanto gli ultimi dati del Censis (fine 2021) hanno preveisto che il loro numero, nel 2030,  sarà inferiore a quello degli ultraottantenni ... e il rapporto sarà di due terzi di anziani e un terzo di giovani e il 2070 vedrà una decrescita della popolazione a 47mln. di abitanti (nel 1930 era di 35mln.!).

Ciò fa ritenere che in quest’epoca l’Italia sarà divenuto un paese multietnico, per essere stato centro di sconsiderata immigrazione da paesi terzi (subita insieme alla Spagna), a causa dell’assenza di una regolazione da parte dell’U.E. (la cui presidente Ursula von der Leyen (minuit praesentia famam), deludente sulle brillanti aspettative) che ha ritenuto “ignorare il problema”.

Ciò purtroppo è dipeso dalla mancanza di uniformità ai principi di comunione per chi aderisce alla U,E., dei dei Paesi ex sovietici entrati in blocco, i quali, nell’assenza di sensibilità umanitaria, si sono opposti all’accoglimento degli immigrati (in effetti i Paesi che si oppongono all’accoglimento sono quindici e dieci di questi chiedono addirittura di essere finanziati per la spesa di muri e filo spinato!).

Questa mancanza di coesione di intenti, richiederebbe un urgente rinnovamento dei trattati che dovrebbero prevedere la espulsione dei Paesi che non si adeguano allo spirito unitario dell’Unione.

Ma torniamo all’Italia: Non essendovi nascite, saranno i figli e nipoti dl questi immigrati a riempire i vuoti.

In ogni caso vi sarà un problema da risolvere:- Poiché i musulmani (per il Declino dell’Islam v in Schede F. “Hayy ibn Yaqzan o Il filisofo autodidatta”),  seguono i loro secolari barbari costumi, come il jihab per le donne e peggio, la crudele infibulazione per le bambine, praticata con le lamette (che pur costituendo reato, viene ugualmente praticata), nonché il matrimonio imposto dai genitori per le figlie minori, costrette a sposare uomini anziani (quelle che si oppongono sono uccise dai famigliari!), è opportuno che nel momento in cui è concessa la cittadinanza, quando è assegnata, si facciano giurare sulla osservanza della Costituzione e delle Leggi italiane. 

Di norma, l’aumento della popolazione è indice di benessere, ma i dati forniti, fanno ritenere che il declino del Paese sarà conforme alla diminuzione delle nascite; ... altro che rosee previsioni sulla rinascita e ricostruzione che ottimisticamente ci siamo azzardati a fare per l’arrivo dei 230 mld. della U.E. (v. in Schede S. “La ricostruzione dell’Italia, come finirà”), che andranno perduti se per la loro gestione non dovesse rimanere al suo posto il Presidente del Consiglio  Mario Draghi.

Da una classe politica frantumata in tanti partitini (perché ciascuno vuole avere la sua fettina di potere!), che in questo periodo di Colid (Dicembre ’21), sta dando prova di faziosità, litigiosità, reciproche invidie (°) e incapacità, nella rincorsa di interessi personali e di partito, che, in seno al governo, inizialmente unanimemente applaudito (**), sono poi  passati al logoramento, battendo spudoratamente e continuamente sui fianchi, con minacce di dimissioni e presentando (legge sul bilancio, in approvazione a fine anno!) migliaia di emendamenti ... da stancare anche un bisonte!   

E così questa classe politica meschina, priva di onore e di  dignità, mostrando un totale disinteresse sul presente e ancor più sul futuro del Paese, che porta il peso di un enorme debito pubblico (2.569 mld. a fine 2021), si sollazzerà con un ennesimo altro governo, dando la prova che l’Italia non sia altro, che un paese assolutamente ingovernabile!    

 

 

 

*) Sull’invidia degòi italiani era stato scritto che “sono così invidiosi che lascerebbero brucuiare la loro casa pur di vedere bruciare quella del vicino” (su cosa è stato scritto degli “Italiani”, v. in Indice Schede S.); lo abbiamo visto per la nomina del Presidente della Repubblica (Gennaio 2022) che un Parlamento riunito, si è mostrato incapace di eleggere un nuovo Presidente (dopo una finta passerella di aspiranti), hanno felicemente rinnovato (dedicandogli quattro minuti di applausi!), l’incarico al Presidente Mattarella, il quale, dopo sette anni di silenzio, come è stato scritto (a parte le ricorrenze delle commemorazioni ... ma è così che è piaciuto agli italiani), si è scosso, auspicando le riforme del Paese!  

**) Compreso l’effervescente Segtretario sindacale Cgil, che aveva dichiarato la propria entusiastica adesione alla nomina del Presidemte Draghi, salvo poi a combatterlo subdolamente, facendo ricorso al vieto, antistorico e, dato il momento, inopportuno, sciopero generale.

 

 

IL CAMMINO DELLE

SCIENZE

NEL XV E XVI SECOLO

 

 

L

eonardo, padre della scienza sperimentale, grande in tutto lo scibile e  nelle scienze, liberandosi dall’obbligo dell’ “autorità”, un secolo prima di Bacone, aveva affermato che “l’esperienza è la sola interprete della Natura e solo essa può dettare le sue leggi”.

Era stato seguito dal Tartaglia il quale aveva trovato (1545) la soluzione delle equazioni cubiche, successivamente generalizzata da Cardano, mentre il suo allievo Ferrari risolveva il problema delle equazioni di quarto grado e le sue scoperte erano continuate con Viéte (Francois, 1540-1603), Harriot (Thomas, 1560-1621) e quindi Cartesio.

Nello stesso tempo la meccanica, sotto l’impulso di Leonardo e dei suoi discepoli, proseguiva nel suo cammino con Girolamo Fracastoro (1476/78-1553) che all’interno della meccanica studiava il movimento che seguendo una direzione, si poteva scomporre in due.

Chi aveva fatto compiere grandi progressi all’analisi algebrica era stato Francois Viète considerando questa scienza come la lingua dei rapporti matematici, iniziando ad applicare l’algebra alla geometria, mettendo così Cartesio, Newton e Lagrange sulla strada delle loro scoperte con il raggiungimento, in campo algebrico, delle risoluzioni delle equazioni del terzo e quarto grado e della teoria generale delle equazioni.

Nel 1543 Copernico pubblicava De Revolutionibus Orbium celestium che dava l’idea del sistema solare, rifacendosi ad Aristarco di Samo (310 c.ca-230) che con Filolao (tra la fine V sec., inizi del IV sc.) e i Pitagorici i quali ritenevano che il Sole fosse al centro dell’universo (allora limitato al solo sistema solare!).

Alle scoperte matematiche si affiancavano quelle astronomiche rappresentate dalla geometria celeste che si sviluppava in Germania con Peurbache, Regiomontano, Copernico, Tycho Brahe (Astronomiae instaurata mechanica, 1604), Keplero (Ad Vitellionem paralipomena seu  Astronomia pars optica) e Galileo che alla fisica terrestre aggiungeva le scoperte della caduta dei gravi (1589), che gli altri avevano compiuto nella fisica celeste.

Per di più Galileo unendo fisica e matematica, faceva compiere un passo avanti alla filosofia naturale (così considerate la scienze naturali), sulla strada in precedenza tracciata da Pitagora e Platone, giungendo all’isocronismo delle oscillazioni del pendolo; dal perfezionamento della teoria del centro di gravità e scrivendo la “Bilancetta”, determinava il peso specifico dei corpi semplici e delle leghe dei metalli, seguite dalla teoria dei piani inclinati (1590) e ancora dalle altre scoperte fisiche e matematiche e dall’invenzione del termometro (*).

Sin dagli inizi del nuovo secolo (1600) si erano susseguite una serie di invenzioni e di testi scientifici e della filosofia naturale che influiranno sulla filosofia cartesiana.

William Gilbert osservando la terra, pubblicava Psycologia Nova” in cui indicava il magnetismo e l’elettricità come due manifestazioni di una forza unica inerente a tutta la materia che aveva influenza nelle scienze del cosmo.

Qualche anno dopo (1609) con la nuova invenzione del  telescopio, Galileo rivoluzionava il mondo dell’astronomia, mentre Keplero nello stesso anno pubblicava la fondamentale “Astronomia Nova”. e l’anno seguente (1610) Galileo scopriva i satelliti di Giove, le macchie solari e le montagne della Luna, le fasi di Venere, e che la Via Lattea (la nostra galassia) è costituita da un ammasso di stelle ( e noi sapiamo che una più. una meno sono cento miliardi!).

Tutte scoperte che avranno influenza e confermeranno il sistema di Copernico e in questo stesso anno (1610)  Galileo pubblicava il Sidereus Nuncius che segnava il trionfo dell’astronomia rispetto ai pregiudizi dell’antica filosofia e dell’opprimente religione (**), mentre il Fabricius dal suo canto, dimostrava la rotazione del Sole.

L’anno successivo (1611) Keplero sulla base della recente scoperta del telescopio, pubblicava la Diottrica e l’anno successivo Marc’Antoine de Dominis (1550-1624) pubblicava un altro trattato di ottica (De radiis et lucis in vitris) in cui enunciava la teoria dell’arcobaleno, che in seguito sarà perfezionata da Cartesio.   

Dall’altro canto, negli studi matematici era stato tutto un susseguirsi di invenzioni: Baschet de Bourg (1612), con la risoluzione generale delle equazioni indeterminate di primo grado; Pietro Antonio Cataldi (1613) con le frazioni continue e le serie infinite; Jean Néper (o John Napier o Nepero, scozzese, 1550-1617) con il suo libro sulla invenzione dei logaritmi (Mirifici logarithmorum canonis descriptio - Descrizione della meravigliosa regola dei logaritmi, 1614); e Keplero, con il libretto (1615) sulla stereometria (Nova stereometria doliorum vinanriorum), partendo dal contenuto delle botti di vino, giungeva al metodo per il calcolo ininitesimale del volume dei solidi di rivoluzione, approfondito da Bonaventura Cavalieri (in Geometria degli indivisibili, 1635) il quale definiva il rapporto di equivalenza tra solidi attraverso lo studio delle loro sezioni; mentre Snellius (1615) misurava per la prima volta il grado di un meridiano e Simon Stevin faceva fare progressi importanti alla meccanica e all’idrostatica.

Il figlio di John Napier, pubblicava (1618) una nuova edizione del libro del padre con la chiave della costruzione dei logaritmi e Briggs, allievo di Napier. pubblicava, a seguito di approfondito lavoro, una tavola logaritmica dei primi mille numeri, seguendo un sistema più moderno del nepierano.

Tre anni dopo, Keplero pubblica i primi tre libri dell’Epitome Astronomiae Copernicanae (1621-22) che contiene l’esposizione del sistema dell’universo, le ragioni sulle quali Keplero le aveva stabilite e una quantità di congetture ardite delle quali alcune risultavano veritiere e altre fantasiose, nutrite di idee pitagoriche e platoniche.

Per concludere sui precursori della filosofia cartesiana, tra i quali non possiamo dimenticare Pietro Pomponazzi (1462-1525), Francesco Patrizi (1413-1492), Pierre Gassendi (1592-1655), Giordano Bruno (1548-1600), Bernardino Telesio (1509-1588), Tommaso Campanella  (1568-1639), Ramus (Pierre de la Ramée, 1515-1572) e Giulio Cesare Vanini (1585-1619) e i grandi avvenimenti che si erano verificati in quei due secoli, quali la  scoperta del Nuovo Mondo, della Stampa e la Rivoluzione religiosa di Martin Lutero: è da questi due secoli che emerge la filosofia razionalista di cui si rendeva interprete Renato Cartesio.

 

 

 

*) Tra le sue opere il Trattato delle fortificazioni, un riassunto sulla Sfera e un Trattato di meccanica.

**) Non bisogna dimenticare che l’Inquisizione (v. Articoli sull’argomento) aveva condannato (1516) l’opinione di Copernico considerata come contraria alla Bibbia e alla ragione e sono ben note le vicissitudini di Galileo che aveva avuto l’audacia di insegnare questo sistema, ritenuto condannabile e pernicioso e che dopo aver ricevuto un primo avvertimento, aveva subito il ben noto processo.

 

 

L’ESISTENZA DELL’ANIMA

E’ PIU’ CERTA DI

QUELLA DEL CORPO

 

 

Con le scoperte sulle funzionalità del  cervello che

hanno avuto luogo tra la fine del XIX e inizi del XX secolo

della sua formazione con cento mld. di neuroni

 tutti collegati tra loro,

le affermazioni di Cartesio, risultano apodittiche,

 nel senso che le idee collegate con Dio

date dal filosofo per certe e reali,  sulla base del cogito,

(un esempio è dato quando Cartesio sostiene che:

“L’esistenza dell’anima è più certa di quella del corpo”,

basata appunto, sulla circostanza della realtà

 del pensiero (cogito);  

esse sono da ritenere solo ipotetiche, con la conseguenza che

tutti i ragionamenti fatti in proposito da Cartesio,

sono meramente speculativi e

se potevano essere validi ai suoi tempi,  

ora sono stati demoliti dalle attuali scoperte.

 

 

 

I

l primo principio da cui parte Cartesio è il cogito, ergo sum, penso, quindi esisto; e ciò che esiste è una sostanza, dunque l’anima, che manifesta la sua esistenza col pensiero ed è una sostanza pensante; ciò gli fa affemare (cfr. Meditazioni filosofiche), che l’esistenza dell’anima è più certa di quella del corpo perché la sua essenza consiste nel pensiero che la conferma e questa esistenza è più certa di quella del corpo, perché la sua essenza consiste nel pensiero; l’anima non conosce tutte le cose in egual misura e sa che esse possono essere conosciute da un essere più perfetto; da ciò deriva l’idea della propria imperfezione e della perfezione di un altro essere che potrebbe essere il Creatore.

Il primo attributo di questo Creatore, prosegue Cartesio,  essere perfetto, è l’esistenza, quindi egli esiste: esiste pertanto un essere supremo, perfetto, onnisciente, onnipossente, saggio e Creatore ma semplice (!). 

L’anima che è imperfetta non può crearsi da sé l’idea di un essere perfetto e da ciò deriva che questa idea sia innata (°) come tante altre (esse sono di natura intuitiva) e queste idee che nell’uomo furono impresse dalla mano creatrice e non possono trarre in errore, perché Dio che è l’autore dell’universo è anche l’autore della verità e non potrebbe in alcun modo averci voluto ingannare (!).

Cartesio distingue quindi la materia dallo spirito, l'anima dal corpo; l'anima è sostanza pensante e semplice, il corpo è esteso e divisibile; l'estensione costituisce l'essenza della materia e il pensiero l'essenza dell'anima. La materia non esiste senza estensione, come l'anima non può esistere senza pensiero; il corpo non fa che muoversi secondo le decisioni dell’anima che ha con sé i caratteri dell’immaterialità e della immortalità che non sono caratteristiche proprie degli animali.

Quanto al principio della vita, la sede che le è stata assegnata si trova in quella piccola parte del cervello che si chiama glandola pineale da cui gli spiriti animali (v. sotto) si spandono per tutto il corpo e alla quale ritornano e la stessa glandola è la sede dell’anima perché essa si trova al centro del cervello da cui dirige e regola gli spiriti vitali che muovono il corpo, per cui, tra l’anima e il corpo vi è una sorta di armonia, sulla quale tra i filosofi posteriori vi fu un profluvio di teorie.

Ma, tutto ciò è stato possibile sostenere fino a quando nel ventesimo secolo non sono state scoperte le neuroscienze (**) che hanno messo in evidenza le funzionalità del cervello e tutto quanto era stato sostenuto in proposito da Cartesio fino a Platone, erano ipotesi e teorie fiorite sulla base di dati, seppur incontrovertibili, derivanti dalla non conoscenza delle dette funzionalità del cervello e nel momento in cui queste sono state scoperte è emerso che tutto ciò che è stato teorizzato non trovava corrispondenza con la realtà e si può affermare in via definitiva, che l’assioma da cui era partito Cartesio del cogito, ergo sum, è da invertire in:

Sum, ergo cogito – Esisto, quindi penso.

 

 

*) Come si vede Cartesio parte dalla teoria platonica delle idee innate, che per Platone sono semplici, eterne, immutabili, ingenerabili e incorruttibili e sono immagini delle idee divine. Si tenga presente che il Dio di Platone è il Demiurgo e non il Dio di Cartesio, essere supremo, perfetto, onnisciente, onniposesente, saggio e Creatore, semplice e immateriale perché la materia è imperfetta (cfr. Meditazioni filosofiche), che i Padri della Chiesa riprendendo da Platone, avevano reso Dio cristiano.

E sulla differenza delle idee di Cartesio da quelle di Platone, essa consiste nel fatto che per Platone sono da considerare innate tutte le idee generali, mentre per Cartesio sono innate le idee intuitive; successivamenter Leibniz riprendeva l’argomento delle idee e seguiva l’opinione di Platone, anche nelle sue argomentazioni.

 

**) LA PSICHIATRIA NELL’ANTICHITA’

 

La scienza medica nell’antichità non aveva avuto nessuna idea sulle potenzialità della mente umana e sulla funzionalità del cervello che hanno fatto dell’Uomo un essere pensante “per proprio conto”, senza ispirazioni che provenissero dall’esterno (l’ispirazione e l’intuito di Einstein sono stati un prodotto della sua mente geniale, e come per tanti altri geni dell’umanità, dovuta al Caso, senza alcun intervento divino – come avrebbe potuto  sostenere Cartesio! – che per altro, a favorirne alcuni  - come potrebbe sostenere Calvino per gli eletti! - a scapito di altri, sarebbe stata una  grave ingiustizia!).

La psichiatria antica aveva subito l’influenza della filosofia e i greci in questa materia, ricorrevano a tre entità: phren, nous, logos; phren è il diaframma frenico che divide la parte superiore del torace dalla parte inferiore intestinale; la prima sezione è individuata col temine “phrenes”, “praecordia”, sede dello spirito, dell’intelligenza, donde “phrenitis” termine che caratterizza il delirio che si riscontra nelle malattie accompagnate da stati febbrili.

Fren è lo spirito, l’anima; Nous è l’intelligenza, la mens, la mente opposta alla materia; Logos il ragionamento-la ragione; Ippocrate considera il “phren-diafragma” la sede del sentimento; al disordine della intelligenza (per noi moderni, malattia mentale) Ippocrate aveva dato tre nomi: “phrenitis”, “melancolia”, e “mania”.

Nessuno dei grandi pensatori del passato aveva pensato a collegare le  funzioni intellettive con il cervello ma  esse erano state collegate  con l’anima.

Ippocrate (n. 340 a.C.), seguito da Erasistrato (nipote di Aristotele) aveva distinto i nervi motori dai nervi sensitivi e nel descrivere le circonvoluzioni del cervello, aveva avuto l’intuito di porre nel cervello la sede delle funzioni intellettive (la gioia, il piacere, la gaiezza, la prudenza e le pene, la tristezza, la malinconia, la perdita della ragione); al cervello dobbiamo  l’intelligenza, aveva detto Ippocrate, e dobbiamo al cervello se cadiamo nel delirio e nella mania.

Ippocrate sempre sulla base fondamentale degli umori, aveva ritenuto che il cervello  è governato dalla “pituita” vale a dire dagli umori (flegma, muco, siero ecc.), quindi dalla relazione con i quattro umori (caldo, freddo, umido e secco),  derivano delle conseguenze del suo stato, p. es., il cervello secco dà luogo alla mania, quello troppo umido alla tristezza o all’inquietudine: dall’intuito di Ippocrate si deve fare un salto fino al secolo scorso che aveva introdotto lo studio delle neuroscienze.  

Platone aveva distinto un delirio ispirato dagli Dei, che considera delirio superiore, celeste quello del logos che è il delirio dei profeti (che non profetizzano il futuro in quanto esso è imprevedibile! ndr.), dei poeti, degli amanti, il delirio degli intellettuali, dell'uomo di genio; l'altro delirio è quello grossolano propriamente detto che deriva dalle alterazione degli umori.

Successivamente a Ippocrate, la scuola di Alessandria collegava la intelligenza con l’anima  divisa in due parti: una intelligente che si dirigeva verso la testa; l'altra irrazionale si dirigeva verso le estremità; non era stato indicato dove esattamente si trovasse la sede dell’intelligenza; il problema era stato risolto dagli alessandrini Erasistrato (260 a.C.) e Erofilo (280 a.C.), e, come abbiamo visto, lo aveva già detto in precedenza Ippocrate, la sede della intelligenza e della follia era il cervello.

Dopo la Scuola alessandrina, Areteo  (I sec. n.e.) faceva derivare le malattie mentali dalla bile nera o atrabile; egli aveva distinto la mania dalla melancolia (per noi moderni è lo stato che precede la depressione), che considerava malattie croniche; faceva derivare la mania dal caldo e dal secco, distinta dal delirio dei vecchi (il moderno Alzaimer); ammetteva diverse forme di mania secondo che presentasse sintomi di gaiezza, tristezza, furore, con i quali si poteva giungere al suicidio e all'omicidio e potevano avere numerose varianti a seconda delle abitudini del soggetto, il genere di vita e addirittura del tipo di istruzione: metteva però la sede della mania e della melancolia nei visceri, lasciando al cervello quella del frenitis-delirio; in ogni caso Areteo faceva derivare la mania dalla melancolia che aveva definito (esattamente, come può confermare chi scrive!) la tristezza dell’anima!

Dopo di loro, Galeno (128-199) rimarrà insuperato fino al XVImo secolo, il quale, pur avendo affermato che il cervello è la sede dell’intelligenza, lo aveva studiato soltanto dal punto di vista anatomico considerandolo come sede della “semenza” (che formava oltre al cervello, le vene, le arterie e i nervi), ritenendo che la sua funzione fosse solo meccanica e servisse ad alimentare e comandare il movimento dei nervi e considerandolo “sic et simpliciter”, sede delle funzioni intellettuali; successivamente, Eustachio (1547-1576) lo aveva dissezionato metodicamente, ma nulla più!

Si deve giungere agli inizi del novecento, per assegnare al cervello le sue giuste funzioni (e non se ne sa ancora molto e vi è ancora tanto da scoprire!), ma ciò che si è scoperto è più che sufficiente per far considerare frutto di fantasia tutto il mondo dei sogni, estasi, profezie e visioni, inviati dal Cielo o dall’Inferno con un intensa attività di Angeli e Demoni che ora potranno vivere in pace, senza essere più disturbati, per l’eternità! 

Per quanto attiene alla isteria,  solo a seguito dello studio delle malattie nervose è emerso che può essere “minor” la semplice isteria o “maior l’istero-epilessia o alienazione mentale, vale a dire i mistici e i demoniaci  o indemoniati (ai nostri giorni abbiamo avuto padre Amorth (1925-2016) che credeva ed esorcizzava gli indemoniati, anche con ottimi risultati); nei tempi attuali sono sempre meno quelli che credono al diavolo e ne subiscono le conseguenze (!), ma aumenta invece il numero di quelli che credono di essere rapiti dagli “Alieni” .

Nell’articolo sul libro di Michele Psello (Trattato delle energie dei Diavoli ecc.), abbiamo riportato l’episodio di una indemoniata che era stata così terrorizzata da “uno straniero calvo e molto vecchio, con la pelle tutta rugosa, più nero e bruciato di un etiope, che teneva una spada sguainata, avvicinandola al letto con gran furia e collera, assalì la povera donniciola malata e nel suo linguaggio materno, che era armeno, le rivolse molte ingiurie. E lei con lo stesso linguaggio le ricambiava e dall’inizio parlava con tanto impeto che si sollevava dal letto per inveire. Ma dopo che il barbaro ebbe rinforzato le abiure e come un forsennato l’ebbe minacciata di batterla, allora la povera malata arretrò e palpitante fortemente di paura, con umili parole, calma e tranquilla si addormentò ... quando si svegliò, era rinsavita!

La caratteristica di questa indemoniata, comune ad altri casi era che parlava l’armeno che non aveva mai imparato: riteniamo che una risposta potrà esser data dal cervelletto al quale abbiamo accennato, quando la scienza sarà in grado di decifrare i suoi contenuti.

 

 

 

LE PROVE DELL’ESISTENZA

DI DIO E DELL’ANIMA

OSSIA I FONDAMENTI

DELLA METAFISICA

NEL “DISCORSO SUL METODO”

 

 

N

ella Parte Quarta del Discorso sul Metodo per ben condurre la propria ragione, Cartesio, rileva che: Le prime meditazioni che ho fatto qui (1 (*): Per stabilire i fondamenti della filosofia); perché sono tanto astratte (2: «Metafisiche») e tanto insolite, che non saranno forse apprezzate da tutti. Tuttavia, perché si possa giudicare se sono abbastanza solidi i fondamenti che mi son dato, mi trovo in qualche modo costretto a parlarne.

Avevo notato da tempo, come ho già detto, che in fatto di costumi è necessario qualche volta seguire opinioni che si sanno assai incerte, proprio come se fos­sero indubitabili; ma dal momento che ora desideravo occuparmi soltanto della ricerca della verità, pensai che dovevo far proprio il contrario e rigettare come assolu­tamente falso tutto ciò in cui potevo immaginare il mini­mo dubbio e questo per vedere se non sarebbe rimasto dopo, qualcosa tra le mie convinzioni che fosse intera­mente indubitabile.

Così, poiché i nostri sensi a volte ci ingannano, volli supporre che non ci fosse cosa quale essi ce la fanno immaginare (3. Nella Prima Meditazione Cartesio svolgerà in modo molto più ampio gli argomenti contro l’attendibilità dell’esperienza sensibile. In proposito c’è anche il primo capitolo del Mondo).

E dal momento che ci sono uomini che sbagliano ragionando, anche quando consi­derano gli oggetti più semplici della geometria e cado­no in paralogismi, rifiutai come false, pensando di esse­re al pari di chiunque altro esposto all'errore, tutte le ra­gioni che un tempo avevo preso come dimostrazioni (4. Nelle Regulae e nel Mondo non c’è alcun accenno al dubbio che, oltre ai dati sensibili, coinvolge anche le verità matematiche, Esso compare dunque per la prima volta in questa parte del Discorso sul metodo, anche se Cartesio si limita solo a farvi un fuggevole accenno, con un argomento apparentemente innocuo, quasi volesse egli stesso farlo passare inosservato. Solo nella Prima Meditazione la questione sarà trattata in modo adeguato con l’ipotesi del genio maligno e con la conseguente formulazione del dubbio iperbolico).

Considerando infine che gli stessi pensieri che abbiamo da svegli possono venirci anche quando dormiamo, senza che in tale occasione ve ne sia uno vero, decisi di fingere che quanto fino ad allora avevo accolto nella mia mente, non fosse più vero delle illusioni dei miei sogni (5. L’argomento del sogno porta alle estreme conseguenze il dubbio, contro l’attendibilità dei dati sensibili. Non solo, infatti, si può legittimamente dubitare che le cose siano tali quali i sensi ce le mostrano, ma dato che nel sogno si presentano idee di cose corporee, che in seguito da svegli giudichiamo inesistenti, potrebbe anche darsi che i sensi non siano affidabili neppure per quello che riguarda la semplice attestazione dell’esistenza delle cose corporee. Ma su questo cfr. la Prima Meditazione dove l’argomento è svolto con maggiore ampiezza).

Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, biso­gnava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità: penso, dun­que sono (6: «Io penso, dunque sono», nella traduzione latina: «Ego cogito, ergo sum, si-ve existo». Cfr. la Seconda Meditazione, dove però questo supremo principio della filosofia cartesiana viene formulato in modo alquanto diverso), era così ferma e sicura, che tutte le supposi­zioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo.

Poi, esaminando esattamente quel che ero, e vedendo che potevo fingere di non avere nessun corpo, e che non ci fosse mondo né luogo alcuno in cui mi trovassi, ma che non potevo fingere, perciò, di non esserci e che al contrario, dal fatto stesso che pensavo di dubitare della verità delle altre cose, seguiva con assoluta evidenza e certezza che esistevo; mentre, appena avessi cessato di pensare, ancorché fosse stato vero tutto il resto di quel che avevo da sempre immaginato, non avrei avuto alcu­na ragione di credere ch'io esistessi: da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né dipende da qualcosa di materiale (7: Sul carattere esclusivamente intellettuale dell’ «io penso» cfr. la Seconda Meditazione).

Di modo che que­sto io, e cioè la mente (l’anima!) per cui sono quel che sono, è inte­ramente distinta dal corpo, del quale è anche più facile a conoscersi (8: Il titolo della Seconda Meditazione è infatti “Della natura della mente umana e che questa è più facile a conoscersi che il corpo), l’anima – dico -   che non cesserebbe di essere tutto quello che è, anche se il corpo non esistesse.

Dopo di ciò, considerai in generale quel che si richiede ad una proposizione perché sia vera e certa; infatti, poi­ché ne avevo appena trovata una che sapevo essere tale, pensai che dovevo anche sapere in che cosa consiste questa certezza. E avendo notato che non c'è niente altro in questo “io penso, dunque sono”, che mi assicuri di dire la verità, se non il fatto di vedere molto chiaramente che, per pensare, bisogna essere, giudicai che potevo prendere come regola generale, che le cose che conce­piamo molto chiaramente e molto distintamente (9: Cfr. la Terza Meditazione) sono tutte vere; e che c'è solo qualche difficoltà a vedere bene quali sono quelle che concepiamo distintamente.

In seguito a ciò, mi misi a cercare donde avessi appreso a pensare qualcosa di più perfetto di quel che ero; e conobbi in maniera evidente che doveva esse­re da una natura che fosse di fatto più perfetta di me (10: Enunciazione semplificata della dimostrazione (la prima) dell’esistenza di Dio, che  Cartesio svolgerà ampiamente nella Terza Meditazione).

Per quel che riguarda i pensieri che avevo di molte altre cose fuori di me, come il cielo, la terra, la luce, il calore, e mille altre, non mi davo molta pena di cercare donde mi venissero, giacché non notavo in essi nulla che li ren­desse superiori a me, e perciò potevo credere che, se erano vere, dipendevano dalla mia natura in quanto dota­ta di qualche perfezione; e se non lo erano, mi venivano dal nulla, cioè erano in me per una mia imperfezione (11: Cfr. Terza Meditazione).

Ma non potevo dire lo stesso dell'idea di un essere più perfetto del mio, di modo che restava che fosse stata messa in me da una natura realmente più perfetta della mia, e che avesse anche in sé tutte le per­fezioni di cui potevo avere qualche idea, e cioè, per spiegarmi con una sola parola, che fosse Dio. A questo aggiunsi che (12: Segue qui la seconda prova della esistenza di Dio, che però può essere considerata una conseguenza e un completamento della prima. Cfr. Terza Meditazione), poiché conoscevo qualche perfezione di cui mancavo del tutto, non ero il solo essere esistente (userò qui liberamente, se non vi spiace, alcuni termini di Scuola), ma occorreva necessariamente che ce ne fosse qualche altro più perfetto, dal quale dipendevo e dal quale avevo ottenuto tutto quel che avevo.

Giacché se ne fossi stato solo e indipendente da ogni altro e avessi così avuto da me stesso tutto quel poco che parte­cipavo dell'essere perfetto, avrei potuto avere da me, per la stessa ragione, tutto il di più che sapevo mancarmi, ed essere per tanto io stesso infinito, eterno, immutabile, onnisciente, onnipotente, avere insomma tutte le perfe­zioni che potevo vedere in Dio (13: Cfr. Terza Meditazione).

Poiché, seguendo i ra­gionamenti appena fatti (14: Ragionamenti in base ai quali è stata dimostrata l’esistenza di Dio), per conoscere la natura di Dio per quanto la mia ne fosse capace, non dovevo far altro che considerare ogni cosa di cui trovavo in me qualche idea, se era una perfezione possederla, e così ero sicuro che nessuna di quelle che indicavano qualche imperfe­zione era in lui, mentre vi erano tutte le altre.

Così vede­vo che il dubbio, l'incostanza, la tristezza e le altre cose simili a queste non potevano essere in lui dal momento che sarei stato anch'io ben felice di esserne privo. Oltre a ciò avevo idee di cose sensibili e corporee: giacché an­che se supponevo di sognare, e che fosse falso tutto quel che supponevo o immaginavo, non potevo negare tutta­via che le idee di queste cose fossero realmente nel mio pensiero.

Ma poiché avevo conosciuto molto chiara­mente in me stesso che la natura intelligente è distinta da quella corporea, giudicai da ciò che non avrebbe po­tuto costituire una perfezione in Dio l'essere composto di quelle due nature, e dunque che non lo era; e che anzi, se c'era qualche corpo al mondo, o qualche intelli­genza o altre nature che non fossero del tutto perfette, la loro esistenza doveva dipendere dalla sua potenza in modo tale che non potessero sussistere un solo momento senza di lui (15: Fuggevole accenno alla dottrina della creazione continua. Cfr. Terza Meditazione).

Il capitolo prosegue con lo stesso tenore sulle prove dell’esistenza di Dio e  dell’Anima come fondamenti della Metafisica che omettiamo di riportare ritenendo di illustrarne ora il testo, più prammatico, dell’Uomo, relativamente all’argomento che ci interessa.

 

 

*) Le note sono di Marcella Renzoni, in Cartesio, Discorso sul metodo, Oscar Mondadori, 1993).

 

 

La glandola (H) nel cervello disegnato da Cartesio

 

 

LA GLANDOLA

IL CERVELLO UMANO

 L’ANIMA E “GLI SPIRITI ANIMALI”

NEL  TESTO SU “L’UOMO”

 

 

C

artesio sostiene, come è stato già accennato, che “Nel cervello vi sia una glandola in cui l’anima esercita le sue funzioni” (in Meditazioni filosofiche) e sull’Anima precisa: “Quantunque l’anima sia unita a tutto il corpo, ciò nondimeno vi è in esso una certa parte nella quale, più specialmente che in ogni altra, essa esercita le sue funzioni e gli inesperti ritengono che questa sia il cervello o il cuore, in cui si avvertono le passioni” (*).  

“Io ritengo, prosegue Cartesio, che non si tratti del cuore e neppure può esserlo il cervello, ma solo la più intima delle sue parti costituita da una glandola molto piccola riposta nel mezzo della sua sostanza, sospesa sopra il condotto per il quale gli spiriti delle anteriori cavità del cerebro comunicano con gli spiriti posteriori”- 

Siamo alla funzione dell’anima che secondo Aristotele dava la vita e il movimento al corpo.

“La ragione che mi fa ritenere che l’anima non possa avere in tutto il corpo altro luogo all’infuori di questa glandola ove esercita le sue funzioni, prosegue Cartesio, è la seguente: Tutte le altre parti del nostro cervello sono doppie, come sono le altre parti del nostro corpo (gli occhi, le orecchie, le mani ecc.);  uno solo è quello in cui le due immagini dei nostri occhi o quelle due impressioni che provengono da un solo oggetto che si uniscono al doppio organo dei sensi prima che provengano all’anima; da ciò si può facilmente concepire che le due immagini o impressioni si uniscano in questa glandola per mezzo degli spiriti che riempiono le cavità cerebrali ma non vi è nel corpo altro luogo in cui possano unirsi se non nella detta glandola”.   

Cartesio fin da ragazzo (dall’età di sei anni come aveva scritto a Mersenne), aveva avuto la passione della dissezione e, curioso dell’anatomia, trovandosi ad Amsterdam, aveva passato tutto un inverno recandosi quasi ogni giorno nel laboratorio di un macellaio, per vedere ammazzare le bestie e farsi dare i pezzi di carne che portava a casa per poterli analizzare: cosa che aveva fatto in tutti i luoghi in cui si era recato.

Un giorno (del 1645) un gentiluomo si era recato a fargli visita a Egmont,  chiedendogli di vedere la sua biblioteca; Cartesio lo condusse nella corte dove aveva una specie di hangar che gli serviva da laboratorio e tirando una tenda che nascondeva un bue in dissezione: Ecco, disse, la mia biblioteca!

Come aveva annunciato nel Discorso sul metodo, si era dedicato agli studi anatomici; e il suo discepolo Leroy, professore all’Università di Utrecht, si recava a Endegeest o a Egmond a lavorare con lui sotto la sua direzione, non solo negli studi di anatonia ma anche in quelli di fisiologia sperimentale; questa materia era stata istituita da Cartesio, con l’aiuto di Gutschoven, che divenne più tardi professore di matematica a Lauvain, aiutando Clerselier a pubblicare il “Trattato della formazione del feto”.

Cartesio era stato preso da una sorta di passione e sempre con Gutschoven fece degli studi di anatomia prima sul cervello del montone, poi passò a quello dell’uomo, lasciando di queste esperienze, numerosi processi verbali.

Ma ora, ciò che ci interessa è l’esame del testo su l’Uomo e la formazione del feto (L’homme et la formation du foetus avec les renarques de Louis de La Forge à quoi l’on ajouté Le Monde ou traité de la lumiére du mesme autheur, Paris 1677), una delle più trascurate tra le opere di Cartesio, in cui partendo dal feto giunge alla formazione del corpo umano che descrive in tutte le sue parti, completandolo con figure esplicative sui suoi vari organi.

Questo libro dedicato al ministro delle finanze Colbert, Cartesio lo aveva indicato nel Discorso sul Metodo come “Capitolo 18” e alla sua prima frettolosa uscita gli era stato dato il titolo “Le Monde de Messieur Descartes, Au traité de la lumiére”; poi Messieur Schuyl lo aveva reso in più bella forma, separando la parte relativa alla formazione del feto che prosegue con la descrizione del corpo umano, con le figure (rifatte da Pollot, alcune erano dello stesso Cartesio) più curate, con l’aggiunta del “Remarque du docteur en medicine sur le traité de l’Homme de René Descartes et sur le figures par lui inventées; della “Version que Monsieur Schuyl a mise devant la version latine qui a faite du Traité de l’Homme de René Descartes, seguita da “Le Monde et la lumiére, ed era uscita la seconda edizione tradotta dal latino in francese dal figlio e pubblicato nelle due versioni, latina e francese.

In questo testo Cartesio esordisce dicendo che l’uomo è formato di corpo e di anima e descrive prima la parte anatomica del corpo e poi nella Parte terza, dopo aver descritto il cervello nella sua parte anatomica, passa a trattare dell’anima ad esso collegata.

Cartesio paragona il corpo umano a una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla più somigliante a noi, se è possibile: In modo che egli dona al corpo il colore e la figura delle nostre membra, ma mette al loro posto tutti i pezzi che sono richiesti per farla marciare, che essa mangi, che respiri, che essa imiti tutte quelle delle nostre funzioni che si possono immaginare che possano essere compiute con la disposizione degli organi, come vediamo negli orologi, nelle fomtane artificiali dei mulini o altre macchine somiglianti [...] che io suppongo fatte dalla mano di Dio.

E, più avanti dice: Ora vi dirò che quando Dio unirà un’Anima Ragionevole a questa macchina, come dirò più avanti, egli fisserà la sua sede principale nel cervello e la farà di tale natura, che secondo le diverse fasi, le entrate dei pori che sono sulla superficie interiore del cervello, saranno aperte per l’intromissione dei nervi e quelli che chiama “petit-filets-piccoli filetti”, essa avrà diversi sentimenti (che, attraverso vari processi che evitiamo di riportare, provocano nell’Anima il dolore, la voluttà corporale chiamato chatouillement-solletico-pizzicorino, che, come sapete, è molto prossimo al dolore nella sua causa, tutto contrario al suo effetto.

Anche le quattro forme di gusto che per mezzo della lingua giungono all’Anima con particelle di sale, il liquido acre, l’acqua comune, l’acquavite (in base alle illustrazioni da lui eseguite), fanno sentire all’Anima le quattro sorti di gusti differenti, come l’Anima potrà sentire attraverso la lingua, tutte le altre specie di gusto e così il senso dell’odorato, della vista (illustrata da disegni) e di tutti gli altri sensi e di tutte le parti del corpo.

Cartesio passa poi a spiegare come gli Spiriti Animali (che imprimono il movimento al corpo) seguono il loro corso nelle concavità e nei pori del cervello che li produce e scompaiono nell’uomo morto.

E su questi Spiriti Animali, precisa: Occorre considerare che il cuore e le arterie generano nelle concavità del cervello della nostra macchina questi Spiriti che sono nelle concavità ed entrano nei pori; essi sono come le dita dell’organista che secondo i tasti che tocca spinge l’aria in una canna.

Gli Spiriti seguono le diverse inclinazioni della macchina, eccitando la bontà, la liberalità e l’amore, testiomoniano in noi, secondo lo stato in cui si trovano, la confidenza e l’ardire, la prontezza, la diligenza il desiderio, la tranquillità di spirito; come gli stessi Spiriti, possono al contrario suscitare la malignità, la timidezza, l’incostanza, la tardività e l’inquietudine.

Cartesio prosegue sugli ulteriori sentimenti che se potevano, alla sua epoca, essere attribuiti allo stato d’animo degli Spririti Animali, noi oggi sappiamo che tutti questi sentimenti sono opera del nostro cervello.

 

 

*) Cartesio ha scritto un libro sulle “Passioni dell’anima” (oltre a  unSaggio sulle passioni”) a carattere psicologico, l’unico in cui non fa alcun cenno all’Anima, che generalmente sono le percezioni o i sentimenti (di cui, con la razionalità che lo distingue, ha fatto una minuziosa classificazione) o le emozioni dell'anima che secondo Cartesio sono causate o fortificate da qualche movimento degli spiriti e noi moderni attribuiamo al cervello.

 

 

CONCLUSIONI

 

 

C

artesio parte dal presupposto del dubbio: Io penso quindi esisto: e per il grande filosofo (che rimane tale anche se le scoperte sul cervello abbiano demolito le sue teorie sull’Anima e sulle Idee innate – il che vale anche per Platone!) chi dubita non è forse un essere?

E’ questo il primo principio da cui egli comincia a fabbricare il suo sistema.

Ciò che esiste (scrive in Meditazioni filosofiche, in Opere scelte volgarizzate, Pavia, 2 Voll.) ) è l’Anima la cui esistenza è più certa di quella del corpo in quanto è l’Anima che produce il pensiero, l’anima è l’essenza del pensiero e manifesta la sua esistenza col pensiero ed è una sostanza pensante. L’anima non conosce tutte le cose ma alcune che le appartengono, come altre appartenpono al corpo,  come altre, più perfette che potrebbero essere consosciute da un essere più perfetto; essa ha dunque l’idea della sua imperfezione e quella della perfezione di un altro essere: questo essere sarebbe forse il Creatore? Il primo attributo di un essere perfetto, risponde Cartesio, è l’esistenza, quindi egli  (Dio) esiste. Esiste pertanto un essere supremo, perfetto, onnisciente, onnipossente, saggio e creatore, ma semplice e non materiale perché la materia è imperfetta.

L’Anima che è essere imperfetto, non potrebbe crearsi da se l’idea di un essere perfetto; dunque questa idea è innata, come tante altre che non conosciamo per la via dei sensi e che sono di una evidenza intuitiva e queste idee furono messe nell’uomo dalla mano creatrice e non ci possono trarre in errore, perché Dio che è il creatore dell’universo è anche l’autore della verità e sarebbe strano ritenere che ci avesse voluto ingannare!

L’esistenza della materia è da tener distinta dallo spirito, vale a dire l’anima 

dal corpo: l’anima è sostanza pensante e semplice, il corpo è esteso e divisibile. L’estensione costituisce l’essenza della materia; il pensiero l’essenza dell’anima. La materia non esiste senza estensione come l’anima senza pensiero: l’anima dunque pensa; le sue funzioni sono di sentire, conoscere, pensare, volere; non è il corpo che pensa ma è l’anima; il corpo non fa che muoversi dietro le decisioni dell’anima. L’anima quindi è sostanza pensante e ciò porta con sé l’immaterialità e l’immortalità che non appartengono alle bestie.

Ora sappiamo che tutte queste funzioni attribuite da Cartesio all’Anima, sono proprie del cervello umano (ndr.)!

Quanto al principio della vita, prosegue Cartesio, esso ha sede nella glandola pineale da cui gli spiriti vitali si spandono per tutto il corpo e alla quale ritornano; in essa vi ha sede l’anima perché la glandola, occupando il centro del cervello più facilmente dirige e regola gli spiriti vitali e con essi, il corpo.    

Ma l’anima e il corpo sono due sostanze diverse e opposte; la prima ha il potere di dirigere il corpo nei suoi movimenti, le funzioni dell’anima sono di sentire, di conoscere, di pensare, di volere; non è il corpo, ma l’anima che pensa; tra di essi vi è una unione di cui Dio è la causa intermedia e la causa metafisica dei loro reciproci scambi.

Queste proposizioni formano i principi su cui Cartesio poggia il suo sistema; ma dopo Cartesio furono molte le questioni agitate dai filosofi sull’ armonia dell’anima con il corpo.

                                          

 

 

(*) Neanche Cartesio era sfuggito alla accusa di ateismo mossagli da alcuni circoli ecclesiastici; egli aveva frequentato la scuola dei gesuiti ai quali era rimasto legato e ai quali sottoponeva le opere che scriveva, ma nonostante ciò era stato accusato, dome abbiamo detto, di ateismo e soltanto con l’aiuto di amici influenti era riuscito ad ottenne l’archiviazione del processo (1643); in ogni caso tutti i suoi libri furono condannati dalla Chiesa e messi all’Indice nel 1663.

Il Trattato della formazione del feto è diviso in due parti; dopo la dedica al Ministro Colbert e la Prefazione abbiamo il Primo Trattato con una Prima parte che contiene quattordici paragrafi che riguardano la Macchina del corpo in quattordici paragrafi (Articoli); il tratta: “Di quali parti è composto l’uomo” e il 14° “Gli Spiriti degli Animali, cosa sono e come si generano”.

Gli Spiriti Animali per Cartesio sono quelli che imprimono i movimeti al corpo umano.

La Seconda Parte: Come si muove la Macchina del Corpo contiene i par. da 15: Gli Spiriti Animali sono la grande molla che fa muovere certe Macchine, al 16.

Segue la Terza Parte: Dei sensi esteriori di detta Macchina e come si rapportano ai nostri, dal 17 Il contatto, fino al par. 51: Tutti i mezzi per conoscere la distanza degli oggetti sono incerti.

Quarta Parte Dei sensi interiori che si trovano in questa Macchina dal 52: Della fame, fino al par. 62: I piccoli nervi del cuore causano le maggiori diversità degli Spiriti;

Quinta Parte: Della struttura del cervello di questa Macchina; come gli Spiriti si distribuiscono per causare i suoi movimenti e i suoi sentimenti; il par. 63: Della struttura del cervello di questa Macchina; termina con il par. 106, che riguarda: Tutte le funzioni che gli sono state attribuite sono delle fughe della disposizione dei suoi organi.

Secondo Trattato della formazione del feto; Prima parte. Prefazione. Par. 1 Che cosa sia utile alla Macchina di ben conoscere le funzioni del nostro corpo.

Questa prima parte riguarda (come si vede nella sua trattazione), tra le funzioni del Corpo al par. 1, Cartesio inserisce quelle dell’Anima dal par. 2: Donde viene il costume di attribuire queste funzioni dell’Anima; fino al par. 5: Benchè la morte faccia cessare queste funzioni, non sfugge con essa (la morte) ciò che dipende dall’anima; 6 Non è necessario aver studiato l’Anatomia per capire questo Trattato e 7: Sommario delle cose che deve contenere.

Seconda parte. Del movimento del cuore e del sangue: Da 8: Vi è del calore nel sangue; a 18: Contestazione d’Herveus che tocca l’argomento del movimento del cuore, con le prove della vera opinione.

Terza Parte, Della Nutrizione da 19 Qualche parte di sangue esce dalle arterie quando si gonfiano a 26: Come agisce l’altra delle cause.

Quarta Parte: Delle parti che si formano nel seme. da 17: Qual’é la natura del seme, a 59: Perché i mammari e gli epigastrici si congiungono, le vene alle vene e le arterie alle arterie.

Quinta Parte: Della formazione delle parti solide; da 60: E’ l’ombelico l’ultima parte che si forma dal seme; al 74: Come si è formato il pericardio e tutte le altre membrane di pelle e superficie del corpo.

Segue: Le Monde au Traité de la Lumiére (Il Mondo o Trattato della luce) du mesme auteur, in quindici capitoli: I. Della differenza dei nostri sentimenti e le cose che li producono; 2. In che cosa consiste il calore e la Luce del fuoco; 3. Della durata e della liquidità; 4. Del vuoto; e donde viene che i nostri sensi non avvertono alcuni corpi; 5. Del numero degli elementi e delle loro qualità; 6. Descrizione del nuovo Mondo e della qualità della materia di cui è composto; 7. Della legge della Natura di questo nuovo Mondo; 8. Della formazione del Sole, delle Stelle fisse del nuovo Mondo; 9. Dell’origine e del corso dei Pianeti e delle Comete in generale e in particolare delle Comete; 10. Dei Pianeti in generale e in particolare della Terra e della Luna; 11. Della pesantezza; 12. Del flusso e riflusso del Mare; 13. Della Luce; 14. Delle proprietà della Luce; 15. Dell’aspetto del Cielo di questo nuovo Mondo come deve apparire ai suoi abitanti tutto somigliante a quello del Nostro.

 

 

 

 

 

FINE