Faust, le laboratoire
1872

 

 

LA LEGGENDA DEL

     DOKTOR FAUST

IMPOSTORE CIALTRONE E FANFARONE

 

di MICHELE ENRICO PUGLIA

 

SOMMARIO: PREMESSA; LA VITA DEL VERO FAUST; VANTERIE E TESTIMONIAMNZE; ...E TESTIMONIANZE FANTASTICHE; IL PRIMO LIBRO SU FAUST DI JOHANN SPIES; LA TRADIZIONE MEDIEVALE DI TEOFILO E CIPRIANO; I RIMANEGGIAMENTI DI WIDMAN E PFITZER; LE CRONACHE DI ERFURT; IL PROFLUVIO DELLE OPERE LETTERARIE E RAPPRESENTAZIONI TEATRALI; ... E MUSICALI

 

PREMESSA

 

A

l sorgere della leggenda si riteneva che i Faust fossero due, un Johannes, più vecchio e un Johannes più giovane e un Jorg (Giorgio): ciò era dipeso sia dalla circostanza che vi era un omonimo Johannes Faust o Fust, più vecchio, che era però uno stampatore e l’altra, col nome di Georg Faust o Sabellicus, era dovuto al fatto che il doktor Faust cambiava spesso nome e identità.

Col tempo i dubbi erano stati risolti per cui il Faust considerato  pseudo-umanista, mago, pseudo-medico e alchimista, avventuriero ephilosophus philosophorum”, dalla vita errabonda e sregolata e dalle edificanti e straordinarie vanterie su se stesso, qualunque sia stato il suo vero nome e la sua vera origine, che si fosse chiamato Johannes, Jörg, Georg Faust o Georg Sabellicus e che fosse originario del  Wittemberg (cittadella dove Lutero aveva pubblicato le sue “95 Tesi sulle indulgenze”) o del Wurtemberg, o di Kreuznach dove veniva indicata la sua casa in Fischergasse, della Sassonia o del  Palatinato del Reno, certo che cambiasse spesso il nome e i luoghi delle sue apparizioni, è stato uno  solo.

Occorre ricordare che Faust per gli studi condotti (di teologia e di medicina), era un umanista, ma non aveva seguito la strada degli umanisti della sua epoca che con rettidudine si erano dedicati allo studio della magia, come Cornelio Agrippa di Nettesheim, Johannes Reuchlin, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola (v. in Cronologia 1500).  

Fsust invece, seppur dotato di grande talento (come aveva mostrato negli studi) e spiccata personalità, si era servito degli studi non per  percorrere la strada dei nobili sentimenti di elevatezza morale, ma quella opposta dell’impostura, millanteria e ciarlataneria.

Come tutti i millantatori, ciarlatani e impostori delle varie epoche, Faust è stato amato, osannato e preso in tanta considerazione, da essere idealizzato al punto che la sua leggenda sorgeva appena dopo qualche anno dalla sua morte (1539), in un libro di curiosità, “Sermones conviviales” di Joannes Gast, (v. sotto), e poi gli veniva dedicato il libro di Spies (1587, v. sotto), ma in pratica, tutti fatti straordinari che gli erano attribuiti, e costituivano la base della sua leggenda, si erano già diffusi  da quando era in vita!

Come aveva scritto l’umanista Muziano Rufo (Mutianus Rufus v. sotto) “il popolo ama questi personaggi, sono le persone colte che li disprezzano”... ma non se ne può essere neanche tanto convinti, se si considera che proprio le persone colte (letterati, scrittori, poeti ecc.), con il profluvio delle loro opere, non hanno fatto altro che portare il personaggio nell’empireo delle arti.

Muziano Rufo, aveva giustificato la propria affermazione: “perché era stato riportato in lui (nel popolo) la vaga coscienza di un misterioso al di là”.

Sembra invece che non sia stata tanto la vaga coscienza del misterioso al di là, ma la manipolazione stessa delle coscienze, dalla quale emerge la parte peggiore che l’uomo ha in sè (*), portandolo all’inconscio desiderio di essere  simile ai Faust, se non proprio  a identificarsi con essi!

Se esaminiamo i vari campi della cultura che si sono appropriati del personaggio, solo la psicanalisi (almeno per quanto riguarda Freud, il quale, pur tra i tanti personaggi che aveva preso in considerazione, lo aveva completamente ignorato!) se ne è disinteressata, con nostro disappunto, in quanto avremmo potuto avere una spegazione psicanalitica e per quanto possibile, logica, non tanto del personaggio, ma del suo riverbero, vale a dire di quella parte di umanità che accoglie questi personaggi con tanto favore ed entusiasmo, idealizzandoli.

A parte i poco probabili patti con Satana, sono essi stessi esseri di talento e diabolici tali da scatenare - il  caso di Faust ne è un esempio - non solo, come detto entusiastici consensi, ma proprio da parte di coloro che lo disprezzavano (secondo Muziano Rufo le persone colte), un putiferio letterario, religioso (il personaggio storico e la leggenda erano sorti in territorio luterano), filosofico (Shelling, Fichte, soprattutto Hegel e Schopenauer (**), sono stati invocati per spiegarne il suo pessimismo; Klinger ne trarrà un romanzo filosofico v. sotto), melodrammatico, poetico e musicale, che peraltro avevano offerto anche autentici capolavori, facendo sì che la sua leggenda abbia potuto tenere la scena non solo per i già trascorsi cinquecento anni ma ancora (visto che stiamo qui ancora a parlarne!) per i secoli a venire!

 

*) Il bene e il male sono insiti nell’uomo nella stessa misura e non sono separati come rappresentato nel romanzo di Stevenson, La strana avventura del dr Jekill e mr Hyde; peraltro nella lotta tra il bene e il male è sempre il male, Satana, che vince e si afferma, come vediamo verificarsi sotto i nostri occhi!).

**) David Asher (allievo di Schopenauer): Arthur Schopenauer als interpret des Getheschen Faust, Leipzig 1800.

 

LA VITA DEL

 VERO FAUST

 

D

ella vita del vero doktor Faust si sa ben poco, essendo stata interamente travoltta dalla leggenda: si ritiene fosse nato a Knittlingen, nel Wurtenberg (ma vedremo che sono indicate altre località) verso il 1480 e pare avesse studiato alla universtità di Cracovia, dove la "magia" era compresa fra le materie di insegnamento.

Ma nei registri della facoltà di filosofia dell’’università di Heidelberg nel 1509 risultava iscritto un Johannes Faust che come risultava dagli Acta philosofica Heiderbergensis questo Johannes Faust aveva conseguito (15 Genn. 1509) il grado di “baccelliere de via moderna” con il nome preceduto da una d. (che sta per dedit nel senso che aveva pagato le tasse scolastiche); il termine “via moderna” indicava il nuovo corso considerato come punto di partenza di una riforma della filosofia (ma era stato fatto notare che le date degli Acta non concordavano con quelle indicate da Tritemio perché Faust si sarebbe rimesso a studiare di nuovo...dopo aver insegnato!).

L’umanista Filippo Melantone, che insegnava nella università di Wittemberg, considerato il severo “praeceptor Germaniae” (1497-1560) e quasi suo contemporaneo,  risulta lo avesse conosciuto (tra il 1525 e 1532),  ma la sua stima nei suoi confronti  non era molto elevata in quanto lo considerava “turpissima bestia et cloaca multorum diabolorum" (bestia veramente turpe e cloaca tra i molti diavoli) nonché "turpissimus nebulo, inquinatissimae vitae" (molto turpe, briccone, dalla vita molto inquinata)... perché Faust lo aveva minacciato ... di fargli volar via i piatti su per la cappa del camino nel momento in cui egli si sarebbe messo a tavola; e quando Faust era morto (1539), Melantone aveva detto che  “era morto strangolato dal Diavolo”.

A proposito di questi riferimenti di Melantone sui particolari della vita di Faust, normalmente citato come fonte diretta, è da dire che Melantone pur avendo conosciuto il personaggio che, come abbiamo visto,  considerava una persona  turpe e diabolica, tutto ciò che viene attribuito a Melantone, l’umanista non lo aveva mai citato nei suoi scritti.

Era stato un suo discepolo, Johannes Mennel o Manlius, originario di Aspach in Baviera, a riferire tutto quanto era uscito dalla bocca del maestro (Locorum communium collectanea, Basilea, 1562) e costui raccontava che il suo maestro aveva conosciuto un uomo di nome Faust “il quale dopo aver studiato magia a Cracovia, viaggiava di città in città, ingannando il pubblico e lasciandolo stupefatto. Venuto in Sassonia, egli si vantava di aver riportato con i suoi sortilegi, tutte le vittorie imperiali in Italia. L’elettore Giovanni lo aveva espulso dai suoi Stati ed egli si era rifugiato a Nuremberg. Faust si era recato a Venezia dove volendo offrire ai veneziani uno spettacolo straordinario, disse loro che sarebbe sarebbe salito al cieli davanti ai loro occhi. E in effetti il diavolo lo sollevò fino a una certa altezza, ma poi lo lasciò cadere così bruscamente che egli pensò di perdere la vita”.

Secondo i riferimenti di Melantone (Johannes Manlius precisava di “averlo udito dalla sua stessa bocca”!), il luogo della sua morte era stato un borgo del ducato di Wurtemberg e che “Faust non era morto di morte naturale, ma la sua morte era stata opera del demonio: “La casa in cui abitava, nel mezzo della notte era stata scossa dalle fondamenta. L’indomani giunta l’ora di mezzogiorno il suo ospite, non vedendolo riapparire, si era recato nella sua camera e aveva trovato il cadavere stecchito, prono sul pavimento davanti al letto, con il collo ritorto e la faccia rivoltata a terra. Durante la sua vita”, continua il racconto, “il demonio lo seguiva sempre sotto forma di un cane” (**)

 

*) I vescovi polacchi erano più liberali: la Corte di Roma aveva tentato di instaurare (1520) l’Inquisizione ma i vescovi polacchi non olo permisero e Cracovia divenne il rifugio dei perseguitati di Inghilterra, Svevia, Italia e G ermania.

**) Questi stessi particolari erano stati riportati anche da Johann Wier o Wierus, medico del duca Guglielmo di Cléves , in De Prestigiis Demonum, Basilea, 1568).

 

VANTERIE

E TESTIMONIANZE  

 

I

l doktor Faust era solito vantarsi di ciò che era in grado di fare: affermava infatti che non c'era alcun bisogno di venerare Cristo perché egli stesso era in grado di compiere gli stessi miracoli, come e quando avesse voluto; affermava di poter in qualunque momento, mettere a disposizione i testi perduti di Platone, Aristotele,  Plauto e Terenzio andati dispersi; poteva prevedere il futuro; e inoltre, riferivano, che “svelava misteri” e "dicebat arcana multa" (raccontava molte cose arcane).

Bisogna convenire, era stato scritto, che non solo possedeva “l’arte di suggestionare” ma anche di “farsi prendere sul serio”  se Franz von Sickingen (1507), a Kreuznach, non aveva esitato ad affidargli l'educazione di ragazzi del collegio... con i quali egli presto... avviava un "turpissimum fornicationis genus" (un turpissimo rapporto di fornicazione) e il principe Vescovo di Bamberga (nel 1520) gli versava dieci fiorini d'oro per farsi trarre l'oroscopo; e il Consiglio Comunale di Ingolstadt, (nel 1528), mentre lo metteva al bando della città, si faceva rilasciare prudentemente una dichiarazione scritta, con la quale Faust si impegnava  “a non vendicarsi in alcun modo”!

Giovanni Tritemio (Johannes Trithemius o Triteim), priore dei benedettini di Wurtzburg, uno dei personaggi di maggior spicco della cultura del suo tempo (1516), aveva testimoniato la sua presenza a Gelnhausen, dove egli si sarebbe presentato spavaldamente come “magister Georgius Sabellicus, Faustus junior, fons necromanticorum, astrologus, magus secundus, chiromanticus, aeromanticus, pyromanticus in hydra arte secundus” (fonte dei negromanti, astrologo e quindi mago, chiromante, aeromante (meteorologo!) e infine, (eseguiva) pronostici in base all'esame delle urine).

Uno degli amici di Tritemio, il matematico Virdung di Hasfurt, gli aveva scritto che attendeva in questa città il grande mago Georg Sabellicus e gli chiedeva notizie  sul personaggio; Tritemio, gli risponde (20 ago. 1507): “L’uomo di cui mi parli, che pretende essere il primo dei negromanti, non è che un fanfarone che meriterebbe di essere frustato con le verghe per i suoi scandali e le sue empietà. Egli si presenta volta per volta come Giorgio Sabellico o Faust il Giovane esperto in tutte le sorti di magia e scienze occulte”.

Tritemio  continua: “Tornando dal Brandeburgo mi ero fermato a Gelnhausen dove si trovava quest’uomo di cui mi raccontavano meraviglie; ma egli, avendo appreso della mia presenza in città scappò via e non è mai più apparso in mia presenza. Egli (Faust) aveva dichiarato che tutte le opere di Platone e Aristotele che erano andate perdute,  avrebbe potuto, per la potenza del suo ingegno, riportarle in essere più belle e più complete. In seguito si era recato a Wurzburg, e da ciò che mi hanno riferito, aveva detto, in presenza di molte persone, che i miracoli di Gesù Cristo non avevano nulla di miracoloso e che egli stesso li avrebbe potuto ripetere dove e quando avesse voluto. A Kreuznach, dove era giunto verso la fine della quaresima, si vantava di essere il più grande alchmista che si fosse mai visto, vantandosi anche di conoscere e rendere a ciascuno la felicità. Franz di Sickingen che amava le scienze occulte, gli aveva affidato la direzione di una scuola, ma egli abusò dei ragazzi che gli erano stati affidati e dovette fuggire per evitare il castigo che l’attendeva. Ecco cosa si può affermare con certezza di quest’uomo”.

Questa testimonianza di Tritemio, era stato precisato, “è formale”, nel senso che egli non aveva mai visto e conosciuto personalmente Faust, e non aveva mai avuto alcun contatto immediato con lui e certamente non sarebbe stato in grado di riconoscerlo, se Faust gli fosse apparso davanti.

Ma altri lo avevano conosciuto.  Il canonico Conrad Mudt (o Mutianus Rufus) di Gotha, ritenuto tra i migliori umanisti del secolo, amico di Reuchlin e Melantone, scrvendo a Enrico Urbano del convento di Georgenthal (3 Ott. 1513) “E’ venuto a Erfurt or sono  otto giorni un chiromante di nome Georgius Faustus Hemiteu Heidelbergensis, gran fanfarone e impertinente chicchierone. Ho sentito raccontare le sue spacconate  nell’osteria senza che si degnasse di abbassare il suo cicaleccio; che cosa importano agli altri tali  sciocchezze?” - E, quasi rimproverandosi per non aver in qualche modo reagito, aggiungeva: “Non castigavi jactantiam. Quid aliena insania ad me?” (Non lo rimproverai per le sue millanterie. Perché gli eccessi sono estranei alla mia persona?)  

Aggiungendo: Il popolo ha adottato Faust, tanto che le persone colte lo disprezzano; esso lo ha idealizzato nel bene e nel male e ha riportato in lui la vaga coscienza di un misterioso al di là”. 

L'umanista Filippo Camerario (Philippus Camerarius), professore a Tubinga, si rivolgeva a lui (1536) per ottenere “il pronostico sull'esito della terza guerra fra Carlo V e Francesco I”.  Egli conferma la testimonianza di Wier (Horae subcisivae, Francfurt, 1602), per averglielo sentito dire, aggiungendo: “un giorno Faust, fece apparire bruscamente davanti ai suoi compagni una vigna carica di grappoli maturi, e nel momento  in cui stavano per assaggiarli si accorsero di avere in mano un coltello con cui si preparavano a tagliarsi il naso” (Goethe trasferità questo particolare nella scena della Taverna di Auerbach del suo Faust).

Un medico di Worms, Filippo Begardi, “Stadtphysicus” (fisico statale) di Worms, registrava nella Guida  della Sanità (Zeigen der Genundheit, Worms 1539)  un suo soggiorno nella città, dove annota che "coloro che si fecero ingannare, furono in molti". Secondo Bergardi si sarebbe trattato, “di un medico, di un uomo notevole che aveva viaggiato  per ogni regno e per ogni principato. Si era vantato della sua grande abilità non solo in medicina ma nella chiromanzia, fisiognomica, nella previsione del futuro ed altre affini. Diceva di chiamarsi Faustus cioé fausto, fortunato, favorito”.

Begardi comunque  riconosceva le conoscenze di medicina di Faust che a dire dello stesso Begardi eguagliavano quelle di Teofrasto, vale a dire di Paracelso, colui che pretendeva di poter craare l’homunculus.

Non vi è dubbio che la sede principale delle avventure di Faust sia stata la città di Wittenbreg (come detto, non solo cittadella del luteranesimo ma sede della università in cui aveva insegnato Melantone).

Ma, il teologo Johann Georg Neumann di Wittenberg, “riteneva di aver avuto l’onore di purgare la regione in cui egli insegnava, dalla fama di aver ospitato un simile reietto”, nella sua  “Disquisizione storica sul prestigiatore Faust”  (Disquisitio historica de Fausto praestigiatore, Wurttemberg, 1683), scriveva: “nessun cittadino di nome Faust risultava iscritto nei registri della città, e certe località che figuravano nella leggenda dovevano essere ricercate piuttosto nel Wurttemberg”. Inoltre, a dire dello storico “se Faust è vermanente esistito, non è stato che un oscuro saltimbanco. In fondo”, concludeva Neumann, “se Faust è stato da qualche parte egli non ha fatto che delle vittime”.

Quì termina la serie delle testimonianze dirette o almeno di quelle più prossime; ma altre testimonianze erano assolutamente fantastiche!

 

...E TESTIMONIANZE

FANTASTICHE

 

N

ella cantina dell’albergo Auerbach(*) di Lipsia erano stati trovati due quadri che portavano la data del 1525 con delle iscrizioni. Su uno era rappresentato Faust che beveva con i musicisti e gli studenti con sotto la scritta: Vive, bive, obregare, memor Fausti hujus et hujus poenae: aderat claudo haec, ast erat ampla gradu (Vivi, bevi, frequenta gli amici, in ricordo di Faust e dei suoi castighi. La seconda frase appare oscura ma è stata così tradotta: Egli è venuto zoppicando, senza dubbio, ma a grandi passi (!).

Sul secondo quadro era rappresentato Faust a cavallo su una botte con scritti sei versi: Il dottor Faust in questo tempo uscì a cavallo dalla cantina di Auerbach su una botte piena di vino, ciò che videro molte persone, egli lo fece con le sue arti sottili, e come ricompensa del diavolo.

Ciò in ricordo dell’avvenimento su cui potevano giurare molti testimoni presenti. Come fonte viene indicato il libro di Widman (v. sotto) nel 27mo cap. intitolato “Faust a Lipsia, regala  agli studenti  una botte di vino”.

In esso si racconta che alcuni studenti stranieri (di Ungheria, Polonia, Carinzia e Autria) che a Wittemberg frequentavano il doktor Faust, gli chiesero di accompagnarli a Lipsia  perché curiosi di vedeere il mercato della città dove si incontravano molti mercanti e il commercio era animato, e possibilmente guadagnare qualcosa.

Il doktor Faust li accontentò accompagnandoli. A Lipsia paassarono davanti a bottaio (*) dove stavano tentando di far ruotare attraverso la porta una grossa botte (piena di vino) senza riuscirvi. Faust li redarguì dicendo che se la botte fosse stata presa dal verso giusto, sarebbe bastato uno solo di essi a farla ruotare. I ragazzi stavano rispondendo male, quando giunse il proprietario che per far cessare la discussione disse:- Chi di voi da solo riuscirà a far ruotare la botte ne diventerà proprietario. Faust, senza dir nulla entrò nella bottega e messosi a cavallo della botte ne uscì lasciando il proprietario terrificato, che non credeva ai propri occhi, ma dovette mantenere la sua promessa e lasciare la botte a Faust che la donò agli studenti: di essi nessuno partì prima che la botte fosse vuota.

Johannes Gast che aveva cenato con lui, aveva riferito di essersi trovato “in dotta compagnia”, aggiungendo che Faust “aveva dato al cuoco per prepararli, degli uccelli rari, come non se ne vedono in quella regione e non si possono procurare  a nessun prezzo; egli era accompagnato da un cane e un cavallo, probabilmente dei diavoli camuffati; il cane, a quanto raccontano, aveva preso la forma di un valletto per servirlo a tavola” (Conviviales sermonum liber meris jocis ac salibus refertus, Basilea, edizioni: 1°. 1542; 2°. 1543; 3°. 1548 aumentata del secondo e terzom tomo: A Faust sono dedicati due capitoli del volume II).

Verso la fine del secolo un teologo, Agostino Lercheimer aveva scritto un libro sulle Considerazioni di un cristiano intorno alla magia (Christilch bedenchen und erinnerung von Zauberey, Heidelberg, 1585), “per premunire le anime cristiane contro i pericoli della magia, ancora più perniciosa - diceva - per i suoi adepti piuttosto che per le sue vittime, perché essa priva della salverzza eterna”.

Tra altri riferimenti, raccontava come Faust avendo cenato un giorno con i suoi compagni in un villaggio della Baviera, li trasportò a sessanta leghe di distanza nelle cantine del vescovo di Strasburgo; quando sopraggiunse il sommelier,  egli li portò via e li lasciò sui rami più alti di un abete, da dove tutta la banda riprese il suo volo.  

A questo punto si vede come l’immaginazione popolare abbia già prevalso sulla storia: Faust è decisamente entrato nella leggenda.

Le scienze occulte”, scriveva Lercheimer, “in cui Faust diceva di essere primo maestro, avevano avuto due specie di adepti: coloro che credono e coloro che ne traggono profitto: i creduloni e i ciarlatani”.

“Faust”, proseguiva Lercheimer,  “era del numero di questi ultimi. Egli non aveva nulla in comune con Agrippa di Nettesheim con il quale i suoi contemporanei qualche volta lo paragonavano, e, in fondo  si preoccupava poco di sapere in quale sfera risiedessero gli spiriti che egli pretendeva di sottomettere alla sua volontà. In fondo non era che un semplice saltimbanco da trivio. Egli” concludeva Lercheimer “sapeva adattarsi al pubblico al quale si presentava e trovava le sue vittime nel grande come nel piccolo mondo”.

 

*)  Della cantina Auerbach di Lipsia che si trovava dov’era in precedenza un albergo con lo stesso nome, nel frattempo abbattuto, era in Koeningshaus, Grimmaische Strasse n. 1 ed era stata successivamente restaurata e ingrandita, mantenendo il suo stile oruiginale con vendita (1863) di birra e vino.

Può essere interessante sapere (la riferiamo come interessante curiosità) che il proprietario aveva attaccato una copia del libro di Widman a una catena in modo che gli avventori potessero consultarlo senza portarlo via, come  si faceva  (si fa notare) per i manoscritti nei conventi nei medioevo. e come si fa tutt’ora (1863) per i libri usuali a San Pietroburgo.  Ma vi fu ugualmente chi riuscì a farlo scomparire! Il proprietario  nonn solo si fece stampare una copia, ma poiché il locale era frequentato da inglesi, la fece tradurre anche in inglese!

 

IL PRIMO LIBRO SU FAUST

DI JOHANN SPIES

 

I

l primo libro su Faust fu pubblicato a Francoforte sul Meno (1587), a circa cinquant’anni dalla sua morte, dall’editore Johann Spies, designato  come „Il libro di Faust” (Das Faustbuch), perché è da considerare, direttamente o indirettamente, il punto di partenza per tutti gli sviluppi che la leggenda ebbe dentro e fuori i confini della Germania (*).

L’intero titolo è di più ampio tenore: “Istoria del dr Johann Faust, il molto famigerato mago e negromante,  com'egli impegnò a fissa scadenza l'anima col Diavolo e quindi le singolari avventure che vide e corse egli stesso o provocò, finché ricevette finalmente il ben meritato guiderdone(Historia von Dr. Johann Fausten, dem weitbeschreyten Zauberer und Schwartzkünstler. Wie er sich gegen dem, Teuffel auff eine benandte Zeit verschrieben, Was er hierzwischen für seltsame Abenteuer gesehen selbs angerichtet und getrieben, bisz er endtlich seinen wolverdienten Lohn empfangen).

Spies sosteneva di aver ricevuto il manoscritto da uno degli abitanti di Spira e la storia, che a suo dire tutti volevano conoscere, riportava in gran parte scritti propri di Faust.

Il libro conteneva anche un avvertimento per tutti coloro che “potevano essere tentati da una curiosità empia e  morbosa„.

L’intento del libro - che di strettamente biografico conteneva ben poco - era piuttosto   moralizzatore e non mancava di esortazioni (che in ogni caso non potevano provenire da Faust!):  “Siate vigilanti perché il diavolo, vostro nemico, gira intorno come un leone ruggente in cerca della sua preda: resistetegli e siate fermi nella fede„ .

Con questa frase termina il racconto del libro, che sarà ripreso con lo stesso intento moralizzatore da Widman e Pfitzer.

Ci preme osservare che l’odierno lettore, più disincatato dei suoi emuli di quell’epoca, non può che sorridere sulle prodezze attribuite a Faust, che appaiono assolutamente inverosimili, ma in quei secoli, per la generale credulità anche da parte di persone colte, esse erano ritenute reali, nonostante si riscontri, da parte dell’autore, una buona dose di ironia (p. es. nella somiglianza di Alessandro Magno a Carlo V o nel particolare della verruca della moglie di Alessandro Magno, che in effetti veniva attribuita a Margherita d’Austria, zia di Carlo V).  

Faust, secondo il libro di Spies, era nato nei pressi di Weimar (nel distretto di Erfurt); era figlio di un contadino povero e credente in Dio, che lo aveva inviato nella città di Wittenberg presso uno zio ricco e senza figli per studiare teologia. Egli aveva mostrato subito una grande vivacità di spirito e un gran desiderio di conoscenza. Divenuto dottore in teologia, Faust aveva messo da parte le Sacre scritture e si era recato presso l’università cattolica di Cracovia dove tra le altre materie si insegnava la magia (**).

Egli studia giorno e notte i libri caldei, greci e arabi e alla fine da teologo diventa medico, matematico e astrologo, materie che lo portano a evocare il diavolo e concludere il suo famoso patto, che costituisce il punto centrale della leggenda.  

L’incontro ha luogo nella foresta presso Wittenberg in cui si presenta Mefistofele (mandato da Lucifero), al quale Faust prima di firmare chiede che il patto venga confermato da Lucifero, principe dell’Inferno, in quanto lui (Mefistofele) non era che un suo subalterno.

Firmato il patto, Faust ha brama di conoscenza e sfrutta il potere magico che gli è stato concesso percorrendo tutta l’Europa dal nord al sud, portato sul cavallo alato o sul mantello di Mefistofele. A Parigi egli ammira l’alto livello delle scuole; a Venezia   si concede vini greci, ma è a Roma che si trova completamente a suo agio. Visita il palazzo del papa, incrocia  la folla dei suoi servitori e dei suoi cortigiani, vede la sua tavola ben guarnita e si chiede perché Mefistofele non abbia fatto egli stesso il papa.  A Costantinopoli si presenta al sultano con le sembianze del profeta Maometto,  ma „sotto la forma e  con gli ornamenti del papa“... e passa sei giorni nell’harem!

Di ritorno in Germania si reca alla corte di Carlo V a Innsbruck e davanti all’imperatore fa apparire Alessandro Magno con la sua sposa nelle loro effettive sembianze così come furono nella loro vita. Alessandro appariva in effetti come un piccolo uomo tarchiato, con le guance rosse, una spessa barba rossa, la figura severa e gli occhi di basilisco (erano le sembianze di Carlo V, nda). Quanto alla regina macedone, Carlo V  rileva che essa ha sulla nuca un gran verruca scura.

E’ evidente che le stravaganze con cui l’autore descriveva Maometto coperto da un mantello papale e di Faust che si ritiene degno di sedere in Vaticano, mostrano tutta l’ironia di un seguace di Lutero nei confronti delle altre due religioni, il cattolicesimo, considerato idolatria mascherata e istituzione di Satana e l’Islam.

Quanto a Carlo V, nemico del luteranesimo ma capo dell’impero, è trattato con un misto di rispetto e ironia e considerato emulo di Alessandro, e l’imperatore pur essendo cattolico, approvava la magia nera in quanto egli stesso la consultava.

Ciò che in fondo turba Faust è l’incontro con Elena la cui bellezza, eccita la sua voluttà. Alla fine di una cena, Faust vede apparire davanti a un gruppo di studiosi la bella figura della regina Elena, vestita con un prezioso mantello di porpora, la figura  slanciata, i lunghi capelli d’oro che cadono fino alle ginocchia, le guance rosa, la  bocca piccola, le labbra rosse  come ciliege e un collo bianco come quello di un cigno; non vi è in essa alcun difetto, se non quello di essere audace e provocante.

L’apparizione ha luogo la domenica dopo Pasqua “come una resurrezione pagana che fa da contrasto alla resurrezione cristiana„.

Durante l’ultimo dei ventiquattro anni concessi a Faust, egli prende con sè Elena che gli dà un figlio e il giorno in cui libera la sua anima a Satana, la madre e il figlio svaniscono.

Ma Faust all’avvicinarsi della scadenza, preso dal terrore, chiede l’assistenza di un uomo pio, medico come lui, che sorvegli la sua fede, volendo egli continuare a coltivare le sacre scritture. “Ma sarà tutto vano perché la grazia divina si era allontanata da lui e nessun uomo sulla terra ha il potere di rimettere i peccati di un altro uomo„ .

 

*) Questo libro di Spies era stato probabilmente preceduto da un manoscritto di Wolfenbüttel il Milchsack che sarà pubblicato nel 1892.

**) In una lezione tenuta alla università di Erfurt (1500), Faust, spiegando Omero, evoca gli eroi della guerra di Troia, Menelao, Achille,  Ettore, Priamo, Paride, Ulisse, Aiace, Agamennone e altri ed anche il ciclope Polifemo, e questa visione riempì gli studenti di terrore. 

 

 

LA TRADIZIONE MEDIEVALE

DI TEOFILO E CIPRIANO

 

 

L

a affermazione, con cui termina il libro, innanzi riportata, che costituisce la conclusione del dramma di Teofilo, personaggio della leggenda medievale bizantina (*), non si può considerare unica in quanto seguita, in epoca successiva, da altro personaggio, Cipriano, che aveva fatto anch’egli il patto con il diavolo.

Teofilo, maggiordomo del vescovo di Adana di Cilicia, privato della carica, ricorre al diavolo per essere reintegrato nel suo lavoro; dopo aver firmato il patto e aver condotto per sette anni una vita corrotta, si pente e pregando la Vergine per quaranta giorni e quaranta notti,  ottiene l’annullamento del patto e conduce da questo momento una vita di devozione.  

La leggenda di Teofilo seguiva un secondo filone, quello mariano, in cui Teofilo nel pentirsi per il patto stipulato col demonio, implora “Nostra Signora„  che lo libera dal patto con Satana.

Questo filone, definito mariano per l’intervento della Vergine, aveva già avuto dei precedenti in Spagna (*). E proprio nella letteratura spagnola troviamo   un altro personaggio, Cipriano, considerato il  Faust cristiano, introdotto nella commedia drammatica di Calderòn de la Barca (1600-1681) “Il mago dei prodigi„ (El mágico prodigioso). Il libro presenta Cipriano, scienziato e negromante, innamorato di Giustina, la bella donna cristiana che  egli non riusciva ad avere; interviene il Demonio che in cambio dell’anima gli garantisce il possesso della vergine, senza però riuscirvi, a causa della fermezza nella fede di Giustina. Il Demonio offre  a Cipriano in sostituzione un fantasma infernale, ma Cipriano non accetta e rompe il patto e si salva dopo aver  espiato da cristiano la sua colpa.

Quest’opera  con altre di autori spagnoli (che si omettono), se non propriamente con Faust come personaggio, sono ad esso attinenti relativamente al “patto con il diavolo”, ed essa aveva avuto come modello di riferimento un’opera precedente, Lo schiavo del demonio (El esclavo del demonio) del poeta spagnolo Antonio Mira de Améscua (1574/77-1644) in cui era drammatizza liberamente a sua volta, una leggenda portoghese, quella di frate Gil o Egidio di Santarem, che, per impossessarsi dei segreti della magia, firma il patto col Diavolo, ma grazie a una visione celeste si pente e con l'aiuto della Vergine ottiene il riscatto della sua anima.

Come fonte diretta del dramma  è indicata la “Storia generale di Santo Domingo e  del suo ordine dei Predicatori” (Historia general de Santo Domingo y de su órden de Predicadores, 1584) di fra’ Hernando del Castillo, prendendo solo lo spunto centrale della leggenda e spagnolizzando interamente l'argomento.

Le opere letterarie non si fermano quì come vedremo nel paragrafo sul loro profluvio.

 

 

*) La prima trascrizione risale all'opera di Eutychianus del sec. VI tradotta dal diacono napoletano Paolo (intorno all'876), ripresa da Rosvita di Hildesheim (X sec.), nel poemetto Lapsus et conversio Teophili vicedomini; da Simone Metafraste (X sec.)  in Memologie, poi tradotta in tedesco da Hartman il vecchio (sec. XIII)  e francese da Gautier de Coiny in Le miracle de la Sainte Vierge (sec. XII-XIII), dallo spagnolo Gonzalo de Berceo (1180-1246) in Milagros de Nuestra Señora, da Alfonso il Savio (1220-1284) in Cantigas de Santa Maria da Vincenzo di Beuuvais nello Speculum Historiale (sec. XIII), da Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea e dal francvese Rutebeuf (XIII sec.) La legend de Theophile (a cura di Leon Clédat, Paris, 1891).

 

I RIMANEGGIAMENTI DI

WIDMAN E PFITZER

 

L

a tendenza moralista e religiosa la ritroviamo ancora più marcata nel testo che il  pastore Georg Rudolph Widman pubblica, diviso in tre parti, ad Amburgo (1599), con il seguente titolo: “Veraci istorie degli orrendi esecrandi peccati e vizi  e anche delle molte mirabolanti strane avventure che il dr. Johannes Faust, il famoso negromante e arcimago, ha avuto a opera della sua negromanzia fino alla sua terribile fine” (Wahrhaftige Historien von den grewlichen und abscheulichen Sünden und Lastern, auch von vielen wunderbarlichen seltzamen Ebentheuern: So Dr. Johannes Faustus, Ein weitberuffener Schwartzkünstler und Erztzäuberer, durch seine Schwartzkunst, bis an seinen arschrecklichen End hat getrieben).

Le avventure  sono le stesse del libro di Spies, salvo qualche variante; di nuovo vi sono le esortazioni, ma tutto ciò che poteva sembrare “pericoloso” dal punto di vista della moralità e della religione è soppresso, come sono soppressi persino gli amori di Faust, episodio di Elena compreso: E’ aggiunta invece - insieme a derivazioni di altre leggende - tutta una massa di elaborazioni teologiche e di discussioni  moraleggianti.

A questo modo la leggenda perdeva la sua linfa vitale: a rivificarla vi provvede  settant'anni dopo, un medico di Norimberga, Johannes Nicolaus Pfitzer, con un nuovo testo, col titolo: “La vita scandalosa e l'orrenda fine del molto famigerato arcinegromante Johannes Faust, per la prima volta diligentemente descritta, molti anni fa, da G.R. Widman, riveduta ora nuovamente da J.N. Pfitzer” (Das ärgerliche Leben und schreckliche Ende desz viel-berüchtigten Ertzschwartzkunstlers Johannis Fausti, Erstlich, vor vielen Jahren, fleissiy beschrieben von G.R. Widman: Jetzo, aufs neue übersehen... durch Joh. Nicolaum Pfitzerum, Norimberga 1674).

Pfitzer sfrondato il racconto dalla problematica dottrinaria e facendo ricorso alla fantasia, aggiunge nuovi episodi presi da varie fonti (come il vano amore di Faust per una ragazza bella e povera), tra le quali anche le ultime edizioni di Spies che avevano subito man mano nuovi ampliamenti.

L’opera così rimaneggiata ebbe grande diffusione e continuò a essere ristampata per qualche decennio.

Successivamente (1728), per accontentare i lettori, le oltre seicento pagine del libro, furono ridotte a un volumetto che continuava a essere diffuuso ancora durante la giovinezza di Goethe, fino a quando una nuova rielaborazione rinvigorì ulteriormente la leggenda.

 

 

LE CRONACHE DI ERFURT

 

 

S

i trattava della nuova elaborazione di di H. Schedel, in cui Faust  si vantava di aver stretto un patto col diavolo e un monaco francescano, Georg Klinge, dopo aver  tentato invano di  convertirlo e redimerlo, non essendo riuscito, lo denunciava al Rettore del convento che lo faceva espellere  dalla città.

Non vi è dubbio che Faust in questa leggenda di vita errabonda e sregolata in cui si intrecciano elementi di precedenti leggende (abbiamo visto quelle di Teofilo e Cipriano) apparve ai suoi stessi contemporanei come la incarnazione dello spirito tedesco dell'epoca, con tutti i problemi a esso collegati, nel turbinio degli avvenimenti politici e religiosi che ne avevano travolto il popolo, ai quali si aggiungeva il terrore  dell’ “al di là” costantemente invocato dalle minacciose predicche di esaltati predicatori (cattolici e protestanti) con le punizioni che avrebbero colpito reprobi e peccatori, che per l’eternità sarebbero stati arsi dalle fiamme dell’Inferno, mentre la vita quotidiana era dominata dalla continua presenza del Demonio.  

Agli elementi medievali andarono man mano aggiungemndosi elementi nello stesso tempo terrificanti, burleschi e dissacranti del nuovo spirito umanistico e rinascimentale, che rendevano la leggenda sempre più fantastica, alla quale gli stessi dotti prestavano fede come l’umanista Konrad Gessner (considerato il “Plinio della Svizzera”), che, pur essendo Faust  già morto, lo classificava (1561) fra gli “scolari vaganti” considerati “gente equivoca che continua la tradizione dei Druidi, i quali presso gli antichi Celti ricevevano gl'insegnamenti da diavoli in luoghi sotterranei, dove si trattenevano per una serie di anni, come per certo ancora oggigiorno avviene a Salamanca”(*).  

E così alla leggenda si era aggiunto il fantastico!

Circa un secolo più tardi (1683), con l’avanzare dello spirito razionalistico, si cominciava a mettere in dubbio la veridicità di molti dei fatti attribuiti a Faust dalla leggenda (come risulta dalla dissertazione di C. Ch. Kirchner; Disquisitio historica de Fausto praestigiatore, vulgo Doctor Faust, discussa a Wittenbeg); e da questo momento si era cominciato a diffondere un certo scetticismo, fino al punto che le oltre seicento pagine della narrazione di Pfitzer venivano ridotte a sole quarantotto in un testo che un ignoto autore sotto lo pseudonimo di "Christlich Meynender-Cristiano con buone intenzioni o Buon cristiano” redasse intorno al secondo decennio del nuovo secolo, contenendo, come scrive l’autore, tutto il materiale leggendario in una “conveniente brevità” e limitandolo "a ciò che soltanto può sembrar degno di fede", in cui i fatti  sono semplicemente elencati, senza descrizioni, con una narrazione che risulta semplice ed essenziale.

Faust è descritto come uno studente scapestrato, che invece di attendere agli studi, ama accompagnarsi agli zingari e durante le feste celebra il rito magico del sorgere del sole (crepusculum matutinum). Egli finisce così per allontanarsi dalla retta via ricorrendo alla magia e al patto col Diavolo, per condurre una esistenza da gaudente e burlone.... tra situazioni comiche e maliziose, in cui anche Mefistofele scherza sul suo “dannato destino di dover sembrare un uomo per poter fare il diavolo”. Faust, nel firmare col sangue il patto, si impegna, fra l’altro, anche a non prender moglie e quando poi cade in tentazione, Mefistofele mette in atto le sue diavolerie, facendo volare perfino le porte dai cardini!

Questo libretto dal tono scanzonato, rispecchiava in pieno il gusto del tempo e  l'immaginazione popolare e continuò a essere ristampato fino alla fine del secolo (1797) in  proporzioni ancora  più ridotte e venduto in fascicoletti a migliaia di esemplari e diffuso in tutta la Germania: ciò non poteva non portare a una proliferazione pandemica della leggenda nella letteratura e nelle rappresentazioni mteatrali e musicali.

 

 

*) Il riferimento a Salamanca è dovuto alla circostanza che la città oltre a essere famosa per la sua Università era (con Toledo che aveva dato il nome al testo di magia Scienza Toletana) centro di magia e il colto re Alfonso X (1221-1284) detto el Sabio, era stato infatuato da quelle pratiche.

 

 

 

 

Jean-Baptiste Faure dans le rôle de Méphistophélès du

 

Jean-Baptiste Faure dans le rôle de Méphistophélès

du "Faust" de Gounod

 picture A. Morlon

 

 

IL PROFLUVIO DELLE OPERE

LETTERARIE

E RAPPRESENTAZIONI

TEATRALI

 

 

L

’inglese Christopher Marlowe (1564-1593), componeva (1592) il dramma in prosa e versi  “La Tragica storia del dottor Faust” (Tragical History of Doctor Faustus) prima pubblicato anonimo (1601) e successivamente col suo nome (1604) (v. in Articoli: La magia del teatro elisabettiano ecc.).

La fonte era stata una traduzione inglese del popolare das Faustbuch-Il Libro di Faust di Spies il cui testo era stato nel frattempo ampiamente manipolatoto da attori e impresari, ognuno dei quali aveva aggiunto a proprio piacimento spunti tragici, comici  e buffoneschi.

E la leggenda, sorta in Germania e passata in Inghilterra, vi rientrava attraverso il teatro, con il testo di Marlowe.

Ve lo portarono i “Commedianti inglesi” che con le loro recite (alla fine del XVI sec.) segnarono gli inizi del teatro moderno.

La prima rappresentazione di cui si conosca la data è quella di Graz (1608, che era comunque stata preceduta e seguita da molte altre); successivamente, col sorgere di compagnie tedesche di attori e col formarsi di un autonomo repertorio drammatico, l'opera di Marlowe - già sottoposta come detto, a rimaneggiamenti di ogni genere da parte dei capocomici - fu sostituita da un dramma popolare prettamente tedesco, che in ogni caso si andò continuamente rinnovando con ulteriori rifacimenti.

Le rappresentazioni andarono man mano arricchendosi di scene tragiche e comiche a seconda del gusto del pubblico, spesso concluso con fuochi d'artificio tra i quali apparivano parole   come: “Accusatus est, Judicatus est, Condamnatus est”.

Poiché i rimaneggiamenti avevano portato le rappresentazioni a un livello di basso profilo popolare e avevano finito per coinvolgere il corpo accademico e l’università di Wittemberg,  espressamente indicata nei manifesti.

Ciò aveva  suscitato l’intervento della facoltà teologica della università, che aveva richiesto (1767) l’intervento del Ministero del Culto contro il manifesto di una rappresentazione che non solo faceva esplicito riferimento al "Professor theologiae Wittenbergensis” ma presentava lo spettacolo come: “Un'antichissima e universalmente nota e spesse volte rappresentata, in diverse maniere veduta, spettacolosa grande commedia, la quale tuttavia oggi verrà eseguita da noi in maniera tale che nulla di simile  difficilmente è stato mai offerto da altre compagnie, intitolata “In doctrina interitus”, ovverosia la peccaminosa vita e terribile fine del famoso e a tutti noto arcimago Doctor Johannes Faustus”.

Contro il diffuso genere popolare era insorto Johann Christoph Gottsched (1700-1766) il quale nel suo “Saggio di una poetica critica” (Versuch einer kritischen Dichtkunst vor die Deutschen), nel parlare della evoluzione del teatro tedesco,  richiamava la commedia francese che egli riteneva avesse raggiunto la perfezione, suggerendo che i poeti tedeschi dovessero guardare a questi modelli,  “per liberare la scena dal grossolano e imperante gusto plebeo”.

Nel frattempo si sviluppava un'altra forma di teatro: il “Teatro delle Marionette” o dei “burattini” che consentiva al Faust di assecondare il gusto spesso salace degli spettatori.

Del Faust si era occupato Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) il quale aveva coltivato il progetto di ricavarne un dramma realistico, ma l’opera rimase non si sa bene se incompiuta o in parte smarrita. La traccia del dramma era comunque stata delineata nel Prologo, con quattro scene che bastano a dimostrare tutto il suo spessore: mentre Faust nel suo studio tra i suoi libri, accanto alla lampada, evoca il  diavolo, dopo un primo diavolo che dice di essere Aristotele, se ne presenta un altro che con toni drammatici gli dice: “Chi è il potente al cui richiamo io devo ubbidire? Tu? Un semplice mortale? Chi ti ha insegnato queste potenti parole?”.

Al Lessing sono da aggiungere Lenz, Klinger e Müller, quasi contemporanei e tutti vicini a Goethe nel grande movimento letteratrio dello Sturm un Drang, Jakob Michael Reinhold Lenz (1751-1792) aveva scritto “I giudici dell'Inferno”, “la cui originalità”, era stato scritto “era quella di voler fare come Goethe, anzi, voler essere Goethe”.

Il lettone Friedrich Klinger (1752-1831) aveva maturato il romanzo filosofico “Vita, gesta e viaggio all'inferno di Faust” (Faust's Leben Thaten und Höllenfahrt), pubblicato  a Pietroburgo (1791), il quale, in una lettera al Goethe (1814), spiegava che era stata la sua "inquietudine interiore" a spingerlo a investigare le ragioni dei malanni che infierivano nel mondo politico e morale nel quale egli doveva vivere in contrasto col suo animo (parole che sembrano scritte oggi, con la differenza che oggi si è toccato il fondo! ndr.) nelle “deleterie influenze della società che rendono i potenti malvagi come tutti coloro che sono toccati dall’oro”. E non mancano allusioni ai tedeschi contemporanei, sudditi di principotti tirannici senza avere alcun senso per la libertà e per i diritti dell'uomo, sentimenti per i quali si cominciava a combattere in Europa (alle soglie della Rivoluzione francese).

Friedrich Műller (Maler come estemporaneo pittore di diavoli: 1749-1825) dopo che Goethe aveva composto il suo primo “Urfaust”, scrisse un Faust pubblicato in due parti, una (1776) col titolo “Situazione sulla vita di Faust” (Situation aus Fausts Leben), un’altra, (1778) col titolo “Vita di Faust” (Faust's Leben), che non fu mai completato e rimase nella forma di frammento.

Due mesi prima della sua morte Wolfgang Goethe (1749-1832) terminava di scrivere il  poema drammatico del Faust, che aveva colpito da quando era giovane la sua fantasia. Aveva cominciato a pubblicare l’Urfaust (Faust originario ritrovato successivamente alla morte di Goethe, espressione tragica del giovanile "Sturm und Drang" del poeta), che continuamente ritoccato e rimaneggiato durante tutta la sua vita, riusciva a terminarlo due mesi prima di morire.

L’opera è considerata uno  dei capolavori della poesia e delle espressioni dell’animo umano occidentale con la figura di Faust assurta a simbolo dell'anima moderna: definita da Kuno Fisher (Goethes Faust, Stuttgart, 1803), uno dei maggiori critici che si siano occupati di Faust, come “epopea nazionale”.

Seguirono le opere poetiche di Aleksandr Puskin (1799-1837) pubblicata nel 1826; di  Christian Dietrich Grabbe (1803-1830) nella tragedia in versi “Don Giovanni e Faust”, pubblicata nel 1829, che volle contrapporre il nordico Faust al mediterraneo don Giovanni.

L'ultima elaborazione del periodo romantico è il poema Faust di Nicolaus Lenau (Niembsch von Strehlenau) (1802-1850), in cui l’autore, poiché il Faust di Goethe si era redento, pensò di contrapporgli un Faust (seppur espressione dello spirito dei tempi nuovi),  non in Paradiso  ma all’Inferno.

Thomas Mann (1875-1955) scriveva il suo “Doktor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn, narrata da un amico (Doktor Faustus, Das Leben des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkühn, erzählt von einem Freunde), pubblicato a Stoccolma nel 1947. Nel romanzo fanno da sfondo gli anni tra il 1930 e il 1940 che si sa bene quanto fossero stati tragici con la catastrofe tedesca, di cui ne è simbolo la vita del protagonista, Adrian, narrata dall'amico Serenus Zeitblom.

Tra le opere critiche del livello di Kumo Fisher (sopra) troviamo quella di Vincenzo Errante (1890-1951), pubblicata nel 1924 in tre volumi, rielaborata e aumentata in una nuova edizione postuma (1951-1952)

Altre opere dello stesso filone sono state prodotte da Paul Valery (Parigi 1945), seguito da  Doktor Faust Thomas Mann (1948), mentre Oswald Sprengler  nel suo “Declino dell’Occidente” (Der Untergangdes Abendlandes, 1923) contrapponeva le antiche civiltà definite “apollinee” dalla europea che egli considera (accentuando l'influenza germanica) come “faustismo”, nel loro continuo alternarsi.

Infine, non possiamo non terminare questo excursus di opere letterarie, non citando un capolavoro (incompiuto) della letteratura del Novecento “Il Maestro e Margherita” (1966) di Michail Bulgakov (1891-1940) piuttosto fuori delle righe tematiche del “patto”, ma per i suoi richiami mefistofelici, di apparizioni sataniche (Voland, accompagnato da una schiera di aiutanti) che con una buona dose di sarcasmo, tra sabba e ogni specie di sortilegi, portano (con una buona dose di sarcasmo) lo scompiglio nella Mosca degli anni Trenta, in pieno regime staliniano.

 

...E MUSICALI

 

 

I

l capolavoro goethiano durante tutto l'Ottocento ispirò anche un gran numero di trascrizioni musicali.

Tra le prime, troviamo il “Singspiel” Doktor Faust di Ignaz Walter (1759-1822) cui seguirono le musiche di scena di Anton Heinrich Radziwitt (1775-1833).

Altri musicisti che si dedicarono al Faust come Louis Spohr (1784-1859), rappresentato a Praga (1816); dopo la rappresentazione a Francoforte (1818) l'opera entrò nel repertorio dei massimi teatri tedeschi, inglesi e particolarmente francesi, dove figurò, per oltre un trentennio tra le opere classiche della scuola tedesca accanto a Weber, Kreutzer, Lortzing.

Seguirono la “ouverture” del Faust di Peter Joseph von Lindpaiter (1791-1856) e l'opera dallo stesso titolo di Augustin-Philippe de Peellaert (1743-1876) e, sette pezzi e una “ouverture” di Richard Wagner (1813-1883) che poi compose il Faust; Hector Berlioz (1803-1869) compose l’opera “La Dannazione di Faust” (La Damnation de Faust), derivata dalla primitiva “Huit scènes de Faust” successivamente rielaborata; Robert Schumann (1810-1856) compose (il 1844 e il 1853) le “Scene per il Faust di Goethe” (Szenen aus Goethes Faust), Franz Liszt (1811-1886), compose Sinfonia Faust (Eine Faust-Symphonie).

Charles Gounod (1818-1893) scrisse il dramma lirico Faust, su libretto di J. Barbier e M. Carrè; Florimond Hervé (1825-1892) scrisse l'opera buffa “Le petit Faust” su libretto di Hector Crémieux e Adolphe Jaime. Anton Rubinstein (1829-1894) scrisse il poema sinfonico Faust Simphonie op. 48; Eduard Lassen (1830-1904) l'opera Faust; Max Zenger (1837-1911) e Wilhelm Fritze (1842-1881) musiche di scena.

In Italia Arrigo Boito (1842-1918) aveva scritto il Mefistofele che aveva acvuto alla prima rappresentazione uno strepitoso insuccesso a seguito del quale l’opera veniva rimaneggiata.

Sono inoltre da menzionare le nusiche di scena per l'opera di Grabbe (v. sopra), Don Juan und Faust op. 56; Prelude et Fugue op. 85 di Moritz Moszkowski (1854-1925); altre musiche di scena per l'adattamento del Faust goethiano dovuto a Max Grubes (1903) di August Bungert (1846-1915) e di Felix Weingartner (1863-1942).

Ferruccio Busoni (1866-1924) scrisse l'opera Doctor Faust lasciata incompiuta e terminata da Philipp Jarnach con la prima rappresentazione a  Dresda  (1925).

E’ infine da ricordare la trilogia Faust, Don Chisciotte e San Francesco d'Assisi di Charles Tournemire (1870-1939), le musiche di scena di Leopold Reichwein (n. 1878) del 1909, e di Max Richard Albrecht (n. 1890) e il Faust di Florent Schmitt (1870-1958), rappresentato a Parigi nel 1912

 

 

FINE