STORIA
DELLA STORIOGRAFIA BIZANTINA
(da "Lo Stato Bizantino" di Silvia Ronchey*)

Michele E. Puglia


SOMMARIO: GLI INIZI IN FRANCIA; IN INGHILTERRA; IN GERMANIA; LA STORIOGRAFIA POLITICA IN FRANCIA; GIBBON E LEBEAU; FABRICIUS E NIEBHUR IN GERMANIA; IL PERIODO ROMANTICO; RAMBAUD E LA TERZA ROMA; IN ITALIA; LA NUOVA ERA PRUSSIANA; BALCANI E GRECIA; LA STORIOGRAFIA RUSSA; IN NOTA: OMAGGIO A JAQUES-PAUL MIGNE.

Nella recensione a "Lo stato bizantino" (in Recensioni) abbiamo visto che, nella parte terza del libro, S. Ronchey ha riassunto in uno schema organico e completo la <Storia della storiografia di Bisanzio>, dalla prima raccolta sotto Luigi XIV (1638-1715) fino al bizantinismo russo.
Abbiamo pensato di elaborare nella presente scheda questo meticoloso studio filologico, con qualche aggiunta di carattere storico e biografico sugli autori, per meglio indirizzare quei lettori che si avvicinano per la prima volta alla materia.

GLI INIZI IN FRANCIA

Gli studi bizantini hanno avuto inizio in Francia nel sec. XVII, con Louis-Sebastien Le Nain de Tillemont (1637-1698), giansenista, il quale in campo storico fu il primo ad operare una netta distinzione tra sacro e profano (teoria recepita da Edward Gibbon, come vedremo più avanti), giustificata dal fatto che: "vi è un tal legame tra la storia sacra e la profana che bisogna necessariamente informarsi con cura della seconda, per poter padroneggiare la prima".
La sua opera monumentale sulla storia della chiesa e dell'impero Tillemont l'aveva concepita inizialmente come opera unica. Le difficoltà, che gli furono frapposte dalla censura dell'autorità ecclesiastica, gli suggerirono di pubblicarla in due parti; la prima l' "Histoire des empereurs et des autres princes qui ont regné durant les six premiére siècles de l'Eglise" (Storia degli imperatori e degli altri principi che hanno regnato durante i primi sei secoli della Chiesa), in sei volumi (gli ultimi due postumi). L'opera era stata scritta con grande meticolosità e scrupolosità, da essere ancora oggi, ci dice la Ronchey, un'opera di consultazione.
L'altra è costituita dalle "Memoires pour servire à l'histoire ecclesiastique des six premiéres siecles" (Memorie da utilizzare per la storia ecclesiastica dei primi sei secoli).
Tillemont non fa distinzione tra impero d'occidente e impero d'oriente. La sua storia è tout court "storia dell'impero romano", che va da Augusto a Giustiniano.
L'opera fu scritta un secolo dopo la pubblicazione di "De la République" del giurista Jean Bodin (1529/30-1596/7), il quale, dopo aver lasciato l'insegnamento del diritto, era entrato al servizio del re di Francia, Carlo IX.
Da questo osservatorio Bodin aveva assistito alle tragiche lotte delle fazioni della nobiltà, che allora travagliavano quella monarchia, e si era reso conto della necessità di una monarchia solida ed accentratrice, ma fondata sulla base del diritto, non della forza, come invece aveva auspicato Machiavelli nel "Principe".
L'intenzione dell'opera era quella di dare una giustificazione "all'assolutismo del potere monarchico", in base al principio del "princeps legibus solutus" (principe sciolto dall'osservanza delle leggi), che sarà posto in essere da Luigi XIV, principio che però Bodin vedeva con un limite posto dalle leggi divine e naturali, con la conseguenza che "il sovrano si rende responsabile delle sue azioni di fronte a Dio ed all'umanità" e per questo "egli deve perseguire il benessere dei suoi sudditi".
Sotto la spinta del mecenatismo del re Sole, con il patrocinio del ministro Colbert (1619-1683), la stamperia del Louvre incominciò a stampare il primo "corpus" delle opere di storici bizantini: "Corpus scriptorum historiae bizantinae" in 38 volumi.
Vi collaborarono i gesuiti Philippe Labbe (i cui "Concilia" saranno alla base delle successive edizioni di Hardouin e Mansi), i domenicani Jaques Goar (primo editore dell' "Euchologion" greco) e Francois Combefis (primo editore della patristica greca), il giurista Charles-Annibal Fabrot (primo editore di "Basilikà").
A inaugurare il "corpus" del Louvre fu la "Storia" di Giovanni Cantacuzeno. L'opera fu pubblicata a Parigi negli anni 1645-1741, con traduzione latina, commentario e ricche note. Un'altra edizione fu pubblicata a Venezia nel 1720 in 33 voll. .
Il secondo volume della serie "Excepta de legionibus" (Note sulle legioni), dell'imperatore Costantino VII Porfirogenito (per le altre opere v. in Articoli, Cap. VII: I mille anni dell'impero bizantino) porta una prefazione di Labbe, che illustra il piano dell'opera e invita tutti i paesi a collaborare.
Queste opere erano state precedute dall' "Histoire de Constantinople sous les empereurs francois" (Storia di Costantinopoli sotto gl'imperatori francesi), intorno al 1657.
Negli anni settanta del Seicento, vide la luce (Parigi 1671-74) l' "Histoire de Constantinople depuis Justin, jusqu'à la fin de l'empire" (Storia di Costantinopoli dopo Giustino, fino alla fine dell'impero) di Cousin e circa negli stessi anni la monumentale opera di Charles Du Cange (1610-1688), storico di grande erudizione, che pubblicava l' "Histoire de l'empire de Constantinople sous les empereurs francois" (Storia di Costantinopoli sotto gl'imperatori francesi) nel 1668, i tre volumi del "Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis" (Glossario degli scrittori della media e bassa latinità) nel 1678, seguito dal "Glossarium scriptores mediae et infimae graecitatis" (Glossario degli scrittori della media e bassa grecità) nel 1688, definito dal Wilamovitz "meravigliosamente attendibile".
Du Cange aveva scritto anche una "Historia bizantina duplici commentario illustrata" (Storia Bizantina illustrata con duplice commentario) (1680), il "De familiis bizantinis" e la "Costantinopolis christiana".
Per il "corpus" del Louvre, Du Cange commentò la "Storia" di Cinnamo, la "Cronaca" di Giovanni Zonara e il "Chronicon" di Paschale, oltre ad aver aggiunto il suo commento all'opera di Anna Comnena (il poema in prosa scritto in onore del padre, comunemente noto col nome di "Alessiade", ma più precisamente "Istorikon pònema perì tou Alexiou Komnenou") e di Niceforo Brienio (che aveva scritto la prima parte della vita di Alessio I, riprendendola dal predecessore Niceforo Cotoniate, fino al 1079, proseguita poi da Anna Comnena - v. Cap. VIII: I mille anni dell'impero bizantino).

IN INGHILTERRA

In Inghilterra la bizantinistica non aveva avuto lo stesso interesse come presso i francesi, dove, come abbiamo visto, aveva ricevuto la spinta della concezione statale bizantina e dell'assolutismo, ma uno sconosciuto "tutor", Richard Bentley, scrisse una lunga dissertazione all' "editio principis" della "Cronaca" di Malala (Oxford 1691) sotto forma di lettera al suo editore, John Mill: "Epistula ad Millium", in cui fissava i termini della moderna filologia greca e bizantina, secondo il metodo "empirico-induttivo" che nello stesso periodo e nella stessa Oxford era stato teorizzato da John Locke.

IN GERMANIA

In Germania l'antipapismo protestante aveva avviato la laicizzazione della storia dell'impero e della storia bizantina.
Hieronimus Wolf (1516-89), segretario dei Fugger (famosi mecenati e banchieri di Carlo V), allievo del "praeceptor Germaniae" Filippo Melantone (1), aveva pubblicato l' "editio principis" della "Cronaca" di Zonara (riversata nel "corpus" parigino), la "Storia" di Niceta Coniata e una parte della "Storia" di Niceforo Gregora.
Era stato Wolf, scrive la Ronchey, che aveva avuto l'idea del "Corpus Historiae Byzantinae" ripreso dai francesi per il "corpus" del Louvre e riversato successivamente nel "Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae" pubblicato a Bonn (1828-97).
Anche la Germania non aveva avuto per il momento uno sviluppo storico degno degli studi francesi. La simpatia per Bisanzio da parte degli studiosi tedeschi, scrive la Ronchey, era stata determinata dal comune schieramento antipapale e la si può inserire (con l'Inghilterra innanzi esaminata) nel filone olandese dei nordici protestanti.
In Germania, quindi, abbiamo gli allievi di Wolf, Holzmann e Hoeschel, quest'ultimo editore della "Biblioteca" di Fozio, di un volume degli "Excepta Constantinianae" e delle "Guerre" di Procopio, e Giovanni Leonclavio. In Olanda, Vulcanio e De Meurs e in Italia, Niccolò de' Tedeschi e Leone Allacci (1586-1669), autore di "Graeciae ortodoxae scriptores" (Scrittori della Grecia ortodossa).
Nel '600, tre raccolte di fonti anticiparono la fondamentale che il Fabricius dava alle stampe il secolo successivo. Sono del 1677 i due volumi del "De byzantinarum rerum scriptoribus graecis" (Sugli scrittori greci di cose bizantine), pubblicati a Lipsia da Martin Hankius, che seguivano i quattro libri degli "Historici graeci" di Vossius del 1623.
Nel 1699 fu pubblicata a Ginevra "Scriptorum ecclesiasticorum historia letteraria" (Storia letteraria degli scrittori ecclesiastici) di William Cave (1637-1713). Una seconda edizione arricchita sarebbe stata stampata alcuni anni dopo l'uscita della "Biblioteca" di Fabricius.
Tutto questo, scrive la Ronchey, non portò a un interesse organico, ma rimase circoscritto a un'attività di divulgazione erudita: "si procedeva a tentoni" aveva scritto Ostrogorsky. Per questo è giusto collocare la nascita degli studi di storia bizantina sulla scia di Tillemont piuttosto che su quella di Melantone e Wolf o di Hank e Cave.

(1) FILIPPO MELANTONE (1497-1560), il "praeceptor", per il suo interesse per gli studi umanistici. Da riformista erasmiano era diventato riformatore luterano. Le sue opere filologiche, teologiche, morali, di traduzioni di classici e tragici greci occupano i primi 28 volumi del "Corpus reformatorum". Aveva contribuito con i suoi studi a dare al luteranesimo la veste definitiva.

LA STORIOGRAFIA POLITICA
IN FRANCIA

La storiografia politica moderna si costituì nel '700 di Voltaire e Montesquieu. Il razionalismo illuminista reagisce contro la storiografia bizantina, che coinvolge la polemica contro il cristianesimo oscurantista, dominante in Condorcet ("Esquisse d'un tableau historique des progrés de l'esprit humaine - Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano) e in Voltaire ("Dictionnnaire philosophique"- Dizionario filosofico ed "Essai sur les meurs" - Saggio sui costumi).
Non a caso per Voltaire "la decadenza dell'impero romano era iniziata con il barbaro ed effeminato Costantino", la storia della Chiesa era inondata di sangue, poiché da Costantino a oggi "i cristiani non fanno che massacrarsi a vicenda" e la storiografia bizantina non era che una "collezione senza valore di declamazioni e miracoli".
Montesquieu, che si era interessato alla storia di Bisanzio, aveva visto la storia dell'impero come "la descrizione di un continuo precipitare", la politica bizantina "turbata dai monaci" e Bisanzio "un tessuto di rivolte, sommosse e infamie varie".
Tuttavia, l'illuminismo francese, se pur antibizantino, prosegue la Ronchey, aveva avuto un merito fondamentale, quello di aver allargato il concetto di storia universale ai costumi e ai popoli del sistema mondiale, superando l'ottica eurocentrica e cristianocentrica. E proprio questo col tempo farà crescere l'interesse per Bisanzio, impero multietnico, non europeo e non cattolico, che, nel nostro secolo, verrà ripreso dalla scuola materialista e neopositivista degli "Annales".

GIBBON E LEBEAU

Si passa quindi alle due grandi opere storiche del '700 di Gibbon e Lebeau, che vedevano la storia di Bisanzio come "la storia di una decadenza durata undici secoli".
Edward Gibbon (1737-1794) aveva avuto una vita breve (secondo gli attuali canoni), ma ricca di studi ed esperienze. Quanto al suo particolare <stile letterario>, nel libro "Essai sur l'etude de la littérature" (1761) sosteneva una difesa degli "antichi" in funzione della loro "erudizione" ed il superamento della storia "retorico-umanista" con una concezione moderata della storia "filosofica", aliena da ogni dogmatismo settario e radicale.
Gibbon, ci spiega la Ronchey, si ricongiunge da un lato alla vecchia erudizione seicentesca, dall'altro nell'indugiare della narrazione sugli avvenimenti presi nella loro singolarità, originalità, irriducibilità a schemi razionalistici anticipa la storiografia romantica di Herder.
In "Decadenza e caduta dell'impero romano" (Londra 1766-88), egli aveva seguito lo schema di Montesquieu: unità del processo di decadenza della storia dell'impero, per la corruzione delle libertà repubblicane, con l'ultimo risultato della decadenza degli eserciti.
Charles Lebeau, definito da Gibbon "un gentiluomo e uno scolaro", aveva pubblicato la sua "Storia del basso impero" tra il 1757 e 1784, un'opera prolissa e quasi illeggibile (secondo Leon Bloy), con qualche germe di nazionalismo. Ebbe una ristampa nel 1824 e fu in ogni caso presente in tutte le biblioteche dei letterati dell'800.

FABRICIUS, HERDER E NIEBHUR
IN GERMANIA

Il maggior contributo del secolo allo studio della storia di Bisanzio fu dato dall' opera di Johann Albert Fabricius (1688-1736), considerato il fondatore della storiografia della letteratura classica con <Biblioteca greca> (14 voll., 1705-1728), in cui sono enumerati tutte le edizioni ed i commentari degli autori greci e bizantini (2). A quest'opera, ancora oggi in uso, fu apportato un parziale rifacimento nell'800, da parte di Harless.
Altro significativo contributo del Settecento alla conoscenza delle fonti bizantine fu il "De cerimoniis" di Costantino Porfirogenito, edito e commentato per la prima volta da Johann Jakob Reike e Heinrich Leich (Lipsia 1751-54), rimasto però per settant'anni poco conosciuto e ripubblicato nel "Corpus" di Bonn (1822).
Con "Idee sulla filosofia della storia dell'umanità" (Ideen zur Philosophie der Geshichte der Menschheit 1784-91) di J. G. Herder (3), il problema della nazione entra per la prima volta come criterio di giudizio nella storia dell'impero. Roma, "la caverna dei briganti", con il suo imperialismo violento e oppressore pone la causa prima e necessaria della decadenza.
Con Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), ai primi dell'800, questi concetti si uniscono al sentimento antimperiale lasciato (particolarmente in Germania) dall'esperienza napoleonica. Niebhur, docente all'Università di Berlino, riteneva di temprare lo spirito dei suoi allievi sulla storia del popolo romano, ch'egli vedeva in maniera romantica, immaginandolo come un ceto di liberi contadini in lotta con il patriziato oppressore.
La sua "Storia romana" (Römische Geschichte) era stata ispirata dalla sua idea di un riscatto dell'antica storia di Roma dal caos. Essa portò uno spirito nuovo nel metodo storico e influenzò tutta la storiografia successiva, essendo stata la prima trattazione critica e nello stesso tempo organica della storia romana.
Nelle "Conferenze sulla storia romana" (Vorträge über die römische Geschichte) per Niebuhr "quella dell'impero è la storia di una grande massa corrotta dove la violenza sola decide, dove la sorte di cento e più milioni di uomini poggia su un solo individuo e sui pochi che formano il suo più immediato seguito".
Su queste basi l'edizione di Agazia (4) di Niebuhr (1828) inaugurò il nuovo "Corpus" bizantino di Bonn.
Il "Corpus" del Louvre si era concluso con l'edizione di Leone Diacono. Con il Congresso di Vienna (1814-15), scrive la Ronchey, vi fu un cambio della guardia tra la Francia e la Germania, anche negli studi bizantini, che corrisponderà all'ascesa della monarchia prussiana iniziata con il Grande Elettore Federico Guglielmo (1640-88), proseguita con Federico Guglielmo I (1713-40) e suo figlio Federico II il Grande (1740-86), sebbene Hegel, nelle "Lezioni sulla filosofia della storia" (Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte) avesse visto nell'impero bizantino "un disgustoso panorama d'imbecillità, in cui un groviglio di passioni scellerate e folli ha soffocato la crescita di tutto ciò che è nobile in pensieri, fatti e persone".

2) Altre opere di FABRICIUS: Biblioteca latina (3 voll. 1697), in cui è raccolto l'elenco delle edizioni e dei commentari degli autori latini. Biblioteca greca (14 voll. 1705-28) e Biblioteca latina mediae et infimae aetatis (6 voll. 1734-46), in cui raccoglie un ampio repertorio della letteratura medievale, oltre al Codex pseudepigraphus veteri testamenti (2 voll. 1713) e Codex apocrifus novi testamenti (2 voll. 1703-19) in cui sono raccolti tutti gli scritti apocrifi della Bibbia. Infine, Fabricius aveva scritto edizioni critiche su Dione Cassio e Sesto Empirico.
3) JOHAN GOTTFRIED HERDER (1744-1803) pastore prussiano, nel libro "Idea sulla filosofia della storia dell'unmanità" (1784-91) traccia un vasto disegno del mondo, interpretandone razionalisticamente le varie età, come la naturale evoluzione dell'uomo verso il raggiungimento di una pura umanità ricca di sapienza e amore. Quest'opera era stata preceduta da un altro libro "Ancora una filosofia della storia dell'umanità" che conteneva il germe della teoria della storia e il nuovo concetto sul medioevo, così importanti per il romanticismo. Infine era stato Herder a lanciare l'idea della identità nazionale.
4) Agazia di Mirina, detto lo Scolastico (536-582), poeta, storico e avvocato, autore del poema mitologico "Daphniakà"; fu continuatore della storia di Procopio.

IL PERIODO ROMANTICO

Dal romanticismo, che esaltava l'Ellade e il patriottismo filellenico, derivarono dapprima in ambito anglosassone e tedesco e poi neogreco una serie di opere storiografiche, in cui l'unificazione della storia classica e bizantina era data proprio dalla continuità dell'elemento etnico. E' questa l'impostazione di opere come "History of Greece from the conquest by the romans to the present time" (Storia della Grecia dalle conquiste romane al tempo presente) di George Finlay, che andava dal 146 a C. al 1864 (alla morte dell'autore essa fu completata da un suo amico, F. Tozer - Oxford 1877) e come "Geschichte Griechenlands vom Beginn des Mittelalters bis auf unsere Zeit" (Storia della Grecia dall'inizio del medioevo fino al nostro tempo) di Karl Hopf (Leipzig 1867-68) e ancora, dipendente da questa, la "Geschichte Griechenlands seit dem Absterben des Antiken Lebens bis zur Gegenwart" (Storia della Grecia dal tramonto della vita antica fino al nostro tempo) di G.L.F. Hertzberg (Gotha, 1876-78) e "De Thessalonica eiusque agro" (Su Thessalonica ed il suo territorio agricolo) di G.F. Tafel (editore degli "Opuscula" di Eustazio).
L'esperienza napoleonica, negativa per la Germania, era diventata per la Francia il punto di riferimento per un' interpretazione positiva dell'impero in quanto instaurazione di una più vasta unità sopranazionale fra gli Stati. Per questo nel periodo del Primo e Secondo Impero la cultura storica francese si collegò in parte a quella dell'età dell'assolutismo.
Inoltre, la restaurazione religiosa fece tornare di attualità la teoria dell'interdipendenza tra la storia dell'impero e la storia della Chiesa, alla quale serve da base non più il provvidenzialismo agostiniano, ma la nuova formulazione laica dello storicismo hegeliano.
Opere storiche ed erudite, prodotte in Francia nell'epoca di Napoleone III e del colonialismo, tendevano ad esaltare la sopranazionalità della storia dell'impero romano, la cui struttura statale e burocratica è "continua assimilatrice di nuovi barbari".
Francois-André Isambert dedicò un'opera all'impero di Giustiniano, "Histoire de Justinien" , Paris 1856, che fece epoca. Questa conteneva la prima traduzione in francese degli "Anedokta" di Procopio.
Nel "Tableau de l'empire romain depuis la fondation de Rome, jusqu'à la fin du gouvernement impérial en Occident" (Quadro dell'impero romano dopo la fondazione di Roma, fino alla fine del governo imperiale in Occidente) del 1862, A. Thierry aveva visto la caduta dell'impero d'Occidente come una "catastrofe imprevista".
Il dibattito politico tardobizantino sull'impero si rispecchia in maniera implicita o esplicita in opere biografiche come quella di Parisot su Giovanni VI Cantacuzeno (1845) e di Berger de Xivrey su Manuele II (1823), i due più importanti imperatori della dinastia paleologa.
Vi è da aggiungere, in questo periodo, lo studio della storia del diritto romano bizantino di Morteuil, che anticipa quello di Zachariä von Lingental; ad entrambi si aggiungono gli studi di Bernhard Winscheid (1817-1892) sul "Manuale di Diritto delle Pandette" (Lehrbuch der Pandektenrechts), vale a dire dello studio del diritto germanico di derivazione romano-bizantina, il quale partecipò (1874-83) alla elaborazione del primo codice civile germanico.
La crisi balcanica portò un interesse europeo verso il Mar Nero e, nella seconda metà dell'800, l'estetismo e l'esotismo del gusto artistico e letterario contribuirono al risveglio dell'interesse per Bisanzio anche presso il pubblico non specializzato.
In questo periodo Emmanuel Miller (discepolo di Hase) visitò e descrisse le antichità bizantine dei monasteri del Monte Athos ("Le monte Athos" pubblicato postumo nel 1889).

RAMBAUD
E LA TERZA ROMA

Il rappresentante della bizantinistica di questo periodo fu Alfred Rambaud (1842-1905), senatore e ministro della pubblica istruzione nella Francia della Terza Repubblica, autore con Ernest Lavasse (1842-1922) della "Storia Universale dal IV sec. ai nostri giorni" (in dodici volumi; ogni volume diviso in capitoli, ciascuno dei quali è trattato da uno specialista della materia).
In Rambaud, che aveva studiato il periodo di Costantino Porfirogenito ("L'empire grec au Xme siécle - Constantine Porfyrogenéte", Paris 1870), scrive la Ronchey, l'interesse per Bisanzio si fondeva con quello per il grande erede spirituale della Seconda Roma, l'impero russo della Terza Roma.
E' il periodo della guerra di Crimea (1853-56), in cui lo zar si erge a difensore della cristianità nei luoghi santi dell'Armenia e Bessarabia contro i turchi della Sublime Porta.
Il fascino per il mondo russo, proprio della cultura francese dell'800, acquisterà importanza politica con gli scambi della Duplice franco-russa.
Rambaud abbandonerà gli studi bizantini per passare alla storia russa nello stesso periodo in cui le basi scientifiche di questa disciplina venivano poste dallo slesiano Ernst Kumik e dallo svizzero Edward von Muralt, autore del celebre "Essaix de cronographie byzantine" (Saggio sulla cronografia bizantina - Pietroburgo, 1855-71).
Sulla scia di Rambaud, gli studi bizantini in Francia furono continuati da Schlumberger e Diehl.
Gustave Schlumberger (1877-1968) riuscì ad unire il metodo storiografico positivo di stampo mommseniano ad una grande capacità divulgativa, che favorì una diffusione dell'immagine bizantina ("imagerie" nel testo, ndr.) nella letteratura del decadentismo.
Le pubblicazioni più tecniche di Schlumberger riguardavano repertori di numismatica e sigillografia con "Description des monnais byzantines", iniziata da J. Sabatier e proseguita e terminata da Schlumberger (1862). Essa ancor oggi costituisce opera di consultazione, affiancata (recentemente) dai cataloghi di Cécile Morrisson ("Catalogue des monnais bizantine de la Biblioteque Nazionale", 1970) e di Philippe Grierson ("Byzantines Coins" - Conii bizantini, 1982), oltre ai tre volumi di "Moneta imperii bizantini" di Hahn.
Per la sigillografia, di cui la bizantinistica si serve sempre più spesso, Schlumberger pubblicò "Sigillographie de l'Empire byzantine" (1884), che costituisce un caposaldo alle origini del "corpus" diretto da Laurent (1963-81) e del repertorio di Dumbarton Oaks pubblicato sotto la direzione di Nikos Oikonomides.
La vocazione narrativa di Schlumberger aveva prodotto, scrive la Ronchey, uno dei capolavori della bizantinistica, l' "Epopée byzantine" (4 voll. 1896-1905) riguardante la storia dell' "età d'oro" dell'impero bizantino, da Niceforo Foca (803-811) alla fine della dinastia macedone (1057) (v. I mille anni dell'impero bizantino e Cronologia degli imperatori bizantini), che si pone in concorrenza e si sovrappone alla "Cronografia" di Michele Psello.
Questo libro ispirò a Léon Bloy l'opera: "Contantinople et Bysance", all'origine della moda bizantina in Francia (e anche in Italia) a cavallo tra i due secoli.
Altro esponente di questa bizantinistica di alto livello e anche letterariamente colta fu Charles Dihel, considerato il fondatore della bizantinistica moderna con il suo "Empire byzantin" (1919), oltre a saggi sull'amministrazione bizantina in Egitto e a Ravenna e "Figures byzantines" (1908), che si colloca tra erudizione, biografia e romanzo.
Alla scuola parigina di questo periodo appartengono bizantinisti come Ferdinand Chalandon, storico dei Comneno, e Louis Bréthier, autore di "Monde Byzantin".

IN ITALIA

Dalla Francia l'estetica bizantina giunse in Italia attraverso Giosuè Carducci (1835-1907) e Gabriele d'Annunzio (1863-1938) e artisti che facevano capo alla "Cronaca bizantina" dell'editore Angelo Sommaruga (5).
A questo movimento artistico-letterario, scrive la Ronchey, non corrispose un'attività scientifica come abbiamo riscontrato in altri paesi, all'infuori della traduzione delle "Guerre" di Procopio da parte di Domenico Comparetti (1835-1927) e dell'oasi bibliografica del Vaticano.
Questa deprecabile assenza dell'Italia, precisa la Ronchey, è stata dovuta alla circostanza che gli ambienti eruditi dell'epoca immediatamente postunitaria erano occupati in un'opera di ricostruzione e legittimazione della storia nazionale.
Il gravitare dell'Italia sia del Sud (Temi di Calabria e Sicilia) sia del Nord (Esarcato di Ravenna e Pentapoli) in un'orbita non romana e non italiana, con la presenza istituzionale di Bisanzio e l'influsso della cultura politica bizantina, non erano argomenti che gli studiosi della questione meridionale sollevassero volentieri (6).

5) La Rivista era quindicinale, fondata e diretta da Angelo Sommaruga. Ebbe vita breve (dal 1881 al 1885), a causa delle vicissitudini giudiziarie del suo editore. La collaborazione di Carducci fu fondamentale anche per il titolo della Rivista, derivato da un verso di una sua poesia. La Rivista fu la prima rivista italiana di diffusione culturale a grande tiratura. Ebbe successo mondano, perché rappresentava la voce della cultura del momento, imprimendo un certo stile nel costume contemporaneo. La sua veste tipografica era lussuosa, con decorazioni tra il preraffaellita, neoclassico, floreale e il barocco, in armonia con i richiami di decadenza evocati da Bisanzio.
6) Nella recensione al libro (v.), a proposito del "mare magnum" della bibliografia esistente sulla bizantinistica, avevamo rilevato che c'era da meravigliarsi che proprio questi motivi, cioè l'esistenza in casa di una propaggine dell'impero bizantino, avrebbero dovuto dare una notevole spinta agli studi bizantini. La spiegazione fornita dalla Ronchey ci fa capire con quale chiusura mentale si era affrontato il problema dell'Unità e del meridionalismo.
Se l'assenza dell'Italia dal fervore che gli studi bizantini avevano suscitato altrove è da considerare poco onorevole, lo è ancora di più l'assenza degli Editori italiani, pur in presenza di ottimi maestri di lingua greca (quanti studenti del liceo classico nelle generazioni che si sono succedute non hanno un buon ricordo di grandi -e sconosciuti- insegnanti di greco!).
L'Italia è deficitaria quindi anche di traduzioni, quando sarebbe stato (e sarebbe ancor'oggi) sufficiente far tradurre qualcuno dei tanti fondamentali testi bizantini, che sono sempre appetibili da parte del pubblico dei lettori, come abbiamo visto dall'esaurimento in breve tempo delle poche pubblicazioni indicate in nota alla recensione.

LA NUOVA ERA PRUSSIANA

La nascita della bizantinistica come scienza moderna, prosegue la Ronchey, è stata concordemente fissata negli anni ottanta dell'800. L'impulso era venuto dalla Germania della "Nuova Era" prussiana. Era il secondo dopo quello di Luigi XIV.
Siamo a Teodoro Mommsen, preceduto da Khun nello spoglio delle fonti amministrative nello studio delle strutture urbane: "Die städtische und bürgerliche Verfassung des römischen Reiches" (La costituzione delle città e dei cittadini dell'impero romano) del 1864; "Über die Entstehung der Städte der Alten" (Sulla nascita delle città antiche) del 1878, nell'epoca storiografica della "Grundlichkeit" (Approfondimenti), con la storiografia multilaterale (giuridica, documentaria, epigrafica).
La "Römische Geschichte" (Storia di Roma) di Mommsen non riguardò direttamente l'impero, ma la Storia delle sue province (1885) e testimoniava (come aveva scritto il Momigliano) che "il dissidio tra valori nazionali e supernazionali, tra repubblica e impero, era composto nel riconoscere che attraverso lo Stato romano si era fuso con la civiltà ellenica e, potenziando o creando la struttura urbana, aveva reso possibile la più durevole e pacifica convivenza di popoli che fosse mai esistita".
Con la prospettiva positivistica, la bizantinistica si inserì sul nuovo terreno di cultura dell'erudizione tedesca, innestandosi nell'organismo culturale che vi era cresciuto.
Nella serie dello "Handbuch" (Manuale) di Otto Müller, Karl Krunbacher (1854-1909) pubblicò (1891) la "Geschichte der byzantinischen Literatur" (Storia della letteratura bizantina), che secondo Ostrogorski è da considerare "il più grandioso monumento di erudizione e d'indagine filologica tra gli studi bizantini dai tempi di Du Cange".
Krumbacher l'anno successivo fondò la "Byzantinische Zeitscrift" (Rivista bizantina), che ancora oggi, scrive la Ronchey, rimane il principale organo di bizantinistica internazionale. Krumbacher fondò anche il "Seminar für mittel und neuegrieschische Philologie" (Seminario di filologia greca medievale e moderna) dell'Università di Monaco, divenuto il primo grande centro bizantinistico internazionale.
Nello stesso periodo Eduard Schwartz, nella prefazione alla "Storia ecclesiastica" di Eusebio (1903), aveva aperto nuovi orizzonti alla prassi della "filologia" (prassi ecdotica nel testo, ndr) dei testi greci e sperimentato una nuova critica del testo su tradizioni storiografiche interpolate come quelle ecclesiastiche bizantine.
Contemporaneamente, Karl Zachariä von Lingenthal (1812-94) aveva messo a disposizione degli studiosi due strumenti, ancor oggi indispensabili, ci dice la Ronchey, per lo studio del diritto e dell'amministrazione interna dello Stato bizantino: lo "Jus graeco-romanum" (1856-84) che ne raccoglie le principali fonti e la "Geschichte des grieschisce-römischen Rechtes" (Storia del diritto greco-romano) del 1892, di cui si parlerà più avanti nella parte della bizantinistica russa ("Storia del diritto greco-romano" di Zachariä von Lingenthal).
Il lavoro di edizione delle fonti diplomatiche, che darà inizio agli studi di storia socio-economica bizantina, fu portato avanti anche nell'impero austro-ungarico a Vienna tra il 1860 e 1890 con la pubblicazione degli "Acta et diplomata greca medii aevi sacra et profana" (Atti e documenti greci sacri e profani del medioevo) di Franz Miklosich e Josef Müller.
Tra gli studi storico-descrittivi su Bisanzio, nella Germania di quel tempo, la Ronchey cita la "Weltstellung des byzantinischen Reisches vor den Kreuzzügen" (Prospetto generale dell'impero bizantino prima delle crociate) di Karl Neumann del 1894; l' "Abriss der byzantinischen Kaisergeschichte" (Lineamenti di storia dell'impero bizantino), così designata da Heinrich Gelzer nell'appendice alla seconda edizione della "Literatur" di Krumbacher e gli studi dello stesso Gelzer sulla struttura amministrativa dei temi: "Genesis der byzantinischen Themenverfassung" (Genesi della costituzione dei temi bizantini) del 1899.
Da ultimo, le edizioni e riedizioni di fonti fornite da August Heisemberg, successore di Krumbacher al Seminar di Monaco.

BALCANI E GRECIA

Durante il periodo di riassetto dei Balcani, dal Congresso di Berlino (1878) alle guerre balcaniche (1912-13), gli intellettuali serbi, croati, rumeni, bulgari e greci, parallelamente alle lotte per l'indipendenza dall'impero ottomano, promossero un risveglio degli studi di storia nazionale.
Gli studi di esegesi delle fonti e di storia del medioevo non erano evidentemente scindibili da quelli di bizantinistica, con la conseguenza che questa fu coltivata dai migliori intelletti disponibili.
Il crescere del nazionalismo bulgaro negli anni precedenti la Grande Guerra trova il suo riscontro nell'opera di ricostruzione di Muftacief col suo intervento significativo nel dibattito sulle libere comunità contadine, seguito da Nikov e in particolare da Zlatarski, che all'inizio del secolo si occupò della "Cronaca" di Simeone Logoteta.
La storia bizantina del giovane stato greco e il patriottismo neo-ellenico si fusero in opere come "Istoria tou ellenikon etous" (Storia della civiltà greca) del 1860-77 di Paparrigopoulos (ne è un "estratto" - abregé nel testo, ndr - l' "Histoire de la civilisation ellenique" uscito a Parigi nel 1878) che va dalle origini al 1832 o l' "Istoria tes Ellados" (Storia dei greci) di Lampros del 1888-92, dalle origini al 1453.
L'opera di Paparrigopoulos, scrive la Ronchey, proponeva tra l'altro un'ardita interpretazione dell'iconoclasmo come una rivoluzione social-nazionale che ebbe risonanza nella bizantinistica russa, specie dopo la pubblicazione della traduzione francese (Parigi 1878).
Secondo Paparrigopoulos, il movimento da cui dipende il "Nomos georgikos" (Consuetudini dell'agricoltura), che ebbero come risultato l'abolizione della schiavitù, portarono "al trionfo definitivo dell'ellenismo sul romanismo".
La ricerca e l'edizione delle fonti vennero proseguite da Bees, Sathas - editore della "Cronografia" di M. Psello nella "Mesaionike biblioteke" (Biblioteca dell'Asia minore), Venezia 1872-77, e autore della storia della turcocrazia "Tourkokrapoumene Ellas" (Turcocrazia greca) del 1869 e dallo stesso Lampros, che fu l'instancabile "factotum" della rivista "Neos Ellenomnenon" (Nuovi Elleni) e dei benemeriti "Palaiologeia kai Peloponnesiakà" (Paleologia del Peloponneso).
A questo periodo appartengono anche i lavori di Tafrali sulla città di Tessalonica, pubblicati a Parigi (1913-19), con la sua provocatoria tesi sulla "rivoluzione zelota" nel volume "Thessalonique au XVI siècle".

LA STORIOGRAFIA RUSSA

Gli anni a cavallo dei due secoli fino alla Rivoluzione d'Ottobre, prosegue la Ronchey, sono quelli del grande bizantinismo russo.
A partire dagli anni quaranta dell'800, l'interesse per la zona di frontiera geografica, ma anche storica e culturale, tra mondo slavo e mondo islamico era stato risvegliato dall'incrementarsi del commercio orientale e dalle nuove configurazioni dello scacchiere politico.
Il continuo attrito con gli imperi centrali porta la strategia zarista verso la frontiera danubiana e caucasica. E' del 1855 l'annessione e ricostruzione di Kars, in Armenia, da parte di Alessandro II e del 1865 il trattato di Parigi sulle Bocche del Danubio e la Bessarabia, con la neutralizzazione del Mar Nero.
L'insorgere del movimento slavofilo dà luogo ad una rivalutazione di Bisanzio da parte dell'intellettualità populista russa, non solo di quella tedesca. La moda slavofila ha peraltro le sue radici filosofiche nel rifiuto del progresso e delle forme sociali e culturali dell'Europa borghese e razionalista, cioè nel misticismo di Shelling e nel suo concetto di nazione organica. Inoltre, precisa la Ronchey, il panslavismo politico, con cui lo slavofilismo era connesso già all'inizio del secolo, era stato per gli zar un modo d'incoraggiare il separatismo delle nazionalità slave balcaniche in funzione antiaustriaca.
In Russia, l'esempio maggiore del bizantinismo slavofilo nella seconda metà dell'800 è forse "Bizantinismo e mondo slavo" (1875) di Konstantin Leont'ev.
Il reazionario e mistico Leont'ev - al cui pensiero si ispirano attualmente alcune correnti della destra postcomunista sovietica - vide in Bisanzio l'idea-forza, il principio universale in grado di organizzare e modellare l'elemento popolare (demotico nel testo, ndr) russo, fin dal VII secolo maggioritario nei suoi territori. "La verità e la bellezza del popolo russo non si manifestano nel genio delle masse, ma nelle discipline bizantine che organizzano e plasmano questo genio a loro propria immagine".
Leont'ev era stato diplomatico dello zar in Turchia. Nel suo antiprogressismo ed antieuropeismo si anticipano non solo le tesi del "Nuovo medioevo" di Berdjaev (1923), suo studioso e seguace, ma soprattutto i temi di Spengler e poi di Guénon sul tramonto dell'Occidente e sulla prevalenza dell'Islam.
Oltre che slavofilo, Leont'ev è turcofilo. Il giogo ottomano è salutare ai popoli balcanici, perché impedisce loro "di sprofondare definitivamente nell'abisso del progresso democratico europeo". Solo il mondo ortodosso e quello musulmano hanno un grande avvenire.
La Russia ha la missione storica di riscattare l'Europa esausta, assolvendo al ruolo mediatorio tra Europa ed Asia, che fu già bizantino.
Per poter svolgere questa missione la Russia deve tornare, appunto, alla gravitazione orientale che fu di Bisanzio a partire dal VII e dall'VIII secolo e unirsi "con i popoli asiatici e di religione non cristiana […] per il semplice fatto che tra di loro non è ancora irrimediabilmente penetrato il moderno spirito europeo".
La critica alla borghesia, nel secondo Ottocento tedesco e russo, si esercitava da due parti e non da una sola.
La tendenza slavofila, nella sua formulazione germanica, contagiò nello stesso periodo la bizantinistica tedesca e in particolare le sue ricerche di storia agraria.
L'interpretazione del "Nomos georgikos" e della "Sentenza di Cosma" all'interno della "Storia del diritto greco-romano" di Zachariä von Lingenthal non si spiega se non con l'influsso della teoria del comunismo antico-slavo e della proprietà collettiva della terra (obšcina) nell'antica Russia e in generale della voga slavofila tedesca.
Le tesi di Zachariä furono accolte e sviluppate dagli studiosi russi della generazione successiva ed in questo modo la scuola storiografica russa si strutturò intorno al problema della proprietà della terra e delle libere comunità contadine e quindi su un'impronta genetica socio-economica.
L'interesse per la storia agraria e per la tradizione comunitaria e assembleare dell'antica Russia, scrive la Ronchey, è del resto parallelo al dibattito sul feudalesimo, che nello stesso periodo monopolizza i medievisti.
Il padre fondatore della storiografia bizantina in Russia fu Vasilij Grigorévic Vasil'evskij (1838-99). Nei suoi studi, come in quelli di Fëodor Ivanovic Uspenskij (1845-1928), la tendenza slavofila del bizantinismo russo è molto evidente.
Dalla ricostruzione dei rapporti bizantino-russi e bizantino-peceneghi e delle affinità tra la storia bizantina, slava e antico russa, gli interessi di Vasil'evskij si convertirono alla storia agraria dopo l'uscita della "Geschichte" di Zachariä.
Dopo la riforma agraria e amministrativa di Alessandro II, è l'epoca (tra il 1860 e il 1890) della grande crisi economica e politica e della penetrazione del marxismo nel movimento populista.
In una serie di studi degli anni settanta, Vasil'evskij riprende l'argomentazione di Zachariä e in parte anche la teoria di Paparrigopoulos sulla rivoluzione iconoclasta, depurandola dagli elementi nazionalistici e dandole un carattere sociale. Vasil'evskij accetta pertanto sia la tesi generale dell'influsso slavo sulle strutture agrarie bizantine, sia la lettura del "Nomos georgikos" come indicante una proprietà collettiva della terra nella libera comunità contadina dell'VIII secolo.
Lo stesso fecero Aleksei Stepanovic Pavlov (1832-1898) e Uspenskij, sia negli articoli degli anni ottanta, sia nel primo volume dell' "Istoria vizantiniskoj imperii" (Storia dell'impero bizantino) intrapresa nel 1913 e tuttora incompleta (I:1913; II:1927; III:1948, manca il 2° tomo del vol. II). Le pubblicazioni furono interrotte dalla Rivoluzione d'Ottobre e non vide mai la luce la parte relativa agli anni 867-1081.
La teoria delle libere comunità contadine insegna molto più sulla Russia ottocentesca, scrive la Ronchey, che su Bisanzio. L'entusiasmo che sollevò servì tuttavia ad alimentare studi più seri sulla storia agraria dell'impero, i quali ben presto demolirono il loro stesso punto d'avvio.
Che il comunismo delle comunità rurali non sia mai stato una verità storica e che anzi le clausole del "Nomos georgikos" e il sistema delle "epibole" (sovrapposizioni, ndr) abbiano incrementato il sistema della proprietà terriera individuale e non fatto trionfare l'egualitarismo e il collettivismo venne dimostrato ai primi del secolo da Boris Amfionovic Pancenko (1872-1920): la proprietà della terra a Bisanzio non era "collettiva", ma "statale" e l'aggettivo "koinos" andava inteso, nelle fonti, nel senso del latino "publicus". Pancenko riaffermò la piena ascendenza romana del diritto fondiario bizantino.
Sulla linea di Pancenko procedette Pavel Vladimirovic Brezobazov (1859-1918), che negli anni dieci negò l'influsso della legislazione slava sia sull'origine, sia sull'organizzazione della libera comunità contadina a Bisanzio.
Come conseguenza della prima rivoluzione russa (1905) si ebbero le nuove riforme agrarie, l'abbandono del sistema dei "mir", l'abolizione della proprietà comune e la ricostituzione fondiaria.
Mentre aumentava il proletariato agricolo, si progettò la colonizzazione della Siberia. In questa fase della storia russa la "teoria slava" venne attaccata e demolita del tutto dall'ultimo esponente della bizantinistica socio-economica del periodo pre-rivoluzionario, Konstantin Nikolaevic Uspenkij (1874-1917) (da non confondersi con Fëodor Uspenkij).
Secondo Konstantin Uspenkij, dalle prime invasioni del VI sec. fino alle devastazioni e ai "pogrom" dell'VIII sec., slavi e àvari erano "genti disorganizzate e completamente prive di coscienza di classe, masse caotiche senza nozione alcuna di vita associata o di economia […] … erano orde capaci solo di devastare, demolire, disperdere, terrorizzare, sommuovere, turbare la civile convivenza e nulla di più. E' stato un grave errore pretendere che gli slavi del VII-VIII secolo avessero portato a Bisanzio il modello comunitario e così informato di sé e rafforzato le strutture dell'impero".
Nella seconda metà dell'Ottocento e all'inizio del Novecento la scuola storiografica russa ebbe quindi un ruolo trainante per gli studi di bizantinistica in genere e fondante, si può dire, per la bizantinistica socio-economica.
Oltre alle opere già menzionate, è opportuno citare, sulla scia di Vasil'evskij, le analisi di Jakovenko sui documenti bizantini; gli studi sulla politica interna dell'impero di Jakovenko e di Bezobrazov; la storia dei rapporti bizantino-arabi nel IX e X secolo di A.A. Vasil'ev (1900-02); alla vigilia della rivoluzione, la grande storia dell'impero protobizantino (295-717) di Kulakovskij (I-III, Kiev 1913-15).
La classificazione e la ricerca sulle fonti erano nel frattempo portate avanti da studiosi di varie nazionalità come Papadopoulos-Kerameus e già prima da Destunis e Nauck, attivi a Pietroburgo, dove nel 1894 Vasil'evskij fondò la rivista "Vizantiniskij Vremennik" (Stato bizantino). Per breve tempo, inoltre, alla vigilia della rivoluzione la bizantinistica storica russa ebbe anche un altro organo specifico, "Vizantijskoe Obozrenie" (Osservatorio bizantino), che nacque nel 1915 e cessò le pubblicazioni (così come il celebre "Zurnal Ministerstva Narodnago Prosvešcenija"(Rivista del Ministero della Cultura Popolare), che aveva ospitato la quasi totalità dei contributi della scuola socio-economica ottocentesca) nell'ottobre 1917.
Pur tacendo, e non casualmente - precisa la Ronchey - nel ventennio 1929-1949 in conseguenza dell'ostilità verso la bizantinistica e verso il passato bizantino da parte del potere sovietico nella sua prima fase, e da allora in poi uscendo con alterna regolarità, il "Vizantiniskij Vremennik" è stato il corrispettivo del "Bizantinische Zeitschrift" d'oltrecortina, e oggi continua a esistere.
Dopo la rivoluzione e una volta superata la fase antibizantina del bolscevismo ("allergico - come ha scritto Bertrand Hemmerdinger - a tutto quanto avesse legame con Costantinopoli, giacché Tsrgrad-Costantinopoli era stato obiettivo di guerra per la Russia zarista durante il conflitto imperialista") con la riabilitazione staliniana, la scuola economico-sociale russa seguitò ad occuparsi delle comunità rurali, della legislazione terriera e della storia della proprietà contadina a Bisanzio, ma si pose anche molti falsi problemi in una prospettiva sempre più influenzata dalle teorie marxiste-leniniste e con intenti sempre più ideologici che scientifici (un esempio affascinante è quello, già menzionato, dell'esegesi del bogomilismo slavo come movimento sociale antimperialista, presente nella storiografia marxista bulgara ancora in tempi recenti).
Con un vistoso passo indietro rispetto ai risultati di Pancenko, Brezobrazov e Konstantin Uspenskij (che spesso gli studiosi della generazione post-rivoluzionaria ignoravano), la vecchia teoria slavofila rivisse negli studi sull'evoluzione sociale ed economica dell'impero, che postulavano l'influsso della struttura sociale slava e il suo contributo determinante alla formazione di rapporti "più progressivi" di tipo feudale.
Gli studi sul "Nomos georgikos" furono continuati da Lipšic e Sjuzjumov; quest'ultimo tradusse il "Libro dell'eparco" e studiò l'evoluzione delle città bizantine e dei loro rapporti di produzione. Alla de-urbanizzazione del cosiddetto periodo di gestazione del feudalesimo bizantino sarà dedicato, nel dopoguerra, il primo importante studio di un polemico estimatore di Sjuzjumov quale fu Kazhdan.

LA SCUOLA MARXISTA SOVIETICA

La scuola marxista sovietica, prosegue la Ronchey, ammette d'altronde il forte influsso di Marc Bloch e della "storia vivente" dei primi "Annales" di Bloch e Lucine Febvre (1929).
Il loro taglio marxista, economico e storico-agrario (che alla fine degli anni trenta darà origine ai grandi saggi sulla "Storia agraria francese" e sulla "Società feudale") è influenzato dalla sociologia di Durkheim e dalla psicologia sociale. Questo metodo fu applicato all'analisi di Bisanzio da Guilland, ma anche in parte, come si è detto, da Louis Bréhier e in seguito dal grande Paul Lemerle e soprattutto da Hélène Ahrweiler, André Guillou, Evelyne Patlagean.
In questo ramo occidentale della scuola sociale è stato più rapido che in quello sovietico il processo di laicizzazione ideologica, di de-marxistizzazione: già in parte con Fevbre e poi definitivamente con "Mediterraneo" di Braudel (1949; ripubblicato da Einaudi 2002, ndr.) l'indirizzo materialista diviene neopositivismo geografico.
All'origine della sua applicazione agli studi bizantini possono collocarsi peraltro le recensioni di Guilland, la cui originalità scientifica e importanza per la ricostruzione della genesi dell'indirizzo metodologico "annalistico" sono state di recente evidenziate da Jacques Le Goff.
Nella lunga durata braudeliana, la storia, caduti il finalismo marxista-hegeliano e la nozione di sovrastruttura, diviene lenta, quotidiana, "quasi immobile" (Braudel).
La storia sociale si prolunga nella storia delle rappresentazioni sociali, delle ideologie, delle mentalità. Consapevole di dipendere dalle proprie condizioni di produzione, guarda inoltre sempre più a sé medesima e accorda un posto crescente alla storia della storiografia.
In Francia l'indirizzo della storia totale o "storia insaziabile" è rappresentato per il medioevo bizantino dai cultori di quell'idea di "civilisation bizantine" che affronta il macrosistema dell'impero secondo una prospettiva multidisciplinare e, soprattutto, universale e antieurocentrica: la sola capace di raggiungere, come ha scritto Kazhdan, "the heart of Byzantium" (il cuore di Bisanzio).
Ma siamo arrivati con ciò, conclude la Ronchey, alle soglie dell' età contemporanea e non rientra nei fini o nei limiti di queste pagine trattare, né tanto meno giudicare, gli indirizzi e le scuole della bizantinistica novecentesca, che a partire da Ostrogorsky a Dölger, da Gregoire a Lemerle, da Beck a Hunger, da Zakythinos a Politis, da Loenertz a Darrouzés, da Pontani a Pertusi, da Runciman a Browning, da Meyendorff a Obolensky, da Kazhdan a Oikonomides, dalla Pigulevskaja alla Follieri, per non menzionare i molti e straordinari studiosi oggi viventi, si è diramata per tutto il secolo producendo una messe di studi senza precedenti.
Da questo momento in poi la storia della storiografia diventa in pratica bibliografia, perciò rimandiamo, per un orientamento sui principali bizantinisti e sulle opere di più preziosa consultazione, all'ultima sezione del libro.

*) Piccola Biblioteca Einaudi.

OMAGGIO A JAQUES-PAUL MIGNE

Questo geniale personaggio è indicato puramente e semplicemente come colui che aveva dato una sistemazione organica alla Patrologia, Greca e Latina, mentre è stato un personaggio che meriterebbe una conoscenza della sua personalità di studioso più approfondita.
Sotto il profilo biografico gli scritti su di lui, a quanto risulta, sono stati solo due, uno di F.F. de Mély: "L'abbé Migne l'homme e l'auvre" in Revue de l'Archeologique del 1915 e un altro di D. Gorce: "Petite introduction à l'étude des Pères" del 1946. Avrebbe meritato di più.
Ci piace quindi ricordare Jaques-Paul Migne innanzitutto per la grande opera che egli ha reso agli studiosi di tutto il mondo dal 1850, anno di pubblicazione, e per i secoli a venire, e riteniamo di onorarlo con il presente brevissimo profilo delle sue opere per un senso di giustizia, perché tutti lo citano con riferimento alla Patrologia e, ciononostante, Migne rimane dal punto di vista biografico uno sconosciuto. Tantomeno gli viene mostrata gratitudine per il grande patrrimonio che ha lasciato all'umanità.
Jaques-Paul Migne (1800-1875), abate, era nato per realizzare opere di grande respiro e realizzazioni culturali monumentali.
Era stato a Parigi dove si era dedicato al giornalismo ed aveva fondato "L'univers religieux politique, sientifique et litteraire", in cui aveva esordito con un "incipit" come: "Vi presentiamo le nozioni più cattoliche sulle questioni più interessanti, danze, balli, teatri, romanzi, prestiti, imposte, divorzio, stipendio del clero", firmandone la condanna; infatti, il giornale non ebbe successo!
Lo aveva quindi abbandonato per dedicarsi alla prima opera grandiosa: "La Biblioteca universale del clero", che doveva raccogliere duemila volumi del sapere ecclesiastico.
Era fatto per questo tipo di opere monumentali, avendone l'intelligenza, la capacità e l' immaginazione. Non aveva mezzi, ma aveva la tenacia. Mise su l' "Atheliers Catholiques", una fucina di grandi opere, che divenne una vera e propria casa editrice. Organizzando il lavoro di studiosi, eruditi, correttori di diverse nazionalità, sacerdoti in difficoltà, riuscì a realizzare oltre la metà dei duemila volumi annunciati (stampandone millecento in quarto): "Scripturae sacrae cursus" (25 Voll.); "Theologiae cursus completus" (25 voll.); "Collection intégrale e universelle des orateurs sacrés"; "Dimostrations evangelique des plus célèbres difenseurs di Christianisme" (20 voll.); "Première encyclopédie théologique" (52 voll.); "Nouvelle encyclopèdie " (53 voll.); "Troisieme encyclopèdie" (66 voll.); " Course complète d'histoire ecclesiastique" (27 voll.); "Summa aurea de laudibus B. Mariae Virginis " (18 voll.).
Però le opere per le quali l'abate Migne ha guadagnato l'immortalità sono:
- il monumento della "Patrologiae cursus completus" nota come "Patrologia latina" (1844-55) in 218 volumi, che comprendono il periodo da Tertulliano a Innocenzo III. E' una raccolta di 2614 opere e frammenti di padri latini e scrittori ecclesiastici;
- la "Patrologia greca" in due edizioni, una con testo greco e traduzione latina (1857-66) in 166 volumi (da Barnaba al Concilio di Firenze) ed una con la sola traduzione latina (1856-67) in 85 voll. .
Non poteva mancare un incendio, che ridusse in cenere l'Athelier (1868), ma Migne non si dette per vinto e lo rimise in piedi con tutti i mezzi possibili, alcuni non condivisi dai suoi confratelli, come l'offerta di messe in cambio del lavoro che gli veniva prestato e che gli fu interdetto. L'opera monumentale comunque era stata consegnata all'umanità.
Alcuni limiti dell'opera sono dovuti ai mezzi tecnici dell'epoca in cui fu redatta, che però non ne sminuiscono il valore, essendo rimasta un'opera alla quale attingono studiosi di tutto il mondo oggi, come attingeranno quelli delle generazioni future.

 

FINE

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