SOMMARIO: GLI INIZI IN FRANCIA; IN INGHILTERRA; IN GERMANIA;
LA STORIOGRAFIA POLITICA IN FRANCIA; GIBBON E LEBEAU; FABRICIUS
E NIEBHUR IN GERMANIA; IL PERIODO ROMANTICO; RAMBAUD E LA TERZA
ROMA; IN ITALIA; LA NUOVA ERA PRUSSIANA; BALCANI E GRECIA; LA
STORIOGRAFIA RUSSA; IN NOTA: OMAGGIO A JAQUES-PAUL MIGNE.
Nella recensione a "Lo stato bizantino" (in Recensioni)
abbiamo visto che, nella parte terza del libro, S. Ronchey ha
riassunto in uno schema organico e completo la <Storia della
storiografia di Bisanzio>, dalla prima raccolta sotto Luigi
XIV (1638-1715) fino al bizantinismo russo.
Abbiamo pensato di elaborare nella presente scheda questo meticoloso
studio filologico, con qualche aggiunta di carattere storico e
biografico sugli autori, per meglio indirizzare quei lettori che
si avvicinano per la prima volta alla materia.
Gli studi bizantini hanno avuto inizio in Francia nel sec.
XVII, con Louis-Sebastien Le Nain de Tillemont (1637-1698), giansenista,
il quale in campo storico fu il primo ad operare una netta distinzione
tra sacro e profano (teoria recepita da Edward Gibbon, come vedremo
più avanti), giustificata dal fatto che: "vi è
un tal legame tra la storia sacra e la profana che bisogna necessariamente
informarsi con cura della seconda, per poter padroneggiare la
prima".
La sua opera monumentale sulla storia della chiesa e dell'impero
Tillemont l'aveva concepita inizialmente come opera unica. Le
difficoltà, che gli furono frapposte dalla censura dell'autorità
ecclesiastica, gli suggerirono di pubblicarla in due parti; la
prima l' "Histoire des empereurs et des autres princes qui
ont regné durant les six premiére siècles
de l'Eglise" (Storia degli imperatori e degli altri principi
che hanno regnato durante i primi sei secoli della Chiesa), in
sei volumi (gli ultimi due postumi). L'opera era stata scritta
con grande meticolosità e scrupolosità, da essere
ancora oggi, ci dice la Ronchey, un'opera di consultazione.
L'altra è costituita dalle "Memoires pour servire
à l'histoire ecclesiastique des six premiéres siecles"
(Memorie da utilizzare per la storia ecclesiastica dei primi sei
secoli).
Tillemont non fa distinzione tra impero d'occidente e impero d'oriente.
La sua storia è tout court "storia dell'impero romano",
che va da Augusto a Giustiniano.
L'opera fu scritta un secolo dopo la pubblicazione di "De
la République" del giurista Jean Bodin (1529/30-1596/7),
il quale, dopo aver lasciato l'insegnamento del diritto, era entrato
al servizio del re di Francia, Carlo IX.
Da questo osservatorio Bodin aveva assistito alle tragiche lotte
delle fazioni della nobiltà, che allora travagliavano quella
monarchia, e si era reso conto della necessità di una monarchia
solida ed accentratrice, ma fondata sulla base del diritto, non
della forza, come invece aveva auspicato Machiavelli nel "Principe".
L'intenzione dell'opera era quella di dare una giustificazione
"all'assolutismo del potere monarchico", in base al
principio del "princeps legibus solutus" (principe sciolto
dall'osservanza delle leggi), che sarà posto in essere
da Luigi XIV, principio che però Bodin vedeva con un limite
posto dalle leggi divine e naturali, con la conseguenza che "il
sovrano si rende responsabile delle sue azioni di fronte a Dio
ed all'umanità" e per questo "egli deve perseguire
il benessere dei suoi sudditi".
Sotto la spinta del mecenatismo del re Sole, con il patrocinio
del ministro Colbert (1619-1683), la stamperia del Louvre incominciò
a stampare il primo "corpus" delle opere di storici
bizantini: "Corpus scriptorum historiae bizantinae"
in 38 volumi.
Vi collaborarono i gesuiti Philippe Labbe (i cui "Concilia"
saranno alla base delle successive edizioni di Hardouin e Mansi),
i domenicani Jaques Goar (primo editore dell' "Euchologion"
greco) e Francois Combefis (primo editore della patristica greca),
il giurista Charles-Annibal Fabrot (primo editore di "Basilikà").
A inaugurare il "corpus" del Louvre fu la "Storia"
di Giovanni Cantacuzeno. L'opera fu pubblicata a Parigi negli
anni 1645-1741, con traduzione latina, commentario e ricche note.
Un'altra edizione fu pubblicata a Venezia nel 1720 in 33 voll.
.
Il secondo volume della serie "Excepta de legionibus"
(Note sulle legioni), dell'imperatore Costantino VII Porfirogenito
(per le altre opere v. in Articoli, Cap. VII: I mille anni dell'impero
bizantino) porta una prefazione di Labbe, che illustra il piano
dell'opera e invita tutti i paesi a collaborare.
Queste opere erano state precedute dall' "Histoire de Constantinople
sous les empereurs francois" (Storia di Costantinopoli sotto
gl'imperatori francesi), intorno al 1657.
Negli anni settanta del Seicento, vide la luce (Parigi 1671-74)
l' "Histoire de Constantinople depuis Justin, jusqu'à
la fin de l'empire" (Storia di Costantinopoli dopo Giustino,
fino alla fine dell'impero) di Cousin e circa negli stessi anni
la monumentale opera di Charles Du Cange (1610-1688), storico
di grande erudizione, che pubblicava l' "Histoire de l'empire
de Constantinople sous les empereurs francois" (Storia di
Costantinopoli sotto gl'imperatori francesi) nel 1668, i tre volumi
del "Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis"
(Glossario degli scrittori della media e bassa latinità)
nel 1678, seguito dal "Glossarium scriptores mediae et infimae
graecitatis" (Glossario degli scrittori della media e bassa
grecità) nel 1688, definito dal Wilamovitz "meravigliosamente
attendibile".
Du Cange aveva scritto anche una "Historia bizantina duplici
commentario illustrata" (Storia Bizantina illustrata con duplice commentario) (1680), il "De familiis bizantinis"
e la "Costantinopolis christiana".
Per il "corpus" del Louvre, Du Cange commentò
la "Storia" di Cinnamo, la "Cronaca" di Giovanni
Zonara e il "Chronicon" di Paschale, oltre ad aver aggiunto
il suo commento all'opera di Anna Comnena (il poema in prosa scritto
in onore del padre, comunemente noto col nome di "Alessiade",
ma più precisamente "Istorikon pònema perì
tou Alexiou Komnenou") e di Niceforo Brienio (che aveva scritto
la prima parte della vita di Alessio I, riprendendola dal predecessore
Niceforo Cotoniate, fino al 1079, proseguita poi da Anna Comnena
- v. Cap. VIII: I mille anni dell'impero bizantino).
In Inghilterra la bizantinistica non aveva avuto lo stesso interesse come presso i francesi, dove, come abbiamo visto, aveva ricevuto la spinta della concezione statale bizantina e dell'assolutismo, ma uno sconosciuto "tutor", Richard Bentley, scrisse una lunga dissertazione all' "editio principis" della "Cronaca" di Malala (Oxford 1691) sotto forma di lettera al suo editore, John Mill: "Epistula ad Millium", in cui fissava i termini della moderna filologia greca e bizantina, secondo il metodo "empirico-induttivo" che nello stesso periodo e nella stessa Oxford era stato teorizzato da John Locke.
In Germania l'antipapismo protestante aveva avviato la laicizzazione
della storia dell'impero e della storia bizantina.
Hieronimus Wolf (1516-89), segretario dei Fugger (famosi mecenati
e banchieri di Carlo V), allievo del "praeceptor Germaniae"
Filippo Melantone (1), aveva pubblicato l' "editio principis"
della "Cronaca" di Zonara (riversata nel "corpus"
parigino), la "Storia" di Niceta Coniata e una parte
della "Storia" di Niceforo Gregora.
Era stato Wolf, scrive la Ronchey, che aveva avuto l'idea del
"Corpus Historiae Byzantinae" ripreso dai francesi per
il "corpus" del Louvre e riversato successivamente nel
"Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae" pubblicato
a Bonn (1828-97).
Anche la Germania non aveva avuto per il momento uno sviluppo
storico degno degli studi francesi. La simpatia per Bisanzio da
parte degli studiosi tedeschi, scrive la Ronchey, era stata determinata
dal comune schieramento antipapale e la si può inserire
(con l'Inghilterra innanzi esaminata) nel filone olandese dei
nordici protestanti.
In Germania, quindi, abbiamo gli allievi di Wolf, Holzmann e Hoeschel,
quest'ultimo editore della "Biblioteca" di Fozio, di
un volume degli "Excepta Constantinianae" e delle "Guerre"
di Procopio, e Giovanni Leonclavio. In Olanda, Vulcanio e De Meurs
e in Italia, Niccolò de' Tedeschi e Leone Allacci (1586-1669),
autore di "Graeciae ortodoxae scriptores" (Scrittori
della Grecia ortodossa).
Nel '600, tre raccolte di fonti anticiparono la fondamentale che
il Fabricius dava alle stampe il secolo successivo. Sono del 1677
i due volumi del "De byzantinarum rerum scriptoribus graecis"
(Sugli scrittori greci di cose bizantine), pubblicati a Lipsia
da Martin Hankius, che seguivano i quattro libri degli "Historici
graeci" di Vossius del 1623.
Nel 1699 fu pubblicata a Ginevra "Scriptorum ecclesiasticorum
historia letteraria" (Storia letteraria degli scrittori ecclesiastici)
di William Cave (1637-1713). Una seconda edizione arricchita sarebbe
stata stampata alcuni anni dopo l'uscita della "Biblioteca"
di Fabricius.
Tutto questo, scrive la Ronchey, non portò a un interesse
organico, ma rimase circoscritto a un'attività di divulgazione
erudita: "si procedeva a tentoni" aveva scritto Ostrogorsky.
Per questo è giusto collocare la nascita degli studi di
storia bizantina sulla scia di Tillemont piuttosto che su quella
di Melantone e Wolf o di Hank e Cave.
La storiografia politica moderna si costituì nel
'700 di Voltaire e Montesquieu. Il razionalismo illuminista reagisce
contro la storiografia bizantina, che coinvolge la polemica contro
il cristianesimo oscurantista, dominante in Condorcet ("Esquisse
d'un tableau historique des progrés de l'esprit humaine
- Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano)
e in Voltaire ("Dictionnnaire philosophique"- Dizionario
filosofico ed "Essai sur les meurs" - Saggio sui costumi).
Non a caso per Voltaire "la decadenza dell'impero romano
era iniziata con il barbaro ed effeminato Costantino", la
storia della Chiesa era inondata di sangue, poiché da Costantino
a oggi "i cristiani non fanno che massacrarsi a vicenda"
e la storiografia bizantina non era che una "collezione senza
valore di declamazioni e miracoli".
Montesquieu, che si era interessato alla storia di Bisanzio, aveva
visto la storia dell'impero come "la descrizione di un continuo
precipitare", la politica bizantina "turbata dai monaci"
e Bisanzio "un tessuto di rivolte, sommosse e infamie varie".
Tuttavia, l'illuminismo francese, se pur antibizantino, prosegue
la Ronchey, aveva avuto un merito fondamentale, quello di aver
allargato il concetto di storia universale ai costumi e ai popoli
del sistema mondiale, superando l'ottica eurocentrica e cristianocentrica.
E proprio questo col tempo farà crescere l'interesse per
Bisanzio, impero multietnico, non europeo e non cattolico, che,
nel nostro secolo, verrà ripreso dalla scuola materialista
e neopositivista degli "Annales".
Si passa quindi alle due grandi opere storiche del '700
di Gibbon e Lebeau, che vedevano la storia di Bisanzio come "la
storia di una decadenza durata undici secoli".
Edward Gibbon (1737-1794) aveva avuto una vita breve (secondo
gli attuali canoni), ma ricca di studi ed esperienze. Quanto al
suo particolare <stile letterario>, nel libro "Essai
sur l'etude de la littérature" (1761) sosteneva una
difesa degli "antichi" in funzione della loro "erudizione"
ed il superamento della storia "retorico-umanista" con
una concezione moderata della storia "filosofica", aliena
da ogni dogmatismo settario e radicale.
Gibbon, ci spiega la Ronchey, si ricongiunge da un lato alla vecchia
erudizione seicentesca, dall'altro nell'indugiare della narrazione
sugli avvenimenti presi nella loro singolarità, originalità,
irriducibilità a schemi razionalistici anticipa la storiografia
romantica di Herder.
In "Decadenza e caduta dell'impero romano" (Londra 1766-88),
egli aveva seguito lo schema di Montesquieu: unità del
processo di decadenza della storia dell'impero, per la corruzione
delle libertà repubblicane, con l'ultimo risultato della
decadenza degli eserciti.
Charles Lebeau, definito da Gibbon "un gentiluomo e uno scolaro",
aveva pubblicato la sua "Storia del basso impero" tra
il 1757 e 1784, un'opera prolissa e quasi illeggibile (secondo
Leon Bloy), con qualche germe di nazionalismo. Ebbe una ristampa
nel 1824 e fu in ogni caso presente in tutte le biblioteche dei
letterati dell'800.
Il maggior contributo del secolo allo studio della storia
di Bisanzio fu dato dall' opera di Johann Albert Fabricius (1688-1736),
considerato il fondatore della storiografia della letteratura
classica con <Biblioteca greca> (14 voll., 1705-1728), in
cui sono enumerati tutte le edizioni ed i commentari degli autori
greci e bizantini (2). A quest'opera, ancora oggi in uso, fu apportato
un parziale rifacimento nell'800, da parte di Harless.
Altro significativo contributo del Settecento alla conoscenza
delle fonti bizantine fu il "De cerimoniis" di Costantino
Porfirogenito, edito e commentato per la prima volta da Johann
Jakob Reike e Heinrich Leich (Lipsia 1751-54), rimasto però
per settant'anni poco conosciuto e ripubblicato nel "Corpus"
di Bonn (1822).
Con "Idee sulla filosofia della storia dell'umanità"
(Ideen zur Philosophie der Geshichte der Menschheit 1784-91) di
J. G. Herder (3), il problema della nazione entra per la prima
volta come criterio di giudizio nella storia dell'impero. Roma,
"la caverna dei briganti", con il suo imperialismo violento
e oppressore pone la causa prima e necessaria della decadenza.
Con Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), ai primi dell'800, questi
concetti si uniscono al sentimento antimperiale lasciato (particolarmente
in Germania) dall'esperienza napoleonica. Niebhur, docente all'Università
di Berlino, riteneva di temprare lo spirito dei suoi allievi sulla
storia del popolo romano, ch'egli vedeva in maniera romantica,
immaginandolo come un ceto di liberi contadini in lotta con il
patriziato oppressore.
La sua "Storia romana" (Römische Geschichte) era
stata ispirata dalla sua idea di un riscatto dell'antica storia
di Roma dal caos. Essa portò uno spirito nuovo nel metodo
storico e influenzò tutta la storiografia successiva, essendo
stata la prima trattazione critica e nello stesso tempo organica
della storia romana.
Nelle "Conferenze sulla storia romana" (Vorträge
über die römische Geschichte) per Niebuhr "quella
dell'impero è la storia di una grande massa corrotta dove
la violenza sola decide, dove la sorte di cento e più milioni
di uomini poggia su un solo individuo e sui pochi che formano
il suo più immediato seguito".
Su queste basi l'edizione di Agazia (4) di Niebuhr
(1828) inaugurò il nuovo "Corpus" bizantino di Bonn.
Il "Corpus" del Louvre si era concluso con l'edizione
di Leone Diacono. Con il Congresso di Vienna (1814-15), scrive
la Ronchey, vi fu un cambio della guardia tra la Francia e la
Germania, anche negli studi bizantini, che corrisponderà
all'ascesa della monarchia prussiana iniziata con il Grande Elettore
Federico Guglielmo (1640-88), proseguita con Federico Guglielmo
I (1713-40) e suo figlio Federico II il Grande (1740-86), sebbene
Hegel, nelle "Lezioni sulla filosofia della storia"
(Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte) avesse
visto nell'impero bizantino "un disgustoso panorama d'imbecillità,
in cui un groviglio di passioni scellerate e folli ha soffocato
la crescita di tutto ciò che è nobile in pensieri,
fatti e persone".
Dal romanticismo, che esaltava l'Ellade e il patriottismo
filellenico, derivarono dapprima in ambito anglosassone e tedesco
e poi neogreco una serie di opere storiografiche, in cui l'unificazione
della storia classica e bizantina era data proprio dalla continuità
dell'elemento etnico. E' questa l'impostazione di opere come "History
of Greece from the conquest by the romans to the present time"
(Storia della Grecia dalle conquiste romane al tempo presente)
di George Finlay, che andava dal 146 a C. al 1864 (alla morte
dell'autore essa fu completata da un suo amico, F. Tozer - Oxford
1877) e come "Geschichte Griechenlands vom Beginn des Mittelalters
bis auf unsere Zeit" (Storia della Grecia dall'inizio del
medioevo fino al nostro tempo) di Karl Hopf (Leipzig 1867-68)
e ancora, dipendente da questa, la "Geschichte Griechenlands
seit dem Absterben des Antiken Lebens bis zur Gegenwart"
(Storia della Grecia dal tramonto della vita antica fino al nostro
tempo) di G.L.F. Hertzberg (Gotha, 1876-78) e "De Thessalonica
eiusque agro" (Su Thessalonica ed il suo territorio agricolo)
di G.F. Tafel (editore degli "Opuscula" di Eustazio).
L'esperienza napoleonica, negativa per la Germania, era diventata
per la Francia il punto di riferimento per un' interpretazione
positiva dell'impero in quanto instaurazione di una più
vasta unità sopranazionale fra gli Stati. Per questo nel
periodo del Primo e Secondo Impero la cultura storica francese
si collegò in parte a quella dell'età dell'assolutismo.
Inoltre, la restaurazione religiosa fece tornare di attualità
la teoria dell'interdipendenza tra la storia dell'impero e la
storia della Chiesa, alla quale serve da base non più il
provvidenzialismo agostiniano, ma la nuova formulazione laica
dello storicismo hegeliano.
Opere storiche ed erudite, prodotte in Francia nell'epoca di Napoleone
III e del colonialismo, tendevano ad esaltare la sopranazionalità
della storia dell'impero romano, la cui struttura statale e burocratica
è "continua assimilatrice di nuovi barbari".
Francois-André Isambert dedicò un'opera all'impero
di Giustiniano, "Histoire de Justinien" , Paris 1856,
che fece epoca. Questa conteneva la prima traduzione in francese
degli "Anedokta" di Procopio.
Nel "Tableau de l'empire romain depuis la fondation de Rome,
jusqu'à la fin du gouvernement impérial en Occident"
(Quadro dell'impero romano dopo la fondazione di Roma, fino alla
fine del governo imperiale in Occidente) del 1862, A. Thierry
aveva visto la caduta dell'impero d'Occidente come una "catastrofe
imprevista".
Il dibattito politico tardobizantino sull'impero si rispecchia
in maniera implicita o esplicita in opere biografiche come quella
di Parisot su Giovanni VI Cantacuzeno (1845) e di Berger de Xivrey
su Manuele II (1823), i due più importanti imperatori della
dinastia paleologa.
Vi è da aggiungere, in questo periodo, lo studio della
storia del diritto romano bizantino di Morteuil, che anticipa
quello di Zachariä von Lingental; ad entrambi si aggiungono
gli studi di Bernhard Winscheid (1817-1892) sul "Manuale
di Diritto delle Pandette" (Lehrbuch der Pandektenrechts),
vale a dire dello studio del diritto germanico di derivazione
romano-bizantina, il quale partecipò (1874-83) alla elaborazione
del primo codice civile germanico.
La crisi balcanica portò un interesse europeo verso il
Mar Nero e, nella seconda metà dell'800, l'estetismo e
l'esotismo del gusto artistico e letterario contribuirono al risveglio
dell'interesse per Bisanzio anche presso il pubblico non specializzato.
In questo periodo Emmanuel Miller (discepolo di Hase) visitò
e descrisse le antichità bizantine dei monasteri del Monte
Athos ("Le monte Athos" pubblicato postumo nel 1889).
Il rappresentante della bizantinistica di questo periodo
fu Alfred Rambaud (1842-1905), senatore e ministro della pubblica
istruzione nella Francia della Terza Repubblica, autore con Ernest
Lavasse (1842-1922) della "Storia Universale dal IV sec.
ai nostri giorni" (in dodici volumi; ogni volume diviso in
capitoli, ciascuno dei quali è trattato da uno specialista
della materia).
In Rambaud, che aveva studiato il periodo di Costantino Porfirogenito
("L'empire grec au Xme siécle - Constantine Porfyrogenéte",
Paris 1870), scrive la Ronchey, l'interesse per Bisanzio si fondeva
con quello per il grande erede spirituale della Seconda Roma,
l'impero russo della Terza Roma.
E' il periodo della guerra di Crimea (1853-56), in cui lo zar
si erge a difensore della cristianità nei luoghi santi
dell'Armenia e Bessarabia contro i turchi della Sublime Porta.
Il fascino per il mondo russo, proprio della cultura francese
dell'800, acquisterà importanza politica con gli scambi
della Duplice franco-russa.
Rambaud abbandonerà gli studi bizantini per passare alla
storia russa nello stesso periodo in cui le basi scientifiche
di questa disciplina venivano poste dallo slesiano Ernst Kumik
e dallo svizzero Edward von Muralt, autore del celebre "Essaix
de cronographie byzantine" (Saggio sulla cronografia bizantina
- Pietroburgo, 1855-71).
Sulla scia di Rambaud, gli studi bizantini in Francia furono continuati
da Schlumberger e Diehl.
Gustave Schlumberger (1877-1968) riuscì ad unire il metodo
storiografico positivo di stampo mommseniano ad una grande capacità
divulgativa, che favorì una diffusione dell'immagine bizantina
("imagerie" nel testo, ndr.) nella letteratura del decadentismo.
Le pubblicazioni più tecniche di Schlumberger riguardavano
repertori di numismatica e sigillografia con "Description
des monnais byzantines", iniziata da J. Sabatier e proseguita
e terminata da Schlumberger (1862). Essa ancor oggi costituisce
opera di consultazione, affiancata (recentemente) dai cataloghi
di Cécile Morrisson ("Catalogue des monnais bizantine
de la Biblioteque Nazionale", 1970) e di Philippe Grierson
("Byzantines Coins" - Conii bizantini, 1982), oltre
ai tre volumi di "Moneta imperii bizantini" di Hahn.
Per la sigillografia, di cui la bizantinistica si serve sempre
più spesso, Schlumberger pubblicò "Sigillographie
de l'Empire byzantine" (1884), che costituisce un caposaldo
alle origini del "corpus" diretto da Laurent (1963-81)
e del repertorio di Dumbarton Oaks pubblicato sotto la direzione
di Nikos Oikonomides.
La vocazione narrativa di Schlumberger aveva prodotto, scrive
la Ronchey, uno dei capolavori della bizantinistica, l' "Epopée
byzantine" (4 voll. 1896-1905) riguardante la storia dell'
"età d'oro" dell'impero bizantino, da Niceforo
Foca (803-811) alla fine della dinastia macedone (1057) (v. I
mille anni dell'impero bizantino e Cronologia degli imperatori
bizantini), che si pone in concorrenza e si sovrappone alla "Cronografia"
di Michele Psello.
Questo libro ispirò a Léon Bloy l'opera: "Contantinople
et Bysance", all'origine della moda bizantina in Francia
(e anche in Italia) a cavallo tra i due secoli.
Altro esponente di questa bizantinistica di alto livello e anche
letterariamente colta fu Charles Dihel, considerato il fondatore
della bizantinistica moderna con il suo "Empire byzantin"
(1919), oltre a saggi sull'amministrazione bizantina in Egitto
e a Ravenna e "Figures byzantines" (1908), che si colloca
tra erudizione, biografia e romanzo.
Alla scuola parigina di questo periodo appartengono bizantinisti
come Ferdinand Chalandon, storico dei Comneno, e Louis Bréthier,
autore di "Monde Byzantin".
Dalla Francia l'estetica bizantina giunse in Italia attraverso
Giosuè Carducci (1835-1907) e Gabriele d'Annunzio (1863-1938)
e artisti che facevano capo alla "Cronaca bizantina"
dell'editore Angelo Sommaruga (5).
A questo movimento artistico-letterario, scrive la Ronchey, non
corrispose un'attività scientifica come abbiamo riscontrato
in altri paesi, all'infuori della traduzione delle "Guerre"
di Procopio da parte di Domenico Comparetti (1835-1927) e dell'oasi
bibliografica del Vaticano.
Questa deprecabile assenza dell'Italia, precisa la Ronchey, è
stata dovuta alla circostanza che gli ambienti eruditi dell'epoca
immediatamente postunitaria erano occupati in un'opera di ricostruzione
e legittimazione della storia nazionale.
Il gravitare dell'Italia sia del Sud (Temi di Calabria e Sicilia)
sia del Nord (Esarcato di Ravenna e Pentapoli) in un'orbita non
romana e non italiana, con la presenza istituzionale di Bisanzio
e l'influsso della cultura politica bizantina, non erano argomenti
che gli studiosi della questione meridionale sollevassero volentieri
(6).
La nascita della bizantinistica come scienza moderna, prosegue
la Ronchey, è stata concordemente fissata negli anni ottanta
dell'800. L'impulso era venuto dalla Germania della "Nuova
Era" prussiana. Era il secondo dopo quello di Luigi XIV.
Siamo a Teodoro Mommsen, preceduto da Khun nello spoglio delle
fonti amministrative nello studio delle strutture urbane: "Die
städtische und bürgerliche Verfassung des römischen
Reiches" (La costituzione delle città e dei cittadini
dell'impero romano) del 1864; "Über die Entstehung der
Städte der Alten" (Sulla nascita delle città
antiche) del 1878, nell'epoca storiografica della "Grundlichkeit"
(Approfondimenti), con la storiografia multilaterale (giuridica,
documentaria, epigrafica).
La "Römische Geschichte" (Storia di Roma) di Mommsen
non riguardò direttamente l'impero, ma la Storia delle
sue province (1885) e testimoniava (come aveva scritto il Momigliano)
che "il dissidio tra valori nazionali e supernazionali, tra
repubblica e impero, era composto nel riconoscere che attraverso
lo Stato romano si era fuso con la civiltà ellenica e,
potenziando o creando la struttura urbana, aveva reso possibile
la più durevole e pacifica convivenza di popoli che fosse
mai esistita".
Con la prospettiva positivistica, la bizantinistica si inserì
sul nuovo terreno di cultura dell'erudizione tedesca, innestandosi
nell'organismo culturale che vi era cresciuto.
Nella serie dello "Handbuch" (Manuale) di Otto Müller,
Karl Krunbacher (1854-1909) pubblicò (1891) la "Geschichte
der byzantinischen Literatur" (Storia della letteratura bizantina),
che secondo Ostrogorski è da considerare "il più
grandioso monumento di erudizione e d'indagine filologica tra
gli studi bizantini dai tempi di Du Cange".
Krumbacher l'anno successivo fondò la "Byzantinische
Zeitscrift" (Rivista bizantina), che ancora oggi, scrive
la Ronchey, rimane il principale organo di bizantinistica internazionale.
Krumbacher fondò anche il "Seminar für mittel
und neuegrieschische Philologie" (Seminario di filologia
greca medievale e moderna) dell'Università di Monaco, divenuto
il primo grande centro bizantinistico internazionale.
Nello stesso periodo Eduard Schwartz, nella prefazione alla "Storia
ecclesiastica" di Eusebio (1903), aveva aperto nuovi orizzonti
alla prassi della "filologia" (prassi ecdotica nel testo,
ndr) dei testi greci e sperimentato una nuova critica del testo
su tradizioni storiografiche interpolate come quelle ecclesiastiche
bizantine.
Contemporaneamente, Karl Zachariä von Lingenthal (1812-94)
aveva messo a disposizione degli studiosi due strumenti, ancor
oggi indispensabili, ci dice la Ronchey, per lo studio del diritto
e dell'amministrazione interna dello Stato bizantino: lo "Jus
graeco-romanum" (1856-84) che ne raccoglie le principali
fonti e la "Geschichte des grieschisce-römischen Rechtes"
(Storia del diritto greco-romano) del 1892, di cui si parlerà
più avanti nella parte della bizantinistica russa ("Storia del diritto
greco-romano" di Zachariä von Lingenthal).
Il lavoro di edizione delle fonti diplomatiche, che darà
inizio agli studi di storia socio-economica bizantina, fu portato
avanti anche nell'impero austro-ungarico a Vienna tra il 1860
e 1890 con la pubblicazione degli "Acta et diplomata greca
medii aevi sacra et profana" (Atti e documenti greci sacri
e profani del medioevo) di Franz Miklosich e Josef Müller.
Tra gli studi storico-descrittivi su Bisanzio, nella Germania
di quel tempo, la Ronchey cita la "Weltstellung des byzantinischen
Reisches vor den Kreuzzügen" (Prospetto generale dell'impero
bizantino prima delle crociate) di Karl Neumann del 1894; l' "Abriss
der byzantinischen Kaisergeschichte" (Lineamenti di storia
dell'impero bizantino), così designata da Heinrich Gelzer
nell'appendice alla seconda edizione della "Literatur"
di Krumbacher e gli studi dello stesso Gelzer sulla struttura
amministrativa dei temi: "Genesis der byzantinischen Themenverfassung"
(Genesi della costituzione dei temi bizantini) del 1899.
Da ultimo, le edizioni e riedizioni di fonti fornite da August
Heisemberg, successore di Krumbacher al Seminar di Monaco.
Durante il periodo di riassetto dei Balcani, dal Congresso
di Berlino (1878) alle guerre balcaniche (1912-13), gli intellettuali
serbi, croati, rumeni, bulgari e greci, parallelamente alle lotte
per l'indipendenza dall'impero ottomano, promossero un risveglio
degli studi di storia nazionale.
Gli studi di esegesi delle fonti e di storia del medioevo non
erano evidentemente scindibili da quelli di bizantinistica, con
la conseguenza che questa fu coltivata dai migliori intelletti
disponibili.
Il crescere del nazionalismo bulgaro negli anni precedenti la
Grande Guerra trova il suo riscontro nell'opera di ricostruzione
di Muftacief col suo intervento significativo nel dibattito sulle
libere comunità contadine, seguito da Nikov e in particolare
da Zlatarski, che all'inizio del secolo si occupò della
"Cronaca" di Simeone Logoteta.
La storia bizantina del giovane stato greco e il patriottismo
neo-ellenico si fusero in opere come "Istoria tou ellenikon
etous" (Storia della civiltà greca) del 1860-77 di
Paparrigopoulos (ne è un "estratto" - abregé
nel testo, ndr - l' "Histoire de la civilisation ellenique"
uscito a Parigi nel 1878) che va dalle origini al 1832 o l' "Istoria
tes Ellados" (Storia dei greci) di Lampros del 1888-92, dalle
origini al 1453.
L'opera di Paparrigopoulos, scrive la Ronchey, proponeva tra l'altro
un'ardita interpretazione dell'iconoclasmo come una rivoluzione
social-nazionale che ebbe risonanza nella bizantinistica russa,
specie dopo la pubblicazione della traduzione francese (Parigi
1878).
Secondo Paparrigopoulos, il movimento da cui dipende il "Nomos
georgikos" (Consuetudini dell'agricoltura), che ebbero come
risultato l'abolizione della schiavitù, portarono "al
trionfo definitivo dell'ellenismo sul romanismo".
La ricerca e l'edizione delle fonti vennero proseguite da Bees,
Sathas - editore della "Cronografia" di M. Psello nella
"Mesaionike biblioteke" (Biblioteca dell'Asia minore),
Venezia 1872-77, e autore della storia della turcocrazia "Tourkokrapoumene
Ellas" (Turcocrazia greca) del 1869 e dallo stesso Lampros,
che fu l'instancabile "factotum" della rivista "Neos
Ellenomnenon" (Nuovi Elleni) e dei benemeriti "Palaiologeia
kai Peloponnesiakà" (Paleologia del Peloponneso).
A questo periodo appartengono anche i lavori di Tafrali sulla città
di Tessalonica, pubblicati a Parigi (1913-19), con la sua provocatoria
tesi sulla "rivoluzione zelota" nel volume "Thessalonique
au XVI siècle".
Gli anni a cavallo dei due secoli fino alla Rivoluzione
d'Ottobre, prosegue la Ronchey, sono quelli del grande bizantinismo
russo.
A partire dagli anni quaranta dell'800, l'interesse per la zona
di frontiera geografica, ma anche storica e culturale, tra mondo
slavo e mondo islamico era stato risvegliato dall'incrementarsi
del commercio orientale e dalle nuove configurazioni dello scacchiere
politico.
Il continuo attrito con gli imperi centrali porta la strategia
zarista verso la frontiera danubiana e caucasica. E' del 1855
l'annessione e ricostruzione di Kars, in Armenia, da parte di
Alessandro II e del 1865 il trattato di Parigi sulle Bocche del
Danubio e la Bessarabia, con la neutralizzazione del Mar Nero.
L'insorgere del movimento slavofilo dà luogo ad una rivalutazione
di Bisanzio da parte dell'intellettualità populista russa,
non solo di quella tedesca. La moda slavofila ha peraltro le sue
radici filosofiche nel rifiuto del progresso e delle forme sociali
e culturali dell'Europa borghese e razionalista, cioè nel
misticismo di Shelling e nel suo concetto di nazione organica.
Inoltre, precisa la Ronchey, il panslavismo politico, con cui
lo slavofilismo era connesso già all'inizio del secolo,
era stato per gli zar un modo d'incoraggiare il separatismo delle
nazionalità slave balcaniche in funzione antiaustriaca.
In Russia, l'esempio maggiore del bizantinismo slavofilo nella
seconda metà dell'800 è forse "Bizantinismo
e mondo slavo" (1875) di Konstantin Leont'ev.
Il reazionario e mistico Leont'ev - al cui pensiero si ispirano
attualmente alcune correnti della destra postcomunista sovietica
- vide in Bisanzio l'idea-forza, il principio universale in grado
di organizzare e modellare l'elemento popolare (demotico nel testo,
ndr) russo, fin dal VII secolo maggioritario nei suoi territori.
"La verità e la bellezza del popolo russo non si manifestano
nel genio delle masse, ma nelle discipline bizantine che organizzano
e plasmano questo genio a loro propria immagine".
Leont'ev era stato diplomatico dello zar in Turchia. Nel suo antiprogressismo
ed antieuropeismo si anticipano non solo le tesi del "Nuovo
medioevo" di Berdjaev (1923), suo studioso e seguace, ma
soprattutto i temi di Spengler e poi di Guénon sul tramonto
dell'Occidente e sulla prevalenza dell'Islam.
Oltre che slavofilo, Leont'ev è turcofilo. Il giogo ottomano
è salutare ai popoli balcanici, perché impedisce
loro "di sprofondare definitivamente nell'abisso del progresso
democratico europeo". Solo il mondo ortodosso e quello musulmano
hanno un grande avvenire.
La Russia ha la missione storica di riscattare l'Europa esausta,
assolvendo al ruolo mediatorio tra Europa ed Asia, che fu già
bizantino.
Per poter svolgere questa missione la Russia deve tornare, appunto,
alla gravitazione orientale che fu di Bisanzio a partire dal VII
e dall'VIII secolo e unirsi "con i popoli asiatici e di religione
non cristiana [
] per il semplice fatto che tra di loro non
è ancora irrimediabilmente penetrato il moderno spirito
europeo".
La critica alla borghesia, nel secondo Ottocento tedesco e russo,
si esercitava da due parti e non da una sola.
La tendenza slavofila, nella sua formulazione germanica, contagiò
nello stesso periodo la bizantinistica tedesca e in particolare
le sue ricerche di storia agraria.
L'interpretazione del "Nomos georgikos" e della "Sentenza
di Cosma" all'interno della "Storia del diritto greco-romano"
di Zachariä von Lingenthal non si spiega se non con l'influsso
della teoria del comunismo antico-slavo e della proprietà
collettiva della terra (obcina) nell'antica Russia e in
generale della voga slavofila tedesca.
Le tesi di Zachariä furono accolte e sviluppate dagli studiosi
russi della generazione successiva ed in questo modo la scuola
storiografica russa si strutturò intorno al problema della
proprietà della terra e delle libere comunità contadine
e quindi su un'impronta genetica socio-economica.
L'interesse per la storia agraria e per la tradizione comunitaria
e assembleare dell'antica Russia, scrive la Ronchey, è
del resto parallelo al dibattito sul feudalesimo, che nello stesso
periodo monopolizza i medievisti.
Il padre fondatore della storiografia bizantina in Russia fu Vasilij
Grigorévic Vasil'evskij (1838-99). Nei suoi studi, come
in quelli di Fëodor Ivanovic Uspenskij (1845-1928), la tendenza
slavofila del bizantinismo russo è molto evidente.
Dalla ricostruzione dei rapporti bizantino-russi e bizantino-peceneghi
e delle affinità tra la storia bizantina, slava e antico
russa, gli interessi di Vasil'evskij si convertirono alla storia
agraria dopo l'uscita della "Geschichte" di Zachariä.
Dopo la riforma agraria e amministrativa di Alessandro II, è
l'epoca (tra il 1860 e il 1890) della grande crisi economica e
politica e della penetrazione del marxismo nel movimento populista.
In una serie di studi degli anni settanta, Vasil'evskij riprende
l'argomentazione di Zachariä e in parte anche la teoria di
Paparrigopoulos sulla rivoluzione iconoclasta, depurandola dagli
elementi nazionalistici e dandole un carattere sociale. Vasil'evskij
accetta pertanto sia la tesi generale dell'influsso slavo sulle
strutture agrarie bizantine, sia la lettura del "Nomos georgikos"
come indicante una proprietà collettiva della terra nella
libera comunità contadina dell'VIII secolo.
Lo stesso fecero Aleksei Stepanovic Pavlov (1832-1898) e Uspenskij,
sia negli articoli degli anni ottanta, sia nel primo volume dell'
"Istoria vizantiniskoj imperii" (Storia dell'impero
bizantino) intrapresa nel 1913 e tuttora incompleta (I:1913; II:1927;
III:1948, manca il 2° tomo del vol. II). Le pubblicazioni
furono interrotte dalla Rivoluzione d'Ottobre e non vide mai la
luce la parte relativa agli anni 867-1081.
La teoria delle libere comunità contadine insegna molto
più sulla Russia ottocentesca, scrive la Ronchey, che su
Bisanzio. L'entusiasmo che sollevò servì tuttavia
ad alimentare studi più seri sulla storia agraria dell'impero,
i quali ben presto demolirono il loro stesso punto d'avvio.
Che il comunismo delle comunità rurali non sia mai stato
una verità storica e che anzi le clausole del "Nomos
georgikos" e il sistema delle "epibole" (sovrapposizioni,
ndr) abbiano incrementato il sistema della proprietà terriera
individuale e non fatto trionfare l'egualitarismo e il collettivismo
venne dimostrato ai primi del secolo da Boris Amfionovic Pancenko
(1872-1920): la proprietà della terra a Bisanzio non era
"collettiva", ma "statale" e l'aggettivo "koinos"
andava inteso, nelle fonti, nel senso del latino "publicus".
Pancenko riaffermò la piena ascendenza romana del diritto
fondiario bizantino.
Sulla linea di Pancenko procedette Pavel Vladimirovic Brezobazov
(1859-1918), che negli anni dieci negò l'influsso della
legislazione slava sia sull'origine, sia sull'organizzazione della
libera comunità contadina a Bisanzio.
Come conseguenza della prima rivoluzione russa (1905) si ebbero
le nuove riforme agrarie, l'abbandono del sistema dei "mir",
l'abolizione della proprietà comune e la ricostituzione
fondiaria.
Mentre aumentava il proletariato agricolo, si progettò
la colonizzazione della Siberia. In questa fase della storia russa
la "teoria slava" venne attaccata e demolita del tutto
dall'ultimo esponente della bizantinistica socio-economica del
periodo pre-rivoluzionario, Konstantin Nikolaevic Uspenkij (1874-1917)
(da non confondersi con Fëodor Uspenkij).
Secondo Konstantin Uspenkij, dalle prime invasioni del VI sec.
fino alle devastazioni e ai "pogrom" dell'VIII sec.,
slavi e àvari erano "genti disorganizzate e completamente
prive di coscienza di classe, masse caotiche senza nozione alcuna
di vita associata o di economia [
]
erano orde capaci
solo di devastare, demolire, disperdere, terrorizzare, sommuovere,
turbare la civile convivenza e nulla di più. E' stato un
grave errore pretendere che gli slavi del VII-VIII secolo avessero
portato a Bisanzio il modello comunitario e così informato
di sé e rafforzato le strutture dell'impero".
Nella seconda metà dell'Ottocento e all'inizio del Novecento
la scuola storiografica russa ebbe quindi un ruolo trainante per
gli studi di bizantinistica in genere e fondante, si può
dire, per la bizantinistica socio-economica.
Oltre alle opere già menzionate, è opportuno citare,
sulla scia di Vasil'evskij, le analisi di Jakovenko sui documenti
bizantini; gli studi sulla politica interna dell'impero di Jakovenko
e di Bezobrazov; la storia dei rapporti bizantino-arabi nel IX
e X secolo di A.A. Vasil'ev (1900-02); alla vigilia della rivoluzione,
la grande storia dell'impero protobizantino (295-717) di Kulakovskij
(I-III, Kiev 1913-15).
La classificazione e la ricerca sulle fonti erano nel frattempo
portate avanti da studiosi di varie nazionalità come Papadopoulos-Kerameus
e già prima da Destunis e Nauck, attivi a Pietroburgo,
dove nel 1894 Vasil'evskij fondò la rivista "Vizantiniskij
Vremennik" (Stato bizantino). Per breve tempo, inoltre, alla
vigilia della rivoluzione la bizantinistica storica russa ebbe
anche un altro organo specifico, "Vizantijskoe Obozrenie"
(Osservatorio bizantino), che nacque nel 1915 e cessò le
pubblicazioni (così come il celebre "Zurnal Ministerstva
Narodnago Prosvecenija"(Rivista del Ministero della Cultura Popolare), che aveva ospitato la quasi
totalità dei contributi della scuola socio-economica ottocentesca)
nell'ottobre 1917.
Pur tacendo, e non casualmente - precisa la Ronchey - nel ventennio
1929-1949 in conseguenza dell'ostilità verso la bizantinistica
e verso il passato bizantino da parte del potere sovietico nella
sua prima fase, e da allora in poi uscendo con alterna regolarità,
il "Vizantiniskij Vremennik" è stato il corrispettivo
del "Bizantinische Zeitschrift" d'oltrecortina, e oggi
continua a esistere.
Dopo la rivoluzione e una volta superata la fase antibizantina
del bolscevismo ("allergico - come ha scritto Bertrand Hemmerdinger
- a tutto quanto avesse legame con Costantinopoli, giacché
Tsrgrad-Costantinopoli era stato obiettivo di guerra per la Russia
zarista durante il conflitto imperialista") con la riabilitazione
staliniana, la scuola economico-sociale russa seguitò ad
occuparsi delle comunità rurali, della legislazione terriera
e della storia della proprietà contadina a Bisanzio, ma
si pose anche molti falsi problemi in una prospettiva sempre più
influenzata dalle teorie marxiste-leniniste e con intenti sempre
più ideologici che scientifici (un esempio affascinante
è quello, già menzionato, dell'esegesi del bogomilismo
slavo come movimento sociale antimperialista, presente nella storiografia
marxista bulgara ancora in tempi recenti).
Con un vistoso passo indietro rispetto ai risultati di Pancenko,
Brezobrazov e Konstantin Uspenskij (che spesso gli studiosi della
generazione post-rivoluzionaria ignoravano), la vecchia teoria
slavofila rivisse negli studi sull'evoluzione sociale ed economica
dell'impero, che postulavano l'influsso della struttura sociale
slava e il suo contributo determinante alla formazione di rapporti
"più progressivi" di tipo feudale.
Gli studi sul "Nomos georgikos" furono continuati da
Lipic e Sjuzjumov; quest'ultimo tradusse il "Libro
dell'eparco" e studiò l'evoluzione delle città
bizantine e dei loro rapporti di produzione. Alla de-urbanizzazione
del cosiddetto periodo di gestazione del feudalesimo bizantino
sarà dedicato, nel dopoguerra, il primo importante studio
di un polemico estimatore di Sjuzjumov quale fu Kazhdan.
La scuola marxista sovietica, prosegue la Ronchey, ammette
d'altronde il forte influsso di Marc Bloch e della "storia
vivente" dei primi "Annales" di Bloch e Lucine
Febvre (1929).
Il loro taglio marxista, economico e storico-agrario (che alla
fine degli anni trenta darà origine ai grandi saggi sulla
"Storia agraria francese" e sulla "Società
feudale") è influenzato dalla sociologia di Durkheim
e dalla psicologia sociale. Questo metodo fu applicato all'analisi
di Bisanzio da Guilland, ma anche in parte, come si è detto,
da Louis Bréhier e in seguito dal grande Paul Lemerle e
soprattutto da Hélène Ahrweiler, André Guillou,
Evelyne Patlagean.
In questo ramo occidentale della scuola sociale è stato
più rapido che in quello sovietico il processo di laicizzazione
ideologica, di de-marxistizzazione: già in parte con Fevbre
e poi definitivamente con "Mediterraneo" di Braudel
(1949; ripubblicato da Einaudi 2002, ndr.) l'indirizzo materialista
diviene neopositivismo geografico.
All'origine della sua applicazione agli studi bizantini possono
collocarsi peraltro le recensioni di Guilland, la cui originalità
scientifica e importanza per la ricostruzione della genesi dell'indirizzo
metodologico "annalistico" sono state di recente evidenziate
da Jacques Le Goff.
Nella lunga durata braudeliana, la storia, caduti il finalismo
marxista-hegeliano e la nozione di sovrastruttura, diviene lenta,
quotidiana, "quasi immobile" (Braudel).
La storia sociale si prolunga nella storia delle rappresentazioni
sociali, delle ideologie, delle mentalità. Consapevole
di dipendere dalle proprie condizioni di produzione, guarda inoltre
sempre più a sé medesima e accorda un posto crescente
alla storia della storiografia.
In Francia l'indirizzo della storia totale o "storia insaziabile"
è rappresentato per il medioevo bizantino dai cultori di
quell'idea di "civilisation bizantine" che affronta
il macrosistema dell'impero secondo una prospettiva multidisciplinare
e, soprattutto, universale e antieurocentrica: la sola capace
di raggiungere, come ha scritto Kazhdan, "the heart of Byzantium"
(il cuore di Bisanzio).
Ma siamo arrivati con ciò, conclude la Ronchey, alle soglie
dell' età contemporanea e non rientra nei fini o nei limiti
di queste pagine trattare, né tanto meno giudicare, gli
indirizzi e le scuole della bizantinistica novecentesca, che a
partire da Ostrogorsky a Dölger, da Gregoire a Lemerle, da
Beck a Hunger, da Zakythinos a Politis, da Loenertz a Darrouzés,
da Pontani a Pertusi, da Runciman a Browning, da Meyendorff a
Obolensky, da Kazhdan a Oikonomides, dalla Pigulevskaja alla Follieri,
per non menzionare i molti e straordinari studiosi oggi viventi,
si è diramata per tutto il secolo producendo una messe
di studi senza precedenti.
Da questo momento in poi la storia della storiografia diventa
in pratica bibliografia, perciò rimandiamo, per un orientamento
sui principali bizantinisti e sulle opere di più preziosa
consultazione, all'ultima sezione del libro.
Questo geniale personaggio è indicato puramente e
semplicemente come colui che aveva dato una sistemazione organica
alla Patrologia, Greca e Latina, mentre è stato un personaggio
che meriterebbe una conoscenza della sua personalità di
studioso più approfondita.
Sotto il profilo biografico gli scritti su di lui, a quanto risulta,
sono stati solo due, uno di F.F. de Mély: "L'abbé
Migne l'homme e l'auvre" in Revue de l'Archeologique del
1915 e un altro di D. Gorce: "Petite introduction à
l'étude des Pères" del 1946. Avrebbe meritato
di più.
Ci piace quindi ricordare Jaques-Paul Migne innanzitutto per la
grande opera che egli ha reso agli studiosi di tutto il mondo dal
1850, anno di pubblicazione, e per i secoli a venire, e riteniamo
di onorarlo con il presente brevissimo profilo delle sue opere
per un senso di giustizia, perché tutti lo citano con riferimento
alla Patrologia e, ciononostante, Migne rimane dal punto di vista
biografico uno sconosciuto. Tantomeno gli viene mostrata gratitudine
per il grande patrrimonio che ha lasciato all'umanità.
Jaques-Paul Migne (1800-1875), abate, era nato per realizzare
opere di grande respiro e realizzazioni culturali monumentali.
Era stato a Parigi dove si era dedicato al giornalismo ed aveva
fondato "L'univers religieux politique, sientifique et litteraire",
in cui aveva esordito con un "incipit" come: "Vi
presentiamo le nozioni più cattoliche sulle questioni più
interessanti, danze, balli, teatri, romanzi, prestiti, imposte,
divorzio, stipendio del clero", firmandone la condanna; infatti,
il giornale non ebbe successo!
Lo aveva quindi abbandonato per dedicarsi alla prima opera grandiosa:
"La Biblioteca universale del clero", che doveva raccogliere
duemila volumi del sapere ecclesiastico.
Era fatto per questo tipo di opere monumentali, avendone l'intelligenza,
la capacità e l' immaginazione. Non aveva mezzi, ma aveva
la tenacia. Mise su l' "Atheliers Catholiques", una
fucina di grandi opere, che divenne una vera e propria casa editrice.
Organizzando il lavoro di studiosi, eruditi, correttori di diverse
nazionalità, sacerdoti in difficoltà, riuscì
a realizzare oltre la metà dei duemila volumi annunciati
(stampandone millecento in quarto): "Scripturae sacrae cursus"
(25 Voll.); "Theologiae cursus completus" (25 voll.);
"Collection intégrale e universelle des orateurs sacrés";
"Dimostrations evangelique des plus célèbres
difenseurs di Christianisme" (20 voll.); "Première
encyclopédie théologique" (52 voll.); "Nouvelle
encyclopèdie " (53 voll.); "Troisieme encyclopèdie"
(66 voll.); " Course complète d'histoire ecclesiastique"
(27 voll.); "Summa aurea de laudibus B. Mariae Virginis "
(18 voll.).
Però le opere per le quali l'abate Migne ha guadagnato
l'immortalità sono:
- il monumento della "Patrologiae cursus completus"
nota come "Patrologia latina" (1844-55) in 218 volumi,
che comprendono il periodo da Tertulliano a Innocenzo III. E'
una raccolta di 2614 opere e frammenti di padri latini e scrittori
ecclesiastici;
- la "Patrologia greca" in due edizioni, una con testo
greco e traduzione latina (1857-66) in 166 volumi (da Barnaba
al Concilio di Firenze) ed una con la sola traduzione latina (1856-67)
in 85 voll. .
Non poteva mancare un incendio, che ridusse in cenere l'Athelier
(1868), ma Migne non si dette per vinto e lo rimise in piedi con
tutti i mezzi possibili, alcuni non condivisi dai suoi confratelli,
come l'offerta di messe in cambio del lavoro che gli veniva prestato
e che gli fu interdetto. L'opera monumentale comunque era stata
consegnata all'umanità.
Alcuni limiti dell'opera sono dovuti ai mezzi tecnici dell'epoca
in cui fu redatta, che però non ne sminuiscono il valore,
essendo rimasta un'opera alla quale attingono studiosi di tutto
il mondo oggi, come attingeranno quelli delle generazioni future.