CALVIZIE SVENTURA DELL' UOMO

Sofisti a confronto:
Dione di Prusa e Sinesio di Cirene
(40-400 d. C.)

 

ANTICA QUANTO L' UOMO

Antica quanto la stessa umanità la calvizie, saranno i ricercatori di genetica a dirci se il gene che ne è la causa è stato originato direttamente dalla scimmia progenitrice o si è intrufolato successivamente nel codice genetico degli umani abitatori delle caverne o dei successivi dell'età della pietra.
Certo è che i calvi che popolano il pianeta devono questo difetto (che per alcuni è una vera e propria sventura) a quell'unico uomo primordiale, che poi l'ha trasmessa alla discendenza che ha popolato il pianeta per tutti i secoli a venire (ricordiamo che la popolazione del pianeta di cinquemila anni fa <olocene> era di un milione di individui; da questo gruppo discende tutta l' attuale popolazione di sei miliardi di individui).
Della calvizie se n'è parlato, a secondo dei casi, bene o male. Chi ne ha parlato bene, attribuendole dei pregi, lo ha fatto semplicemente per illudersi e illudere i suoi confratelli e compagni di sventura, di essere un privilegiato. E così si è fatto ricorso a grandi poeti come Omero (che oltre ad essere calvo era cieco, quindi di sventure ne aveva avute due!) e a filosofi come Socrate e altri che lo hanno succeduto, che sono stati i primi grandi uomini dell'età storica, a portare con sé i segni di quella disgrazia.
Questo richiamo ai grandi pelati non sembra sia mai servito a dare un minimo di consolazione ai pelati comuni; al contrario, è servita a peggiorare la situazione a quelli che grandi non sono riusciti ad essere. Col risultato che se si è grandi, la grandezza annulla il difetto (come se, in tempi più vicini a noi, si richiamassero personaggi come Winston Churchill o Albert Einstein).
Insomma, se la calvizie colpisce una persona normale, si è solo una persona normale con un penoso difetto!
Nei primi secoli della nostra era sono stati due simpatici personaggi da affrontare l'argomento, non tanto per semplice gusto di retorica (l'arte di convincere gli altri), quanto perché uno aveva una bella chioma e se ne compiaceva e l'altro quella chioma l'aveva persa, tanto che, quando aveva dovuto assistere impotente a quella caduta di capelli, ne era rimasto fortemente traumatizzato.

<ELOGIO DELLA CAPIGLIATURA>
<ELOGIO DELLA CALVIZIE>

 

Il primo ad aver avuto l'idea di parlare della chioma è stato Dione di Prusa, vissuto tra il 40 e 120 d.C., il quale aveva pensato di scrivere un libretto intitolato <Elogio della capigliatura>. L'opera già a quei tempi era andata perduta, ma di essa ne aveva parlato Sinesio, che la ricordava interamente a memoria!
A Dione infatti, qualche secolo più tardi, rispondeva Sinesio di Cirene, vissuto tra il 370 e il 415. Strano tipo di sofista, pagano convertito, diventato vescovo cristiano (che però non era riuscito a cancellare la sua matrice pagana), uomo di raffinata cultura, Sinesio in risposta a Dione e in difesa di se stesso e della categoria dei calvi, aveva scritto l' <Elogio della calvizie>.
Sinesio aveva pensato di scrivere questo elogio, dopo essersi ripreso dallo stato di prostrazione e depressione in cui era finito quando gli erano caduti i capelli, prostrazione in cui era ricaduto nel leggere il libretto di Dione, dal quale era rimasto così colpito da ricordarne a memoria ogni parola dell'opera.

 

LO SCHOCK DI SINESIO

Sotto l'effetto dello shock Sinesio aveva trovato l'opera di Dione così efficace, che un calvo non avrebbe potuto fare a meno di arrossire di fronte alle sue argomentazioni. La dissertazione, precisava Sinesio, si fondava su un principio universale secondo il quale <tutti vogliamo essere belli> e nel nostro aspetto gioca un ruolo decisivo la chioma, alla quale ci abituiamo sin da piccoli.
Io, diceva Sinesio, a cui è toccata la sventura di perdere i capelli, ero rimasto ferito nel profondo del cuore.
Nel periodo in cui si presentò il fenomeno, i capelli mi cadevano uno dopo l'altro, anzi, li perdevo a ciuffi. La mia pena era inconsolabile, aggravata dal fatto che finii per assumere un aspetto sciatto, come gli Eubei che parteciparono alla spedizione di Troia, indicati da Omero <come quelli che avevano qualche sparuto capello dietro la nuca>!
In un simile frangente, prosegue Sinesio, a quale dio o demone avrei potuto risparmiare i miei strali? Progettai addirittura di scrivere un elogio di Epicuro, non perché condividessi le sue opinioni sugli dei, ma per il semplice gusto di prendermela anch'io con loro, nei limiti delle mie possibilità. Mi domandavo:< Dov'è finita la mia provvidenza se le disgrazie capitano anche a chi non le merita? E poi, che cosa ho fatto di male per non dover più piacere alle donne?>
E così piangevo lacrime amare sulla mia sventura, senza riuscire lì per lì a farmene una ragione. Col passar del tempo (che mi ci fece abituare), l'intelletto cominciò a reagire, finché non dette una frustata alla mia sofferenza. Fu così che mi risollevai e mi ripresi.
Ma, ad affondare il dito nella piaga, era giunto il libro di Dione. Precipitato ancora una volta nel più profondo oblio di me stesso e della mia razionalità, andavo scrivendo versi lacrimevoli sulla chioma.
A questo punto Sinesio si rivolge, ahinoi!, al lettore, ritenendo di incoraggiarlo! <Ma tu, lettore, sei il migliore dei calvi e sembri di animo nobile, perché non ti affliggi per la tua sventura? Anzi, quando a banchetto si passano in rassegna le teste, ti presenti come uno che debba vantarsi della propria, come di un pregio> (ai banchetti i calvi erano dileggiati! nda).
<Non t'angustiare dunque, per il discorso di Dione e, come si dice, mettiti l'anima in pace. Insomma, cerca di non farti impressionare. Che dici? Non ce la fai? Ed io invece ti dico che puoi farcela. Ascolta. Non c'è neanche bisogno che tu legga tutto il libro (quello di Dione). Te ne riferirò io il contenuto. Del resto è piuttosto breve e per giunta delizioso. La sua bellezza lo fa imprimere nella memoria…e anche volendo non sarebbe possibile dimenticarlo!>
Ripresosi dalla depressione e deciso a contestare Dione, Sinesio dopo averlo qualificato un oratore affascinante, aggiunge che: <però egli parla senza avere argomenti particolarmente convincenti, in virtù della sua straordinaria dialettica> precisando: <insomma, se avesse scelto di cimentarsi nell'elogio della condizione opposta, quella per intenderci, della mia testa, avrebbe guadagnato certamente in prestigio>!

 

IL LIBRO DI DIONE

 

Il libro di Dione inizia, lo fa notare Sinesio, con un tono elevato e solenne che sembra un canto. <Levatomi di buon'ora, dopo aver rivolto le preghiere alla divinità, mi ravviavo i capelli, che anche a causa di un deperimento generale, avevo lungamente trascurato (all'epoca non tutti li curavano o li lavavano e neanche pettinavano, specie i filosofi! nda). In effetti la mia chioma era tutta aggrovigliata e ammassata, come i peli che pendono dalle zampe delle pecore. Anzi, rispetto a questi era molto più compatta, perché i capelli, essendo sottilissimi, avevano formato un groviglio inestricabile. Era dunque, a vedersi, una chioma arruffata e pesante, che si riusciva a pettinare a stento e appariva per lo più sfibrata e stopposa>.
Fu così, scriveva Dione, che mi venne in mente di scrivere un elogio degli amanti della chioma, in quanto costoro, da puri cultori del bello, tengono in grandissima considerazione la capigliatura, e la curano scrupolosamente, tanto è vero che portano un calamo (bastoncino) tra i capelli, con il quale si pettinano ogni volta che possono.
La stranezza delle abitudini di costoro, proseguiva Dione, è che quando si sdraiano per dormire, stanno attenti a evitare ogni minimo contatto dei capelli con il suolo. Sotto la testa, perché resti a debita distanza dal terreno, mettono un piccolo pezzo di legno, preoccupandosi più di non sporcare i capelli che di dormire comodi. Essi sono convinti che una chioma ben curata li renda belli e affascinanti, mentre anche il sonno più tranquillo avrebbe il solo effetto di infiacchirli e farli apparire trasandati. E per la verità a me sembra che persino gli Spartani non trascurassero simili cose. Essi infatti se ne stavano seduti a pettinare i capelli appena prima dell'aspra e ardua battaglia nella quale, soli fra tutti i greci e in appena trecento, avrebbero dovuto affrontare il re di Persia (1).

 

OMERO E GLI EROI GRECI

 

Mi risulta, scriveva ancora Dione, che anche Omero considerasse la chioma degna di grandissima cura. Nel lodare i belli, egli solo di rado menziona gli occhi, non giudicando di dover rappresentare la bellezza attraverso quest'unico particolare.
Solo di Agamennone, tra tutti gli eroi, loda gli occhi, come del resto ne loda le altre parti del corpo. Egli inoltre chiama i greci e Agamennone <occhi vivaci> ed elogia la chioma sia dei greci che dei troiani. Tra i primi Achille, dalla fulva chioma (giallo-rossiccio); Menelao biondo nel capo; Ettore, dai bruni capelli.
Quando muore Euforbo, il più bello dei troiani, dice che i riccioli d'oro e d'argento della bella chioma gli si intrisero di sangue. E, a proposito di Ulisse, che Atena aveva reso bello, dice che <bruni gli divennero i capelli…e dal capo gli fece scendere riccioli simili al fiore del giacinto>.
Omero pare considerasse la cura dei capelli più adatta agli uomini che alle donne. Infatti parlando di bellezze femminili lodava altre parti del corpo. Così definiva: aurea, Afrodite; occhi grandi, Era; piede d'argento, Teti; mentre di Zeus lodava <la chioma divina del re>.
A questo punto Sinesio, ritornando alle sue considerazioni, si chiede che cosa non avrebbe escogitato un uomo, che sa cavarsela nelle situazioni difficili, imbattendosi in un tema commisurato alle sue capacità. Invece, risponde, avendo chioma e arte dalla sua, ha usato l'arte per celebrare la chioma; e con quale abilità è riuscito ad inserirsi di soppiatto nel libro!
Perché, aggiunge Sinesio, non è altri che lui l'amante della chioma, quello che se l'abbellisce con un calamo (bastoncino che poteva avere un duplice uso, per pettinare i capelli e per scrivere), anzi, lo stesso calamo che poi usò per scrivere.
Io invece, che sono calvo, dice Sinesio, che so esprimermi ed ho un argomento migliore del suo, cercherò di cimentarmi nella disputa, mettendo alla prova le mie capacità e le mie argomentazioni, pur di ritorcere lo scorno contro i capelluti.
E, se non sarò all'altezza di Dione, poco importa!

 

I RAGIONAMENTI DI SINESIO

 

Il mio discorso vuol dimostrare che l'uomo calvo deve provare vergogna molto meno di chiunque altro. Perché infatti dovrebbe, se ha la testa glabra e la mente fitta di tanti pensieri quanto lo era di peli Achille, il quale neanche li curava, anzi li donò all'amico Patroclo (durante i giochi funebri in suo onore)?
Sinesio a questo punto porta degli esempi (piuttosto ingenui per la verità, della cui efficacia specie ai nostri tempi, dubitiamo!).
Tra gli animali, egli dice, i più sciocchi sono quelli completamente ricoperti di pelo, mentre l'uomo che ha avuto il lume della ragione per lo più è privo di coltre naturale. Ed ha capelli e peli in poche parti del corpo. Chi poi è sprovvisto anche di pochi capelli, è rispetto a un altro uomo ciò che l'uomo è rispetto a una bestia. E, come l'uomo è insieme la creatura più intelligente e meno irsuta, così di tutti gli animali la pecora è sicuramente il più stupido, e guarda caso è ricoperta dappertutto di peli, per giunta non sparsi ma ben compatti.
A voler chiamare in causa i cacciatori, dobbiamo convenire con loro che cani più intelligenti sono quelli che non hanno peli intorno alle orecchie e sul ventre, mentre quelli pelosi sono sciocchi e intemperanti e non adatti alla caccia.
Sinesio, a questo punto, si rivolge alla autorità di Platone, il quale (nel Fedro) sostiene allegoricamente che l'anima razionale è rappresentata come un auriga che regge un cocchio guidato da due cavalli, dei quali uno rappresenta <l'anima irascibile> che tende verso l'alto, l'altro (un cavallo con le orecchie villose e quindi sordo), rappresenta <l'anima concupiscibile> che tende verso il basso. Senza che lo dica Platone, aggiunge Sinesio, è giocoforza che sia sordo chi è troppo peloso intorno all'organo dell'udito, come sarebbe cieco chi fosse irsuto nella zona dell'occhio, cosa abominevole se succedesse davvero (!).
Il sofista passa quindi in rassegna i quadri esposti nel Museo, vale a dire i quadri che riproducevano le immagini di Diogene, Socrate o altri filosofi del passato. A guardarli egli dice, si ha l'impressione di assistere a un convegno di calvi!
E non ci inganni Apollonio di Tiana (2), o qualche altro mago esperto di occultismo, che pur non essendo calvi, questi capelluti è come se lo fossero in virtù dell'ascendente che riescono ad esercitare sulle folle, o forse ciò che hanno costoro non è scienza, ma una sorta di potere stregonesco.

 

CHI E' CALVO E' SAGGIO

 

In base a quanto ho detto finora, dice Sinesio, emerge l'assunto che chi è saggio è calvo e chi non lo è, non è nemmeno saggio.
E che cosa pensi del fatto che il rigoglio della chioma sia proprio dell'infanzia, di quel periodo della vita nel quale non siamo autonomi e responsabili? O del fatto che la chioma diradandosi con l'avanzare dell'età, scompaia nella vecchiaia, l'età che infonde assennatezza e temperanza negli animi. Non diresti che tutto ciò denuncia la frivolezza della natura dei capelli? Se poi uno ha tutti i capelli in testa anche da vecchio, allora vuol dire che anche un vecchio può essere privo di senno, giacché non tutti giungono all'apice della perfezione umana.
Insomma le cose stanno così: senno e chioma non possono aspettarsi a vicenda, ma l'uno subentra all'altra, come la luce al buio. A chi ne cerchi la causa, ogni rivelazione è interdetta.
Sinesio prosegue nel prendere esempi dalla natura e prende questa volta in esame i semi, che piantati nella terra generano il frutto, ma prima che esso si generi vi è un festoso risveglio della natura fatto di radici, dello stelo, della corteccia e gusci che crescono su altri gusci, mentre il frutto è ancora in embrione e nascosto.
Ma una volta comparso il frutto, ecco che ogni cosa inaridisce, mentre tutti i balocchi della materia scompaiono. Infatti non ha bisogno di orpelli ciò che è già perfetto. Ed è perfetto il frutto in cui spunta un altro principio, il seme. E se il senno è il più divino dei semi che cadono dall'alto ed è contenuto nella testa e se per questo l'intelletto materiale è il frutto come lo è il grano per il suo principio, allora è evidente che la natura dispone ogni cosa sempre secondo le sue leggi.
E quali prodigi compie intorno alla testa! L'adorna di splendidi capelli, come di filamenti vegetali o di gusci o ancora, per Zeus!, di quel fiore che dona alle piante prima che compaiano i frutti. E, se è vero che il frutto non può comparire nella pianta prima della fioritura, allora neppure il senno potrà fare la sua comparsa nella testa prima che questa, giunta alla perfezion, abbia rigettato i suoi inutili orpelli come per l'azione di un ventilabro (pala che serviva a liberare il grano dal guscio) e si sia completamente sbarazzata dell' insulsaggine della sua natura più acerba. Pertanto è da questo segno che possiamo sapere quando la testa è giunta ad essere un frutto maturo (!).
Se dunque ti capiterà di vedere una testa perfettamente sgusciata, sta pur certo che è lì che è insediato il senno, anzi, <considera quella testa un tempio di Dio. Del resto potrebbe essere calva la stessa divinità>. Con l'augurio che essa sia propizia al mio discorso, poiché questo sarà tutto ispirato a una pia intenzione!

 

UNA SFERA PERFETTA

 

E non c'è da affliggersi se ciò che della divinità non è visibile, non vuol manifestarsi neanche una volta. Però ci è dato vedere delle sfere perfette (Platone): il sole, la luna, gli astri, le stelle fisse e i pianeti (non le comete che impropriamente sono chiamate stelle la cui chioma è una terribile calamità e la loro comparsa annuncia sciagure collettive, servaggi di popoli, rovine di città, uccisioni di re e che interpreti di prodigi e indovini cercano di stornare con sacrifici), hanno tutti la stessa forma, dal più grande al più piccolo. E che cosa c'è di più calvo di una sfera? Che cosa, anzi, di più divino?
Per non parlare del cosmo al quale l'anima nel suo complesso infonde vita, e che si presenta come una sfera.
Ogni anima saggia ha la propria dimora, in relazione ai suoi meriti, o in un astro o in una testa calva. La natura di quaggiù non tollera tuttavia che la parte di noi protesa verso l'alto e verso il cielo, non sia, nella forma, simile al cosmo. Dunque la calvizie evoca la sfera celeste, e perciò chiunque lodi il cosmo, loderà in fondo, anche la calvizie (sic!).

 

LA LUNA

 

A questo punto Sinesio dice che stava per dimenticare di parlare della cosa più importante! Della Luna e delle sue fasi a cui i calvi somigliano di nome e di fatto!
L'adorata Luna comincia come crescente, diventa mezzaluna, torna a presentarsi doppiamente arcuata e finisce luna piena. Ecco perché io chiamo <lune piene> coloro che hanno toccato l'apice della fortuna (!) e nulla mi vieta di chiamarli anche <Soli> dal momento che non presentano una successione di fasi, ma illuminano sempre, con tutto il loro globo, i corpi celesti antistanti.
Un esempio di tale analogia è contenuto nell'episodio, in cui Ulisse è schernito dai Proci, giovani capelluti e balordi, che faranno presto una brutta fine, sbaragliati in più di cento, da uno solo, un calvo! Vedendolo intento ad accendere con una torcia le lampade, gli consigliano di non darsi pensiero per simili cose, giacché la sua testa può bastare da sola a illuminare tutta la casa! Ebbene, questa è la caratteristica più divina di una testa calva, caratteristica affine alla divinità e anzi ad essa connaturata: contenere e irradiare luce!

 

LO STATO DI SALUTE

 

Anche sullo stato di salute dell'individuo vi è, secondo Sinesio, una differenza tra il capelluto e il calvo. Dalla testa, egli dice, si dipartono i fili della malattia e della salute. Per cui anche per quanto riguarda la salute ai calvi, con la benedizione divina, è toccata una parte non uguale a quella degli altri, ma più grande.
Lo confermano le statue di Asclepio (il dio della medicina) che si presentano calve. Esse hanno l'aria di rappresentare un monito per il bene comune e di voler rivelare il precetto più salutare dell'arte medica: chiunque voglia star bene, imiti l'inventore e il protettore della medicina. Non vi sarebbe nulla di strano che una testa calva, esposta al sole e alle intemperie, diventasse di ferro, condizione che le garantirebbe l'immunità da qualsiasi malattia.
Allo stesso modo le lance fatte con legno di palude sono più scadenti di quelle fatte di legno di montagna. Omero infatti ha parlato delle lance <nutrite e addestrate dal vento> (la lancia di Agamennone). Anche il saggio Chirone (maestro di Achille) aveva procurato il legno per la lancia, non in un luogo qualsiasi ma sulla cima del Pelio, dove gli alberi sono esposti alla furia dei venti. Le cose quindi stanno allo stesso modo per la testa capelluta e quella calva: l'una cresciuta all'ombra è di palude; l'altra esposta a tutti i venti è di montagna. La prima è quindi più debole, la seconda più forte.

 

PERSIANI ED EGIZIANI

 

Una conferma a questa mia tesi è data dallo scontro tra l'esercito persiano di Cambise e quello egiziano di Psammetico III (525 a. C.), così come è stato raccontato da Erodoto.
Vi era stata tra i due eserciti una enorme strage e i cadaveri erano accumulati gli uni sugli altri. I superstiti li divisero facendo due cumuli, uno di Egiziani, l'altro di Medi (persiani).
Le ossa di questi ultimi si mostravano molto fragili tanto da poter essere bucate con un sassolino, quelle degli egizi erano dure e rigide tanto che non si sarebbe potuto romperle neanche con un grosso sasso. Tutto questo perché i Medi usavano il copricapo, gli Egizi lasciavano la testa sempre scoperta ed esposta al sole. Ho potuto constatare io stesso che agli sciti che portano chiome fluenti, basta dargli un pugno per spedirli direttamente all'altro mondo.
A teatro si può vedere un uomo calvo per sua scelta non per natura, che ricorre al barbiere anche più di una volta al giorno, che dà prova di forza della sua testa mettendola nella pece bollente, dando testate a un ariete e frantumando vasi megaresi. Certamente questa si taglia, si lacera, ma non si rompe. Quando assisto a queste esibizioni, mi rallegro con me stesso per la buona sorte che mi è toccata.

 

I MACEDONI DI ALESSANDRO

 

I macedoni di Alessandro, che si erano fatti crescere la barba e i capelli, furono messi fuori combattimento dai persiani che, lasciato lo scudo e la lancia, li afferravano per barba e capelli e li trafiggevano con la spada. Di tutta la falange, rimasero al loro posto solo i calvi. Alessandro, resosi conto del pericolo al quale stava andando incontro, fece ritirare l'esercito e, trovata una buona posizione, li fece radere tutti dai barbieri. Fu così che le cose si volsero al peggio per i persiani, perché i macedoni erano di gran lunga più valenti.

 

ACHILLE DALLA FULVA CHIOMA

 

Il fatto che Achille portasse i capelli lunghi, dice Sinesio, si spiega considerando che l'eroe era molto giovane e perciò facile all'ira e la sua età era ancora lontana dalla perfezione spirituale e fisica. Con ciò non voglio negare che Achille, in quanto figlio della dea Teti, avesse una fortissima inclinazione naturale a tutte le virtù, né escludo che se fosse vissuto più a lungo, avrebbe acquisito calvizie e assennatezza.
In proposito, ho ragione di credere che a quell'età fosse già un po' calvo. E la circostanza, raccontata da Omero, secondo la quale Teti, messasi alle spalle, aveva afferrato l'eroe <per la fulva chioma>, non dice che non potesse essere calvo. Anzi, per averlo preso per i capelli alle spalle, significa proprio che dalla fronte non aveva nulla da poter afferrare!
Non è detto poi che chi è calvo non possa esser preso per i capelli. Chiunque infatti potrebbe afferrare me o Socrate per i capelli rimasti sulla nuca.
Anche Socrate da giovane era portato all'ira e all'epoca non era ancora calvo e, se qualcuno lo avesse descritto nella maturità irascibile e capelluto, avrebbe certamente suscitato l'ilarità. Egli infatti fu il più calvo e al tempo stesso il più mite di quanti si dedicarono alla filosofia.
Sinesio conclude ribadendo la tesi, certamente poco convincente almeno per noi moderni, che la calvizie è una prerogativa divina. Egli fa anche un duplice richiamo, ancor meno convincente. Il primo, alla categoria dei seduttori, che considera tra le più infide della specie umana, che sono orgogliosi della propria chioma sempre perfettamente acconciata. Essi attentano alla onorabilità delle figlie e delle mogli, quelle stesse che un qualunque bellimbusto impomatato, quando si presenta l'occasione, non esita a portarci via! Il secondo alla categoria ancora più perversa dei seduttori, quella degli effeminati, che hanno tutti la mania dei capelli e da questi possiamo capire le loro inclinazioni!

 

NEI TEMPI ATTUALI

 

Non sappiamo se ai suoi tempi Sinesio sia stato tanto convincente da rendere i suoi confratelli calvi, orgogliosi della loro calvizie. Sta di fatto che i calvi hanno mostrato di portare con sé, consciamente o inconsciamente, il complesso della loro sventura.
Per occultarla si è ricorso a tanti sistemi tra i quali il riporto, utilizzato sin dall'antichità. Nei secoli '600 e '700 più vicini a noi, si pensò di far ricorso alla parrucca che, nel seicento, per gli uomini era enorme e piena di riccioli (monumentale quella del re Sole), nel settecento le cose si invertirono; per gli uomini era molto più sobria, per le donne raggiunse altezze vertiginose.
Il ricorso a barba o baffi di norma è sempre stata una compensazione naturale alla calvizie. Mentre alcuni personaggi che si presentano in Tv, si lasciano annerire il cranio dal truccatore, oppure nelle foto per libri o manifesti si usa tagliare la parte superiore della testa.
Ultimamente le tecniche si sono affinate e si è arrivati a due tipi di soluzioni che non offrono risultati ottimali, cioè o a trapianto del bulbo o al fissaggio di capelli al cuoio capelluto. Altra possibilità è quella delle protesi che hanno raggiunto tecniche che le fanno passare inosservate, se proprio non si appartiene alla categoria delle persone maliziose che, sorvolando sui propri difetti, ironizzano su quelli degli altri. Ciò proprio quando si accettano interventi estetici che tendono a migliorare il proprio corpo ricorrendo a rifacimenti di vario genere, dai denti al seno allo stiramento della pelle facciale per la eliminazione delle rughe, alle liposuzioni ed altro.
La medicina, nonostante tutti i tentativi compiuti, non ha mai potuto dare una mano, anche se spesso siano state fatte sorgere speranze con prodotti presentati sempre come efficaci per la ricrescita dei capelli!
Quanti numeri della Domenica del Corriere dai primi del '9oo avevano venduto illusioni, pubblicizzando lozioni presentate come l'invenzione del secolo! Quante speranze tradite! Sono stati pura illusione perfino i prodotti ormonali (femminili), che, all'infuori dei problemi di carattere sessuale, i capelli non li facevano né crescere né rinforzare!
L'ultima ed ennesima invenzione del secolo era arrivata negli anni ottanta dagli USA, il Minoxidil, sul quale molti medici e qualche parrucchiere prezzolato giuravano che i capelli li avrebbe fatti ricrescere. Un parrucchiere affermava addirittura di aver visto, sotto i suoi occhi, la crescita di capelli belli, folti e lucidi! Quanti erano stati i poveri illusi che pieni di speranza avevano rasentato l'infarto, perché il Minoxidil era un medicinale che curava l'ipertensione e abbassava fortemente la pressione e avrebbe potuto portare a una letale soluzione del problema!
Per motivi consolatori e per far passare agli sventurati la depressione, la scienza medica aveva cercato di soccorrere i calvi dicendo che la calvizie era da collegarsi con la virilità. Si diceva infatti che il calvo sarebbe stato più virile dei capelluti, perché i calvi sono tali a causa della riduzione degli ormoni femminili (che fanno parte del patrimonio maschile, come al contrario si verifica nelle donne)!
Illusione…perché, parafrasando Sinesio (al tempo in cui era stato colto da disperazione), non sono molte le donne a cui piacciono i calvi, salvo che non siano stati degli Yul Brinner di felice memoria o degli Sean Connery, che è bello e interessante nonostante i suoi anni!

Solo i progressi della genetica hanno finalmente dato l'assoluta certezza che la colpa, come per tutto ciò che colpisce o premia il fisico umano, è dei geni; la causa della calvizie è un gene (maledettamente insediato nel cromosoma n. 8!), come vi è un altro maledetto gene, anzi questo non c'è… per l'obesità.
Spieghiamo! Da quanto dicono i ricercatori, esiste un gene che è preposto per dare l'ordine di bruciare i grassi (i geni sono preposti per dare gli ordini e le proteine eseguono), i quali tendono ad accumularsi quando non vengono bruciati. Nelle persone che tendono ad ingrassare, questo gene non c'è, per cui il grasso non riceve l'ordine di consumarsi e si accumula. E non vi sono cure dimagranti che tengano! Il problema dell'obesità quindi è, geneticamente parlando, esattamente uguale a quello della calvizie.
Per riavere i capelli o per diventare magri è la genetica che potrà risolvere il problema, come risolverà quello delle malattie degenerative del sistema nervoso come l'Alzeimer, il Parkinson e altre, come il diabete.
L'unica condizione è quella che ai ricercatori gli esperimenti glieli lascino fare e non arrivino i divieti di ordine religioso (ciò vale particolarmente per l'Italia, in quanto in altri Paesi la ricerca non è condizionata da fattori religiosi).
La speranza di guarigione arriverà quando si riuscirà ad arrivare al trapianto delle cellule staminali, adeguate a ciascuno di questi mali. Solo così il problema sarà definitivamente risolto. Fino ad allora anche i calvi (e gli obesi!) dovranno continuare a portare con rassegnazione la propria sventura.

 

1) La battaglia era quella famosa delle Termopili nel 480 a. C., in cui il contingente di trecento spartani, dopo una gloriosa resistenza, fu interamente trucidato. Il re persiano era Serse, figlio di Dario e gli spartani erano guidati da Leonida. Serse mandò un suo cavaliere a spiarli e questo riferì che aveva visto della schiera dei Lacedemoni, alcuni che facevano ginnastica, altri che si pettinavano. Il re rimase incredulo; non poteva credere che gli spartani, che erano lì per combattere, facessero ciò che gli era stato riferito. Ma gli fu confermato che gli spartani avevano l'abitudine di curarsi i capelli quando si accingevano a mettere in pericolo la propria vita. I trecento spartani perirono dopo aver inferto enormi perdite all'esercito persiano (Erodoto L.VII, da par. 200).
2) Apollonio di Tiana (vissuto tra il 4 e il 97-100 d. C.), che Sinesio indica tra i maghi, in effetti era un iniziato e un taumaturgo. Contemporaneo di Gesù, Filostrato ne aveva scritto la biografia (pubblicata da Adelphi). Anche Apollonio era stato seguito dalle folle e aveva compiuto guarigioni. Con la differenza che mentre su Apollonio esiste questa chiara e inconfutabile documentazione storica, su Gesù non esistono chiari e precisi documenti o riferimenti di storici contemporanei, all' infuori di quelli ai quali si deve credere per fede.

 

FINE


indice

torna su