AMORI BIZANTINI

MICHELE E. PUGLIA

ANTONINA E BELISARIO

SOMMARIO: BELISARIO; ANTONINA; IL PAPA SILVERIO; IL TRANELLO A GIOVANNI; TEODOSIO; FOZIO E LA FINE DI TEODOSIO.

 

BELISARIO*

 

B elisario è stato un personaggio di grande rilievo nella storia dell'impero bizantino. Vissuto nello stesso periodo in cui aveva regnato Giustiziano, era più vecchio di diciotto anni ed erano stati amici già da prima che l'imperatore fosse incoronato.
Era quasi coetaneo (più anziano di due anni: 500-565) ed intimo di Teodora (502-548), con la quale, direttamente o indirettamente e spesso inconsapevolmente, per mezzo della moglie Antonina, aveva portato a termine non pochi intrighi di Corte.
Anch'egli figlio di contadini (proveniva dalla Tracia), aveva iniziato la sua carriera sotto l'imperatore Giustino. Dotato di talento militare aveva dato prova di coraggio che unito all'ascendente sui soldati gli aveva procurato il comando di una roccaforte, la fortezza di Dara.
Con Giustiniano aveva raggiunto il grado di generale (magister militum per Orientem) e poi di generalissimo (strategòs autocràtor).
Aveva duramente domato la rivolta di Nika (**), salvando il trono a Giustiniano (532). Aveva riportato vittorie sui persiani (530), sui vandali in Africa (533), costringendo il loro re Gelimero alla resa e conducendolo prigioniero a Bisanzio.
Per festeggiare questa vittoria al suo ritorno l'imperatore gli aveva tributato onori trionfali mai tributati fino a quel momento a nessun altro generale. In questa occasione, Belisario aveva fatto sfilare per il centro della città e nel circo tutte le spoglie di guerra e i prigionieri.
Nella tribuna imperiale erano stati disposti tutti gli oggetti preziosi del bottino, costituito da sedili d'oro e cocchi, una gran quantità di gioielli costituiti da pietre rare, coppe d'oro, e tanti altri oggetti per arredare una mensa reale. C'era argento per un peso di migliaia di talenti e l'immensa ricchezza di tutto il tesoro regio del quale faceva parte quello del saccheggio di Gizerico al Palatino (455). Tra il resto, vi erano anche i tesori che Tito aveva portato a Roma dopo la distruzione di Gerusalemme (70 a.C.)
Tra i prigionieri vi era lo stesso Gelimero, che portava sulle spalle una specie di manto di porpora e aveva con se membri della sua famiglia e al seguito, i vandali più alti e più belli. Quando Gelimero giunse sotto la tribuna imperiale, gli tolsero il mantello e lo costrinsero ad inginocchiarsi in atto di riverenza.
L'uccisione in Italia di Amalasunta, (*), regina dei Goti, era stata l'occasione per dare inizio a una campagna militare contro i Goti, partendo dalla Dalmazia e passando poi in Italia, iniziando la conquista dalla Sicilia (535) e proseguendo per Napoli (536).
Giunto a Roma (538) Belisario sostenne l'assedio di centocinquantamila Vandali comandati da Vitige.
In questa occasione aveva mandato in esilio (come vedremo più avanti), il papa Silverio (536). Dopo un anno di assedio (539), Vitige si ritirò a Ravenna dove subì a sua volta l'assedio di Belisario (539).
Belisario era un personaggio di successo. Aveva raggiunto livelli di popolarità che per evidenti gelosie di primato, non giungevano molto graditi all'imperatore. Giustiniano infatti non gliene aveva concesso altri dopo quello tributato quando era tornato vincitore di Gelimero.
Né gli mancavano invidie e gelosie degli altri comandanti suoi colleghi, che in un ambiente in cui gli equilibri erano dosati con il bilancino dei millesimi, il millesimo che andava a suo favore, scontentava tutti gli altri della grande scala piramidale della corte bizantina.
Il suo nome, scrive Procopio, era sulle labbra di tutti. Si era segnalato con due vittorie quali mai prima a nessun uomo era stato dato di conseguire. Aveva condotto in catene a Bisanzio due re. Aveva procurato ai romani (bizantini) lo straordinario bottino costituito dai familiari e dal patrimonio personale di Gizerico e Teodorico, due sovrani di cui non v'era mai stato altro più illustre nel mondo dei barbari.
Lo stupendo tesoro di Teodorico era stato esposto da Giustiniano in visione nel sacro palazzo, ma solo per i senatori e non al pubblico, perché l'imperatore era geloso della magnificenza dell'acquisto.
Aveva ridato al paese i suoi territori strappandoli ai nemici e riconquistato in poco tempo circa la metà dei possedimenti dell'impero.
Gli abitanti di Bisanzio erano felici di vedere ogni giorno Belisario quando usciva di casa per andare al foro e quando ritornava a casa, scortato da una folta schiera di Vandali, Goti, Mauri. Nessuno mai era sazio di assistere a questo spettacolo, perché il suo passaggio aveva l'apparenza di un corteo solenne.
Era bello di persona, alto di statura e di aspetto straordinariamente virile, ma così mite e affabile con tutti quelli che incontrava, da sembrare un uomo modesto quasi di nessun conto.
L'affetto che provavano per lui sia i soldati sia la gente di campagna, era incredibile.
Verso i soldati, ci racconta Procopio, si comportava con una generosità senza pari, e se qualcuno di essi veniva ferito in battaglia lo consolava del male sofferto con molti doni. A quelli che si erano distinti per atti di valore regalava braccialetti e collane e quando un soldato perdeva in battaglia il cavallo o l'arco o qualcosa del genere, subito gliene faceva procurare un altro.
Nessuno avrebbe osato discutere i suoi ordini o pensato di non seguire ciò che egli avesse comandato di fare, perché tutti riconoscevano le sue capacità. Era guardato con rispetto e venerazione da tutti, ufficiali e soldati, e tutti ne temevano l'autorità.
Verso i contadini mostrava tanto rispetto e tanto riguardo che dov'era lui come comandante essi non avevano mai da lamentare alcun sopruso. Anzi, tutti quelli che avevano avuto le proprie terre occupate dalla massa dei suoi soldati ebbero la fortuna di trovarsi inaspettatamente arricchiti, perçhé poterono vendere loro ogni specie di merce al prezzo che essi imponevano.
Quando il grano era maturo nei campi Belisario usava molto riguardo perché la cavalleria non ne danneggiasse il raccolto. Cosi pure se c'erano frutti maturi sugli alberi, a nessun soldato era assolutamente permesso raccoglierne.
Verso le donne aveva sempre dato prova di ammirevole correttezza. Non ne toccò mai una all'infuori della sua legittima consorte, e sebbene ne avesse prese prigioniere in gran numero, sia dai Vandali che dai Goti, e molte di una bellezza mai vista, non aveva mai voluto che fossero portate al suo cospetto né aveva mai voluto incontrarsi con esse.
In aggiunta a tutte queste qualità era dotato di straordinaria accortezza ed era abilissimo nel trovare la soluzione più opportuna nei momenti difficili. Coraggioso di fronte al pericolo, nelle battaglie era anche prudente e affrontava i rischi soltanto dopo averli ben valutati, muovendo contro i nemici all'improvviso o temporeggiando accortamente come richiedevano le circostanze.
Nelle situazioni disperate non si scoraggiava mai e riusciva a mantenersi calmo senza lasciarsi prendere dall'ansia. Quando aveva ottenuto un buon successo non si esaltava né indulgeva a bagordi. Nessuno, infatti, lo aveva mai visto ubriaco.
Belisario aveva al suo servizio personale settemila cavalieri nessuno dei quali era un mediocre ma ciascuno degno di stare in prima fila e di sfidare i migliori tra i nemici. Non per nulla quando Roma era assediata dai Goti, i vecchi romani, assistendo alle varie fasi della guerra, si meravigliavano e levavano esclamazioni di stupore che, col suo solo seguito, riuscisse ad abbattere il governo di Teodorico.
Belisario, con l'autorità che si era guadagnato, grazie al proprio valore e alla propria intelligenza, poteva decidere da solo ciò che era opportuno nell'interesse dell'imperatore, eseguire di propria iniziativa e adottare la decisione del momento.
Al contrario, gli altri ufficiali che erano con lui tutti pari fra loro in autorità, null'altro avevano in mente se non di curare i propri interessi personali e si erano spinti a depredare i cittadini, lasciando i nuovi sudditi alla mercé della soldataglia. Essi non erano in grado di prendere iniziative per risolvere i problemi che si presentavano né potevano essere sicuri di avere sempre i soldati pronti a ubbidirli.
Belisario a Bisanzio faceva ombra e Giustiziano per liberarsene lo mandò ad affrontare imprese rischiose, senza concedergli i mezzi necessari. Ciò nonostante Belisario liberò l'impero dalla presenza dei Persiani (542) costringendo il loro re Cosroe, che aveva fatto tremare i confini dell'impero, alla pace.
Per tutta riconoscenza, per accuse infondate, Belisario era stato privato del comando. Ma di lui non si poteva fare a meno, e dopo due anni era stato reintegrato nel comando e mandato nuovamente in Italia riconquistata da Totila.
Le forze a sua disposizione non erano sufficienti. Da Ravenna Belisario andò ad occupare Roma che Totila nel frattempo aveva abbandonata. Da qui si diresse a Rossano, senza ottenere grossi risultati. Stanco e sfiduciato chiese ed ottenne di rientrare nella capitale (548). La sua ultima impresa fu la difesa della città (559) contro i Bulgari.
Durante le sue spedizioni, aveva accumulato grandi ricchezze e trascorse gli ultimi anni tra gli agi e gli onori tributatigli da Giustiziano (ma si raccontava anche che era finito in miseria e cieco chiedeva l'elemosina per le strade di Costantinopoli, accompagnato da un cane con al collo un cartello con la scritta "date obulum Belisario").
L'ambiente di Corte, tremendo e micidiale, stritolava chiunque non fosse all'altezza delle trame che vi si macchinavano ed agiva contro di lui. Fu infatti accusato (562) di essere a conoscenza di una congiura ordita contro Giustiziano. Cadde nuovamente in disgrazia (era la terza volta) e fu anche arrestato. Questa volta il suo feroce avversario era stato il prefetto della capitale, Procopio, ma quando quest'ultimo cadde a sua volta, Belisario fu reintegrato negli onori.
La sua vita privata fu completamente dominata da Antonina. Belisario ne era invaghito e tanto preso di lei da non vedere tutti i suoi misfatti e tradimenti.
La storia, nello scorrere dei secoli, è piena di questi strani rapporti di annullamento di personalità, nell'amore di uno nei confronti dell'altro. Nel caso di Belisario si era formato un triangolo, essendo intervenuto un terzo personaggio, il giovane Teodosio.
Mentre oggi riusciamo a spiegare, o quantomeno a comprendere e giustificare, "l'irrazionale innamoramento", a quei tempi si riteneva che chi avesse perduto la ragione per amore, fosse stato irretito col ricorso "ai malefici".
Belisario aveva perso la testa per Antonina, la sua personalità in questo rapporto era risultata completamente annullata (anche Antonina, come vedremo, si era annullata in Teodosio). La colpa era stata attribuita ad Antonina, accusata di aver fatto ricorso alle "arti magiche", di cui era stata riconosciuta esperta.

*) Rachis era stato duca del Friuli e re dei Longobardi dal 745 al 749, poi si era ritirato nel convento di Montecassino.

 

ANTONINA

 

A ntonina era una donna eroticamente esuberante. Appena sposato Belisario, gli aveva creato non pochi problemi per essere stata presa da passione per il giovane Teodosio. Sfogava la sua bramosia di lussuria con questo figlio adottivo, molto più giovane di lei, senza preoccuparsi dei pettegolezzi che a Corte, e non solo, circolavano sulle sue sfrenatezze, che la facevano considerare adultera e impudica e minavano il prestigio di Belisario.
La vita di Antonina può essere considerata parallela a quella di Teodora, alla quale l'accomunava la nascita, il costume, l'intelligenza. Antonina era dotata di energia, di lucidità nel dominare le situazioni, specie quando si trattava di ricatti e intrighi o vendette contro chi avesse osato semplicemente esprimere un giudizio che la coinvolgesse.
L'imperatrice l'aveva elevata al rango di "patrizia di dignità" e l'aveva preposta al suo servizio con l'incarico del "vestimento e ornato".
Belisario nelle sue mani era un fuscello in balìa dei suoi capricciosi comportamenti. Lei lo dominava. Non si sarebbe potuto credere che il brillante generale vincitore di guerre, conquistatore di territori e di popoli, così come l'abbiamo visto descritto come personaggio pubblico, nella vita privata fosse esattamente il contrario.
Nel privato, era solo un uomo in adorazione (un flash lo troviamo quando a Roma nel ricevere il papa Silverio, Antonina era sul triclino e Belisario seduto ai suoi piedi), assolutamente privo di personalità, semplicemente inebetito di fronte alla moglie, disposto a non vedere ciò che aveva visto con i propri occhi, pronto a lasciarsi convincere dopo la sfuriata del momento, tutte le giustificazioni che Antonina volta per volta gli propinava.
Anche Antonina come Teodora proveniva dal mondo del circo. Discendeva infatti da una famiglia di aurighi. Il padre e il nonno avevano esercitato quel mestiere a Bisanzio e in Tessalonica. La madre ci viene presentata come "una delle tante prostitute del mondo dello spettacolo".
Durante l'adolescenza, a dire dello storico, "aveva condotto una vita dissoluta e senza freni, superando ogni misura". Aveva anche frequentato le tante fattucchiere del giro dei suoi genitori, da cui aveva appreso "l'arte dei malefici".
Era già madre di diversi figli e molto più vecchia di lui, quando aveva sposato Belisario. Appena sposata però Antonina, era stata presa da passione per il giovane Teodosio. All'inizio si era preoccupata di nasconderlo, non già perché provasse vergogna di ciò che facesse o per soggezione nei confronti del marito, perché: "fu sempre incapace di vergogna di fronte a qualunque azione, riuscendo a dominare il marito con ogni specie di sortilegio", ma per timore nei confronti della sovrana, di cui paventava le vendette, perché Teodora, col suo temperamento, con lei s'infuriava e si mostrava velenosa.
Antonina era però riuscita ad ammansire l' imperatrice dopo averle reso grossi servigi, nelle trame che la sovrana aveva ordito nei confronti del papa Silverio, e poi nella vendetta compiuta contro il ministro Giovanni il Cappàdoce, ma ciò non l'aveva risparmiata da un tranello che le aveva teso l'imperatrice, avida e gelosa delle ricchezze altrui.
Antonina e Belisario avevano avuto una sola figlia, Giovannina, che, per le ricchezze possedute da Belisario l'imperatrice voleva dare in moglie a un nipote, Anastasio, certa che quelle ricchezze alla morte di Belisario sarebbero diventate sue.
Teodora tempestava quindi i genitori, che in quel periodo si trovavano in Italia, con continue richieste per le nozze. I due tergiversavano accampando come pretesto che non potevano muoversi dall'Italia. Antonina, poi, pur essendo amica e compagna in tanti misfatti e frangenti, non si fidava dell'imperatrice che certamente avrebbe tradito qualsiasi accordo.
Teodora però pur di realizzare i suoi voleri fece ricorso ad un espediente. Fece incontrare Anastasio con Giovannina e Anastasio su istigazione di Teodora, la violentò.
Giovannina, nel periodo di forzata convivenza, finì con l'innamorarsi di Anastasio. Antonina rientrata a Costantinopoli dopo la morte dell'imperatrice (548) si trovò di fronte a questa situazione che oramai durava da otto mesi e nonostante la figlia fosse innamorata, la strappò ad Anastasio incurante del dolore che le procurava, pur di cancellare dalla sua famiglia il ricordo dell'imperatrice.
Antonina sopravvisse a Belisario, a Teodora e a Giustiniano. Ormai vecchia, si era dedicata ad opere pie, riedificando tra l'altro il tempio di s. Procopio devastato da un incendio. Morì sotto l'imperatore Giustino II (565-574).

 

IL PAPA SILVERIO

 

B elisario giunto a Roma (dicembre 536) era andato a vivere nella residenza sul Pincio. Aveva trovato la città piena ancora di quasi tutti gli antichi monumenti e aveva dato ordine di porre mano al restauro e alla fortificazione delle mura in attesa dell'arrivo di Vitige.
Il re goto arrivò ai primi di marzo (537) con 150.000 uomini e pose la città sotto assedio (che sarebbe durato un anno).
Ciò non aveva impedito che si compisse la congiura ordita e manovrata a distanza, nei confronti del papa da Teodora desiderosa di far rieleggere il monofisita Antimo a patriarca di Costantinopoli.
Sapendo che Silverio era decisamente legato alla linea di Agapito I (papa dal 535 al 536, era stato a Costantinopoli dove aveva deposto il vescovo Antimo), l'imperatrice contava molto, per le sue tendenze monofisite, sul diacono romano Vigilio, già nunzio apostolico a Bisanzio e designato in precedenza da Bonifacio II come suo successore. Vigilio infatti si mostrava propenso, una volta che avesse ottenuto la carica pontificia, ad accontentare i desideri di Teodora.
Egli arrivò a Roma con un piano ben preciso. Aiutato da Antonina, riuscì a far passare come autentiche e scritte di proprio pugno da Silverio, delle lettere spedite a Vitige, nelle quali il papa invocava l'intervento del re goto per liberare Roma dai Bizantini. Sentendosi in pericolo, Silverio si rifugiò nella chiesa di s. Sabina sull' Aventino, ma Belisario lo convocò nella sua residenza, per discolparsi.
Qui giunto, Silverio fu introdotto con Vigilio che in apparenza mostrava di assisterlo, in una delle stanze interne dove Antonina se ne stava sdraiata su un triclino con Belisano seduto ai suoi piedi. La donna coprì di insulti il papa e Belisario non riconobbe le discolpe di Silverio. Fece entrare un suddiacono di nome Giovanni che, condotto il pontefice in una stanza attigua, gli tolse il pallio, lo spogliò degli abiti vescovili e gli fece indossare una tonaca da monaco.
Intanto un altro diacono, Sirio, annunciava al clero che il papa era stato riconosciuto colpevole e deposto. Belisario lo relegava, ridotto ormai allo stato di semplice monaco, a Patara in Licia. In quello stesso mese (marzo 537) il clero, sotto l'imposizione di Belisario, eleggeva nuovo pontefice Vigilio (537-555).
Silverio era difeso dal vescovo di Patara che si rivolse direttamente a Giustiziano, dal quale ottenne che Silverio fosse rimandato a Roma per essere nuovamente giudicato. Invece Silverio fu consegnato al papa Vigilio che lo fece condurre nell'isola di Palmaria (l'isola di Ponza), dove fu tenuto in prigionia. Il papa morì poco dopo, pugnalato da Eugenio, sicario di Antonina (537).

 

IL TRANELLO A GIOVANNI

 

G iovanni il Cappàdoce godeva la fiducia dell'imperatore (che, come abbiamo visto, lo aveva destituito in occasione della rivolta di Nika, ma in seguito lo aveva reintegrato nella carica). Giovanni era insostituibile per essere potente (**). Come abbiamo visto, ministro delle finanze e prefetto di Corte, è descritto come un uomo avido e senza riguardi per nessuno. Quando qualcuno gli capitava a tiro non si faceva scrupolo di spogliarlo delle sue sostanze.
Era l'uomo più odiato del momento, sia perché non risparmiava la popolazione, sia perché non risparmiava le sue critiche nei confronti di chiunque, fosse anche la stessa imperatrice o la moglie del generale Belisario.
"Io" scrive Procopio, che raccontava in prima persona tutti quegli avvenimenti di cui era stato testimone, "all'epoca (cioè quando scriveva "Le Guerre"), per paura tacqui un particolare. Si trattava del tranello teso da Antonina a Giovanni e a sua figlia; esso non era stato accidentale, anzi, con tanti di quei giuramenti - di cui i cristiani sembrano avere il più gran timore - ella aveva escluso di nutrire intenzioni subdole contro di loro".
Teodora l'odiava e Giovanni nella sua arroganza "non aveva neanche tentato di addolcirla, inasprendo i rapporti e calunniandola presso l'imperatore, senza riguardo né rispetto della sua posizione né per l'amore che l'imperatore aveva per lei".
L'imperatrice non desiderava altro che vendicarsi, a tal punto, da desiderare di vederlo morto. Nello stesso tempo si sentiva impotente, in quanto Giovanni godeva della considerazione e della protezione dell'imperatore.
Giovanni, venuto a conoscenza dei sentimenti che l'imperatrice nutriva per lui, divenne sospettoso e passava notti insonni per timore che qualche sicario gli balzasse addosso per ucciderlo. Rimaneva a lungo insonne, continuando a lanciare occhiate furtive fuori dalla stanza e a spiare dietro le porte, sebbene si facesse proteggere da uno stuolo di guardie del corpo, cosa che non era stata mai concessa a nessun altro prefetto.
Giovanni era solito frequentare oracoli e indovini che gli avevano predetto che sarebbe diventato imperatore.
Antonina, ritenendo di fare cosa gradita all'imperatrice, gli architettò un tranello servendosi della sua stessa figlia Eufemia, che godeva reputazione di grande morigeratezza ed era molto ingenua perché ancora molto giovane.
Antonina la blandì a lungo fino a guadagnarsi completamente la sua fiducia, tanto che Eufemia non esitava a raccontarle i propri segreti.
Antonina si lamentava con lei per l'ingratitudine dell'imperatore nei confronti di Belisario, cui aveva guadagnato l'estensione di molti territori, aveva portato una quantità di tesori e due re prigionieri a Bisanzio. Antonina accusò anche il governo d'iniquità. Eufemia si lasciò andare dicendo, che anche lei odiava l'attuale regime politico soprattutto per il timore che le incuteva l'imperatrice, aggiungendo: "Di questo siete responsabili voi due, che pur avendone i mezzi non volete usare il vostro potere".
Antonina ne approfittò per ribattere: "Ma mia cara. Noi non possiamo dare inizio a una rivoluzione con l'esercito, se non abbiamo dalla nostra parte nessuno in patria. Certo se tuo padre volesse collaborare, potremmo facilmente organizzare la cosa e condurla a buon fine, con l'aiuto di Dio".
Eufemia corse subito dal padre per riferire questo colloquio e Giovanni ne gioì pensando che si sarebbe verificata la profezia. Pregò la figlia di fare in modo che il giorno seguente potesse incontrare Antonina. Costei per fugare ogni sospetto gli fece sapere che per il momento non era il caso d'incontrarsi, aggiungendo che lei partiva per l'Oriente per raggiungere Belisario, passando prima dal sobborgo dov'era la loro tenuta ("Le Rufiniane"). Giovanni poteva raggiungerla lì dando a vedere che vi si trovava per caso e che le avrebbe fatto da scorta per il viaggio. Avrebbero potuto così parlare tranquillamente della questione e darsi reciproche garanzie. Giovanni felice acconsentì.
Antonina passò a salutare l'imperatrice, riferendole della macchinazione che si stava preparando e che fu immediatamente riferita a Giustiniano. L'imperatore diede incarico al generale Narsete, a un eunuco di Corte e a Marcello, comandante delle guardie di palazzo, di investigare e, se avessero scoperto che Giovanni stava preparando un complotto, di ucciderlo.
L'imperatore, molto lealmente, aveva mandato qualcuno dei suoi da Giovanni per avvertirlo di non incontrarsi con Antonina, ma le cose erano destinate ad andar male per Giovanni, che non dette peso all'avvertimento dell'imperatore.
Egli verso la mezzanotte s'incontrò con Antonina dietro un muretto in modo che dall'altra parte Narsete e Marcello con i loro uomini potessero ascoltare il colloquio. Mentre Giovanni esponeva le sue idee ed il suo pensiero, Narsete e Marcello gli saltarono addosso. Sentito il fragore, sopraggiunsero le sue guardie del corpo; una di esse ferì Marcello e Giovanni, liberato, riuscì a fuggire dirigendosi verso la città.
"Se fosse andato direttamente dall'imperatore", scrive Procopio, "certamente non avrebbe avuto alcuna punizione, invece andò a rifugiarsi in una chiesa dando modo all'imperatrice di attuare ciò che aveva in mente contro di lui".
Andò poi a trovare rifugio in un sobborgo chiamato Artace, della città di Cizico (sul mar di Marmara), dove prese l'abito sacerdotale, senza avere però l'intenzione di adempiere gli uffici sacri, avendo la speranza di riprendere la sua carica. Le sue proprietà vennero confiscate, ma poi l'imperatore ancora indulgente con lui, gliene restituì una gran parte.
Avrebbe potuto vivere in quel posto, circondato dalle ricchezze, tra quelle che aveva accumulato di nascosto e quelle che gli erano state restituite dall'imperatore, ma, scrive Procopio, "la sua arroganza non cessò di attirare su di lui lo sdegno dei romani, che vedevano come quell'individuo, che si era comportato come il più malvagio dei demoni, avesse ripreso a condurre una vita ancor più felice di prima". "Ma Dio", prosegue Procopio, "non permise che la sua giustizia rimanesse sospesa e gli preparava la giusta punizione".
A Cizico vi era un vescovo di nome Eusebio, molto potente, violento con tutti, non meno di Giovanni. Gli abitanti della città lo denunciarono all'imperatore e al tribunale ma non vennero a capo di nulla. Alcuni giovani lo uccisero. Poiché Giovanni gli era stato particolarmente ostile, fu sospettato dell'assassinio.
A Cizico furono mandati personaggi del Senato per svolgere le indagini, i quali arrestarono Giovanni e dopo averlo denudato e frustato, lo misero così coperto di ferite e avvolto in una coperta ispida su una barca, accompagnato da guardiani che ad ogni porto lo costringevano a chiedere l'elemosina e mendicare il pane. Lo accompagnarono quindi nella città di Antinoo (Antinopoli) in Egitto dove rimase relegato… a sognare di diventare imperatore.

 

TEODOSIO

 

V iveva in casa di Belisario, un giovane trace di nome Teodosio, appartenente per tradizione di famiglia alla setta dei cosiddetti eunomiani (1).
Belisario, prima di salpare per la Libia, pensò di adottarlo e lo fece seguendo la cerimonia cristiana dell'adozione. La cerimonia fu officiata dal patriarca di Costantinopoli Epifanio, il giovane fu prima immerso nel fonte battesimale e poi sollevato dai due coniugi, come prevedeva il rito.
Antonina in un primo momento aveva considerato Teodosio come un figlio sacramentale e prese a circondarlo col più naturale degli affetti, tenendoselo sempre accanto e dedicandogli le più sollecite cure.
Ma all'improvviso, durante la traversata, fu presa da insano desiderio e furiosa passione, e non potendo più resistere, liberandosi di ogni complesso e di ogni ritegno, non pensò ad altro che a far l'amore con lui.
All'inizio lo faceva di nascosto, ma poi prese ad accoppiarsi anche in presenza di servi ed ancelle. Non solo, ma divenuta ormai preda di questa sua brama erotica, palesemente innamorata, non ebbe più alcun ritegno a nascondere i suoi sentimenti e le sue nefandezze, facendo l'amore ovunque capitasse.
Un giorno, quando erano a Cartagine, Belisario li colse sul fatto. Li aveva infatti sorpresi insieme in un sotterraneo ed era andato su tutte le furie. Ma si lasciò ingannare dalle giustificazioni della moglie. Lei infatti senza scomporsi e senza mortificarsi per l'incidente, gli disse che era scesa col ragazzo per nascondere gli oggetti più preziosi del bottino che lui aveva recuperato, per non farne saper niente all'imperatore. Questa la scusa che addusse, e lui fingendo di crederci la lasciò andare, benché avesse notato che la cinghia dei pantaloni di Teodosio fosse allentata fino all'inguine.
Nella sua passione per quella donna, Belisario non voleva credere a quel che vedeva con i propri occhi. La sua dissolutezza andava man mano crescendo fino ad eccessi indicibili e chi era stato spettatore dei fatti, taceva.
A Siracusa, quando Belisario aveva conquistato la Sicilia (535), una schiava di nome Macedonia, dopo essersi fatta giurare dal padrone, nel modo più solenne, che non l'avrebbe mai tradita presso la padrona, gli svelò tutto per filo e per segno, il tutto confermato da due ragazzi addetti al servizio di camera.
Tutti quelli del seguito conoscendo l'incostanza di Belisario, si preoccupavano più di compiacere la moglie che parteggiare per il marito. Per questo svelarono a lei l'ordine che avevano ricevuto di uccidere Teodosio, il quale avvertito in tempo, fuggì ad Efeso.
Un amico di Belisario, il generale Costantino, vedendo Belisario accorato per l'accaduto, nell'esprimergli la sua addolorata solidarietà, soggiunse che al suo posto avrebbe "piuttosto ammazzato la moglie che il ragazzo". Antonina venne a saperlo e da quel momento prese a odiare Costantino, cercando il modo per sfogare il suo rancore e vendicarsi. "Era come uno scorpione, d'animo cupo", scrive Procopio. Poco dopo, con trappole o con lusinghe convinse il marito che l'accusa della schiava non reggeva e Belisario, senza indugi, mise Macedonia e i due ragazzi nelle mani della moglie e mandò a chiamare Teodosio.
Secondo i racconti, lei avrebbe fatto tagliare a tutti e tre la lingua, poi facendoli tagliare a pezzi, chiudere in sacchi e gettare in mare. Esecutore di tutto questo scempio fu uno dei servi, quell'Eugenio che aveva commesso il delitto ordinato dall'imperatrice, uccidendo il papa Silverio.
Anche il generale Costantino, poco dopo, fu ucciso da Belisario per istigazione della moglie. Proprio allora era accaduto l'avvenimento "dei pugnali di Presidio".
Presidio era un esponente della nobiltà romana, al quale durante la guerra gotica, a Spoleto, erano stati sottratti due preziosi pugnali da parte del generale Costantino. La questione era stato deferita alla decisione dell'imperatore, che si sarebbe orientato per l'assoluzione. Ma Belisario istigato dalla moglie gliene chiese ragione.
Costantino gli rispose che avrebbe risposto solo all'autorità dell'imperatore. Ne seguì una zuffa, Costantino cercò di colpire Belisario, ma fu ucciso dalla sua guardia del corpo.
Per questo fatto Belisario s'attirò l'odio dell'imperatore e di tutti i maggiorenti dell'impero.

1) Seguaci di Eunomio, vescovo di Cizico, assertore di una dottrina considerata eretica dall'imperatore Valente (367), il quale riteneva che delle tre persone della Trinità, solo il Padre era ingenerato, mentre le altre due nature pur essendo simili non erano uguali al Padre essendo state generate.

 

FOZIO
E LA FINE DI TEODOSIO

 

T eodosio, perdonato da Belisario, era stato invitato a raggiungerlo in Italia, dove si trovava con Antonina. Teodosio però fece sapere che non se la sentiva di venire in Italia, se prima non fosse stato tolto di mezzo Fozio.
Fozio, era un figlio di Antonina, nato prima del matrimonio con Belisario. Era piuttosto giovane ma era già molto assennato e chiaramente dotato di forte carattere al di sopra della sua età. Per indole era facile a farsi rodere dall'invidia nei confronti di chiunque fosse riuscito a raggiungere posizioni che lo avessero reso più potente di lui. Pur debole di costituzione, riuscirà a raggiungere il grado consolare.
"Era giusto" scrive Procopio, "che riguardo a Teodosio crepasse di rabbia, perché Fozio, benché figlio d'Antonina, non contava nulla, mentre Teodosio era molto potente e continuava ad arricchirsi".
Si raccontava infatti che tra Cartagine e Ravenna avesse rubato all'erario 100 centenari (un centenario era corrispondente a 100 libbre d'oro ndr.), profittando della facoltà di disporne da solo e senza controlli.
Antonina, conosciute le intenzioni di Teodosio, si mise a tramare, questa volta contro il proprio figlio e a perseguitarlo con tranelli mortali, finché non riuscì a ottenere che Fozio, incapace di sopportare le sue insidie, se ne andasse verso Bisanzio, mentre Teodosio si recava da lei in Italia.
Antonina godé a sazietà della presenza dell'amato e della dabbenaggine del marito, e con tutti e due tornò a Bisanzio.
Ma a Bisanzio i rimorsi incominciarono ad impossessarsi di Teodosio e a sconvolgerne l'animo. Teodosio capiva ormai di non poter continuare a vivere com'era vissuto fino a quel momento, e soprattutto dover fare tutto di nascosto.
Si rendeva conto che Antonina, non era più in grado di nascondere la sua sfrenata passione né di sfogarla in segreto, anzi lei non disdegnava né l'esibizione del rapporto né che gli altri la criticassero apertamente considerandola un'adultera.
Teodosio decise quindi di andarsene ad Efeso dove, entrato in un monastero, si sottopose alla tonsura facendosi monaco.
Antonina ne fu tanto sconvolta da giungere al limite della follia. Mise abiti da lutto, assumendo l'aspetto di chi fosse stato colpito da un grave lutto. Girava per casa, anche in presenza del marito, gemendo come un'ossessa, urlando e lamentandosi con continue esclamazioni di "quale tesoro era scomparso per lei", "quale uomo fedele, bello, premuroso, solerte, avesse perduto".
Agendo sul marito, finì di coinvolgere anche lui nei piagnistei. "Anche il pover'uomo piangeva invocando l'amato Teodòsio". Belisario si recò infine dall'imperatore e, supplicando sia lui sia l'imperatrice, li persuase a richiamare Teodosio come assolutamente indispensabile per la sua casa, per ora e per sempre.
Belisario era partito con Fozio per combattere contro Cosroe. Antonìna rimase a Bisanzio, contrariamente al suo solito. Essa infatti lo aveva sempre accompagnato ovunque, affinché Belisario, stando solo e rientrando in sé, non potesse aprire gli occhi sul suo conto e non si sottraesse ai suoi "magici influssi".
Per consentire poi a Teodosio di frequentarla liberamente, Antonina si diede da fare per togliersi Fozio dai piedi.
Indusse quindi alcuni del seguito di Belisario a stuzzicarlo di continuo senza perdere occasione di beffeggiarlo e insultarlo. Lei stessa poi, quasi giornalmente, si diffondeva in calunnie scritte e in ogni sorta di montature contro il figlio, tanto che il giovane si vide costretto ad accusare la madre.
Era giunto da Bisanzio un tale con la notizia che Teodosio si incontrava segretamente con Antonina.
Fozio lo condusse immediatamente da Belisario, facendogli raccontare tutto per filo e per segno. Belisario, venuto a conoscenza di questi fatti, andò su tutte le furie e, gettandosi bocconi ai piedi di Fozio, lo pregò di vendicarlo degli empi oltraggi che riceveva proprio da chi non glieli doveva infliggere, dicendogli: "Figlio mio dilétto, tu non hai mai saputo chi fosse tuo padre. Quando morì, ti lasciò che eri ancora a balia. Da lui non hai avuto nulla, perché di sostanze ne avéva poche. Io sono solo il tuo patrigno, eppure ti ho cresciuto e sei ormai in un'età in cui è tuo dovere vendicare tutte le offese che io ricevo. Sei giunto alla dignità consolare ed hai messo insieme una fortuna, tanto da poter ben dire d'essere per te padre, madre e famiglia. L'affetto reciproco tra gli uomini non si misura dal sangue ma dalle azioni. E' giunto il momento che tu non assista impassibile alla rovina della mia casa, alla perdita di tanta ricchezza e alla vergogna così grave, di cui tua madre si copre agli occhi di tutti. Pensa che le colpe delle donne non offendono solo i mariti, ma toccano, ancora di più i figli. L'idea che la loro indole somigli a quella materna, saranno proprio i figli a portarsela dietro. Quanto a me, sappi che amo mia moglie e se mi è dato punire chi ha rovinato la mia casa, non potrò mai torcerle un capello e farle alcun male; ma finché vive Teodosio non riuscirò a perdonarle la sua colpa".
Udite queste parole, Fozio si mise a sua completa disposizione, ma asserì di temere possibili conseguenze spiacevoli a causa della sua incostanza nei confronti della moglie, che non gl'ispirava molta fiducia. Tra l'altro lo preoccupava la sorte che era toccata a Macedonia.
Perciò s'impegnarono vicendevolmente, con i giuramenti più sacri - di quelli che vigono tra i cristiani - a non tradirsi, neppure se fossero andati incontro a rischi mortali.
Per il momento decisero di non prendere alcuna iniziativa. Quando Antonina fosse giunta a Bisanzio e Teodosio fosse tornato a Efeso, Fozio recandosi ad Efeso, si sarebbe potuto agevolmente impadronire di Teodosio e delle sue ricchezze.
Avvenne però che l'imperatrice, per ricambiare il favore che Antonina le aveva reso con Giovanni il Cappàdoce, le aveva consegnato alcune persone che avevano avuto come unica colpa, quella di essere amici di Belisario e Fozio.
Tra questi vi era uno di quelli che avevano seguito Fozio ad Efeso, anch'egli di nome Teodosio. Antonina si vendicò con lui facendogli confiscare i beni e facendolo rinchiudere in un sotterraneo immerso nell'oscurità e facendolo legare ad una greppia con una corda così corta da rimanere sempre tesa, senza che si allentasse. Quel disgraziato era costretto così in piedi, a mangiare, dormire e fare i suoi bisogni, come un asino. In quattro mesi in quelle condizioni questo Teodosio fu preso da follia, dando in escandescenze. Solo allora fu liberato dalla prigionia, ma poco dopo morì.
Lo stesso Fozio fu sottoposto da Antonina a torture, come se fosse un estraneo e non suo figlio. Come uno schiavo fu preso a staffilate sulla schiena, perché rivelasse dove Teodosio con il suo servo Calligono si fosse nascosto.
Ma Fozio, pur di salute cagionevole e abituato alle mollezze e alle cure del corpo, e assolutamente ignaro di violenze e disagi di carattere fisico, riuscì a resistere e non parlare.
Fu l'imperatrice a far scovare Teodosio. Lo fece condurre a palazzo e convocò Antonina alla quale riferì che nelle sue mani era caduta "una perla che nessuno mai aveva visto" e se voleva, poteva mostrargliela. Antonina sorpresa da quelle parole, non avendo capito a cosa l'imperatrice si riferisse, acconsentì a farsi mostrare la perla. Teodora a quel punto fece introdurre Teodosio alla loro presenza, e Antonina per la sorpresa ne rimase esterrefatta. Piena di gioia, ringraziò l'imperatrice per tutti i favori da lei ricevuti, come sua salvatrice, benefattrice e sua signora.
L'imperatrice gratificò Teodosio facendolo vivere a Corte nel lusso e nel benessere e poco era mancato che di lui non ne avesse fatto un generale.
Per contro, relegò Fozio in una delle stanze buie di cui disponeva a Palazzo, tenendolo lì nascosto. Fozio per ben due volte aveva tentato di evadere. Una prima volta si era rifugiato nella chiesa chiamata Madre di Dio. Ma Teodora lo fece raggiungere segregandolo di nuovo nel Palazzo. Una seconda volta aveva raggiunto il fonte battesimale di Santa Sofia, sacro ai cristiani. Ma per l'imperatrice nessun luogo era sacro e intoccabile. Lo fece trascinare fuori e portare nuovamente nelle segrete dove Fozio passò ancora tre anni di prigionia.
Si raccontava che gli fosse apparso in sogno il profeta Zaccaria che gl'impose di tentare ancora una volta la fuga, con la promessa di assisterlo. Confortato dal sogno, Fozio tentò la fuga recandosi a Gerusalemme.
Il fatto prodigioso fu che nessuna delle spie sguinzagliate alla sua ricerca, anche trovandosi faccia a faccia con lui, fosse riuscito a vederlo. Fozio entrò quindi in un monastero, prendendo la tonsura e facendosi monaco, riuscendo così ad evitare la vendetta i Teodora.
Teodosio invece era a Corte, quando morì colpito da un attacco di dissenteria, "ricevendo la giusta punizione della Provvidenza", era stato commentato.

*) La letteratura si è occupata della figura di Belisario dal 1400 in poi, fino ad un romanzo morale e politico, con ampie discussioni filosofiche (1767) di Jean-Francois Marmontel (1723-1799) e un romanzo (1921) di Mario Pratesi (1842-1921). Infine, di Belisario si erano occupati anche i musicisti come F. Andrè D. Polidor (1736-1795), Léon de Saint-Lubin (1805-1859) e Gaetano Donizetti (1797-1848).
**) I mille anni dell'impero bizantino, Cap. IV.
***) I mille anni dell'Impero bizantino Cap. V: Teodora.

FINE

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