E' noto che l'Italia possiede un patrimonio artistico che
giace in gran parte inutilizzato in polverosi scantinati. Di questo
patrimonio quello dei libri è il più negletto. Molti
testi antichi spesso non sono neanche inventariati. Vi è
anche un altro problema che riguarda questo settore librario.
Quello delle traduzioni. Siamo arrivati al terzo millennio e vi
sono ancora libri dell'antichità, che almeno in Italia,
patria dell'Umanesimo, non sono stati ancora tradotti.
Non abbiamo una collana del tipo della francese Les belles
lettres, in cui risultano tradotti tanti testi che in Italia
non si trovano.
Non vogliamo essere nihilisti e riconosciamo che vi sono
casi di traduzioni, anche in bella veste editoriale, come quelli
della Fondazione Valla (che fa morire per le lunghe attese!),
oppure della BUR, Rusconi, Salerno, l'Adelphi (Dionisiache di
Nonno di Panopoli), Jaca Book, per la collana medievale, che pur
essendo ricca, non lo è mai abbastanza, o Sellerio per
opere più vicine a noi, tradotte dal francese.
Sono casi sparsi senza uniformità, dove alle volte si compiono
sforzi editoriali per ripubblicare opere già tradotte,
e non se ne fanno invece per opere mai tradotte (valga come esempio
l'Alessiade di Anna Comneno o la Storia dei Franchi di Gregorio
di Tours).
Le Università, che sono le depositarie della cultura, dovrebbero
provvedere a curare quest'aspetto in pratica trascurato.
Un'iniziativa in tal senso è stata presa dall'Università
Cà Foscari di Venezia, Dipartimento italianistica e filologia
romanza, con la collana Medioevo europeo (l'Unione Europea dovrebbe
incrementare queste attività), diretta da Giancarlo Alessio
e Stefano Gasparri, con il volume Testi storici veneziani
(XI e XII sec.), edito da CLEUP. di Padova (£.15.000), che,
ben curato nella veste editoriale, contiene una ricca introduzione,
con indicazione delle Fonti (chi tradurrà mai Giovanni
Cinammo, Guglielmo di Tiro e tanti altri storici i cui nomi, a
vederli indicati, fanno fumare il cervello?) e altrettanto ricca
Bibliografia.
Il libro contiene la traduzione di Historia ducum venetorum
e Annales venetici breves (1102-1228), di Anonimi, e di Domenico
Tino, Relatio de electione Dominici Silvi Venetorum ducis,
a cura di Luigi Andrea Berto.
Rileviamo che a distanza di un mese (1999-2000) il libro ha avuto
una prima ristampa, il che significa che l'iniziativa è
stata ben accolta. Non resta che attendere le nuove traduzioni
della collana che ci auguriamo siano tante!.
Nel corso della storia si è verificato che alcuni assassini
di personaggi famosi, essendo stati associati a costoro, hanno
avuto lo stesso successo dei personaggi uccisi. Altri, invece,
sono stati, non solo poco conosciuti, ma spesso dimenticati. Uno
di questi è stato l'assassino di Elisabetta, imperatrice
d'Austria e regina d'Ungheria, moglie di Francesco-Giuseppe, diventata
famosa col diminutivo di Sissi.
Dell'assassino dell'imperatrice si conosceva quel poco che era
stato scritto dai giornali dell'epoca, che avevano pubblicato
resoconti del processo che era stato molto stringato perché
Lucheni era stato reo confesso.
Sono passati cento anni dall'uccisione dell'imperatrice e dopo
circa un secolo sono apparse le memorie (la sola prima parte)
che Louis Lucheni aveva scritto in carcere, nell'arco di cinque
anni.
Queste memorie costituite da cinque quaderni (oltre a un almanacco)
erano spariti dalla cella del Lucheni, sottratti dal capo guardiano
(che interrogato, unitamente alla guardia e negherà di
saperne qualcosa).
La perdita scatenerà la furia di Lucheni che già
era pieno di rancore per le ingiustizie sociali subite durante
tutta l'infanzia e che con quest'altro avvenimento egli ritiene
si accaniscano ancora contro di lui.
Louis Lucheni aveva passato la sua fanciullezza in orfanotrofio
e contemporaneamente presso famiglie umili e povere. Aveva acquisito
una certa istruzione che gli aveva dato la possibilità
di saper leggere e scrivere. Gli anni che passerà in carcere
li dedicherà alla lettura di libri che gli daranno la possibilità
di scrivere non solo in maniera corretta, ma anche con una certa
originalità.
Queste memorie sono, infatti, ben impostate dal punto di vista
espositivo, precedute da alcune pagine indirizzate al lettore,
firmate in maniera insolita, il timido Nazareno, preceduti
da un'introduzione firmata il generoso cosmopolita.
La prima parte delle memorie (rimasta unica) intitolata Miei
ricordi d'infanzia.
Dal loro ritrovamento piuttosto fortunoso risulterà invece
che era stato proprio il capo guardiano a sottrarli.
Nel 1938, racconta il nuovo possessore, Santo Cappon, <mio
padre collezionista di francobolli entra in contatto con una persona
che gli propone un affare. Lo mette in contatto con una donna
che si trova in possesso di uno stock di vecchi documenti, una
gran quantità di biglietti postali e cronometri svizzeri.
Essendo indeciso all'acquisto, perché i suoi interessi
erano filatelici la donna, per invogliarlo, gli presenta cinque
vecchi quaderni blu e un libro dalla copertina illustrata (almanacco).
La donna racconta di essere la figlia del capo-guardiano, (Deperriez),
della prigione l'Eveché (Ginevra), e che il padre aveva
recuperato questi documenti dalla cella di Louis Lucheni, l'assassino
dell'imperatrice d'Austria. Incredulo il padre di Santo Cappon,
chiede alla donna come il padre avesse potuto legittimamente venirne
in possesso. Essa risponde che dopo il suicidio dell'ignobile
assassino, si era cercato in tutti i modi di farlo dimenticare
e far sparire ogni traccia della sua esistenza. Il padre cercò
di recuperare qualche piccolo souvenir.
Nel 1963 intento a riordinare l'archivio di mio padre mi capitano
nelle mani quei documenti. Convinto della loro importanza e della
necessità di studiarli, proposi a mio padre di occuparmene,
ma lui rispose che non era il caso che io, suo figlio, mi occupassi
di un assassino, essi finirono così dimenticati in un cassetto.
Alla morte di mio padre, che aveva 103 anni, nel 1991, li tolsi
dal cassetto dove erano stati dimenticati. La mia preoccupazione
era quella non solo di salvaguardare ciò che appartiene
alla storia ma di fare delle ricerche per ricostruire esattamente
le circostanze della scomparsa, accertando che i quaderni e il
libro (almanacco) il capo-guardiano Depierraz li aveva sottratti,
e non recuperati, come aveva riferito la figlia.
Stranamente questi documenti saltano fuori dopo la morte del
direttore del carcere, Jean Fernex, avvenuta nel 1937, che non
aveva approfondito minimamente i motivi per i quali Lucheni, mentre
dal 1902 al 1909 aveva avuto in prigione una condotta esemplare,
da quest'ultimo anno venne descritto come una belva furiosa. E,
a proposito dei quaderni, nel rapporto giornaliero Fernex si era
limitato a scrivere che Lucheni si lamenta che quattro o cinque
quaderni sono stati smarriti.
La sparizione aveva letteralmente sconvolto Lucheni che darà
in continue escandescenze fino al momento in cui si toglierà
la vita.