Il IV sec. nell'impero bizantino aveva conosciuto le controversie
sulla dottrina trinitaria, affermata dai primi due Concili di
Nicea e Costantinopoli ( v. Cronologia dei Concili) e relativa
alla consustanzialità del Padre col Figlio e con lo Spirito
Santo, del quale ultimo Macedonio contestava la divinità.
In seguito a questa affermazione del dogma della perfetta divinità
del Figlio e della consustanzialità col Padre e con lo
Spirito Santo, i problemi però non erano finiti.
Affermato questo principio, ne era sorto un altro: quello della
natura, divina ed umana, di Cristo. E' la controversia che impegnerà
tutto il V secolo.
Le principali scuole teologiche, nell'impero bizantino, si erano
formate a Costantinopoli, sede imperiale, e quindi di base ortodossa
(salva la predisposizione dei singoli imperatori e l'appoggio
di questi dato, volta per volta, ad altre tendenze). Ad Antiochia
e Alessandria erano invece prevalse le scuole che si fecero portatrici
di dottrine collaterali.
All'epoca del Concilio di Nicea (325, in cui era stato condannato
l'arianesimo: v. Schede "Scismi in oriente"), Apollinare,
vescovo di Laodicea (Siria), aveva enunciato la tesi, secondo
la quale Cristo, in quanto perfetto Dio, non poteva essere perfetto
uomo. La sua natura umana era soltanto un corpo simulato, che
aveva un'unica natura, quella divina.
Questa dottrina costituisce la base di quello che sarà
il monofisismo.
Partendo da essa, ad Antiochia si sosteneva che in Cristo le due
nature coesistevano distintamente. La divinità aveva scelto
come proprio "vaso" Cristo, figlio di Maria, che era
da considerare madre di Cristo e non madre di Dio.
In opposizione a questa interpretazione, era insorta la scuola
di Alessandria, che sosteneva la tesi dell'Uomo-Dio, in cui la
natura umana e quella divina si unificavano; era la chiara enunciazione
della dottrina monofisita.
Contro di essa si levò (428) l'egizio Nestorio (381-451),
esponente della scuola di Antiochia, che, divenuto patriarca di
Costantinopoli, incominciò a predicare la dottrina cristologica
antiochena (v. Schede: "Scismi in oriente", ecc.), secondo
la quale: se Cristo era stato soltanto Dio, non poteva essere
morto per l'umanità, perché per un Dio la morte
non sarebbe stata un grande sacrificio. Si doveva quindi supporre
che Dio era stato anche uomo, nel cui corpo aveva albergato la
divinità <come se fosse stato in un tempio>. La natura
di Cristo doveva considerarsi umana.
La conseguenza, che scaturiva da questa tesi, coinvolgeva Maria
in quanto, se Cristo era uomo, Maria non poteva essere madre di
Dio, ma solo colei che aveva partorito l'uomo Cristo.
Nestorio, mettendo in discussione Maria, aveva suscitato una forte
reazione in Egitto, dov'erano abituati a vederla assisa sul trono,
in quanto questo nuovo culto derivava da quello degli antichi
egizi per Iside, che ritroveremo in Europa nella venerazione della
Madonna nera.
Anche ad Efeso vi fu analoga reazione. Ivi, gli abitanti erano
legati al culto di Maria, che si riteneva avesse passato gli ultimi
tempi della sua vita e fosse morta in quel luogo. Ad Efeso, però,
prima del culto di Maria, si trovava un tempio gigantesco (distrutto
da Erostato), considerato una delle sette meraviglie, dove si
venerava la statua di Diana, <la grande Madre> carica di
mammelle e di testicoli di toro. Gli abitanti di quella città
avevano gridato a Paolo di Tarso < Grande è la Diana
degli efesini>.
Nestorio trovò, in questa sua tesi, una forte opposizione
anche da parte di Cirillo, sostenuto dal monachesimo egiziano.
Roma si schierò dalla parte degli alessandrini.
Nonostante Nestorio fosse appoggiato dall'imperatore del momento
(Teodosio II), fu sconfitto nel terzo Concilio, di Efeso (431),
guidato dal partito alessandrino, sotto la direzione di Diòscoro,
che soppresse ogni opposizione in modo da far condannare Nestorio
e confermare la dottrina monofisita.
Cirillo ottenne un grande prestigio da una simile vittoria, in
quanto riportata, in effetti, personalmente nei confronti dell'imperatore
e del patriarca di Costantinopoli.
Infatti, Cirillo divenne patriarca di Alessandria e capo della
chiesa in oriente e in Egitto, riuscendo a far valere il suo potere
(temporale) sui rappresentanti locali dell'imperatore e raggiungendo
il massimo della sua potenza (terrena).
Morto Cirillo (444), gli succedette Diòscoro, che mantenne
al patriarcato il prestigio conquistato dal suo predecessore.
A Costantinopoli si trovava, come rappresentante del patriarca
di Alessandria, Eutiche, archimandrita (superiore) di un convento
di trecento monaci, molto potente presso la corte imperiale.
Dioscoro ed Eutiche erano stati discepoli di Cirillo, ma, dei
due, Eutiche aveva portato all'estremo la dottrina del maestro,
sostenendo che le due nature di Cristo erano diventate un'unica
natura, la divina, che convergeva in una sola persona.
Morto l'imperatore Teodosio II (450), il nuovo imperatore, Marciano
(marito di Pulcheria), che subiva la forte influenza dell'imperatrice,
convocò il Concilio di Calcedonia (451), in cui fu confermato
il dogma delle due nature di Cristo, la divina e con l'incarnazione
l'umana, con condanna dei monofisiti.
Il Concilio si era posto in pratica su una posizione intermedia
tra le due tendenze, confermando che la salvezza poteva essere
portata solo dal Salvatore che fosse nello stesso tempo perfetto
Dio e perfetto Uomo. Il Concilio, quindi, riconosceva: 1. l'unità
di operazione (monoenergismo) e 2. unità di volontà,
come dire: due volontà naturali e due modi naturali d'operare,
indivisi, immutati, inseparati e non mescolati.
Con l'affermazione delle due nature (duofisismo, da phisis=natura),
la teoria nestoriana già condannata ad Efeso veniva ad
essere considerata eretica. Anche Eutiche, che negava la natura
umana, assorbita dalla natura divina (v. Schede: "Riti orientali
ecc.") e Diòscoro, che lo appoggiava, furono considerati
eretici.
Il papa, Leone I, si mostrò d'accordo con Calcedonia e
Costantinopoli, scrivendo (in Tomo) che nel Cristo, anche dopo
l'incarnazione, sono presenti le due nature, l'umana e la divina,
ambedue perfettamente indivisibili, ma distinte, che convergono
nella sola persona di Cristo.
Il Concilio, poi, pur di abbattere lo strapotere della Chiesa
di Alessandria, riconobbe al papa il primato della Chiesa di Roma,
ma stabiliva la parificazione di tutti i vescovi sia occidentali
sia orientali [principio già affermato nel secondo Concilio
(primo di Costantinopoli, 381), secondo cui alla Nuova Roma spettava
la direzione della Chiesa orientale e al vescovo di Costantinopoli
il primo posto nella gerarchia ecclesiastica, dopo quello di Roma].
La Siria e l'Egitto si mantennero comunque fedeli alle dottrine
monofisite, ripudiando il Concilio di Calcedonia.
La diatriba tra la teoria duofisita di Costantinopoli-Calcedonia
e monofisita di Alessandria, da religiosa, diventerà politica,
avendo scatenato tendenze autonomistiche in Siria ed Egitto, di
cui si serviranno siriaci e copti nella lotta di queste province
contro il potere centrale di Costantinopoli.
Quando salì al trono Basilisco (476) di fede monofisita,
il nuovo imperatore emanò un'enciclica, con cui condannava
i canoni del Concilio di Calcedonia e il Tomo di papa Leone I.
Ciò non fece che creare il risentimento da parte dei bizantini
ortodossi, che accelerò la caduta di Basilisco. Il successore
Zenone (474-491) cercò di giungere ad una conciliazione
tra monofisiti e duofisiti. Con l'approvazione del patriarca Acacio
(482), l'imperatore pubblicò l'<Henotikon>, cioè
l'editto dell'unione, in cui si accettavano le conclusioni dei
primi tre Concili, evitando però di scendere sullo scivoloso
campo della natura, singola o doppia di Cristo.
L'<Henoticon> non poteva soddisfare né l'una, né
l'altra delle due correnti. Il papa intervenne, condannando l'<Henotikon>
e scomunicando il patriarca di Costantinopoli. Questo a sua volta
cancellò il nome del papa dai dittici e la frattura andò
avanti per oltre trent'anni.
Alla morte di Zenone, il popolo urlò all'imperatrice, la
vedova Ariadne, che voleva un imperatore ortodosso.
Fu eletto l'imperatore Anastasio (491-518), che però era
monofisita. Anastasio, pur avendo fatto al patriarca di Costantinopoli,
una solenne professione di ortodossia, non solo era rimasto monofisita,
ma si mise sulle posizioni dell'Henotikon, la qual cosa suscitò
grande soddisfazione nei copti e siriaci ed analoga insoddisfazione
negli ortodossi. Ciò dette luogo a continue rivolte e guerre
civili (incrementate anche dall'oppressione fiscale),che contrassegnarono
il regno di Anastasio.
Una rivolta scoppiò anche a Costantinopoli, contro la versione
monofisita del "Trisagion-tre volte santo", che ricorreva
in questa liturgia.
Si giunse quindi al regno di Giustiniano, il quale riteneva che
la sua missione fosse quella di ricostituire l'impero romano,
fondato sulla fede ortodossa. Giustiniano condusse, come abbiamo
visto (Cap. III e V: I mille anni ecc.), una serrata lotta per
la cristianizzazione dell'impero, combattendo tutte le dottrine
eretiche.
La riconquista delle province orientali da parte di Eraclio ripropose
il problema del monofisismo. Da buon bizantino, amante delle sottigliezze
dottrinarie, egli pose ai vescovi il problema che lo assillava:
Se il Cristo che egli adorava in una sola persona, ma in due nature,
fosse mosso da una o due volontà. La risposta fu che Cristo
era mosso da una sola volontà (come d'altronde sostenevano
i nestoriani).
In Oriente, poi, era sorta la dottrina dell'<energia> di
Cristo, secondo la quale alle due nature di Cristo corrisponde
un'unica forza agente (unica energia).
Il patriarca Sergio (631), che cercava di creare un legame tra
le due correnti religiose (orientale ed occidentale) per giungere
ad una unificazione, fece propria questa dottrina <monoenergetica>,
che fu accettata anche da Eraclio. Ma non si raggiunsero risultati
soddisfacenti, perché in Siria ed Egitto le resistenze
al centralismo erano fortissime, tanto che le rispettive popolazioni
preferirono consegnarsi agli invasori persiani prima e arabi dopo
piuttosto che accettare le unificazioni volute dal potere centrale.
Proprio da parte ortodossa, prese le redini dell'opposizione il
monaco Sofronio, eletto patriarca di Gerusalemme (634), il quale
attaccò duramente, con la sua brillante eloquenza, la nuova
dottrina, che riteneva da una parte una falsificazione del Concilio
di Calcedonia e dall'altra una variazione della dottrina monofisita.
Il papa Onorio aveva mostrato le sue riserve sulla dottrina monoenergetica,
riconoscendo in Cristo una sola volontà (Thelema).
Questa formulazione <monotelita>, che attribuiva a Cristo
una sola volontà, quella divina, eliminando quindi la natura
umana, assunta nella fase dell'incarnazione, non era nuova, essendo
stata introdotta da Severo di Antiochia (inizi del 400). Costui
aveva affermato che in forza dell'unione "ipostatica"
(cioè della natura umana e divina) in Cristo l'attività
non era esclusivamente divina, ma divina ed umana ("teandrica":con
ambedue i caratteri), quindi momoenergetica.
Questa teoria, dopo la condanna del monofisismo al Concilio di
Calcedonia, fu rinnovata da Sergio, il quale poneva la volontà
come principio dinamico dell'attività, per cui dall'unità
di operazione si giungeva all'unità della volontà.
Questa tesi fu svolta nell'editto che Eraclio pubblicò
in Ektesis (Esposizione) in S. Sofia; dopo la morte di Sergio
(638), fu seguita a Costantinopoli dai sui successori, Pirro e
Paolo e, ovviamente, in Alessandria da Ciro, ma non in maniera
chiara, in modo da far cadere l'importanza della questione dogmatica
e giustificare le due opinioni in conflitto.
Come scrive Ostrogorsky, <questa teoria non fece che un buco
nell'acqua>, respinta da ortodossi e monofisiti, dal papa Onorio
e suoi successori, non essendo che una soluzione di compromesso.
Col risultato di incrementare le diatribe religiose, che politicamente
favorirono la conquista persiana prima e quella araba dopo, perché
i monofisiti, pur di sottrarsi al dominio bizantino, preferirono
sottomettersi allo straniero.
Con l'imperatrice Martina, vedova di Eraclio, il patriarca Pirro
aveva acquisito maggior influenza, che portò al rafforzamento
della politica ecclesiastica monotelita, alla quale però
Costantino III-Costante II aveva inteso rinunciare.
Il vescovo Ciro, zelante sostenitore del monotelismo, ebbe la
cattedra di patriarca di Alessandria e prese nelle sue mani non
solo la direzione degli affari religiosi, ma anche di quelli politici.
I pontefici Severino (640), Giovanni IV (640-42) e Teodoro I (642-49),
reagirono violentemente, per cui Costantino III-Costante II cercò
di risolvere la complessa situazione con un nuovo editto <Typos-Regola
di fede>, in cui si vietava a tutti i cristiani di discutere
sia intorno all'unica, sia intorno alla duplice volontà.
Il papa Martino I (649-55) convocò, senza il consenso imperiale,
un concilio in Laterano, in cui il monotelismo fu condannato.
Reagì la corte imperiale, con rappresaglie contro il papa,
che fu fatto prigioniero e portato in esilio a Cherson (in Crimea)
dove morirà.
Infine, dopo trentadue anni di polemiche, l'errore monotelita
fu condannato e considerato eretico.
Costantino IV volle farla finita con il monotelismo. Convocò
quindi il VI Concilio (III ecumenico) di Costantinopoli (680-81),
al quale partecipò personalmente, tenendo la presidenza
durante le discussioni teologiche. Alla discussione conclusiva,
l'imperatore fu acclamato <protettore e interprete della fede>.
Il Concilio, conclusivamente, elevò a dogma la dottrina,
messa al bando fino a quel momento, delle due energie e delle
due volontà, affermando che la "volontà"
è la proprietà della natura di Cristo e che essendovi
in Cristo due nature, integre e distinte, vi sono anche due volontà
(divina e umana), sempre concordi e perciò subordinate
all'unico soggetto agente: la Persona di Cristo.
Il Concilio condannò il monotelismo e tutti coloro che
lo avevano sostenuto, come i patriarchi Sergio, Pirro, Ciro e
lo stesso papa Onorio (che aveva mostrato delle aperture verso
questa dottrina), i quali furono tutti scomunicati.
Un tentativo di riprendere la polemica fu fatto sotto l'imperatore
Filippico Bardane (711-13), ma non durò a lungo, perché
Anastasio II (713-15) riconfermò le decisioni del VI Concilio
di Costantinopoli.
Il Monotelismo non fu estirpato completamente, perché sopravvisse
nella dottrina dei Maroniti del Libano.