LE DOTTRINE CRISTOLOGICHE
NELLA LOTTA TRA ORTODOSSI
MONOFISITI E MONOTELITI

Michele Ducas-Puglia

Il IV sec. nell'impero bizantino aveva conosciuto le controversie sulla dottrina trinitaria, affermata dai primi due Concili di Nicea e Costantinopoli ( v. Cronologia dei Concili) e relativa alla consustanzialità del Padre col Figlio e con lo Spirito Santo, del quale ultimo Macedonio contestava la divinità.
In seguito a questa affermazione del dogma della perfetta divinità del Figlio e della consustanzialità col Padre e con lo Spirito Santo, i problemi però non erano finiti.
Affermato questo principio, ne era sorto un altro: quello della natura, divina ed umana, di Cristo. E' la controversia che impegnerà tutto il V secolo.
Le principali scuole teologiche, nell'impero bizantino, si erano formate a Costantinopoli, sede imperiale, e quindi di base ortodossa (salva la predisposizione dei singoli imperatori e l'appoggio di questi dato, volta per volta, ad altre tendenze). Ad Antiochia e Alessandria erano invece prevalse le scuole che si fecero portatrici di dottrine collaterali.
All'epoca del Concilio di Nicea (325, in cui era stato condannato l'arianesimo: v. Schede "Scismi in oriente"), Apollinare, vescovo di Laodicea (Siria), aveva enunciato la tesi, secondo la quale Cristo, in quanto perfetto Dio, non poteva essere perfetto uomo. La sua natura umana era soltanto un corpo simulato, che aveva un'unica natura, quella divina.
Questa dottrina costituisce la base di quello che sarà il monofisismo.
Partendo da essa, ad Antiochia si sosteneva che in Cristo le due nature coesistevano distintamente. La divinità aveva scelto come proprio "vaso" Cristo, figlio di Maria, che era da considerare madre di Cristo e non madre di Dio.
In opposizione a questa interpretazione, era insorta la scuola di Alessandria, che sosteneva la tesi dell'Uomo-Dio, in cui la natura umana e quella divina si unificavano; era la chiara enunciazione della dottrina monofisita.
Contro di essa si levò (428) l'egizio Nestorio (381-451), esponente della scuola di Antiochia, che, divenuto patriarca di Costantinopoli, incominciò a predicare la dottrina cristologica antiochena (v. Schede: "Scismi in oriente", ecc.), secondo la quale: se Cristo era stato soltanto Dio, non poteva essere morto per l'umanità, perché per un Dio la morte non sarebbe stata un grande sacrificio. Si doveva quindi supporre che Dio era stato anche uomo, nel cui corpo aveva albergato la divinità <come se fosse stato in un tempio>. La natura di Cristo doveva considerarsi umana.
La conseguenza, che scaturiva da questa tesi, coinvolgeva Maria in quanto, se Cristo era uomo, Maria non poteva essere madre di Dio, ma solo colei che aveva partorito l'uomo Cristo.
Nestorio, mettendo in discussione Maria, aveva suscitato una forte reazione in Egitto, dov'erano abituati a vederla assisa sul trono, in quanto questo nuovo culto derivava da quello degli antichi egizi per Iside, che ritroveremo in Europa nella venerazione della Madonna nera.
Anche ad Efeso vi fu analoga reazione. Ivi, gli abitanti erano legati al culto di Maria, che si riteneva avesse passato gli ultimi tempi della sua vita e fosse morta in quel luogo. Ad Efeso, però, prima del culto di Maria, si trovava un tempio gigantesco (distrutto da Erostato), considerato una delle sette meraviglie, dove si venerava la statua di Diana, <la grande Madre> carica di mammelle e di testicoli di toro. Gli abitanti di quella città avevano gridato a Paolo di Tarso < Grande è la Diana degli efesini>.
Nestorio trovò, in questa sua tesi, una forte opposizione anche da parte di Cirillo, sostenuto dal monachesimo egiziano. Roma si schierò dalla parte degli alessandrini.
Nonostante Nestorio fosse appoggiato dall'imperatore del momento (Teodosio II), fu sconfitto nel terzo Concilio, di Efeso (431), guidato dal partito alessandrino, sotto la direzione di Diòscoro, che soppresse ogni opposizione in modo da far condannare Nestorio e confermare la dottrina monofisita.
Cirillo ottenne un grande prestigio da una simile vittoria, in quanto riportata, in effetti, personalmente nei confronti dell'imperatore e del patriarca di Costantinopoli.
Infatti, Cirillo divenne patriarca di Alessandria e capo della chiesa in oriente e in Egitto, riuscendo a far valere il suo potere (temporale) sui rappresentanti locali dell'imperatore e raggiungendo il massimo della sua potenza (terrena).
Morto Cirillo (444), gli succedette Diòscoro, che mantenne al patriarcato il prestigio conquistato dal suo predecessore.
A Costantinopoli si trovava, come rappresentante del patriarca di Alessandria, Eutiche, archimandrita (superiore) di un convento di trecento monaci, molto potente presso la corte imperiale.
Dioscoro ed Eutiche erano stati discepoli di Cirillo, ma, dei due, Eutiche aveva portato all'estremo la dottrina del maestro, sostenendo che le due nature di Cristo erano diventate un'unica natura, la divina, che convergeva in una sola persona.
Morto l'imperatore Teodosio II (450), il nuovo imperatore, Marciano (marito di Pulcheria), che subiva la forte influenza dell'imperatrice, convocò il Concilio di Calcedonia (451), in cui fu confermato il dogma delle due nature di Cristo, la divina e con l'incarnazione l'umana, con condanna dei monofisiti.
Il Concilio si era posto in pratica su una posizione intermedia tra le due tendenze, confermando che la salvezza poteva essere portata solo dal Salvatore che fosse nello stesso tempo perfetto Dio e perfetto Uomo. Il Concilio, quindi, riconosceva: 1. l'unità di operazione (monoenergismo) e 2. unità di volontà, come dire: due volontà naturali e due modi naturali d'operare, indivisi, immutati, inseparati e non mescolati.
Con l'affermazione delle due nature (duofisismo, da phisis=natura), la teoria nestoriana già condannata ad Efeso veniva ad essere considerata eretica. Anche Eutiche, che negava la natura umana, assorbita dalla natura divina (v. Schede: "Riti orientali ecc.") e Diòscoro, che lo appoggiava, furono considerati eretici.
Il papa, Leone I, si mostrò d'accordo con Calcedonia e Costantinopoli, scrivendo (in Tomo) che nel Cristo, anche dopo l'incarnazione, sono presenti le due nature, l'umana e la divina, ambedue perfettamente indivisibili, ma distinte, che convergono nella sola persona di Cristo.
Il Concilio, poi, pur di abbattere lo strapotere della Chiesa di Alessandria, riconobbe al papa il primato della Chiesa di Roma, ma stabiliva la parificazione di tutti i vescovi sia occidentali sia orientali [principio già affermato nel secondo Concilio (primo di Costantinopoli, 381), secondo cui alla Nuova Roma spettava la direzione della Chiesa orientale e al vescovo di Costantinopoli il primo posto nella gerarchia ecclesiastica, dopo quello di Roma].
La Siria e l'Egitto si mantennero comunque fedeli alle dottrine monofisite, ripudiando il Concilio di Calcedonia.
La diatriba tra la teoria duofisita di Costantinopoli-Calcedonia e monofisita di Alessandria, da religiosa, diventerà politica, avendo scatenato tendenze autonomistiche in Siria ed Egitto, di cui si serviranno siriaci e copti nella lotta di queste province contro il potere centrale di Costantinopoli.
Quando salì al trono Basilisco (476) di fede monofisita, il nuovo imperatore emanò un'enciclica, con cui condannava i canoni del Concilio di Calcedonia e il Tomo di papa Leone I.
Ciò non fece che creare il risentimento da parte dei bizantini ortodossi, che accelerò la caduta di Basilisco. Il successore Zenone (474-491) cercò di giungere ad una conciliazione tra monofisiti e duofisiti. Con l'approvazione del patriarca Acacio (482), l'imperatore pubblicò l'<Henotikon>, cioè l'editto dell'unione, in cui si accettavano le conclusioni dei primi tre Concili, evitando però di scendere sullo scivoloso campo della natura, singola o doppia di Cristo.
L'<Henoticon> non poteva soddisfare né l'una, né l'altra delle due correnti. Il papa intervenne, condannando l'<Henotikon> e scomunicando il patriarca di Costantinopoli. Questo a sua volta cancellò il nome del papa dai dittici e la frattura andò avanti per oltre trent'anni.
Alla morte di Zenone, il popolo urlò all'imperatrice, la vedova Ariadne, che voleva un imperatore ortodosso.
Fu eletto l'imperatore Anastasio (491-518), che però era monofisita. Anastasio, pur avendo fatto al patriarca di Costantinopoli, una solenne professione di ortodossia, non solo era rimasto monofisita, ma si mise sulle posizioni dell'Henotikon, la qual cosa suscitò grande soddisfazione nei copti e siriaci ed analoga insoddisfazione negli ortodossi. Ciò dette luogo a continue rivolte e guerre civili (incrementate anche dall'oppressione fiscale),che contrassegnarono il regno di Anastasio.
Una rivolta scoppiò anche a Costantinopoli, contro la versione monofisita del "Trisagion-tre volte santo", che ricorreva in questa liturgia.
Si giunse quindi al regno di Giustiniano, il quale riteneva che la sua missione fosse quella di ricostituire l'impero romano, fondato sulla fede ortodossa. Giustiniano condusse, come abbiamo visto (Cap. III e V: I mille anni ecc.), una serrata lotta per la cristianizzazione dell'impero, combattendo tutte le dottrine eretiche.
La riconquista delle province orientali da parte di Eraclio ripropose il problema del monofisismo. Da buon bizantino, amante delle sottigliezze dottrinarie, egli pose ai vescovi il problema che lo assillava: Se il Cristo che egli adorava in una sola persona, ma in due nature, fosse mosso da una o due volontà. La risposta fu che Cristo era mosso da una sola volontà (come d'altronde sostenevano i nestoriani).
In Oriente, poi, era sorta la dottrina dell'<energia> di Cristo, secondo la quale alle due nature di Cristo corrisponde un'unica forza agente (unica energia).
Il patriarca Sergio (631), che cercava di creare un legame tra le due correnti religiose (orientale ed occidentale) per giungere ad una unificazione, fece propria questa dottrina <monoenergetica>, che fu accettata anche da Eraclio. Ma non si raggiunsero risultati soddisfacenti, perché in Siria ed Egitto le resistenze al centralismo erano fortissime, tanto che le rispettive popolazioni preferirono consegnarsi agli invasori persiani prima e arabi dopo piuttosto che accettare le unificazioni volute dal potere centrale.
Proprio da parte ortodossa, prese le redini dell'opposizione il monaco Sofronio, eletto patriarca di Gerusalemme (634), il quale attaccò duramente, con la sua brillante eloquenza, la nuova dottrina, che riteneva da una parte una falsificazione del Concilio di Calcedonia e dall'altra una variazione della dottrina monofisita.
Il papa Onorio aveva mostrato le sue riserve sulla dottrina monoenergetica, riconoscendo in Cristo una sola volontà (Thelema).
Questa formulazione <monotelita>, che attribuiva a Cristo una sola volontà, quella divina, eliminando quindi la natura umana, assunta nella fase dell'incarnazione, non era nuova, essendo stata introdotta da Severo di Antiochia (inizi del 400). Costui aveva affermato che in forza dell'unione "ipostatica" (cioè della natura umana e divina) in Cristo l'attività non era esclusivamente divina, ma divina ed umana ("teandrica":con ambedue i caratteri), quindi momoenergetica.
Questa teoria, dopo la condanna del monofisismo al Concilio di Calcedonia, fu rinnovata da Sergio, il quale poneva la volontà come principio dinamico dell'attività, per cui dall'unità di operazione si giungeva all'unità della volontà.
Questa tesi fu svolta nell'editto che Eraclio pubblicò in Ektesis (Esposizione) in S. Sofia; dopo la morte di Sergio (638), fu seguita a Costantinopoli dai sui successori, Pirro e Paolo e, ovviamente, in Alessandria da Ciro, ma non in maniera chiara, in modo da far cadere l'importanza della questione dogmatica e giustificare le due opinioni in conflitto.
Come scrive Ostrogorsky, <questa teoria non fece che un buco nell'acqua>, respinta da ortodossi e monofisiti, dal papa Onorio e suoi successori, non essendo che una soluzione di compromesso. Col risultato di incrementare le diatribe religiose, che politicamente favorirono la conquista persiana prima e quella araba dopo, perché i monofisiti, pur di sottrarsi al dominio bizantino, preferirono sottomettersi allo straniero.
Con l'imperatrice Martina, vedova di Eraclio, il patriarca Pirro aveva acquisito maggior influenza, che portò al rafforzamento della politica ecclesiastica monotelita, alla quale però Costantino III-Costante II aveva inteso rinunciare.
Il vescovo Ciro, zelante sostenitore del monotelismo, ebbe la cattedra di patriarca di Alessandria e prese nelle sue mani non solo la direzione degli affari religiosi, ma anche di quelli politici.
I pontefici Severino (640), Giovanni IV (640-42) e Teodoro I (642-49), reagirono violentemente, per cui Costantino III-Costante II cercò di risolvere la complessa situazione con un nuovo editto <Typos-Regola di fede>, in cui si vietava a tutti i cristiani di discutere sia intorno all'unica, sia intorno alla duplice volontà.
Il papa Martino I (649-55) convocò, senza il consenso imperiale, un concilio in Laterano, in cui il monotelismo fu condannato.
Reagì la corte imperiale, con rappresaglie contro il papa, che fu fatto prigioniero e portato in esilio a Cherson (in Crimea) dove morirà.
Infine, dopo trentadue anni di polemiche, l'errore monotelita fu condannato e considerato eretico.
Costantino IV volle farla finita con il monotelismo. Convocò quindi il VI Concilio (III ecumenico) di Costantinopoli (680-81), al quale partecipò personalmente, tenendo la presidenza durante le discussioni teologiche. Alla discussione conclusiva, l'imperatore fu acclamato <protettore e interprete della fede>.
Il Concilio, conclusivamente, elevò a dogma la dottrina, messa al bando fino a quel momento, delle due energie e delle due volontà, affermando che la "volontà" è la proprietà della natura di Cristo e che essendovi in Cristo due nature, integre e distinte, vi sono anche due volontà (divina e umana), sempre concordi e perciò subordinate all'unico soggetto agente: la Persona di Cristo.
Il Concilio condannò il monotelismo e tutti coloro che lo avevano sostenuto, come i patriarchi Sergio, Pirro, Ciro e lo stesso papa Onorio (che aveva mostrato delle aperture verso questa dottrina), i quali furono tutti scomunicati.
Un tentativo di riprendere la polemica fu fatto sotto l'imperatore Filippico Bardane (711-13), ma non durò a lungo, perché Anastasio II (713-15) riconfermò le decisioni del VI Concilio di Costantinopoli.
Il Monotelismo non fu estirpato completamente, perché sopravvisse nella dottrina dei Maroniti del Libano.

FINE

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