L' ASSASSINO DELL' IMPERATRICE SISSI
VITA DI MISERIA D' UN ANARCHICO SOLITARIO
MICHELE DUCAS-PUGLIA
PARTE TERZA
SOMMARIO:
IL SERVIZIO MILITARE; LA PARTENZA PER LA SVIZZERA; L'IMPERATRICE
GIUNGE A GINEVRA; LA BELVA UMANA; IL MISTERO DELLA CARTOLINA;
LETTERA AL DIRETTORE DELLA GAZZETTA DI PARMA E LETTERA DI UN'AMMIRATRICE;
LE REAZIONI DEGLI AUSTRIACI E DELLA STAMPA; GIUDIZI CONTRASTANTI
SULL'ASSASSINO.
IL SERVIZIO MILITARE
A sedici anni Lucheni trascinava traversine e rotaie nei cantieri
della linea ferroviaria Parma-La Spezia. Da allora aveva sempre
cambiato: <Perché ci si convince che da una parte o
dall'altra si può guadagnare qualche lira in più
o un paio di miseri centesimi
Perché uno ti dice
che altrove il pane è meno caro, o il dormire o il vino
o perché le persone sono più gentili con gli stranieri.
Perché si spera di ottenere sempre qualcosa in più.
Poi non succede! La maggior parte del tempo ho patito la fame
e il freddo>.
Raggiunti i ventun anni decide di presentarsi per il servizio
militare.
Aveva svolto il servizio militare, per tre anni e mezzo, fino
al 1897 nel 13° reggimento di cavalleria sotto il comando
del capitano principe Ramero de Vera d'Aragona, secondo il quale
Lucheni, stava bene in sella ed era ottimo saltatore, obbediva
sempre agli ordini e si poteva definire un buon soldato. Per questo
era stato destinato al servizio di pattuglia.
A dire del principe d'Aragona, in più riprese aveva fatto
parte della scorta d'onore del re d'Italia, del principe di Napoli
e del principe del Montenegro, e non aveva mai avuto nulla da
obiettare o tentato neanche per un istante di volerli aggredire
o uccidere. Si era perfino indignato quando erano stati fatti
elogi al rivoluzionario Felice Cavallotti. Per cui nulla aveva
fatto supporre che sarebbe diventato anarchico, e per giunta,
assassino.
A dire di Lucheni però il servizio militare non lo aveva
fatto volentieri, anche se si era comportato da buon soldato.
Questi tre anni e mezzo di servizio militare gli davano la possibilità
di ottenere un impiego statale. Lucheni che aspirava ad avere
un lavoro sicuro aveva presentato domanda per fare la guardia
carceraria, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. Ripeterà
altre due volte la domanda con uguale risultato.
Appena congedato (dicembre del 1897) è assunto come cameriere
dallo stesso principe. Rimase però a servizio solo tre
mesi, fino al 1° aprile 1898. Di carattere era permaloso.
Quando era rimproverato rimaneva amareggiato e proprio a causa
di un diniego di permesso, si licenziò, anche se dopo se
ne pentì amaramente e cercò di farsi riassumere,
ma inutilmente perché per quel lato del suo carattere il
principe non lo riteneva adatto a fare il cameriere. Il principe
nella sua esauriente esposizione, dirà che lo riteneva
presuntuoso e poco adattabile <due difetti imperdonabili per
un cameriere>.
LA PARTENZA PER LA SVIZZERA
Come mai Lucheni era capitato in Svizzera? Un amico gli aveva
detto che in quel paese c'era più lavoro e meno operai.
Partirono in primavera allo sciogliersi delle nevi, attraverso
il san Gottardo fino ad Andermatt, poi su per il passo della Furca,
attraversando il Rodano ancora ghiacciato e poi attraversando
la valle del Reno fino a Ginevra, tutto a piedi, e, per la maggior
parte del viaggio, a piedi nudi o avvolti negli stracci. Il viaggio
era durato circa un mese. Nel diario, in un momento di riposo
annoterà nel diario <Patria ingrata, non avrai le mie
ossa> e poi <Viva l'Anarchia>.
A Ginevra Lucheni aveva trovato lavoro e una pensione dove mangiare
con una camera senza luce, senz'acqua e senza riscaldamento, ma
con una porta che si poteva chiudere
era la prima volta in
vita sua che gli succedeva e n'era soddisfatto!
Lucheni fa amicizia con altri lavoratori italiani, tra i quali
trovano diffusione articoli redatti dai loro circoli associativi
e si commenta l'effervescenza del movimento operaio transalpino.
Non parlano d'altro che di andare in massa a Milano (*), ma il
caso lo porterà a Losanna.
Il suo comportamento appare contraddittorio. Nei primi tempi del
suo arrivo in Svizzera frequenta con una certa assiduità
l'Esercito della Salvezza. Poi si appassiona a giornali piuttosto
avanzati come <Il socialista> di Neuchatel, <L'Avanti>
di Milano, <Le Pére Peinard>, <Le Libertaire>,
<L'Egalité>. Si reca a Neuchatel per assistere a
una riunione di anarchici italiani rappresentati da un redattore
de L'Agitatore <il compagno G. Colombelli>.
E' in quei giorni che matura l'idea di compiere un gesto clamoroso.
Aveva poi raccontato, anche se la cosa non appare plausibile (di
ciò però se n'era parlato nei circoli anarchici),
che era sua intenzione uccidere il principe Enrico d'Orleans (essendo
pretendente al trono di Francia ndr.). Il principe però
si era fermato a Ginevra solo un giorno (dal 18 agosto al 19)
ed era subito ripartito per Parigi.
Nel frattempo Lucheni si era procurato una lima. Sua intenzione
era quella di acquistare un coltello, ma non avendo soldi sufficienti
aveva ripiegato su una lima senza manico (lunga nove cm.) che
egli stesso aveva affilato; poi da un amico si era fatto fare
il manico in legno.
In Svizzera vi era un nutrito gruppo di anarchici italiani. Solo
a Zurigo ve n'erano ben quattrocento che facevano pervenire il
loro contributo. In quel periodo (agosto-settembre), da informazioni
inviate da un poliziotto infiltrato (sulle quali il giudice istruttore
Léchet non aveva trovato esatti riscontri), si era saputo
che tra Zurigo e Losanna vi erano stati degli incontri tra anarchici
(v. in Schede: Anarchia), tra i quali si era discussa l'uccisione
di un'alta personalità che poteva essere l'imperatore o
l'imperatrice d'Austria, fuori dall'Italia, o il re Umberto I,
in Italia.
Si era deciso quindi per l'imperatrice (Umberto I sarà
ugualmente ucciso due anni dopo!). Gli anarchici di Losanna indicarono
Lucheni che si vantava d'essere uomo d'azione, pronto a tutto.
Essi non lo stimavano, lo consideravano non molto intelligente
(lo chiamavano <il stupido>), con una sete di gloria che
potevano sfruttare a loro vantaggio. Non lo avevano mai invitato
alle loro riunioni ufficiali, ma lo avevano convocato il giorno
7 settembre per affidargli l'incarico dell'assassinio dell'imperatrice.
*) Si trattava dei famosi avvenimenti di Milano (7-10 Maggio
1898), spenti nel sangue, a seguito dello sciopero generale proclamato
dopo l'uccisione a Pavia di uno studente figlio di un deputato
radicale e dell'arresto di tre operai della Pirelli.
Si era combattuto per le strade della città e il generale
Bava Beccaris (che riceverà una medaglia da Umberto I)
aveva utilizzato l'artiglieria contro le barricate, con l'autorizzazione
del governo guidato dal marchese di Rudinì. Vi erano stati
un centinaio di morti e cinquecento feriti. Tra gli arrestati
figuravano Anna Kuliscioff, Andrea Costa, Filippo Turati e altri
dirigenti socialisti.
Le cause della rivolta però si erano sviluppate in precedenza.
Il prezzo del grano era aumentato improvvisamente a causa della
pessima annata agraria 1897-98. Erano inoltre aumentati i noli
a causa della guerra ispano-americana. Al funerale di Felice Cavallotti
(1898), svoltosi a Milano, vi era stata un'enorme partecipazione
di folla, che aveva testimoniato la forza raggiunta dall'opposizione
popolare, incitata a passare all'azione. Si era arrivati quindi
allo sciopero con un'aria piena di tensione, sfociata in quei
disordini.
L'IMPERATRICE GIUNGE A GINEVRA
L'imperatrice era giunta a Ginevra di pomeriggio, andando
ad alloggiare all'albergo <Beau Rivage>, dopo essere stata
a far visita a Pregny a m.me de Rotschild, moglie di Adolphe de
Rotschild. Si era fermata a pranzo, servito con porcellane antiche
e accompagnato da musica suonata da un'orchestra nascosta. L'imperatrice,
che normalmente non mangiava, in quell'occasione aveva mangiato
con appetito.
L'imperatrice viaggiava in incognito, ma ugualmente col minimo
indispensabile di un seguito di dodici persone. Accompagnatrice
era la contessa Sztàray, con cui era stata in giro per
la città, facendo acquisti, il tardo pomeriggio del venerdì.
L'indomani poco dopo le due, l'imperatrice e la Sztàray
escono dall'albergo per andare a prendere il vaporetto.
Lucheni aveva passato la mattinata ad attenderle di fronte all'albergo
appoggiato ad una ringhiera. Uscite dall'albergo le due donne,
attraversata la strada, avevano raggiunto l'imbarcadero. Lucheni
appena le vede, va loro incontro, si avvicina e dopo aver guardato
bene l'imperatrice, che aveva l'ombrellino aperto (<non volevo
colpire la persona sbagliata> dirà in seguito;< non
era neanche particolarmente bella>, era stato il suo commento,
<già piuttosto vecchia, chi dice il contrario non l'ha
proprio mai vista, oppure mente>), facendo finta di inciampare,
la colpisce con tanta forza che l'imperatrice perde l'equilibrio
e cade. La contessa l'aiutò ad alzarsi. Due cocchieri che
erano dall'altra parte della strada accorsero per soccorrerla.
L'imperatrice riuscì ad alzarsi sorridendo. Il portiere
dell'albergo che aveva assistito alla scena, avvicinatosi suggerì
di ritornare in albergo. <Perché?> rispose l'imperatrice,
<dobbiamo sbrigarci se vogliamo prendere il battello> e
s'incamminò dopo aver ripreso il cappello che era caduto,
l'ombrellino e i guanti.
L'imperatrice faceva un po' fatica a camminare e l'accompagnatrice
le chiese insistentemente di dirle che cosa avesse. <Credo
mi faccia male il petto> rispose l'imperatrice <ma non sono
molto sicura>.
Appena salite sulla passerella, l'imperatrice chiese il braccio,
<presto, per favore>, ma la contessa non fece in tempo a
soccorrerla percé l'imperatrice cadde in ginocchio. Era
pallida, le venne spruzzata un po' d'acqua sul viso e si rianimò,
ma poi svenne di nuovo. Qualcuno suggerì di portarla sul
ponte superiore dove l'aria le avrebbe fatto riprendere i sensi.
Due uomini la presero e la distesero su una panca. Nel frattempo
il battello era partito.
L'imperatrice si riprese e aperti gli occhi chiese cosa fosse
successo. La contessa le aprì la camicia e il busto, per
farla respirare. Nell'allentare i lacci notò sulla maglia
intima una piccola macchia grossa come una monetina. Dopo aver
spostato la maglia, la contessa notò una piccola ferita
nella regione cardiaca. Resasi conto della gravità della
situazione e che l'imperatrice era stata pugnalata, chiese al
comandante di tornare indietro, dicendogli che si trattava dell'imperatrice
d'Austria. Il vaporetto invertì immediatamente la rotta.
Dopo essere stata riportata in albergo, l'imperatrice morirà
entro un'ora, per emorragia interna e senza aver sofferto, avendo
perso i sensi. La morte era stata graduale e indolore. L'autopsia
fatta alla sola regione cardiaca confermerà che la morte
era avvenuta a causa della pugnalata.
Lucheni dopo aver visto l'imperatrice accasciarsi, era scappato
via, ma non per fuggire. Dirà, infatti, che aveva cercato
la polizia, perché era sua intenzione costituirsi. <Perché
non siete rimasto?> gli fu chiesto.<Per non fare la fine
di Caserio> (l'anarchico italiano che aveva ucciso il presidente
francese Sadi Carnot il 25.6.1894 e che era stato linciato dalla
folla impazzita ndr.) aveva risposto.
<L'ho colpita con tutta la mia forza ed ho sentito l'arma penetrare
profondamente nel petto>. La lima aveva perforato il polmone
e il cuore ed era stata spinta con tanta forza da fratturarle
una costola.
Quando a Lucheni fu chiesto se provava rimorso per aver gravato
la sua coscienza di un'azione così infame, rispose: <Coscienza,
anche le persone come me hanno una coscienza. Almeno così
si dice, ma mai nessuno ha voluto riconoscerle dignità.
Chi vive nella miseria da migliaia d'anni, chi è sempre
stato tormentato dai potenti e dai ricchi o da uno solo, chi è
dovuto morire nelle loro guerre, non deve pentirsi di niente!>.
LA BELVA UMANA
I giornali lo avevano descritto come una belva, ma chi lo
aveva visto, lo descriveva dai tratti umani, di media statura,
piuttosto tarchiato con collo enorme e muscoloso. Il viso era
abbronzato per la vita e il lavoro all'aria aperta, capelli e
barba crespi e biondi, naso largo e schiacciato, zigomi molto
accentuati. Gli occhi sul grigio-verde molto vivaci e mobili (la
descrizione corrispondeva a quella del Lombroso). Non aveva nulla
che denotasse il mostro o il criminale descritto dai giornali.
Lucheni, quando era in carcere e prima del processo, aveva scritto
una lettera al direttore del giornale <Don Marzio> di Napoli,
Giuseppe Turco che gli era sembrato il più adatto per la
sua pubblicazione, e convinto che quel direttore gliel'avrebbe
pubblicata. Egli si lamentava del fatto che molti giornali (quasi
tutti) lo avevano definito <assassino nato> riferendosi
alla teoria di Lombroso, secondo il quale come già è
stato detto la consistente grandezza della testa di una persona
sia indice della sua potenzialità a diventare un assassino.
<Mi dispiace dovergli dire che si sbaglia di grosso> scriveva
Lucheni riferendosi a Lombroso, aggiungendo che non era vero,
ed era assolutamente falso quello che avevano scritto i giornali,
che aveva agito a causa della miseria in cui viveva, e così
puntualizzava il suo pensiero:< Se le classi dominanti non
ammettono di sfruttare il prossimo, a loro verrà inflitta
la stessa punizione che lui aveva già imposto. Non solo
nei confronti dei sovrani, presidenti, ministri, ma verso tutti
coloro che opprimono il prossimo. Non è molto lontano>
proseguiva <il giorno in cui veri amici dell'umanità
elimineranno gli sfruttatori. Per costruire un mondo nuovo è
sufficiente un solo motto: solo chi lavora può mangiare>.
Dopo la firma, Lucheni si qualificava <Anarchico convinto>.
Lucheni era diventato anarchico, a suo dire, da quando faceva
il servizio militare, da quando aveva incominciato a ragionare.
Aveva incominciato a incolpare lo Stato, la Chiesa della miseria.
Più tardi aveva capito che <coloro che ci governano,
reprimendoci violentemente con l'aiuto della polizia, non avevano
alcuna intenzione di cambiare la situazione. Anzi volevano mantenere
le cose così com'erano, tutto a loro vantaggio. Non c'è
alcuna differenza tra monarchia e repubblica. Nobili, borghesi,
Chiesa, sono un'unica cosa. Tutti vivono sfruttando il sudore
e la miseria dei contadini e dei lavoratori diventando sempre
più ricchi e più grassi>.
Si definiva <anarchico solitario> perché respingeva
qualsiasi forma di associazione. <Un'associazione, anche la
più semplice, richiede burocrazia e la burocrazia non è
altro che l'elemento essenziale dell'odiata autorità statale>
IL MISTERO DELLA CARTOLINA
Il principe d'Aragona, su richiesta del giudice Léchet,
aveva inviato una lunga ed esauriente relazione su Lucheni, sia
come soldato che come cameriere privato. Il principe aveva fatto
sapere che Lucheni si era mantenuto con lui in continuo contatto
in quanto spesso scriveva delle lettere o inviava delle cartoline.
L'ultima cartolina, che era stata allegata alla dichiarazione
ed era l'unica di cui il principe non si era disfatto, era stata
indirizzata alla moglie. In essa dopo aver annunciato i suoi spostamenti,
comunicando che il sabato successivo avrebbe lasciato Ginevra,
inviava a tutti i suoi saluti firmando: <il vostro cameriere,
Luigi Lucheni>. La cartolina era datata <8 settembre>.
La sua singolarità era dovuta alla circostanza che essa
riproduceva esattamente il luogo dove due giorni dopo sarebbe
avvenuto il delitto! C'era lo scorcio del lago, la riva con la
ringhiera di ferro e la strada attraversata dall'imperatrice per
raggiungere il vaporetto; sulla destra gli alberi dov'era stato
appostato il Lucheni, e infine il quai-promenade du Mont Blanc,
la strada lungo-lago dove l'imperatrice sarebbe stata colpita.
Questa cartolina era la macabra prova che Lucheni (che lo negherà)
il giorno otto sapeva che avrebbe ucciso l'imperatrice. Ciò
confermava il rapporto del poliziotto infiltrato, secondo il quale
Lucheni il giorno sette aveva avuto l'incarico di uccidere l'imperatrice.
LETTERA AL DIRETTORE DELLA GAZZETTA DI PARMA
E LETTERA D'UNA AMMIRATRICE
Lucheni non mancava di una vena umoristica. Il 15 settembre
del 1898 aveva scritto al direttore della <Gazzetta di Parma>
per spiegare come mai fosse <un benefattore dell'umanità
> e si fregiava del titolo di <anarchico>:
<Durante il servizio militare a Napoli leggevo con piacere
il Mattino e il Corriere di Napoli, che avevano l'onore di pubblicare
le vicende della cricca di (Francesco) Crispi, il nobile ed eccellente
aristocratico napoletano, e li leggevo per la grande stagione
lirica di Napoli. Due colonne della prima pagina erano interamente
dedicate, da cima a fondo, alla descrizione della toeletta della
baronessa B, del cappotto della contessa F, e così fino
alla fine della colonna. Quando poi si giravano le pagine, veniva
riportata la descrizione minuziosa del ricevimento della principessa
D, o della marchesa T, tenutasi la sera precedente. Era un peccato
sapere che il ballo non era durato fino alle cinque del mattino,
per cui la contessina non poté ballare nelle braccia del
marchese altre quadriglie, anche se ne aveva voglia!>
<Signor Direttore> proseguiva Lucheni <sento di non poter
sopportare una simile tragedia; la mia temperatura sale fino a
43 gradi. Pertanto muoio e dimentico la mia vita signorile
In una strada di Posillipo era stata trovata una persona che non
dava segni di vita. Poteva essere anche una donna. Per quale motivo
era morta? >
<Perché tutti i nostri fratelli sono condannati a morire
di fame? E voi avete anche il coraggio di metterci il bastone
fra le ruote? Assassino. Voi vi dissetate con il sangue umano!
Perché non vengo ad uccidervi? Miseria! Miseria!
Il
sigaro che avete dato come mancia a un cameriere non è
più sufficiente. Non è più tempo per puntellare
le vostre marce baracche che vi cadranno sulla testa. Pregate
il papa Leone XIII, ormai morente, di intercedere. Ma è
troppo tardi. Vi ripeto che da parte mia passerò le giornate
a fracassarmi la testa agli angoli della cella per vedere ancora
una volta quel sole, di cui ci avete vigliaccamente privato! Il
vostro obbligato Luigi Lucheni molto convinto dell'idea anarchica>.
Una francese gli scrisse una lettera toccante. La donna dopo aver
scritto: <Se ti avessi conosciuto, ti avrei dato 5oo franchi,
tutto quello che ho. Non per uccidere l'imperatrice d'Austria,
ma per uccidere me. Io non faccio parte della classe che tu perseguiti>,
aggiunse: <Al contrario, io sono una povera donna che non ha
mai conosciuto la felicità e che è sempre stata
vittima dei ricchi. Povero Lucheni, affronta il tuo destino valorosamente
e consolati che l'anarchia è come il cristianesimo, più
lo perseguiti, più gente aderisce
>. Costei chiudeva
la lettera dicendo <Non si dovrebbero uccidere le donne. Non
sono mai pericolose e sono sempre piene di compassione per gli
infelici>. La donna si firmava: <Una francese che penserà
a Te per molto tempo>.
LE REAZIONI DEGLI AUSTRIACI E DELLA STAMPA
Al giudice istruttore Charles Léchet era stata inviata
questa lettera: <Apprendo dai giornali che le autorità
svizzere trattano molto umanamente quel mostro assassino della
nostra buona imperatrice. Apprendo come lei si sforzi di rendere
sempre più piacevole il soggiorno in carcere di questa
bestia dalle sembianze umane. Il Kron (giornale ndr.) sostiene
tra l'altro che lei, signor mio, gli permette persino di fumare
i sigari. A Vienna si alza unanime una voce di sdegno nei confronti
della sua condotta. Alle sue sfrontate richieste di fumare e di
passeggiare, dovrebbe rispondere con venticinque bastonate. Ci
stiamo accorgendo della grande trascuratezza e negligenza che
domina nel suo paese. Tutto questo è inimmaginabile! La
Svizzera dovrebbe espellere, una volta per tutte quelle canaglie,
esattamente come fanno le altre potenze, in modo che non ci sia
asilo in tutto il mondo per gente come Lucheni. E' inammissibile
che gente autorevole come lei si trovi ad appoggiare energicamente
la falsa filantropia e a colpire così i sentimenti di tutto
il popolo austriaco e di tutto il mondo civilizzato. Il vile assassino
deve essere torturato giorno e notte e sottoposto a supplizio
della ruota fino alla morte. Questo merita quel tipo! Spero che
smetta di comportarsi con lui come un <gentleman>. Lo faccia
bastonare di santa ragione ogni giorno e vedrà che gliene
saremo riconoscenti ogni giorno>.
Invettive e indignazione giungono a Lucheni da parte di un gruppo
di donne che dice di avere <un cuore generoso>: <Assassino,
bestia, mostro, animale feroce! Tutte le donne e le ragazze viennesi
bramano di vendicare la tua orribile azione che ha ucciso la nostra
imperatrice. Lo sai cosa meriteresti, animale feroce? Ascolta,
mostro. Vorremmo metterti su un tavolo, poi, noi che abbiamo un
cuore generoso, ci potremmo divertire ad osservare mentre ti tagliano
entrambe le braccia e i piedi>.
E un'altra lettera: < Diavolo di un Lucheni. Sarebbe stato
meglio se la terra ti avesse divorato prima di compiere la tua
diabolica azione. Diavolo! Abbasso l'anarchia>.
E ancora. <Tutti ti maledicono! Uomini, donne e bambini, perché
tu hai ucciso la nostra amata, buona e bella imperatrice. Tu iena
dalle sembianze umane>.
Su una cartolina: <Morte e maledizione all'infame assassino
della nostra adorata imperatrice>. L'autrice si era firmata
<un'austriaca tedesca> e dopo la data aveva annotato <ore
4 del pomeriggio, ora del funerale>!
La Stampa d'Oltralpe, particolarmente quella austriaca, non fa
che criticare la Svizzera a causa di Lucheni. C'è chi definisce
l'indagine scandalosa e scrive che l'attentatore si comporta come
un attore, che, con l'appoggio delle autorità svizzere,
riceve i giornalisti. Qualcuno scrive che sarebbe opportuno che
la Svizzera debba esprimere pubblicamente la propria posizione
nei confronti di questi rimproveri esecrabili. E qualche altro
lamenta che <A Lucheni è stata perfino offerta una sedia
da parte del giudice istruttore. Speriamo che fosse imbottita>!
GIUDIZI CONTRASTANTI SULL'ASSASSINO
Da informazioni pervenute dalla prefettura di Borgo s. Domino,
assunte presso il villaggio di Varano dove Lucheni era vissuto
presso la famiglia Nicasi, risultava essere stato un ragazzo affettuoso,
vivace, astuto e intelligente. Che si era sempre comportato bene
con la famiglia Nicasi e aveva mostrato grande affetto per costoro.
Si era comportato sempre in modo normale, era contento, intelligente
e incapace di cattive azioni. Il maestro della scuola elementare
aveva dichiarato che Lucheni aveva frequentato con profitto la
seconda.
I giornali, per dimostrare che Lucheni aveva avuto istinti anarchici
sin da bambino, avevano riferito l'episodio del vetro della foto
di Umberto I, ma il fatto era stato travisato!
Come abbiamo visto dal racconto di Lucheni, il giorno in cui aveva
superato l'esame, mentre giocava con gli altri compagni all'orfanotrofio,
egli aveva buttato in aria il berretto che era finito sulla foto
del re, rompendo il vetro.
Nella relazione, oltre a confermare che si era trattato di un
incidente verificatosi durante il gioco, si precisava che Lucheni
in quell'epoca (a nove anni) non aveva alcuna idea politica e
che anche nel paese a quel tempo nessuno sapeva il significato
della parola <anarchia>.
Da parte delle autorità militari era stato confermato che
Lucheni era stato: <uno dei migliori soldati dello squadrone,
sempre disciplinato, coscienzioso e di buon umore>.
Il giudizio del giudice istruttore Léchet era in contrasto
con tutti i precedenti. Secondo il giudice Lucheni <era l'anarchico
addestrato, pieno zeppo di parole aggressive e di una strana e
nebulosa filosofia, ribelle che non ammette compromessi, duro
fino alla crudeltà, astuto e bugiardo che uccide una anziana
e infelice signora per la quale il trono, già da molto
tempo, non ha più significato>.
Da tutte queste circostanze, sarebbe da ritenere esatto quanto
aveva detto di lui il suo difensore durante il processo <che
erano bastati due mesi di letture di carattere anarchico e di
frequentazioni con compagni poco affidabili a fare di lui, che
era un uomo tranquillo, un assassino, convinto ancora oggi (giorno
del processo) di aver ucciso per il bene dell'umanità>.
Sulla rapidità di questa maturazione avevano certamente
influito tutte le sofferenze patite durante l'infanzia vissuta
come abbiamo visto, nella più squallida miseria.
Bibliografia:
Memoires de L'assassin de Sissi. Louis Lucheni. Le Cherche Midi
Editeur. Paris
L'Attentato di Maria Matray e Answald Kuger. MGS Press. Trieste
FINE