ABELARDO ED ELOISA


STORIA D'AMORE D'UN FILOSOFO E DELL'ALLIEVA DI GRANDE TALENTO

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

PARTE TERZA

 

SOMMARIO:I DUE NUOVI APOSTOLI; L'ABBAZIA DI ST. GILDAS; ELOISA PRIORA DEL PARACLETO; TENTATIVI DEI MONACI DI AVVELENARE ABELARDO; IL PROCESSO MANIPOLATO DA BERNARDO: IL CONCILIO DI SENS; FINE D'UNA VITA TRAVAGLIATA.

 

I DUE NUOVI APOSTOLI

 

Due nuovi nemici si profilavano all'orizzonte di Abelardo. I vecchi nemici avevano lottato inutilmente per fargli del male. Non essendo riusciti a raggiungere i loro scopi, gli istigarono contro due personaggi che all'epoca erano diventati già famosi e avevano raggiunto gran prestigio, anche fuori della Francia.
Abelardo non li nomina ma essi erano Bernardo di Clairveux (che sarà santificato dalla Chiesa), l'altro, Norberto di Magdeburgo, fondatore di un nuovo ordine, quello dei Canonici Regolari di Prémontré (presso Laon, da cui il nome di premonstratensi), anch'egli santificato. Ambedue personaggi importanti nelle loro attività monastiche ed ecclesiastiche e fautori di riforme. Norberto, infatti, aveva ricondotto alla vita comunitaria il clero delle cattedrali e delle parrocchie. Bernardo aveva realizzato la riforma (giunta a maturazione con il movimento della Patarìa, 1045-1085), facendo rivivere nei monasteri la regola di s. Benedetto con nuovo e più intenso rigore. Essi, percorrendo la Francia per svolgere le loro attività, usando tutto il loro ascendente, e spargendo notizie sinistre, non solo sulla sua fede, ma sulla sua vita (avevano avuto modo di attaccare Abelardo in tutti i modi, <senza vergogna>, come scrive Abelardo), erano riusciti a mettergli contro sia ecclesiastici che autorità secolari, allontanandogli anche i migliori amici.
Bernardo aveva raccolto i vari racconti e le maldicenze dei nemici di Abelardo, e si era così caricato di risentimento nei suoi confronti da ricorrere a tutti i mezzi, anche i più scorretti, per distruggere Abelardo e le sue opere.

Non si spiega diversamente il fatto che Bernardo era arrivato a far destituire dall'incarico di corte Stefano Garlando, siniscalco del re (Luigi VI), soltanto perché questo era amico di Abelardo, e lo aveva appoggiato quando era fuggito dal monastero di s. Dionigi. Non solo, ma aveva fatto cacciare dalla Francia, dopo averlo fatto condannare, Arnaldo da Brescia, colpevole di essere stato discepolo di Abelardo, e di predicare contro la ricchezza e la potenza temporale della Chiesa.
Ricorrendo allo stesso sistema usato per Abelardo, Bernardo aveva cercato di far condannare il vescovo Gilberto di Poitiers, famoso teologo, che proveniva dalla scuola urbana di Abelardo (e suo probabile discepolo), che seguiva il metodo del maestro, quello della dialettica applicata alla teologia. Non gli andò bene come per Abelardo, perché la maggior parte dei cardinali si era irritata per aver capito dove Bernardo volesse arrivare. Costui però intestardito, andò a trovare il papa per portarlo dalla sua parte, ma Gilberto aveva saputo difendersi egregiamente, perciò in concilio si giunse a strappare soltanto un <quaderno> che Gilberto stesso aveva sconfessato.
Perché Bernardo si era accanito contro Abelardo venendo meno ai principi cristiani che andava predicando, fino al punto da usare l'inganno per farlo condannare?.
Non certamente per i <pericoli che potevano incrinare la fede> di cui lui si ergeva a difensore. Certamente vi era una componente interiore che lo spingeva a intervenire là dove non intervenivano il papa o le altre autorità religiose.
Non solo. Ma in lui giocava anche un conflitto interiore, quando si trovava di fronte a personalità che egli sentiva superiori. E la sua personalità certamente non raggiungeva quella di Abelardo. Anche le nascite erano diverse.
Mentre Abelardo era di famiglia nobile, Bernardo era nato da un padre, semplice castellano, che prestava servizio di guarnigione nel castello di Fontaine, facente parte del feudo del duca di Borgogna. La madre, invece, era di nobile famiglia, per questo Bernardo si trovava ad avere zii e cugini materni che ricoprivano cariche importanti, che certamente gli facevano avvertire il peso della differenza sociale. Egli quindi aveva sviluppato quell'ambizione (diversa da quella di Abelardo fondata sulla cultura e sul sapere), che lo aveva portato a frequentare i grandi dell'epoca, re, principi, papi, con i quali era in continuo contatto, e che tempestava di lettere (è nota la sua produzione epistolare, e per farvi fronte aveva organizzato uno scriptorium con segretari che scrivevano per lui), pur sempre ricche di consigli, suggerimenti, richiami alla fede. Egli, quasi compiaciuto, scriveva al papa, <si dice che non siete voi ad essere il papa, perché da ogni parte coloro che hanno questioni da risolvere si rivolgono a me>. Certamente la sua vita contrastava con la vita ascetica che egli stesso aveva imposto agli altri.

Bernardo, in ogni caso aveva maturato un carattere autoritario e violento che contrastava con il misticismo che gli veniva attribuito. Pur di raggiungere i suoi scopi non rifiutava il ricorso alla furbizia, all'adulazione, alla minaccia, all'insinuazione e all'ingiuria per squalificare i nemici. In molti casi era invadente, s'intrometteva per far valere con la minaccia il suo punto di vista.
Predicava l'umiltà (il monaco deve essere umile, nascondersi, piangere e pregare), e praticava l'ascesi, ma diventava paladino dell'intolleranza quando tuonava contro gli eretici, che qualificava: <uomini e donne perduti nei vizi, corrotti, immondi, ipocriti che basta stanare, incapaci di comprendere argomenti razionali (richiamando la razionalità quando proprio la religione cristiana non l'ammette! nda.), e le donne le qualificava <povere donne idiote e senza cultura>.
La sua attività più che monastica, si era svolta all'esterno. Si era reso artefice della seconda crociata, rivelatasi un insuccesso. Aveva contribuito a fondare l'Ordine dei Templari. Si era prestato per risolvere il problema dei due papi rivali eletti alla morte di Onorio II (1130), facendo in modo che Innocenzo II, che lui appoggiava prevalesse su Anacleto II. In quest'occasione, per la riconciliazione di Ruggero II di Sicilia con il papa, aveva organizzato il matrimonio del figlio primogenito, Ruggero, con Elisabetta di Champagne, figlia di Tibaldo II di Champagne, cogliendo l'occasione per fondare un altro monastero di Clairveaux, a Chiaravalle, in Sicilia. Innocenzo però aveva pensato di ridurre a partito Ruggero II con le armi. Fu invece sconfitto e fatto prigioniero e dovette confermargli tutte le concessioni che gli erano state fatte da Anacleto.
Sarà Bernardo a imbastire il processo contro Abelardo.

 

L'ABBAZIA DI S. GILDAS

 

Abelardo era così traumatizzato che quando veniva a sapere di qualche riunione di ecclesiastici, pensava che lo facessero per condannarlo! Egli viveva nel continuo timore di essere trascinato in un concilio o in un tribunale per essere giudicato come eretico o sacrilego, e cadeva in tale disperazione che pensava di abbandonare i territori della cristianità per recarsi presso popoli di altre religioni e vivere tra costoro, a costo di pagare qualsiasi tributo gli fosse stato richiesto. (11)
In quei giorni di crisi del Paracleto, gli venne proposto di dirigere un'abbazia, quella di s. Gildas de Rhuys (nei pressi di Vannes in Bretagna), che aveva perduto il suo abate. La proposta gli era stata fatta dagli stessi monaci di quest'abbazia che lo avevano prescelto, col consenso del signore di quella zona. Abelardo, avuto il consenso del suo abate e dei confratelli accettò, ma soltanto per sfuggire alle persecuzioni. L'abbazia si trovava all'estrema propaggine di una terra in prossimità dell'oceano, e la vista dell'oceano toglie ad Abelardo, sempre in fuga, ogni ulteriore speranza di fuga.
La zona era barbara e selvaggia, battuta dai venti del nord e dal fragore delle onde, gli stessi abitanti erano inumani e selvaggi e parlavano una lingua sconosciuta allo stesso Abelardo che era bretone. Ben nota però, dice Abelardo, era la vita turpe e sfrenata dei monaci, i quali non avevano proprietà comuni che egli potesse amministrare, ma ognuno manteneva le sue concubine e i suoi figli con la propria borsa, arrivando anche a rubare e portar via tutto quello che fosse loro possibile. <Ero certo che se avessi cercato di imporre l'ubbidienza alla regola di vita a cui si erano votati (Abelardo aveva già fatto esperienza nel monastero di s. Dionigi!), non sarei vissuto a lungo, ma se non avessi fatto tutto ciò che potevo, la mia anima sarebbe stata dannata>.

 

11) Abelardo pensa agli ebrei che nei territori della cristianità pagavano un tributo per la loro diversità religiosa. Ci sembra che da questo momento incomincia a pensare alla sorte degli ebrei e a maturare l'incontro tra gli appartenenti alle religioni monoteiste. In seguito scriverà il libro Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano (BUR,1992). Anticipando anche questa volta i tempi, pone come filosofo un musulmano (all'epoca di Abelardo i musulmani erano considerati infedeli e avversari da abbattere), anticipando anche i temi della tolleranza verso gli altri: "i credenti errano nello scambiare la consuetudine e l'educazione con la ragione; nascono così l'intolleranza verso gli altri e la riduzione della fede, che si rifiuta alla ragione, a formule insignificanti, vuotamente ripetute".Per l'ebreo Abelardo ne lamenta la sorte, con parole sublimi: <Non si sa di nessun altro popolo che abbia sopportato tante prove in nome di Dio…si deve ammettere che la fornace del nostro patire, ha consumato, ogni ruggine di peccato. Dispersi in tutte le regioni del mondo, soli, senza guida di un re o un principe, siamo oppressi da gravi tributi e ogni giorno paghiamo per la nostra miserabile vita un prezzo intollerabile. Tutti pensano che sia giusto disprezzarci e odiarci, tanto che quando qualcuno ci offende, crede di compiere un atto di somma giustizia.
I nostri persecutori sono convinti che la disgrazia della nostra schiavitù sia dovuta all'odio di Dio verso di noi…, I cristiani affermano che abbiamo ucciso il loro Dio… Siamo costretti a mettere la nostra vita nelle mani dei nostri nemici…Anche il sonno, per noi è inquieto e pieno di paura…anche quando dormiamo non possiamo pensare ad altro se non al pugnale che minaccia le nostre gole… A caro prezzo abbiamo acquistato la protezione dei sovrani, ma sappiamo bene quanto desiderino ucciderci anche perché così sarebbe più facile far bottino di tutto ciò che abbiamo…. Non possiamo possedere né campi né vigneti né altre proprietà…E così per vivere ci rimane il guadagno che otteniamo prestando denaro agli altri popoli, e questo ci rende ancora più odiosi, perché si ritengono gravemente danneggiati…>
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ELOISA PRIORA DEL PARACLETO

 

Eloisa, dopo aver preso il velo monastico, si trovava come abbiamo visto nel convento di Argenteuil dove era priora di grado inferiore solo alla badessa. In occasione della riforma monastica che si stava preparando per tutte le abbazie della Gallia, durante l'assemblea generale venne riferito che in quel convento un gruppo di suore si comportava in modo indegno, svergognando il loro ordine e facendo gran male alle consorelle, scandalizzate della loro impurità. Sugero, che era abate di s. Dionigi, riteneva di avanzare pretese su quel convento che in origine, dal tempo di Pipino il breve, era alle dipendenze dell'abbazia ed era stato separato dall'abbazia sotto Carlo Magno per diventare convento femminile, la cui prima badessa era stata la figlia stessa dell'imperatore Teobrada. Era stato stabilito che alla morte di Teobrada il convento femminile sarebbe passato di nuovo sotto la giurisdizione dell'abbazia tanto che Ilduino, che abbiamo visto essere diventato cappellano dell'imperatore Ludovico il Pio, aveva fatto riconfermare questa concessione. Sugero, che voleva mettere ordine nei diritti e privilegi dell'abbazia, costatando che il monastero di Argenteuil era dipendenza dell'abbazia, aveva sollevato il problema, mandando messaggeri dal papa Onorio, per risolvere la questione.
In occasione delle accuse, Sugero aveva mostrato i documenti, perciò fu deciso che l'abbazia sarebbe rientrata nel possesso del convento e le monache sarebbero state espulse e sostituite da monaci. Nel frattempo giunse anche la bolla del Papa che ratificava la restituzione, con il compito per Sugero di collocare le monache scacciate in conventi di buona reputazione, per evitare che qualcuna di loro si smarrisse e perisse per il proprio errore.
Quando Abelardo venne a sapere che le monache sarebbero state disperse tra i vari monasteri, gli venne l'idea di far dono del suo oratorio al Paracleto. Invitò quindi Eloisa a recarvisi con le monache sul posto e ne fece dono, donando anche tutto ciò che ne faceva parte. Il Papa Innocenzo II, confermò la donazione anche per tutte le monache che fossero arrivate in futuro, anche con l'ulteriore assenso del vescovo.
All'inizio in quel nuovo monastero le monache conducevano una vita povera e si sentivano abbandonate. In breve tempo però, quelli che abitavano intorno al monastero, presi da benevolenza e compassione, le aiutarono riuscendo a ottenere dalle terre tanta ricchezza quanto, scrive Abelardo, lui n'avrebbe ricavata in cento anni. Eloisa aveva tanta grazia agli occhi di tutti che i vescovi l'amavano come fosse una figlia, gli abati come una sorella, i laici come una madre, e tutti ne ammiravano lo spirito religioso, la saggezza, l'inimitabile dolcezza e pazienza. Eloisa si lasciava vedere raramente, dedita, nel chiuso della sua cella alla preghiera e meditazione, per questo era ancora più desiderata e i suoi consigli spirituali ricercati. Dopo qualche anno (1136) Eloisa divenne badessa del convento che reggerà fino alla morte avvenuta nel 1164, ventidue anni dopo quella di Abelardo e sarà sepolta accanto al suo sposo (12).
Anche in questa occasione non poterono mancare accuse e insinuazioni per Abelardo. Tutti quelli che abitavano nelle vicinanze del monastero accusavano Abelardo di non provvedere alla povertà del convento, secondo le sue possibilità, cosa che avrebbe potuto fare anche con la predicazione. Per questo motivo egli prese l'abitudine di recarsi al convento più spesso, per aiutare le monache in qualche modo.
Queste visite non fecero che suscitare invidie e mormorazioni e ciò che lui faceva per carità, era considerato come spudoratezza dai suoi detrattori i quali andavano dicendo che era preso ancora da desideri carnali e che non poteva sopportare di star lontano dalla donna che un tempo aveva amato. E Abelardo si diceva: <Come possono i miei nemici trovare in me un minimo appiglio per le loro calunnie, dal momento che sono stato privato di qualsiasi motivo di sospetto; come possono sospettare di me cui è stata tolta la possibilità fisica di compiere azioni vergognose?>. Come possono sospettare <se questa mutilazione allontana qualsiasi sospetto…tanto è vero che chiunque voglia custodire con sicurezza delle donne le affida agli eunuchi?>.
Abelardo conclude ricordando quando aveva subito la mutilazione, dicendo che il dolore che aveva subito fu minore perché di breve durata e improvviso, in quanto, aggredito nel sonno non sentì alcun male. Ma se allora quella ferita non gli causò un dolore intollerabile, la calunnia invece lo perseguitava ed egli si preoccupava più per i danni provocati alla sua fama che alla menomazione del suo corpo.

 

12) Abelardo era stato sepolto nell'Oratorio del Paracleto. La leggenda vuole che egli abbia aperto le braccia per accogliere la sua compagna. I due corpi furono trasportati a Parigi durante la rivoluzione francese.

 

I TENTATIVI DEI MONACI DI AVVELENARE ABELARDO

 

Il feudatario della zona, potentissimo tiranno, spadroneggiava sull'abbazia già da tempo, e l'occasione per farlo gli era stata fornita dall'indisciplina del monastero. I monaci peraltro, infastidivano Abelardo in continuazione perché provvedesse alle loro necessità e si divertivano ad affliggerlo con i loro problemi materiali, cercando di farlo apparire un amministratore incapace e di costringerlo o ad abbandonare il tentativo di imporre loro una disciplina o di andarsene definitivamente. Egli era venuto a trovarsi tra due fuochi. All'esterno il tiranno e i suoi alleati che lo opprimevano costantemente, all'interno i monaci che gli tendevano insidie senza dargli tregua, attentando anche alla sua vita.
Essi infatti avevano tentato varie volte di liberarsi di lui col veleno, e attentavano quotidianamente alla sua vita, tanto da metterlo in condizione di provvedere personalmente al suo cibo e alle bevande. I monaci, non essendo riusciti ad avvelenarlo col cibo e le bevande, tentarono di assassinarlo durante il sacrificio della messa, mettendo il veleno nel calice. Questi tentativi furono fatti anche quando Abelardo era in viaggio. Accadde che essendosi recato a Nantes per visitare il conte-tiranno che si era ammalato, ed era ospite del fratello, quei monaci, pensando che in casa del fratello Abelardo sarebbe stato meno accorto, d'accordo con uno dei servi del suo seguito, fecero avvelenare il cibo che per puro caso egli non aveva ancora toccato, ma un monaco del seguito mangiandolo era stramazzato, fulminato dal veleno.
Dopo questo episodio, Abelardo decise di sottrarsi pubblicamente alle insidie, abbandonando l'abbazia e trasferendosi con pochi compagni in un eremo. Ma i suoi confratelli non desistevano. Tutte le volte che venivano a sapere dei suoi spostamenti ingaggiavano dei malviventi perché lo uccidessero lungo le strade e sentieri che egli percorreva. In uno di questi viaggi Abelardo cadde da cavallo e si ruppe la clavicola. Questa frattura, egli dice, lo afflisse e indebolì più dell'evirazione.
Abelardo cercò di frenare una volta per tutte l'indomabile ribellione dei monaci, minacciando di scomunicarli e costrinse alcuni di loro a giurare in pubblico e sulla loro parola di abbandonare l'abbazia, e che non lo avrebbero più perseguitato. Ma essi violarono senza vergogna la parola e il giuramento. La questione fu sottoposta al papa (Innocenzo II) il quale nominò un legato per risolvere la questione, e i monaci ribelli furono costretti a ripetere il precedente giuramento e a farne altri in presenza del conte-feudatario e del vescovo. Ma tutto fu invano. Rientrando nel monastero i monaci verso i quali egli nutriva meno sospetti si rivelarono peggiori di quelli che erano stati scacciati, e solo con l'aiuto di un nobile del posto Abelardo era riuscito a sfuggire a stento a costoro che lo avevano affrontato non con il veleno, ma puntandogli la spada alla gola. <Anche ora lotto contro il pericolo e vivo ogni giorno nel sospetto come se una spada fosse pronta a cadermi sul collo, al punto che all'ora dei pasti riesco a malapena a respirare>.

 

IL PROCESSO MANIPOLATO DA BERNARDO: IL CONCILIO DI SENS

 

I timori e le paure di Abelardo non erano infondati. I due impietosi apostoli non avevano dimenticato che vi era un uomo, in un angolo disperso della Gallia, che pur nella sua solitudine e dopo tante vicissitudini che avevano travagliato la sua vita, pur avendo, con il suo intelletto, illuminato gli studi di diverse branche del sapere umano, aveva avuto il torto di introdurre in quegli studi, nuovi percorsi che avevano anticipato i tempi a venire.
Il torto di quell'uomo era stato quello di aver entusiasmato, con la sua personalità, il suo carisma e l'arte raffinata della parola, torbe di allievi che lo avevano seguito in qualunque parte fosse andato a nascondersi.
Quell'uomo doveva ulteriormente essere umiliato a veder distrutte tutte le opere del suo ingegno.
I due apostoli avevano avuto modo di ascoltare le accuse di Alberico e Lotulfo per cui erano stati predisposti alla diffidenza e alla animosità contro Abelardo. Inoltre dei due, uno, Norberto di Magdeburgo, era stato a Prémontré, che si trovava vicinissimo al convento di Laon dove viveva Anselmo, il quale non si era fatto mancare l'occasione di mettergli Abelardo in cattiva luce. L'altro, Bernardo di Clairveaux frequentava assiduamente Guglielmo di Champeaux, che lo aveva aiutato a fondare il monastero di cui Bernardo era stato nominato abate, e si può immaginare cosa il vecchio maestro avesse potuto raccontare a Bernardo del suo allievo-nemico.
Norberto e Bernardo avevano preso dagli acerrimi nemici di Abelardo le consegne per vendicare i loro risentimenti e le loro invidie. Non c'è da meravigliarsi che, specie in quei tempi, che per l'Europa erano ancora tempi di barbarie, accanto allo spirito cristiano albergassero anche sentimenti negativi, come il risentimento, portato alle estreme conseguenze, che poteva sfociare nell'odio, nell'invidia, nella vendetta, in ogni caso nell'intolleranza ed altro (abbiamo visto cosa succedeva nei monasteri!).
E, non c'è da meravigliarsi che due uomini, che per le loro opere sarebbero poi stati santificati (era normale che ogni monastero, per il proprio prestigio volesse avere il fondatore santificato!), avevano maturato un tale risentimento nei confronti di Abelardo che, quasi per missione, dovevano vendicare le offese arrecate ai vecchi maestri Anselmo e Guglielmo, e per far questo, avevano prima cercato di fare il vuoto attorno ad Abelardo alienandogli tutti gli amici sia religiosi che laici, per poi passare a distruggere o annullare il personaggio facendo condannare le sue opere.

Accadde che l'iniziativa era partita da Guglielmo di Saint-Thierry, autore di opere di teologia e mistica, amico e ammiratore di Bernardo, il quale si era rivolto a Bernardo e a Goffredo di Lèves, dicendosi <scosso per aver letto per caso nella Teologia di Abelardo cose non di poco conto, riguardanti la santissima Trinità, la persona del Mediatore, dello Spirito Santo, della grazia di Dio e del mistero della redenzione. Pietro Abelardo, di nuovo insegna e scrive cose nuove. I suoi libri vengono celebrati e liberamente accettati riscuotono autorità anche dalla curia romana, i suoi nuovi insegnamenti si diffondono per regni e province …il vostro silenzio è pericoloso sia per voi che per la chiesa di Dio…egli agisce come nemico all'interno della Chiesa…comportandosi con le Sacre scritture come si comportava in dialettica, apportandovi invenzioni che gli sono proprie e novità di anno in anno>.
Guglielmo allega un elenco di quattordici errori e una Disputatio adversus Petrus Abelardus (Discussione contro Pietro Abelardo).
Bernardo non si lascia sfuggire l'occasione e scrive immediatamente un trattato (non propriamente documentato) sotto forma di lettera al papa Innocenzo II. Abelardo dal suo canto scrive una breve Confessione di fede in risposta ai quattordici errori di Guglielmo. Anche un altro benedettino l'abate Tommaso di Morigny scrive contro Abelardo una Discussione critica dei padri cattolici. Bernardo, nel giro di pochi mesi scrive lettere a molti dignitari della chiesa denunciando i pericoli che l'insegnamento e gli scritti di Abelardo facevano correre alla fede.
E' Abelardo a compiere il passo decisivo. Chiede all'arcivescovo di Sens da cui dipendeva il vescovado di Parigi, di convocare Bernardo a un concilio per la Pentecoste del 1140 in cui ciascuno dei due avrebbe potuto esporre il suo punto di vista. Ma Bernardo su questo campo, in cui primeggiava Abelardo, sarebbe stato perdente. Avendo avvertito questa possibilità, abituato com'era alle scaltrezze della diplomazia, si comporta anche in maniera ignominiosa. Pur sapendo che i vescovi erano dalla sua parte, il giorno precedente a quello fissato per l'incontro, convoca i due arcivescovi e li convince a adottare un'altra procedura. Molto scorrettamente aveva preparato una lista di diciannove proposizioni eretiche, che fa subito condannare dai vescovi. Su di esse avrebbe dovuto pronunciarsi Abelardo.
Abelardo ignaro si presenta (3 giugno 1140) alla cattedrale e la trova piena di tutti i prelati, maestri, studenti, nobili, abati e presente era perfino il re di Francia col suo seguito, tutti convocati da Bernardo, che con le sue manipolazioni aveva trasformato quello che doveva essere un semplice dibattito su una controversia, in vero e proprio processo di eresia.
Bernardo, che al momento si trasforma in accusatore, gli legge la lista delle proposizioni che aveva fatto condannare dai vescovi e gli chiede subdolamente se le riconosce come proprie. Abelardo preso così alla sprovvista, risponde semplicemente che avrebbe fatto ricorso a Roma e se ne va via.

Questa reazione di Aberlardo, sempre combattivo lascia veramente sorpresi. Un suo allievo (Goffredo di Auxerre), biografo di Bernardo, aveva avanzato l'ipotesi dello stupore che aveva colpito Abelardo, ipotesi che non sembra da escludere.
Abelardo infatti pensava di trovare il solo arcivescovo di Sens e il suo contraddittore, tutt'al più qualche ecclesiastico che avrebbe dovuto assistere al dibattito, non certamente la cattedrale gremita di personalità, addirittura con la presenza del re e del suo seguito. Altro che stupore!. Vi era da indignarsi e indispettirsi!. Ancora oggi una simile strategia suscita ira di fronte a tal genere di manovre che non possono trovare alcuna giustificazione, che qualche studioso ha ritenuto rappresentare sostenendo di essersi trattato di <manovre tra contendenti>, nel senso che, <avendo Abelardo pensato di attirare Bernardo sul suo terreno, si era trovato con Bernardo ad averlo attirato sul suo>!
Questo terreno da parte di Bernardo era stato un terreno da sotterfugio, intrigo, inganno, arti in cui Bernardo era esperto e in cui eccelleva.
Il ricorso a questi mezzi usati con spietatezza, è confermato dal fatto che quando Abelardo se ne va via dall'assemblea, Bernardo chiede ugualmente, e ottiene, la condanna, con la giustificazione che doveva essere mandata al papa. Non solo, ma Bernardo, per anticipare Abelardo che aveva annunciato che avrebbe fatto ricorso a Roma, si precipita a mandare missive all'amico papa, il quale il 16 luglio (43 giorni dopo!), emette la condanna di eresia che coinvolgeva tutte le opere di Abelardo.

 

FINE DI UNA VITA INTENSA E TRAVAGLIATA

 

Abelardo lasciata l'assemblea, si mette in cammino per recarsi a Roma, facendo tappa a Cluny. Abate di questo monastero era Pietro il Venerabile, che da sant'uomo qual'era lo accoglie amorevolmente e lo convince a non andare a Roma e a fermarsi a Cluny.
Abelardo arrivando a Cluny, non è più il combattente pieno di forza interiore e di volontà, è un uomo completamente cambiato, come vedremo nella descrizione dello stesso abate.
Pietro il Venerabile, scrivendo a Eloisa per annunciarle la morte di Abelardo, avvenuta due anni dopo, nell'elogiarlo per il suo singolare magistero della scienza, dice che era stata la disposizione divina ad averlo fatto pervenire a Cluny, e che aveva arricchito il monastero di un dono più prezioso dell'oro e del topazio. <La sua vita religiosa>, prosegue Pietro, <santa, umile e devota trascorsa tra noi, per quante testimonianze possa rendere il monastero, non si può descrivere con due parole…non ricordo di aver visto qualcuno simile a lui nell'atteggiamento e nel gesto di umiltà…non poteva essere più umile di s. Germano né più povero di s. Martino. Quando tra i nostri fratelli occupava, perché costretto da me, un grado elevato, appariva l'ultimo di tutti per la povertà del suo abito. Spesso mi meravigliavo, quando mi precedeva nelle processioni, e quasi mi stupivo, nel vedere come un uomo della sua fama potesse disprezzarsi e umiliarsi fino a tal punto>.

Questi due anni Abelardo li passa curvo sui libri, dedito agli studi, alla letture, alla scrittura, insegnando, tenendo qualche discorso su argomenti filosofici e confrontandosi con i fratelli su argomenti religiosi. Per l'interessamento dell'abate era stata tolta la condanna di eresia e Abelardo era stato restituito alla grazia apostolica.
Egli, trascurava il cibo, le bevande, e quel che è peggio, ogni cura del corpo. Proprio questa mancanza di cura per il proprio corpo, gli aveva fatto insorgere la scabbia da cui era tormentato (13), tanto che l'abate lo aveva mandato a Chalon-sur Saones per alleviargli le sofferenze.
Alla fine Abelardo si aggrava e, come scrive Pietro, <per pagare il debito che è comune a tutti noi mortali, in breve arrivò il suo ultimo giorno>.

13) Si sa che la scabbia, che provoca un prurito atroce, insorge per mancanza di pulizia che nel medioevo (e oltre) era assolutamente sconosciuta, quando, proprio nei monasteri (particolarmente femminili) non era ritenuta peccaminosa.

 

Bibliografia: Ci sembra doveroso l'omaggio alla modestissima edizione della Newton Compton (100 pag. 1000 lire,1994) che però è preziosa nei contenuti, per la erudizione della introduzione e delle note curate da Gabriella D'Anna, che consentono di avere sottomano tutti gli studi e convegni che sono stati fatti sull'argomento. Rimandiamo a questo libretto per la bibliografia, indicando anche il testo della BUR (Abelardo: Lettere di Abelardo e Eloisa), e quello di Régine Pernoud: Eloisa e Abelardo, Edito da Jaca Book.

 

FINE

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