STORIA D'AMORE D'UN FILOSOFO E DELL'ALLIEVA DI GRANDE TALENTO
MICHELE DUCAS PUGLIA
PARTE TERZA
SOMMARIO:I
DUE NUOVI APOSTOLI; L'ABBAZIA DI ST. GILDAS; ELOISA PRIORA DEL
PARACLETO; TENTATIVI DEI MONACI DI AVVELENARE ABELARDO; IL PROCESSO
MANIPOLATO DA BERNARDO: IL CONCILIO DI SENS; FINE D'UNA VITA TRAVAGLIATA.
I DUE NUOVI APOSTOLI
Due nuovi nemici si
profilavano all'orizzonte di Abelardo. I vecchi nemici avevano
lottato inutilmente per fargli del male. Non essendo riusciti
a raggiungere i loro scopi, gli istigarono contro due personaggi
che all'epoca erano diventati già famosi e avevano raggiunto
gran prestigio, anche fuori della Francia.
Abelardo non li nomina ma essi erano Bernardo di Clairveux (che
sarà santificato dalla Chiesa), l'altro, Norberto di Magdeburgo,
fondatore di un nuovo ordine, quello dei Canonici Regolari
di Prémontré (presso Laon, da cui il nome di
premonstratensi), anch'egli santificato. Ambedue personaggi importanti
nelle loro attività monastiche ed ecclesiastiche e fautori
di riforme. Norberto, infatti, aveva ricondotto alla vita comunitaria
il clero delle cattedrali e delle parrocchie. Bernardo aveva realizzato
la riforma (giunta a maturazione con il movimento della Patarìa,
1045-1085), facendo rivivere nei monasteri la regola di s. Benedetto
con nuovo e più intenso rigore. Essi, percorrendo la Francia
per svolgere le loro attività, usando tutto il loro ascendente,
e spargendo notizie sinistre, non solo sulla sua fede, ma sulla
sua vita (avevano avuto modo di attaccare Abelardo in tutti i
modi, <senza vergogna>, come scrive Abelardo), erano riusciti
a mettergli contro sia ecclesiastici che autorità secolari,
allontanandogli anche i migliori amici.
Bernardo aveva raccolto i vari racconti e le maldicenze dei nemici
di Abelardo, e si era così caricato di risentimento nei
suoi confronti da ricorrere a tutti i mezzi, anche i più
scorretti, per distruggere Abelardo e le sue opere.
Non si spiega diversamente il fatto che Bernardo era arrivato
a far destituire dall'incarico di corte Stefano Garlando, siniscalco
del re (Luigi VI), soltanto perché questo era amico di
Abelardo, e lo aveva appoggiato quando era fuggito dal monastero
di s. Dionigi. Non solo, ma aveva fatto cacciare dalla Francia,
dopo averlo fatto condannare, Arnaldo da Brescia, colpevole di
essere stato discepolo di Abelardo, e di predicare contro la ricchezza
e la potenza temporale della Chiesa.
Ricorrendo allo stesso sistema usato per Abelardo, Bernardo aveva
cercato di far condannare il vescovo Gilberto di Poitiers, famoso
teologo, che proveniva dalla scuola urbana di Abelardo (e suo
probabile discepolo), che seguiva il metodo del maestro, quello
della dialettica applicata alla teologia. Non gli andò
bene come per Abelardo, perché la maggior parte dei cardinali
si era irritata per aver capito dove Bernardo volesse arrivare.
Costui però intestardito, andò a trovare il papa
per portarlo dalla sua parte, ma Gilberto aveva saputo difendersi
egregiamente, perciò in concilio si giunse a strappare
soltanto un <quaderno> che Gilberto stesso aveva sconfessato.
Perché Bernardo si era accanito contro Abelardo venendo
meno ai principi cristiani che andava predicando, fino al punto
da usare l'inganno per farlo condannare?.
Non certamente per i <pericoli che potevano incrinare la fede>
di cui lui si ergeva a difensore. Certamente vi era una componente
interiore che lo spingeva a intervenire là dove non intervenivano
il papa o le altre autorità religiose.
Non solo. Ma in lui giocava anche un conflitto interiore, quando
si trovava di fronte a personalità che egli sentiva superiori.
E la sua personalità certamente non raggiungeva quella
di Abelardo. Anche le nascite erano diverse.
Mentre Abelardo era di famiglia nobile, Bernardo era nato da un
padre, semplice castellano, che prestava servizio di guarnigione
nel castello di Fontaine, facente parte del feudo del duca di
Borgogna. La madre, invece, era di nobile famiglia, per questo
Bernardo si trovava ad avere zii e cugini materni che ricoprivano
cariche importanti, che certamente gli facevano avvertire il peso
della differenza sociale. Egli quindi aveva sviluppato quell'ambizione
(diversa da quella di Abelardo fondata sulla cultura e sul sapere),
che lo aveva portato a frequentare i grandi dell'epoca, re, principi,
papi, con i quali era in continuo contatto, e che tempestava di
lettere (è nota la sua produzione epistolare, e per farvi
fronte aveva organizzato uno scriptorium con segretari
che scrivevano per lui), pur sempre ricche di consigli, suggerimenti,
richiami alla fede. Egli, quasi compiaciuto, scriveva al papa,
<si dice che non siete voi ad essere il papa, perché
da ogni parte coloro che hanno questioni da risolvere si rivolgono
a me>. Certamente la sua vita contrastava con la vita ascetica
che egli stesso aveva imposto agli altri.
Bernardo, in ogni caso aveva maturato un carattere autoritario
e violento che contrastava con il misticismo che gli veniva attribuito.
Pur di raggiungere i suoi scopi non rifiutava il ricorso alla
furbizia, all'adulazione, alla minaccia, all'insinuazione e all'ingiuria
per squalificare i nemici. In molti casi era invadente, s'intrometteva
per far valere con la minaccia il suo punto di vista.
Predicava l'umiltà (il monaco deve essere umile, nascondersi,
piangere e pregare), e praticava l'ascesi, ma diventava paladino
dell'intolleranza quando tuonava contro gli eretici, che qualificava:
<uomini e donne perduti nei vizi, corrotti, immondi, ipocriti
che basta stanare, incapaci di comprendere argomenti razionali
(richiamando la razionalità quando proprio la religione
cristiana non l'ammette! nda.), e le donne le qualificava
<povere donne idiote e senza cultura>.
La sua attività più che monastica, si era svolta
all'esterno. Si era reso artefice della seconda crociata, rivelatasi
un insuccesso. Aveva contribuito a fondare l'Ordine dei Templari.
Si era prestato per risolvere il problema dei due papi rivali
eletti alla morte di Onorio II (1130), facendo in modo che Innocenzo
II, che lui appoggiava prevalesse su Anacleto II. In quest'occasione,
per la riconciliazione di Ruggero II di Sicilia con il papa, aveva
organizzato il matrimonio del figlio primogenito, Ruggero, con
Elisabetta di Champagne, figlia di Tibaldo II di Champagne, cogliendo
l'occasione per fondare un altro monastero di Clairveaux, a Chiaravalle,
in Sicilia. Innocenzo però aveva pensato di ridurre a partito
Ruggero II con le armi. Fu invece sconfitto e fatto prigioniero
e dovette confermargli tutte le concessioni che gli erano state
fatte da Anacleto.
Sarà Bernardo a imbastire il processo contro Abelardo.
L'ABBAZIA DI S. GILDAS
Abelardo era così
traumatizzato che quando veniva a sapere di qualche riunione di
ecclesiastici, pensava che lo facessero per condannarlo! Egli
viveva nel continuo timore di essere trascinato in un concilio
o in un tribunale per essere giudicato come eretico o sacrilego,
e cadeva in tale disperazione che pensava di abbandonare i territori
della cristianità per recarsi presso popoli di altre religioni
e vivere tra costoro, a costo di pagare qualsiasi tributo gli
fosse stato richiesto. (11)
In quei giorni di crisi del Paracleto, gli venne proposto di dirigere
un'abbazia, quella di s. Gildas de Rhuys (nei pressi di Vannes
in Bretagna), che aveva perduto il suo abate. La proposta gli
era stata fatta dagli stessi monaci di quest'abbazia che lo avevano
prescelto, col consenso del signore di quella zona. Abelardo,
avuto il consenso del suo abate e dei confratelli accettò,
ma soltanto per sfuggire alle persecuzioni. L'abbazia si trovava
all'estrema propaggine di una terra in prossimità dell'oceano,
e la vista dell'oceano toglie ad Abelardo, sempre in fuga, ogni
ulteriore speranza di fuga.
La zona era barbara e selvaggia, battuta dai venti del nord e
dal fragore delle onde, gli stessi abitanti erano inumani e selvaggi
e parlavano una lingua sconosciuta allo stesso Abelardo che era
bretone. Ben nota però, dice Abelardo, era la vita turpe
e sfrenata dei monaci, i quali non avevano proprietà comuni
che egli potesse amministrare, ma ognuno manteneva le sue concubine
e i suoi figli con la propria borsa, arrivando anche a rubare
e portar via tutto quello che fosse loro possibile. <Ero
certo che se avessi cercato di imporre l'ubbidienza alla regola
di vita a cui si erano votati (Abelardo aveva già fatto
esperienza nel monastero di s. Dionigi!), non sarei vissuto
a lungo, ma se non avessi fatto tutto ciò che potevo, la
mia anima sarebbe stata dannata>.
11) Abelardo pensa agli ebrei che nei territori della cristianità
pagavano un tributo per la loro diversità religiosa. Ci
sembra che da questo momento incomincia a pensare alla sorte degli
ebrei e a maturare l'incontro tra gli appartenenti alle religioni
monoteiste. In seguito scriverà il libro Dialogo tra un
filosofo, un giudeo e un cristiano (BUR,1992). Anticipando anche
questa volta i tempi, pone come filosofo un musulmano (all'epoca
di Abelardo i musulmani erano considerati infedeli e avversari
da abbattere), anticipando anche i temi della tolleranza verso
gli altri: "i credenti errano nello scambiare la consuetudine
e l'educazione con la ragione; nascono così l'intolleranza
verso gli altri e la riduzione della fede, che si rifiuta alla
ragione, a formule insignificanti, vuotamente ripetute".Per
l'ebreo Abelardo ne lamenta la sorte, con parole sublimi: <Non
si sa di nessun altro popolo che abbia sopportato tante prove
in nome di Dio si deve ammettere che la fornace del nostro
patire, ha consumato, ogni ruggine di peccato. Dispersi in tutte
le regioni del mondo, soli, senza guida di un re o un principe,
siamo oppressi da gravi tributi e ogni giorno paghiamo per la
nostra miserabile vita un prezzo intollerabile. Tutti pensano
che sia giusto disprezzarci e odiarci, tanto che quando qualcuno
ci offende, crede di compiere un atto di somma giustizia.
I nostri persecutori sono convinti che la disgrazia della nostra
schiavitù sia dovuta all'odio di Dio verso di noi ,
I cristiani affermano che abbiamo ucciso il loro Dio Siamo
costretti a mettere la nostra vita nelle mani dei nostri nemici Anche
il sonno, per noi è inquieto e pieno di paura anche
quando dormiamo non possiamo pensare ad altro se non al pugnale
che minaccia le nostre gole A caro prezzo abbiamo acquistato
la protezione dei sovrani, ma sappiamo bene quanto desiderino
ucciderci anche perché così sarebbe più facile
far bottino di tutto ciò che abbiamo . Non possiamo
possedere né campi né vigneti né altre proprietà E
così per vivere ci rimane il guadagno che otteniamo prestando
denaro agli altri popoli, e questo ci rende ancora più
odiosi, perché si ritengono gravemente danneggiati >.
ELOISA PRIORA DEL PARACLETO
Eloisa, dopo aver preso
il velo monastico, si trovava come abbiamo visto nel convento
di Argenteuil dove era priora di grado inferiore solo alla badessa.
In occasione della riforma monastica che si stava preparando per
tutte le abbazie della Gallia, durante l'assemblea generale venne
riferito che in quel convento un gruppo di suore si comportava
in modo indegno, svergognando il loro ordine e facendo gran male
alle consorelle, scandalizzate della loro impurità. Sugero,
che era abate di s. Dionigi, riteneva di avanzare pretese su quel
convento che in origine, dal tempo di Pipino il breve, era alle
dipendenze dell'abbazia ed era stato separato dall'abbazia sotto
Carlo Magno per diventare convento femminile, la cui prima badessa
era stata la figlia stessa dell'imperatore Teobrada. Era stato
stabilito che alla morte di Teobrada il convento femminile sarebbe
passato di nuovo sotto la giurisdizione dell'abbazia tanto che
Ilduino, che abbiamo visto essere diventato cappellano dell'imperatore
Ludovico il Pio, aveva fatto riconfermare questa concessione.
Sugero, che voleva mettere ordine nei diritti e privilegi dell'abbazia,
costatando che il monastero di Argenteuil era dipendenza dell'abbazia,
aveva sollevato il problema, mandando messaggeri dal papa Onorio,
per risolvere la questione.
In occasione delle accuse, Sugero aveva mostrato i documenti,
perciò fu deciso che l'abbazia sarebbe rientrata nel possesso
del convento e le monache sarebbero state espulse e sostituite
da monaci. Nel frattempo giunse anche la bolla del Papa che ratificava
la restituzione, con il compito per Sugero di collocare le monache
scacciate in conventi di buona reputazione, per evitare che qualcuna
di loro si smarrisse e perisse per il proprio errore.
Quando Abelardo venne a sapere che le monache sarebbero state
disperse tra i vari monasteri, gli venne l'idea di far dono del
suo oratorio al Paracleto. Invitò quindi Eloisa a recarvisi
con le monache sul posto e ne fece dono, donando anche tutto ciò
che ne faceva parte. Il Papa Innocenzo II, confermò la
donazione anche per tutte le monache che fossero arrivate in futuro,
anche con l'ulteriore assenso del vescovo.
All'inizio in quel nuovo monastero le monache conducevano una
vita povera e si sentivano abbandonate. In breve tempo però,
quelli che abitavano intorno al monastero, presi da benevolenza
e compassione, le aiutarono riuscendo a ottenere dalle terre tanta
ricchezza quanto, scrive Abelardo, lui n'avrebbe ricavata in cento
anni. Eloisa aveva tanta grazia agli occhi di tutti che i vescovi
l'amavano come fosse una figlia, gli abati come una sorella, i
laici come una madre, e tutti ne ammiravano lo spirito religioso,
la saggezza, l'inimitabile dolcezza e pazienza. Eloisa si lasciava
vedere raramente, dedita, nel chiuso della sua cella alla preghiera
e meditazione, per questo era ancora più desiderata e i
suoi consigli spirituali ricercati. Dopo qualche anno (1136) Eloisa
divenne badessa del convento che reggerà fino alla morte
avvenuta nel 1164, ventidue anni dopo quella di Abelardo e sarà
sepolta accanto al suo sposo (12).
Anche in questa occasione non poterono mancare accuse e insinuazioni
per Abelardo. Tutti quelli che abitavano nelle vicinanze del monastero
accusavano Abelardo di non provvedere alla povertà del
convento, secondo le sue possibilità, cosa che avrebbe
potuto fare anche con la predicazione. Per questo motivo egli
prese l'abitudine di recarsi al convento più spesso, per
aiutare le monache in qualche modo.
Queste visite non fecero che suscitare invidie e mormorazioni
e ciò che lui faceva per carità, era considerato
come spudoratezza dai suoi detrattori i quali andavano dicendo
che era preso ancora da desideri carnali e che non poteva sopportare
di star lontano dalla donna che un tempo aveva amato. E Abelardo
si diceva: <Come possono i miei nemici trovare in me un
minimo appiglio per le loro calunnie, dal momento che sono stato
privato di qualsiasi motivo di sospetto; come possono sospettare
di me cui è stata tolta la possibilità fisica di
compiere azioni vergognose?>. Come possono sospettare <se
questa mutilazione allontana qualsiasi sospetto tanto è
vero che chiunque voglia custodire con sicurezza delle donne le
affida agli eunuchi?>.
Abelardo conclude ricordando quando aveva subito la mutilazione,
dicendo che il dolore che aveva subito fu minore perché
di breve durata e improvviso, in quanto, aggredito nel sonno non
sentì alcun male. Ma se allora quella ferita non gli causò
un dolore intollerabile, la calunnia invece lo perseguitava ed
egli si preoccupava più per i danni provocati alla sua
fama che alla menomazione del suo corpo.
12) Abelardo era stato sepolto nell'Oratorio del Paracleto.
La leggenda vuole che egli abbia aperto le braccia per accogliere
la sua compagna. I due corpi furono trasportati a Parigi durante
la rivoluzione francese.
I TENTATIVI DEI MONACI DI AVVELENARE ABELARDO
Il feudatario della
zona, potentissimo tiranno, spadroneggiava sull'abbazia già
da tempo, e l'occasione per farlo gli era stata fornita dall'indisciplina
del monastero. I monaci peraltro, infastidivano Abelardo in continuazione
perché provvedesse alle loro necessità e si divertivano
ad affliggerlo con i loro problemi materiali, cercando di farlo
apparire un amministratore incapace e di costringerlo o ad abbandonare
il tentativo di imporre loro una disciplina o di andarsene definitivamente.
Egli era venuto a trovarsi tra due fuochi. All'esterno il tiranno
e i suoi alleati che lo opprimevano costantemente, all'interno
i monaci che gli tendevano insidie senza dargli tregua, attentando
anche alla sua vita.
Essi infatti avevano tentato varie volte di liberarsi di lui col
veleno, e attentavano quotidianamente alla sua vita, tanto da
metterlo in condizione di provvedere personalmente al suo cibo
e alle bevande. I monaci, non essendo riusciti ad avvelenarlo
col cibo e le bevande, tentarono di assassinarlo durante il sacrificio
della messa, mettendo il veleno nel calice. Questi tentativi furono
fatti anche quando Abelardo era in viaggio. Accadde che essendosi
recato a Nantes per visitare il conte-tiranno che si era ammalato,
ed era ospite del fratello, quei monaci, pensando che in casa
del fratello Abelardo sarebbe stato meno accorto, d'accordo con
uno dei servi del suo seguito, fecero avvelenare il cibo che per
puro caso egli non aveva ancora toccato, ma un monaco del seguito
mangiandolo era stramazzato, fulminato dal veleno.
Dopo questo episodio, Abelardo decise di sottrarsi pubblicamente
alle insidie, abbandonando l'abbazia e trasferendosi con pochi
compagni in un eremo. Ma i suoi confratelli non desistevano. Tutte
le volte che venivano a sapere dei suoi spostamenti ingaggiavano
dei malviventi perché lo uccidessero lungo le strade e
sentieri che egli percorreva. In uno di questi viaggi Abelardo
cadde da cavallo e si ruppe la clavicola. Questa frattura, egli
dice, lo afflisse e indebolì più dell'evirazione.
Abelardo cercò di frenare una volta per tutte l'indomabile
ribellione dei monaci, minacciando di scomunicarli e costrinse
alcuni di loro a giurare in pubblico e sulla loro parola di abbandonare
l'abbazia, e che non lo avrebbero più perseguitato. Ma
essi violarono senza vergogna la parola e il giuramento. La questione
fu sottoposta al papa (Innocenzo II) il quale nominò un
legato per risolvere la questione, e i monaci ribelli furono costretti
a ripetere il precedente giuramento e a farne altri in presenza
del conte-feudatario e del vescovo. Ma tutto fu invano. Rientrando
nel monastero i monaci verso i quali egli nutriva meno sospetti
si rivelarono peggiori di quelli che erano stati scacciati, e
solo con l'aiuto di un nobile del posto Abelardo era riuscito
a sfuggire a stento a costoro che lo avevano affrontato non con
il veleno, ma puntandogli la spada alla gola. <Anche ora
lotto contro il pericolo e vivo ogni giorno nel sospetto come
se una spada fosse pronta a cadermi sul collo, al punto che all'ora
dei pasti riesco a malapena a respirare>.
IL PROCESSO MANIPOLATO DA BERNARDO: IL CONCILIO DI SENS
I timori e le paure
di Abelardo non erano infondati. I due impietosi apostoli non
avevano dimenticato che vi era un uomo, in un angolo disperso
della Gallia, che pur nella sua solitudine e dopo tante vicissitudini
che avevano travagliato la sua vita, pur avendo, con il suo intelletto,
illuminato gli studi di diverse branche del sapere umano, aveva
avuto il torto di introdurre in quegli studi, nuovi percorsi che
avevano anticipato i tempi a venire.
Il torto di quell'uomo era stato quello di aver entusiasmato,
con la sua personalità, il suo carisma e l'arte raffinata
della parola, torbe di allievi che lo avevano seguito in qualunque
parte fosse andato a nascondersi.
Quell'uomo doveva ulteriormente essere umiliato a veder distrutte
tutte le opere del suo ingegno.
I due apostoli avevano avuto modo di ascoltare le accuse di Alberico
e Lotulfo per cui erano stati predisposti alla diffidenza e alla
animosità contro Abelardo. Inoltre dei due, uno, Norberto
di Magdeburgo, era stato a Prémontré, che si trovava
vicinissimo al convento di Laon dove viveva Anselmo, il quale
non si era fatto mancare l'occasione di mettergli Abelardo in
cattiva luce. L'altro, Bernardo di Clairveaux frequentava assiduamente
Guglielmo di Champeaux, che lo aveva aiutato a fondare il monastero
di cui Bernardo era stato nominato abate, e si può immaginare
cosa il vecchio maestro avesse potuto raccontare a Bernardo del
suo allievo-nemico.
Norberto e Bernardo avevano preso dagli acerrimi nemici di Abelardo
le consegne per vendicare i loro risentimenti e le loro invidie.
Non c'è da meravigliarsi che, specie in quei tempi, che
per l'Europa erano ancora tempi di barbarie, accanto allo spirito
cristiano albergassero anche sentimenti negativi, come il risentimento,
portato alle estreme conseguenze, che poteva sfociare nell'odio,
nell'invidia, nella vendetta, in ogni caso nell'intolleranza ed
altro (abbiamo visto cosa succedeva nei monasteri!).
E, non c'è da meravigliarsi che due uomini, che per le
loro opere sarebbero poi stati santificati (era normale che ogni
monastero, per il proprio prestigio volesse avere il fondatore
santificato!), avevano maturato un tale risentimento nei confronti
di Abelardo che, quasi per missione, dovevano vendicare le offese
arrecate ai vecchi maestri Anselmo e Guglielmo, e per far questo,
avevano prima cercato di fare il vuoto attorno ad Abelardo alienandogli
tutti gli amici sia religiosi che laici, per poi passare a distruggere
o annullare il personaggio facendo condannare le sue opere.
Accadde che l'iniziativa era partita da Guglielmo di Saint-Thierry,
autore di opere di teologia e mistica, amico e ammiratore di Bernardo,
il quale si era rivolto a Bernardo e a Goffredo di Lèves,
dicendosi <scosso per aver letto per caso nella Teologia
di Abelardo cose non di poco conto, riguardanti la santissima
Trinità, la persona del Mediatore, dello Spirito Santo,
della grazia di Dio e del mistero della redenzione. Pietro Abelardo,
di nuovo insegna e scrive cose nuove. I suoi libri vengono celebrati
e liberamente accettati riscuotono autorità anche dalla
curia romana, i suoi nuovi insegnamenti si diffondono per regni
e province il vostro silenzio è pericoloso sia per
voi che per la chiesa di Dio egli agisce come nemico all'interno
della Chiesa comportandosi con le Sacre scritture come si
comportava in dialettica, apportandovi invenzioni che gli sono
proprie e novità di anno in anno>.
Guglielmo allega un elenco di quattordici errori e una Disputatio
adversus Petrus Abelardus (Discussione contro Pietro Abelardo).
Bernardo non si lascia sfuggire l'occasione e scrive immediatamente
un trattato (non propriamente documentato) sotto forma di lettera
al papa Innocenzo II. Abelardo dal suo canto scrive una breve
Confessione di fede in risposta ai quattordici errori di Guglielmo.
Anche un altro benedettino l'abate Tommaso di Morigny scrive contro
Abelardo una Discussione critica dei padri cattolici. Bernardo,
nel giro di pochi mesi scrive lettere a molti dignitari della
chiesa denunciando i pericoli che l'insegnamento e gli scritti
di Abelardo facevano correre alla fede.
E' Abelardo a compiere il passo decisivo. Chiede all'arcivescovo
di Sens da cui dipendeva il vescovado di Parigi, di convocare
Bernardo a un concilio per la Pentecoste del 1140 in cui ciascuno
dei due avrebbe potuto esporre il suo punto di vista. Ma Bernardo
su questo campo, in cui primeggiava Abelardo, sarebbe stato perdente.
Avendo avvertito questa possibilità, abituato com'era alle
scaltrezze della diplomazia, si comporta anche in maniera ignominiosa.
Pur sapendo che i vescovi erano dalla sua parte, il giorno precedente
a quello fissato per l'incontro, convoca i due arcivescovi e li
convince a adottare un'altra procedura. Molto scorrettamente aveva
preparato una lista di diciannove proposizioni eretiche, che fa
subito condannare dai vescovi. Su di esse avrebbe dovuto pronunciarsi
Abelardo.
Abelardo ignaro si presenta (3 giugno 1140) alla cattedrale e
la trova piena di tutti i prelati, maestri, studenti, nobili,
abati e presente era perfino il re di Francia col suo seguito,
tutti convocati da Bernardo, che con le sue manipolazioni aveva
trasformato quello che doveva essere un semplice dibattito su
una controversia, in vero e proprio processo di eresia.
Bernardo, che al momento si trasforma in accusatore, gli legge
la lista delle proposizioni che aveva fatto condannare dai vescovi
e gli chiede subdolamente se le riconosce come proprie. Abelardo
preso così alla sprovvista, risponde semplicemente che
avrebbe fatto ricorso a Roma e se ne va via.
Questa reazione di Aberlardo, sempre combattivo lascia veramente
sorpresi. Un suo allievo (Goffredo di Auxerre), biografo di Bernardo,
aveva avanzato l'ipotesi dello stupore che aveva colpito Abelardo,
ipotesi che non sembra da escludere.
Abelardo infatti pensava di trovare il solo arcivescovo di Sens
e il suo contraddittore, tutt'al più qualche ecclesiastico
che avrebbe dovuto assistere al dibattito, non certamente la cattedrale
gremita di personalità, addirittura con la presenza del
re e del suo seguito. Altro che stupore!. Vi era da indignarsi
e indispettirsi!. Ancora oggi una simile strategia suscita ira
di fronte a tal genere di manovre che non possono trovare alcuna
giustificazione, che qualche studioso ha ritenuto rappresentare
sostenendo di essersi trattato di <manovre tra contendenti>,
nel senso che, <avendo Abelardo pensato di attirare Bernardo
sul suo terreno, si era trovato con Bernardo ad averlo attirato
sul suo>!
Questo terreno da parte di Bernardo era stato un terreno da sotterfugio,
intrigo, inganno, arti in cui Bernardo era esperto e in cui eccelleva.
Il ricorso a questi mezzi usati con spietatezza, è confermato
dal fatto che quando Abelardo se ne va via dall'assemblea, Bernardo
chiede ugualmente, e ottiene, la condanna, con la giustificazione
che doveva essere mandata al papa. Non solo, ma Bernardo, per
anticipare Abelardo che aveva annunciato che avrebbe fatto ricorso
a Roma, si precipita a mandare missive all'amico papa, il quale
il 16 luglio (43 giorni dopo!), emette la condanna di eresia che
coinvolgeva tutte le opere di Abelardo.
FINE DI UNA VITA INTENSA E TRAVAGLIATA
Abelardo lasciata l'assemblea,
si mette in cammino per recarsi a Roma, facendo tappa a Cluny.
Abate di questo monastero era Pietro il Venerabile, che da sant'uomo
qual'era lo accoglie amorevolmente e lo convince a non andare
a Roma e a fermarsi a Cluny.
Abelardo arrivando a Cluny, non è più il combattente
pieno di forza interiore e di volontà, è un uomo
completamente cambiato, come vedremo nella descrizione dello stesso
abate.
Pietro il Venerabile, scrivendo a Eloisa per annunciarle la morte
di Abelardo, avvenuta due anni dopo, nell'elogiarlo per il suo
singolare magistero della scienza, dice che era stata la disposizione
divina ad averlo fatto pervenire a Cluny, e che aveva arricchito
il monastero di un dono più prezioso dell'oro e del topazio.
<La sua vita religiosa>, prosegue Pietro, <santa,
umile e devota trascorsa tra noi, per quante testimonianze possa
rendere il monastero, non si può descrivere con due parole non
ricordo di aver visto qualcuno simile a lui nell'atteggiamento
e nel gesto di umiltà non poteva essere più
umile di s. Germano né più povero di s. Martino.
Quando tra i nostri fratelli occupava, perché costretto
da me, un grado elevato, appariva l'ultimo di tutti per la povertà
del suo abito. Spesso mi meravigliavo, quando mi precedeva nelle
processioni, e quasi mi stupivo, nel vedere come un uomo della
sua fama potesse disprezzarsi e umiliarsi fino a tal punto>.
Questi due anni Abelardo li passa curvo sui libri, dedito
agli studi, alla letture, alla scrittura, insegnando, tenendo
qualche discorso su argomenti filosofici e confrontandosi con
i fratelli su argomenti religiosi. Per l'interessamento dell'abate
era stata tolta la condanna di eresia e Abelardo era stato restituito
alla grazia apostolica.
Egli, trascurava il cibo, le bevande, e quel che è peggio,
ogni cura del corpo. Proprio questa mancanza di cura per il proprio
corpo, gli aveva fatto insorgere la scabbia da cui era tormentato
(13), tanto che l'abate lo aveva mandato a Chalon-sur Saones per
alleviargli le sofferenze.
Alla fine Abelardo si aggrava e, come scrive Pietro, <per
pagare il debito che è comune a tutti noi mortali, in breve
arrivò il suo ultimo giorno>.
13) Si sa che la scabbia, che provoca un prurito atroce, insorge
per mancanza di pulizia che nel medioevo (e oltre) era assolutamente
sconosciuta, quando, proprio nei monasteri (particolarmente femminili)
non era ritenuta peccaminosa.
Bibliografia: Ci sembra doveroso l'omaggio alla modestissima
edizione della Newton Compton (100 pag. 1000 lire,1994) che però
è preziosa nei contenuti, per la erudizione della introduzione
e delle note curate da Gabriella D'Anna, che consentono di avere
sottomano tutti gli studi e convegni che sono stati fatti sull'argomento.
Rimandiamo a questo libretto per la bibliografia, indicando anche
il testo della BUR (Abelardo: Lettere di Abelardo e Eloisa),
e quello di Régine Pernoud: Eloisa e Abelardo, Edito
da Jaca Book.