ABELARDO ED ELOISA

 

STORIA D'AMORE D'UN FILOSOFO E DELL'ALLIEVA DI GRANDE TALENTO

 

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

PARTE PRIMA

 

Io, povero monaco promosso abate, quanto più divento potente, tanto più aumenta la mia infelicità. Posso solo sperare che il mio esempio freni almeno in parte l' ambizione di coloro che desiderano la potenza terrena.

 

 

SOMMARIO:IL FILOSOFO E TEOLOGO; LE ORIGINI; A PARIGI; IL PIANO PER CONQUISTARE ELOISA; L'AMORE PASSIONALE; L'ERUDIZIONE DI ELOISA; L'ATROCE VENDETTA; NEL CONVENTO DI S. DIONIGI; IL TRATTATO PER GLI STUDENTI E IL CONCILIO DI SOISSONS; LA POLEMICA SU BEDA E ILDUINO; LA FUGA DAL MONASTERO DI S. DIONIGI; IL PARACLETO; I DUE NUOVI APOSTOLI; L'ABBAZIA DI ST. GILDAS; ELOISA PRIORA DEL PARACLETO; TENTATIVI DEI MONACI DI AVVELENARE ABELARDO; IL PROCESSO MANIPOLATO DA BERNARDO: IL CONCILIO DI SENS; FINE DI UNA VITA TRAVAGLIATA.

 

IL FILOSOFO E TEOLOGO

 

Abelardo, è stato considerato l'Aristotele (ma anche il Socrate o il Platone) del medioevo. Spirito geniale e originale nei primi quarant'anni del 1100, aveva tentato di rielaborare in modo critico, le concezioni tradizionali della filosofia aristotelica del tempo, elaborata sui trattati di Boezio che si rifacevano alla Logica vetus di Aristotele e alle Institutiones di Prisciano, che erano gli unici allora disponibili (1).
Le sue idee avanzate rispetto alla filosofia del tempo, nonostante fosse stato ferocemente osteggiato, esercitarono un'influenza decisiva sugli sviluppi successivi della Logica medievale.
Abelardo si trova a fronteggiare anche il problema degli universali (che riguardava il valore logico e metafisico del concetto), che già si era delineato nel pensiero greco e attraverso Aristotele, Porfirio e Boezio, arrivò alle scuole medievali, complicato da motivi teologici. All'epoca di Abelardo la questione era fortemente dibattuta, portata avanti dai suoi due maestri, Roscellino e Guglielmo di Champeaux. Abelardo si pone su un piano critico nei confronti di ambedue contrapponendosi sia al nominalismo estremo (vocalismo) di Roscellino, che al realismo (di ispirazione neoplatonica e agostiniana), sostenuto dal suo maestro Guglielmo di Champeaux, che affermava la realtà ontologica delle essenze universali.
Abelardo sostiene che reali sono soltanto gli individui e i fatti particolari, ma conferisce poi all'intelletto la possibilità di ricavare, mediante l'astrazione da quelle, realtà particolari, immagini comuni, che sono appunto i concetti, significati dai nomi universali. Questi non sono come per Roscellino, pure e semplici parole (voces), nella loro realtà fisica di emissioni di fiato (flatus vocis) ma parole significanti (sermones), vale a dire assunte per convenzione da parte degli uomini a rappresentare nel discorso umano le immagini comuni ricavate dall'intelletto (concettualismo).
In teologia Abelardo introduce il metodo dialettico, non nell'intento di razionalizzare la fede, ma per spiegare i suoi fondamenti con analogie tratte dalla ragione umana, rifiutando l'atteggiamento di chi accetta in modo inerte e passivo le verità religiose, solo per tradizione. Egli quindi porta la teologia fuori degli schemi tradizionali verso forme che si affermeranno nel secolo seguente con s. Tommaso.
Sic et non (pro e contro) è il testo che valse ad Abelardo il titolo di fondatore della filosofia scolastica. E' una raccolta di passi presi dalle Sacre Scritture, dai Padri, dai Concili intorno a centocinquantotto questioni teologiche, che danno la possibilità di avere sott'occhio i testi discordanti dai quali il lettore ricaverà la soluzione che gli sembra migliore.
L'intendimento della raccolta è esclusivamente didattico e quindi le discordanze non sono evidenziate per scardinare il principio dell'autorità, ma per sollecitare il lettore principiante a risolvere le singole questioni. Egli nell'adottare una o l'altra soluzione, dovrà attenersi al metodo indicato da Abelardo stesso nel Prologo. Viene così introdotto un procedimento didattico che sarà seguito nei secoli successivi.
L'etica. Compito della logica per Abelardo è quella di stabilire la verità o falsità del discorso scientifico, ponendo una distinzione tra la logica e la metafisica. Egli insiste sul valore dell'interiorità dell'intenzione, in quanto senza il consenso della volontà e la coscienza del male, non vi può essere peccato. Nega perciò ogni valore morale alle inclinazioni e agli impulsi naturali e anche alle azioni esteriori.

 

1) La parte della Logica, tradotta da Boezio e fino ad Abelardo era la Logica Vetus costituita da una piccola parte dell'Organon. Dalla Logica Vetus mancavano i Topici analitici, e le Confutazioni sofistiche che Teodorico di Chartre inserisce nell'opera Eptateucon che riguardava le sette arti liberali e costituivano la Logica nova. Questa era stata tradotta nel 1150, da Giacomo da Venezia, dopo la morte di Abelarto avvenuta nel 1142.

 

LE ORIGINI

 

Pietro Abelardo come primogenito di nobile famiglia sarebbe stato destinato alla vita militare del cavaliere. Il padre, signore di Le Pallette, un borgo della rude Bretagna, a poche miglia da Nantes, contrariamente all'educazione dei nobili dell'epoca che trascuravano gli studi per diventare guerrieri, aveva avuto anche un'istruzione, e, per amore delle arti letterarie aveva stabilito che ciascuno dei suoi figli sarebbe stato istruito prima nelle lettere e poi nelle armi (2). Essendo egli il primogenito, era il più amato dal padre che lo aveva maggiormente seguito nell'istruzione.
Dotato di ingegno all'età di tredici anni, era stato affidato a un maestro di fama, Roscellino il quale gli scopre il talento per la filosofia. Abelardo si appassiona a tal punto negli studi, che decide di lasciare ai fratelli la gloria militare e i diritti di primogenitura.
Tra tutte le discipline della filosofia predilige l'arma della dialettica. Abelardo scambia questa con le armi guerresche: <ai trofei della guerra preferii le battaglie delle dispute filosofiche>.
Con questo spirito guerresco egli affronterà la sua vita di allievo e maestro, con tutto l'impeto del cavaliere che parte in cerca di ventura. Lo attesta il suo stesso linguaggio in cui usa spesso termini come <assalti, tregue, battaglie, manipoli, combattere con le parole (pugnare verbis), fuori la battaglia, dentro la paura>, ecc..
Con queste sue armi non farà altro che rendersi insopportabile e suscitare risentimenti e invidie che lo perseguiteranno per il resto della vita.
Egli si reca a Parigi intorno all'anno 1100 (aveva ventun anni, essendo nato nel 1079), dove sceglie come maestro Guglielmo di Champeaux. Se il rapporto con Roscellino era durato sette anni, con Guglielmo ne basteranno due per rendersi <insopportabile>. A causa di quel suo temperamento, porterà il maestro a diventare un suo acerrimo nemico, e, da quel momento avranno inizio le disgrazie che lo accompagneranno fino alla fine dei suoi giorni.

2) Nel medioevo i bambini di nobile famiglia fino a sette anni rimanevano affidati alle cure materne. Dai sette ai tredici e oltre erano istruiti nelle arti guerresche. Quelli che seguivano gli studi a tredici anni erano affidati ai conventi, come si era verificato per Abelardo quando aveva seguito gli insegnamenti di Roscellino.


A PARIGI

 

Partecipando alle lezioni di Guglielmo, Abelardo ne critica le idee e spesso lo contesta, uscendo, come egli stesso racconta, <vincitore dalle dispute>. Gli altri discepoli che frequentano le lezioni con lui, particolarmente quelli più bravi, sono sdegnati e indignati nei suoi confronti, anche perché era il più giovane e l'ultimo arrivato
<Come allievo di Guglielmo>, racconta Abelardo, <forse sopravalutando le mie capacità, aspirai a dirigere io stesso una scuola, cercando un luogo adatto alla realizzazione di questo disegno>.
Gli parve adatta la cittadina di Melun ben nota per essere residenza reale (all'epoca regnava Filippo I di Francia). Guglielmo accortosi delle intenzioni dell'allievo, cercò di fare di tutto per impedirgli di fondare la scuola. Ma a Melun, Abelardo trovò l'ambiente a lui favorevole in quanto l'atteggiamento ostile di Guglielmo gli aveva conciliato la simpatia dei signori della corte del re. La sua fama di dialettico, che offuscava quella dei suoi compagni e del suo maestro, si diffuse in un batter d'occhio. Non solo. Ma Abelardo ne combinò subito un'altra. <Sopravalutando ancora le mie capacità, trasferii la mia scuola a Corneuil, più vicina a Parigi, per avere più frequenti occasioni per aggredire i miei nemici nelle dispute>!.
Dopo una pausa di qualche anno (era dovuto andare in Bretagna perché per l'impegno e l'intensità di studio si era ammalato di esaurimento nervoso), torna a Parigi più battagliero che mai. Guglielmo era nel frattempo diventato vescovo. Abelardo, velenosamente riferisce che Guglielmo aveva cambiato ordine religioso, mostrando più zelo (religioso) per avere una prelatura più importante, e continuando a tenere le lezioni di retorica, alle quali Abelardo aveva pensato bene di partecipare… <per costringerlo a modificare, anzi, a rinunciare del tutto al suo precedente punto di vista sulla questione degli universali>
Quando Guglielmo fu costretto a correggere il suo pensiero, le sue lezioni caddero in tale discredito che a stento gli era concesso di trattare le altre parti della dialettica, <come se>, commenta Abelardo, <in questa questione degli universali consistesse l'argomento più importante di quest'arte>.
Non solo. Ma accadde che tutti i discepoli entusiasti seguaci di quel maestro, passarono in massa al corso di Abelardo.
Guglielmo pensò di affidare il suo corso a un suo successore il quale andò a offrirlo ad Abelardo. Ma Guglielmo non potendo sostenere il bruciante dolore da cui era logorato, cercò di fare allontanare il suo successore con l'astuzia, e, non avendo appigli cercò di far togliere la cattedra a colui al quale l'aveva affidata, accusandolo di colpe infamanti.
Abelardo torna quindi a Melun dove l'invidia di Guglielmo non fece che accrescere l'autorità di Abelardo. Nel frattempo Guglielmo si trasferisce con tutti suoi frati, e Abelardo pensando a una tregua ritenne di riavvicinarsi a Parigi, portando la sua scuola sulla collina di st. Geneviéve. Ma Guglielmo ritornò con il suo manipolo di frati e scolari, screditando a questo modo colui al quale aveva affidato la cattedra, che perdette quei pochi scolari che gli erano rimasti.

Nel frattempo Abelardo dopo una parentesi nella sua Bretagna in quanto il padre aveva deciso di convertirsi alla vita monastica, seguito, nella stessa decisione, dalla madre (3), al rientro pensò di andare a seguire, provocatoriamente le lezioni di Anselmo di Laon (4) che era stato maestro di Guglielmo, e aveva gran fama per la lunga pratica di insegnamento.
Abelardo lo sminuisce riferendo che: <questa sua fama era dovuta più alla lunga pratica dell'insegnamento che all'ingegno o alla memoria>, aggiungendo sarcasticamente che <se qualcuno andava da lui per consultarlo su qualche questione in cui si sentiva incerto, se ne ritornava ancora più incerto.> <Egli> prosegue Abelardo <sembrava ammirevole agli occhi di coloro che lo ascoltavano, ma risultava una nullità se lo invitavano a discutere> (…ed era lui a farlo!). <Sapeva usare parole a meraviglia, ma diceva cose banali e prive di significato. Quando accendeva quel suo fuoco, riempiva la casa di fumo, ma non la riempiva di luce. Il suo albero era tutto di foglie e sembrava grande e imponente ma appariva del tutto privo di frutti…mi avvicinai a lui per cogliere i frutti, ma egli era come il fico sterile maledetto dal Signore>.
Abelardo diviene meno assiduo alle lezioni (che erano pagate volta per volta dagli studenti), ma questo comportamento è considerato sprezzante dagli altri discepoli che istigano il maestro contro di lui..
Avvenne che, dopo una lezione, scherzando, uno di loro chiese ad Abelardo, con l'intenzione di farlo cadere in errore, che cosa avesse ricavato dai testi sacri. Abelardo, che non aveva ancora affrontato quegli studi, rispose, (creando le condizioni di una sfida!), <che la lettura gli sembrava salutare per la salvezza dell'anima, ma si meravigliava che agli uomini di cultura, non bastassero gli stessi testi sacri col commento delle glosse, per comprendere appieno le esposizioni dei santi Padri, tanto che avevano bisogno dell'insegnamento di un maestro> (e il riferimento era ben chiaro!).
La maggior parte dei compagni reagisce chiedendo se avesse la presunzione di essere in grado di fare questo tipo di commento, e Abelardo risponde che era pronto a cimentarsi, e di rimando si sente dire <certo che lo vogliamo>!. Gli viene quindi sottoposta una oscura profezia di Ezechiele. Abelardo non si perde d'animo e li invita a presentarsi il giorno dopo. I compagni si mostrarono disposti a concedere più tempo per preparare la lezione, trattandosi di una questione così importante. Ma Abelardo rispose indignato che egli si serviva del suo talento e che se lui riteneva di non abbandonare l'impresa, essi dovevano partecipare alla lezione quando voleva lui!.
Alla prima lezione si presentano in pochi, sembrando ridicolo che Abelardo potesse essere esperto in sacra scrittura. Ma quelli che avevano partecipato erano rimasti così soddisfatti ed entusiasti, che lo spinsero a continuare con nuove lezioni alle quali parteciparono anche gli altri.

Tutto questo servì a far aumentare l'invidia del vecchio maestro, il quale sobillato dagli allievi incominciò a perseguitarlo per le lezioni di teologia non meno di quanto Guglielmo lo aveva perseguitato per quelle di filosofia.
Alla scuola del vecchio maestro partecipavano due scolari più bravi degli altri, Alberico di Reims (che diventerà vescovo di Bourges) e Lotulfo Lombardo (legati da vincoli di amicizia saranno tra i principali oppositori di Abelardo), i quali accesi contro Abelardo, gli sobillavano Anselmo contro, per cui questo gli proibì <sfacciatamente> di proseguire nell'insegnamento, traendo come pretesto che, ancora inesperto in quello studio, se fosse caduto in errore, la colpa sarebbe stata attribuita a lui. Gli studenti ne furono indignati, e Abelardo conclude, quasi compiaciuto: <Questo provvedimento non ebbe precedenti. Quando la cosa divenne evidente, tanto più tornava a mio onore, e così la persecuzione accrebbe la mia fama>.
Dopo poco Abelardo torna a Parigi (5) dove gli viene offerta la cattedra (di Guglielmo) da cui era stato espulso. Iniziò le lezioni cercando di portare a termine quelle su Ezechiele interrotte a Laon. Le lezioni piacquero tanto che Abelardo fu considerato esperto in sacra scrittura quanto aveva dimostrato di esserlo in teologia .
Da questo momento Abelardo raggiunge fama e denaro.

 

3) A quei tempi era costume che i castellani, sistemati i figli e le proprietà, se ne andassero a vivere in convento.
4) Anselmo era stato allievo, nell'abbazia di Bec in Normandia, del più celebre Anselmo d'Aosta (santificato dalla Chiesa). Come riferisce Abelardo che non era rimasto entusiasta del suo sapere, e per questo lo aveva abbandonato, Anselmo era in pratica un esegeta. E' però considerato l'iniziatore della Scolastica vera e propria (scolastica perché si insegnava a scuola col metodo scolastico), costituita dal pensiero teologico e filosofico medievale che verrà approfondito da Abelardo con la dialettica applicata alla dottrina cristiana.
5) All'epoca ogni scuola, inizialmente scuola-cattedrale, poi universitas, aveva una propria specializzazione. Quella di Parigi, in quel tempo, era già famosa per gli studi di teologia, ma è Abelardo, che con il suo sistema di insegnamento, e introducendo l'insegnamento della dialettica (ramo delle arti liberali che avevano un ruolo subordinato al primato tenuto dalla sacre scritture) porta un cambiamento nello spirito e nel metodo, per cui Abelardo e i suoi primi allievi sono considerati gli iniziatori e i fondatori dell'università parigina.

 

UN PIANO PER CONQUISTARE ELOISA

 

La più bella storia d'amore di tutti i tempi, finita per ambedue gli amanti tragicamente, ha inizio nel momento in cui Abelardo è al massimo del successo come insegnante nella scuola di Parigi. Nell'ebbrezza del successo (a circa trentotto anni), come egli stesso racconta, si lascia prendere dalla <superbia (mi ritenevo il solo filosofo rimasto al mondo) > e <dalla lussuria (io che fino ad allora avevo condotto una vita castissima, iniziai a rilasciare le briglie dei miei desideri>. Ma la grazia divina> scrive Abelardo, anticipando il racconto degli eventi, <mi diede il rimedio per entrambe le malattie, contro la mia stessa volontà: mi guarì dalla lussuria privandomi di ciò con cui l'esercitavo; dalla superbia, umiliandomi con il rogo del libro di cui andavo più fiero>.
Per soddisfare il suo desiderio di lussuria, escogita un piano per conquistare la sedicenne Eloisa, infiammato dall'amore per questa fanciulla, della cui cultura letteraria si parlava in tutta Parigi. Era bella, ma più ancora, era colta. <Se nell'aspetto non era tra le ultime, per la profonda conoscenza delle lettere era la prima> .
Eloisa era bella secondo i canoni dell'epoca. Di statura alta ma ben proporzionata col corpo, bella fronte che armonizzava con le altre parti del viso, aveva denti bianchi e perfetti in un'epoca in cui i denti erano normalmente malati e cadevano anzitempo o venivano estirpati quando erano dolenti. Pur avendo quasi diciassette anni era una donna già matura negli studi, ma anche pronta ad affrontare tutte le esperienze dell'amore, con la disponibilità e apertura della donna colta e intelligente. Come dice Abelardo, <aveva tutto ciò che più seduce gli amanti>.
Essa viveva con uno zio, il canonico Fulberto, molto avaro ma anche molto ansioso di vedere sua nipote progredire sempre più nelle materie letterarie. Con l'intervento di amici Abelardo gli chiese di accoglierlo nella casa, vicina alla scuola (annessa alla cattedrale di Notre-Dame) dove insegnava, a qualsiasi prezzo perché le cure domestiche lo ostacolavano nel lavoro e le spese pesavano eccessivamente. Questi motivi convinsero Fulberto, il quale tutto preso dal contemplare i suoi guadagni e al tempo stesso convinto che la nipote avrebbe ottenuto molti vantaggi dal suo insegnamento, non fece altro che facilitare Abelardo nella realizzazione dei suoi desideri.
Fulberto favorì inconsapevolmente la passione di Abelardo affidandogli la nipote e chiedendogli di farle lezione ogni volta che fosse libero, <sia di giorno che di notte…dandomi anche il permesso di costringerla con la forza>. La sua ingenuità (la mancanza di sospetti da parte di Fulberto era però dovuta al suo amore per la nipote e alla fama della castità di Abelardo) stupì il maestro, che commenta: <non mi sarei meravigliato di più se avessi visto affidare una tenera agnellina a un lupo affamato>. E così allieva e maestro si ritrovano uniti prima nella stessa casa, poi nell'animo.

 

LA PASSIONE

 

Avvenne così che il maestro e l'allieva uniti sotto lo stesso tetto, si innamorarono l'uno dell'altra. <Col pretesto delle lezioni ci abbandonammo completamente all'amore, lo studio delle lettere ci offriva quegli angoli segreti che la passione predilige. Aperti i libri, le parole si affannavano di più intorno ad argomenti d'amore che di studio, erano più numerosi i baci che le frasi; la mano correva più spesso sul seno che ai libri. E ciò che si rifletteva nei nostri occhi era molto più spesso l'amore che non la pagina scritta oggetto della lezione. Per non suscitare sospetti la percuotevo spinto però dall'amore, non dal furore, dall'affetto non dall'ira, e queste percosse erano più soavi di qualsiasi balsamo. Il nostro desiderio non trascurò nessun aspetto dell'amore, ogni volta che la nostra passione poté inventare qualcosa di insolito, subito lo provammo, e quanto più eravamo inesperti in questi piaceri tanto più ardentemente ci dedicavamo ad essi e non ci stancavamo mai. Quanto più eravamo inesperti di quei giochi d'amore, tanto più insistevamo nel procurarci il piacere e non arrivavamo mai a stancarcene>.
Abelardo preso dalla passione dedica le notti all'amore e il giorno agli studi che non cura più con l'impegno di prima, tanto che le lezioni diventano poco accurate e fredde e non sono più, come egli stesso dice <frutto dell'ingegno ma della lunga pratica>. Di nuovo, in questo periodo, Abelardo compone delle poesie d'amore subito apprese e cantate dagli studenti che avevano capito il tumulto interiore che turbava il loro maestro.
La passione di Abelardo, contrariamente a quella di Eloisa, era solo forte attrattiva dei sensi, mentre per Eloisa era dedizione totale e assoluta, quasi annullamento di se stessa, che durerà per tutta la vita <ti ho amato di un amore sconfinato….mi è sempre stato più dolce il nome di amica, e se non ti scandalizzi, quello di amante o prostituta, (questo termine nel senso di amore spassionato concesso senza pretesa alcuna, nda.), il mio cuore non era con me ma con te> (6).
La forte lussuria da cui era preso Abelardo, aveva avviluppato i corpi dei due amanti in quelle che il Maestro in seguito chiamerà <viluppo di vergogne, che nessun rispetto per la nostra dignità, né la riverenza verso Dio ci tratteneva dal pantano di questo fango neppure nei giorni della domenica di Passione o di qualsiasi altra solennità. Ma anche se tu non volevi e, per quanto potevi, ti rifiutavi e cercavi di dissuadermi, poiché eri più fragile per natura, troppo spesso ti trascinavo a consentirmi con minacce e percosse. Mi univo a te con tale desiderio dei sensi che quelle miserabili e indegne voluttà che ci vergogniamo perfino di nominare, io le anteponevo a tutto, a Dio e perfino a me stesso>. E il desiderio della carne non lo abbandonerà neanche quando Eloisa, dopo il matrimonio (prima della menomazione), si troverà nel convento di Argenteuil, dove Abelardo andò a trovarla di nascosto, e non riuscendo a frenare la passione, non essendovi altro posto dove andare, i due amanti fecero l'amore senza freni e senza vergogna, in un angolo del refettorio.

Tutti a Parigi sanno, l'unico a non sapere è lo zio Fulberto, che non aveva voluto prestar fede a ciò che amici avevano cercato di fargli capire. Alla fine i due amanti sono scoperti e vengono presi da dolore e da vergogna.
Superata però la vergogna, essi si fanno prendere dalla passione, questa volta privi di qualsiasi pudore, con la conseguenza che non molto tempo dopo Eloisa scopre di essere incinta. Abelardo una notte, di nascosto, la portò via conducendola in Bretagna a casa della sorella fino a quando nacque un bambino (1118), al quale fu dato l'originale nome di Astrolabio (colui-che-abbraccia-le-stelle).
Lo zio Fulberto divenne quasi pazzo (7) dopo la fuga della nipote, Era furente per il dolore sentendosi coperto dalla vergogna. Fulberto non sapeva come vendicarsi, e si tormentava per trovare il modo per prendere in trappola Abelardo. Però se lo avesse ammazzato o mutilato, temeva qualche ritorsione nei confronti della nipote. Abelardo cercava di fare molta attenzione per la sua incolumità, essendo fuor di dubbio che Fulberto, se avesse potuto, gli avrebbe fatto del male, come poi avvenne.
Alla fine Abelardo impietosito dal suo dolore e sentendosi in colpa per l'inganno che gli aveva teso, come se avesse commesso un grandissimo tradimento, si reca da Fulberto e per placare la sua ira si offre di fare qualsiasi cosa per riparare il male che aveva fatto.
In fondo, aggiungeva il dialettico Abelardo, ciò che era avvenuto non poteva essere cosa tanto strana per chiunque avesse provato la forza dell'amore e, giustificandosi (con quella che era la mentalità dell'epoca) fin dall'inizio del mondo le donne hanno causato la rovina anche degli uomini più grandi! Alla fine, per calmarlo ulteriormente, Abelardo offre una soddisfazione che superava ogni aspettativa. Si dichiara disponibile a sposare la fanciulla che aveva sedotto, a condizione che il matrimonio rimanesse segreto per non danneggiare la sua fama (8). Fulberto accetta baciandolo e giurando, a nome suo e dei suoi parenti, tutta la sua amicizia.

 

6) Al mio signore o piuttosto padre, al suo sposo o meglio fratello, la sua serva o piuttosto figlia, la sua sposa o meglio sorella; è questo il tenore dell'intestazione della prima lettera di Eloisa ad Abelardo.
7) Sono state molte le ipotesi fatte su Fulberto. Sembra più accettabile quella secondo cui la sua morbosa gelosia potesse derivare dal fatto che Eloisa fosse proprio sua figlia. E' pacifico che Fulberto fosse canonico. A questa carica di Fulberto non si è mai dato alcun valore per cui la figura di questo canonico è risultata sminuita. La circostanza che abitava nel chiostro di Notre Dame, ci fa ritenere che ricoprisse una carica importante. Egli era certamente un canonico regolare, facente parte del capitolo cattedrale che aveva (ed ha) la funzione di assistere il vescovo il quale assegnava al capitolo una porzione del patrimonio ecclesiastico (mensa canonicorum) che era gestita dal capitolo stesso, e usufruiva anche di altre prebende
Per essere canonico regolare era vincolato dai voti e quindi religioso non sposato, anche se questi canonici conducevano una vita secolare. I canonici poi, o il capitolo cattedrale , si occupava della scuola cattedrale, tanto che proprio agli inizi del 1100 fu il movimento canonicale a istituire scuole aperte agli esterni. Fulberto quindi occupava un posto nella società che poteva essere poco inferiore a quello del vescovo, con la consequenziale certezza della impunità (il delitto commesso era infatti rimasto impunito). Egli quindi tra l'orgoglio ferito e la gelosia aveva meditato la vendetta.
La ferocia della vendetta alla quale era ricorso, addirittura dopo il matrimonio riparatore, anche se segreto, di Abelardo, non lascia dubbi in proposito. Orgoglio ferito e gelosia, se non dovuti ad altra causa, potrebbero far ritenere quasi certa l'ipotesi che Eloisa fosse sua figlia.
Anche per quanto riguarda la cultura di Eloisa deve essere stato Fulberto a seguirla. Eloisa da bambina era stata educata nel convento di Argenteuil portatavi tra i quattro-cinque anni fino ai tredici. Uscita dal convento Eloisa era rimasta in famiglia, seguita certamente dallo zio. Fulberto sia come religioso sia come canonico doveva avere una adeguata cultura e vivendo a Notre Dame aveva anche libertà di accesso alla biblioteca della cattedrale. Non si spiega diversamente la conoscenza da parte di Eloisa (a sedici anni) non solo del latino e del greco (imparati in convento) ma anche dell'ebraico Il talento di cui era dotata fatto il resto.
8) Su questo matrimonio segreto si sono fatte molte congetture, cioè che Eloisa fosse figlia illegittima, oppure che la famiglia di Eloisa fosse stata colpita da qualche scandalo (!), o che apparteneva a un livello sociale inferiore a quello di Abelardo.
Non essendovi documenti ognuno può farsi l'idea che crede. Come esposto nella nota precedente sembra certo che Eloisa fosse figlia dello stesso Fulberto, il quale non era di livello sociale infimo, come spiegato nella nota precedente .
In ogni caso all'epoca l'insegnamento era nelle mani degli ecclesiastici e agli insegnanti quando facevano carriera era richiesto il celibato o quantomeno la rinuncia alla vita matrimoniale.
Il comportamento di Abelardo in questa occasione era stato sfuggente. Egli non aveva ritenuto assumersi in pieno la responsabilità di una decisione più chiara e netta, che certamente, avrebbe potuto avere delle conseguenze negative sulla sua carriera che, come abbiamo visto è al primo posto delle sue aspirazioni. Ma egli aveva raggiunto l'apice del successo. Sugli studenti aveva un carisma eccezionale, tanto che essi, rinunciando a ogni benessere, andavano a raggiungerlo nei posti più desolati, assumendosi i lavori più umili per lasciar studiare il loro maestro. Proprio perché era amato e ricercato (dagli studenti), la decisione di sposare regolarmente Eloisa, non avrebbe aggravato le sventure che lo avevano colpito, che egli stesso era andato a cercarsi, e chissà, forse avrebbero potuto dare alle sue disgrazie una svolta positiva.

 

L'ERUDIZIONE DI ELOISA

 

Eloisa era contraria al matrimonio sia perché questo avrebbe esposto Abelardo al pericolo e alla vergogna per la perdita di prestigio, sia perché, ben conoscendo lo zio Fulberto, sapeva che il matrimonio certamente non lo avrebbe risarcito del tradimento subito. Eloisa usa tutta la sua intelligenza, la sua grande cultura e la sua erudizione nella conoscenza di testi latini, greci, ebraici per convincere Abelardo. <Quante maledizioni, quanti danni per la Chiesa, quante lacrime avrebbero versato coloro che amano la filosofia a causa del matrimonio>, ricorrendo a citazioni dell'apostolo Paolo (non hai una moglie? non cercarla), di s. Gerolamo (nel libro Contra Iovinianum), e di Cicerone (citato da s. Gerolamo), che dopo aver ripudiato la moglie Terenzia, rispose a Irzio che gli proponeva in sposa la sorella, di lasciarlo in pace poiché non poteva dedicarsi con uguale impegno a una moglie e alla filosofia.
E infine, mettendolo di fronte alla pratica della vita matrimoniale: <cos'hanno in comune le assemblee degli scolari con le ancelle, gli scrittoi con le culle, i libri e le tavolette con i mestoli, gli stili e le penne con i fusi?>. <Come può>, aggiungeva Eloisa. <chi è intento alla meditazione di testi sacri e filosofici sopportare il pianto dei bambini, le nenie delle nutrici che cercano di calmarli, la folla rumorosa dei servi?>. Mi dirai, proseguiva Eloisa: <I ricchi possono sopportare queste cose perché hanno palazzi e case con ampie stanze appartate, perché la loro ricchezza non risente delle spese né è afflitta dai problemi quotidiani>.
A questa risposta lei stessa dava ulteriore risposta: <Ti dico che la vita dei ricchi non è quella dei filosofi, e chi si dedica alle ricchezze terrene o chi è assorbito da problemi materiali, non può certo impegnarsi nello studio dei testi filosofici e della sacra scrittura>. Eloisa continua a citare non solo esempi dell'antico testamento ma riporta riferimenti di s. Agostino, di Flavio Giuseppe, di Pitagora, dimostrando conoscenza non solo del latino e greco ma dell'ebraico, e quindi una erudizione laica sconosciuta allo stesso Abelardo.
Eloisa concludeva infine ricordando le sofferenze che Santippe aveva inflitte a Socrate (citando ancora un passo di s. Girolamo che ne faceva menzione nel libro Contra Jovinianum): <Ricordati che Socrate era sposato e che egli per primo pagò in modo ripugnante quest'offesa fatta alla filosofia; forse ciò avvenne perché in seguito tutti gli altri filosofi fossero resi più cauti dal suo esempio>.

Fine prima parte

continua...(seconda parte)

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