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Constantinople - Le Grand Palais

 

I MILLE ANNI DELL’IMPERO

BIZANTINO

TRA INTRIGHI COMPLOTTI

E COLPI DI STATO

 

MICHELE DUCAS-PUGLIA

 

 

L’EPOCA DEI COMNENO

CAP. VIII

PARTE TERZA

 

 

ANDRONICO I IL TIRANNO

LA VITA

COME UN ROMANZO GOTICO

 

 

 

SOMMARIO: LE RIVENDICAZIONI DI ANDRONICO E I SUOI RAPPORTI CON MANUELE I; CAUSE DELLA  PRIGIONIA DI ANRONICO; LE DUE FUGHE DAL CARCERE: LA PRIMA; LA SECONDA FUGA; L’AVVENTURA CON FILIPPA DI POITIERS L’IMPERATORE FA RAPIRE TEODORA;  IL COMPLOTTO  PER LA UCCCISIONE DEL PROTOSEBASTO; LA RIVOLTA DELLA CESARISSA MARIA; ANDRONICO SI ACCAMPA SULLA SPONDA ORIENTALE DI COSTANTINOPOLI; IL PROTOSEBASTE SPERA NELL’AIUTO DELLA FLOTTA CHE PASSA DALLA PARTE DI ANDRONICO; IL PROTOSEBASTE E’ FATTO PRIGIONIERO APPARIZIONE DI UNA COMETA; IL PATRIARCA TEODOSIO PASSA DALLA PARTE DI ANDRONICO; ANDRONICO SI RECA A VISITARE LA TOMBA DELL’IMPERATORE MANUELE I SUE PAROLE DI VENDETTA; IL PROBLEMA DEL MATRIMONIO INCESTUOSO DI ALESSIO E IRENE; LA CONGIURA LE ACCUSE DI ANDRONICO CONTRO L’IMPERATRICE E SUO ASSASSINIO; ACCLAMAZIONE DI  ANDRONICO E ALESSIO E UCCISIONE DI ALESSIO;  L’ORCO E LA PICCOLA AGNESE DI FRANCIA; INAUDITE CRUDELTA’ DI ANDRONICO ALL’ASSEDIO DI NICEA E ALLA PRESA DI PRUSA; ISACCO CONSIDERATO UN COMNENO SI IMPADRONISCE DI CIPRO; CRUDELTA’ DI ANDRONICO ANCHE CONTRO LA FIGLIA E MAMOLO CONDANNATO AL ROGO CON I LIBRI CHE PREDICEVANO IL FUTURO DEGLI IMPERATORI; MENTRE I SICULO-NORMANNI INVADONO L’IMPERO ANDRONICO SI DEDICA AI PIACERI DEL SESSO; ANDRONICO ELIMINA PRIVILEGI E CORRIUUIONE E FA CESSARE IL SACCHEGGIO DELLE NAVI SUE GRANDI OPERE (In Nota. Rinvio a Scheda S.: E LA RICOSTRUZIONE DELL’ITALIA?); IL RISVEGLIO DELLA BRUTALITA’ E LA PREDIZIONE DEL FUTURO; AGIOCRISTOFORITA SI RECA DA ISACCO ANGELO PER ARRESTARLO; ANDRONICO DILEGGIATO E OLTRAGGIATO DAL POPOLO CON FEROCIA; FINE DEI DUE ANNI DI REGNO DI ANDRONICO.

 

 

LE RIVENDICAZIONI

DI ANDRONICO E

I SUOI RAPPORTI

CON MANUELE I

 

 

C

ome abbiamo visto nelle precedenti puntate, all’imperatore Alessio I Comneno era succeduto il figlio Giovanni II (1118-1143), il quale dalla moglie Piriska (figlia del re Ladislao d’Ungheria), che aveva preso il nome di Irene, aveva avuto otto figli, quattro maschi, nell’ordine: Alessio, Andronico, Isacco e Manuele e quattro femmine Maria (gemella di Alessio), Anna, Teodora e Eudossia; Maria sposava un avventuriero normanno, Ruggero di Capua, creato cesare e rimasto a Bisanzio con questa carica anche dopo la morte della moglie; Anna, maritata a Stefano Contostefano (sotto Manuele aveva il comando supremo della flotta bizantina); Teodora, sposa Manuele Anemas e Eudossia sposa Teodoro Vatatze.

Alessio e Andronico, primo e secondogenito, sin dalla nascita erano stati investiti di cariche, Alessio di co-imperatore e Andronico di sebastocratore (v. Schede  Cerimoniale e Cariche  ecc.), come dire di vice-imperatore, ma ambedue morivano giovani.

Sopravvissero i due fratelli Isacco e Manuele, ambedue creati sebastocratori; dei due però, il padre ritenne il più giovane Manuele capace a reggere le redini dell’impero ed essendo stato designato a succedergli, alla sua morte ereditava il trono.

Isacco, perfido e ombroso, si sentiva estromesso dalla successione e covava un risentimento nei confronti del fratello Manuele, trasmesso ai suoi due figl maschi, Giovanni e Andronico; Giovanni (come abbiamo visto nel precedente capitolo), durante un torneo, stizzito dalla richiesta fattagli dall’imperatore di offrire il suo bellissimo cavallo  a un crociato italiano rimasto a piedi, se ne andava a Iconio presso il sultano Masoud e, abbracciando la religione islamica, ne sposava la figlia, prendendo il nome di Zelebis.

Anche il padre Isacco, a seguito di uno screzio con Manuele, aveva seguito il figlio Giovanni, andando dal sultano di Iconio, ma privo di personalità e di danaro, non veniva apprezzato dagli emiri che non davano alcun valore alla sua illustre nascita.

Andronico (1118-1185), protagonista del presente articolo, aveva avuto dalla prima moglie, Elena Lascaris figlia di Arcadio Lascaris, il figlio Manuele, primogenito, e da Teodora il figlio Giovanni (concepito in carcere da Teodora, come si vedrà), che morirà in carcere, mentre Manuele sposava la principessa georgiana Rusadan e con i loro figli Alessio e Davide daranno luogo alla linea collaterale dei Comneno di Trebisonda. 

Andronico era un personaggio dalla personalità estremamente complessa;  dotato di molti talenti, sorpassava nella eloquenza tutti gli oratori, negli sport superava gli atleti e in prodezza superava i prodi ma in malvagità pochi tiranni potevano superarlo nella perversità, nella corruzione e nella crudeltà (Niceta pur riconoscendogli  tutti i suoi lati positivi, lo considera “l’anima più vile di tutta la famiglia”):  i suoi difetti saranno la causa della sua rovina.

Come cugino e coetaneo di Manuele, col quale era stato allevato e nutrito, era stato suo compagno di giochi e lo seguiva in tutte le spedizioni e lo divertiva col suo umore brillante e ne guadagnava in affetto, che però Andronico ricambiava con l’invidia perché l’impero desiderava averlo lui in quanto riteneva che per diritto di primogenitura esso spettasse a suo padre Isacco.

Ambedue dissoluti, avevano le stesse inclinazioni per le giovinette e non risparmiavano quelle della loro stessa famiglia: avevano infatti preso come amanti le due sorelle, Teodora ed Eudossia figlie del defunto Andronico, fratello di Manuele, (una terza sorella, Maria, aveva sposato Giovanni Cantacuzeno), il quale aveva lasciato anche un figlio maschio, Giovanni.

Costui, durante un torneo, per un colpo di lancia aveva perduto un occhio; per questa invalidità lo zio lo aveva nominato, protovestiario (*) e successivamente protosebaste, cariche che avevano suscìtato l’invidia di Andronico; per di più Giovanni considerava un disonore che la sorella Eudossia (**) fosse divenuta pubblicamente sua amante e per questo motivo  non nutriva molte simpatie nei suoi confronti.

Manuele, sebbene si trovasse nella stessa situazione, per questo rapporto, rimproverava Andronico (ambedue i rapporti erano considerati incestuosi dalla Chiesa), il quale a sua volta gli rinfacciava di essere meno corrotto ... perché come amante aveva la cugina, mentre lui come amante aveva la nipote.

Andronico, per tutti questi motivi, mal sopportando di vivere a Corte, si era dato a una vita errabonda, fatta di viaggi, che in ogni caso gli affinavano la sua viva intelligenza, la sua cultura e la conoscenza delle lingue barbare; per di più al suo bell’aspetto e bel portamento, aggiungeva una conversazione vivace e brillante che contribuivano a renderlo un personaggio affascinante, amato dalle donne.

 

 

*) Il protovestiarios non era soltanto sovrintendente al guardaroba dell’imperatore, all’epoca dei Comneni era divenuto titolo di alto rango inferiore solo a quello di parakoimomenos e attribuito ai dignitari deputati al cerimoniale ai quali potevano essere attribuite anche funzioni civili e militari.

**) A Corte regnava il vizio e le giovanissime principesse, nelle mani di eunuchi corrotti che governavano nel gineceo (v. in Schede S.: Cerimoniale e cariche alla corte di Bisanzio), erano allevate senza alcun senso morale e sin da bambine fatte oggetto di scambi politici con uomini maturi (Manuele aveva quarantatré anni quando sposava (1161) Maria di Antiochia di otto anni), senza alcuna remora per l’età (che all’epoca non destava alcuna meraviglia e l’usanza derivava dagli indiani e dagli arabi come riferiva A. Gobineau, il cui esempio era stato dato da Maometto che a sessant’anni aveva preso in moglie Aisha di nove anni, ma dopo due anni di convivenza  il profeta moriva colpito da infarto) e tantomeno per il grado di parentela da cui erano legati (rapporti che ritroveremo nei matrimoni degli Asburgo).

Un esempio di spregiudicatezza di queste bambinette sveglie e vivaci è dato da Teodora (v. sotto) che, quattordicenne era amante dello zio Manuele al quale aveva dato un figlio (Alessio), poi era stata data in moglie a Baldovino III di Gerusalemme e rimasta vedova a diciannove anni aveva seguito Andronico che l’aveva sposata in seconde nozze (dalla prima moglie aveva avuto due figli, Manuele e Maria) dandogli due figli, Giovanni fatto accecare da Isacco Angelo, morì in carcere e Irene che troveremo quando si parlerà del matrimonio incestoso.

Quando Andronico era in prigione, per togliere Eudossia (di intelligenza non certo del tipo femminile, scrive Niceta), dalla vergogna del legame di amante, fu data in moglie a Michele Gabras al quale, in cambio, era stato dato il titolo di sebastocratore.

 

 

CAUSE DELLA

 PRIGIONIA

DI ANDRONICO

 

 

C

ome primo incarico datogli dall’imperatore, Andronico aveva avuto il ducato di Branicevo e Belgrado; ma, non appena vi si era insediato, tradendo la fiducia dell’imperatore, aveva instaurato rapporti con il re d’Ungheria, Gaza II, al quale prometteva le province di cui era governatore, e con l’imperatore di Germania Federico Barbarossa, che lo avrebbero aiutato a impadronirsi del trono.

Nello stesso tempo, nel timore che l’intrigo fosse scoperto, Andronico riferiva a Manuele di voler attirare nella rete gli ungheresi e il re d’Ungheria; ma l’imperatore, meglio informato per aver intercettato delle lettere da cui emergeva il tradimento, finse di credergli e gli disse di continuare.

Frattanto il re di Ungheria attaccava Branicevo; l’imperatore meravigliato di questa improvvisa rottura del trattato firmato in precedenza, si rese conto che essa era stata determinata dai maneggi di Andronico: ebbe così inizio la campagna d’Ungheria per la quale si era mossa l’armata imperiale, con gran numero di navi sul Danubio; il re Geisa vedendosi in cattive acque, chiedeva la pace promettendo la restituzione dei prigionieri, del bottino e cavalli ungheresi che sostituivano quelli uccisi; Manuele in un primo momento rifiutava, ma poi finì per accettare la pace.

Vi saranno però ulteriori sviluppi di una guerra con l’Ungheria su cui non ci dilunghiamo;  campagna che si concludeva con la sconfitta degli ungheresi, terminata la quale, l’imperatore rientrava trionfante a Costantinopoli (1169). 

Andronico per il suo tradimento era stato messo in catene e portato a Costantinopoli nelle prigioni del Gran palazzo, mentre il governo delle province era affidato a Basilio Tzitziluce (1158).

Dopo la prima fuga (v. sotto), il pensiero che non abbandonava Andronico era quello di impadronirsi dell’impero a tutti i costi, anche attentando alla vita dell’imperatore; l’occasione si era presentata quando Manuele recandosi a caccia, come era solito fare, aveva fatto montare le tende nella foresta e Andronico, avvertito, vi si era recato con la sua guardia formata da barbari provenienti dall’oriente, che aveva fatto appostare; per non farsi riconoscere aveva indossato una casacca italiana e mentre si avvicinava alla tenda dell’imperatore con il solo pugnale, Giovanni (il fratello di Eudossia) lo aveva riconosciuto e aveva dato l’allarme; Andronico era scomparso, ma poi era stato preso e nuovamente imprigionato.

Dopo la seconda fuga (v. sotto), Adronico era stato ancora una volta perdonato e mandato in Cilicia, dove l’armeno Giovanni Thoros (v. Cap. II) combatteva per la conquista della regione;  Andronico metteva sotto assedio la città di Mopsuete ... ma aveva lasciato che fossero i suoi ufficiali a combattere Thoros, perché aveva portato con sé una truppa di commedianti e passava il tempo in letizia,  con donne, a tavola e a teatro.

Thoros uscito improvvisamente dalla città aveva messo sottosopra l’accampamento greco; Andronico svegliato dallo strepito e dalle voci, prese le armi e si diresse dove udiva il rumore, ma da solo fu circondato e liberatosi con la lancia, riuscì a fuggire; si recava ad    Antiochia e quindi in Pelagonia (che costituiva una parte della Macedonia) seguito da  Eudossia, sua fedele compagna che si adattava a vivere sotto la tenda e non gli rimproverava le sue dissolutezze.

Cantacuzeno, cognato di Manuele, aveva intuito che Andronico con la sua predisposizione a congiurare, mirava a impossessarsi del trono e aveva avvertito l’imperatore; per di più  Giovanni (fratello di Eudossia), voleva far cessare lo scandalo della sorella e insieme decisero di farlo assassinare.

Ma, per ora Andronico aveva la fortuna dalla sua parte: mentre dormiva sotto una tenda, Eudossia, avendo sentito un tramestio, mentre lo svegliava, gli suggeriva di indossare abiti femminili, ma lui rifiutava perché gli avrebbero reso la fuga o la morte, vergognosa; dal letto egli si scagliava con la spada in pugno, respingendo i primi soldati incontrati,  e, nascondendosi tra i cespugli che circondavano la tenda, riusciva a fuggire, ma poi veniva preso e imprigionato.

 

 

LE FUGHE

DAL CARCERE:

LA PRIMA

 

 

A

ndronico era rinchiuso in prigione da alcuni anni (1155); fingendosi malato gli era stato assegnato un giovane schiavo, che aveva il compito di servirlo e portargli da mangiare; un giorno che le guardie dormivano, dopo aver ecceduto nel bere ( generosamente offerto da Andronico!), lo schiavo aveva preso la chiave della cella e Andronico ne aveva preso le impronte sulla cera e le aveva date a suo figlio Manuele, per farne una copia; questa poi gli viene mandata con un fascio di corde nascoste nel fondo di un vaso pieno di vino.

Così preparata la fuga, egli uscì di notte dalla cella, scese con la corda ai piedi del muro e si nascose tra la boscaglia sotto il muro; doveva oltrepassare ancora un muro piuttosto basso che si trovava tra la torre e il lido del mare, ma lo scalò al terzo giorno, dopo essersi assicurato che le guardie avevano cessato di cercarlo.

Adoperando le cordicelle, scendeva dalle mura e saliva su una barca che lo attendeva, con il barcaiolo di nome Crisocoopolo; ma furono scoperti dalle guardie del Boukoleon e poco mancò che Andronico finisse nuovamente arrestato; si salvò facendo ricorso al suo spirito di iniziativa.

Parlando una lingua barbara, fece intendere di essere fuggito dalle angherìe del padrone   Crisocoopolo, che lo aveva ripreso, il quale offriva loro un monile d’oro perché gli facessero tenere lo schiavo fuggitivo; Andronico giunse finalmente nella sua casa di Vlanga (nel quartiere Eleuterio sopra il porto).

Liberatosi dalle catene, uscì dalla città e presso le porte trovò dei cavalli con i quali si recò ad Anchialo (Pomaric in Bulgaria) dove si trovava Pupace (Giovanni Axuch), che gli fornì il danaro e le guide per fargli attraversare il Danubio, conducendolo ad Halicz, nella Russia Polacca sul fiume Niester (tutte terre all’epoca ancora selvagge).

Stava per raggiungere questa città, pensando di non essere riconosciuto; fu invece riconosciuto da valacchi che lo presero per condurlo dall’imperatore; durante il viaggio finse di avere la diarrea, per cui ogni tanto scendeva da cavallo per la necessità; il giorno seguente giunti all’inizio di una foresta, si era allontanato per i bisogni, appoggiato a un bastone che lo sosteneva per la finta debolezza; dopo essersi allontanato di alcuni passi, piantato il bastone per terra, lo ricoprì con il copricapo e suoi abiti e si allontanò nel folto della foresta; i valacchi ingannati dalle vesti che non si distinguevano bene per la vegetazione fitta, quando si avvidero dello stratagemma cercarono di inseguirlo, ma inutilmente.

Andronico giunse a Galitza dove fu ricevuto dal governatore russo che lo inviò a Kiopia, residenza di Jeroslav, uno dei duchi russi, del quale, con la sua facilità a familiarizzare, divenne intimo. 

Nel frattempo l’imperatore aveva fatto arrestare Pupace, accusato di aver favorito la fuga di Andronico e condotto a  Costantinopoli fu portato per le strade della città con la corda al collo e frustato, con l’araldo che annunciava: - “Questo merita chi ha ricevuto nella sua casa e aiutato nella fuga un nemico dell’imperatore”; mentre Pupace con ugual voce, diceva “ ho aiutato il mio benefattore invece di tradirlo”.

Manuele, malgrado tutti i tradimenti di Andronico era sempre legato a lui in quanto ne amava il brio, l’ardire, ne ammirava la prontezza di spirito ... e non gli dispiaceva il suo libertinaggio.

Per di più, per motivi politici, Andronico godeva gran credito presso i russi e poteva nuocere all’impero; Manuele, valutate queste circostanze e ritenendo l’esilio del cugino un disonore per l’impero, decise di richiamarlo, mandandogli il perdono.

Andronico aveva giurato fedeltà all’impero e poiché gli tornava utile, volle mantenere il giuramento e tornò in patria; nel frattempo gli ungheresi avevano conquistato la città di Zeugmine e Andronico fu mandato a porre l’assedio a questa città; il suo eroismo fece dimenticare all’imperatore tutti i suoi tradimenti.

 

 

LA SECONDA

FUGA

 

 

D

opo la prima fuga Andronico si trovava imprigionato in una torre dove, facendo un foro  nei mattoni in cotto, si accorse che vi era una galleria; aveva quindi allargato il foro per poter entrare e uscire e richiuderlo con gli stessi mattoni.

All’ora del desinare, aperta la cella le guardie che avevano porrtato da mangiare, la trovarono vuota;  la cella fu ispezionata dai custodi da cima a fondo, senza che si trovasse  uno scavo, non vi era nulla di danneggiato, non un cardine, non uno stipite, non la soglia della porta, non il soffitto né la finestra in alto chiusa da una inferiata; le guardie cominciarono a emettere gemiti e non capivano da dove il prigioniero fosse riuscito a dileguarsi!

Il fatto fu riferito all’imperatrice (l’imperatore era assente) e ai funzionari di corte che mandarono a sorvegliare le porte della città verso il mare e verso terra, altri lo cercarono in tutta la città e con il servizio postale fu diramata la notizia della sua fuga.

La moglie Teodora, ritenuta complice della fuga, fu arrestata e messa nella stessa cella; Teodora era sola quando all’improvviso vide apparire Andronico come un’ombra dall’Inferno; spaventata da questa visione, egli la rassicurò che era proprio lui di persona e piansero insieme; ai pianti si aggiunse il risveglio dei sensi e Teodora rimase incinta; Andronico, poiché i costodi avevano allentato la guardia, si diede alla fuga; l’imperartore si trovava in Armenia e quando gli riferirono della fuga, fece sapere del suo imminente arrivo a Costantinopoli.

Andronico si era recato  a Galitza, alla foce della Morava (1166), accolto a braccia aperte dal governatore che con lui si divertiva andando a caccia insieme, dal quale era stato ospitato l’intero anno.

Manuele, ritenendo ciò un disonore, lo aveva mandato a chiamare e dopo aver ricevuto da parte di Andronico assicurazioni di fedeltà, lo riabbracciava e in seguito gli dava l’incarico di recarsi in Cilicia; ma le sue irrequietezze e il suo desiderio di appropriarsi dell’impero dovevano procurargli altre disgrazie; aveva infatti ricevuto l’incarico di andare in Cilicia governata da Alessio, figlio di Axuch (Pupace) e sostituirlo, e gli erano state assegnate grosse somme di danaro con il permesso di prendere le rendite di Cipro.

Andronico vi si recò, pensando ad altro:  era già innamorato di Filippa ...  di cui aveva sentito solo parlare!

Filippa, sorella di Maria-Xené (moglie di Manuele, Xené era la traduzione di Maria in greco), si trovava ad Antiochia capitale della Cilicia; le due sorelle erano figlie di Raimondo III di Poitiers e di Costanza d’Altavilla (costei, era figlia di Boemondo II, v, Cap. precedente); note per la loro bellezza, Filippa era divenuta il pensiero fisso di Andronico (probabilmente influiva la circostanza che fosse cognata del detestato cugino imperatore!) ... giunto ad Antiochia e ricorrendo a tutti i mezzi di seduzione, tra magnifici doni, musica sotto le finestre, feste ... e la magia delle sue parole, Filippa si lasciava prendere  come un frutto maturo!

 

 

L’AVVENTURA

CON FILIPPA DI POITIERS

L’IMPERATORE

FA RAPIRE TEODORA

 

 

S

tabilitosi ad Antiochia, Andronico corteggia Filippa come un giovane (aveva quarantasei anni!), recandosi sotto le finestre della principessa “con un costume sontuoso, magnificamente accompagnato da paggi biondi che portavano degli archi d’argento; era già divenuto robusto ma era bello e vestito con suprema eleganza; indossava delle scarpe a stivaletto attillate alle gambe, una tunica corta, aderente al corpo che metteva in evidenza la sua prestanza fisica, il suo viso risplendeva fino a cancellare le rughe” ... e la giovane Filippa gli cadeva tra le braccia!

Manuele a questa notizia ne rimase fulminato; poco mancò che restasse muto - scrive Niceta - e per far cessare questa mostruosità mandava Costantino Colomanno con l’ordine di sostituirlo nel governatorato e sposarla; ma Filippa non accettava questa imposizione, per di più, ironizzava sulla basssa statura di Colomanno! 

Filippa doveva però ricredersi sul suo amante, perché Andronico, (1167) resosi conto che il suo soggiorno ad Antiochia non poteva più continuare, se ne partì lasciando Filippa con i suoi rimpianti e portando con sé il denaro pubblico delle imposte di Cipro e della Cilicia (oltre a quello che  gli aveva donato l’imperatore!).  

Si diresse a Gerusalemme dove si trovava un’altra giovinetta imperiale, sua cugina, Teodora Comneno, diciassettenne vedova di Baldovino III, figlia del defunto fratello di Manuele, Alessio; era stata l’amante di Manuele e, come abbiamo detto, gli aveva dato un figlio naturale, Alessio; ... lei  lasciò il regno ... non per un cavallo (come Riccardo III di Shakespeare!) ... ma per seguire Andronico nella sua vita avventurosa!

Andronico con Teodora dopo essere stato ospite di capi e potenti, andò a rifugiarsi presso il sultano di Colonea, quaranta leghe da Trebisonda, dove governava il duca Niceforo Paleologo incaricato da Manuele di rapirla con i figli, mentre aveva dato ordine a tutti i suoi generali di arrestare Andronico e cavargli gli occhi.

Teodora era stata arrestata con i figli Alessio (figlio dell’imperatore) Giovanni (frutto dell’amore in carcere, come conferma Niceta) e Irene (figlia di Andronico), da Niceforo Paleologo, governatore di Trepezunte.

Ad Andronico per amore della moglie e dei figli non rimase altro da fare che chiedere perdono all’imperatore; aveva quindi mandato a Costantinopoli degli ambasciatori con promessa che non avrebbe più compiuto alcun male verso l’impero e dopo essere stato a sua volta rassicurato che non avrebbe patito alcun danno, si recò dall’imperatore mettendo in atto una delle sue messinscene teatrali.

Mettendo intorno al collo una pesante catena di ferro che arrivava fino ai piedi, la nascose con gli abiti e si recò dall’imperatore; quando fu ammesso al suo cospetto, si stese per tutta la sua lunghezza sul pavimento e con voce lamentevole e con il volto bagnato di lacrime chiese peperdono; anche l’imperatore non potè trattenere le lacrime e lo invitò ad alzarsi; quando gli fu permesso di avvicinarsi al trono, Andronico volle che fosse un cortigiano a prendere la catena e trascinarlo fino ai piedi del trono, dove rimase inginocchiato.

Questa commedia intenerì sia l’imperatore che tutti i presenti e l’imperatore stupito da questo comportamento si sciolse anch’egli in lacrime e ordinò di tirarlo su; ma Andronico disse che non si sarebbe alzato se qualcuno dei presenti, per suo ordine, non avesse preso la catena e non lo avesse trascinato fino alla tribuna imperiale, lasciandolo ai piedi del trono; si fece come aveva chiesto e fu Isacco Angelo (che troveremo quando Andronico sarà privato del potere) ad accompagnarlo con la catena al collo davanti all’imperatore, che lo perdonò dopo avergli fatto fare “un giuramento inviolabile di fedeltà alla sua persona, a quella dei suoi figli e all’impero”; dopo di che lo allontanò dalla corte mandandolo nella città di Aenoé (Oinaion) sul Mar Nero, in quanto il suo carattere non collimava con quello dell’imperatore e non era compatibile con una sua convivenza a Corte; quì si trovava Andronico quando l’imperatore Manuele moriva (1180)

 

           

IL COMPLOTTO

PER LA UCCCISIONE

DEL PROTOSEBASTE

 

 

T

utta la città desiderava Andronico, i potenti gli scrivevano e lo sollecitavano a raggiungere la capitale; la più risoluta era la cesarissa porfirogenita Maria, sorellastra dell’imperatore Alessio (nata dalla prima moglie di Manuele, la tedesca Berta), che aveva sposato Ranieri di Monferrato il quale ricopriva la carica di cesare.

Maria era quasi soffocata dall’ira, nel vedere il letto del padre profanato dal protosebaste, avendo anche una buona dose d’invidia nei confronti della matrigna che la superava negli onori; per di più lei era considerata come una oppositrice; per questi motivi spingeva Andronico a recarsi a Costantinopoli ... ignara di ciò che le sarebbe accaduto!

Lei intanto aveva raccolto attorno a sé alcuni congiunti che sapeva essere dalla parte di Andronico e ostili al protosebaste e congiurava contro di lui; questi congiurati erano Alessio Comneno, figlio illegittimo di Manuele, avuto dalla nipote Teodora; Andronico Laparda (alto dignitario e guerriero, sebbene di bassa statura), i due figli di Andronico, Giovanni e Manuele, l’eparca di Costantinopoli, Giovanni Camatero: Maria aveva confermato la sua fedeltà ad Alessio e decretato la condanna a morte del protosebaste.

Aveva trovato l’occasione per realizzare il piano del suo assassinio in una festa al Torrente profondo, nei pressi di Costantinopoli, dove si trovava un santuario in onore del martire Teodoro Tirone, il sabato della prima settimana di quaresima; ma la notizia del complotto si era diffusa anzitempo e i congiurati finivano in tribunale, arrestati e condannati, senza neanche aver avuto la possibilità di difendersi.

Maria con il marito andarono a rifugiarsi in Santa Sofia dove lei fomentava i mendicati alla ribellione, tra i quali distribuiva monete; le era stato offerto il perdono, rifiutato, in quanto chiedeva la liberazione dei suoi amici; lei sosteneva che non si poteva tollerare che il protosebaste tenesse stretta a sé l’amministrazione dello Stato e che superasse ogni limite con la relazione incestuosa con l’imperatrice che costituiva una vergogna per la famiglia, per cui doveva essere cacciato dalla reggia.

Ma, commenta Niceta, la porfirogenita chiedeva ciò che non poteva ottenere, perché quell’uomo (il protosebaste) era insediato nel palazzo come il polipo insediato sugli scogli, e non aveva alcuna intenzione di andarsene; e quando il fratello imperatore la minacciò di portarla via trascinandola dalla chiesa se non l’avesse lasciata spontaneamente, rispose che per nessun motivo sarebbe andata via spontaneamente.

La cesarissa, per timore di essere arrestata, aveva messo delle guardie alle porte della chiesa, presidiandola con sentinelle e rendendola inespugnabile; aveva assoldato una compagnia di mercenari italiani e iberi orientali giunti in città per commercio; trasse dalla sua parte anche uno squadrone di romei, incurante delle insistenze del patriarca Teodosio, che le rivolgeva continui rimproveri per quella arbitraria occupazione.

La folla di Costantinopoli, formata da popolazioni diverse, era particolarmente turbolenta e bastava una semplice scintilla perché si sviluppasse un incendio; per la divesità dei mestieri e delle origini etniche, quella turba era incostante e di carattere instabile, per di più sottoposta a pressione fiscale, dovuta, in quel periodo, ai pagamenti nei confronti di Venezia (per accordi con l’imperatore Manuele dovevano essere restituite millecinquecento libbre d’oro ed era stata data in garanzia la “pala d’oro” poi trattenuta da Venezia dove è possibile ammirarla) e, su tutto, pesava anche la circostanza della vita lussuosa e dispendiosa che si conduceva a Corte, che la popolazione conosceva fin nei minimi particolari.

Procedendo per gradi, la folla si era raccolta prima in grupp, che commiseravano Maria per gli immeritati patimenti; poi aveva incominciato a inveire contro il protosebaste per la sua ingiustizia e perché non usava rettamente la sua fortuna come avrebbe dovuto e alla fine esplodeva in rivolta.

 

 

LA RIVOLTA

DELLA CESARISSA

MARIA

 

 

M

entre un sacerdote portava in giro l’agorà (l’mmagine di Cristo), un altro portava in spalla una croce, un altro ancora faceva sventolare un vessillo; costoro attrassero dietro di sé i rivoltosi che muovendosi come a un sol comando acclamavano l’imperatore: “il segno dei rivoluzionari è che cominciano con un ottimo inizio, ma alla fine pensano solo all’insurrezione” (l’analisi e descrizione della folla da parte di Niceta sono incomparabili! ndr.).

Partendo dal Milion (punto della pietra miliare da cui a Bisanzio si calcolavano tutte le distanze), giunsero allo Sfendone, la parte dell’Ippodromo dove si eseguivano le esecuzioni capitali.

Poiché la cesarissa non desisteva dalle sue decisioni e non recedeva dalle sue eccessive richieste, fu stabiilito di procedere contro di lei, scacciandola dalla chiesa.

Un piccolo esercito di occidentali e orientali si riunì al Magno palazzo per decidere il modo in cui sarebbe stata scacciata la cesarissa, decisa a resistere con la forza, mentre i suoi militari avevano occupato tutti i punti strategici, abbattendo edifici contigui al santuario dell’Augusteo (in prossimità di Santa Sofia).

Il sabato del due luglio (1181) gli imperiali che si trovavano in posizione elevata rispetto ai militari della cesarissa, li attaccano, guidati da un armeno di nome Sabbazio, scagliando frecce come fulmini, colpendo quelli che erano sulla cupola del Milion (l’edificio era a pianta quadrata con quattro archi  che sostenevano la cupola); il popolo aveva smesso di portare aiuto alla cesarissa in quanto gli ingressi erano sbarrati dalle armi e i soldati che uscivano per combattere con gli imperiali erano decisamente in minoranza.

Seguì una battaglia sanguinosa che ebbe termine a fine giornata con la vittoria degli imperiali che issarono i vessilli con le immagini dei sovrani; le porte dell’Augusteo furono frantumate a colpi d’ascia e i soldati della cesarissa si diedero alla fuga.

Nella chiesa rimanevano asserragliati, Maria e il marito, il cesare Ranieri di Monferrato, che temevano l’infamia dell’arresto, mentre il patriarca temeva il saccheggio della chiesa.

Il Monferrato radunò un centinaio di soldati che erano rimasti e sedutosi su un alto sgabello, circondato dai suoi uomini, rimase in attesa, pronto a combattere.

Dopo aver fatto un discorso, dicendo ai soldati “che erano tutti della stessa fede e dovevano respingere i nemici di Dio, il quale li avrebbe ringraziati se avessero scacciato dal santuario gli omicidi che stanno a bocca aperta davanti alle sante suppellettili e meditano di rapinarle ... essi sono così imprudenti che non solo si figurano di razziare le nostre cose, ma di appropriarsi di quelle di Dio”,  aveva dato ordine di combattere, ma il giorno era in declino e il patriarca aveva mandato un “palatino” presso l’imperatrice per chiedere, per conto della cesarissa, un accordo.

Giunsero il megaduca Andronico Contestefano eteriarca, Giovanni Ducas e molti altri dignitari di Corte; cedendo piuttosto alla notte che fidando sulla riconciliazione, si mise fine alla lotta; ma il giorno seguente si cominciò a combattere mentre i dignitari di Corte assicuravano i due coniugi che l’imperatrice e il protosebaste non li avrebbero privati dei loro privilegi e avrebbero concesso l’amnistia a tutti quelli che si erano schierati dalla loro parte: il cesare e la consorte si recarono quindi al Magno Palazzo dove risiedevano i sovrani.

Il protosebaste detestava il patriarca Teodosio ed era profondamente adirato nei suoi confronti in quanto si opponeva ai suoi disegni e frustrava le sue aspirazioni e aveva aizzato molti vescovi contro di lui, corrompemdoli con danaro e banchetti.

Lo aveva anche deposto “in absentia” per aver aderito alla ribellione della cesarissa, permettendole di sollevarsi nel santuario, come se fosse stata una base per le sue operazioni e sarebbe riuscito a strapparlo dal trono se la cesarissa non avesse fatto estrema resistenza, da un lato non dandogli l’opportunità di deporre il patriarca e nominarne un altro; dall’altro facendolo sorvegliare nel caso si fosse ritirato nel suo monastero che si era fatto costruire a Terebinto per dedicarsi alla vita contemplativa; ciò che gli avrebbe dato la possibilità di far prelevare dalla chiesa la cesarissa per darle la giusta punizione.

Ma ora il protosebaste aveva avuto la buona occasione di estromettere il patriarca e di confinarlo nel monastero di Pantepoptes; ma a seguito dell’intervento della sovrana e dei suoi sostenitori egli dovette rinunciare ai suoi propositi e far riprendere al patriarca il suo incarico.

Il patriarca rientrò con una grande e magnifica processione, dispensando profumi d’incenso e di legni indiani per tutte le strade percorse; il tratto dal Pantepoptes a Santa Sofia era stato coperto partendo all’alba e giungendo a tarda sera!

 

 

ANDRONICO PARTE

PER LIBERARE

IL GIOVANE  ALESSIO

                                 

 

L

’imperatore Manuele aveva appena fatto in tempo a far sposare e incoronare il figlio Alessio con Agnese (Maria era il nome preso per la conversione al rito ortodosso), che dopo sei mesi moriva di malattia lasciando le sorti dell’impero a due bambini, uno di undici anni, l’altra di nove.

La giovane moglie di Manuele, Maria-Xené, pochi giorni prima della sua morte si era ritirata in convento; oltre ad essere ancora giovane (aveva ventotto anni) era bella (*), voluttuosa e ambiziosa e la vita del chiostro non le si addiceva e così, col pretesto di assumere la tutela del figlio, lasciò il convento e ritornò a corte. 

Lei aveva aveva avuto anche un altro motivo più pressante per lasciare il convento: era innamorata del giovane nipote di Manuele, il protosebaste e protovestiario Alessio Comneno, col quale, in una corte dominata dalla corruzione e dal libertinaggio, quando il marito era ancora in vita, aveva già avuto rapporti intimi.

La cerchia degli amici del padre del giovane imperatore, ora circondava la madre e ognuno di essi cercava di conquistarla “agghindandosi con eleganza, profumandosi, cercando di farsi amare, cingendosi, come le donne, di collane e pietre preziose; altri erano invece faccendieri, più intenti a sottrarre furtivamente il pubblico denaro, altri, desiderosi di regnare, rivolgevano a questo intento i loro propositi e in questo empito di disordine, ciascuno perseguiva le proprie voglie e tutti lottavano l’uno contro l’altro”; lei si disimpegnava lasciandoli sperare, ma era tutta presa dall’amante che era divenuto l’oggetto del loro odio.

L’imperatrice aveva consentito che il suo amante prendesse le redini del regno e non potevano mancare gli invidiosi che in lui vedevano un tiranno che voleva togliere il potere all’imperatrice per appropriarsene.

Questo stato di cose, conosciuto da Andronico, non fece che risvegliare la sua ambizione; si trovava nel suo volontario esilio di Oinaion (Aenoé-Unye sul Mar Nero) quando aveva notizia della morte dell’imperatore e di tutto quello che stava succedendo a Corte con il giovane Alessio, che dedito ai giochi, si divertiva con le corse di cavalli, mentre i suoi tutori, “alcuni  bramavano il regno, altri si ingrassavano come scrofe senza alzare la testa e senza alzare lo sguardo, si avviluppavano in azioni turpi, come i maiali, a porcherie di ogni sorta”.   

Egli aveva ben impressa nella sua mente la formula del giuramento che l’imperatore gli aveva fatto prestare, che faceva proprio al suo caso e terminava con le  parole: “Se scopro o da me stesso o per mezzo di altri, qualcosa di pregiudizievole all’impero o alla famiglia (imperiale) giuro di dichiarartelo o di oppormi con tutte le mie forze”: -  Erano le giuste parole per mettergli  le armi in mano e la corona sulla testa!

Scrisse subito lettere ad Alessio e al patriarca Teodosio e a tutti quelli che amavano la memoria del defunto imperatore e calcando la mano sugli abusi del protosebaste, paventando i pericoli per il giovane imperatore e il disonore (proprio lui! ndr) che un indegno favorito arrecava alla casa imperiale e l’indegna passione, nota anche alle corti straniere, faceva arrossire tutto l’impero!

Andronico pensava a come poter trovare una buona scusa per intervenire, nel rispetto del giuramento di fedeltà prestato al padre Manuele e al figlio Alessio, attenendosi anche alle stesse parole “Se dovessi vedere, capire o sentir dire qualcosa che fosse in vostro dispregio e recasse danno al vostro regno, ne darò notizia e io stesso farò il possibile per impedirlo”.

Dalla personalità complessa e contraddittoria, Andronico era un uomo colto e conosceva a memoria le lettere di San Paolo (erano quattordici) e da sfrontato qual’era, le citava in ogni occasione per rendere più credibili le sue menzogne e come sempre, la sua opera di convinzione riusciva tanto efficace da far dimenticare tutte le sue malefatte; era anche ostinato e ambiva al comando (ma, come vedremo, dimostrerà di non possedere il giusto equilibrio per esercitarlo!).

Incominciò a scrivere lettere ad Alessio e al patriarca Teodosio e ad altri del seguito dell’imperatore defunto, dicendosi sdegnato delle turpi dicerie che circolavano sul protosebaste che deteneva il potere e non intendeva assumere una posizione più modesta e su di lui ricadeva la responsabilità della rovina dell’imperatore Alessio; queste cose scritte con franchezza, passione e forza persuasiva, gli mettevano tutti dalla sua parte.

Partì quindi da Oinaion dirigendosi a Costantinopoli e ovunque passasse esponeva il suo giuramento dicendo che andava a liberare il figlio del suo amato padrone; e tutte le città gli tributavano onori! Non avendo però un seguito numeroso si fermò ai confini della Bitinia, aspettando che i disordini a Corte giungessero al colmo.

Il protosebaste fece emettere dal giovane imperatore un editto con il quale stabiliva che tutti  gli ordini che l’imperastore avrebbe emesso (scritti in rosso), dovessero contenere la sua firma (in verde) con la dicitura “Si faccia ciò che è ordinato”.

Non solo; ma tutti i tesori raccolti dai precedenti imperatori e costati lacrime alla popolazione, sparivano nelle sue mani e in quelle dell’imperatrice madre, dissipati in feste, banchetti e profusioni e tutto ciò contribuiva a far sì che il popolo mostrasse le sue simpatie nei confronti di Andronico.

 

 

 

*) La sua bellezza era stata descritta da Niceta quando aveva sposato Manuele: “Era bella, molto bella, bellissima, di una tale imparagonabile bellezza, che (le altre) al suo confronto erano null’altro che fole Afrodite dal bel sorriso ed aurea, Era dalle bianche braccia e dallo sguardo profondo, la spartana dal lungo collo e dalle belle caviglie che gli antichi divinizzarono per la loro bellezza, e tutte quante le altre che libri e racconti hanno tramandato come splendide a vedersi”.

 

 

 

 ANDRONICO  SI ACCAMPA

SULLA SPONDA ORIENTALE

DI COSTANTINOPOLI

 

 

L

a cesarissa aveva informato di tutti questi avvenimenti Andronico e appena liberata, si era recata personalmente da lui.

Andronico aveva organizzato un’armata e partito dal Ponto (1181), attraversati i confini della Paflagonia, giunge a Eraclea e da quì prosegue per Costantinopoli dove giunge nella successiva primavera (1182), seducendo, con il suo carattere subdolo e fraudolento, tutti quelli che incontrava (Niceta precisa: con profluvio di lacrime e della sua seducente loquacità!).

Il protosebaste, racconta Niceta “dissipava in ore di sonno, non solo le ore mattutine, ma scialacquando molta parte del giorno, oscurava con pesanti tendaggi la sua camera per evitare  che il ciglio del sole con la sua luce non facesse aprire le sue pupille; detto in altri termini, faceva delle tenebre il suo nascondiglio, mentre fugava le tenebre notturne con la luce artificiale delle fiaccole e schermava la luce esterna con tappeti e drappi purpurei”.

Pur sbiancandosi i denti, riempiva i vuoti di quelli caduti con la pece; e pur essendo effeminato e pigro, aveva legato a sé la maggior parte dei nobili, usando come propugnacolo la madre del giovane imperatore; ammirata da Niceta che la descrive “di splendido aspetto, il volto di perla, l’equilibrio del carattere, la schiettezza dell’animo, il fascino della voce, si tirava dietro tutti come se li tenesse con un cordino”.

Il più delle volte il protosebaste attirava con il danaro e addormentava con la munificenza quanti mal sopportavano il fatto di avere il secondo posto dopo di lui; per questo, nessuno a cui era stato richiesto di andare dalla parte di Andronico era passato dalla sua parte:  nessuno respinse il prosebaste che aveva il potere, nessuno si fece adescare dalla maschera di nemico dei tiranni indossata da Andronico”.

Giovanni Ducas al quale era stato affidato il comando della guarnigione, rimase inclrollabile di fronte alle lettere che gli scriveva Andronico, ma anche Giovanni Comatero che governava la provincia di Tracia, non solo non prestava ascolto alle blandizie di Andronico, ma lo scherniva come usurpatore, riuscendo a capire dalle lettere che lui scriveva il suo carattere tirannico.

Quando Andronico si stava avvicinando a Tarsia, che si univa a lui unitamente agli abitanti della Nicomedia, gli fu mandato contro Andronico Angelo, i cui figli Isacco e Alessio saliranno al potere dopo di lui.

Andronico Angelo aveva un esercito più organizzato rispetto a quello di Andronico più scalcinato in quanto affidato a un eunuco che aveva arruolato dei contadini e aveva con sé dei soldati paflagoni; tra i due però vi era stata una battaglia a Charax, in cui l’Angelo aveva subito una pesante sconfitta, tanto che rientrato a Costantinopoli, gli fu richiesta la restituzione del danaro che gli era stato dato per le spese militari.

L’Angelo, avendo intuito che si sospettava una sua amicizia con Andronico e che si stava prendendo in considerazioe il suo arresto, indotto dai figli (ne aveva sei) si dette a munire la sua casa (a Exokinion, fuori le mura di Costantinopoli), fortificandola, ma resosi conto  che non avrebbe potuto opporre molta resistenza, si dispose alla fuga.

Presi con sé i figli e portata via la moglie Castamonitissa, salì su una nave e si recò da Andronico che vedendolo arrivare recitò il versetto biblico  “Ecco, invierò il mio Angelo al tuo cospetto il quale preparerà la tua via dinanzi a te”.

Andronico, rincuorato dall’arrivo del cugino, tralasciò ogni altro indugio e si diresse a Costantinopoli dove si accampò presso Penkia (sull’altra riva di fronte alla città), facendo accendere molti fuochi per dar l’impressione di avere un esercito numeroso.

Dalla riva di Costantinopoli gli abitanti erano saliti sulle colline e andati sulle spiagge, salutavano Andronico con le braccia, manifestando tutta la loro gioia per il suo arrivo.

 

 

IL PROTOSEBASTE

SPERA NELL’AIUTO

DELLA FLOTTA

CHE PASSA DALLA PARTE

DI ANDRONICO

 

 

 

I

l protosebaste fidava nella flotta che si trovava nella Propontide, i cui rematori erano romei e latini,  ai quali era stata distribuita una gran quantità di denaro e il comando era nelle mani del megaduca Anndronico Contostefano, affiancato da suoi familiari e domestici.

Nel frattempo, faceva inviare dall’imperatore, come ambasciatore presso Andronico, Giorgio Xifilino (che diventerà patriarca col nome di Giorgio II), il quale portava uno scritto in cui erano promesse donazioni e ogni grazia di Dio se avesse rinunciato ai suoi propositi che avrebbero portato a una guerra civile e si dice che lo stesso Xifilino, tradendo il suo padrone, lo avesse esortato a non cedere e in ogni caso, a cedere poco.

Andronico, pieno di rabbia rispose che se volevano che tornasse da dove era venuto, dovevano togliere di mezzo il protosebaste, che pagasse il fio dei suoi misfatti e la madre dell’imperatore tagliata la chioma, entrasse nel monastero in solitudine e l’imperatore regnasse secondo le indicazioni del testamento del padre, senza favoriti.

Nel frattempo anche il megaduca Andronico Contostefano passava dalla parte di Andronico con tutte le navi lunghe (si ritiene fossero adibite al trasporto di macchinario bellico e cavalli), ciò che determinava la vittoria finale  di Andronico; e si videro tutti quelli che gioivano del rovesciamento del protosebaste far vela a frotte verso la Calcedonia e non conoscendo Andronico, nel vederlo, rimanevano attoniti  per la sua statura, per il mirabile aspetto e la sua veneranda età, rimanendo estasiati da ciò che diceva e risultando gradite le parole altezzose che pronunciava, andando via soddisfatti di ciò che avevano visto e sentito dire.

Ma vi era anche chi aveva riconosciuto il lupo sotto le spoglie di agnello o di serpente che appena riscaldato avrebbe ridotto a mal partito coloro che lo tenevano in seno!

 

 

IL PROTOSEBASTE

E’ FATTO PRIGIONIERO

APPARIZIONE DI

UNA COMETA

 

 

I

l protosebaste liberò dalla prigione i due figli di Andronico, Giovanni e Manuele e gli altri che aveva fatto arrestare mentre faceva arrestare altri che Andronico favoriva e che lo sostenevano; ma, in base ad accordi presi dai maggiorenti con Andronico, fu messo sotto sorveglianza del corpo di guardia dei varangi (germani che portavano la scure a un taglio sulla spalla); a mezzanotte lo portarono in un altro appartamento del palazzo patriarcale e lo seviziavano, facendogli riaprire gli occhi non appena li chiudeva e  facendoglieli tenere sbarrati, come se fossero di corno o di ferro.

Dopo alcuni giorni fu portato su un piccolissimo cavallo, preceduto da una bandiera su una canna che garriva al vento e condotto verso il mare, tra le offese e i maltrattamenti di quelli che si trovavano sul suo passaggio;  messo su un battello fu condotto da Andronico sull’altra riva dove gli furono strappati gli occhi.

Tale fu la fine del favorito dell’imperatrice o della sua non ancora consolidata tirannide: Niceta commenta: - “Se avesse armato la sua mano alla controffensiva; se avesse addestrato le sue dita alla guerra e non fosse stato un guerriero mediocre, un dissoluto che russava durante più della metà del giorno, avrebbe sbarrato la strada ad Andronico e avrebbe potuto combattere l’avversario con le navi con gli equipaggi latini, superiori a quelli greci; e così Andronico riportava una splendida vittoria”.

In quei giorni era apparsa una cometa che era durata per tutto il giorno e la notte seguente e poi era scomparsa; anche un falcone addomesticato per la caccia, con le piume bianche, si era diretto verso Santa Sofia ed entrato nell’edificio detto Tomaita; cercarono di prenderlo mentre volava verso la reggia, ma non riuscirono, poi tornò verso la chiesa. In base agli auspici che ne furono tratti, Andronico sarebbe stato catturato e avrebbe subito punizioni severe; gli auspici non potevano che riferirsi a lui che era stato più volte in prigione e aveva i capelli bianchi come la neve; gli interpreti più cauti ritenevano che il triplice volo dell’uccello induceva a ritenere che Andronico avrebbe regnato tre anni e alla fine sarebbe finito in ceppi in prigione ... ma questa era stata la più rosea delle previsioni!

 

 

IL PATRIARCA TEODOSIO

PASSA DALLA PARTE DI

ANDRONICO

 

 

T

ra tutti coloro che erano passati dalla parte di Andronico vi fu anche il patriarca Teodosio, che con il seguito del clero si recò presso la sua tenda; Andronico che aveva il gusto dell’eleganza, indossava una veste aperta color viola (di tessuto iberico) che gli copriva le spalle e arrivava ai glutei; in testa aveva un cappello a forma di piramide; bravo nelle scene teatrali, si gettò dinanzi agli zoccoli del cavallo e giacque disteso per tutta la sua lunghezza; dopo poco si alzò e leccò le piante dei piedi del patriarca, esternandogli parole di encomio; il patriarca che non lo aveva mai visto prima, scrutando il suo sguardo truce, l’animo subdolo, il fare scaltro e attento, la statura che si elevava all’altezza di dieci piedi (il piede bizantino era di 31.23 cm. l’altezza di Andronico doveva essere di 186,69), l’incedere altero, l’arroganza che gli faceva aggrottare il ciglio, considerò la sventura di appoggiare un simile personaggio e gli disse:- “Prima di te avevo sentito dire, e ora ho visto e conosciuto bene”, e ripetendo il detto di Davide disse: “Ciò che avevamo sentito ora abbiamo visto”, riferendosi alla scaltrezza, allo spirito istrionico e al suo essersi prostrato al suolo mugolando come un cane; nello stesso tempo ricordava ciò che gli aveva detto Manuele I quando glielo aveva descritto, rendendoglielo sospetto.

Il patriarca che sapeva leggere nell’anima umana riteneva Andronico “truce d’aspetto, doppio d'ingegno, astuti e finti i costumi, la taglia di poco minore di dieci piei, l'andar superbo, le irte sopracciglia, la perpetua severità e tristezza ... e il patrioarca ebbe compassione di coloro che avevano chiamato un tal uomo, rovinando sé stessi”.

Il doppio senso della parole del patriarca non era sfuggito all’acuto Andronico il quale così ferito, dal suo canto, non esendoli sfuggite le selvose sopracciglia del patriarca, pensò “ecco un armeno astuto” (i bizantini odiavano gli armeni per motivi religiosi, in quanto li consideravano eretici); e il rapporto tra i due fu di massima indifferenza.

Andronico si trasferì a Costantinopoli, facendo traslocare Alessio con la madre Maria-Xené al palazzo dei Mangani, che si trovava al Filopatio; egli non ancora si era trasferito al Magno Palazzo e gli fu allestita una tenda e anche i nobili e seguaci avevano fatto montare le loro tende e dall’accampamento si recava al Filopatio a trovare Alessio.

Anche nell’incontro con il giovane imperatore, non risparmia la scena teatrale,  salutandolo con profonda riverenza e baciandogli i piedi, battendosi il petto e versando lacrime, ossequiando formalmente la madre ... ma nel suo animo malvagio certamente covava la brutalità che avrebbe riversato su di loro. 

 

 

 

ANDRONICO SI RECA

A VISITARE LA TOMBA

DELL’IMPERATORE MANUIELE I

SUE PAROLE DI VENDETTA

 

 

 

A

vendo voglia di rivedere la città, si recò al monastero del Pantocratore a visitare la tomba del cugino imperatore e avvicinatosi alla tomba pianse, levando alti gemiti, così che molti degli astanti non riuscendo a discernere la sua finzione, dicevano con stupore: “Che meraviglia, come amava il sovrano suo congiunto, sebbene questo fosse il suo persecutore e non lo trattasse con umanità”!

Quando alcuni degli astanti volevano allontanarlo dicendogli che aveva pianto abbastanza, volle rimanere ancora un pò, con le mani aperte e gli occhi alzati verso la tomba, muovendo le labbra, ma emettendo una voce che non giungeva alle orecchie dei presenti, fece un discorso segreto.

Alcuni ritenevano che fosse un incantesimo detto in lingua straniera, ma altri più attenti alle lepidezze affermavano che Andronico schernisse l’imperatore e insultando il cadavere, dicesse: “Ti ho in pugno, tu che fosti il mio persecutore, che mi procurasti molti vagabondaggi, che mi facesti diventare quasi la favola di tutti quando erravo infelice per tutta la terra, quanta ne percorre il sole con il suo carro. Ora questa pietra dai sette pinnacoli ti terrà come in una prigione da cui non si può più fuggire; io invece perseguiterò la tua stirpe come un leone imbattutosi in una grossa preda e ad essa farò pagare il fio ad abudantiam per il male che ho patito a causa tua, quando entrerò in questa illustre capitale dai sette colli”.

Rientrato nella sua tenda, dà i primi ordini, premiando i paflagoni che gli erano stati fedeli durante la rivolta, imponendo punizioni a chi considerava suoi nemici mandati via dalle loro case e dalla città; altri finivano in prigione e ad altri venivano strappati gli occhi, senza accuse che potessero apparire giustificate, colpevoli solo di essere nobili o di essersi distinti in battaglia o di essere dotati di eccellente costituzione e bellezza fisica o di avere qualcos’altro di lodevole che lo irritasse o gli accendesse il ricordo di qualche antico screzio.   

In questo clima si era sviluppata la delazione di chi voleva vendicarsi di qualcuno, fossero anche propri familiari; a conferma di ciò è indicato l’esempio di Giovanni Catacuzeno che aveva preso a pugni un eunuco di nome Tzita, facendogli cadere i denti e sanguinare le labbra, solo perché era stato sorpreso a parlare con l’imperatore Alessio, delle disgrazie dello Stato; ma fu arrestato e gli furono cavati gli occhi e gettato in una tenebrosa prigione per aver inviato i saluti attraverso una guardia carceraria a Costantino Angelo, suo cugino che si trovava anch’egli in carcere.

Andronico diffidava di tutti, anche dei propri servi che prima aveva trattato bene e ora li maltrattava.

Tutti sapevano che Andronico era esperto nel mescolare coppe letali di veleni e la prima a sperimentarlo fu la porfirogenita Maria figlia dell’imperatore Manuele I, proprio colei che tra i primi aveva desiderato e sollecitato il suo ritorno; circolava anche la voce che  Andronico avesse corrotto un eunuco di nome  Pterigeonita, servo ereditato dal padre, che le aveva fatto bere il farmaco letale; la pozione non era di quelle ad effetto immediato, ma agiva lentamente.

Dopo non molto tempo seguì la morte del marito, il cesare Ranieri di Monferrato  e si diceva che la stessa coppa avesse avvelenato anche i due figli.

 

 

IL PROBLEMA

DEL MATRIMONIO

INCESTUOSO DI

ALESSIO E IRENE

 

 

C

ome abbiamo visto, Andronico conviveva con la nipote Teodora (pare l’avesse sposata in quanto alcuni cronisti la consideravano moglie) che gli aveva partorito la figlia Irene e ambedue decidevano che questa dovesse sposare il figlio Alessio che lei aveva avuto in precedenza da Manuele, quando era sua amante e per le sue qualità Andronico, aveva deciso di farne il suo successore.

Occorre notare che a due persone normali, indipendentemente da qualsiasi considerazione morale o di consanguineità, una idea del genere non sarebbe mai venuta in mente; se la decisione fu presa da ambedue ... è da ritenere che anche Teodora non dovesse essere psichicamente equilibrata!  

La questione era piuttosto scabrosa (dibattuta anche tra gli studiosi di questioni bizantine) e Andronico aveva pensato di far circolare una sua lettera (scritta con inchiostro nero) con la quale si chiedeva il consenso per il matrimonio.

Questa lettera metteva in subbuglio il sinodo e il senato, che si divisero tra chi era pro e chi contro, come dice Niceta, “perché sia nel sinodo, sia in senato e sia tra i giudici vi erano quelli abituati a mangiare a spese degli altri e vendere il loro voto e a questuare presso famiglie altolocate”.

Vi era chi sosteneva (con ragionamento assurdo, pur non tenendo conto dell’incesto, dal momento che i due erano fratellastri! ndr.) che le persone che si dovevano sposare, per il fatto di essere nate da unioni incestuose, non portavano dietro di sé alcun grado di parentela in quanto le leggi consideravano i frutti di tali concepimenti privi di parentela e agli antipodi l’uno dall’altro; dicevano che era da ignoranti il solo fatto di credere che bisognasse sottoporre ad esame un argomento più chiaro del sole!

Ma gli altri che non volevano prestar orecchio alle loro parole cercando di vanificare i loro discorsi, facendo ricorso alle leggi, lo ritenevano matrimonio assolutamente incestuoso e si opponevano decisamente; ma costoro, tra vescovi, chierici e membri di spicco del senato, tutti capeggiati dal patriarca Teodosio, erano in minoranza e il patriarca non si  era lasciato smuovere dall’enfasi oratoria di Andronico e dalla forza delle sue parole e non era stato turbato neanche dalle minacce.

Teodosio, quando vide che vinceva il peggio, si ritirò dal sacerdozio e se ne andò nell’isola di Terebinto, nella dimora che si era fatto costruire; Andronico gioì per questa decisione e portò a termine il patto nuziale che fu benedetto dall’arcivescovo dei bulgari, che in quel momento si trovava a Costantinopoli; mentre, per ricoprire la carica di patriarca fu nominato Basilio Camatero (che in precedenza aveva ricoperto cariche amministrative, unito ad Andronico da identità di carattere) e, come si diceva, fu lui a sollecitare Andronico a nominarlo patriarca, in quanto era stato l’unico ad accettare la clausola (messa per iscritto) che avrebbe fatto tutto ciò che sarebbe stato a lui gradito e avrebbe respinto tutto ciò che potesse non piacergli!

Per Alessio, il destino aveva deciso che il suo futuro sarebbe stato ben diverso dalle rossee previsioni del trono imperiale; le decisioni erano nel potere di Andronico, affidate alla sua fondamentale e assoluta instabilità di carattere!

Alessio stava malauguratamente partecipando a una congiura che intendeva assassinare Andronico, per liberare l’impero da questa peste, ma la congiura era stata scoperta e Alessio, relegato nella prigione della fortezza di Chele, fu fatto accecare mentre gli altri congiurati finirono arsi sul rogo; a nulla erano valse le preghiere e i pianti di Irene che si era ritirata in convento e dopo non molto tempo terminava i suoi giorni.

Alla morte di Andronico, Isacco Angelo farà liberare Alessio concedendogli la dignità di cesare, ma non per molto, perché cambiando opinione, lo costrinse ad entrare nel monastero di monte Papinacio dove Alessio finì i suoi giorni; per di più il suo matrimonio era stato sciolto dal patriarca Niceta II.

Teodora, alla morte di Andronico, era stata messa in convento; chiesta in moglie dal re d’Ungheria, il matrimonio era stato negato dal sinodo il quale riunitosi, esprimeva parere contrario in quanto Teodora avea pronunciato i voti.

 

 

LA CONGIURA

LE ACCUSE DI ANDRONICO

CONTRO L’IMPERATRICE

E SUO ASSASSINIO

 

 

N

el suo modo non equilibrato di agire, Andronico propose di incoronare l’imperatore Alessio autocrator che costituiva una conferma della precedente elezione paterna (molto discussa tra gli studiosi), che probabilmente serviva ad escludere la tutela della madre e il giorno fissato caricò Alessio sulle proprie spalle e lo condusse a Santa Sofia tra una grandissima folla.

L’incoronazione di Alessio era stata una concessione di Andronico, che non aveva alcuna influenza sul suo modo di governare in quanto dirigeva gli affari di Stato come voleva; ora, ciò che gli premeva era dividere la madre, che riteneva sua nemica, dal figlio, accusandola di resistergli apertamente ... fingendo finanche di volersene andar via!

Diceva che lei gli resisteva apertamente e si opponeva ad ogni sua azione che potesse recare vantaggio alla comunità dei cittadini e al figlio imperatore; e così eccitava il popolo contro di lei, inducendo il patriarca Teodosio a una deliberazione preventiva contro la sovrana, costringendolo ad approvare un decreto che la toglieva di mezzo, allontanandola dalla reggia.

Poco mancò che i giudici del Velo (il più importante tribunale dell’impero), corressero pericolo di vita; infatti Demetrio Tornicio, Leone Monasteriota, Costantino Patreno, non ancora tra i suoi sostenitori, richiesti di dare il loro parere riguardo alle accuse contro la sovrana, risposero che volevano innanzitutto sapere se l’indagine sulle questioni in oggetto corrispondessero alla volontà e all’ordine del sovrano (Alessio); Andronico, offeso, li accusò di essere stati proprio quelli che avevano indotto il protosebaste a delinquere e diede ordine di arrestarli; il popolo facinoroso, avendoli presi per le vesti, li trascinò in giro per le strade e a stento scamparono alla morte.

Andronico si era accanito contro gli aristocratici ottimati che ritenevano intollerabili le sue azioni e si strinsero maggiormente tra di loro, giurando che non avrebbero concesso sonno ai loro occhi fino a quando Andronico non fosse morto.

Costoro erano Costantino Angelo, il megaduca Andronico Contostefano con i loro figli (che erano sedici) nel fiore degli anni e bellicosi;  il logoteta del Dromo, Basilio Camatero e molti altri a loro uniti per parentela o amicizia.

Ma il complotto non era sfuggito al vigile occhio di Andronico il quale si avventava contro il figlio di Costantino Angelo che fece  appena a tempo a fuggire, recandosi sulla spiaggia, dove avendo trovato una una barca piena di anrfore, buttate le anfore, prese il largo sfuggendo con i figli al pericolo.

Contostefano con quattro dei suoi figli e Bsiliio Camatero con altri, che, per solo sentito dire, avevano partecipato al piano dei cospiratori, furono arrestati e a tutti furono cavati gli occhi; e con queste crudeltà Andronico procedette contro i suoi nemici o presunti tali, alcuni facendoli incarcerare, altri mandandoli in esilio, altri colpiti in altro modo, mentre le poche persone rimaste, cambiando parere e non potendo fare altro, erano passate dalla sua parte.

Andronico decise di affrettare la fine della sovrana mettendo insieme accuse di tradimento; dopo aver convocato il consiglio a lui amico e i giudici che avrebbero condannato la vittima senza giudicarla, l’imperatrice fu accusata di aver suggerito a Bela d’Ungheria, marito della sorella, di devastare le zone di Branicevo e Belgrado; e così l’imperatrice fu ignominiosamente portata in una prigione presso il monastero di san Diomede, sfinita dalla fame e dalla sete e oltraggiata dai soldati che la schernivano.

I giudici che agivano contro quelle stesse leggi che dovevano tutelare, decretarono la morte della sovrana e per somma crudeltà, il documento che le toglieva la vita fu fatto firmare dal figlio imperatore!

Per questa azione abominevole, erano stati scelti il figlio primogenito di Andronico, Manuele e il sebaste Giorgio, fratello della prima moglie di Andronico, ma essi rifiutarono la sua richiesta ed egli rimase tanto contrariato per questo rifiuto “da attorcigliarsi i peli della barba con le dita”; spenta l’ira, comandò l’uccisione della infelice imperatrice (1182) per soffocamento, dando ordine all’eteriarca Costantino Tripsico e all’eunuco Pterigeonita (che aveva avvelenato la porfirogenita Maria), che provvidero all’incombenza, e il suo corpo fu buttato in mare, per non darle una degna sepoltura.

 

 

ACCLAMAZIONE

DI  ANDRONICO E ALESSIO

E UCCISIONE DI ALESSIO

 

 

Q

ualche tempo dopo questo assassinio i seguaci di Andronico fremevano per la sua acclamazione e finalmente potettero pronunciarla (1184), ricorrendo alla formula ”Lunga vita ad Alessio e Andronico, grandi imperatori e sovrani Comneni dei Romani”, cantando a squrciagola e urlando fino a scoppiare.

Diffusa la notizia, la folla si sollevò come uno sciame d’api dagli alveari e risuonò fino al palazzo di Andronico detto Micaelitza, dove lo stavano festeggiando.

Da questa sua dimora Andronico raggiunse la reggia delle Blacherne, entrando nella sala detta “Polytimos” (preziosa) dove giunse Alessio che dovette unirsi agli adulatori, mentre Andronico fingeva ritrosia per sedersi sul prezioso trono, tanto da essere stato afferrato e messo sul seggio dorato; alcuni gli tolsero il cappello a piramide e gliene misero uno rosso facendogli indossare la veste imperiale.

Il giorno seguente ebbe inizio la cerimonia della proclamazione nella Chiesa grande, di ambedue gli imperatori; ma prima fu proclamato Andronico e poi Alessio, nell’ordine capovolto.

Per la prima volta Andronico aveva lo sguardo sereno “la belva aveva mutato la severità dello sguardo”; prometteva che le cose sarebbero cambiate facendo trasparire una parvenza di umanità che metteva in ombra la ferocia.

Finita la cerimonia uscì con la sua splendita scorta e moltissima guardia del corpo (Niceta ritiene fosse per paura) perché uscito dalla chiesa affrettò la marcia, lasciando andare il  cavallo a briglia sciolta; su questo comportamento, alcuni ritenevano fosse per viltà, altri invece che avesse evacuato nelle brache durante la lunga cerimonia, durante la quale aveva dovuto sopportare il peso dei paramenti, tra la veste d’oro con pietre preziose (Teodora, moglie di Giustiniano v. Cap. IV, l’aveva definita il proprio sudario), lo scettro, la sfera d’oro in mano, la corona in testa a cui si aggiungeva la lentezza estenuante del rito ortodosso.

Finita la festa Andronico pensa a eliminare il giovane imperatore e riunito il senato (a lui favorevole) è decisa la sua condanna a morte.

Di notte Stefano Agiocristoforita, Costantino Tripsico e Teodoro Dalibreno capo dei littori, si recano da Alessio e lo strangolano con una corda di arco; il corpo del giovane imperatore (non aveva ancora compiuto quindici anni) è portato ad Andronico che gli dà un calcio all’inguine; il suo orecchio è forato con uno spiedo e infilatavi una cordicella è applicata la cera su cui era impresso il sigillo dell’anello di Andronico; il corpo, prima di essere portato in mare, fu privato della testa che fu portata ad Andronico, mentre il corpo messo in un vaso di piombo fu abbandonato alle profondità del mare; esecutori, Giovanni Camatero, capo del Canicleio, che in seguito divenne arcivescovo dei bulgari e Teodoro Cummo, insignito della carica di cartulario (carica di natura militare).

Nonostante tutte queste accortezze venne fuori, come vedremo, l’impostore che in Sicilia si spacciava per Alessio ... accompagnato dal commento di Andronico che avrebbe  percorso a nuoto tutto il tratto di mare fino alla Sicilia!

 

 

L’ORCO E LA PICCOLA

AGNESE DI FRANCIA

 

 

A

bbiamo visto come Manuele avesse combinato il matrimonio tra il figlio Alessio e la piccola Agnese di Francia, figlia di Luigi VII, mandata a Bisanzio (dove giungeva durante le feste di Pasqua del 1179) all’età di otto anni, mentre Alessio non ancora aveva compiuto gli undici anni.

Manuele, prima di morire, aveva voluto festeggiare (marzo 1180) il matrimonio e l’incoronazione, officiata dal patriarca Teodosio e seguita da un grande pranzo nell’Ippodromo; Manuele morirà nel settembre dello stesso anno.

Poco prima della sua morte una donna della Propontide aveva partorito un bambino  magrissimo e debole con la testa grossa; il presagio che era stato dedotto prevedeva un sovvertimento dell’impero con il governo di molti.

Il giovane imperatore, non ancora quindicenne, aveva regnato per tre anni, non da solo e per proprio conto, ma dapprima sotto la tutela della madre che esercitava il potere, poi oscurato da due usurpatori che si erano impadroniti dell’impero.

Morto Alessio, scrive Niceta, Agnese-Anna “non ancora undicenne e moglie del nipote, si unisce in incestuoso matrimonio con quel vecchione di Andronico; lei dalle rosse guance, tenera, lui maturo, lei fanciulla acerba, lui più che stagionato d’età, una ragazzina dai seni dritti, lui aggrinzito e cadente, lei giovane dalle dita di rosa e stillante rugiada d’amore”.

Oltre alla celebrazione del matrimonio, Andronico chiedeva al patriarca Basilio Camatero di scioglierlo dal giuramento di fedeltà che lui e gli altri, che lo avevano seguito nei suoi delitti, avevano prestato ai due imperatori.

Gli ecclesiastici, dice Niceta, come se avessero avuto  direttamente da Dio la facoltà di legare e sciogliere, senza distinzione, emisero documenti con i quali elargirono a tutti l’amnistia per i loro delitti; Andronico li ricompensò concedendo loro, che avevano accesso alle udienze dell’imperatore, di sedere su sgabelli accanto al trono; questa disposizione ebbe breve durata e poiché egli era affetto da instabilità di carattere, per non dare questa impressione, fece in modo che gli alti sacerdoti non avessero più accesso quando lui era seduto sul trono!

 

 

INAUDITE CRUDELTA’

 DI ANDRONICO

ALL’ASSEDIO DI NICEA

E ALLA PRESA DI PRUSA

 

 

P

er l’impero, il Medio Oriente era sempre terra di fermento e ribellioni (lo vediamo ancora oggi! ndr.) e le città di Nicea e Prusa si erano ribellate e Andronico aveva posto sotto assedio Nicea, sebbene fosse così fortificata, con le mura in mattoni e piertrisco, da essere imprendibile.

A Nicea si era rifugiato Isacco Angelo con i suoi soldati, Teodoro Cantacuzeno e alcuni persiani chiamati in loro aiuto; l’assedio durava già da molti giorni e gli abitanti respingevano tutti gli attacchi; per uscire da questo impasse, Andronico escogitava un espediente disumano: fece prelevare da Bisanzio la madre di Isacco Angelo, Eufrosina Castamonitissa  e la espose davanti alle torri belliche o a cavallo dell’ariete, in modo che dalle mura non potessero lanciare le frecce e potevano avvicinare le macchine; ma dalle mura riuscivano ugualmente a tirare le frecce senza colpire la nobildonna.

Alla fine, di notte, riuscirono a tirarla su con le corde e continuarono a combattere con maggior accanimento, motteggiando dalle mura su Andronico che chiamavano macellaio, cane sanguinario, putrido vecchio, sciagura senza fine, Erinni del genere umano, donnaiolo, Priapo ed altro!

In questo frangente Teodoro Cantacuzeno, avendo visto Andronico che girava intorno alla città, commise l’imprudenza di uscire con un drappello per ucciderlo; aveva spinto il cavallo al galoppo sfrenato, ma il cavallo inciampava e il cavaliere sbalzato dalla sella  si sfracellava la schiena; giunto Andronico con i suoi soldati, gli tagliarono la testa facendo a pezzi il suo corpo; la testa fu mandata a Costantinopoli esposta sulla punta di una lancia.

In seguito alla morte di Cantacuzeno, i niceni decisero di arrendersi e uscirono in processione con il loro arcivescovo Nicola,  con braccia e piedi nudi, lasciando sbalordito Andronico che quasi proruppe in lacrime ... pronunziando tenere parole ... ma subito si riprese, mostrando tutto il suo rancore e dando a ciascuno una punizione:, alcuni furono  gettati a testa in giù dalle mura, i persiani furono crocifissi tutt’intorno alla città, i più fortunati furono mandati in esilio.

Questa crocefissione bizantina era diversa da quella romana, complessa come lo erano i  bizantini; era chiamata fourkismόs: si appendeva la vittima a un palo biforcuto, incastrando il collo in una forcella, mentre le braccia erano legate ai due lati del palo o dietro le spalle del condannato; una barra trasversale, fissata dietro la testa, impediva al corpo di scivolare dalla forca e di cadere al suolo: viene da chiedersi, come mai i bizantini, così religiosi (ammesso che lo fossero, a parte la loro esteriore partecipazione alle estenuanti cerimonie!) avessero potuto assorbire così facilmente le crudeltà dall’Oriente, come si riteneva!

Anche Prusa (Bursa turca) era circondata da torri possenti e cinta da mura che verso sud erano doppie, ma l’esercito riuscì ad aprire ugualmente una breccia ed entrare in città, con rapina dei loro beni e delle greggi di pecore e mandrie di buoi che erano stati portati all’interno per nutrirsi durante l’assedio; poiché la città era stata presa con la forza, Andronico si vendicò facendo trucidare gli abitanti con varie e molteplici forme di tortura.

A Teodoro Angelo (figlio di Andronico Duca Angelo e di Eufrosina Castamonitissa), giovane col mento ancora coperto di lanugine, furono cavati gli occhi e messo su un asino fu accompagnato ai confini dove l’asino fu lasciato andare per suo conto; alcuni turchi ebbero pietà e gli prestarono aiuto.

Leone Sinesio e Manuele Lacana “che completavano quattro volte il numero di dieci”, furono impiccati ai rami degli alberi che circondavano la città; altri subirono l’amputazione delle mani, dei piedi, degli occhi; alcuni furono castigati nell’occhio destro e nel piede sinistro, ad altri, viceversa; a Lopadio, Andronico si comportò alla stessa maniera, facendo accecare di un occhio il vescovo, perché non era intervenuto nella rivolta degli abitanti; tornando alla reggia aveva dato disposizione che i cadaveri fossero appesi alle vigne come grappoli e si essiccassero al sole, rimanendo senza sepoltura da sembrare - scrive Niceta - come gli spauracchi appesi nei campi di cocomeri.

Era estate, il periodo degli spettacoli teatrali e delle gare ippiche nell’Ippodromo e Andronico rientrato in città, assisteva agli spettacoli; durante una gara la balaustra della tribuna imperiale aveva ceduto ed erano morte sei persone; Andronico voleva ritirarsi, ma gli fu suggerito che se l’avesse fatto, il popolo si sarebbe avventato contro di lui come una sola persona; egli quindi rimase ad assistere alle gare ippiche e ginniche,  rinunziando agli spettacoli di intermezzo dei funamboli che si arrampicavano in alto con le funi e danzavano in aria su una piccola e sottile corda che li sosteneva e ancora, delle lepri dai piedi alati e delle cagne da caccia, di cui erano appassionati i rozzi frequentatori dei teatri.   

 

 

ISACCO CONSIDERATO

UN COMNENO

 SI IMPADRONISCE

DI CIPRO

MACRODUCA E DUCAS

DILAPIDATI

 

 

U

n certo Isacco, pronipote di Manuele, figlio di una figlia di Isacco (fratello di Manuele)  e nipote di Andronico, considerato un Comneno, governatore della città di Tarso,  avendo attaccato i nemici armeni, era stato da costoro catturato e tenuto prigioniero.

Era stato riscattato dai “frari gerosolomitani” (templari) e su richiesta di Teodora, moglie di Andronico, di cui Isacco era nipote e di altri parenti (come Costantino Macroduca, marito della zia materna di Isacco e Andronico Ducas), fu convinto ad accoglierlo; ma Isacco, degno  esponente di quel ramo, amava anch’egli il potere e non intendendo assoggettarsi ad Andronico, scelse di dirigersi, con un manipolo di uomini, a Cipro dove, mostrando falsi documenti imperiali, assunse il governo dell’isola.

Questo perrsonaggio  era una specie di controfigura dello zio Andronico e si macchiava di assassini ingiustificati, disfaceva corpi umani, infliggeva pene e torture, si sfrenava stuprando vergini e privava i ricchi dei loro beni da lasciarli poveri e nudi.

Quando questi particolari giunsero all’orecchio di Andronico, preso da timore e non potendo catturarlo e privarlo del potere per la lontananza dell’isola, portò in giudizio lo zio Costantino Macroduca panipersebaste (pari al cesare) e Andronico Ducas considerato come un figlio tra i suoi massimi favoriti, i quali avevano garantito che Isacco, una volta riscattato, si sarebbe comportato fedelmente nei suoi confronti.

Essi, nonostante fossero tra i personaggi più potenti del suo seguito, furono accusati di alto tradimento e sebbene Macroduca fosse sposato con la sorella di Teodora e nonostante Andronico Ducas “sozzo scostumato che esibiva sul volto la spudoratezza come fosse un allievo dell’omicida, il quale decretava il taglio delle mani e sentenziava il supplizio della forca, biasimando spesso Andronico e accusandolo spudoratamente di non comminare punizioni non adeguate ai falli”, fingeva di essere sollecito dell’interesse di Andronico più di quanto lo fosse Andronico stesso!

Il processo si svolse ai Mangani dove si era radunata una enorme folla; terminato il processo, i due erano stati portati nel cortile come se dovessero essere accompagnati dall’imperatore, ma Stefano Agiocristoforita  il più svergognato dei servi di Andronico, pieno di ogni scelleratezza che chiamavano Anticristoforita”, preso un sasso e guardando intorno, come per invitare la folla a fare altrettanto, la scagliava mirando a Macroduca e tutti fecero altrettanto, fino  a formare sul suo corpo un cumulo di sassi.

Gli addetti a questo compito, dopo aver preso i corpi che respiravano ancora e averli avvolti in tappeti, portarono il corpo di Ducas sull’altra riva del Corno d’oro riservata ai giudei, mentre il corpo di Macroduca lo portarono sulla costa collinosa di fronte al monastero dei Mangani, appendendolo a una forca.

Era il giorno dell’Ascensione (30 Maggio 1185) e quelli che avevano maggior confidenza con l’imperatore gli chiesero di far deporre il cadavere di Macroduca; Andronico dopo  essersi assicurato che i due fossero morti, si sciolse in lacrime, affermando che più forte del desiderio e del suo proposito, era la severità e il potere sovrano delle leggi e che la sentenza dei giudici prevaleva sulle sue intenzioni.

Alessio Comneno, coppiere dell’imperatore Manuele di cui era pronipote, era stato, invece condannato all’esilio presso gli sciti (cumani turchi), da dove era fuggito recandosi presso il re Guglielmo II di Sicilia, accompagnato da Maleino, originario della provincia di Filippopoli, i quali suggerirono al re normanno di conquistare le regioni dell’impero di facile preda.

Guglielmo non si fece scappare l’occasione e radunato un esercito mercenario andò a impadronirsi, senza incontrare ostacoli, della città di Epidamno e poi si diresse a Tessalonica che fu subito presa per tradimento del suo comandante; questo era il femmineo Davide Comneno, il quale, più che avversario, si comportò da spettatore dei nemici e durante l’assedio invece di indossare l’armatura, vale a dire la corazza con l’elmo, gli schinieri e lo scudo, andava in giro per la città su di un mulo, con brache strette fino alle caviglie e calzari eleganti, trapunti d’oro che arrivavano fino alle caviglie. 

Alla città era capitato – racconta Niceta – un fellone di tal fatta, come timoniere, un pirata o un medico avvelenatore e dopo una breve resistenza, la città si piegò ai nemici: ciò che fu fatto dopo la presa della città era stata un’altra Iliade e superava gli orrori di una tragedia: ogni casa fu spogliata dei suoi averi, i nemici uccidevano senza sosta chi trovavano davanti e quelli che erano catturati erano ammazzati senza pietà come fossero vittime sacrificali.

 

CRUDELTA’ ANCHE

CONTRO LA FIGLIA

E MAMOLO

ARSO CON I LIBRI

CHE PREDICEVANO

IL FUTURO DEGLI IMPERATORI

 

 

A

ndronico continuava con le sue crudeltà:  gli avevano riferito che Costantino Tripsico, che lui aveva ricoperto di benefici e onori imperiali, chiamandolo finanche “figlio diletto”, scherniva il figlio Giovanni, suo successore (Andronico lo aveva associato al trono dopo aver ucciso Alessio II), chiamandolo Zintzifitze e dicendo “povero regno dei romani, quale sovrano ti spetta”.   

Questo Zintzifitze era un omuncolo, bruttissimo, che viveva all’Ippodromo nel reparto dei carri di cavalli da corsa; tutto malformato, piccolo di statura e grasso, ma gran buffone, facitore di scherzi e in grado di raccontare facezie che facevano ridere; Andronico infuriato, privava Tripsico dei suoi beni e gli facerva strappare gli occhi.

Andronico aveva fatto impiccare a un palo i due fratelli Sebastiani che riteneva incitassero  Alessio Comneno (figlio di Manuele e Teodora e marito della figlia Irene) alla presa del potere e alla sua deposizione, e dopo poco lo faceva arrestare e lo faceva accecare, relegandolo nella fortezza di Chele, nelle vicinanze dell’imboccatura del Ponto.

Poiché la figlia Irene non aveva condiviso l’arresto del marito e non aveva condiviso il suo ordine  di non affliggersi e lamentarsi in alcun modo per la sorte di suo marito, Andronico l’aveva allontanata dalla sua presenza.

Lei che amava suo marito, indossati abiti dimessi e tagliati i capelli, entrava in convento; così termina questa unione – scrive Niceta – “esaltata da adulatori e giudici che contraddicono le leggi, i quali mentre inghiottivano il cammello, passavano al filtro le zanzare.

Che Andronico provasse un gusto sadico nel compiere le sue crudeltà, risulta dalla fine riservata al funzionario Giorgio Disipato di corporatura rotonda e adiposa, che Andronico aveva pensato di fare infilzare con un palo e rosolarlo come un maialino, per poi mandarlo imbandito alla moglie, se il padre di costei, Leone Monasteriota, uno dei suoi consiglieri e presidente del senato, non avesse calmato la sua furia; e così Disipato fu tenuto in prigione.

Non si può a questo punto non rilevare che indipendentemente dalla circostanza che  Andronico vivendo tra i barbari e assorbendone i costumi, avesse perduto (se lo avesse avuto), ogni senso di umanità in quanto, al di là dei costumi assimilati, egli nel suo carattere o DNA, avesse marchiati sentimenti spietati e criminali (vengono in mente alcuni personaggi a noi più vicini, come Hitler e Stalin! ndr.).

Andronico, non si era fermato ai suoi familiari, ma si era avventato anche sui suoi stessi servitori che aveva fatto arrestare e imprigionare; tra costoro vi era Mamolo suo segretario che fu arso vivo con i libri, che, secondo lui, trattavano degli imperatori che avrebbero regnato in futuro e che Mamolo di nascosto leggeva ad Alessio, invogliandolo ad aspirare al regno.

Mamolo infatti avrebbe convinto Alessio che il regno spettasse a lui, secondo la profezia che indicava i primi quattro imperatori dopo Andronico, A.I.M.A., vale a dire Alessio, Ioannes, Manuele, Alessio; ma secondo un’altra interpretazione il primo non era Alessio ma lo stesso Andronico, seguito da Ioannes, Giovanni, suo figlio secondogenito, che aveva già associato al trono (1183).

Era stata fatta una catasta di sarmenti superiore sette volte al normale, cosparsa di nafta; Mamolo fu fatto entrare e legato nudo; gli addetti, condotto il ragazzo che era di primo pelo con le guance ancora coronate di lanugine (come spesso usa dire Niceta),  quando accesero il fuoco e si erano bruciate le corde, i fuochisti si misero a spingerlo con  lunghissime pertiche in mezzo al fuoco; al contatto con il fuoco il ragazzo pensando di poter sfuggire alla morte, andava ad urtare le pertiche, considerando più sopportabile il dolore delle pertiche di quello del fuoco e il finire sulla brace; e spinto dai fuochisti proprio in mezzo alle fiamme, circondato dal fuoco, balzava fuori come una saetta, rischiando la vita con agili salti; ciò si ripeté diverse volte, muovendo al pianto gli spettatori; alla fine Mamolo spossato, giacque supino, il fuoco circondò impetuosamente le sue carni e in breve lo finì; l’odore della carne bruciata salendo al cielo corrompeva l’aria tutt’intorno e il fumo denso che andava al naso della gente che si appressava da quelle parti, era tale, da non potersi avvicinare.

 

 

 MENTRE I SICULO-NORMANNI

INVADONO L’IMPERO

 ANDRONICO SI DEDICA

 AI PIACERI DEL SESSO

 

 

A

ndronico si trovò ad affrontare gli invasori siculo-normanni il cui esercito era stato diviso in tre parti, di cui una rimase a Tessalonica con Davide Comneno, una si diresse nella regione di Sarre (Macedonia), l’altra si accampò verso Masinopoli; Andronico mandò a Durazzo (Epidamno) Giovanni Brama che fu fatto prigioniero e portato in Sicilia, dove Brama si recò volentieri, temendo di essere accusato da Andronico di tradimento.

Andronico, raccolte tutte le forze occidentali e orientali le divise in tre reggimenti, assegnandone una al figlio Giovanni (designato futuro imperatore), che si trovava a Filippopoli, dedicandosi alla caccia; un altro al cartulario Cumnoe, un altro ad Andronico Paleologo, mentre Andronico si recò a Crisopoli (Anfipoli), dove, facendo il  giro della città suggeriva dove le mura dovevano essere rinforzate o riparate.

Un centinaio di navi lunghe erano sotto le mura di Costantinopoli per la sua difesa, mentre Andronico si comportava come se i mali che affliggevano l’impero non lo riguardassero.

Si allontanava infatti dalla città in compagnia di concubine e meretrici e si recava in luoghi solitari e ameni dove si respirava aria fina, recandosi in valloni tra i monti e i verdi boschi, seguito dalle sue innammorate, come un gallo con le sue galline da cortile, un capro che guida il gregge, o Dioniso figlio di Semele con le Tiadi e le Sobadi, le Menadi e baccanti (ci auguriamo di poter scrivere un articolo su Dioniso ndr!), gli mancava solo la pelle di cerbiatto e  portare la veste color zafferano!

Solo in giorni stabiliti si faceva vedere come attraverso una cortina, da pochi cortigiani, mentre alle flautiste e alle etere spalancava l’accesso all’intrattenimento, concesso in qualsiasi momento; godeva della sfrenatezza come Sardanapalo il quale fece scrivere che ciò che possedeva erano i cibi mangiati e gli eccessi compiuti.

Andronico, dice Niceta che spesso fa ricorso alla sua profonda cultura classica, era seguace di Epicuro e di Crisippo, avendo per grazia la lascivia del polipo (ritenuto con i molluschi un afrodisiaco ndr.); inseguiva il desiderio amoroso, pazzo di rapporti intimi e non avendo forza adeguata alle sue voglie di sfrenatezze, cercava di irrobustire ciò che stava sotto il suo ventre, servendosi di unguenti e preparati insoliti.

Mangiava un animale del Nilo, molto simile al coccodrillo, schifoso per chi non lo ritenesse commestibile (lo scinco, forse da identificare nel varano), capace di eccitare e stimolare l’eiaculazione nei rapporti intimi.

Quando tornava alla reggia, dai suoi piacevoli soggiorni e dai divertimenti, aveva una scorta esigua fatta di barbari rozzi che neanche capivano la lingua greca; anche i camerieri e sentinelle le sceglieva tra costoro.

Si era messo in casa un cane dai denti aguzzi, in grado di combattere con leoni e far cadere a terra un cavaliere armato; le guardie del corpo e la scorta, di notte, dormivano poco distanti dalla sua camera, mentre il cane era legato alla porta e al minimo rumore si agitava e si metteva ad abbaiare forte con la sua voce di bronzo.

Metteva in ridicolo i costantinopolitani e la loro prontezza nel servire e blandire i regnanti e appendeva sotto i portici dell’agorà le corna dei cervi, presi a caccia per mettere in ridicolo la dissolutezza delle loro mogli.

Quando Andronico tornava dai posti ameni della Propontide, quel giorno si poteva considerare nefasto, per la sua voglia di uccidere chi sospettava come traditore; il suo arrivo era considerato una afflizione, poichè egli considerava intollerabile il giorno in cui non avesse divorato le carni di qualche personaggio eccellente e non gli avesse spento la luce degli occhi.

Neppure le donne potevano evitare di cadere sotto accusa e soffrire mali esecrabili; non poche di esse persero la luce degli occhi, soffrirono la fame del carcere e i maltrattamenti fisici; erano molti quelli che per sfuggirlo, partirono per l’esilio. 

 

 

ANDRONICO COLPISCE

I PRIVILEGI E LA CORRUZIONE

E FA CESSARE

IL SACCHEGGIO DELLE NAVI

SUE GRANDI OPERE

 

 

S

ebbene fosse iracondo, violento, duro e inflessibile nel punire e scherzasse sulle disgrazie altrui, credeva di rafforzare il potere e di consolidare il regno da trasmettere ai suoi figli, annientando gli altri.

Tuttavia, commenta Niceta, ebbe anche parte in non poche buone azioni, in tal modo contenne l’avidità dei potenti in modo da fermare le mani di coloro che andavano in cerca di beni altrui; in tal modo durante il suo regno, nella maggior parte delle province, si ebbe un incremento della popolazione.

La sua presa del potere, considerandola nella attualità, si era concretizzata in un vero e proprio “colpo di stato” contro la nobiltà adagiata sui propri privilegi oramai secolari, che Andronico riteneva eliminare in un sol colpo; e nello stesso tempo, con l’idea di una maggior giustizia sociale, agevolava, - ciò che avveniva per la prima volta nell’impero bizantino - la classe dei contadini e metteva ordine nella pubblica amministrazione sommersa dalla corruzione, dalla vendita delle cariche e dalle malversazioni fiscali, che furono colpite alla radice; ma il suo pugno di ferro aveva suscitato la reazione della “folla” di Costantinopoli, sostenuta dalla nobiltà e dalla Chiesa, che gli aveva fatto fare una fine orrenda.

Gli esattori lo temevano ed erano divenuti molto attenti quando riscuotevano le tasse, ad attenersi alle  disposizioni; coloro che rivestivano cariche pubbliche erano mandati nelle varie sedi con ricchi stipendi e costoro erano consapevoli di ciò che avrebbero patito se avessero trasgredito e in poco tempo la maggior parte delle città rinacque e riacquistò la prosperità di prima.

In prossimità delle spiagge, coloro che abitavano nelle vicinanze avevano l’abitudine di saccheggiare  le navi sulle quali si era abbattuto un fortunale, rubando quanto il mare non era riuscito a portar via; i consiglieri di Andronico ritenevano fosse impossibile poter eliminare questo male, sebbene vi fossero molte disposizioni imperiali che vietassero il saccheggio, ma erano tutte inosservate.

Andronico guardando irritato tutti quelli che gli stavano intorno, rispose che non vi  era nulla che gli imperatori non potessero correggere ... e loro erano degli infingardi o fingevano solo di irritarsi per quei gravissimi mali; essi avrebbero dovuto usare la spada, diceva l’imperatore, che non portavano invano né inutilmente.

Tutto questo, egli disse, doveva cessare; doveva cessare l’assalto alle navi e il loro saccheggio e anche l’abitudine di schiodarle e segarle; egli avrebbe ritenuto responsabile il governatore della provincia; sappiate, aggiunse, “che chi disobbedisce al mio ordine sarà appeso all’albero della nave, e se l’albero è stato portato via dal mare, sarà appeso alla forca in cima a un’altura vicina al mare su un palo lunghissimo e dritto, affinché sia visibile a quanti navigano in mare aperto ai quali apparirà come una vela sull’antenna e mostrerà che ha fatto naufragio in terra e sarà preso come segno del fatto che ora non giova più distruggere le navi e saccheggiarne il carico”.

Sembrava un mutamento operato dalla mano divina - commenta Niceta - che così conclude: - “Dio tese nell’aria il suo arco a significare che l’acqua non avrebbe più inondato la terra”: - Da quel momento i saccheggi ebbero fine!

Andronico, aveva capito che una buona amministrazione pubblica per prima cosa deve curare le opere pubbliche per tenere il paese al passo con i tempi (*) e si era dedicato alla ricostruzione delle condotte delle acque sotterranee, stagnanti e maleodoranti, sostituendole con acqua corrente; per far ciò le acque del fiume Idrali erano state convogliate ed era stata costruita alle sue sorgenti una torre e degli edifici per soggiorni estivi (distrutti per cancellarne il ricordo, dal suo mediocre successore Isacco Angelo); nei pressi delle Blacherne  fu risparmiata una cisterna che portava l’acqua all’agorà.

Non vi potevano essere dubbi sulla sua rettitudine e sul suo amore per le giustizia ed era stata rinnovata la magistratura pretoria, ma erano i difetti del suo carattere che prevalevano!

Alla magistratura furono assegnati uomini illustri e membri del senato i quali erano ben remunerati e il loro stipendio andava dalle quaranta alle ottanta mine di moneta argentea; in breve tempo le città ebbero grande sviluppo; la terra dava prodotti in grande abbondanza e la vita costava poco.

Andonico era affabile con quanti denunciavano i prepotenti; chiamava ambedue le parti e ascoltava entrambi e alla fine infliggeva al colpevole la pena adeguata.

Alcuni campagnoli avevano denunciato Teodoro Dadibreno  (che si era prestato a stragolare il giovane Alessio)  perché costui, durante un giro di ispezione, si era rifornito di viveri per la sua scorta e per le cavalcature e non aveva versato alcun compenso. Andronico lo mise sotto processo e accertato che l’accusa era veritiera, Dadibreno fu punito con dodici bastonate e con il versamento delle spese ai funzionari del tesoro imperiale.

Era desiderio di Andronico farsi seppellire  nella chiesa dei Santi Quaranta Martiri, la più belle e più grande che si trovava nel centro di Costantinopoli, ma era in declino; egli la fece restaurare  splendidamente, facendo trasportare nel suo cortile una grande vasca che si trovava nel Magno palazzo, ai cui bordi vi erano  due spaventosi serpenti avvolti in spire.

All’esterno della chiesa (non più esistente), si fece rappresentare  non con abiti imperiali ma come un lavoratore con un abito scuro (su questa foggia di contadino nessuna delle ipotesi degli studiosi è prevalsa) con una sopraveste con due spacchi fino alle natiche, con stivali bianchi fino al ginocchio e in mano una falce pesante e massiccia che ghermiva e catturava un ragazzino bello come una statua: riferimento non tanto nascosto al misfatto e uccisione del giovane imperatore Alessio e del regno e della sposa che si era procurati.

Andronico meditava anche di fare sostituire un monumento già esistente (Anemodoulion)

con una sua statua in bronzo, su base quadrata, con amorini nudi che si lanciavano mele, mentre la figura dell’imperatrice (che, come detto, era molto bella), sarebbe stata rappresentata da una vecchia rattrappita, per timore che i passanti vedendola di bell’aspetto, avessero potuto averne pietà!

Inoltre, nelle vicinanze della chiesa dei Quaranta Martiri fece costruire per sé un lussuoso palazzo, per quando si recava al tempio.

Come affreschi, non avendo proprie imprese da far rappresentare, furono dipinte scene di caccia al cervo, alla volpe, al cinghiale (definito porco con le zanne sporgenti), colpito da un giavellotto, e uno zumbro (bue selvatico) colpito da una lancia; inoltre lo stesso Andronico era ripreso  mentre tagliava la carne di cervo o di cinghiale che arrostiva sul fuoco e altre cose simili: tutto fu distrutto per non conservarne il ricordo.

 

 

*) Niceta con questa frase ci ha stimolato a scrivere una Scheda (in Schede S.) sulla - Ricostruzione dell’Italia: Come finirà? – giunta proprio al momento giusto!

 

 

IL RISVEGLIO DELLA

BRUTALITA’

 E LA PREDIZIONE  

DEL FUTURO

 

 

M

a la sua brutalità di fondo doveva ancora emergere; quando vide che i nemici esterni invadevano e devastavano il territorio dell’impero e i cittadini si prendevano la libertà di parola e si agitava con intenti di rivolta “concepì malizia e partorì ingiustizia”: condannò a morte, facendo fare i provvedimenti dalla congrega dei giudici che seguivano i suoi dettami, di tutti quelli che si trovavano nelle carceri, alcuni furono uccisi a colpi di spada, altri furono buttati in fondo al mare, ad altri fu squarciato il ventre con la scimitarra e altri ancora furono uccisi in altro modo; in questa carneficina, furono coinvolti anche i loro parenti.  

In proposito Andronico diceva “Che cosa si guadagna, se mentre si taglia una sola testa, ne mascono ancora di più e  ad esse non si accosta il ferro stridente?”.

Le decisioni dei giudici le conservò in un cofanetto, nel caso in futuro avesse dovuto darne conto! E infatti quando fu arrestato qualcuno gli chiese conto di ciò che aveva fatto ma lui si giustificò dicendo che erano stati i giudici e il senato a decretare quelle punizioni.

In questa sua spregevole azione voleva coinvolgere il figlio Manuele, il quale però prese le distanze, non potendo tollerare una decisione che prevedeva la eliminazione di metà della popolazione!

Stavano per essere radunati tutti insieme coloro che erano stati condannati all’esilio nelle diverse province e coloro che eramo stati rinchiusi nelle prigioni in modo che ognuno subisse la morte alla quale era stato destinato.

La situazione era divenuta insostenibile e la popolazione ora desiderava la sua morte e riteneva che la sua fine avrebbe comportato la fine dei propri guai: quando si è nella disperazione si vorrebbe sapere cosa prevede il futuro e si ricorre a chi possa prevederlo.

In quell’epoca, vi erano diverse forme di divinazione; l’osservazione delle viscere degli animali sacrificati era cessata come quella dell’osservazione del volo degli uccelli; vi era ora l’interpretazione dei sogni e l’osservazione del movimento dei pianeti.

A Costantinopoli vi era Skleros Seth (*), fatto accecare dall’imperatore Manuele I, il quale (avendo recuperato la vista), praticava la “lecanomanzia” vale a dire la lettura delle immagini che si formano nell’acqua contenuta in un bacile metallico e la “catoptromanzia”  ossia la lettura delle immagini che si riflettono in uno specchio per effetto dei raggi del sole.

Andronico, non volendo assistere personalmente all’esperimento, affidò l’incarico a Stefano Agiocristoforita: la domanda era: Chi avrebbe regnato dopo di lui; ... emerse il nome di “Isacco”, e Andronico congetturò che fosse Isacco Comneno che si era impadronito di Cipro, dove si trovava; poi fece chiedere il momento in cui ciò sarebbe avvenuto e lo spirito rispose che il fatto sarebbe avvenuto entro i giorni dell’Esaltazione della Croce (che cadeva il quattordici settembre); era l’inizio del mese di settembre e Andronico ebbe un sorriso amaro e disse che l’oracolo aveva detto una sciocchezza, perché Isacco in quei pochi giorni non avrebbe potuto arrivare da Cipro e togliergli il potere!

Inoltre Andronico non dette peso al giudice del Velo, Giovanni Apotira, suo servitore, che suggeriva di arrestare Isacco Angelo e di eliminarlo, nel sospetto che il vaticinio si riferisse a lui; ma Andronico non prese sul serio Apotira in quanto considerava Isacco Angelo debole di carattere e buono a nulla!

Ma Agiocristoforita pensò di arrestare ugualmente Isacco Angelo e metterlo in prigione, per poi ucciderlo.

 

 

 

*) L’umanità ha sempre voluto scrutare il futuro e fin dai primordi ha cercato di farlo nei modi più disparati e  nello stesso tempo ingegnosi ... ritenendo di riuscirvi; ma il futuro è nelle mani della casualità ed è assolutamente imperscrutabile; e quando le previsioni possono essere ritenute esatte ... sono solo coincidenze!

Durante il regno di Manuele I vi erano due maghi Skleros Seth e Michele Sikidites che mentre praticavano apertamente l’astrologia, si riteneva praticassero la magia demoniaca (anch’essa del tutto illusoria!), per questo Manuele li aveva fatti accecare.

Si raccontava infatti che Skleros si fosse innamorato di una fanciulla di età da marito che lo aveva respinto; ma lui le aveva mandato una pesca (chiamata mela persiana) con una mezzana; la ragazza l’aveva appoggiata sul suo sesso ed era a impazzita d’amore per Skleros dal quale, piena di amore afrodisiaco, si era fatta violentare; i parenti della ragazza lo denunciarono dicendo che Skleros oltraggiava le vergini  servendosi di un frutto simile al serpente, origine di tutti i mali, per questo fu punito dall’imperatore.

Di Skilites invece si diceva che traeva in inganno il prossimo facendo vedere cose diverse dalla realtà; un giorno dall’alto della reggia aveva visto all’approdo un battello che aveva un carico di piattini e scodelle; volle fare una scommessa con i presenti che gli avrebbero dato una ricompensa, se il marinaio avesse rotto tutte le ceramiche; essi accettarono e poco dopo il marinaio preso il remo distrusse tutte le ceramiche; tutti risero per l’accaduto e poco dopo il marinaio riavutosi dall’annebbiamento si lamentò piangendo e singhiozzando per ciò che aveva fatto; si era giustificato dicendo di aver visto sui piattini un serpente con gli occhi fiammeggianti che lui aveva cercato di colpire, ma quando aveva finito di sbriciolare le ceramiche, il serpente era sparito.

Su Skidites se ne raccontava un’altra: Skidites era in un bagno ed era venuto a diverbio con alcuni che volevano usare lo stesso sapone e Skidites, lasciandoli,  se ne andò negli spogliatoi; poco dopo anche gli altri andarono via spaventati, in quanto, dicevano, di aver visto degli uomini più neri della pece balzare fuori dai tubi che li avevano cacciati a calci nel sedere!

Per questi ed altri motivi i due maghi furono condannati all’accecamento.

 

 

 

AGIOCRISTOFORITA

SI RECA DA

ISACCO ANGELO

PER ARRESTARLO

 

 

 

I

sacco Angelo era figlio di Andronico Angelo, il quale due anni prima era fuggito da Costantinopoli con i suoi figli e si era rifugiato nella città di Accarone in Cilicia (Palestina); due dei suoi figli erano andati a gettarsi ai piedi di Andronico per il perdono; ma Andronico li aveva fatti accecare; due altri erano andati a rifugiarsi presso Saladino (v. Il feroce Saladino in Cap. VIII P.II); dopo qualche tempo uno dei due, appunto Isacco, tornava a Costantinopoli, ottenendo il perdono di Andronico che lo disprezzava, ritenendolo un poltrone e buono a nulla, per questo egli pensava che su Isacco non potesse cadere nessun sospetto di una azione nei suoi confronti; ma Agiocristoforita decise ugualmente di andare ad arrestarlo.

Giunto presso la sua casa nelle vicinanze del monastero di Peribleptos (a sud della città l’11.IX.11185), entrato nella corte, gli chiese di scendere; Isacco aveva capito le sue intenzioni e decise di resistergli, mentre Agiocristoforita aveva dato ordine ai suoi di prenderlo per la barba e per i capelli e buttarlo giù a capofitto e portarlo in carcere.

Isacco, vista l’impossibibilità di fuggire, sguaina la spada, salta su un cavallo che era nella corte e alza la spada sulla testa di Agiocristoforita, il quale era su una mula e spaventato stava per dirigersi verso l’uscita, quando Isacco cala il fendente e gli taglia la testa in due, lasciandolo per terra in pasto ai cani; poi ferisce i due accompagnatori e si dirige verso la Chiesa Grande attraversando la Mese e l’agorà e gridando di aver ammazzato Stefano Agiocristoforita.

Giunto presso la Chiesa, sale sul podio su cui salivano gli omicidi e confessa il proprio misfatto, chiedendo perdono a tutti coloro che entrano ed escono dalla Chiesa; la popolazione che di norma affollava le strade della città, affluisce nella Chiesa per vedere Isacco e rendersi conto di quanto stesse accadendo e tutti erano convinti che Isacco sarebbe stato arrestato e sottoposto a pene terribili.

Lo raggiunsero suo zio, Giovanni Ducas, e il figlio di questo Isacco, non perché fossero compartecipi dell’assassinio, ma perché erano corresponsabili per il giuramento di fedeltà fatto ad Andronico.

Essi, temendo di essere arrestati da un momento all’altro, pregavano la folla di rimanere con loro e prestar loro aiuto; Isacco, supplicando la gente, riuscì ad ottenere che alcuni chiudessero le porte della chiesa e portassero delle torce e al mattino seguente gli abitanti della città erano tutti lì.

Andronico che non era nella reggia ma a Meludio, nel palazzo fuori città, venne a sapere della morte di Agiocristoforita e inviò una lettera laconica agli abitanti, dal significato oscuro “Chi ha avuto, ha avuto; la pena è tolta”, più che altro per avvisarli a stare tranquilli e il giorno successivo egli si recò al Grande Palazzo con la nave imperiale.

La folla, come se avesse obbedito a un solo comando (vi erano comunque i capipopolo che la dirigevano), si diresse verso la reggia e per prima cosa si recò verso le prigioni, liberando tutti i prigionieri, che non erano tutti malfatori ma vi erano anche persone altolocate.

Tra la folla vi era chi era armato di spada, chi portava lo scudo e la corazza, altri avevano mazze  e bastoni e Isacco fu proclamato imperatore (*); un sacrestano con la scala prese la corona di Costantino il Grande e la mise sulla testa di Isacco il quale si mostrava riluttante; Giovanni Ducas, toltosi il berretto dalla testa, chiese che la corona dosse messa sulla sua testa, lucida come una luna piena, ma la folla rifiutò, dicendo che non voleva un vecchio a governare; tra i cavalli imperiali dalle bardature dorate un cavallo si impennò, facendo cadere lo scudiero che lo montava, mettendosi a correre tra i viali; il cavallo fu preso e porttato da Isacco perché lo montasse.

Il patriarca Basilio Camatero, benché riluttante per il rito, era seguito dalla folla che si dirigeva verso la reggia dove si trovava Andronico che aveva pensato di respingerla e combattere, ma essendo pochi quelli che lo avrebbero seguito, incominciò a scagliare frecce dall’alto della torre chiamata Kentenaion, ma quando capi che ciò che stava facendo era inutile, qualcuno gli suggerì di parlare al popolo e dire che cedeva il potere al figlio Manuele; ma il popolo, reso più violento, mandava terribili insulti d’ogni genere.

La folla, dopo aver divelto la porta Carea, si riversò nella reggia; Andronico, tolti gli stivaletti rossi, si diede alla fuga e strattata dal collo la croce, suo antico amuleto e messo sulla testa un berretto barbarico somigliante a una piramide, salì sulla nave imperiale con la quale era giunto da Meludio e tornato nello stesso palazzo, prese Agnese, vedova di Alessio (*) e la prostituta Maraptica, per la quale Andronico era impazzito d’amore, e si diresse verso i turcomanni; Isacco mandò dei soldati a inseguirlo.

Il popolo non solo si diede al saccheggio del palazzo e raggiunte le cappelle furono strappati tutti gli ornamenti, ma rubò anche il vaso dove si trovava la lettera scritta da Gesù, ad Abgar (v. in Specchio dell’Epoca: Lettera di Abgar a Gesù ecc.).

 

 

 

 

*) Sarà un monarca mediocre: Voltaire (Moeurs, Vol. III) scrive che Isacco Angelo, che aveva punito l’usurpatore con atrocità, fu egli stesso spogliato (come vedremo nelle prossime puntate), da suo fratello Alessio Angelo, che prese il nome della famiglia imperiale Comneno e fu la causa della presa di Costantinopoli da parte dei crociati; inoltre, il figlio Isacco Angelo dovette recarsi a implorare l’aiuto del papa e dei veneziani contro le atrocità dello zio, abbracciando la religione latina.

**)  Come si vede, Agnese-Anna (1171 c.ca-1240), divenuta bizantina al punto da dimenticare la lingua materna (quando nel 1204 arrivarono i connazionali francesi, non li capiva), era passata con facilità dalle braccia del suo quasi coetaneo Alessio (tra i due vi erano due anni di differenza; come abbiamo visto quando era arrivata aveva otto anni e si era sposata a nove) a quelle dell’orco Andronico che ne aveva sessantacinque (il matrimonio fu celebrato in Santa Sofia nel 1182 e fece scandalo nella stessa Bisanzio, abituata a ogni tipo di misfatti e scelleratezze!); quando poco dopo, Andronico muore, Agnese, non ancora quindicenne era già vedova di ben due imperatori e diventa amante di Teodoro Brama (figlio del generale Alessio la cui madre era nipote di Manuele), come racconta  Charles Diehl (in “Imperatrices de Bysance”), che in seguito la sposò.

 

 

ANDRONICO CATTURATO

E’ DILEGGIATO

E OLTRAGIATO

CON FEROCIA DAL POPOLO

 

 

D

opo alcuni giorni, Isacco si trasferì alle Blacherne dove gli annunciarono che Andronico era stato catturato; era giunto a Chele (fortezza sul Ponto Eusino) dove, la gente del posto, pur vedendo che non aveva alcun segno distintivo gli preparò una nave; anche il mare era agitato e respinse la nave a riva; ciò avvenne diverse volte, finché giunsero gli sbirri che lo misero in catene e con le due donne fu messo su una barca.

Avendo mani e piedi legati, modulando la sua voce di usignolo si mise a cantare un canto lamentevole e commovente con cui narrava come era elevata la sua sturpe, la sua nobiltà,  la sua precedente fortunata condizione e la sua vita errabonda; le due donne rispondevano al suo canto; ma questa sua astuzia era caduta nel vuoto, in quanto non commuoveva quelli che lo avevano arrestato.

Fu rinchiuso nella prigione Anema che prendeva il nome da Michele Anema che aveva capeggiato una rivolta contro Alessio I Comneno, ed era stato ivi rinchiuso (1105).

Portato alla presenza di Isacco, lo prendono a schiaffi in faccia e a calci nel sedere, gli strappano la barba, i denti ed è esposto al pubblico ludibrio.

Anche le donne gli danno pugni in faccia, soprattutto quelle che avevano perso i propri mariti uccisi da Andronico o che erano stati accecati.

Dopo avergli tagliato una mano con la scure, è riportato in prigione senza cibo e assistenza; dopo alcuni giorni è messo su un cammello rognoso (secondo altri dietro un cammello al quale era stato dato un purgante!) e portato in giro per l’agorà.

Come una vecchia quercia senza foglie, metteva in mostra un cranio glabro come un uovo; addosso aveva uno straccetto; lo spettacolo era pietosoe, avrebbe strappato fiumi di lacrime a chi avesse avuto un minimo di umanità.

Ma gli stupidissimi abitanti di Costantinopoli – dice Niceta – e tra questi in particolare i salsicciai, i conciapelli, quanti passano la giornata nelle taverne vivacchiando poveramente, rattoppando le scarpe, ricavando a stento il pane con gli aghi, radunatisi come sciami di mosche, non facendo alun conto che quest’uomo due giorni prima  era un imperatore, cinto con corona imperiale, osannato, acclanmato, riverito da tutti come un salvatore al quale avevano confermato la fedeltà e benevolenza con giuramenti, costoro dunque, con animo stolto e mente ancora più stolta, non tralasciarono alcun oltraggio che gli potessero infliggere senza in minimo di pietà umana.

Alcuni lo colpivano alla testa con mazze, altri gli imbrattavano le narici con escrementi di bue, altri, con spugne, gli versavano sul viso lordure di ventri di bovini e umani; altri inveivano contro la madre e il padre; alcuni trapassavano i suoi fianchi con spiedi, altri gli lanciavano pietre e lo chiamavano cane rabbioso. Una meretrice dissoluta aveva prelevato da una cucina un vaso pieno di acqua calda e glela versava sulle guance.

Non c’era nessuno che non lo maltrattasse; alla fine fu appeso per i piedi alle due colonnine sormontate da una pietra su cui si ergeva una lupa e una iena di bronzo con il collo piegato (distrutta dai crociati nel 1204).

Pur subendo tanti tormenti che gli erano inflitti, Andronico, di animo forte, li accettava stoicamente, resistemdo coraggiosamente e volgendosi a quanti lo colpivano diceva “kyrie eleison, perché spezzate una canna già infranta?”.

Neppure dopo averlo appeso per i piedi la folla lo risparmiò e toltagli la camicia, massacrò i suoi organi genitali; uno scellerato immerse la lunga spada nelle viscere fino alle fauci; alcuni latini gli piantarono la scimitarra nell’ano e dispostisi intorno, infilavano le spade, provando quale fosse più tagliente e gloriandosi per la destrezza della propria mano, per il colpo assestato.

Dopo tante sofferenze Andronico spirò portando il braccio destro sulla sua bocca; alla gente sembrò che volesse succhiare il sangue caldo che usciva dalla sua mano, come un vampiro: siamo contrari a questa ulteriore cattiveria –  dice Niceta – è possibile che abbia voluto bagnarsi le labbra  perché in quei casi si desidera acqua fresca.   

 

 

FINE DEI DUE ANNI

DI REGNO

DI ANDRONICO

 

 

A

ndronico aveva regnato due anni (1184-1185) di cui uno con la veste imperiale: Niceta così lo descrive: Fisicamente era di aspetto ammirevole, dritto il portamento simile a un eroe (Niceta con i suoi riferimenti classici, lo paragona a Odisseo; di effigi di Andronico non ne sono pervenute, perché erano state tutte distrutte e fatte a pezzi); anche in età avanzata era di prestanza giovanile e di salute sana perché non era goloso e intemperante nel mangiare e ingordo e incline ai cibi cotti sul fuoco, per cui nessuno lo sentì mai ruttare. Se qualche volta stava male di stomaco, rimuoveva il disturbo con l’attività fisica e il digiuno per una intera giornata e nutrendosi con un pezzo di pane e una mistura di vino; sicché non usava mai alcun rimedio, se non una volta durante il regno, spinto dai medici che gli imposero la mdicina, non per il malessere, ma come prevenzione; bevuto il purgante si liberò di alcune scorie che aveva nelle vene e i suoi compagni gli ricordarono l’antico responso “Portatore di falce, ti aspettano quattro mesi” ed egli ridendo aveva risposto che era falso in quanto, fidando sulla sua robustezza avrebbe potuto resistere lottando contro qualsiasi malattia e riteneva che sarebbe stato vinto da una dolce morte, escludendo una morte violenta!

Si raccontava che una volta, riferendosi alle due statue dove finirà appeso, aveva detto al cugino imperatore Manuele, che un giorno un imperatore sarebbe lì penzolato dopo aver subito gli oltraggi della cittadinanza e Manuele gli rispose che certanente non sarebbe stato lui (intendendo sé stesso)  a subire quella sorte!

Dopo alcuni giorni il suo corpo fu tirato giù dalle due statue e gettato sotto una volta dell’Ippodromo, successivamente, alcuni che avevano il senso della pietà, portarono via il cadavere e lo depositarono in una profonda fossa vicino al monastero di Eforo, che sorgeva verso Zeusippo, da dove il suo successore Isacco non volle fosse spostato nella chiesa dei Santi Quaranta martiri, dove Andronico desiderava essere sepolto.

Come abbiamo detto Andronico aveva una grande passione per le lettere di san Paolo che, all’approssimarsi della sua fine, dagli occhi del santo erano stillate delle lacrime che proprio Stefano Agiocristoforita, salito su una scala andò ad asciugare, ma continuava a lacrimare e Agiocristoforita andò a raccontarlo ad Andronico il quale, scuotendo la testa, disse che san Paolo piangesse proprio per lui e questo gli faceva presagire il peggio.

A dirla in breve, commenta Niceta, se Andronico avesse allentato la tensione della sua crudeltà e non avesse fatto ricorso al ferro e all’incisione (le crudeltà del regno di Amdronico erano state paragonate all’uso del ferro cauterizzante), intracciando e tingendo sempre con gocce di sangue la sua veste, a causa della inflessibilità nel voler punire secondo le esperienze assimilate presso i popoli barbari, presso i quali era vissuto.

E tra i Comneno, sarebbe stato l’ultimo di quelli che regnarono, poiché anche in lui vi erano delle grandi qualità umane; egli non era del tutto un bruto, ma come le figure di duplice natura, pur avendo una parte bestiale, è possibile che fosse dotato anche di un minimo di umanità.

Dei suoi due figli maschi Manuele e Giovanni che si trovavano con l’esercito a Filippopoli, Manuele riuscì a salvarsi recandosi a Trebisonda, dove, come abbiamo detto,  diede luogo al ramo collaterale dei Comneno, Giovanni morì in carcere dopo essere stato accecato, probabilmente per la perdita di sangue avuta dopo l’accecamento.

 

 

 

 

FINE