RIPRODUZIONE SATIRICA DI MIGUEL CERVANTES

 

 

RARITA’ LETTERARIE

 

IL BUSCAPIÉ

DI

 MIGUEL CERVANTES

de Saavedra

 

L’opuscolo in cui Cervantes spiega le ragioni

 della scrittura del Don Chisciotte.

 

a cura di

Michele E. Puglia

 

 

B

uscapié era un serpentello che i ragazzi  lanciavano tra le gambe dei passanti per spaventarli ed era anche un’idea lanciata a caso per suscitare delle reazioni.

Quando era stata pubblicata la prima parte  del don Chisciotte,  il libro non aveva avuto un immediato riscontro di vendite, perché aveva creato sconcerto tra i lettori che  non lo avevano ben compreso.

Cervantes aveva quindi scritto questo libretto, pubblicato anonimo, per spiegare il suo don Chisciotte e questa spiegazione era data sotto forma di critica al libro.

Questa piccola opera, stampata anonima, estremamente rara, faceva in apparenza una ingegnosa critica al don Chisciotte, dando a intendere che fosse una critica, fortemente mascherata da molti personaggi noti e altolocati, deliberatamente lasciati  sotto il velo dell'incognito. 

Con una critica così sottile e nello stesso tempo abilmente condotta, fu così eccitata la curiosità di un pubblico avido di scoprire ciò che il Buscapié aveva lasciato intendere, suscitando la voglia di divorare la lettura del don Chisciotte ... come poi avvenne (anche se vi era chi riteneva che il libro avesse ottenuto il successo dal primo momento e non vi fosse bisogno della pubblicazione del libretto!).

Si era ritenuto che in questo libretto Cervantes si burlasse  dell'imperatore Carlo V e del duca di Lerme (favorito di Filippo III) e che il libro costituisse una satira contro di loro, sebbene Cervantes, a parte qualche larvata indicazione, non avesse mai fatto meznione, nei suoi scritti satirici, di qualsiasi persona.  

Egli aveva scritto nel suo “Viaggio al Parnaso” : La mia umile penna non ha mai preso il suo volo nel campo satirico, bassezza che non produce delle ricompense infami delle disgrazie”.

Cervantes non somiglia al conte di Villamediana, autore di tanti versi  satirici contro il duca di Lerme (il monaco Luis Aliaga), e contro il conte-duca d’Olivares, uomo che non rispettava niente e tantomeno la sventura; perché il giorno in cui il duca di Lerme decadde dal favore di cui (Villamediana)  godeva, e Aliaga indossò la porpora di cardinale, scrisse sui muri della capitale: Per non morire appeso, il più gran ladro di Spagna, si e' vestito di porpora.

Egli pagò con la vita le sue satire sebbene alcuni la attribuissero ad altre cause.

Sulla  trovata di Cervantes per spiegare le intenzioni del romanzo vi era stato chi aveva ritenuto che il successo di vendite fosse stato immediato, per cui non occorreva nessun chiarimento e il motivo del Buscapié sarebbe stato un altro, vale a dire la difesa del Don Chisciotte contro le critiche mosse all’opera da persone ritenute dotte.

Dopo questa geniale trovata, il don Chisciotte era stato capito e aveva avuto il suo meritato successo.

Di questo libretto, a metà del “1800” era stata fortunosamente trovata una copia di altra copia manoscritta del 1606 (uscita dalla biblioteca del duca portoghese de Safoez), la cui trama, pubblicata in francese, altrettanto fortunosamente capitata nelle nostre mani, la riproduciamo nel presente lavoro.

Nella prima parte del Don Chisciotte, Cervantes anticipa le critiche che avrebbero potuto fargli sul matto che egli aveva immaginato, che credeva alle prodezze dei cavalieri erranti, per andarsene in giro per il mondo alla ricerca delle avventure (si veda il cap. XLIX); ma egli previene questa critica opponendo agli argomenti (in particolare del canonico di cui parleremo tra breve), i guerrieri spagnoli che si esercitavano al mestiere della cavalleria errante. 

L’opera ebbe comunque  ugualmente molte critiche.

Cervantes volle criticare, tra gli altri, uno dei suoi più astiosi censori, l’ecclesiastico di cui aveva parlato nella seconda parte del suo romanzo, ospite del duca e della duchessa di Criscialva (Cap. XXXI), quando dice: L’ecclesiastico che sentiva parlare di giganti, di gaglioffi, di malandrini di incantamenti, immaginò che si trattasse di don Chsiciotte della Mancia, di cui il duca leggeva frequentemente la storia, che egli aveva sovente rimproverato dicendo che era uno sproposito perdere tempo con simili frescherie ... e contegnoso e con sdegno disse al duca medesimo: Vostra eccellenza renderà conto al Signore delle azioni fatte da quest’uomo dabbene. Questo Don Chisciotte o don balordo, o come si chiami, io credo che non sia tanto mentecatto quanto vostra eccellenza suppone...  Volto poscia il discorso a don Chisciotte, gli disse: E voi cervello stravolto, chi vi ha fitto in testa che siate cavaliere errante, che vinciate i giganti, sogghigniate i malandrini?  Andate di buon’ora .... andate a casa vostra, educate i vostri figliuoli  e se ne avete, prendete cura della vostra roba e finitela di andare vagando per il mondo poppando vento e dando di che ridere a quanti vi conoscono o non vi conoscono. Dove avete trovato che sono esistiti i cavalieri erranti o che esistono al presente? . . . (*)

Si è ritenuto che questo ecclesiastico o religioso, come lo chiama qualche volta Cervantes, fosse il padre Luis Aliaga, all’epoca, commensale del duca di Bezar e in seguito confessore di Filippo III, e che questa avventura fosse arrivata quando Cervantes aveva chiesto al duca il permesso di dedicargli il suo libro e il diverbio aveva provocato una forte inimicizia tra Cervantes e l’Aliaga.    

Questo Aliaga nutriva una gran gelosia e per vendicarsi pubblicò la seconda parte del don Chisciotte sotto il nome di Alonzo Fernandez de Avelleneda, ciò che conferma che Aliaga sia l’autore di un altro pamphlet stampato senza indicazione del nome del vero autore, intitolato “Vendetta della lingua spagnola contro l’autore del racconto dei racconti”, di don Juan Alonzo Laurelez, semplice aragonese, divenuto castellano. Egli cita Lope (de Vegas) come modello, lo chiama il cigno  e fa sentire a Quevedo le sue deficienze personali come  la sua vista bassa e la lunghezza dei suoi piedi. E’ un libro tanto mal scritto quanto il Don Chisciotte scritto da Aliaga sotto il nome di Avelleneda.

Offeso per le ingiuste censure al suo libro, Cervantes scrisse nello stesso anno in cui era apparso il don Chisciotte (1605) il libretto intitolato Buscapié, che egli aveva intenzione di far stampare, come si rileva dalle approvazioni del dottor Gutierrez de Cetino e di Thomas Gracian Dantizco, ma non ottenne l’onore del timbro reale e non poté esser dato alle stampe; ma, nell’anno seguente (1606), era stata tirata una copia di un’altra copia dal signor Augustin Argote, figlio primogenito del celebre Gonzalo Zaticco, o Argote de Molina.

Lo stile e la genialità dell’opera (è detto nel Prologo dell’Editore) sono assolutamente di Cervantes; questa piccola opera è piena di frizzi e arguzie e costituisce una delle opere che fanno più onore alla graziosità della lingua spagnola ed è una delle migliori uscite dalla penna di Cervantes.

Il dialogo è eccellente e si può dire che sia superiore a quello che Cervantes usi in alcuni dei suoi scritti.

L’Editore conclude: Il vivo desiderio di strappare all’oblio questa preziosa opera così desiderata dagli eruditi e la certezza che sia una delle opere che onorano maggiormente il nome di Cervantes e la letteratura spagnola, ne hanno suggerito la pubblicazione.

Inoltre, l’Editore, per le frequenti allusioni che Cervantes aveva fatto alle cose del suo tempo, che meritavano di essere conosciute, aveva avuto la saggezza di arricchire il testo con numerose e lunghe note storiche, critiche e biografiche che si trovano nei due testi in lingua spagnola e inglese in circolazione; poiché la traduzione francese da noi utilizzata, ne è priva e, poiché un minimo essenziale di note non poteva mancare, le abbiamo limitate all’essenziale, prendendole dalla versione spagnola.Questo Aliaga aveva

 

 

*) Abbiamo preferito riportare il periodo tratto dalla versione italiana in quanto la traduzione dal francese non ci è sembrata soddisfacente.   

 

 

Il  BUSCAPIE

 

 IN CUI SI RACCONTA CIÒ CHE ERA CAPITATO ALL’AUTORE QUANDO SI RECÒ VERSO TOLEDO CON UN CERTO BACCELLIERE CHE EGLI AVEVA INCONTRATO.

 

 

SOMMARIO: L’INCONTRO CON IL BACCELLIERE; IL BACCELLIERE IMMAGINA LE QUALITA’ DELLA SUA CAVALCATURA; I DUE COMPAGNI DI VIAGGIO CERCANO L’OMBRA PER RIPOSARE; L’INGEGNOSO HIDALGO; MIO PADRE NOMINATO CAPITANO DALL’IMPERATORE; COSA PENSATE DI QUESTO LIBRO DON CHISCIOTTE?; LA PRINCIPESSA BACALAMBRUNA E IL CASTELLO INCANTATO; LA FIGLIA DELL’IMPERATORE VALE COME UNA FALSA MONETA;  IL VIAGGIO DI FILIPPO II IN ALEMAGNA FIANDRA E BRABANTE; LE ULTIME BATTUTE SUL LIBRO E TERMINE DEL VIAGGIO.

 

 

L’INCONTRO

CON IL BACCELLIERE

 

 

I

ncamminandomi verso Toledo, a qualche passo dal ponte toledano, vidi venire dritto verso di me un rispettabile baccelliere che montava un brocco dalla rozza taglia robusta, guercio di un occhio e nello stesso tempo più chiaroveggente dell’altro, con le gambe che trascinavano la loro debolezza con reiterate riverenze.

Il baccelliere, con aria molto grave e sentendo da lontano il suo baccalaureato, mi salutò; dal mio canto feci altrettanto con la più grande cortesia.

Egli passò pungendo spesso il suo infortunato ronzino, per farlo marciare con più ardore, se fosse stato possibile, a un povero provinciale la cui vecchiaia e le piaghe facevano male solo a vederle.

Il baccelliere si lasciò allentare la briglia, ma il ronzino, senza fare attenzione, non alterò la sua andatura temperata, perché era così duro di mascelle e di movimento; penso anche che fosse sordo a giudicare dalle crisi che il suo padrone aveva per fargli prendere il trotto; ma egli continuava  senza tener conto di niente, come se le crisi del suo padrone fossero destinate a inabissarsi nel pozzo di Airone o perdersi nelle arie della sommità del  Cabra.

Malgrado tutto il baccelliere viaggiava stimolando la sua cavalcatura sia con gli speroni, sia con la voce, ciò che mi forniva l’occasione di risate incoercibili. La scena diveniva ogni volta più interessante.

Il nipote di Babieca si mostrò subdolamente offeso per una tale ostinazione, poi si decise a non voler più avanzare, in modo che più egli era punzecchiato dal suo padrone, più si rifiutava.

Il baccelliere si rivoltò contro l’animale e non volle cedere alla sua ostinazione, al capriccio, alla cattiva intenzione che la sua cavalcatura manifestava in maniera così poco conforme al suo carattere, fino a quel momento molto dolce; egli si decise a colpirlo con forza, sperando di fargli prendere un’andatura più viva, ma invano perché la bestia, irritata, sebbene essa avrebbe dovuto essere più obbediente, dei colpi di bastone che il suo padrone si era munito nei casi più gravi, cominciò a dare delle graziose sgroppate e dei pericolosi sgambetti; il risultato fu quello di far cadere il suo padrone per terra.

Testimone di questo improvviso disastro, io punzecchiai la mia mula che non era molto vivace e giunto presso il baccelliere, nel momento stesso in cui, spinto da una furiosa crisi, imprecando e bestemmiando egli si rivoltava nella polvere, io tirai le briglie  della mia cavalcatura, e mettendo il piede a terra  gli dissi: Vostra signoria si calmi e mi faccia la grazia  di alzarsi se può e continuare a camminare; da questi malesseri sono colpiti i cavalieri che, come noi  si imbattono in cavalcature così villane.

Parlate per voi, disse lui, perché è a forza di essere buono che la mia mi ha giocato questo cattivo tiro.

Io dovetti fare uno sforzo estremo dal trattenermi dal ridere, ma alla fine, divenuto padrone di me stesso aiutai il povero diavolo a rimettersi in piedi. Una volta che fu in piedi, ciò che avvenne con difficoltà tanto la caduta era stata violenta, egli mi offrì una vista che era la più comica del mondo.

La sua piccola taglia era corretta da una graziosa gobba aggiunta alle sue spalle, come dei versi che coronano un sonetto. Questa gobba lo forzava a guardare più basso di come avrebbe voluto. Che cosa avrebbe detto il licenzioso Tamariz (1) che aveva l’abitudine di scrivere con la grazia che gli era abituale e uno spirito distinto tanto di strofe che di strofette, in favore dei gobbi? I suoi giambi rassomigliavano a un trancio di melone e i suoi piedi calzavano molto comodamente dodici punti; credo di non essere giusto sulla misura, può darsi che essa fosse ancora più corta.

Da ciò si vede come la natura è prodiga verso i mortali.

Il baccelliere aveva portato, nel frattempo, le mani alla testa, per assicurarsi che non fosse rotta. Egli cominciò a sentire il dolore delle sue ossa; ma  non essendo obbligato a intendersi di medicina, mi chiese con una voce flebile e lamentevole, dal momento che ero dottore (cosa che supponeva avendomi visto viaggiare su una mula (2)) quale rimedio sarebbe stato migliore per guarire la sua umanità offesa.

Gli rispondevo di non essere dottore; ma che quando sarei divenuto il celebre Juan de Villalobos (3) dei tempi antichi o il Nicolas Menardez (4) dei nostri giorni, avrei potuto donargli, come rimedio al male che la sua cavalcatura gli aveva causato, niente di più utile che concedersi al riposo e al sonno; che era ciò che io credo il più favorevole alla cura del suo malessere, al recupero della sua salute sconquassata e poiché il sole avanzava, pensavo che dovessimo metterci all’ombra di qualche albero, vicino alla strada sotto il quale avremmo riposato durante una gran parte della giornata, garantiti dall’ardente Apollo, fino a quando, con meno calore e le ossa meno peste, avremmo potuto riprendere il nostro cammino.

Oh, ciò mi fa piacere! Disse il baccelliere con il tono effeminato e lamentevole che aveva ripreso. Chi avrebbe potuto immaginare, disse, come  uno stregone, che la cattiva e impaziente natura di questa bestia feroce, non farebbe un flagello del corpo di un baccelliere graduato all’università di Salamanca e non a quella di Alcalà; perché in quest’ultima non vi sono che studenti poveri che vanno a prendere i loro gradi, perdendo, non recandosi a Salamanca, il privilegio di cui godono gli hidalgos di Spagna.

 

1) Joaquin Romero de Cepeda, autore dell’operetta “Conserva Spiritual”.

 

 

IL BACCELLIERE

IMMAGINA LE QUALITA’ DELLA

SUA CAVALCATURA

 

 

Helas! E’ possibile che un tale disastro mi colpisca. Mi hanno ben avvertito all’albergo che questo animale abbia un comportamento pericoloso, sebbene assai equilibrato nel resto. La dolcezza del suo pelo è indice, in effetti, della sua graziosa costituzione e della sua buona predisposizione; le sue membra sono formate  con una giusta ed elegante perfezione. I suoi zoccoli sono ben uniti, molto neri e ben tondi, larghi, duri e sotto incavati; le loro corone sono ben serrate tutt’intorno e abbondantemente villose. Ha il pasturale molto corto, né molto inclinato, né tutto dritto, e sembra al riparo dalle cadute.

Che qualità! Giunture vigorose, sane, che presentano il segno più positivo della forza; gambe larghe, dritte, quelle anteriori ben sciolte, tibie corte, ginocchia piatte, forti, spalle larghe, ben fornite di carne, petto grasso e tondo, fronte sfoltita e ampia, occhi ampi e protuberanti, orbite sporgenti, guance esili, narici aperte, di modo che si possa scorgere il color porpora interno, bocca grande, testa secca alla maniera degli arieti, che lasciano vedere dei larghi incavi in tutta la sua superficie.

Vedendo poi ciò che lui si preparava a continuare nella enumerazione delle virtù e delle qualità che supponeva avesse la sua cavalcatura e che non erano mai appartenute né al suo ronzino né alla sua razza e cercando di fermarlo, gli dissi con voce molto dolce:- Abbia vostra grazia la bontà di perdonarmi, signor baccelliere; ma io non trovo nel vostro cavallo tutte le cose e le grazie  che vi sembra di rimarcare riunite e ben coordinate; malgrado tutte le pene del mondo, io non saprei dargliele. Se vi ho sentito bene, le gambe che Vostra Grazia dice essere dritte e ben congiunte io le trovo contorte e separate e ciò che Vostra Signoria eleva fino al cielo è tutto sfregiato da cicatrici che impediscono l’uso della sella; infine l’animale tutto intero è così magro, da essere spossato.

Quanto agli occhi che Vostra Grazia ritiene neri e prominenti, che io perda i miei se non si vedono suppurare da quelli della vostra bestia, gli umori corrotti che soggiornano in un brocco di forma sì villana.

Non parve irritarsi di queste riflessioni un po’ ardite e senza avere l’aria di essere confuso, malgrado ciò che avevo visto e creduto; perché, occorre che voi sappiate che, se in tutto ciò che ho detto mi sono allargato dai limiti prescritti dalla ragione, occorre attribuire all’inconveniente di una bassa vista di cui soffro dagli anni della giovinezza e che è ancora più debole ora che ho parecchio letto e parecchio scritto, infermità che mi affligge estremamente; occorre che sappiate che ho lasciato l’albergo con un bel paio di occhiali. Ma per i miei grossi peccati, questo puledro ... .

Voi volete dire  ronzino, ribattei io. Ma lui proseguì nel suo racconto, dicendomi solamente: Ronzino, sì è ronzino se così vi piace. Ebbene! Sappiate che questo ronzino, come Vostra Grazia vuole ben chiamarlo, al momento di lasciare oggi l’albergo, ha fatto quattro o forse cinque salti (perché forse non li ho esattamente contati), salti che, non essendo un eccellente cavallerizzo, mi hanno gettato a terra nel bel mezzo del ruscello, da cui sono uscito piuttosto pesto e maltrattato: è allora che credo di aver perduto i miei occhiali.

Ecco la più spiacevole delle cadute che, per volontà di qualche spirito maligno si è introdotto, senza dubbio, nel corpo di questo animale, ho provato questa mattina per me così tragica.

La collera di questo animale, o piuttosto scheletro ambulante, vi ha dunque gettato per terra? – Il baccelliere mandò un gran sospiro che pareva uscire al fondo dell’anima e rispose: Non una volta, ma sei altre volte; perché è solamente al mio passaggio al ponte di Toledo che ho potuto resistere senza cadere grazie alla criniera alla quale mi sono aggrappato; senza di essa, a quest’ora avrei già cessato di vivere.

 

 

I DUE COMPAGNI

DI VIAGGIO CERCANO

L’OMBRA PER RIPOSARSI

 

 

 Il mio viaggio sarebbe cessato già prima di essere cominciato; ma in definitiva vedrei meglio che il tempo che passiamo a pronunciare delle vane parole lasciando fondere i nostri cervelli sotto gli ardenti raggi del biondo pianeta, fu impiegato a cercare la freschezza all’ombra di questi folti alberi con la speranza di trovare se non il risposo almeno la fine del malessere che mi avvolge così ostinatamente. Se l’idea vi appare buona, lasciamo le briglie e le attacchiamo ai tronchi di questi stessi alberi il mio puledro o il mio ronzino e la vostra mula, a meno che non vogliate lasciarli a brucare l’erba che questi campi producono sì abbondantemente per regalo e nutrimento delle truppe.

--- Facciamo ciò che voi volete, gli risposi, dal momento che il destino ordina che passi la giornata in vostra compagnia, ciò che faccio con gran piacere. Preso già da tenero affetto per voi, possiamo fare una buona siesta fino a quando la forza dei raggi del biondo Febo comincia a mitigarsi all’avvicinarsi della notte. --- Andiamo, aggiunse il mio caro baccelliere; perché per fare una diversione alla noia che dà l’abitudine all’ozio, mi sono munito di tre buoni libri di gradevolissima lettura; uno contiene dei versi religiosi, preferibili a quelli di Cepeda (1) e l’altro una prosa molto semplice, quanto poco spirituale. Se, al posto di andare da Madrid a Toledo noi veniamo da Toledo a Madrid, io vi  mostrerei due libri eccellenti dei quali l’arcidiacono M. mi ha fatto dono. Voi comprenderete come essi siano utili quando saprete che essi trattano di tutto ciò che esiste nell’universo, di modo che con essi, si diventa colti.

Una volta giunti  nel punto in cui vi erano i begli alberi folti, dopo aver attaccato ai loro tronchi le nostre graziose cavalcature, ci sedemmo sulla nostra madre comune, la terra, e ci disponemmo a dedicarci alla lettura con  tutta la tranquillità di spirito che chiede il saporoso studio delle lettere; il mio compagno aprì allora una borsa di cuoio dove si trovavano i libri indicati. Egli aprì il primo e lesse il suo frontespizio: “Versi religiosi per la conversione dei peccatori e per gli errori del mondo”.

--- E’ un libro, gli dissi, i cui versi sono molto dolci da leggere e di una poesia cristiana gradevole. Ho conosciuto il suo autore, monaco dell’ordine di San Domenico a Huet, sotto il nome di Pedro d’Ezinas (2). Doveva essere un uomo di molto spirito, senza parlare dei molti manoscritti di propria mano che circolano nel mondo, tutti approvati dalle persone colte.

Malgrado ciò, proseguì il baccelliere, se devo manifestare con nettezza il mio nodo di pensare, vi è in questo libro qualcosa che per me è ben scioccante: è di trovare tali e quali gli ornamenti e gli abiti delle muse cristiane con quelli delle muse adorate dal paganesimo. Perché a chi non ripugnerebbe di trovare il nome del Verbo divino e della santissima Vergine Maria, con quelli dei santi profeti mischiati con quelli di Apollo e Dafne, di Pan e Siringa, di Giove ed Europa, del cornuto Vulcano e del bastardo (hijo de puta nel testo spagnolo) di Cupido, dio cieco, nato dall’adulterio di Venere e Marte?

Per molto poco meno il padre Ezinas fu coinvolto in una certa occasione; ogni volta  che egli ripeteva durante il servizio della messa, Dominus vobiscum, una vecchia che passava la vita a dire le preghiere, rispondeva sempre con voce nasale Che Dio sia lodato. Il padre Ezimas sopportò questa impertinenza per alcuni giorni; ma vedendo la devota recidiva di questa celestina, egli si rivoltò una volta olto irritato e le disse le seguenti parole: Voi non avete mal impiegato il vostro tempo, buona vecchia, dal momento che non sapete rispondere ancora a Dominus vobiscum, che con Dio sia lodato; Andate a passeggiare voi e tutta la vostra razza e sappiate bene che sebbene queste parole siano sante e buone, esse qui non sono ammesse.

--- Voi avete ragione, caro baccelliere, gli dissi, sulle mancanze che voi trovate nei versi di Ezinas; ma a parte questa eccezione, è uno dei migliori libri che siano stati scritti in versi nella lingua castigliana. Per il suo stile elevato esso può rivaleggiare con le più famose opere dell’Italia, e per confermarvi questa opinione vi voglio recitare una strofa che si trova all’inizio di una delle sue canzoni e si esprime così (*):

Andad de la foresta – A sombras y frescura   Las bien apacentadas ovejuelasPasada la ardiente siesta –  Junto a las aguas puras: – Pasciendo flores id y yerbezuelas: – Vuestra cuidosas velas  Tras vos iran guardando, – I los  leales canes – Con bravos ademanes  A las hambrientas fieras asombrando;  Que allí serà contado –  De un pastor triste el doloroso estado.

--- Ebbene! Disse il baccelliere, malgrado l’elogio che voi fate di Ezinas, egli non mi sembra dei più gradevoli. Io non lo trovo eccellente come le rime dei versi di Aldana e quelli di un aragonese chiamato Alonso de la Sierra, poeta eccellentissimo che ha scritto versi spirituali;  non sono che tre giorni che sono arrivati per posta a Madrid; ecco dunque dei versi  che si credono dettati dallo stesso Apollo e le sue nove Muse.

Mettendo a fianco i versi di Ezinas io direi che quest’altro libro, che non è stimato dal pubblico più di due quattrini; da ciò viene che non contiene che balordaggini, delle follie e altre cose che si privano della regione e del gusto; è un riassunto di tutte le frivolezze e di tutte le stravaganze di cui molti altri libri, così nocivi alla cosa pubblica, sono riempiti ... .  

 

*) Poiché la traduzione francese non ci sembra confacente, riteniamo preferibile riportare l’originale testo spagnolo; la traduzione italiana, press’a poco, potrebbe essere la seguente: Vagando per la foresta – Sotto l’ombra e la frescura – Le ben pasciute pecore: – Passata la siesta ardente – Presso acque limpide: – Brucando  fiori e tenera erba: – Si prenderanno cura di voi – Tra di voi andranno custodendo –  I fedeli cani – In modo coraggioso –  Impauriranno le bestie feroci – Che possono minacciare la vostra esistenza – Che lì sarà valutato – Lo stato doloroso di un pastore triste. 

Per alcune piccole correzioni e per le note ci siamo serviti della edizione spagnola curata da don Adolfo de Castro pubblicata a Cadice il 1848.

2) Padre Pedro de Ezinas dell’Ordine dei Predicatori del convento di san Domingo in Huerte, aveva preparato per la pubblicazione una raccolta di poesie ma era stato colto da morte improvvisa, i suoi confratelli non lasciarono che rimanesse inedita  e furono loro a pubblicarla (1597).

 

 

L’INGEGNOSO

HIDALGO

 

 

D

etto ciò, avendo aperto un libro, leggevo su una delle sue pagine, L’Ingegnoso Hidalgo, ciò che mi sorprese. Durante un lunghissimo spazio di tempo, avevo l’aria di un uomo al quale una improvvisa paura abbia ghiacciato la parola sulle sue labbra.

Soffocando tuttavia la mia tristezza, presentai con calma al mio  amico baccelliere le seguenti ragioni: Io trovo che questo libro, che secondo voi contiene delle sciocchezze e delle follie, sia ben di gradevole lettura; esso non arreca pregiudizio a chicchessia, brilla per uno stile molto ricreativo e di avventure molto graziose; esso mi sembra che il suo autore debba essere ricompensato e lodato della intenzione che ha avuto di mettere fine, nella maniera più accorta e spiritosa, alla lettura di questi futili libri di cavalleria, i quali non servono, per le loro vane immaginazioni, che a riempire i loro lettori di tristezza e malinconia.

L’autore ha  tanto più diritto di essere incoraggiato, essendo sopraffatto da sventure più che di anni; ma la sua speranza di vedere i suoi lavori ricompensati è piuttosto una chimera, se si considera come il mondo sia pieno di vanità e di menzogne e che la gelosia  è presto pronta a opprimere il merito. Sopratutto nel nostro secolo la gelosia regna e domina; osservate ciò che succede nei palazzi, a Corte; i gran signori hanno la vanità di disprezzare quelli che professano il nobile esercizio delle lettere; vi sono delle forze umane che possano convincerli dei loro errori?

Risulta che se le persone di spirito vogliono avere una sia pur minima autorità, sia la loro disputa, sia il loro distacco nel momento in cui si attendono di gioirne ed ecco in che modo gli sventurati vivono senza avere un’ora di pace.

E’ vero, disse allora il signor baccelliere, che la repubblica cristiana non guarda questi libri di cavalleria come falsi e pieni di menzogne e i loro autori come inventori di cose frivole e sciocche; dunque, bene che non siano tutti lodati come persone colte, i tre quarti di loro si son fatti una tal reputazione che, degli uomini che hanno tutti la loro barba al viso prestano fede a queste valorose e furiose battaglie di cavalieri erranti; a questa devozione che fa lasciare i loro focolari e incaricare altre persone per l’amministrazione dei loro beni, quando essi prendono questa decisione, al fine di andare alla ricerca di avventure, avendo sulle loro labbra il nome della dama dei loro pensieri, perché venga in loro soccorso nei loro pericoli ai quali si espongono, senz’altro motivo che quello di acquistare la reputazione di uomo che non soffre, non offende, non ingiuria.

Per Dio e per la mia anima, continuò egli senza prendere fiato, malgrado la lunghezza della frase e gli occhi pieni di lacrime, vi assicuro di avere gran bisogno  di trovare uno di questi cavalieri che possa raddrizzare la mia gobba.

Ecco una verità degna di essere riformata con la bravura di uno di questi cavalieri erranti; perché senza questa gobba e queste brutte gambe, questa figura e questa piccola taglia, questo naso allungato, questi occhi tanto poco impauriti e questa bocca che si allunga fino alle orecchie, non vi è uomo né più bravo, né più galante, né più distinto sulla terra, né più desiderato dalle dame, né più invidioso dei cortigiani e dei ragazzi, né meglio segnalato a dito dal pubblico di me. Al diavolo tutti quelli che si pavoneggiano in mezzo alle strade di Madrid, credendosi i più galanti e i più belli.

Al diavolo, sì, al diavolo, tutto, sì. Io non voglio farmi di miele; perché se uno si fa di miele le mosche lo mangiano; io mi conosco bene; mia madre mi diceva bene che quando ero ragazzo io rassomigliavo a mio padre come due gocce d’acqua; egli fu uno dei più bravi soldati che assistettero con l’invincibile imperatore alla guerra d’Alemagna; egli era spesso negli affari più caldi, in tutte le scaramucce dirette contro i nemici; colui che attaccava per ultimo e si ritirava più tardi.

Il capitano Louis Quijada, della Lombardia, avendolo trovato nascosto tra i rami di un albero e credendo fosse una spia, ordinò che gli fossero dati due colpi di corda; egli si scusò dicendo di essere lì per spiare i movimenti della fanteria nemica; perché sebbene fosse affaticata, inseguita e disseminata per i continui allarmi e gli attacchi, di giorno e di notte, egli aveva saputo dalla bocca di alemanno moribondo (che era degli eretici), che i suoi avevano progettato di fare una falsa ritirata per attaccare il nostro campo, dal lato più debole. Per queste spiegazioni e le preghiere degli altri soldati che conoscevano il carattere di mio padre, il capitano Quijada  gli perdonò, a condizione che all’alba ... --- Un momento, signor licenziato, gli dissi; fate attenzione che l’ingegnoso hidalgo don Chisciotte della Mancia, Vostra Grazia si è messo a saltellare di fiore in fiore, come un piccolo uccello per arrivare alla narrazione delle imprese del padre alla guerra d’Alemagna, le quali imprese sono della stessa opportunità di quelle di Mingo Rebulgo o di Calainos (3).

Il baccelliere rispose: --- Chi dice Rodriguez, dice rumore. Dio mi ha fatto così, che volete? E poi voi non ignorate, che, nella sua politica, Aristotele designa come malvagi gli uomini silenziosi; il proverbio è là. Guarda le dimore degli uomini silenziosi; così ho l’abitudine di fare costantemente come una negra nel bagno (nel senso di essere loquace).

 

3) Mingo Rebulgo considerato scrittore satirico alla corte di Giovanni II di Castiglia, XVmo sec., autore Rodrigo de Cota che aveva scritto il libro Las coplas de Mingo Rebulgo (I versi di Mingo Rebulgo) XVmo sec. .

Moor Calaymos considerato affine a Rebulgo, ritenuto autore di un romanzo considerato volgare e triviale da cui era derivato il detto “este no vale las coplas de Calaynos” questo non vale le storie di Calaymos.

 

 

MIO PADRE

NOMINATO CAPITANO

DALL’IMPERATORE

 

 

M

a Vostra Signoria, non negherà, se tuttavia ella volesse farmi la grazia di ascoltarmi (aggiunsi, vedendo come egli fosse disposto a citare dei proverbi), che chiamano saggezza un opportuno silenzio; perché ciò che si dice tamburello a sonagli spesso non è vero. Malgrado ciò, disse, io non credo che Vostra Grazia ignori che sia agitando le ali che il mulino fa i suoi profitti e non restando immobile; è dunque in questo modo e sempre chiedendovi perdono, che desidero raccontarvi molto gentilmente in che modo mio padre divenne capitano.

Un giorno che la mischia con gli alemanni eretici era molto serrata e molto spessa, mio padre, guardando da tutte le parti per trovare sul campo di battaglia un posto più appropriato per mettersi al sicuro contro il pericolo perché egli aveva spesso in vista la mia venuta al mondo, sebbene non ancora generato e che doveva conservarsi  per altre cose più importanti; egli cercava dunque la maniera  di salvaguardare la sua persona, senza esser visto dai nemici né dai suoi, riguardandosi, aggiungo io, per cose più grandi.   ---- O più piccole, aggiungo io nello stesso tempo; in effetti, se egli si riguardava perché voi veniste al mondo, come trovare nel mondo un uomo più piccolo di voi? Ora, poiché voi siete la cosa più piccola, se egli si riguardava per generarvi, come potete dire che egli si riservava per grandi cose?

---- Ho ben inteso dire che io sono molto piccolo e, spesso non l’ho mai creduto, aggiunse il baccelliere, perché mi sono immaginato che non era quella l’opinione comune; io non ho dunque mai dato più importanza a ciò che i vecchi attaccano a raccontare l’inverno accanto al fuoco.

Sappiate dunque che andando da una parte e dall’altra sul campo di battaglia, come ho già detto, mio padre vide come si combatteva tra le due ali dell’armata imperiale e gli venne il desiderio di mettere subito mano alla spada; perché sebbene questa spada avesse visto la luce del sole in alcune occasioni di estrema necessità, in breve, vergognandosi della sua nudità  così da poter essere la vergine più pura, essa rientrò nel fodero senza essere toccata dal sangue dei nemici.

Ciò che mio padre fece nella lotta, sarebbe troppo lungo e troppo noioso da dire; ma nello stesso tempo non vi furono ricompense sufficienti accordate al suo coraggio, essendo di tutta notorietà a Villar de Olmo, mia patria e nei dintorni, che portò ai piedi del saggio imperatore più di trenta teste tagliate di alemanni pagani. L’imperatore diceva nello stesso tempo al suo maestro di campo come Giulio Cesare, ma con la variante che conveniva a un principe cristiano Venni, vidi e Dio vinse (4).

L’imperatore, soddisfatto della vittoria, essendo giunta l’ora delle ricompense, accordò a mio padre il grado di capitano; le cattive lingue non mancarono  di dire in questa occasione, che mio padre aveva tagliato la testa a molti uomini morti sul campo di battaglia e che aveva fatto come il cacciatore che compera al mercato la selvaggina e se ne va per le strade dandosi le arie di gran cacciatore, come se avesse preso ciò che porta.

Malgrado ciò, egli era capitano con il piacere o il rimpianto dei censori imbecilli che  agitano con la loro cattiva lingua la pace della cosa pubblica; del resto, mio padre

non aveva minimamente bisogno di creare problemi ad alcuno, sulla buona o cattiva qualità dei meriti ... .

 

 

4) Si trattava della vittoria riportata da Carlo V a Mühlberg il 24 agosto 1547.

 

 

COSA PENSATE

DI QUESTO LIBRO

DON CHISCIOTTE?

 

 

M

a, potrei sapere, infine, dissi,  ciò che voi pensate di questo triste libro di Don Chisciotte, che vostra Grazia giudica pieno di sciocchezze e vanità?

Dico ciò perché molte persone dallo spirito piuttosto delicato hanno giudicato questo libro il primo di tutti quelli che sono stati composti in Spagna; esso è apparso di gradevole lettura e aggiungerei allo stesso tempo, che passa per essere pieno di finezze e verità.

E’ vero che questo libro ruota attraverso le onde della critica, come la nave che ha preso il mare con un tempo poco favorevole ed è quella, a parlare francamente, una delle influenze fatali che l’autore ha dovuto subire; ma il tardivo apprezzamento delle persone colte tornerà a vantaggio della sua gloria e della sua fama; quanto a quelli che non gli renderanno giustizia, l’autore li lascia perdere per quello che essi valgono.

---- Questo libro, riprese il baccelliere, che voi trovate così pieno di buon senso, così grazioso, e che volete che sia tanto stimato, è pieno di stravaganze e la più forte di tutte, non è quella di voler bandire dal mondo la lettura futile di quei libri menzogneri di cavalleria che si guardano come una vera falsità e completa balordaggine?

Non vi è, ciò che è ancora più insensato, chi possa tracciarci il ritratto di un uomo che, con la testa montata di frottole che si trovano in simili libri, lasci il proprio focolare per andarsene alla ricerca di oscure avventure, credendosi  tutto a un tratto divenuto cavaliere errante, senza che tutte le contrarietà e tutti i colpi di bastone che egli ha ricevuto per punizione della sua stoltezza, possano distoglierlo dalla sua inflessibile idea?

Quando, lo sfortunato autore di questo libro, ha visto che di simili folli esistessero ai nostri tempi? ... Non vi è che indirizzargli ancora più domande che il defunto ammiraglio (5) gli abbia indirizzato, sebbene egli fosse il più importuno degli interroganti?

Io gli domanderei come egli ha visto Palmerino d’Inghilterra, come Florindo, de Floriando (6), altri cavalieri erranti molto ben armati di tutte le armi come se fossero scappati da uno di quei vecchi tappeti che alcune volte si trovano nelle taverne, esilarando ciò che si trova diritto e guastando ciò che è in buono stato  e in ordine perfetto. Ecco da dove parto per consigliargli ancora di coltivare il suo spirito, che è incontestabile al fine di aspirare a cose migliori e rinunciare alla continuazione del suo maledetto libro; perché non è lui a distruggere la disdicevole stima che il rozzo pubblico accorda ancora ai libri di cavalleria.

Ecco cosa gli direi  e anche di più ancora; le parole non mi mancano e allo stesso modo, credo che se rimanessi muto esse me ne verranno di più; perché ho tanta memoria quanta di spirito oltre a un gran desiderio di correggere e nello stesso tempo castigare i difetti altrui,  poiché io non posso correggere queste mie brutte gambe che mi portano e questo bel gobbo  che io porto. Sappiate che sono un gran filosofo  perché ho appreso a riconoscermi io stesso nella nuova filosofia di donna Oliva (7);  chi ha ottenuto ciò non ha ottenuto poca cosa.  

Non disdegnate la sua dottrina per la ragione che essa provenga da una donna; vi sono molte donne sulla terra  degne di ogni venerazione e di tutto rispetto. Considerate, senza andare più lontano, vi rammenterò la defunta contessa Tendilla, madre dei tre Mendoza (8), i cui nomi vivono ancora e vivranno lungamente nei secoli dalla voce della fama. Vi è anche madame Passier (9) la cui morte ha portato via un grande spirito, la memoria e l’eloquenza come il mese di ottobre porta via i pampini.

Le magnifiche esequie funebri furono fatte per rispetto delle sue conoscenze letterarie e versi altamente spirituali furono dedicati alla sua memoria; io credo nello stesso tempo che un libro pieno delle sue lettere piene di erudizione e di moralità deve essere pervenuta alla capitale; è questo libro che l’autore del Don Chisciotte così criticato  dovrebbe studiare.

---- Come, caro baccelliere, gli risposi, è possibile che Vostra Grazia sostenga così calorosamente che non vi sono cavalieri erranti per il mondo nella nostra età di ferro? Voi mancate di memoria fino al punto di non ricordare questa quantità di cavalieri la cui mania tiene per vere tutte le follie che pullulano nelle storie romanzesche.

Vogliate ben ricordare la irragionevolezza di quel famoso cavaliere don Suero de Quiñones, il quale, dicono,  chiese al molto alto e molto potente re di Castiglia, don Giovanni II il permesso di lasciare la Corte con nove gentiluomini, al fine di ottenere la sua libertà prigioniera (una donna lo teneva imprigionato). Egli so offrì di rompere in trenta giorni, trecento lance contro tutti coloro che volevano tentare l’avventura; voi dovete anche sapere  che questo cavalier don Suero de Quiñones aveva vietato l’onorevole passo nelle vicinanze del ponte d’Orbigo e fu lì che egli tolse dal suo collo il ferro che portava tutti i giovedì in segno di servitù e di cattività. 

Voi dovete sapere che  Lope de Estuñiga, Diego de Bazan, Pedro de Nava e altri hidalgos nel numero di nove, tutti innamorati alla maniera cavalleresca, furono i difensori e controllori del passaggio, dove spezzarono tutte le loro lance con più di settanta avventurieri venuti sul terreno per dar prova  della  loro forza e del loro coraggio.

Ditemi, infine, mio caro baccelliere, se non sono là dei veri cavalieri in carne e ossa e non dei cavalieri tali, come sono stati così mal dipinti. Oltre a ciò vi è un libro, su questo onorevole passaggio, scritto da un monaco che si chiama de Pineda (10) ; è il riassunto di un antico manoscritto, che potete trovare dappertutto, stampato in buone lettere.

Voi certamente non avete dimenticato l’avventura del canonico Almela (11) che prese parte alla conquista di Granada con due scudieri e dieci uomini a piedi; egli aveva una passione così forte per tutte le cose della cavalleria errante che conservava delle anticaglie e molte cose senza utilità; egli portava spesso una spada che egli diceva essere del Cid Ruy Diaz, dopo certe lettere che erano state scritte, sebbene non si potessero103 leggere e ancor meno comprenderne il senso.

---- I vostri argomenti, signor soldato, sono consistenti; ma devo replicare che simili prodezze sono state fatte nei tempi antichi e che senza andare più lontano, nell’epoca della maestà cesarea dell’illustre imperatore Carlo V si è inteso questo principe dire a un arcivescovo di Bordeaux né più, né meno, che se fosse stato l’arcivescovo Turpin, avrebbe fatto sapere al re di Francia che si era comportato in maniera bassa e villana; poco dopo vedemmo arrivare un araldo del re di Francia con un altro araldo del re d’Inghilterra, alfine di aprire la lizza secondo i privilegi della cavalleria errante.

Io ricordo molto bene averlo sentito dalla bocca di mio padre e signore (che riposi in pace) e questa asserzione è degna di fede per la grande abitudine che egli aveva di tutte queste cose che riguardavano l’onore, benché certi motivi gli impedissero di farne uso; io ricordo bene che il grande imperatore essendo stato provocato a duello con tutte le solennità delle leggi sul duello, chiese consiglio al duca dell’Infantado don Diego), suo cugino, che gli consigliò di non accettare per nessuna ragione la provocazione (12).

Questi atti di bravura non compaiono più che nei libri menzogneri e stupidi della cavalleria e nelle commedie che li imitano attualmente; perché al tempo di Lope de Rueda, di Gil Vicente e di Alonso de Cisneros (13), non avevano ancora osato presentarle a teatro e a voler dire il vero, mi sarebbe molto gradito che questo buon tempo passato dei cavalieri erranti, ritorni.

E’ allora che mi vedreste uscire al mattino all’inizio del giorno con i miei scudieri grandi e piccoli, e con le mie doghe e segugi, portando un costume di cui la parte superiore sia in cuoio e la fodera in pelle di scoiattolo, come i gran signori portavano in altri tempi quando andavano in montagna. Voi mi vedreste portare a tracolla il mio corno di caccia e montare sulla mia cavalcatura, seguito dai miei scudieri!

Giunti nel più folto del bosco noi saremmo accolti, poi accompagnati con tutto il fracasso dei tuoni, dei venti, degli acquazzoni; allora, abbagliato dai chiarori io mi perderei e mi troverei solo in mezzo al bosco nella più grande oscurità, là dove nessuno oserebbe penetrare a causa delle bestie feroci. Lì, io incontrerei non un barbaro furioso, ma un principe cortese, coraggioso e prudente che si è smarrito nella foresta come me, avendo lasciato il suo palazzo senza qualcuno del suo seguito per esercitare la cavalleria errante; il suo nome sarebbe il cavaliere del Grifo o della Banda rossa; egli sarebbe circospetto, di eccellente consiglio; scoprendo che io sono un cavaliere di alta nascita, un cavaliere illustre, egli mi mostrerebbe la nobiltà dei suoi sentimenti per la consolazione che egli cercherebbe di darmi, a causa delle mie pene; poi, quando si aspetterebbe il monaco, una mano dalla figura estranea e dalla voce tonante apparirebbe dicendo: - Preparati cavaliere del Grifo o della Banda rossa o qual sia il tuo nome, per condurre a buon fine la più affascinante avventura che mai si sia presentata a un cavaliere errante.

 

 

 

5) Si trattava di un libro intitolato “Preguntas del Almirante”-Domande dell’Ammiraglio, pubblicato in due parti nel 1545 di Fadrique Enriquez, Almirante di Castiglia per dar prova dell’ingegno di Luis de Escobar.

6) V. in Articoli: I libri della biblioteca di don Chisciotte.

7) Doña Oliva de Nantes Sahuco Barrera, viveva nei pressi della città di Alcaraz (Castiglia-La Mancia), medico e filosofo, pubblicò  Nueva filosofia de la naturaleza del hombre, no conocida  ni alcanzada de los grandes filosofos antiguos; la qual mejora la vida y salud humana-Nuova filosofia della natura dell’uomo non conosciuta né capita dai grandi filosofi antichi; che migliora la vita e la salute umana”. Non si conosce l’anno della prima edizione; la seconda edizione fu pubblicata a Madrid nel 1588; il libro porta la dedica a Filippo II di Spagna. Il libro è interessante perché tratta una materia, la natura umana, come dice l’autrice, mai trattata in quelli di Galeno, e da Platone a Ippocrate nei loro trattati sulla natura umanae né da Aristotele quando aveva scritto sull’anima e sulla vita e la morte e neache Plinio e Eliano quando avevano trattato dell’uomo, col risultato che è stata errata tutta la medicina antica  che si legge e si studia  nei suoi fondamenti principali, per non  aver  i medici e filosofi inteso e capito dove si fonda  e trova nella sua origine la medicina. Nonostante il rumore suscitato da questa donna che aveva scritto Nuova Filosofia a essa la medicina deve la rara scoperta anatomica in special modo del liquido dei nervi.

Con doña Oliva si era verificato ciò che era avvenuto nella letteratura nel XVII sec., quando Feliciana Henriquez Guzman censurava da Lope de Vega a Tirso a Calderon che nelle loro commedie non osservavano i precetti dell’arte.

8) I tre Mendoza, figli della contessa Tendilla erano Diego, Antonio e Bernardino, dei quali Diego era considerato uno dei poeti, storici novellisti e scrittori satirici spagnoli; lo avevano reso  famoso la sua “Storia de la guerra de Granada” e “Lanzarillo de Tormes”.

9) Francisca de Passier, da giovanissima in poco tempo aveva imparato varie lingue; morta a diciannove anni e  sette mesi, le fu riservato un funerale durato nove giorni; sconosciuta traduttrice (aveva impiegato dieci giorni per tradurlo) dal francese in castigliano, del raro libretto intitolato: Cartas morales del segñor de Narveza, traducida de lengua francesa en la espagñola por madama Francesca de Passier, dirigidas al excellentissimo señor don Pedro Enriquez de Acevedo, conde de Fuentes”. Stampato  a Tonon da Marcos de la Rua, stampatore della Santa casa. MDCV.

10) il monaco fra’ Juan de Pineda dell’ordine di san Francesco, nel 1588 aveva pubblicato, riprendendolo da un antico manoscritto (dedicato al re Giovanni II di Catsiglia), “El libro del paso onoroso, defendido por el exelente caballero Suero de Quiñones, copilado de un libro antiguo de mano, por fray Juan de Pineda, religioso de la orden de San Francisco”.

11)  Diego Rodriguez de Almela, nobile della città di Murcia, tra le altre opere aveva scritto “Valerio de las estorias escolasticas é de España” (1486).

12) E’ nota la sfida al duello lanciata da Carlo V a Francesco I di Francia, che Francesco I non accolse e che Cervantes mette in bocca all’arcivescovo di Bordeaux;m non era noto invece il particolare rivelato da Cervantes del rapporto  epistolare intercorso tra l’imperatore a suo cugino duca dell’Infantado, sul consiglio chiesto da Carlo V relativo al duello; la risposta fu positiva ma il cugino precisava che sarebbe stato un sacrificio di sangue piuttosto che di misericordia e giustizia.

Delle due lettere  si faceva menzione nella “Historia de Carolos V” dedicata a l re Filippo III, di fray Prudencio de Sandoval di cui non si trovavano copie e ne faceva quindi riferimento Francisco Nuñez de Velasco nel suo “Dialogos de contencion entre la milicia y la ciencia” (Dialogo di contenimento tra la milizia e la scienza). Valladolid 1614.

13) Lope de Rueda (1500-1565), ammirevole nella poesia pastorale secondo quanto aveva scritto Cervantes in un altro suo testo; Gil Vicente (1465-1536), commediografo ispano-portoghese; Alonso Cisneros (1540-1597), commediografo, poeta e attore toledano: era solito chiamare gli spettatori delle sue commedie con il tamburello.

 

 

LA PRINCIPESSA

BACALAMBRUNA

E IL CASTELLO

INCANTATO

 

 

D

evi sapere che la principessa Bacalambruna che, per la morte del padre Borborifon, colui che ha il naso contorto, è divenuta padrona del castello incantato che vedi lontano in questa bella piana sul bordo della magnifica riviera che gli passa accanto ed ha il cuore trafitto dalla freccia d’amore che la tua buona grazia le ha inviato; tu hai per lei tutto ciò che un cavaliere può possedere di più perfetto e di più bello.

Quando la notte avrà coperto la terra del suo mantello tenebroso, tu marcerai verso il castello le cui porte ti saranno aperte, se tu vuoi gioire della presenza affascinante di questa bella principessa.

Ma quando lo spaventevole nato è scomparso, il cavaliere del Grifo mi dirà che egli non può andare al castello incantato, non volendo abusare di questa principessa; perché è già da qualche tempo che egli è stato preso da Arsinda, figlia del re di Trapobrana Quinquirlimpuz.

L’osservazione del cavaliere del Grifo sveglierà in me la voglia di recarmi a fare una  visita a una sì bella signorina, la cui bellezza sarà l’ammirazione di tutti quelli che la vedranno, se lei si lascerà vedere; subito io monterei sul mio palafreno impaziente e senza dargli riposo io farei la mia strada fino alle porte del castello incantato.

L’animale, stanco per la marcia e per il bisogno di nutrirsi, si vorrebbe ristorare, io gli allenterei la briglia; ma desiderando ancora più allegria, gli darei dei calci per farmi scendere; io scenderei e dopo avergli tolto la briglia o averla attaccata al tronco di qualche quercia, entrerei nel castello con buona disposizione d’animo, senza che qualcuno mi possa impedire il passo o ricevermi,  cosa così contraria alle leggi della cortesia.

La notte sarà già arrivata ed io troverei in mezzo alla corte di questo castello che sembra inabitato, una fiaccola illuminata che mi appare davanti senza essere portata da alcuno. Io la seguirei; essa mi condurrà in uno splendido palazzo d’oro e d’argento e di pietre preziose; i mobili del salone saranno in finissima seta con guarniture in oro. Appena avrò messo piede in una bellissima camera che sarà illuminata dalla fiaccola e che la principessa Bacalambruna accorrerà tutta presa dalle belle qualità del cavaliere del Grifo; presa per lui, essa si abbandona interamente alla mia discrezione. Io agirei in modo che la signorina (se lo é) sarà fatta dama; poi, quando lei sarà stanca, essa si addormenterà e io, per conoscere la sua bellezza, aprirò una lanterna che ho già preparato sotto il mio abbigliamento. Prenderei una piccola bugia che si troverà dentro e alla sua luce io vedrò il bel viso della principessa che sarà la più bella donna del mondo; ma per sfortuna, una goccia di cera cadrà sul suo petto che la risveglierà; allora, vedendo che io non sono il cavaliere del Grifo, ma al contrario un cavaliere gobbo con un naso colossale, essa si spaventerebbe perché crederebbe che la mia gobba sia una imperfezione invece che guardarla come uno dei regali con cui la natura arricchisce qualche volta i mortali; non vi sono cose, in effetti, sulla terra che non si abbelliscono di ornamenti; voi vedete bene che un uomo che non ha una gentile gobba o un naso ben lungo o una grande bocca o dei piedi eccessivamente lunghi non è che un uomo di forma appiattita, ciò che è molto comune; ma la principessa non conoscendosi, spingerebbe la collera fino al delirio; vedendosi così ingannata e compromessa, essa lascerebbe bruscamente la camera per ordinare la mia morte. Io chiamerei in mio soccorso qualche cattivo incantatore il quale, per colmo di cattiveria, fingerebbe di non capirmi; ma una proprietaria chiamata Maria Hernandez o Jeanne Perez, che io non ho mai visto né conosciuta, tra le più oneste vecchie del reame della Transilvania, innamorata di me, verrebbe in un’ora insolita nel mio appartamento; essa mi prenderebbe per la mano e mi farebbe attraversare il salone dove si troveranno molti uomini incaricati di darmi la morte. Essi metteranno mano alla spada, per compiere la loro missione, ciò che faranno senza l’aiuto della mia buona fortuna e senza la protezione  di Maria Hernandez, la proprietaria.

Essa loro dirà: Fermatevi perché non è il cavaliere che la principessa vi ha comandato di uccidere; è uno scudiero che lei manda sul mare. Quando l’altro apparirà, uccidetelo. Lei mi condurrà fuori. Io inforcherei la mia cavalcatura e darei la mia parola alla proprietaria di sposarla al mio ritorno al castello, ciò che, dopo l’ingiuria che ho fatto, non avrebbe mai luogo; ma in un momento come quello devo promettere tutto ciò che posso e nello stesso tempo tutto ciò che non potrò mantenere.

 

 

LA FIGLIA

DELL’IMPERATORE

VALE COME

UNA FALSA MONETA

 

 

A

 questo modo prenderei la mia strada per caso; ma sarei molto onorato se trovassi uno che mi conduca in una città dove incontrare l’imperatore alla barriera di un torneo con sua figlia, vestita d’un ricco costume e seduta in un pavillion ornato di pietre preziose; nello stesso tempo essa avrà un’aria così laida, che la farà sembrare un demone scappato dall’inferno, piuttosto che creatura umana; ma questa figlia, impaziente di essere maritata si sarà presentata al torneo, con la speranza che dei cavalieri erranti possano giungere per conquistare con le armi la bellezza che le manca.

Non essendo arrivato ancora nessuno, io entrai nella lizza al fine di tentare la fortuna e il pubblico, ignorante e cattivo, comincerebbe a dire per farsi beffe di me: - Ecco il cavaliere dalla spaventevole gobba, ecco la crema della cavalleria. Ma io, spingendo il mio cavallo punterei la lancia contro la terra, davanti al patibolo.

La mia cavalcatura, focosa come d’abitudine, farebbe dei salti di montone e delle capriole così forti che mi butterebbe per terra. Il colpo sarebbe così violento che i miei calzoni e le mie culottes si disfaranno al punto di lasciar vedere cose che dovrebbero sempre essere nascoste alla luce del sole.

Dopo di ciò, la principessa, comprendendo che io sono uomo di molto coraggio e ben condizionato per il matrimonio, sarà presa da me e pregherà il padre di accordarmi la sua mano.

L’imperatore riflettendo che sua figlia aveva già percorso la strada delle trattative con i cavalieri erranti, senza trovare un acquirente, da essere divenuta un gioiello invendibile e una falsa moneta, presso il suo palco mi concederei in ricompensa del mio coraggio in cambio non solo della principessa ma di un intero reame come dote, reame i cui vassalli saranno tutti nani.

Ecco dunque, come da baccelliere che io sono, non per Alcalà, ma per Salamanca io sarei divenuto nientemeno che re. Tra i miei vassalli, qualcuno potrebbe comporre, nella lingua di questo reame non ancora conosciuto dai più sapienti cosmografi, un poema in onore delle mie prodezze e potrebbe capitare che un onesto incantatore farebbe resuscitare il licenziato Juan Arjona (14) fatto apposta per tradurre il poema in lingua spagnola.

---- Ma, mio caro baccelliere. gli risposi,  della saggia risposta del duca dell’Infantado all’invincibile imperatore, si dovrà tirare la conseguenza che i veri cavalieri erranti fossero già banditi dalla terra, dopo che messer Olivier de la Marche, sebbene già vecchio, viveva ancora?

Voi sapete che questo cavaliere apparteneva alla corte del duca di Borgogna, Filippo il Buono e dopo a sua figlia, la principessa Maria, la moglie dell’imperatore Massimiliano dai quali proviene il re Filippo il Bello che aveva sposato donna Giovanna, figlia dei re cattolici.

Come questo cavaliere era stato testimone delle pene che questa eccellente principessa, madame Maria, ebbe a soffrire, lei e i suoi Stati per quella persecuzione che avrebbe dovuto proteggerla, essa portava sempre una divisa che le serviva come nome di famiglia; questa divisa nella sua lingua borgognona voleva dire: Chi ha sofferto a causa di la Marche.

Egli aveva scritto un libro altamente spirituale, come tutti quelli che circolano nella società e che non trattano né di follie né di frivolezze; intitolò questo libro: Il cavaliere ardito, il cavaliere don Hernando de Acuña (15) lo tradusse dal francese in spagnolo in un testo affascinante, superiore a ogni elogio, come si può giudicare dall’inizio:

Nell’ultima stagione – Del tempo e della mia stessa vita - Un’occasione repentina – Fu la causa che io lasciai -  La mia nazione e il mio paese.

Essendo solo nel mio viaggio – Il mio pensiero risvegliò la mia  memoria – Io racconto dunque e rinnovello – Il tempo passato della mia infanzia.

 

 

14) Juan de Arjona di Granada, tradusse in castigliano e in rima il poema latino di Publio Stazio intitolato La Tebaide.

15) Il Caballero Determinado di Olivier de la Marche era stato tradotto dal francese in castigliano da Hernando de Acuña,; il libro era stato dedicato a Carlo V, e pubblicato nel 1553.

A propria volta Geronimo de Urrea pubblicava in castigliano, il  Discurso de la vida humana y aventuras del caballero determinado de micer Olivier de la Marca, caballero borgonon, en tercetos”–Discorso della vita umana e avventurosa del cavaliere ardito, di messer Olivier de la Marche, cavaliere borgognone, in terzetti. Anversa 1555. 

Purtroppo sulla vita di Olivier de la Marche (1425-1502), al servizio di Carlo il Temerario non vi sono stati approfondimenti e il particolare del rapporto intercorso tra la Marche e la giovane Maria di Borgogna (1457-1482) figlia del Temerario, il particolare riferito da Cervantes non è riscontrabile e come tutti i riferimenti di Cervantes sarebbe stato interessante argomento di approfondimento.

 

 

IL VIAGGIO DI FILIPPO II

IN ALEMAGNA

FIANDRA E BRABANTE

 

 

N

on ricordate che  Mario de Abenante, cavaliere napoletano sfidò a duello don Francois Pandon, cavaliere dello stesso reame, e che mentre essi combattevano coraggiosamente, don Francois diede un incantevole colpo di spada al cavallo di Mario senza che se ne accorgesse? Uno dei suoi zii, che si trovava alla barriera, cercò di fargli capire con dei segni il pericolo che correva di cadere; scendendo immediatamente egli colpì il cavallo del suo avversario e il cavaliere fu costretto ad arrendersi a causa dei salti e delle impennate che il dolore aveva fatto fare al cavallo.   

Mario (mal visto dalla gente e ritenuto traditore e codardo) fu biasimato da tutti; era nella tradizione della sua condotta e fu considerato come un vigliacco.

Voi dovete ricordare altre avventure di cavalieri erranti del nostro tempo, così quella di Leres che sfidò a duello un altro cavaliere il cui nome era Martin Lopez; tutti e due vennero a Roma con lance e corazza per combattere; scaramucciarono per lungo tempo, ciascuno cercando di trovare la parte debole del corpo del suo avversario per poterlo uccidere.

Avvenne, voi senza dubbio lo ricorderete, che il cavallo di Martin Lopez, inciampò  e morì, e che Lopez restò per qualche tempo stordito per il colpo e il dolore.

Leres allora, ritenendo che sarebbe stato infame colpire il proprio avversario, mise il piede a terra; ma l’esito  gli fu funesto, perché Lopez che era già pronto, lo vide e ritenendo che la fortuna non gli si sarebbe mostrata una seconda volta, caricò Leres e lo vinse in una maniera infame.

Ma, mettendo da parte tutto ciò, avete perduto la memoria del fortunato viaggio di S.M. il re Filippo II (che la pace del cielo sia con lui), quando egli era ancora principe e andò a visitare gli Stati di Alemagna, di Fiandra e di Brabante?

Ebbene, sappiate che tutto si trova impresso e scritto da Juan Calvete (il Calvo) de Estella (16).

Che possa divenire calvo io stesso, per di più, come se la mia gobba non conti niente, e che io schiacciato dalla mia cavalcatura, disse il baccelliere, quando riprenderò la strada, se questa cavalcatura ne sia capace, dopo queste cattiverie e cattivi pensieri, come ha già provato  buttandomi per terra più di una volta e rompendomi le ossa; che tutto questo mi capiti, dissi io, se io non estimo il libro di cui mi parlate come il più divertente di tutti quelli composti da quando il mondo esiste e che la stamperia ha scoperto.

In questo libro tutto è semplice e vero, ciò che non si trova spesso presso gli storici; ecco da dove viene che tante menzogne e avvenimenti che mai si sono verificati, sono considerati come veri.

Mio padre si trovava così al seguito del principe, ma fu obbligato a ritornare in Spagna a causa di un’avventura che gli era capitata con una signorina (a quanto si diceva). In questo viaggio capitarono a mio padre più avventure che non sarebbero  arrivate a un mostro di fortuna come Antonio Perez (17); egli rientrò infine con un umore ben triste e molto malinconico, come se fosse stato punto da una vipera .... .

 

 

 

16) Il libro era: El felicissimo viaje del muy alto y muy poderoso principe don Felipe, hijo del emperador Carlos Quinto, Maximo, desde Espana à su tierras de la baja Alemana, con la descripcion de todos los estados de Brabante y Flandres, escripto en quatros libros por Juan Crisòral Calvete de Estrella. En Anversa en casa de Martin Nucio, 1552.

17) Cervantes ironicamente dice che Antonio Perez (1450-1611) fosse un mostro di fortuna; al contrario era stato un mostro di sfortuna; grande e infelice politico  (su di lui J.N. Fontaine, nel 1856, aveva scritto  un dramma); era segretario di Filippo II; le sue relazioni erano così piene di errori da essere annotate dalle cancellerie estere, molte delle quali erano emendate in 434 fogli, manoscrittI al principio del sec. XVII. Aveva scritto diverse opere come “L’art de gouverner: adressée à Philippe II” (1598); molte di esse, storiche, sono rimaste inedite.

 

 

 

L’INCANTATORE

DI BINS E IL

CASTELLO INCANTATO

 

 

M

a allora, nel timore che non mi spifferasse qualche altro racconto così fastidioso come il precedente, io chiusi le orecchie come il serpente che non vuole intendere la voce dell’incantatore e cercando di distrarre il mio uomo, proseguii nella mia storia dicendogli: Ora, come voi ben sapete è a Bins (18) che si presentarono davanti all’imperatore, semper Augusto,  e al principe suo figlio, diversi cavalieri residenti in questa città, per dire loro che un incantatore, nemico della virtù, dell’uguaglianza e della cavalleria errante, si era ritirato nella Gallia Belgica, presso Bins e su una vecchia strada. ---- Voi non ricordate, replicò il baccelliere, il nome di questo incantatore? ---- No, per la mia fede, dissi io; ma egli doveva essere spaventoso, come lo sono tutti i nomi di questi spiriti cattivi che si trovano nei disgraziati libri di cavalleria.  

Ho inteso dire che un autore di questa specie, lungo tempo imbarazzato per la difficoltà di incontrare un nome conveniente per un incantatore ch’egli voleva introdurre in una delle sue favole, nome che rispondeva bene alla grande malvagità e alla sciocca presunzione del personaggio, faceva un giorno, presso uno dei suoi amici, una partita a carte con altri amici; egli sentì che il maitre d’hotel, gridava al suo domestico: Eh, Celio, “trae aqui cantos”, porta qui delle pietre.

Questo motto fu per lui così sonoro, che senza parlarne con alcuno egli si alzò dalla tavola dove giocava e se ne andò per scrivere il nome di “Traquicantos” che gli era apparso così armonioso.

Ebbene, questo incantatore di Bins, proseguii io,  teneva nel più grande incantamento, con le diabolici artifici, tutti gli abitanti del paese, facendo loro ogni specie di cattiveria e minacciandoli di farne ancora di più. In definitiva. i cavalieri sapevano che questo  malvagio incantatore aveva la sua abituale residenza in un castello incantato di tal maniera da essere avviluppato e nascosto sotto una nuvola oscura e molto spessa, servendo d’ostacolo a tutti quelli  che volevano intraprendere dei recarsi presso questo spaventevole luogo, dove anima vivente , per quanto fosse coraggioso, non osava avvicinarsi; allora una principessa che desiderava il bene e ben introdotta nella scienza dell’avvenire, vedendo com’era dannoso per sì nobili persone la ferocia di questo incantatore, più cattivo di Arcalause più iniquo di Costantino (19), ordinò, per l’ammirazione di tutti, che una spada, che possedeva le virtù che vedremo, sarà fissata nell’alto di una roccia: - Colui che svellerà la spada dal luogo in cui si trova, metterà fine all’avventura, romperà l’incantamento e libererà i prigionieri dalla crudele cattività in cui si trovano; finalmente getterà nell’abisso il castello tenebroso e otterrà una infinità di buone fortune, di cui quo non se ne fa parola, ma che sono promesse e destinate”.

Dopo di ciò, i cavalieri chiesero all’imperatore il permesso di terminare questa terribile avventura; l’imperatore fu molto soddisfatto di accordarlo. I cavalieri rimasero tutti, durante due giorni, a dare, davanti all’imperatore e al principe, tutte le folli rappresentazioni che si leggono nei libri di cavalleria, inventate per l’ozio e la disgrazia della società.   

 

 

 

18) Nella città di Bins, Binche in Belgio viveva Maria d’Ungheria dopo la morte del marito Luigi II Jagellone, sorella di Carlo V, che aveva invitato e ospitato Carlo e Filippo durante il loro viaggio in Alemagna.

19) Costantino Ponce de la Fuente della città di San Clemente de la Mancia, era un famoso luterano spagnolo e in Spagna nel XVImo secolo ve ne erano tanti  protestanti, luterani e calvinisti, che praticavano in circoli segreti la nuova religione, braccati perfidamente dai gesuiti che li facevano processare dalla Inquisizione.

Costantino si era laureato presso l’università di Alcalà unitamente a Juan Gil de Egidio; dopo la laurea ambedue si recarono a Siviglia dove cominciarono a diffondere le idee di Lutero, Calvino e altri protestanti, ritenuti eresiarchi.

Carlo V lo aveva nominato cappellano onorario  al posto del suo predicatore, ed egli seguì l’imperatore in Germania dove rimase molto tempo; al ritorno, grande fu la sua fama; fu nominato canonico magistrale e cominciò a predicare nella chiesa di Siviglia; a una predica aveva assistito il gesuita Francesco Borgia, poi santificato, il quale aveva commentato che secondo la sua opinione, nulla aveva detto di cattolico.

Avvenne che durante una perquisizione presso la vedova Isdabel Martinez, madre di Francisco Beltran sul quale stavano conducendo indagini, furono trovati dei libri di Csotantino ed essendovi anche diverse delazioni, il caso divenne di competenza della Inquisizione che, esaminati i libri, trovò che gli scritti contenevano dottrine luterane.

Costantino fu così messo in una prigione segreta, suscitando una forte reazione in tutta la Spagna; la notizia giunse a Yuste dov’era l’imperatore disse: “Se Costantino è eretico, è un grande eretico”; in prigione gli presentarono i manoscritti che egli riconobbe come suoi; Costantino morì nella stessa prigione a causa dei  bestiali maltrattamenti subiti, ma dissero che si era suicidato: un tale fra’ Domenico de Guzman, quando seppe che era stato preso dal Santo Ufficio, aveva esclamato: Quello possono prenderlo per stupido!

 

 

LE ULTIME BATTUTE

SUL LIBRO E

TERMINA IL VIAGGIO

 

 

C

he Vostra Grazia osservi e consideri, con tutta l’intelligenza che un baccelliere in diritto può avere (20), il numero dei cavalieri che presero parte a tutte queste follie e stravaganze alle quali l’imperatore e il principe Filippo, non soltanto consentirono, ma in loro presenza prendendo grande piacere; che Vostra Grazia mi dica se esiste al mondo un pazzo che somigli all’ingegnoso Manchego ...

Infine, gli imbecilli di cui la repubblica cristiana é così ben popolata, non vogliono soffrire che per la lettura di questo libro, il popolo poco istruito si può convincere che gli avvenimenti cavallereschi sono inverosimili, nemici della verità, disprezzati dai buoni spiriti; ecco perché essi agiscono tanto e si ostinano e con velenose e cattive intenzioni voler manifestare contro l’ingegnoso hidalgo don Chisciotte; essi cercano in lui dei difetti e investigano per trovare nelle sue avventure dei motivi per sconfessare malignamente chi egli sia nel mondo, di queste follie che i libri di cavalleria dipingono e di cui i palazzi reali sono pieni così come i villaggi.

Essi non sono facilmente riconosciuti in questi palazzi dove sono nascosti dal disordine e dalla confusione; perché la Corte è la madre dei folli di ogni genere. E’ da lì che ne sono venuti in gran quantità; è da lì che le sciocchezze sorgono come torrenti dalle loro bocche; è da lì che essi progettano le imprese più insensate, senza che vedano chiaramente tutto il male che essi fanno a se stessi e senza avere le forze umane che possano tirarli fuori dalla loro ignoranza, né migliorare il loro carattere e la cattiva volontà.

Ecco la ragione per la quale si cercano i difetti di questo illustre cavaliere don Chisciotte, limpido specchio non solo dell’orizzonte della Mancia, ma di tutti gli orizzonti della Spagna, io direi del mondo intero se non temessi di superare i limiti che la modestia mi comanda.

E’ poiché è giusto che, invece che essere disprezzato, questo libro utile e ben composto sia apprezzato e onorato da tutte le persone oneste della società; perché esso lascia ben vedere, chi è il solo, tra tutti quelli della futile cavalleria, che ha scritto con intenzioni oneste e istruttive; egli non deve quindi essere confuso con altri a causa delle follie di don Chisciotte, dopo di lui vi sono dei folli  sulla terra e la gente non vede chi sono.

E’ bene che il suo autore tenga conto dell’onorevole motivo  che lo ha spinto a scrivere questo libro; il suo scopo è di ridicolizzare e abolire l’ordine immaginario della cavalleria errante con tratti gioiosi, gradevoli e ben composti, che compongono la sua storia satirica ... .

Ero a quel punto del mio discorso, quando la magra cavalcatura del baccelliere, animale che per la briglia male attaccata che si staccava, si sentì prendere da un capriccio e da una cattiva intenzione che mi interruppero; essa voleva assolutamente divertirsi con la mia mula che le era vicino  attaccata al tronco di una quercia; ma questa si mostrava fortemente offesa dei poco onesti desideri della cavalcatura, perché, occorre dire, che era vergine e aveva una condotta molto modesta e molto onesta, presa dai buoni esempi dei suoi buoni, casti e onesti genitori; essa resisté bruscamente alle indecenti carezze della montatura del mio nero baccelliere e del virtuoso Lucrezio, ben che con miglior risultato (il mondo è così capovolto che è riservato ai muli solamente essere dei Lucrezi)  essa si difese coraggiosamente, inviando dei rudi e superbi calci al suo ingiusto violentatore, il quale ebbe la fortuna di prendere un colpo di zoccolo al solo occhio che gli era rimasto e che perdette. Essa ricevette un altro colpo di zoccolo al petto e cadde per terra, tanto la mia mula aveva la precisione nei colpi  che lanciava, al punto che se avesse continuato, tutte le calamità della montatura, tutte le cadute del baccelliere sarebbero finite lì.  

Il baccelliere rifletteva su questo nuovo disastro, risultante dagli eccessi di incontinenza e dei pensieri licenziosi della sua cavalcatura e di questo sorprendente vigore che essa aveva sviluppato per arrivare a difendersi nel vedersi perduta, e, come se fosse sul punto di rendere l’ultimo respiro, si mise a gemere, urlare, deplorare la sua sventura, a rimproverarsi di aver preso così poche precauzioni per conservare il suo prezioso gioiello, questa cavalcatura presa a nolo in albergo di Colmenares; egli malediva il momento e l’ora della sua partenza dalla città, e io, per consolarlo. gli dissi: --- Questa sventura prova ancora, signor baccelliere,  come tirate male al bersaglio, quando giudicate il libro di don Chisciotte pieno di vanità e di follie.

Calmate dunque i vostri sospiri e ricordate una avventura identica a questa, quella di Rossinante quando l’ingegnoso Manchego (della Mancia) incontra le sue cattive giumente che misero la sua cavalcatura a due dita dalla morte.

Che il diavolo mi porti, malgrado il mio risentimento per lui, disse il baccelliere con corruccio, se non partite all’istante con il vostro don Chisciotte per andare a cento leghe al di là dell’inferno tutte le peggiori avventure che potessero esistere sulla terra, sono cadute su di me, come se piovessero e come se mi aveste scomunicato.

Su questo antefatto egli tornò e ritornò in tutta fretta dalla sua cavalcatura per aiutarla a svegliarsi, ma invano; cieco e storpiato, il povero animale  non poteva rimettersi in sesto; ma, appena il baccelliere gli aveva tirato la briglia, aveva rimosso una gamba o un piede per dar segno di esistenza. Compresi allora tutta la forza dei garretti di una mula quando difende il privilegio del pudore.

Osservando le cattive condizioni della povera cavalcatura  e osservando che il sole cominciava già a inclinare verso il mare e lasciare le montagne dietro di sé, presi congedo dal mio baccelliere desolato, un po’ cortigiano.

Era occupato a svegliare il suo animale, pena per la verità del tutto inutile, né mi vide, né mi sentì; mi ero accorto che non aveva trovato qualcosa da dirmi, tanto la sua lingua era impastoiata a causa del dispiacere.

Rimase dunque lì, lamentandosi e mandando i suoi pianti fino al cielo; non ho avuto più sue notizie e nemmeno avevo cercato di averle; mio Dio! Mi sembra ancora di sentirlo ... Montando sul mio onesto mulo, mi diressi immediatamente verso Toledo.

Sul far del giorno entrai attraverso le porte di Toledo e, attraversando le sue strade andai dritto ad alloggiarmi da un amico, dove, dopo aver riflettuto, mi decisi a scrivere questa avventura a chiarimento di quelli che vedono nell’ingegnoso hidalgo don Chisciotte, ciò che non é.

E’ per questo che ho voluto dare a questo libro il titolo di Buscapié, come i ragazzi  mancesi, che buttano il serpentello tra i piedi della gente (Dio sia lodato), per farli saltare, sicuro di entrare in singolar battaglia con gli sciocchi che mormorano, vipere che per proprio danno alimentano tutta la ben ordinata repubblica.

Per questo, mi sento molto fortunato per averti servito, caro lettore, e considero   un bene ancora più grande se non lasci sfuggire dalla tua memoria tutti questi suggerimenti che ti ho dato. Che Dio ti guardi!

 

 

 

20) La frase “con tutta l’intelligenza” è sarcastica in quanto gli avvocati di quel tempo erano considerati ignoranti, pedanti, insensati e di cattivo gusto.

 

 

 

 

FINE