RIPRODUZIONE SATIRICA DI MIGUEL
CERVANTES
RARITA’
LETTERARIE
IL BUSCAPIÉ
DI
MIGUEL CERVANTES
de Saavedra
L’opuscolo in cui Cervantes spiega le ragioni
della scrittura del Don
Chisciotte.
a cura
di
Michele
E. Puglia
B |
uscapié era un serpentello che i ragazzi lanciavano tra le gambe dei passanti per
spaventarli ed era anche un’idea lanciata a caso per suscitare delle reazioni.
Quando era stata pubblicata la prima parte del don
Chisciotte, il libro non aveva avuto
un immediato riscontro di vendite, perché aveva creato sconcerto tra i lettori che
non lo avevano ben compreso.
Cervantes aveva quindi scritto questo libretto, pubblicato
anonimo, per spiegare il suo don
Chisciotte e questa spiegazione era data sotto forma di critica al libro.
Questa piccola opera, stampata anonima, estremamente rara, faceva
in apparenza una ingegnosa critica al don
Chisciotte, dando a intendere che fosse una critica, fortemente mascherata
da molti personaggi noti e altolocati, deliberatamente lasciati sotto il velo dell'incognito.
Con una critica così sottile e nello stesso tempo abilmente
condotta, fu così eccitata la curiosità di un pubblico avido di scoprire ciò
che il Buscapié aveva lasciato
intendere, suscitando la voglia di divorare la lettura del don Chisciotte ...
come poi avvenne (anche se vi era chi riteneva che il libro avesse ottenuto il
successo dal primo momento e non vi fosse bisogno della pubblicazione del
libretto!).
Si era ritenuto che in questo libretto Cervantes si burlasse dell'imperatore
Carlo V e del duca di Lerme (favorito di Filippo III)
e che il libro costituisse una satira contro di loro, sebbene Cervantes, a
parte qualche larvata indicazione, non avesse mai fatto meznione,
nei suoi scritti satirici, di qualsiasi persona.
Egli aveva scritto nel suo “Viaggio
al Parnaso” : La mia umile penna non ha mai preso il
suo volo nel campo satirico, bassezza che non produce delle ricompense infami
delle disgrazie”.
Cervantes non somiglia al conte di Villamediana,
autore di tanti versi satirici contro il
duca di Lerme (il monaco Luis Aliaga),
e contro il conte-duca d’Olivares, uomo che non rispettava niente e tantomeno la
sventura; perché il giorno in cui il duca di Lerme
decadde dal favore di cui (Villamediana) godeva, e Aliaga indossò
la porpora di cardinale, scrisse sui muri della capitale: Per non morire appeso, il più gran ladro di Spagna, si e' vestito di porpora.
Egli pagò con la vita le sue satire sebbene alcuni la
attribuissero ad altre cause.
Sulla
trovata di
Cervantes per spiegare le intenzioni del romanzo vi era stato chi aveva
ritenuto che il successo di vendite fosse stato immediato, per cui non
occorreva nessun chiarimento e il motivo del Buscapié sarebbe stato un altro,
vale a dire la difesa del Don Chisciotte contro le critiche mosse all’opera da
persone ritenute dotte.
Dopo questa geniale trovata, il don Chisciotte era stato capito e aveva avuto il suo meritato
successo.
Di questo libretto, a metà del “1800” era stata fortunosamente
trovata una copia di altra copia manoscritta del 1606 (uscita dalla biblioteca
del duca portoghese de Safoez), la cui trama,
pubblicata in francese, altrettanto fortunosamente capitata nelle nostre mani,
la riproduciamo nel presente lavoro.
Nella prima parte del Don
Chisciotte, Cervantes anticipa le critiche
che avrebbero potuto fargli sul matto che
egli aveva immaginato, che credeva alle prodezze dei cavalieri erranti, per
andarsene in giro per il mondo alla ricerca delle avventure (si veda il cap.
XLIX); ma egli previene questa critica opponendo agli argomenti (in particolare
del canonico di cui parleremo tra breve), i guerrieri spagnoli che si
esercitavano al mestiere della cavalleria errante.
L’opera ebbe comunque ugualmente molte critiche.
Cervantes volle criticare, tra gli altri, uno dei suoi più
astiosi censori, l’ecclesiastico di cui aveva parlato nella seconda parte del
suo romanzo, ospite del duca e della duchessa di Criscialva
(Cap. XXXI), quando dice: L’ecclesiastico
che sentiva parlare di giganti, di gaglioffi, di malandrini di incantamenti, immaginò
che si trattasse di don Chsiciotte della Mancia, di
cui il duca leggeva frequentemente la storia, che egli aveva sovente rimproverato
dicendo che era uno sproposito perdere tempo con simili frescherie
... e contegnoso e con sdegno disse al duca medesimo: Vostra eccellenza renderà
conto al Signore delle azioni fatte da quest’uomo dabbene. Questo Don
Chisciotte o don balordo, o come si chiami, io credo che non sia tanto
mentecatto quanto vostra eccellenza suppone... Volto poscia il discorso a don Chisciotte, gli
disse: E voi cervello stravolto, chi vi ha fitto in testa che siate cavaliere
errante, che vinciate i giganti, sogghigniate i malandrini? Andate di buon’ora .... andate a casa vostra,
educate i vostri figliuoli
e se ne avete, prendete cura della vostra roba e finitela di
andare vagando per il mondo poppando vento e dando di che ridere a quanti vi
conoscono o non vi conoscono. Dove avete trovato che sono esistiti i cavalieri
erranti o che esistono al presente? . . . (*)
Si è ritenuto che questo ecclesiastico o religioso, come lo
chiama qualche volta Cervantes, fosse il padre Luis Aliaga,
all’epoca, commensale del duca di Bezar e in seguito
confessore di Filippo III, e che questa avventura fosse arrivata quando Cervantes
aveva chiesto al duca il permesso di dedicargli il suo libro e il diverbio
aveva provocato una forte inimicizia tra Cervantes e l’Aliaga.
Questo Aliaga nutriva una gran gelosia
e per vendicarsi pubblicò la seconda parte del don Chisciotte sotto il nome di
Alonzo Fernandez de Avelleneda, ciò che conferma che Aliaga sia l’autore di un altro pamphlet stampato senza indicazione del nome del vero autore,
intitolato “Vendetta della lingua
spagnola contro l’autore del racconto dei racconti”, di don Juan Alonzo Laurelez, semplice aragonese, divenuto castellano. Egli
cita Lope (de Vegas) come modello, lo chiama il cigno e fa sentire a
Quevedo le sue deficienze personali come
la sua vista bassa e la lunghezza dei suoi piedi. E’
un libro tanto mal scritto quanto il Don Chisciotte scritto da Aliaga sotto il nome di Avelleneda.
Offeso per le ingiuste censure al suo libro, Cervantes scrisse
nello stesso anno in cui era apparso il don Chisciotte (1605) il libretto
intitolato Buscapié, che egli aveva intenzione di far
stampare, come si rileva dalle approvazioni del dottor Gutierrez de Cetino e di Thomas Gracian Dantizco, ma non ottenne l’onore del timbro reale e non
poté esser dato alle stampe; ma, nell’anno seguente (1606), era stata tirata
una copia di un’altra copia dal signor Augustin Argote,
figlio primogenito del celebre Gonzalo Zaticco, o Argote de Molina.
Lo stile e la genialità dell’opera (è detto nel Prologo dell’Editore) sono assolutamente
di Cervantes; questa piccola opera è piena di frizzi e arguzie e costituisce
una delle opere che fanno più onore alla graziosità della lingua spagnola ed è
una delle migliori uscite dalla penna di Cervantes.
Il dialogo è eccellente e si può dire che sia superiore a quello
che Cervantes usi in alcuni dei suoi scritti.
L’Editore conclude: Il vivo desiderio di strappare all’oblio
questa preziosa opera così desiderata dagli eruditi e la certezza che sia una
delle opere che onorano maggiormente il nome di Cervantes e la letteratura
spagnola, ne hanno suggerito la pubblicazione.
Inoltre, l’Editore, per le frequenti allusioni che Cervantes
aveva fatto alle cose del suo tempo, che meritavano di essere conosciute, aveva
avuto la saggezza di arricchire il testo con numerose e lunghe note storiche,
critiche e biografiche che si trovano nei due testi in lingua spagnola e
inglese in circolazione; poiché la traduzione francese da noi utilizzata, ne è
priva e, poiché un minimo essenziale di note non poteva mancare, le abbiamo
limitate all’essenziale, prendendole dalla versione spagnola.
*) Abbiamo preferito riportare il periodo tratto dalla versione
italiana in quanto la traduzione dal francese non ci è sembrata soddisfacente.
Il BUSCAPIE’
IN CUI SI RACCONTA
CIÒ CHE ERA CAPITATO ALL’AUTORE QUANDO SI RECÒ VERSO TOLEDO CON UN CERTO
BACCELLIERE CHE EGLI AVEVA INCONTRATO.
SOMMARIO: L’INCONTRO CON IL BACCELLIERE; IL BACCELLIERE IMMAGINA
LE QUALITA’ DELLA SUA CAVALCATURA; I DUE COMPAGNI DI VIAGGIO CERCANO L’OMBRA
PER RIPOSARE; L’INGEGNOSO HIDALGO; MIO PADRE NOMINATO CAPITANO DALL’IMPERATORE;
COSA PENSATE DI QUESTO LIBRO DON CHISCIOTTE?; LA PRINCIPESSA BACALAMBRUNA E IL
CASTELLO INCANTATO; LA FIGLIA DELL’IMPERATORE VALE COME UNA FALSA MONETA; IL VIAGGIO DI FILIPPO II IN ALEMAGNA FIANDRA
E BRABANTE; LE
ULTIME BATTUTE SUL LIBRO E TERMINE DEL VIAGGIO.
L’INCONTRO
CON IL
BACCELLIERE
I |
ncamminandomi
verso Toledo, a qualche passo dal ponte toledano, vidi venire dritto verso di
me un rispettabile baccelliere che montava un brocco dalla rozza taglia
robusta, guercio di un occhio e nello stesso tempo più chiaroveggente dell’altro,
con le gambe che trascinavano la loro debolezza con reiterate riverenze.
Il
baccelliere, con aria molto grave e sentendo da lontano il suo baccalaureato,
mi salutò; dal mio canto feci altrettanto con la più grande cortesia.
Egli
passò pungendo spesso il suo infortunato ronzino, per farlo marciare con più
ardore, se fosse stato possibile, a un povero provinciale la cui vecchiaia e le
piaghe facevano male solo a vederle.
Il
baccelliere si lasciò allentare la briglia, ma il ronzino, senza fare
attenzione, non alterò la sua andatura temperata, perché era così duro di
mascelle e di movimento; penso anche che fosse sordo a giudicare dalle crisi
che il suo padrone aveva per fargli prendere il trotto; ma egli continuava senza tener conto di niente, come se le crisi
del suo padrone fossero destinate a inabissarsi nel pozzo di Airone o perdersi
nelle arie della sommità del Cabra.
Malgrado
tutto il baccelliere viaggiava stimolando la sua cavalcatura sia con gli
speroni, sia con la voce, ciò che mi forniva l’occasione di risate
incoercibili. La scena diveniva ogni volta più interessante.
Il
nipote di Babieca si mostrò subdolamente offeso per una
tale ostinazione, poi si decise a non voler più avanzare, in modo che più egli
era punzecchiato dal suo padrone, più si rifiutava.
Il
baccelliere si rivoltò contro l’animale e non volle cedere alla sua
ostinazione, al capriccio, alla cattiva intenzione che la sua cavalcatura
manifestava in maniera così poco conforme al suo carattere, fino a quel momento
molto dolce; egli si decise a colpirlo con forza, sperando di fargli prendere
un’andatura più viva, ma invano perché la bestia, irritata, sebbene essa
avrebbe dovuto essere più obbediente, dei colpi di bastone che il suo padrone
si era munito nei casi più gravi, cominciò a dare delle graziose sgroppate e
dei pericolosi sgambetti; il risultato fu quello di far cadere il suo padrone
per terra.
Testimone
di questo improvviso disastro, io punzecchiai la mia mula che non era molto
vivace e giunto presso il baccelliere, nel momento stesso in cui, spinto da una
furiosa crisi, imprecando e bestemmiando egli si rivoltava nella polvere, io
tirai le briglie della mia cavalcatura,
e mettendo il piede a terra gli dissi:
Vostra signoria si calmi e mi faccia la grazia
di alzarsi se può e continuare a camminare; da questi malesseri sono
colpiti i cavalieri che, come noi si
imbattono in cavalcature così villane.
Parlate
per voi, disse lui, perché è a forza di essere buono che la mia mi ha giocato
questo cattivo tiro.
Io
dovetti fare uno sforzo estremo dal trattenermi dal ridere, ma alla fine,
divenuto padrone di me stesso aiutai il povero diavolo a rimettersi in piedi.
Una volta che fu in piedi, ciò che avvenne con difficoltà tanto la caduta era
stata violenta, egli mi offrì una vista che era la più comica del mondo.
La sua
piccola taglia era corretta da una graziosa gobba aggiunta alle sue spalle,
come dei versi che coronano un sonetto. Questa gobba lo forzava a guardare più
basso di come avrebbe voluto. Che cosa avrebbe detto il licenzioso Tamariz (1) che aveva l’abitudine di scrivere con la grazia
che gli era abituale e uno spirito distinto tanto di strofe che di strofette,
in favore dei gobbi? I suoi giambi rassomigliavano a un trancio di melone e i
suoi piedi calzavano molto comodamente dodici punti; credo di non essere giusto
sulla misura, può darsi che essa fosse ancora più corta.
Da ciò
si vede come la natura è prodiga verso i mortali.
Il
baccelliere aveva portato, nel frattempo, le mani alla testa, per assicurarsi
che non fosse rotta. Egli cominciò a sentire il dolore delle sue ossa; ma non essendo
obbligato a intendersi di medicina, mi chiese con una voce flebile e
lamentevole, dal momento che ero dottore (cosa che supponeva avendomi visto
viaggiare su una mula (2)) quale rimedio sarebbe stato migliore per guarire la
sua umanità offesa.
Gli
rispondevo di non essere dottore; ma che quando sarei divenuto il celebre Juan
de Villalobos (3) dei tempi antichi o il Nicolas Menardez (4) dei nostri giorni, avrei potuto donargli, come
rimedio al male che la sua cavalcatura gli aveva causato, niente di più utile
che concedersi al riposo e al sonno; che era ciò che io credo il più favorevole
alla cura del suo malessere, al recupero della sua salute sconquassata e poiché
il sole avanzava, pensavo che dovessimo metterci all’ombra di qualche albero,
vicino alla strada sotto il quale avremmo riposato durante una gran parte della
giornata, garantiti dall’ardente Apollo, fino a quando, con meno calore e le
ossa meno peste, avremmo potuto riprendere il nostro cammino.
Oh, ciò
mi fa piacere! Disse il baccelliere con il tono effeminato e lamentevole che
aveva ripreso. Chi avrebbe potuto immaginare, disse, come uno stregone, che la cattiva e
impaziente natura di questa bestia feroce, non farebbe un flagello del corpo di
un baccelliere graduato all’università di Salamanca e non a quella di Alcalà;
perché in quest’ultima non vi sono che studenti poveri che vanno a prendere i
loro gradi, perdendo, non recandosi a Salamanca, il privilegio di cui godono
gli hidalgos
di Spagna.
1) Joaquin Romero de Cepeda, autore dell’operetta “Conserva
Spiritual”.
IL
BACCELLIERE
IMMAGINA
LE QUALITA’ DELLA
SUA
CAVALCATURA
Helas! E’
possibile che un tale disastro mi colpisca. Mi hanno ben avvertito all’albergo che
questo animale abbia un comportamento pericoloso, sebbene assai equilibrato nel
resto. La dolcezza del suo pelo è indice, in effetti, della sua graziosa
costituzione e della sua buona predisposizione; le sue membra sono formate con una
giusta ed elegante perfezione. I suoi zoccoli sono ben uniti, molto neri e ben
tondi, larghi, duri e sotto incavati; le loro corone sono ben serrate
tutt’intorno e abbondantemente villose. Ha il pasturale molto corto, né molto inclinato,
né tutto dritto, e sembra al riparo dalle cadute.
Che
qualità! Giunture vigorose, sane, che presentano il segno più positivo della
forza; gambe larghe, dritte, quelle anteriori ben sciolte, tibie corte,
ginocchia piatte, forti, spalle larghe, ben fornite di carne, petto grasso e
tondo, fronte sfoltita e ampia, occhi ampi e protuberanti, orbite sporgenti,
guance esili, narici aperte, di modo che si possa scorgere il color porpora
interno, bocca grande, testa secca alla maniera degli arieti, che lasciano
vedere dei larghi incavi in tutta la sua superficie.
Vedendo
poi ciò che lui si preparava a continuare nella enumerazione delle virtù e
delle qualità che supponeva avesse la sua cavalcatura e che non erano mai
appartenute né al suo ronzino né alla sua razza e cercando di fermarlo, gli
dissi con voce molto dolce:- Abbia vostra grazia la bontà di perdonarmi, signor
baccelliere; ma io non trovo nel vostro cavallo tutte le cose e le grazie che vi sembra di rimarcare riunite e ben
coordinate; malgrado tutte le pene del mondo, io non saprei dargliele. Se vi ho
sentito bene, le gambe che Vostra Grazia dice essere dritte e ben congiunte io
le trovo contorte e separate e ciò che Vostra Signoria eleva fino al cielo è
tutto sfregiato da cicatrici che impediscono l’uso della sella; infine l’animale tutto intero è così magro, da essere
spossato.
Quanto
agli occhi che Vostra Grazia ritiene neri e prominenti, che io perda i miei se
non si vedono suppurare da quelli della vostra bestia, gli umori corrotti che
soggiornano in un brocco di forma sì villana.
Non
parve irritarsi di queste riflessioni un po’ ardite e senza avere l’aria di
essere confuso, malgrado ciò che avevo visto e creduto; perché, occorre che voi
sappiate che, se in tutto ciò che ho detto mi sono allargato dai limiti
prescritti dalla ragione, occorre attribuire all’inconveniente di una bassa
vista di cui soffro dagli anni della giovinezza e che è ancora più debole ora
che ho parecchio letto e parecchio scritto, infermità che mi affligge estremamente;
occorre che sappiate che ho lasciato l’albergo con un bel paio di occhiali. Ma
per i miei grossi peccati, questo puledro ... .
Voi
volete dire ronzino,
ribattei io. Ma lui proseguì nel suo racconto, dicendomi solamente: Ronzino, sì
è ronzino se così vi piace. Ebbene! Sappiate che questo ronzino, come Vostra
Grazia vuole ben chiamarlo, al momento di lasciare oggi l’albergo, ha fatto
quattro o forse cinque salti (perché forse non li ho esattamente contati),
salti che, non essendo un eccellente cavallerizzo, mi hanno gettato a terra nel
bel mezzo del ruscello, da cui sono uscito piuttosto pesto e maltrattato: è
allora che credo di aver perduto i miei occhiali.
Ecco
la più spiacevole delle cadute che, per volontà di qualche spirito maligno si è
introdotto, senza dubbio, nel corpo di questo animale, ho provato questa
mattina per me così tragica.
La
collera di questo animale, o piuttosto scheletro ambulante, vi ha dunque
gettato per terra? – Il baccelliere mandò un gran sospiro che pareva uscire al
fondo dell’anima e rispose: Non una volta, ma sei altre volte; perché è
solamente al mio passaggio al ponte di Toledo che ho potuto resistere senza
cadere grazie alla criniera alla quale mi sono aggrappato; senza di essa, a
quest’ora avrei già cessato di vivere.
I DUE
COMPAGNI
DI
VIAGGIO CERCANO
L’OMBRA
PER RIPOSARSI
Il mio viaggio sarebbe cessato già prima di
essere cominciato; ma in definitiva vedrei meglio che il tempo che passiamo a
pronunciare delle vane parole lasciando fondere i nostri cervelli sotto gli
ardenti raggi del biondo pianeta, fu impiegato a cercare la freschezza
all’ombra di questi folti alberi con la speranza di trovare se non il risposo
almeno la fine del malessere che mi avvolge così ostinatamente. Se l’idea vi
appare buona, lasciamo le briglie e le attacchiamo ai tronchi di questi stessi
alberi il mio puledro o il mio ronzino e la vostra mula, a meno che non
vogliate lasciarli a brucare l’erba che questi campi producono sì
abbondantemente per regalo e nutrimento delle truppe.
---
Facciamo ciò che voi volete, gli risposi, dal momento che il destino ordina che
passi la giornata in vostra compagnia, ciò che faccio con gran piacere. Preso
già da tenero affetto per voi, possiamo fare una buona siesta fino a quando la
forza dei raggi del biondo Febo comincia a mitigarsi all’avvicinarsi della
notte. --- Andiamo, aggiunse il mio caro baccelliere; perché per fare una
diversione alla noia che dà l’abitudine all’ozio, mi sono munito di tre buoni
libri di gradevolissima lettura; uno contiene dei versi religiosi, preferibili
a quelli di Cepeda (1) e l’altro una prosa molto semplice, quanto poco
spirituale. Se, al posto di andare da Madrid a Toledo noi veniamo da Toledo a
Madrid, io vi mostrerei due libri eccellenti dei
quali l’arcidiacono M. mi ha fatto dono. Voi comprenderete come essi siano
utili quando saprete che essi trattano di tutto ciò che esiste nell’universo,
di modo che con essi, si diventa colti.
Una
volta giunti nel
punto in cui vi erano i begli alberi folti, dopo aver attaccato ai loro tronchi
le nostre graziose cavalcature, ci sedemmo sulla nostra madre comune, la terra,
e ci disponemmo a dedicarci alla lettura con tutta la tranquillità di spirito che chiede il
saporoso studio delle lettere; il mio compagno aprì allora una borsa di cuoio
dove si trovavano i libri indicati. Egli aprì il primo e lesse il suo
frontespizio: “Versi religiosi per la
conversione dei peccatori e per gli errori del mondo”.
--- E’ un libro, gli dissi, i cui versi sono molto dolci da leggere e
di una poesia cristiana gradevole. Ho conosciuto il suo autore, monaco
dell’ordine di San Domenico a Huet, sotto il nome di Pedro
d’Ezinas (2). Doveva essere un uomo di molto spirito,
senza parlare dei molti manoscritti di propria mano che circolano nel mondo,
tutti approvati dalle persone colte.
Malgrado
ciò, proseguì il baccelliere, se devo manifestare con nettezza il mio nodo di
pensare, vi è in questo libro qualcosa che per me è ben scioccante: è di
trovare tali e quali gli ornamenti e gli abiti delle muse cristiane con quelli
delle muse adorate dal paganesimo. Perché a chi non ripugnerebbe di trovare il
nome del Verbo divino e della santissima Vergine Maria, con quelli dei santi
profeti mischiati con quelli di Apollo e Dafne, di Pan e Siringa, di Giove ed
Europa, del cornuto Vulcano e del bastardo (hijo de puta nel testo spagnolo) di Cupido, dio cieco, nato dall’adulterio
di Venere e Marte?
Per
molto poco meno il padre Ezinas fu coinvolto in una
certa occasione; ogni volta
che egli ripeteva durante il servizio della messa, Dominus vobiscum,
una vecchia che passava la vita a dire le preghiere, rispondeva sempre con voce
nasale Che Dio sia lodato. Il padre Ezimas sopportò questa impertinenza per alcuni giorni; ma
vedendo la devota recidiva di questa celestina,
egli si rivoltò una volta olto irritato e le disse le
seguenti parole: Voi non avete mal impiegato il vostro tempo, buona vecchia,
dal momento che non sapete rispondere ancora a Dominus vobiscum,
che con Dio sia lodato; Andate a
passeggiare voi e tutta la vostra razza e sappiate bene che sebbene queste
parole siano sante e buone, esse qui non sono ammesse.
---
Voi avete ragione, caro baccelliere, gli dissi, sulle mancanze che voi trovate
nei versi di Ezinas; ma a parte questa eccezione, è uno dei migliori libri che siano
stati scritti in versi nella lingua castigliana. Per il suo stile elevato esso
può rivaleggiare con le più famose opere dell’Italia, e per confermarvi questa
opinione vi voglio recitare una strofa che si trova all’inizio di una delle sue
canzoni e si esprime così (*):
Andad de la foresta – A sombras y frescura – Las bien apacentadas ovejuelas – Pasada la ardiente siesta – Junto a las aguas
puras: – Pasciendo flores id y yerbezuelas: – Vuestra cuidosas velas – Tras vos iran
guardando, – I los leales canes – Con bravos ademanes – A las hambrientas fieras asombrando; – Que allí serà contado – De un pastor
triste el doloroso estado.
---
Ebbene! Disse il baccelliere, malgrado l’elogio che voi fate di Ezinas, egli non mi sembra dei più gradevoli. Io non lo
trovo eccellente come le rime dei versi di Aldana e
quelli di un aragonese chiamato Alonso de la Sierra, poeta eccellentissimo che
ha scritto versi spirituali;
non sono che tre giorni che sono arrivati per posta a Madrid;
ecco dunque dei versi che si credono
dettati dallo stesso Apollo e le sue nove Muse.
Mettendo
a fianco i versi di Ezinas io direi che quest’altro
libro, che non è stimato dal pubblico più di due quattrini; da ciò viene che
non contiene che balordaggini, delle follie e altre cose che si privano della
regione e del gusto; è un riassunto di tutte le frivolezze e di tutte le
stravaganze di cui molti altri libri, così nocivi alla cosa pubblica, sono
riempiti ... .
*) Poiché la traduzione francese non ci sembra confacente,
riteniamo preferibile riportare l’originale testo spagnolo; la traduzione
italiana, press’a poco, potrebbe essere la seguente: Vagando per la foresta –
Sotto l’ombra e la frescura – Le ben pasciute pecore: – Passata la siesta
ardente – Presso acque limpide: – Brucando
fiori e tenera erba: – Si prenderanno cura di voi – Tra di voi andranno
custodendo – I fedeli cani – In modo coraggioso
– Impauriranno le bestie feroci – Che
possono minacciare la vostra esistenza – Che lì sarà valutato – Lo stato
doloroso di un pastore triste.
Per alcune piccole correzioni e per le note ci siamo serviti
della edizione spagnola curata da don Adolfo de Castro pubblicata a Cadice il
1848.
2) Padre Pedro de Ezinas dell’Ordine
dei Predicatori del convento di san Domingo in Huerte,
aveva preparato per la pubblicazione una raccolta di poesie ma era stato colto
da morte improvvisa, i suoi confratelli non lasciarono che rimanesse inedita e furono loro
a pubblicarla (1597).
L’INGEGNOSO
HIDALGO
D |
etto
ciò, avendo aperto un libro, leggevo su una delle sue pagine, L’Ingegnoso Hidalgo, ciò che mi
sorprese. Durante un lunghissimo spazio di tempo, avevo l’aria di un uomo al
quale una improvvisa paura abbia ghiacciato la parola sulle sue labbra.
Soffocando
tuttavia la mia tristezza, presentai con calma al mio amico baccelliere le seguenti ragioni: Io
trovo che questo libro, che secondo voi contiene delle sciocchezze e delle
follie, sia ben di gradevole lettura; esso non arreca pregiudizio a
chicchessia, brilla per uno stile molto ricreativo e di avventure molto
graziose; esso mi sembra che il suo autore debba essere ricompensato e lodato
della intenzione che ha avuto di mettere fine, nella maniera più accorta e
spiritosa, alla lettura di questi futili libri di cavalleria, i quali non
servono, per le loro vane immaginazioni, che a riempire i loro lettori di
tristezza e malinconia.
L’autore
ha tanto più
diritto di essere incoraggiato, essendo sopraffatto da sventure più che di
anni; ma la sua speranza di vedere i suoi lavori ricompensati è piuttosto una
chimera, se si considera come il mondo sia pieno di vanità e di menzogne e che
la gelosia è presto pronta a opprimere
il merito. Sopratutto nel nostro secolo la gelosia regna e domina; osservate
ciò che succede nei palazzi, a Corte; i gran signori hanno la vanità di
disprezzare quelli che professano il nobile esercizio delle lettere; vi sono
delle forze umane che possano convincerli dei loro errori?
Risulta
che se le persone di spirito vogliono avere una sia pur minima autorità, sia la
loro disputa, sia il loro distacco nel momento in cui si attendono di gioirne
ed ecco in che modo gli sventurati vivono senza avere un’ora di pace.
E’
vero, disse allora il signor baccelliere, che la repubblica cristiana non
guarda questi libri di cavalleria come falsi e pieni di menzogne e i loro
autori come inventori di cose frivole e sciocche; dunque, bene che non siano
tutti lodati come persone colte, i tre quarti di loro si son fatti una tal
reputazione che, degli uomini che hanno tutti la loro barba al viso prestano
fede a queste valorose e furiose battaglie di cavalieri erranti; a questa
devozione che fa lasciare i loro focolari e incaricare altre persone per
l’amministrazione dei loro beni, quando essi prendono questa decisione, al fine
di andare alla ricerca di avventure, avendo sulle loro labbra il nome della
dama dei loro pensieri, perché venga in loro soccorso nei loro pericoli ai
quali si espongono, senz’altro motivo che quello di acquistare la reputazione
di uomo che non soffre, non offende, non ingiuria.
Per
Dio e per la mia anima, continuò egli senza prendere fiato, malgrado la
lunghezza della frase e gli occhi pieni di lacrime, vi assicuro di avere gran bisogno di trovare
uno di questi cavalieri che possa raddrizzare la mia gobba.
Ecco
una verità degna di essere riformata con la bravura di uno di questi cavalieri
erranti; perché senza questa gobba e queste brutte gambe, questa figura e
questa piccola taglia, questo naso allungato, questi occhi tanto poco impauriti
e questa bocca che si allunga fino alle orecchie, non vi è uomo né più bravo, né
più galante, né più distinto sulla terra, né più desiderato dalle dame, né più
invidioso dei cortigiani e dei ragazzi, né meglio segnalato a dito dal pubblico
di me. Al diavolo tutti quelli che si pavoneggiano in mezzo alle strade di
Madrid, credendosi i più galanti e i più belli.
Al
diavolo, sì, al diavolo, tutto, sì. Io non voglio farmi di miele; perché se uno
si fa di miele le mosche lo mangiano; io mi conosco bene; mia madre mi diceva
bene che quando ero ragazzo io rassomigliavo a mio padre come due gocce
d’acqua; egli fu uno dei più bravi soldati che assistettero con l’invincibile
imperatore alla guerra d’Alemagna; egli era spesso negli affari più caldi, in
tutte le scaramucce dirette contro i nemici; colui che attaccava per ultimo e
si ritirava più tardi.
Il capitano
Louis Quijada, della Lombardia, avendolo trovato
nascosto tra i rami di un albero e credendo fosse una spia, ordinò che gli
fossero dati due colpi di corda; egli si scusò dicendo di essere lì per spiare
i movimenti della fanteria nemica; perché sebbene fosse affaticata, inseguita e
disseminata per i continui allarmi e gli attacchi, di giorno e di notte, egli
aveva saputo dalla bocca di alemanno moribondo (che era degli eretici), che i
suoi avevano progettato di fare una falsa ritirata per attaccare il nostro
campo, dal lato più debole. Per queste spiegazioni e le preghiere degli altri
soldati che conoscevano il carattere di mio padre, il capitano Quijada gli perdonò,
a condizione che all’alba ... --- Un momento, signor licenziato, gli dissi;
fate attenzione che l’ingegnoso hidalgo
don Chisciotte della Mancia, Vostra Grazia si è messo a saltellare di fiore in
fiore, come un piccolo uccello per arrivare alla narrazione delle imprese del
padre alla guerra d’Alemagna, le quali imprese sono della stessa opportunità di
quelle di Mingo Rebulgo o di Calainos
(3).
Il
baccelliere rispose: --- Chi dice Rodriguez, dice rumore. Dio mi ha fatto così,
che volete? E poi voi non ignorate, che, nella sua politica, Aristotele designa
come malvagi gli uomini silenziosi; il proverbio è là. Guarda le dimore degli
uomini silenziosi; così ho l’abitudine di fare
costantemente come una negra nel bagno
(nel senso di essere loquace).
3) Mingo Rebulgo considerato scrittore
satirico alla corte di Giovanni II di Castiglia, XVmo
sec., autore Rodrigo de Cota che aveva scritto il libro Las coplas
de Mingo Rebulgo (I versi di Mingo Rebulgo) XVmo sec. .
Moor Calaymos considerato affine a Rebulgo, ritenuto autore di un romanzo considerato volgare
e triviale da cui era derivato il detto “este no vale las
coplas de Calaynos” questo
non vale le storie di Calaymos.
MIO PADRE
NOMINATO
CAPITANO
DALL’IMPERATORE
M |
a
Vostra Signoria, non negherà, se tuttavia ella volesse farmi la grazia di ascoltarmi
(aggiunsi, vedendo come egli fosse disposto a citare dei proverbi), che
chiamano saggezza un opportuno silenzio; perché ciò che si dice tamburello a sonagli spesso non è vero.
Malgrado ciò, disse, io non credo che Vostra Grazia ignori che sia agitando le
ali che il mulino fa i suoi profitti e non restando immobile; è dunque in
questo modo e sempre chiedendovi perdono, che desidero raccontarvi molto
gentilmente in che modo mio padre divenne capitano.
Un
giorno che la mischia con gli alemanni eretici era molto serrata e molto
spessa, mio padre, guardando da tutte le parti per trovare sul campo di
battaglia un posto più appropriato per mettersi al sicuro contro il pericolo
perché egli aveva spesso in vista la mia venuta al mondo, sebbene non ancora generato
e che doveva conservarsi per altre cose
più importanti; egli cercava dunque la maniera
di salvaguardare la sua persona, senza esser visto dai nemici né dai
suoi, riguardandosi, aggiungo io, per cose più grandi. ---- O
più piccole, aggiungo io nello stesso tempo; in effetti, se egli si riguardava
perché voi veniste al mondo, come trovare nel mondo un uomo più piccolo di voi?
Ora, poiché voi siete la cosa più piccola, se egli si riguardava per generarvi,
come potete dire che egli si riservava per grandi cose?
----
Ho ben inteso dire che io sono molto piccolo e, spesso non l’ho mai creduto,
aggiunse il baccelliere, perché mi sono immaginato che non
era quella l’opinione comune; io non ho dunque mai dato più importanza a
ciò che i vecchi attaccano a raccontare l’inverno accanto al fuoco.
Sappiate
dunque che andando da una parte e dall’altra sul campo di battaglia, come ho
già detto, mio padre vide come si combatteva tra le due ali dell’armata
imperiale e gli venne il desiderio di mettere subito mano alla spada; perché sebbene
questa spada avesse visto la luce del sole in alcune occasioni di estrema
necessità, in breve, vergognandosi della sua nudità così da poter essere la vergine più pura, essa
rientrò nel fodero senza essere toccata dal sangue dei nemici.
Ciò
che mio padre fece nella lotta, sarebbe troppo lungo e troppo noioso da dire;
ma nello stesso tempo non vi furono ricompense sufficienti accordate al suo
coraggio, essendo di tutta notorietà a Villar de Olmo, mia patria e nei
dintorni, che portò ai piedi del saggio imperatore più di trenta teste tagliate
di alemanni pagani. L’imperatore diceva nello stesso tempo al suo maestro di
campo come Giulio Cesare, ma con la variante che conveniva a un principe cristiano Venni, vidi
e Dio vinse (4).
L’imperatore,
soddisfatto della vittoria, essendo giunta l’ora delle ricompense, accordò a
mio padre il grado di capitano; le cattive lingue non mancarono di dire in questa occasione, che mio padre
aveva tagliato la testa a molti uomini morti sul campo di battaglia e che aveva
fatto come il cacciatore che compera al mercato la selvaggina e se ne va per le
strade dandosi le arie di gran cacciatore, come se avesse preso ciò che porta.
Malgrado
ciò, egli era capitano con il piacere o il rimpianto dei censori imbecilli che agitano con la
loro cattiva lingua la pace della cosa pubblica; del resto, mio padre
non
aveva minimamente bisogno di creare problemi ad alcuno, sulla buona o cattiva
qualità dei meriti ... .
4) Si trattava della vittoria riportata da Carlo V a Mühlberg il
24 agosto 1547.
COSA
PENSATE
DI QUESTO
LIBRO
DON
CHISCIOTTE?
M |
a,
potrei sapere, infine, dissi, ciò che
voi pensate di questo triste libro di Don Chisciotte, che vostra Grazia giudica
pieno di sciocchezze e vanità?
Dico
ciò perché molte persone dallo spirito piuttosto delicato hanno giudicato
questo libro il primo di tutti quelli che sono stati composti in Spagna; esso è
apparso di gradevole lettura e aggiungerei allo stesso tempo, che passa per
essere pieno di finezze e verità.
E’
vero che questo libro ruota attraverso le onde della critica, come la nave che
ha preso il mare con un tempo poco favorevole ed è quella, a parlare
francamente, una delle influenze fatali che l’autore ha dovuto subire; ma il
tardivo apprezzamento delle persone colte tornerà a vantaggio della sua gloria
e della sua fama; quanto a quelli che non gli renderanno giustizia, l’autore li
lascia perdere per quello che essi valgono.
----
Questo libro, riprese il baccelliere, che voi trovate così pieno di buon senso,
così grazioso, e che volete che sia tanto stimato, è pieno di stravaganze e la
più forte di tutte, non è quella di voler bandire dal mondo la lettura futile
di quei libri menzogneri di cavalleria che si guardano come una vera falsità e
completa balordaggine?
Non vi
è, ciò che è ancora più insensato, chi possa tracciarci il ritratto di un uomo
che, con la testa montata di frottole che si trovano in simili libri, lasci il
proprio focolare per andarsene alla ricerca di oscure avventure,
credendosi tutto a un tratto divenuto
cavaliere errante, senza che tutte le contrarietà e tutti i colpi di bastone che
egli ha ricevuto per punizione della sua stoltezza, possano distoglierlo dalla
sua inflessibile idea?
Quando,
lo sfortunato autore di questo libro, ha visto che di simili folli esistessero
ai nostri tempi? ... Non vi è che indirizzargli ancora più domande che il
defunto ammiraglio (5) gli abbia indirizzato, sebbene egli fosse il più
importuno degli interroganti?
Io gli
domanderei come egli ha visto Palmerino d’Inghilterra, come Florindo, de Floriando (6), altri cavalieri erranti molto ben armati di
tutte le armi come se fossero scappati da uno di quei vecchi tappeti che alcune
volte si trovano nelle taverne, esilarando ciò che si trova diritto e guastando
ciò che è in buono stato
e in ordine perfetto. Ecco da dove parto per consigliargli ancora
di coltivare il suo spirito, che è incontestabile al fine di aspirare a cose
migliori e rinunciare alla continuazione del suo maledetto libro; perché non è
lui a distruggere la disdicevole stima che il rozzo pubblico accorda ancora ai
libri di cavalleria.
Ecco
cosa gli direi e anche di più ancora; le
parole non mi mancano e allo stesso modo, credo che se rimanessi muto esse me
ne verranno di più; perché ho tanta memoria quanta di spirito oltre a un gran
desiderio di correggere e nello stesso tempo castigare i difetti altrui, poiché io non posso correggere queste mie
brutte gambe che mi portano e questo bel gobbo
che io porto. Sappiate che sono un gran filosofo perché ho appreso a riconoscermi io
stesso nella nuova filosofia di donna Oliva (7); chi ha ottenuto ciò non ha ottenuto poca
cosa.
Non
disdegnate la sua dottrina per la ragione che essa provenga da una donna; vi
sono molte donne sulla terra
degne di ogni venerazione e di tutto rispetto. Considerate, senza
andare più lontano, vi rammenterò la defunta contessa Tendilla,
madre dei tre Mendoza (8), i cui nomi vivono ancora e vivranno lungamente nei
secoli dalla voce della fama. Vi è anche madame
Passier (9) la cui morte ha portato via un grande
spirito, la memoria e l’eloquenza come il mese di ottobre porta via i pampini.
Le
magnifiche esequie funebri furono fatte per rispetto delle sue conoscenze
letterarie e versi altamente spirituali furono dedicati alla sua memoria; io
credo nello stesso tempo che un libro pieno delle sue lettere piene di
erudizione e di moralità deve essere pervenuta alla capitale; è questo libro
che l’autore del Don Chisciotte così criticato dovrebbe studiare.
---- Come, caro
baccelliere, gli risposi, è possibile che Vostra Grazia sostenga così
calorosamente che non vi sono cavalieri erranti per il mondo nella nostra età
di ferro? Voi mancate di memoria fino al punto di non ricordare questa quantità
di cavalieri la cui mania tiene per vere tutte le follie che pullulano nelle
storie romanzesche.
Vogliate ben
ricordare la irragionevolezza di quel famoso cavaliere don Suero
de Quiñones,
il quale, dicono,
chiese al molto alto e molto potente re di Castiglia, don
Giovanni II il permesso di lasciare la Corte con nove gentiluomini, al fine di
ottenere la sua libertà prigioniera (una donna lo teneva imprigionato). Egli so
offrì di rompere in trenta giorni, trecento lance contro tutti coloro che
volevano tentare l’avventura; voi dovete anche sapere che questo cavalier don Suero de Quiñones aveva vietato l’onorevole passo nelle vicinanze del ponte d’Orbigo
e fu lì che egli tolse dal suo collo il ferro che portava tutti i giovedì in
segno di servitù e di cattività.
Voi
dovete sapere che Lope de Estuñiga, Diego de Bazan, Pedro de Nava e altri hidalgos nel numero di nove,
tutti innamorati alla maniera cavalleresca, furono i difensori e controllori
del passaggio, dove spezzarono tutte le loro lance con più di settanta
avventurieri venuti sul terreno per dar prova
della loro forza e del loro
coraggio.
Ditemi,
infine, mio caro baccelliere, se non sono là dei veri cavalieri in carne e ossa
e non dei cavalieri tali, come sono stati così mal dipinti. Oltre a ciò vi è un
libro, su questo onorevole passaggio, scritto da un monaco che si chiama de Pineda (10) ; è il riassunto di un
antico manoscritto, che potete trovare dappertutto, stampato in buone lettere.
Voi
certamente non avete dimenticato l’avventura del canonico Almela
(11) che prese parte alla conquista di Granada con due scudieri e dieci uomini
a piedi; egli aveva una passione così forte per tutte le cose della cavalleria
errante che conservava delle anticaglie e molte cose senza utilità; egli
portava spesso una spada che egli diceva essere del Cid Ruy
Diaz, dopo certe lettere che erano state scritte, sebbene non si potessero103
leggere e ancor meno comprenderne il senso.
---- I
vostri argomenti, signor soldato, sono consistenti; ma devo replicare che
simili prodezze sono state fatte nei tempi antichi e che senza andare più
lontano, nell’epoca della maestà cesarea dell’illustre imperatore Carlo V si è
inteso questo principe dire a un arcivescovo di Bordeaux né più, né meno, che
se fosse stato l’arcivescovo Turpin, avrebbe fatto
sapere al re di Francia che si era comportato in maniera bassa e villana; poco
dopo vedemmo arrivare un araldo del re di Francia con un altro araldo del re
d’Inghilterra, alfine di aprire la lizza secondo i privilegi della cavalleria
errante.
Io
ricordo molto bene averlo sentito dalla bocca di mio padre e signore (che
riposi in pace) e questa asserzione è degna di fede per la grande abitudine che
egli aveva di tutte queste cose che riguardavano l’onore, benché certi motivi
gli impedissero di farne uso; io ricordo bene che il grande imperatore essendo
stato provocato a duello con tutte le solennità delle leggi sul duello, chiese
consiglio al duca dell’Infantado don Diego), suo
cugino, che gli consigliò di non accettare per nessuna ragione la provocazione (12).
Questi
atti di bravura non compaiono più che nei libri menzogneri e stupidi della
cavalleria e nelle commedie che li imitano attualmente; perché al tempo di Lope de Rueda, di Gil Vicente e
di Alonso de Cisneros (13), non avevano ancora osato presentarle a teatro
e a voler dire il vero, mi sarebbe molto gradito che questo buon tempo passato
dei cavalieri erranti, ritorni.
E’ allora che mi
vedreste uscire al mattino all’inizio del giorno con i miei scudieri grandi e
piccoli, e con le mie doghe e segugi, portando un costume di cui la parte
superiore sia in cuoio e la fodera in pelle di scoiattolo, come i gran signori
portavano in altri tempi quando andavano in montagna. Voi mi vedreste portare a
tracolla il mio corno di caccia e montare sulla mia cavalcatura, seguito dai
miei scudieri!
Giunti
nel più folto del bosco noi saremmo accolti, poi accompagnati con tutto il
fracasso dei tuoni, dei venti, degli acquazzoni; allora, abbagliato dai
chiarori io mi perderei e mi troverei solo in mezzo al bosco nella più grande
oscurità, là dove nessuno oserebbe penetrare a causa delle bestie feroci. Lì,
io incontrerei non un barbaro furioso, ma un principe cortese, coraggioso e
prudente che si è smarrito nella foresta come me, avendo lasciato il suo
palazzo senza qualcuno del suo seguito per esercitare la cavalleria errante; il
suo nome sarebbe il cavaliere del Grifo o della Banda rossa; egli sarebbe
circospetto, di eccellente consiglio; scoprendo che io sono un cavaliere di
alta nascita, un cavaliere illustre, egli mi mostrerebbe la nobiltà dei suoi
sentimenti per la consolazione che egli cercherebbe di darmi, a causa delle mie
pene; poi, quando si aspetterebbe il monaco, una mano dalla figura estranea e
dalla voce tonante apparirebbe dicendo: - Preparati cavaliere del Grifo o della
Banda rossa o qual sia il tuo nome, per condurre a buon fine la più
affascinante avventura che mai si sia presentata a un cavaliere errante.
5) Si trattava di un libro intitolato “Preguntas del Almirante”-Domande
dell’Ammiraglio, pubblicato in due parti nel 1545 di Fadrique
Enriquez, Almirante di Castiglia per dar prova dell’ingegno di Luis de Escobar.
6) V. in Articoli: I libri
della biblioteca di don Chisciotte.
7) Doña
Oliva de Nantes Sahuco Barrera, viveva nei pressi
della città di Alcaraz (Castiglia-La Mancia), medico
e filosofo, pubblicò “Nueva filosofia de la naturaleza
del hombre, no conocida ni alcanzada de los grandes filosofos
antiguos; la qual mejora la
vida y salud humana-Nuova filosofia della natura dell’uomo non
conosciuta né capita dai grandi filosofi antichi; che migliora la vita e la
salute umana”. Non si conosce l’anno della prima edizione; la seconda
edizione fu pubblicata a Madrid nel 1588; il libro porta la dedica a Filippo II
di Spagna. Il libro è interessante perché tratta una materia, la natura umana,
come dice l’autrice, mai trattata in quelli di Galeno, e da Platone a Ippocrate
nei loro trattati sulla natura umanae né da
Aristotele quando aveva scritto sull’anima e sulla vita e la morte e neache Plinio e Eliano quando avevano trattato dell’uomo,
col risultato che è stata errata tutta la medicina antica che si legge e si studia nei suoi fondamenti principali, per non aver i
medici e filosofi inteso e capito dove si fonda
e trova nella sua origine la medicina. Nonostante il rumore suscitato da
questa donna che aveva scritto Nuova Filosofia a essa la medicina deve la rara
scoperta anatomica in special modo del liquido dei nervi.
Con doña Oliva si
era verificato ciò che era avvenuto nella letteratura nel XVII sec., quando
Feliciana Henriquez Guzman censurava da Lope de Vega a Tirso a Calderon che nelle loro commedie non
osservavano i precetti dell’arte.
8) I tre Mendoza, figli della contessa Tendilla
erano Diego, Antonio e Bernardino, dei quali Diego era considerato uno dei
poeti, storici novellisti e scrittori satirici spagnoli; lo avevano reso famoso la sua “Storia de la guerra de Granada” e “Lanzarillo de Tormes”.
9) Francisca de Passier,
da giovanissima in poco tempo aveva imparato varie lingue; morta a diciannove
anni e sette mesi, le fu riservato un
funerale durato nove giorni; sconosciuta traduttrice (aveva impiegato dieci
giorni per tradurlo) dal francese in castigliano, del raro libretto intitolato:
Cartas morales del segñor de Narveza,
traducida de lengua francesa
en la espagñola por madama Francesca de Passier,
dirigidas al excellentissimo
señor don Pedro Enriquez de Acevedo, conde de Fuentes”. Stampato a Tonon da Marcos de la
Rua, stampatore della Santa casa. MDCV.
10) il monaco fra’ Juan
de Pineda dell’ordine di san Francesco, nel 1588 aveva
pubblicato, riprendendolo da un antico manoscritto (dedicato al re Giovanni II di Catsiglia), “El libro del paso onoroso,
defendido por el exelente caballero Suero de Quiñones, copilado de
un libro antiguo de mano, por fray
Juan de Pineda, religioso de la orden
de San Francisco”.
11) Diego Rodriguez de Almela, nobile della città di Murcia, tra le altre opere
aveva scritto “Valerio de las estorias
escolasticas é de España” (1486).
12) E’ nota la sfida al duello lanciata da Carlo V a Francesco I
di Francia, che Francesco I non accolse e che Cervantes mette in bocca all’arcivescovo
di Bordeaux;m non era noto invece il particolare rivelato da Cervantes del
rapporto epistolare intercorso tra
l’imperatore a suo cugino duca dell’Infantado, sul
consiglio chiesto da Carlo V relativo al duello; la risposta fu positiva ma il
cugino precisava che sarebbe stato un sacrificio di sangue piuttosto che di
misericordia e giustizia.
Delle due lettere si faceva menzione nella “Historia de Carolos V” dedicata a l re Filippo III, di fray Prudencio de Sandoval di cui
non si trovavano copie e ne faceva quindi riferimento Francisco Nuñez
de Velasco nel suo “Dialogos de contencion entre la milicia y la ciencia” (Dialogo di contenimento tra la milizia e la
scienza). Valladolid 1614.
13) Lope de Rueda (1500-1565),
ammirevole nella poesia pastorale secondo quanto aveva scritto Cervantes in un
altro suo testo; Gil Vicente (1465-1536),
commediografo ispano-portoghese; Alonso Cisneros
(1540-1597), commediografo, poeta e attore toledano: era solito chiamare gli
spettatori delle sue commedie con il tamburello.
LA
PRINCIPESSA
BACALAMBRUNA
E IL
CASTELLO
INCANTATO
D |
evi
sapere che la principessa Bacalambruna che, per la
morte del padre Borborifon, colui che ha il naso
contorto, è divenuta padrona del castello incantato che vedi lontano in questa
bella piana sul bordo della magnifica riviera che gli passa accanto ed ha il
cuore trafitto dalla freccia d’amore che la tua buona grazia le ha inviato; tu
hai per lei tutto ciò che un cavaliere può possedere di più perfetto e di più
bello.
Quando
la notte avrà coperto la terra del suo mantello tenebroso, tu marcerai verso il
castello le cui porte ti saranno aperte, se tu vuoi gioire della presenza
affascinante di questa bella principessa.
Ma quando
lo spaventevole nato è scomparso, il cavaliere del Grifo mi dirà che egli non
può andare al castello incantato, non volendo abusare di questa principessa;
perché è già da qualche tempo che egli è stato preso da Arsinda,
figlia del re di Trapobrana Quinquirlimpuz.
L’osservazione del cavaliere del Grifo sveglierà in me la voglia
di recarmi a fare una
visita a una sì bella signorina, la cui bellezza sarà
l’ammirazione di tutti quelli che la vedranno, se lei si lascerà vedere; subito
io monterei sul mio palafreno impaziente e senza dargli riposo io farei la mia
strada fino alle porte del castello incantato.
L’animale,
stanco per la marcia e per il bisogno di nutrirsi, si vorrebbe ristorare, io
gli allenterei la briglia; ma desiderando ancora più allegria, gli darei dei
calci per farmi scendere; io scenderei e dopo avergli tolto la briglia o averla
attaccata al tronco di qualche quercia, entrerei nel castello con buona
disposizione d’animo, senza che qualcuno mi possa impedire il passo o
ricevermi, cosa così contraria alle
leggi della cortesia.
La
notte sarà già arrivata ed io troverei in mezzo alla corte di questo castello
che sembra inabitato, una fiaccola illuminata che mi appare davanti senza
essere portata da alcuno. Io la seguirei; essa mi condurrà in uno splendido
palazzo d’oro e d’argento e di pietre preziose; i mobili del salone saranno in
finissima seta con guarniture in oro. Appena avrò messo piede in una bellissima
camera che sarà illuminata dalla fiaccola e che la principessa Bacalambruna accorrerà tutta presa dalle belle qualità del
cavaliere del Grifo; presa per lui, essa si abbandona interamente alla mia
discrezione. Io agirei in modo che la signorina (se lo é) sarà fatta dama; poi,
quando lei sarà stanca, essa si addormenterà e io, per conoscere la sua
bellezza, aprirò una lanterna che ho già preparato sotto il mio abbigliamento.
Prenderei una piccola bugia che si troverà dentro e alla sua luce io vedrò il
bel viso della principessa che sarà la più bella donna del mondo; ma per
sfortuna, una goccia di cera cadrà sul suo petto che la risveglierà; allora,
vedendo che io non sono il cavaliere del Grifo, ma al contrario un cavaliere
gobbo con un naso colossale, essa si spaventerebbe perché crederebbe che la mia
gobba sia una imperfezione invece che guardarla come uno dei regali con cui la
natura arricchisce qualche volta i mortali; non vi sono cose, in effetti, sulla
terra che non si abbelliscono di ornamenti; voi vedete bene che un uomo che non
ha una gentile gobba o un naso ben lungo o una grande bocca o dei piedi
eccessivamente lunghi non è che un uomo di forma appiattita, ciò che è molto
comune; ma la principessa non conoscendosi, spingerebbe la collera fino al
delirio; vedendosi così ingannata e compromessa, essa lascerebbe bruscamente la
camera per ordinare la mia morte. Io chiamerei in mio soccorso qualche cattivo
incantatore il quale, per colmo di cattiveria, fingerebbe di non capirmi; ma
una proprietaria chiamata Maria
Hernandez o Jeanne Perez, che io non ho mai visto né conosciuta, tra le più
oneste vecchie del reame della Transilvania, innamorata di me, verrebbe in
un’ora insolita nel mio appartamento; essa mi prenderebbe per la mano e mi
farebbe attraversare il salone dove si troveranno molti uomini incaricati di
darmi la morte. Essi metteranno mano alla spada, per compiere la loro missione,
ciò che faranno senza l’aiuto della mia buona fortuna e senza la protezione di Maria
Hernandez, la proprietaria.
Essa
loro dirà: Fermatevi perché non è il cavaliere che la principessa vi ha
comandato di uccidere; è uno scudiero che lei manda sul mare. Quando l’altro
apparirà, uccidetelo. Lei mi condurrà fuori. Io inforcherei la mia cavalcatura
e darei la mia parola alla proprietaria di sposarla al mio ritorno al castello,
ciò che, dopo l’ingiuria che ho fatto, non avrebbe mai luogo; ma in un momento
come quello devo promettere tutto ciò che posso e nello stesso tempo tutto ciò
che non potrò mantenere.
LA FIGLIA
DELL’IMPERATORE
VALE COME
UNA FALSA
MONETA
A |
questo modo prenderei la mia strada per caso;
ma sarei molto onorato se trovassi uno che mi conduca in una città dove
incontrare l’imperatore alla barriera di un torneo con sua figlia, vestita d’un
ricco costume e seduta in un pavillion ornato di pietre preziose; nello stesso tempo essa
avrà un’aria così laida, che la farà sembrare un demone scappato dall’inferno,
piuttosto che creatura umana; ma questa figlia, impaziente di essere maritata
si sarà presentata al torneo, con la speranza che dei cavalieri erranti possano
giungere per conquistare con le armi la bellezza che le manca.
Non
essendo arrivato ancora nessuno, io entrai nella lizza al fine di tentare la
fortuna e il pubblico, ignorante e cattivo, comincerebbe a dire per farsi beffe
di me: - Ecco il cavaliere dalla spaventevole gobba, ecco la crema della
cavalleria. Ma io, spingendo il mio cavallo punterei la lancia contro la terra,
davanti al patibolo.
La mia
cavalcatura, focosa come d’abitudine, farebbe dei salti di montone e delle
capriole così forti che mi butterebbe per terra. Il colpo sarebbe così violento
che i miei calzoni e le mie culottes si
disfaranno al punto di lasciar vedere cose che dovrebbero sempre essere
nascoste alla luce del sole.
Dopo
di ciò, la principessa, comprendendo che io sono uomo di molto coraggio e ben
condizionato per il matrimonio, sarà presa da me e pregherà il padre di
accordarmi la sua mano.
L’imperatore
riflettendo che sua figlia aveva già percorso la strada delle trattative con i
cavalieri erranti, senza trovare un acquirente, da essere divenuta un gioiello
invendibile e una falsa moneta, presso il suo palco mi concederei in ricompensa
del mio coraggio in cambio non solo della principessa ma di un intero reame
come dote, reame i cui vassalli saranno tutti nani.
Ecco dunque, come da
baccelliere che io sono, non per Alcalà, ma per Salamanca io sarei divenuto
nientemeno che re. Tra i miei vassalli, qualcuno potrebbe comporre, nella
lingua di questo reame non ancora conosciuto dai più sapienti cosmografi, un
poema in onore delle mie prodezze e potrebbe capitare che un onesto incantatore
farebbe resuscitare il licenziato Juan Arjona (14)
fatto apposta per tradurre il poema in lingua spagnola.
----
Ma, mio caro baccelliere. gli risposi, della saggia risposta del duca dell’Infantado all’invincibile imperatore, si dovrà tirare la
conseguenza che i veri cavalieri erranti fossero già banditi dalla terra, dopo
che messer Olivier de la Marche, sebbene già vecchio, viveva ancora?
Voi
sapete che questo cavaliere apparteneva alla corte del duca di Borgogna,
Filippo il Buono e dopo a sua figlia, la principessa Maria, la moglie
dell’imperatore Massimiliano dai quali proviene il re Filippo il Bello che
aveva sposato donna Giovanna, figlia dei re cattolici.
Come
questo cavaliere era stato testimone delle pene che questa eccellente
principessa, madame Maria, ebbe a soffrire, lei e i suoi Stati per quella
persecuzione che avrebbe dovuto proteggerla, essa portava sempre una divisa che
le serviva come nome di famiglia; questa divisa nella sua lingua borgognona
voleva dire: Chi ha sofferto a causa di
la Marche.
Egli
aveva scritto un libro altamente spirituale, come tutti quelli che circolano
nella società e che non trattano né di follie né di frivolezze; intitolò questo
libro: Il cavaliere ardito, il
cavaliere don Hernando de Acuña (15) lo tradusse dal
francese in spagnolo in un testo affascinante, superiore a ogni elogio, come si
può giudicare dall’inizio:
Nell’ultima
stagione – Del tempo e della mia stessa vita - Un’occasione repentina – Fu la
causa che io lasciai -
La mia nazione e il mio paese.
Essendo
solo nel mio viaggio – Il mio pensiero risvegliò la mia memoria – Io racconto dunque e
rinnovello – Il tempo passato della mia infanzia.
14) Juan de Arjona di Granada, tradusse
in castigliano e in rima il poema latino di Publio Stazio intitolato La
Tebaide.
15) Il Caballero Determinado di Olivier de la Marche era stato tradotto dal
francese in castigliano da Hernando de Acuña,; il libro era stato dedicato a Carlo V, e pubblicato nel
1553.
A propria volta Geronimo de Urrea
pubblicava in castigliano, il
“Discurso de la vida humana y aventuras del caballero determinado de micer Olivier de
la Marca, caballero borgonon, en tercetos”–Discorso
della vita umana e avventurosa del cavaliere ardito, di messer Olivier de la
Marche, cavaliere borgognone, in terzetti. Anversa 1555.
Purtroppo sulla vita di Olivier de la Marche (1425-1502),
al servizio di Carlo il Temerario non vi sono stati approfondimenti e il
particolare del rapporto intercorso tra la Marche e la giovane Maria di
Borgogna (1457-1482) figlia
del Temerario, il particolare riferito
da Cervantes non è riscontrabile e come tutti i riferimenti di Cervantes
sarebbe stato interessante argomento di approfondimento.
IL
VIAGGIO DI FILIPPO II
IN
ALEMAGNA
FIANDRA E
BRABANTE
N |
on
ricordate che Mario de Abenante,
cavaliere napoletano sfidò a duello don Francois Pandon,
cavaliere dello stesso reame, e che mentre essi combattevano coraggiosamente,
don Francois diede un incantevole colpo di spada al cavallo di Mario senza che
se ne accorgesse? Uno dei suoi zii, che si trovava alla barriera, cercò di
fargli capire con dei segni il pericolo che correva di cadere; scendendo
immediatamente egli colpì il cavallo del suo avversario e il cavaliere fu
costretto ad arrendersi a causa dei salti e delle impennate che il dolore aveva
fatto fare al cavallo.
Mario
(mal visto dalla gente e ritenuto traditore e codardo) fu biasimato da tutti;
era nella tradizione della sua condotta e fu considerato come un vigliacco.
Voi
dovete ricordare altre avventure di cavalieri erranti del nostro tempo, così
quella di Leres che sfidò a duello un altro cavaliere
il cui nome era Martin Lopez; tutti e due vennero a Roma con lance e corazza
per combattere; scaramucciarono per lungo tempo, ciascuno cercando di trovare
la parte debole del corpo del suo avversario per poterlo uccidere.
Avvenne,
voi senza dubbio lo ricorderete, che il cavallo di Martin Lopez, inciampò e morì, e
che Lopez restò per qualche tempo stordito per il colpo e il dolore.
Leres allora, ritenendo
che sarebbe stato infame colpire il proprio avversario, mise il piede a terra;
ma l’esito gli
fu funesto, perché Lopez che era già pronto, lo vide e ritenendo che la fortuna
non gli si sarebbe mostrata una seconda volta, caricò Leres
e lo vinse in una maniera infame.
Ma,
mettendo da parte tutto ciò, avete perduto la memoria del fortunato viaggio di
S.M. il re Filippo II (che la pace del cielo sia con lui), quando egli era
ancora principe e andò a visitare gli Stati di Alemagna, di Fiandra e di
Brabante?
Ebbene,
sappiate che tutto si trova impresso e scritto da Juan Calvete
(il Calvo) de Estella (16).
Che
possa divenire calvo io stesso, per di più, come se la mia gobba non conti
niente, e che io schiacciato dalla mia cavalcatura, disse il baccelliere,
quando riprenderò la strada, se questa cavalcatura ne sia capace, dopo queste
cattiverie e cattivi pensieri, come ha già provato buttandomi per terra più di una volta e
rompendomi le ossa; che tutto questo mi capiti, dissi io, se io non estimo il
libro di cui mi parlate come il più divertente di tutti quelli composti da
quando il mondo esiste e che la stamperia ha scoperto.
In
questo libro tutto è semplice e vero, ciò che non si trova spesso presso gli
storici; ecco da dove viene che tante menzogne e avvenimenti che mai si sono
verificati, sono considerati come veri.
Mio
padre si trovava così al seguito del principe, ma fu obbligato a ritornare in
Spagna a causa di un’avventura che gli era capitata con una signorina (a quanto
si diceva). In questo viaggio capitarono a mio padre più avventure che non sarebbero arrivate a un
mostro di fortuna come Antonio Perez (17); egli rientrò infine con un umore ben
triste e molto malinconico, come se fosse stato punto da una vipera .... .
16) Il libro era: El
felicissimo viaje del muy
alto y muy poderoso principe don Felipe, hijo del emperador Carlos Quinto,
Maximo, desde Espana à su tierras de la baja Alemana, con la descripcion de todos los estados de Brabante y Flandres, escripto en quatros libros por Juan Crisòral Calvete de Estrella. En
Anversa en casa de Martin Nucio, 1552.
17) Cervantes ironicamente dice che Antonio Perez (1450-1611) fosse
un mostro di fortuna; al contrario era stato un mostro di sfortuna; grande e
infelice politico (su di lui J.N.
Fontaine, nel 1856, aveva scritto un
dramma); era segretario di Filippo II; le sue relazioni erano così piene di
errori da essere annotate dalle cancellerie estere, molte delle quali erano
emendate in 434 fogli, manoscrittI al principio del
sec. XVII. Aveva scritto diverse opere come “L’art de gouverner: adressée
à Philippe II” (1598); molte di esse, storiche, sono rimaste inedite.
L’INCANTATORE
DI BINS E
IL
CASTELLO
INCANTATO
M |
a
allora, nel timore che non mi spifferasse qualche altro racconto così
fastidioso come il precedente, io chiusi le orecchie come il serpente che non
vuole intendere la voce dell’incantatore e cercando di distrarre il mio uomo,
proseguii nella mia storia dicendogli: Ora, come voi ben sapete è a Bins (18) che si presentarono davanti all’imperatore, semper Augusto, e al principe suo figlio, diversi cavalieri
residenti in questa città, per dire loro che un incantatore, nemico della
virtù, dell’uguaglianza e della cavalleria errante, si era ritirato nella
Gallia Belgica, presso Bins e su una vecchia strada.
---- Voi non ricordate, replicò il baccelliere, il nome di questo incantatore?
---- No, per la mia fede, dissi io; ma egli doveva essere spaventoso, come lo
sono tutti i nomi di questi spiriti cattivi che si trovano nei disgraziati
libri di cavalleria.
Ho
inteso dire che un autore di questa specie, lungo tempo imbarazzato per la
difficoltà di incontrare un nome conveniente per un incantatore ch’egli voleva
introdurre in una delle sue favole, nome che rispondeva bene alla grande
malvagità e alla sciocca presunzione del personaggio, faceva un giorno, presso
uno dei suoi amici, una partita a carte con altri amici; egli sentì che il maitre d’hotel, gridava al suo
domestico: Eh, Celio, “trae aqui cantos”, porta qui delle
pietre.
Questo
motto fu per lui così sonoro, che senza parlarne con alcuno egli si alzò dalla
tavola dove giocava e se ne andò per scrivere il nome di “Traquicantos”
che gli era apparso così armonioso.
Ebbene,
questo incantatore di Bins, proseguii io, teneva nel più
grande incantamento, con le diabolici artifici, tutti gli abitanti del paese,
facendo loro ogni specie di cattiveria e minacciandoli di farne ancora di più.
In definitiva. i cavalieri sapevano che questo
malvagio incantatore aveva la sua abituale residenza in un castello incantato
di tal maniera da essere avviluppato e nascosto sotto una nuvola oscura e molto
spessa, servendo d’ostacolo a tutti quelli
che volevano intraprendere dei recarsi presso questo spaventevole luogo,
dove anima vivente , per quanto fosse coraggioso, non osava avvicinarsi; allora
una principessa che desiderava il bene e ben introdotta nella scienza
dell’avvenire, vedendo com’era dannoso per sì nobili persone la ferocia di
questo incantatore, più cattivo di Arcalause più
iniquo di Costantino (19), ordinò, per l’ammirazione di tutti, che una spada, che
possedeva le virtù che vedremo, sarà fissata nell’alto di una roccia: - Colui
che svellerà la spada dal luogo in cui si trova, metterà fine all’avventura,
romperà l’incantamento e libererà i prigionieri dalla crudele cattività in cui
si trovano; finalmente getterà nell’abisso il castello tenebroso e otterrà una
infinità di buone fortune, di cui quo non se ne fa parola, ma che sono promesse
e destinate”.
Dopo
di ciò, i cavalieri chiesero all’imperatore il permesso di terminare questa
terribile avventura; l’imperatore fu molto soddisfatto di accordarlo. I
cavalieri rimasero tutti, durante due giorni, a dare, davanti all’imperatore e
al principe, tutte le folli rappresentazioni che si leggono nei libri di cavalleria,
inventate per l’ozio e la disgrazia della società.
18) Nella città di Bins, Binche in Belgio viveva Maria d’Ungheria dopo la morte del
marito Luigi II Jagellone, sorella di Carlo V, che
aveva invitato e ospitato Carlo e Filippo durante il loro viaggio in Alemagna.
19) Costantino Ponce de la Fuente della città di San Clemente de
la Mancia, era un famoso luterano spagnolo e in Spagna nel XVImo
secolo ve ne erano tanti
protestanti, luterani e calvinisti, che praticavano in circoli
segreti la nuova religione, braccati perfidamente dai gesuiti che li facevano
processare dalla Inquisizione.
Costantino si era laureato presso
l’università di Alcalà unitamente a Juan Gil de
Egidio; dopo la laurea ambedue si recarono a Siviglia dove cominciarono a
diffondere le idee di Lutero, Calvino e altri protestanti, ritenuti eresiarchi.
Carlo V lo aveva nominato cappellano onorario al posto del
suo predicatore, ed egli seguì l’imperatore in Germania dove rimase molto
tempo; al ritorno, grande fu la sua fama; fu nominato canonico magistrale e
cominciò a predicare nella chiesa di Siviglia; a una predica aveva assistito il
gesuita Francesco Borgia, poi santificato, il quale aveva commentato che
secondo la sua opinione, nulla aveva detto di cattolico.
Avvenne che durante una perquisizione
presso la vedova Isdabel Martinez, madre di Francisco
Beltran sul quale stavano conducendo indagini, furono trovati dei libri di
Csotantino ed essendovi anche diverse delazioni, il caso divenne di competenza
della Inquisizione che, esaminati i libri, trovò che gli scritti contenevano
dottrine luterane.
Costantino fu così messo in una
prigione segreta, suscitando una forte reazione in tutta la Spagna; la notizia
giunse a Yuste dov’era l’imperatore disse: “Se
Costantino è eretico, è un grande eretico”; in prigione gli presentarono i
manoscritti che egli riconobbe come suoi; Costantino morì nella stessa prigione
a causa dei bestiali maltrattamenti
subiti, ma dissero che si era suicidato: un tale fra’ Domenico de Guzman,
quando seppe che era stato preso dal Santo Ufficio, aveva esclamato: Quello possono prenderlo per stupido!
LE ULTIME
BATTUTE
SUL LIBRO
E
TERMINA
IL VIAGGIO
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Vostra Grazia osservi e consideri, con
tutta l’intelligenza che un baccelliere in diritto può avere (20), il numero
dei cavalieri che presero parte a tutte queste follie e stravaganze alle quali
l’imperatore e il principe Filippo, non soltanto consentirono, ma in loro
presenza prendendo grande piacere; che Vostra Grazia mi dica se esiste al mondo
un pazzo che somigli all’ingegnoso Manchego ...
Infine,
gli imbecilli di cui la repubblica cristiana é così ben popolata, non vogliono
soffrire che per la lettura di questo libro, il popolo poco istruito si può
convincere che gli avvenimenti cavallereschi sono inverosimili, nemici della
verità, disprezzati dai buoni spiriti; ecco perché essi agiscono tanto e si
ostinano e con velenose e cattive intenzioni voler manifestare contro l’ingegnoso hidalgo don Chisciotte; essi cercano in lui dei difetti e
investigano per trovare nelle sue avventure dei motivi per sconfessare
malignamente chi egli sia nel mondo, di queste follie che i libri di cavalleria
dipingono e di cui i palazzi reali sono pieni così come i villaggi.
Essi
non sono facilmente riconosciuti in questi palazzi dove sono nascosti dal
disordine e dalla confusione; perché la Corte è la madre dei folli di ogni
genere. E’ da lì che ne sono venuti in gran quantità;
è da lì che le sciocchezze sorgono come torrenti dalle loro bocche; è da lì che
essi progettano le imprese più insensate, senza che vedano chiaramente tutto il
male che essi fanno a se stessi e senza avere le forze umane che possano
tirarli fuori dalla loro ignoranza, né migliorare il loro carattere e la
cattiva volontà.
Ecco
la ragione per la quale si cercano i difetti di questo illustre cavaliere don
Chisciotte, limpido specchio non solo dell’orizzonte della Mancia, ma di tutti
gli orizzonti della Spagna, io direi del mondo intero se non temessi di
superare i limiti che la modestia mi comanda.
E’ poiché
è giusto che, invece che essere disprezzato, questo libro utile e ben composto
sia apprezzato e onorato da tutte le persone oneste della società; perché esso
lascia ben vedere, chi è il solo, tra tutti quelli della futile cavalleria, che
ha scritto con intenzioni oneste e istruttive; egli non deve quindi essere
confuso con altri a causa delle follie di don Chisciotte, dopo di lui vi sono
dei folli sulla terra e la gente non
vede chi sono.
E’
bene che il suo autore tenga conto dell’onorevole motivo che lo ha spinto a scrivere questo
libro; il suo scopo è di ridicolizzare e abolire l’ordine immaginario della
cavalleria errante con tratti gioiosi, gradevoli e ben composti, che compongono
la sua storia satirica ... .
Ero a quel punto del mio discorso, quando la magra cavalcatura
del baccelliere, animale che per la briglia male attaccata che si staccava, si
sentì prendere da un capriccio e da una cattiva intenzione che mi interruppero;
essa voleva assolutamente divertirsi con la mia mula che le era vicino attaccata al tronco di una quercia; ma questa
si mostrava fortemente offesa dei poco onesti desideri della cavalcatura,
perché, occorre dire, che era vergine e aveva una condotta molto modesta e
molto onesta, presa dai buoni esempi dei suoi buoni, casti e onesti genitori;
essa resisté bruscamente alle indecenti carezze della montatura del mio nero
baccelliere e del virtuoso Lucrezio, ben che con miglior risultato (il mondo è
così capovolto che è riservato ai muli solamente essere dei Lucrezi) essa si difese coraggiosamente, inviando dei
rudi e superbi calci al suo ingiusto violentatore, il quale ebbe la fortuna di
prendere un colpo di zoccolo al solo occhio che gli era rimasto e che perdette.
Essa ricevette un altro colpo di zoccolo al petto e cadde per terra, tanto la mia
mula aveva la precisione nei colpi che lanciava, al punto che se avesse
continuato, tutte le calamità della montatura, tutte le cadute del baccelliere
sarebbero finite lì.
Il baccelliere rifletteva su questo nuovo disastro, risultante
dagli eccessi di incontinenza e dei pensieri licenziosi della sua cavalcatura e
di questo sorprendente vigore che essa aveva sviluppato per arrivare a
difendersi nel vedersi perduta, e, come se fosse sul punto di rendere l’ultimo
respiro, si mise a gemere, urlare, deplorare la sua sventura, a rimproverarsi
di aver preso così poche precauzioni per conservare il suo prezioso gioiello,
questa cavalcatura presa a nolo in albergo di Colmenares;
egli malediva il momento e l’ora della sua partenza dalla città, e io, per
consolarlo. gli dissi: --- Questa sventura prova ancora, signor baccelliere, come
tirate male al bersaglio, quando giudicate il libro di don Chisciotte pieno di
vanità e di follie.
Calmate dunque i vostri sospiri e ricordate una avventura
identica a questa, quella di Rossinante quando
l’ingegnoso Manchego (della Mancia) incontra le sue
cattive giumente che misero la sua cavalcatura a due dita dalla morte.
Che il diavolo mi porti, malgrado il mio risentimento per lui,
disse il baccelliere con corruccio, se non partite all’istante con il vostro
don Chisciotte per andare a cento leghe al di là dell’inferno tutte le peggiori
avventure che potessero esistere sulla terra, sono cadute su di me, come se
piovessero e come se mi aveste scomunicato.
Su questo antefatto egli tornò e ritornò in tutta fretta dalla
sua cavalcatura per aiutarla a svegliarsi, ma invano; cieco e storpiato, il
povero animale non
poteva rimettersi in sesto; ma, appena il baccelliere gli aveva tirato la
briglia, aveva rimosso una gamba o un piede per dar segno di esistenza.
Compresi allora tutta la forza dei garretti di una mula quando difende il
privilegio del pudore.
Osservando le cattive condizioni della povera cavalcatura e osservando che il sole cominciava
già a inclinare verso il mare e lasciare le montagne dietro di sé, presi
congedo dal mio baccelliere desolato, un po’ cortigiano.
Era occupato a svegliare il suo animale, pena per la verità del
tutto inutile, né mi vide, né mi sentì; mi ero accorto che non aveva trovato
qualcosa da dirmi, tanto la sua lingua era impastoiata a causa del dispiacere.
Rimase dunque lì, lamentandosi e mandando i suoi pianti fino al
cielo; non ho avuto più sue notizie e nemmeno avevo cercato di averle; mio Dio!
Mi sembra ancora di sentirlo ... Montando sul mio onesto mulo, mi diressi
immediatamente verso Toledo.
Sul far del giorno entrai attraverso le porte di Toledo e,
attraversando le sue strade andai dritto ad alloggiarmi da un amico, dove, dopo
aver riflettuto, mi decisi a scrivere questa avventura a chiarimento di quelli
che vedono nell’ingegnoso hidalgo don
Chisciotte, ciò che non é.
E’ per questo che ho voluto dare a questo libro il titolo di Buscapié, come i ragazzi mancesi, che
buttano il serpentello tra i piedi della gente (Dio sia lodato), per farli
saltare, sicuro di entrare in singolar battaglia con gli sciocchi che mormorano,
vipere che per proprio danno alimentano tutta la ben ordinata repubblica.
Per questo, mi sento molto fortunato per averti servito, caro
lettore, e considero un bene ancora più
grande se non lasci sfuggire dalla tua memoria tutti questi suggerimenti che ti
ho dato. Che Dio ti guardi!
20) La frase “con tutta l’intelligenza” è sarcastica in quanto gli avvocati di
quel tempo erano considerati ignoranti, pedanti, insensati e di cattivo gusto.
FINE