Angelo  Bronzino - Venus, Cupidus Folly and Time -

- National Gallery -Londra

 

“ANIMA MUNDI” DA PLATONE ALLA TRINITA’

Principio motore e unificatore

dell’universo ora identificato nella gravità.


a cura di Michele E. Puglia




SOMMARIO: IN RICORDO DI COLORO CHE SI DECICANO ALL’INSEGNAMENTO; INTRODUZIONE; L’ANIMA DEL MONDI (di Cleto Caronara); TIMEOO O DELLA NATURA: IL RACCONTO DI ATLANTIDE NEI RICORDI DI PLATONE IL DEMIURGO CREO’ IL TEMPO IMMAGINE MOBILE DELL’ETERNITA’; TRATTATO INTORNO ALL’ANIMA DEL MONDO DI TIMEO DI LOCRI (Traduzione di Dardi Bembo Venezia, 1607): PREFAZIONE; ESTRATTO DEL TESTO RELATIVO ALL’ANIMA DEL MONDO E ALLA CREAZIONE; L’ANIMA UMANA;  

GLI SVILUPPI DELL’ANIMA DEL MONDO DAL COMMENTO DI MACROBIO AL “SOMNIUM SCIPIONIS”; LA SCUOLA DI CHARTRES (da “Etude d’Estetique médieval de Edgar de Bruyne); IL MONDO CONTEMPLATO COME OPERA D’ARTE; LA WELTANSHAUNG: CONCEZIONE DELL’UNIVERSO; I TECNICI DI CHARTRES; L’ANIMA DEL MONDO SECONDO CORNELIO AGRIPPA; L’ANIMA DEL MONDO SECONDO SCHELLING [Von der Weltseele]; GRAVITA’ BIG-BANG E LA CREAZIONE DELL’UNIVERSO.

 

 

IN RICORDO DI COLORO

CHE SI DEDICANO

ALL’INSEGNAMENTO

 

 

D

edicato, con gratitudine, alle anime dei miei insegnanti del liceo classico: Prologo, alto, magro occhi azzurri, biondo albino, grecista; avendolo incontrato per caso quando ero già un professionista, ricordava la mia grafia con gli svolazzi! Troisi, filosofia platonica, aveva la “r” arrotondata e faceva sempre riferimento, al platonico “Demiurgo”. Ripoli, storico marxista, che mi avva inculcato l’interesse per Karl Marx, frainteso diceva, perché la rivoluzione che auspicava era borghese e non proletaria, vale a dire che doveva aver luogo quando un paese aveva raggiunto il benessere, in modo che tutti potessero godere del benessere raggiunto!

Spizzico, per il francese, piccoletto, dritto come un fuso e vivace. In tempi successivi agli scolastici, mi pentivo di non aver scelto l’inglese (che avevo cercato di imparare per i viaggi, seguendo l’ottimo metodo Shenker, che dava una pronuncia perfetta), ma quando mi sono dedicato alla ricerca, mi sono trovato con tutti i testi di consultazione, greci, latini e di altre lingue, tutti tradotti in francese per merito del grande Luigi XIV (presso Gallica-Biblioteque National de France).

La giovanissima Palieri, per le lettere (III liceo): ci aveva fatto avvertire all’improvviso dal bidello, del compito in classe; avevo suggerito ai compagni di non farci trovare in aula; la poverina entrando e non trovando nessuno era scoppiata in lacrime; fummo richiamati e il compito non si fece.

Di questo primo sciopero (pre-sessantottino, era il cinquant’otto) partito da me, non fui incolpato io, che ero un tipo che non si notava, ma un compagno molto vivace!

Per la matematica, in passato come nel presente, la Scuola italiana ha un buco nero che manda tutti i ragazzi verso le facoltà umanistiche a scapito di quelle scientifiche; sarebbe bello avere a scuola anche delle nozioni di astronomia, attesi gli attuali sviluppi della astrofisica, in cui abbiamo un ammirevole esempio in Fabiola Gianotti, proveniente dal liceo classico.

Tornando ai miei insegnati, ciascuno dalla sua stella, ora mi guarderà e magari avendomi giudicato di scarsa applicazione ... per essere stato piuttosto svagato, si sarà ricreduto perché a distanza di anni (e sono moltissimi decenni), ciò che dicevano durante le loro lezioni, mi è rimasto così impresso nella mente da ispirarmi gli articoli che scrivo, come il presente, che si possono considerare frutto dei loro insegnamenti.

Ricordandoli (e sono gli insegnanti più bravi a lasciare il segno!) ritengo di rendere omaggio non solo a loro, rimasti sconosciuti, ma a tutti gli insegnati passati, presenti e futuri che hanno accompagnato, accompagnano e accompagneranno i giovani negli studi, lasciando il ricordo delle loro lezioni, che legate alla giovinezza, sono sempre tra i ricordi più belli di tutta la vita!

 

INTRODUZIONE

 

I

l concetto di Anima del. mondo trae le sue origini dalla teologia orientale e dall’antico pitagorismo dal quale l’idea sarebbe passata a Platone, che ne fece una speculazione filosofica.

Locri è terra calabra, anticamente patria di grandi pensatori (ora di n’dranghetisti!); di Timeo non si conosce né la data di nascita né quella di morte e non si sa nemmeno se sia vissuto prima o durante la stessa vita di Platone, ciò che lo ha fatto ritenere un pitagorico leggendario.

Il testo di Timeo di Locri “De Anima Mundi et Natura”, costituisce un vero e proprio e giallo, in quanto, comunemente si ritiene che l'idea del dialogo platonico dedicato a "Timeo", Platone, lo abbia preso da questo libretto, che aveva acquistato, secondo quanto riferisce Ermippo: “uno scrittore dice che Platone lo aveva acquistato quando era giunto in Sicilia dai parenti di Filolao (come riferisce Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza 2 voll.) e pagandolo quaranta mine alessandrine d'argento, ma secondo altri Platone lo avrebbe avuto per aver ottenuto da Dionisio (tiranno di Siracusa), la liberazione di un giovanetto allievo di Filolao”.

Timone di Filunte accusa Platone di aver comprato il libretto scritto dal pitagorico Filolao, pagandolo a caro prezzo e aver da questo copiato quanto poi aveva scritto nel “Timeo” (in nota a Timeo: Platone - Utet), ma altri autori considerano l'operetta di Timeo di Locri un riassunto posteriore che Platone aveva tratto dal suo “Timeo” (*)!

Da quanto è detto nel libretto di Timeo di Locri, l'anima del mondo è la vita stessa impressa al cosmo, come l'anima umana, che secondo Aristotele imprime la vita al corpo ed è mortale, mentre per Platone è immortale e da Platone (e non solo!) è derivata l’idea dell’anima cristiana.

 

 

*) Platone (427-347) nel Timeo (che seccondo Diogene Laerzio rappresenta Platone), tracciando le linee della sua cosmogonia, parla dell’opera del «dio-demiurgo che sempre è, il quale lavora intorno a quel Dio che doveva crearsi.

Dio fece il mondo corporeo, costituito dagli elementi primordiali e avente forma circolare; vi pose quindi l’anima nel centro, ma ebbe cura di avvolgerlo con questa stessa anima anche al di fuori e in tal modo costituì «un cerchio che gira in tondo cerchio, mondo unico, solitario, ma per sua virtù capace di fecondarsi da se stesso senza bisogno di alcun altro congiunto e amico, bastevole esso stesso a se stesso».

 

 

L’ANIMA DEL MONDO

(di Cleto Carbonara)

 

 

L

’anima del mondo è definita da Platone rispetto alle funzioni che essa deve espletare nell’universo, concepito come un tutto vivente e insieme con tutta l’ambiguità che il concetto comporta. L’a. d. m., infatti, dev’essere intesa come una forza immateriale, che si distingue dalla realtà corporea, ma è nello stesso tempo presente in essa, poiché in essa è destinata ad esercitare la propria attività, consistente appunto nel recare agli elementi il movimento e la vita, per cui si generano e si riproducono le forme infinite della realtà sensibile.

L’ambiguità deriva appunto dall’essere l’a. d. m. definita in termini spiritualistici e teologici, mentre se ne altera l’indissolubile legame con la realtà corporea, delle cui manifestazioni essa è l’immanente principio. Non si comprende poi come, essendo immanente ai corpi, possa avere e mantenere una propria unità se dà movimento e vita a corpi distinti e separati.

Collocata tra Dio e il mondo, quasi a servire come un ponte di passaggio che permette di superare la distanza separante l’uno dall’altro, l’a. d. m. conserva la sua incerta posizione intermedia nel corso della storia.

Aristotele, secondo Platone, parlò «dell’anima del tutto» (De anima, I, , 407), ma fece egli stesso a meno di tale realtà, introducendo, da una parte, l’Atto puro, pensiero del pensiero (il primo motore immobile sostituito all’anima semovente di Platone), e dall’altra, nella natura, il tendere di tutte le cose a Dio per un intrinseco amore o desiderio del bene.

Dopo Aristotele, natura e Dio tendono di nuovo a congiungersi e il concetto dell’a. d. m. riappare negli Stoici, i quali parlano d’un pneuma, d’un fuoco artefice, infiammato e pensante (Stobeo, Eclog., I, 56) che è Dio stesso, ma un Dio che, mentre plasma le forme corporee, penetra materialmente il mondo e si confonde quasi con esso. Il Dio degli Stoici è la forza divina insita nella natura, a cui Cicerone, riportando il pensiero di Stratone, accenna nel De natura deorum (I, 13,35).

Nel neoplatonismo fondato da Plotino (205-270) troviamo che dall’Uno procede la prima ipostasi, il Nous, intelligenza e pensiero; la seconda ipostasi è l’Anima che come l’Uno e il Nous è una ed eterna e svolge una funzione mediatrice tra il mondo intelligibile e il mondo sensibile che da essa procede per emanazione.

L’Anima produce l’Anima del mondo e le anime individuali e da ultimo le cose sensibili che godono di un essere diminuito e partecipano dell’Essere giù, giù, fino alla materia amorfa che è privazione assoluta di essere - assoluto nulla.

Con la materia si esaurisce e termina il processo dell’emanazione  (emanatismo di Plotino). Abbiamo quindi una scala discendente dall’Uno al Nous, all’Anima, al mondo sensibile, e alla materia amorfa. Tutto proviene dall’uno che si espande in tutto ciò che esiste e accade e per converso attira a sé tutto ciò che esiste e accade.

Le anime individuali trasmigrano da un corpo all’altro  (la metempsicosi è di origine pitagorico-platonica), esse possono ribellarsi all’Anima universale da cui provengono, ma anche armonizzarsi alle leggi dell’universo.

La loro destinazione è il ritorno alla fonte prima dalla quale provengono percorrendo a ritroso il cammino discendente dell’emanazione.

La via dell’ascesa passa attraverso la virtù. l’arte, l’amore.

L’arte è la rivelazione della Bellezza intelligibile, cioè dell’Idea. Perciò l’artista che non crea ma esprime la bellezza ideale deve essere in rapporto contemplativo col Nous e chi usufruisce dell’opera d’arte  attraverso cui traspare il riflesso dell’intelligibile, si eleva alla visione della Bellezza intelligibile che è partecipazione dell’Uno fonte della Bellezza.

L’anima si congiunge alla fine con l’Uno, si perde in esso ma acquista la beatitudine suprema che è data dall’estasi.  

Col cristianesimo, purificandosi la nozione del divino, il concetto dell’a. d. m. venne messo da parte (cfr. però Ph. Delhaye, Une controverse sur l’ame universelle au IX siècle, Narnur 1950); risorse nel medioevo, nei periodi di rinnovato studio di testi platonici, specialmente del Timeo; l’a. d. m. fu identificata da Teodorico di Chartres, da Arnaldo di Bonnneval e da Guglielino di Conches (mentre non sembra da Abelardo (*)) con lo Spirito Santo; da altri fu considerato un principio di vita diffuso in tutti gli esseri, pur rimanendo uno e integro e in se stesso (cfr.: T. Gregory Anima mandi).

Il medesimo concetto risorse più tardi col Rinascimento e si ritrovò come principio attivo della natura in Agrippa di Netteaheim, Paracelso, G. van Helmont, G. Bruno e H. More Alcuni (A. Cornenio, J. Bayer) i quali tentarono d’intendere l’a. d. m. come lo spirito sulle acque, di cui parla il Genesi (I, a).

Nei tempi moderni Schelling tentando di ricongiungere lo spirituale al naturale, il cosciente all’incosciente, definì l’a. d. m. come «ciò che sostiene la continuità del mondo organico e inorganico e unisce tutta la natura in un solo organismo universale (Sämtl. Werke, I, parte Il, 569).

Tale definizioni mette bene in luce l’esigenza di spiegare l’unità e l’organicità del reale, da cui è nata precisamente l’idea dell’anima del mondo.

In seguito al commentario di Calcidio, del Timeo di Platone “Se ne trovano cenni in Boezio, Dionigi l'Areopagita e Giovanni Scoto Eriugena”.

Nel XII secolo Pietro Abelardo (**) la identificò esplicitamente con lo Spirito Santo. Divenne quindi un tema ampiamente sviluppato dai maestri della scuola di Chartres, come Teodorico e Guglielmo di Conches (v. sotto), i quali ammisero l’immanenza dello spirito nella Natura, concependo quest’ultima come una totalità organica e indipendente, oggetto di studi separati rispetto alla teologia.

Per Guglielmo di Conches: «L’Anima del Mondo è un’energia naturale degli esseri per cui alcuni hanno soltanto la capacità di muoversi, altri di crescere, altri di percepire attraverso i sensi, altri di giudicare. […] Ci si chiede cosa sia quell’energia. Ma, come mi sembra, «quell’energia naturale è lo Spirito Santo, cioè una divina e benigna armonia che è ciò da cui tutte le realtà hanno l’essere, il muoversi, il crescere, il sentire, il vivere, il giudicare» (da Glosse al Timeo).

Secondo Guglielmo, Dio, si era limitato a dare l’avvio alla creazione, dopodiché tutta l’evoluzione dei processi naturali andava spiegata sulla base di principi interamente fisici, che egli individuava nell’azione combinata dei quattro elementi ( fuoco, terra, aria acqua), senza bisogno dell’ulteriore intervento di Dio (Enciclopedia Filosofica Sansoni, 1967).

 

 

 

*) Si tratta certamente di refuso in quanto non vi sono dubbi che Abelardo la identifichi con lo Spirito Santo v- sotto. (Cleto Carbonara, Enc.Filos. Sansoni 1967).

**) Abelardo (1079-1142) (v. in Art. Abelardo e Eloisa ecc.) nella “Teologia del sommo bene” scrive che Platone, più di tutti i filosofi pagani si è avvicinato alla fede cristiana (molti per la verità lo considerano cristiano tout court, per merito di Plotino (205-270) che con le Enneadi e il  Neo-platonismo” aveva inserito le dottrine platoniche, il cui dio era il pagano Demiurgo, nella dottrina cristana ndr.) e dopo i profeti ha chiaramente insegnato gli aspetti essenziali della trinità, nel punto in cui sostiene che  l’intelligenza che egli chiama Nous, è nata da Dio ed é a lui coeterna, cioé che il figlio, che noi chiamiamo sapienza, è eternamente generato dal padre. Egli quindi nel Timeo, si esprime in questi termini: “Dio comandò che l’anima precedesse la natura corporea sia in senso cronologico che per le virtù, e volle che essa, per diritto originario. fosse sovrana di ciò che deve essere conservato. Perciò trasse dal suo pensiero, quello dell’anima (Abelardo, Teologia del sommo bene, Marci Rossini, Rusconi, 1996).

 

 

 

TIMEO o DELLA NATURA:

IL RACCONTO DI ATLANTIDE

NEI RICORDI DI PLATONE.

IL DEMIURGO CREO’ IL TEMPO

IMMAGINE MOBILE

DELLA ETERNITA’

 

  

 

Q

uesto dialogo, di argomento cosmologico, come il Filebo che lo precede, appartiene all'ultimo periodo dell'opera platonica, quello ricostruttivo.

Socrate si ritrova, in Atene, con gli stessi amici cui, il giorno prima, aveva riferito il lungo discorso tenuto in casa di Cefalo sullo Stato ideale (v. Repubblica); ora essi debbono rendergli il contraccambio. Sono presenti Timeo di Locri, Crizia di Callescro ed Ermocrate di Siracusa; manca un quarto che Platone non indica più chiaramente.

Riassunto l'argomento del giorno prima, Socrate vorrebbe che gli amici, i quali, oltre che filosofi, sono uomini d'azione, compissero il quadro dello Stato perfetto. Crizia allora accenna a un racconto udito, quand'era fanciullo di dieci anni, dall'avo novantenne suo omonimo, a cui l'aveva narrato Solone che, a sua volta, l'aveva appreso in Egitto da un sacerdote di Sais: il mito dell'Atlantide, già dimenticato dal Greci "che sono eterni fanciulli".

Secondo l'antico racconto, strano ma vero secondo Solone, gli antichi Ateniesi avevano, in un tempo ormai remoto di novemila anni, primeggiato per sapienza di leggi e per potenza guerriera, ed era loro toccata la gloria di preservare dalla servitù i popoli mediterranei, sconfiggendo il potente impero che aveva il suo centro nell'immensa isola Atlantide, allora esistente di là dalle Colonne d'Ercole. Un cataclisma aveva poi inabissato nel mare l'Atlantide, cancellando così anche l'occasione, per gli Ateniesi, di ricordare il glorioso passato.

Ora Crizia propone di discorrere più a lungo (v. Crizia) su quegli avvenimenti; e il racconto sarà come un trapiantare nella realtà la ideale finzione della Repubblica, mostrando come quei cittadini immaginati da Socrate siano quei veri antenati degli Ateniesi, ricordati dal sacerdote di Sais. Ma, prima, parla Timeo, più versato in astronomia e diligente studioso della natura, cominciando dall'origine del mondo per terminare con la creazione dell'uomo. E Timeo, dopo aver invocato non un solo iddio, ma tutti gli dèi e tutte le dee, come è opportuno fare a chi si accinge a trattare del Tutto, comincia il suo racconto sulla creazione dell'universo.

Egli distingue tra essere e divenire, il primo immobile, attingibile dal puro pensiero, il secondo mutevole e percepibile dai sensi. E siccome al divenire è necessaria una causa, per creare il mondo che appartiene al divenire fu necessario un dio padre e creatore, il Demiurgo. Il quale creò l'universo foggiando ciò che diviene su un modello ideale perfetto, per pura bontà, perché, scevro d'invidia, voleva tutto buono e simile a sé.

Volendo che il mondo fosse bello, dovette dotarlo d'anima intelligente, perché nulla è bello che sia sprovvisto d'intelligenza; e lo fece unico perché contenesse tutti gli esseri del mondo sensibile, allo stesso modo che il modello conteneva tutti gli intelligibili. Adoperò poi, per creare il mondo sensibile, i quattro elementi: aria, acqua, fuoco e terra; quanto alla forma, preferì la sferica come la più perfetta. L'anima poi, creata non dopo ma prima del corpo, la plasmò mescolando l'invariabile e il variabile in una terza essenza; e questo complesso, capace, per sua natura, di sapere e di opinare, permeante tutto l'universo, dispose in due circoli concentrici intersecantisi, dotando il primo di moto invariabile, l'altro di moto variabile.

Non potendo il mondo creato essere eterno come il modello, il Demiurgo lo volle, almeno, perenne; e a tale scopo creò il tempo, immagine mobile dell'eternità.

Per popolare poi questo mondo, egli creò innanzi tutto gli dèi celesti, intelligenze animatrici e motrici degli astri; da questi dèi furono generati gli dèi inferiori (quelli della tradizione religiosa ellenica), cui il Demiurgo commise poi l'incarico di creare gli altri viventi.

Ma affinché questi ultimi avessero alcunché d'immortale, creò egli stesso il seme dell'anima razionale, che pose poi sotto l'influenza dei vari astri. Intorno a questo seme immortale gli dèi secondari plasmarono l'uomo servendosi dei quattro elementi, sicché in esso il principio razionale, sebbene per natura predominante, va tuttavia soggetto a sottostare alle passioni che spesso oscurano l'intelletto: a questo male bisogna ovviare con la disciplina.

Timeo spiega quale importanza abbia nella figura umana il capo, sede degli organi più importanti. A questo punto introduce nel discorso l'altra determinante nella creazione del mondo, cioè la necessità, indispensabile alla generazione delle cose, seppur subordinata all'intelligenza. Dopo aver invocato un dio salvatore che lo preservi dall'esporre opinioni inverosimili, Timeo, rifacendosi alla distinzione, fatta in principio, di un'essenza immobile e di una soggetta a generazione, distingue una terza specie "difficile e oscura", ma necessaria alla creazione.

Egli la chiama "ricettacolo" delle cose, "substrato" che viene impresso, "madre", " sito", " accoglitrice" d'ogni forma: di questa "specie invisibile e amorfa" (che noi chiameremmo materia, ma che Timeo non si risolve a chiamare con un nome preciso), appare fuoco la parte di essa che s'infuoca, acqua la parte liquida, terra e aria le parti capaci di assumere tali aspetti.

Per essa il divenire uscì dal caos, per essa si attuò la genesi dei quattro corpi detti elementi, che in realtà non sono che aggregati mutevoli della materia, composta di elementi più semplici di forma triangolare: dal triangolo infatti si formarono le figure stereometriche di cui si servirono gli dèi per costruire i quattro corpi: il cubo per la terra, l'icosaedro regolare per l'acqua, l'ottaedro regolare per l'aria, il tetraedro regolare per il fuoco.

A questo punto Timeo esamina, oltre alle proprietà degli elementi, anche la natura delle sensazioni, tutte dipendenti da cause meccaniche secondarie, cui però domina come causa prima la necessità ordinatrice teleologica dell'universo.

Riprendendo il filo del discorso, egli narra come gli dèi collocarono nel corpo umano, ben separato dall'anima razionale immortale, le due parti dell'anima mortale: l'una, l'irascibile, nel petto, l'altra, la concupiscibile, nel ventre; e per sostentare l'anima mortale crearono la generazione delle piante, partecipe dell'anima concupiscibile.

Passa quindi a esaminare l'importanza e le funzioni del cuore, dei polmoni, del fegato (considerato organo dei sogni e della divinazione) e di tutte le altre parti del corpo; e quindi delle varie funzioni che assicurano la sanità al corpo: la quale sanità consistendo soprattutto nell'armonia fra le forze dell'anima e del corpo, è necessario conservarla con le cure igieniche, con la ginnastica e con la musica, sempre avendo per guida l'intelletto ragionante.

Timeo conclude il suo lungo discorso spiegando la generazione delle donne e degli altri animali via via più umili con le successive reincarnazioni degli uomini, a seconda del grado di degenerazione prodotto in loro dalle colpe.

Quest'opera era destinata a esercitare un influsso grandioso sul posteriore pensiero, sia neoplatonico, sia, soprattutto, cristiano, il quale è qui anticipato, per non accennare ad altro, con la sublime negazione dell'invidia divina.

In certi punti, essa contiene addirittura geniali divinazioni di posteriori scoperte scientifiche. Lo stile vi è grandiosamente ieratico con una certa severa magniloquenza quale si conviene a un argomento così grave; tutta l'esposizione ha un tono di religiosità pitagorica, che dimostra come Platone si sia avvicinato negli ultimi tempi della sua vita a questa scuola, che permeava di misticismo l'indagine scientifica e divinizzava la geometria. Ma l'avvicinamento di Platone al pitagorismo in questo che è probabilmente il penultimo dei suoi dialoghi, non diminuisce la sua originalità e non rompe la linea di sviluppo del pensiero più autenticamente platonico.

Dopo avere, nei dialoghi dialettici (Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico), aggredito con sempre maggior decisione la dottrina delle idee trascendenti, Platone dà nel Filebo la prima costruzione ideale secondo i nuovi principi, svolgendo una dottrina del bene non più pensato come socratico distacco dal mondo sensibile (v. Fedone), bensì come vita mista di Intelletto e di piacere, e preludendo alla dottrina cosmologica, svolta poi in questo dialogo, per cui la realtà è prodotta da un miscuglio di illimitato e di limite.

In verità, ben oltre l'influsso pitagorico, si deve riconoscere che tutte le correnti di pensiero dell'antichità greca, sia quelle del pensiero scientifico sia quelle dell'intuizione misteriosofica, vivificate e trasformate dal genio e dall'arte di Platone, confluiscono in quell'opera grandiosa e ardita che è il Timeo. (Tradd. di F. Acri (Napoli, 1893), di Giuseppe Fraccaroli (Torino, 1906), di Cesare Giarretano (Bari, 1928), di Eug. Levi (Milano 1924). Giulio Alliney)

 

 

TRATTATO INTORNO

ALL’ANIMA DEL MONDO

DI TIMEO DI LOCRI

(traduzione di Dardi Bembo

- Venezia 1607)

 

 

PREFAZIONE

 

 

Q

uesta operetta, scrive Dardi Bembo (1560-1640,) è veramente aurea, un bellissimo monumento della più pura dottrina degli antichi filosofi ed il vero testo della disputa, diligentemente scritta intorno alla Natura, da Platone.  Per non ripetere più volte la stessa cosa, additeremo i capi principali di questo trattato, poiché e il soggetto e la economia, convengono interamente.

Nell’opera di Platone la strada è più vasta e più magnifica, qui si trovano i certi e chiari vestigi della dottrina stessa. Devesi però notare che Platone, per amplificarla, vi ha introdotto alcune invenzioni delle scuole egiziane le quali con più convenienza e modestia vengono quì da Timeo additate, come sono le leggerezze della trasmutazione. nelle quali il vero Platone troppo si avanza. Qui si additano, ma si chiamano cose finte e forastiere, alle quali non si deve prestare veruna fede; è però necessario rammentarle, affinché dallo spavento di così orribili pene, sieno gli uomini, dalle scelleraggini allontanati.

Questo Timeo di Locri fu un filosofo pitagorico, intendentissimo, come sembra, della più pura filosofia, sicché a ragione se lo propose Platone per esemplare nel trattato delle cose fisiche. Non si sa in qual tempo sia vissuto, alcuni lo credono più antico di Platone, altri contemporaneo.

 

 

ESTRATTO DAL TESTO

RELATIVO

 ALL’ANIMA DEL MONDO

E ALLA CREAZIONE

 

 

T

imeo, dopo aver detto che due sono le cause  di tutte le cose, la mente e la necessità; di queste l’una costituisce la Natura dei bemi e si rimanda a Dio, principio di tutte le cose, l’altra si collega alla Idea, la Materia e il Sensibile  come lor parte. [...] Questa Materia era sempiterna e mobile e per sé priva di ogni forma e figura. [...] La Forma ha relazione al maschio e al padre, ma la Materia alla femmina e alla madre. Ciò che da queste come parto nasce, è la terza cosa. Essendo tre queste si conoscono ancora in tre maniere. La Idea colla mente per scienza, la Materia con certo discorso adulterino (non intendendosi per retta via ma per proporzione) i parti che nascono da loro col senso e con la opinione (disposizione del Mondo e fermezza quasi eterna del medesimo).

Dunque, innanzi fosse il Cielo e la Forma e la Materia secondo la ragione e quel Dio artefice di ciò  che era il meglio. [...] Dunque creò Dio questo Mondo di tutta la Materia e l’apparecchiò per termine della natura dell’ente, perché in se stesso abbracciasse tutte le altre cose, essendo egli uno, unigenito, perfetto, dotato di anima e di ragione (essendo queste cose più eccellenti dell’inanimato e dell’irrazionale) e di corpo rotondo, la qual figura è dell’altre tutte la più perfetta [...]. 

Dunque se ne sta il Mondo, tale quale fu creato da Dio, libero da ogni corruzione e morte, beato, ottimo fra tutte le cose generate, perché egli è fatto di ottima cagione che riguardava nell’Idea e nell’intelligibile essenza e tali che non ha punto bisogno di mortali strumenti i quali, fatti con le mani sono acconci e accomodati agli altri animali. [...]

In vero egli è tale che si può vedere e toccare e perciò prese in sorte la terra e il fuoco e ciò che frammette, cioé l’aere e l’acqua. [...]

Pose Dio nel mezzo del Mondo l’Anima e la condusse fuori e di lei ne coprì l’Universo, temperata di un certo temperamento d’indivisibil forma e di sostanza divisibile, acciocché ne risultasse da queste due un temperamento con cui mescolò due potenze, principii dei movimenti, cioé dello stesso e del diverso; la qual anima difficilmente ricevendo mescolamento, il temperamento agevolmente non ricevette.

Tutte queste maniere sono temperate secondo i numeri armoniosi, i quali dall’Artefice furono convenevolmente distinte, secondo l’ordine della scienza; in guisa che non può essere incognito punto da quali cose e per mezzo dei quali, sia stata formata quest’anima del Mondo.

Questa non ordinò Dio ultima dopo la sostanza, come noi affermiamo (essendo quello primiero e per potestà e per tempo che più è da onorarsi) ma la creò più vecchia, cavandone egli la prima delle quattro unità ad otto decine e tre centinaia. Or agevole cosa è il raccor il doppio e la triplicata parte di lei stabilito il primo numero.

Tutti i numeri con le sue aggiunte e sesquiottavi fa mestieri che siano trentasei termini; ma tutto il numero si faccia di centoquattordicimila seicento novantacinque. Dunque in non so in che modo divise l’anima dell’Universo (In nota il traduttore spiega che il calcolo si riferisce  al moto uniforme dello stesso e il moto vario e molteplice del diverso dei vari corsi dei Pianeti ndr.) [...]

Timeo a questo punto passa ad esaminare il movimento degli astri, compartito secondo le ragioni dell’armonia e in sette giri ordinato. Dunque la Luna, vicinissima alla Terra fornisce il giro in un mese, ma il Sole, dopo di lei, in un anno adempie il suo giro. Due stelle che vanno con pari corso col Sole, Mercurio e Giunone, la quale il volgo chiama Venere o Lucifero avvegnachè non ciascuna ripugnanza d’uomini è sapiente intorno alla sacra Astronomia, dottamente conosce i nascimenti delle occidentali e delle orientali; essendo alcuna volta lo stesso il vespro, mentre egli segue il Sole in quanto non è offuscato dal suo splendore; altra volta chiamasi orientale quando va innanzi al Sole e nasce mattutino prima di lui.

Dunque spesse volte Lucifero è la stella di Venere perché corre insieme col Sole, nondimeno non è un Lucifero ma molte delle stelle fisse e molte delle erranti. Perché ogni stella di qualche grandezza che viene innanzi al Sole sopra dall’Orizzonte annuncia il giorno.

Tre altri pianeti Marte, Giove e Saturno, hanno particolari velocità e gli anni impari, ma forniscono i giusti spazi, in modo  che si possono apprendere con certa e chiara cognizione, apparendo essi e nascondendosi e mancando avvegnachè si generino da loro i veri orienti e i veri occasi (occidenti).

Più oltre, rendono manifeste le apparizioni del nascere e tramontare del Sole il quale rimena il giorno col corso mentre cammina dall’oriente all’occidente, ma la notte, in altra guisa, dall’occidente all’oriente, in quanto è lui portato dal movimento dello stesso; ma l’anno, in quanto è portato dal suo e particolar movimento.

Da questi due movimenti fa il Sole il giro in spira, camminando per una parte in tempo diurno, condotto intorno dalla sfera delle stelle fisse (In nota: Descrizione del tempo, cioé divisione del giorno, mese, anno).

Or queste sono parti di tempo chiamate giro, le quali ornò Dio insieme col Mondo, perché innanzi al Mondo non erano le stelle, né perciò l’anno, né il giro delle stagioni colle quali questo Mondo generato si misura.

Egli è poi immagine di tempo non generato, il che chiamiamo etermità. Poichè così come si creò questo Cielo, secondo l’esempio eterno del Mondo  intelligibile; così questo tempo ancora, secondo l’eternità, quasi esemplare fu formato dall’Artefice col Mondo (In nota: conformazione ad uso degli elementi).

Ma la Terra, sede degli Dei, stabilita nel mezzo, è termine della notte e del giorno e genera l’occaso (occidente) e l’oriente, secondo le divisioni degli Orizzonti quasi corcoscritti dalla vista e dalla divisione che fa la Terra.

E’ la Terra corpo antichissimo fra tutti i quali sono entro al Cielo; non essendo nata l’acqua senza Terra, né l’aere senza l’umido. Il fuoco dall’umido abbandonato e dalla materia onde si infiamma, durar non potrebbe in niuna maniera.

Sicché la Terra nello stesso momento fu stabilita per radice e semenza degli altri. Dunque delle cose create è la Materia principiuo come soggetto; ma l’Idea come ragione e della forma proporzione. Parto loro, i corpi, dico la terra, l’acqua, l’aere, il fuoco dei quali tale ne è la generazione.

Ogni corpo consta dei piani, questi poi di triangoli dei quali uno si è mezzo quadrangolo d’angoli retti, di lati uguali, ma l’altro di lati inuguali, il quale ha l’angolo tre fiate maggior di potenza del minore. Or in lui l’angolo menomissimo è la terza parte del retto, di lui il doppio si è il mezzo, essendo egli una delle due terze parti; ma il grandissimo retto tiene proporzione colla metà della sesquialtera ed è rispetto al menomissimo tre volte più.

Questo triangolo dunque è mezzo quadrangolo, in quanto si paragona al triangolo de’ lati uguali, fesso dall’archipenzolo in due parti pari dall’alto al basso. Dunque e gli uni e gli altri sono due angoli retti; ma nell’uno  due lati che sono intorno al retto sono uguali solamente. Ma nell’altro tutti e tre ineguali. Questa figura chiamasi obliqua e quell’altro mezzo quadrandolo, prncipio di formar la terra: facendosi il quadrangolo di questi quattro mezzi quadrangoli; ma dal quadrangolo si genera il cubo, fermissimo di tutti i corpi ed immobile da per tutto, come quello che ha sei lati ed angoli otto.

Per questo è la terra corpo gravissimo ed immobile e che in altro corpo non si può trasmutare, non avendo niuna comunicanza con alcun altra sorte di triangoli.

Avvegnachè la terra sola tiene il mezzo quadrangolo per suo elemento. E questo si è elemento degli altri corpi, del fuoco, dell’aere, dell’acqua; perché composto insieme sei fiate il mezzo quadrangolo, da lui si fa il triangolo di gambe uguali, dal quale si fa la piramide che ha quattro basi e gli angoli pari, specie di fuoco mobilissimo e di sottilissime parti.

Dopo questo, quello che è formato di otto sedi e tiene otto basi e sei angoli si è l’elemento dell’aere. Terzo è l’Elemento dell’acqua di molte parti e gravissimo che tiene venti sedi, dodici angoli. Questi dunque composti dallo stesso elememento, si trasmutano insieme. Quello poi che è di dodici sedi, costituì l’immagine dell’Universo essendo vicinissimo alla sfera.

Il fuoco dunque, per la sottigliezza delle parti, penetra per tutti; finalmente l’aere, per gli altri elementi, fuori che per lo fuoco, l’acqua per la terra. Sicché tutti sono pieni, né lasciano niente di vacuo.

Essi sono portati intorno da quel veloce moto dell’Universo e fermatisi vicendevolmente si consumano e l’alterazione forniscono che non cessa mai di nasceree e di morire. Di questi valendosi, Dio fabbricò questo Mondo, il qual Mondo per la terra si può toccare; ma vedere per lo fuoco, i quali due sono gli estremi.

Egli per l’aere e per l’acqua a proporzione, legò il Mondo con ottimo legame onde e essa e le cose che per lei si comprendono, si possono annodare e contenere. Or se ciò che si annoda, sarà piano, li sia bastevole una metà; ma se sodo, di due egli ha bisogno.

A due mezzi, dunque, accomodò due estremità, accioché fossero come il fuoco all’aere, l’aere all’acqua, l’acqua alla terra e vicendevolmente, come il fuoco all’acqua, l’aere alla terra e scambievolmente come la terra all’acqua, l’acqua all’aere e l’aere al fuoco e vicendevolmente come la terra all’aere, l’acqua al fuoco [...].

Dunque questo sol Mondo è formato con proporzione di legame divino. Ognuno di questi quattro corpi ha molte specie; il fuoco ha la fiamma, la luce, lo splendore rispetto all’imparità dei triangoli, che sono in ognuno di essi. Ancora l’aere parimente è parte puro e secco, parte umido e nuvoloso.

Eziandio dell’acqua certa e flussibile; altra condensata come la neve, la brina, la gragnuola, il ghiaccio. L’umido altro è flussibile come il mele, l’oglio;  altro  condensato come la pece, la cera. Le specie del condensato, altra sondibile come l’oro, l’argento. il rame, lo stagno, il piombo, la gomma; altra fragile  come il zolfo, il bitume, il nitro, il sale, lo alume e le pietre della stessa sorte (In nota: Creazione degli animali e principalmente dell’uomo che avanza in dignità ed in picciol Mondo. Assegna la potestà di generare i corpi alla natura come concausa e ministra del Creatore, più distintamente di Platone il quale fa menzione di quei suoi Dei creati più spesso di quello che il filosofo si convenga, pel quale è cosa disdicevole usar vani termini in cose di riguardo).

Dopo la formazione del Mondo, operò Dio la generazione degli animali mortali, affine che secondo l’immagine egli del tutto fosse perfetto e assolutamente fornito.

 

 L’ANIMA UMANA

 

 

D

unque egli compartiva l’anima umana temperata e divisa con le stesse ragioni e potenze; dando questo ministerio alla natura altercatrice, la quale in ricevendo Dio, fece gli animali mortali e diurni di cui stillando le anime, come per certo flusso. In cotal guisa ne conduceva altre dalla Luna, altre dal Sole altre da altre stelle erranti nella parte del diverso, fuori che un’anima che è dotata della potenza dello stesso e in quella parte mescolò di ragione partecipe, immagine di sapienza per coloro i quali ottennero il destin buono.

Percioché una parte dell’anima umana è di ragione partecipe e intelligente; l’altra di ragione, la miglior e ottima parte è della natura dello stesso, ma la peggiore del diverso.

L’una e l’altra poi tiene la sede intorno alla testa, affine che le altre parti dell’anima e del corpo servano a lei quasi ad un tabernacolo universale del corpo (In nota: Della formazione del corpo, delle parti del medesimo corpo e delli uffici o ministeri delle medesime).

Or della parte irrazionale, quella che è pronta all’ira, tiene la sede intorno al cuore; quella che appetisce, intorno al fegato. Ma il cervello è il principio e radice della midolla e d’intorno a lui ancora è il principato dell’anima.  Da questo stilla un certo sugo per le vertebre della schiena, come per un alveo chino, onde si compare egli per lo seme e per la generazione.

Gli ossi poi son fortezza delle midolle; la carne difesa e coprimento loro. Annodò gli articoli coi nervi col mezzo de’ legamenti atti al movimento. Fece alcune delle parti interne per causa dell’alimento, altre per causa di salute.

De’ movimenti, i quali nascono  dalle cose esterne, quelli che si assegnano a quel luogo il qual considera, sono ai sensi esposti; ma quelli che non si possono apprendere, fuggono i sensi o perché i corpi che li ricevono tengono più di terra o perché sono più deboli i movimenti. Qualunque movimento si allontana dalla natura partoriscono dolore ma qualunque fa ritorno a lei, sono  detti piaceri.

De’ sensi ci accese Dio il vedere alla contemplazione delle cose celesti e all’acquisto della scienza. Egli creò l’udito all’apprender i fenomeni e le armonie del quale, se fosse l’uomo privo dal principio del nascimento, non potrebbe mandar fuori la favella. Sicché dicono che questo senso sia principalmente col favellare in parentado congiunto. OMISSIS

 

 

GLI SVILUPPI

DELL’ANIMA DEL MONDO

DAL COMMENTO DI MAROBIO

AL “SOMNIUM SCIPIONIS”

 

 

A

ttraverso il commento di Macrobio al “Somnium Scipionis”, i testi di Virgilio e di Cicerone  consegneranno al medioevo il concetto delle anime stellari e dei cieli animati.

Teorie stoiche sono alla base dei cosiddetti scritti ermetici, di cui uno, tradotto in latino, l’Asclepio (v. Schede F. Ermete Trismegisto e il Libro di Tot), attribuito poi ad Apuleio, esercitò una influenza pressoché incalcolabile fino al pieno Rinascimento.

Plotino vede anch’egli animati gli astri, svolgendo l’immagine platonica delle anime disseminate nel flusso del divenire (Enn., IV, 8, 4-5); e più che come semi gettati configura le anime come strali... che, lanciati che siano, si tramutano in viventi con forme sempre novelle e (op.cit. VI, 4, 3).

L’anima universale che in Plotino significa onnipresenza dello spirito, si complica nei Neoplatonici, e soprattutto in Giamblico, con i più svariati elementi magico-ermetici. L’idea della solidarietà del tutto, del tutto vivente e capace di intendere, sfocia nella magia cerimoniale e nell’uso degli incantesimi.

Di contro, alle degenerazioni estreme dell’idea di anima universale nelle forme magiche volgari, la concezione cristiana dell’uomo come unità di anima e di corpo, distinti eppur strettamente connessi, si viene opponendo alle varie forme della tradizione animistica.

Ma i temi ermetico-stoici e neoplatonici sono ben lungi dal tacere nel medioevo, ché anzi riprendon vigore via via che si diffonde la conoscenza del commento di Calcidio al Timeo, e soprattutto il commento di Macrobio al Somnium Scipionis, entrambi derivati da ambienti neoplatonici.

Così vediamo fiorire tutta una letteratura di commenti alla Consolazione della filosofia di Boezio, in cui tornano i temi delle anime stellari, delle anime seminate nel cosmo a vivificare tutte le cose, e così via (P. Courcelle, Etude critique sur les Comnmentaires de Boèce, IX-XV siècles, in « Arch. Hist. doct. litt. m. à. v., 1939, pp. 5-14o).

Se nel sec. IX lo sviluppo del realismo esagerato facilita la dottrina dell’anima del mondo (Ph. Delhaye, Une controverse sur l’ame universelle au. IX’ siècle, Namur 1950), il platonismo e l’ermetisrno del sec, XII rimettono in circolazione forme oscillanti fra l’anima universale e il panteismo larvato.

Dopo il sec. XIII il fiorire sempre più rigoglioso di scritture magico-alchimistiche, tradotte o imitate dall’arabo, diffonde nuovi spunti animistici.

L’influenza di opere come la Fons vitae (Avicebron-Ibn Gebirol), combinandosi con gli elementi più vari, non esclusi i cabbalistici, confluirà nelle teorie rinascimentali dell’animazione di tutte le cose. Tutto è vivo; in tutte le cose, anche nelle pietre, v’è un’anima «nihil est in mundo expers vitae; vita quae est in plantis, immo quae in omni corpore, est... vivificatio quaedam ab anima in corpus derivata» (G. Pico della Mirandola, De ente et uno, Basilea 1572, P. 247).

 Le nuove traduzioni che, nella seconda metà del Quattrocento, Ficino farà dei libri ermetici e poi di tutti i platonici da Plotino a Psello, rafforzeranno il concetto che tutto sia vivente e animato, che in tutte le cose sia presente una forma, magari opaca, di consapevolezza. La razionalità del mondo si intende come presenza di effettive e sostanziali «ragioni e, mentre si inclina poi a interpretare queste «ragioni» o «numeri» come principi reali intrinseci al tutto, che, appunto come anime, vivificano e reggono il tutto.

Durante il Cinquecento, ermetismo, magia e cabbala diffondono in Europa l’idea che ogni cosa è viva e animata; Reuchlin, Cornelio Agrippa e Paracelso sono solo i nomi più noti, per non parlare delle concezioni dei naturalisti italiani come Telesio e Campanella.

Dopo la grande fioritura rinascimentale, la tesi dell’anima universale andrà declinando e perdendosi fra le fantasticherie e le superstizioni, lasciando il posto a più rigorose teorie di medici e fisiologi, a più consapevoli analisi della esperienza cosciente.

L’approfondimento dell’interiorità restituirà alla filosofia dell’anima il significato delle dimensioni della vita spirituale e del problema dei suoi rapporti col corpo.

La teoria animistica di Giorgio Ernesto Stahl, medico e chimico, con le polemiche che suscitò specialmente con Leibniz, illumina abbastanza bene il valore di una dottrina destinata a render conto dei fenomeni della vita senza ricorrere a ipotesi incomprensibili. Nella “Theoria medica vera” (Halle 17o7), la dottrina dell’anima come principio della vita e dell’organismo, solo in parte rientra nella tradizione dell’anima.

E vero che Stahl ripete «homo factus est anima vivens», ma staccando il concetto di ratio (lògos) da quello di ratiocinatio (logosmòs), introduce un’utile ipotesi di lavoro che ci riporta verso le dottrine dell’anima vegetativa.

Leihniz esiterà ad accusarlo di materialismo. In realtà, dopo gli ultimi echi del Rinascimento, le teorie animistiche sopravvivono solo sul piano della fantasia, se si vogliono, com’è necessario, distinguere così dal vitalismo, come dalle vere e proprie dottrine spiritualistiche sull’anima, o dalle forme di ragionato panteismo filosofico.

Il misticismo fantasioso del Fechner appartiene al piano delle divagazioni poetiche, come quando ci insegna che anche «la terra è una creatura, una personalità chiusa in se stessa, che di fronte alle creature simili, ma non uguali, conserva la propria autonomia»; tesi che F. Paulsen riprenderà dicendo che «ogni essere corporale è manifestazione di una vita analoga a quella che noi percepiamo internamente »

(Introd. alla filosofia, tr. it. L. Gentilini, Torino 1911, pp. 1oo—1o1).

 

LA SCUOLA DI

CHARTRES

(da Etudes d’éstetique medievale”

di Edgard de Bruyne)

 

 

L

a Scuola di Chartes, scrive Edgard de Bruyne (Etude d’estetique medievale, Paris 1998) è nel XII sec. il centro più rappresentativo dell’Umanesimo medievale; il suo ideale è letterario e scientifico, realizzato da Alain de Lille nel momento in cui le Lettere emigrano a Orleans e le Scienze a Parigi.

Fondata da Fulberto sotto gli auspici di due grandi umanisti e matematici, Gerberto d’Aurillac e Abbone de Fleury, la Scuola di Chartre ha conosciuto tre grandi maestri scientifici: Gilberto de la Portée, Teodorico de Chartre e Guillaume de Conches; tre altri maestri l’hanno illustrata, i fratelli Teodorico, Bernard de Chrtres, Bernard Silvestre e Alain de Lille.

I Letterati erano filosofi e si sforzarono di poetizzare il contenuto dottrinale della Scuola, i teologi difesero la bellezza della forma al punto che Teodorico si vide conferire da Giovanni di Salisbury il bel titolo di Investigatore, studiosissimo delle arti (Artium studiosissimus investigator).

E’ a Teodorico (Thierry) che Hermanno il Dalmata e Bernardo Silvestre dedicarono le loro più celebri opere, la prima “Planisphère de Ptolomèe”, l’altra, il poema “De Mundi Universitate”; un anonimo gli aveva indirizzato il “Liber de eodem, secundus”, mentre Clarembaud d’Arras e altri discepoli si ispiravano nei loro commentari su Boezio.

Chartres è Platone, scrive de Bruyne, conosciuto attraverso Calcidio, Macrobio e Boezio. Chartres è per conseguenza l’estetica delle idee e dei numeri contenuti nel Timeo e nelle opere filosofiche e scientifiche dell’ ”Ultimo Romano”. Ma Chartres è un centro di teologi e di sapienti che pendono  sui misteri delle origini e della natura dell’Universo. Spiegare la Genesi alla luce di Platone e comprendere il Timeo in funzione della Bibbia, ecco il loro ideale.

Se Scoto Eriugena ha posto il problema della Rivelazione nella prospettiva di Plotino; se gli Scolastici del XIII sec. l’hanno cercato di risolvere con l’aiuto dei principi di Aristotele, i maestri di Chartres l’hanno sviluppato ispirandosi a Platone.

Ciò che noi troviamo nella visione del mondo di Chartres è lo spettacolo corrispondente al dodicesimo grado della contemplazione, come lo conosce Riccardo di San Vittore. Non è l’ammirazione esaltante delle forme sensibili, considerate in sé stesse, non è più il godimento sottile della loro corrispondenza e significato allegorico, è la gioia di una visione che compende la luce di qualche semplice principio, di qualche nozione generale, di cause fondamentali e di certi rapporti primari.

E’ necessario però che questa estetica sia esplicitamente sviluppata; ma essa è presente dappertutto. Se a Chartres non si chiedono cosa sia la bellezza, essi suggeriscono sempre la risposta “musicale” che essi danno alla questione. Presso i Tecnici un Guillaume de Conches giudica alla maniera di Platone che l’aspetto estetico del mondo, va da sé. Il mondo è una bella immagine di Dio, come dice Calcidiodecorum simulacrum”.

Il mondo è il più bello di tutti gli esseri creati (speciosissimus omnium generatorum). Il mondo è di una bellezza incomparabile e se lo è veramente, il suo autore e architetto deve essere il migliore possibile.

E’ ciò che svilupperà Alano di San Vittore nel suo De Planctu naturae (Del lamento della Natura).

 

IL MONDO

CONTEMPLATO

COME OPERA D’ARTE

 

 

I

l mondo contemplato come opera d’arte, prosegue De Bruyne, dove traspare il genio geometrico dell’artista creatore, differisce esteticamente dal mondo considerato in maniera intuitiva e diretta come un insieme di forme sensibili immediate. A Charteres gioiscono del mondo attraverso un sistema matematico-scientifico che essi prospettano. E’ il punto di vista di Platone, è lo stesso quello di Boezio che Guglielmo di Conches commenterà: “O Dio, egli dice nel suo Himne au Craìateur, “sei tu che dirigi tutte le cose che seguono l’Ideale eterno e che, Bellezza suprema, reggi con il tuo spirito questo bell’Universo, imprimendogli una immagine che somìglia a Te”.

Quando Dio ebbe creato il cielo e la terra e tutto ciò che l’adorna, vide che tutto era ben fatto. E si impone una seconda osservazione: Guglielmo  di Conches e gli altri di Chartres distinguono segnatamente “creazione e decorazione”. Prima di ornare l’universo, Dio, prima di creare la materia, questo caos informe, possedeva un rudimento di bellezza, ma pieno di bruttura nella misura in cui non ancora presentava delle forme discernibili.

Mosè e Calcidio sono d’accordo nel considerare le stelle, ornamento del cielo e gli animali l’ornamento della terra: l’ornatus del mondo è la materia elementare differenziata dopo il peso e il numero circoscritto entro certi limiti, prendendo figura e colore, presentando delle forme determinaate e belle.

E’ così questo mondo sembra una gigantesca oreficeria ”ornata di  forme innumerevoli decorative che è un piacere osservare”. Allorquando il Nous aveva terminato la decorazione dell’Universo, dice Bernardo Silvestre, vide che tutto ciò che aveva fatto era ben fatto e doveva piacere allo sguardo di Dio: “bona vidit quae fecisset omniaque Dei visibus placitura”.

E’ il mondo “bello a vedere”, dice de Bruyne, che il Poeta della scuola di Chartres vuol celebrare nella sua opera; nella prima parte del suo poema de Universitate, la Natura, piangendo, domanda al Nous di voler decorare il mondo, al fine di renderlo più bello. Il soggetto del poema è, non la creazione, ma l’ornatus elementorum, l’ornato degli elementi.

Nella seconda parte, il Nous si glorifica di aver fatto il mondo così bello e promette di completare la sua opera con la creazione dell’essere più bello che sia, l’Uomo.

Nell’Uuomo si riassume la bellezza dell’universo intero. E’ per essere consociuto, amato, imitato nella sua bellezza asssoluta che la divina saggezza ha creato questo essere dotato di ragione e di libertà. Tutto il bene irradia maggior bellezza quando si espande attraverso una comunità di esseri; nella creazione Dio ha voluto manifestare la sua bontà secondo questo principio. Ma alfine  di rilevare a qualcuno in tutta l’estensione della sua bellezza, egli ha deciso di fare l’uomo che può cercarla e scoprirla, avendola scoperta, volerle bene e prediligerla, imitarla.

Ecco l’atmosfera comune al filosofo Gglielmo di Conches e al poema di Bernard Silvestre. E’ quella che respira Teodorico di Chartres quando nelle sue difficili speculazioni egli stabilisce un rapporto metafisico tra la forma e la bellezza delle cose di una parte e dall’altra parte, la causalità formale  della saggezza divina che si identifica con la Suprema Uguaglianza del Verbo.

Ugo di San Vittore si appoggia sulla stessa dottrina, non credendo di mettere ad equazione la forma e la bellezza: da species deriva speciosum, de forma, formosum. E vediamo che San Bonaventura, dopo Grossatesta, fonda tutta la sua estetica su una certa concezione dell’equalitas. Lo stesso se quelli di Chartres non offrono, per se stessi, nessun interesse diretto per l’Estetica del XIII sec. .

Ma tutta la loro visione del mondo è impregnata d’estetica implicita; come il contrario sarebbe possibile se si ispirasse al Timeo e ai due capitoli della Genesi?

 

 

LA “WELTANSHAUNG”:

CONCEZIONE

DELL’UNIVERSO

 

 

L

a “Weltanshaung, vale a dire la Concezione dell’Universo della Scuola di Chartres, secondo de Bruyne,  ha due espressioni parallele, l’una tecnica e l’altra poetica. Entro queste due espressioni i legami sono stretti; non si può comprendere Bernardo Silvestre, senza Teodorico di Chartres al quale dedica il suo poema e spartendo lo studio della dottrina scientifica di Guglielmo e Teodorico, si giunge a interpretare le allegorie poetiche, a prima vista, difficili, di Bernado Silvestre e Alano di Lilla.

I due poeti non hanno, scrive de Bruyne, per così dire, delle idee originali per ciò che concerne la visione filosofica ed estetica del mondo, ma essi hanno il loro genio personale nel dominio dell’arte poetica – nel senso, medievale, ben inteso. Cominceremo in conseguenza, con ciò che costituisce il contenuto dottrinale della loro opera: questo contenuto presenta un valore estetico.

 

I TECNICI

DI CHARTRES

 

C

ome è naturale nel Medioevo, scrive de Bruyne, a Chartre la dottrina è elaborata partendo da Dio e dalla Creazione. La Santa Trinità. primo contenuto della fede qui è messa in rapporto con la triplice causalità, efficiente, formale, finale, primo fondamento della filosofia.

Due testi agostiniani sono messi alla base della dottrina trinitaria: “In Patre unitas, in Filio aequalitas, in Spiritu Sancto aequitatis unitatisque concordia”. Al Padre è stata attribuita l’unità e  inoltre la possanza, al Figlio l’eguaglianza e la saggezza, allo Spirito Santo l’armonia e la bontà.

Guglielmo di Conches e Teodorico di Chartres, così come il loro contemporaneo Abelardo, si sforzano di rendere il dogma Trinitario accettabile e sembra per conseguenza “provare” Teodorico, procedendo sopratutto deduttivamente per delle ragioni matematiche di provenienza  pitagorico-platonica; Guglielmo partendo piuttosto per induzione dalla considerazione delle creature; Teodorico insistendo volentieri sulla prima triade agostiniana: unità, uguaglianza, armonia, Guglielmo per la secomda: potenza, saggezza, bontà.

Il Timeo, d’altra parte, menziona tre cause primarie: il Demiurgo, il Mondo Intelligibile, il Bene in ; il Demiurgo è la Potenza divina,  causa efficiente; il Mondo Intellibìgibile è la Saggezza, causa formale; il Bene è la Bontà, causa finale.

Per spiegare una cosa sensibile dice Guglielmo di Conches, egli fa appello a sei cause, materiali e formali, efficienti e finali: Spazio e Tempo. Il mondo non essendo proceduto dallo Spazio e dal Tempo, si esplica da quattro cause. Ma, come la materia elementare è essa stessa creata da Dio, non rimangono che tre principi primi.

Ora, a queste tre cause divine, necessarie alla fede - dopo la causa efficiente non potrà agire senza fine né senza produrre un effetto determinato o formale – corrispondente, dopo Teodorico, a tre aspetti fondamentali dell’Universo. In tanto che Dio è Unità, egli crea la materia; in tanto  che egli è Uguaglianza dell’unità, egli crea le forme delle cose; in tanto che è Amore e li lega (Unità e Uguaglianza), egli crea l’anima (del mondo).

Questo testo è assolutamente decisivo perché per l’opposizione di “é” e “crea” esso si oppone ad ogni interpretazione panteistica perché distinguendo l’Amore-che-é, dall’Anima-che-l’Amore-crea esso insorge contro ogni identificazione dello Spirito Santo con l’Anima del mondo.

L’universo è dunque, fondamentalmente, nella sua struttura permanente e che abbraccia ogni cosa, una unità sostanziale manifestante tre principi: la materia primordiale che giace negli elementi; l’insieme delle forme che Guglielmo di Conches chiama collectio ordinata creaturam, l’anima universale che presiede all’unione dei due; è nello stesso tempo l’Anima del mondo di Platone e la Forza naturale dello stoicismo: essa si presenta nel Medioevo, sotto l’aspetto della Natura.

A Chartres si insiste sull’unità sostanziale di questo mondo sotto tre aspetti; non è solamente Bernardo Silvestre che parla del grande Essere vivente, ma anche Guglielmo di Conches che celebra il gran “Tutto” e lo identifica con il Pan delle favole antiche.

Che la materia, massa informe dove tutto è confuso e che la “possibilità assoluta” sia una, la cosa è evidente.

Il problema dell’Anima del mondo scrive de Bruyne per concludere su qesto argomento, è più delicato. Il fatto che dei contemporanei hanno rimproverato violentemente ad Abelardo e a Chartres di identificare l’Anima del Mondo e lo Spirito Santo; che Guglielmo di Chartres e Teodorico sembrano effettivamente aver difeso questa identificazione nei loro scritti; che Conches, per es. riconosce che l’Anima del Mondo  è interpretata diversamente dagli autori e per alcuni identificata con lo Spirito Santo.

Ma, un altro fatto, non meno importante è che Teodorico di Chartres nel De Librum hunc, distingue nettamente l’Amore creatore dello Spirito creato e che Guglielmo di Conches, dopo aver difeso l’identificazione, l’ha subito passata sotto silenzio, prima di rigettarla per ragioni di esegesi platoniche. “E’ impossibile, egli dice, che lo Spirito Santo e l’Amima del Mondo siano la stessa cosa, in quanto Platone tratta dell’Anima del Mondo dopo aver terminato la sua esposizione sulla Causa finale o il Bene; egli distingue, in conseguenza, le due nozioni” (Philosophia mundi).

Crediamo dunque poter concludere che allo stadio finale delle loro speculazioni alla Scuola di Chartres hanno esplicitamente ammesso la distinzione tra lo Spirito Santo e l’Anima dell’Universo e che Bernardo Silvestre ci ragguaglia sullo stato definitivo della loro sistemazione.

L’Anima del Mondo per lui è una “sostanza finita” apparentata alla natura dell’aria e del cielo “plerumque aeri, plerunque coelo cognatior”, tutta intera immanente a ciascuna cosa “singulis totus et integer refundatur” e agendo diversamente nell’essere, seguendo le capacità di comprensione di ciascuno: “pro captu proprio”.

 

 

L'ANIMA DEL MONDO

SECONDO

CORNELIO AGRIPPA

 

 

C

ornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535), in “De occulta philosophia scrive: Sarebbe assurdo se il cielo, le stelle e gli elementi non dovessero essere animati da quella vita di cui sono la fonte per tutti gli individui e se ogni pianta e ogni albero partecipasse di una destinazione più nobile delle stelle e degli elementi che ne sono i naturali generatori.

Vi è dunque un’anima del mondo, una vita unica che riempie e pervade tutto, che tiene tutto unito e collegato in , in modo da comporre in unità la macchina del mondo intero.

Come nel corpo umano il movimento di un membro produce quello di un altro e come in un liuto, toccando una corda,  vibrano con essa tutte le altre, così ogni movimento di una parte del mondo si riproduce in tutte le altre. Così ogni movimento di una parte del mondo, si ripercuote e riproduce in tutte le altre.

La molla dei legami occulti tra le parti del nostro cosmo e tra gli esseri naturali, viene rinvenuta da Agrippa a Girolamo Fracastoro (1485-1553), a Girolamo Cardano (1501-1576) a Campanella, nei rapporti di simpatia e antipatia concepiti come forza di attrazione e di repulsione.

L’Uomo appare come creatura privilegiata in quanto partecipa per i vari aspetti del suo essere, di diversi gradi di realtà e si giunge (come si è visto) a considerarlo come un legameonto logico fra i vari mondi: dei cieli, dello spirito e degli elementi terrestri.

Teofrasto Bombast von Hoheneim (Paracelso) concorda con Agrippa e con Bovillo e un gran numero di pensatori del 1500.

Paracelso chiamò “ardeus” il principio immanente che anima il mondo. Egli sostiene le capacità operative dell’alchimia e più precisamente la trasformazione dei metalli, in quanto, a suo parere, sono tutti costituiti dai medesimi elementi, se pur distribuiti in proporsioni diverse.

Non stupisce che certi aspetti di queste visuali magiche p. es. la paracelsiana Fünklein o anima immortale dell’uomo, abbiano avuto delle ripercussioni anche sul piano delle credenze religiose.

Così per Valentino Weigel (1533-1588) il Fünklein o Gemüt (l’oculus intellectualis, oculus mentis) è l’organo della conoscenza soprannaturale, attraverso cui Dio medesimo conosce se stesso. La salvezza non si opera perciò attraverso riti esterni, ma eìreakizzando in se medesimi tale tipo di conoscenza.

Seguendo questo ragionamento era possibile identificare l’Anima del mondo con Dio  (Romano-Tenenti, Storia Universale Utet Vol. IX/II).

 

 

L’ANIMA DEL MONDO

SECONDO SCHELLING

[Von der Weltseele].

 

 

L

’opera di Friedrich Wilhelm Schelling (1775-1854), pubblicata nel 1798,  identifica nell' “Anima del mondo”, il principio organizzatore di tutti i fenomeni della natura. Importanti sono specialmente le idee sulla natura dei fenomeni vitali.

Contro coloro che vogliono spiegare la vita con il chimismo, Schelling fa notare che è vero piuttosto il contrario, che cioè i processi chimici sono processi incompleti di organizzazione. L'organismo è un tutto che ha la sua unità in se stesso, è causa di se stesso e di tutte le sue parti: esso unifica in se il concetto e il fenomeno.

Nella natura organica agisce una originaria tendenza formativa per cui essa assume, conserva e riproduce una struttura determinata.

La vita è un circolo di processi che rientrano di continuo in se stessi e che si determinano reciprocamente. Il principio positivo della vita non è una morta forza meccanica, ma non è neppure alcun che di soprannaturale: è un Mediatore che unifica tutte le forze della natura, l'Etere formativo, l'Attività unica e infinita, causa di se stessa, che dall'indeterminazione passa alla determinazione subendo una quantità di arresti.

L'individuo non è che l'Attività unica e infinita in uno speciale momento e punto di arresto e di sosta in fondo, l'individuo per Schelling non è che un negativo, un punto di morte nell'infinita vita vivente (Adriano Tigher).

 

 

GRAVITA’ E BIG BANG:

LA CREAZIONE

 

P

onendo la questione dell’Anima Mundi in termini scientifici, possiamo concludere che, con la scoperta della “gravità” da parte di Isaac Newton (con la caduta della mela!, e, in ogni caso, da tener presente che: Con la caduta di due corpi di differente peso, essi toccano terra  contemporaneamente, Galileo), e dalla teoria di Einstein, ora  sappiamo che le funzioni che si attribuivano all’Anima del mondo, che “riempie e pervade tutto, che tiene tutto unito e collegato in , in modo da comporre in unità la macchina del mondo intero sono svolte dalla gravità che con la sua forza di attrazione, tiene coeso tutto l’immenso universo.

Volgendo uno sguardo alle attuali teorie della creazione ci rendiamo conto che tutte le ipotesi fatte dagli antichi filosofi sulla creazione e sul Creatore, sono state completamente ribaltate dalle nuove teorie (che sono anch’esse ipotesi) del big-bang che si sarebbe verificato tredici mld. e ottotentomila anni fa.

L’inizio si sarebbe verificato con la concentrazione di energia (come l’energia che si concentra prima di un temporale e poi esplodono i fulmini, gli scienziati non dicono se vi sia stato un tuono come nei temporali), non vi erano  ancora le particelle; questa concentrazione di energia è detta “inflazione” (Barry Parker, La Creazione, Feltrinelli 1991) e aveva formato una palla di plasma della grandezza di una arancia che si era gonfiata diventando di circa tre piedi (con raggio di 90 cm.) a cento mld. di gradi; le particelle che la formavano erano ancora quelle semplici, vale a dire quark, particelle di energia ed elettroni; ed ecco l’esplosione di queste energia che liberando radiazioni trasformò le particelle di energia semplice, nei primi nuclei di protoni e neutroni (possiamo inserire anche il bosone di Higgs, dal momento che è stato confermato dall’acceleratore del CERN. ndr.), i quali riunendosi crearono il deuterio, poi il trizio e infine l’elio e l’idrogeno che si espandevano in ogni direzione e raffreddavano creando nubi gigantesche; e mentre si espandevano, si staccavano assumendo diverse forme, a spirale o ellittiche e raffreddandosi formavano le prime galassie.

All’interno delle gaalassie, stelle imponenti cominciarono a cuocere nelle loro fornaci gli elementi più pesanti, carbonio, ossigeno, neon, magnesio, silicio e ferro, scagliati nello spazio dalle supernove, dai cui frammenti si formarono i pianeti, poi le prime forme di vita.                   

A questo punto entrano in gioco i misteriosi buchi bianchi che creano materia e buchi neri che aspirano materia e dell’energia oscura che determina la espansione dell’univeso.

Noi terrestri, per nostra fortuna, relegati, ai margini di una galassia denominata Via Lattea, di dueceentomila anni luce di diametro, all’interno del sistema solare posto in una zona tranquilla, lontano dalle turbolenze che in essa si verificano, come d’altronde avviene in tutti gli altri miliardi e miliardi di galassie (che bello vederle nei servizi TV di Focus!).

L’Universo, freddo a 273,15° sotto zero, è carico di nebulose, vale a dire polvere cosmica ad altissima gradazione e metalli ridotti allo stato di gas (su Giove è stato ipotizzato da Focus TV, che si formino diamanti, come grandine, che si sciolgono come acqua in un mare di acqua di diamante!) che mettendosi a girare per forza di gravità, danno luogo alle stelle.

Ora in tutto questo coacervo di stelle o galassie che si formano e di stelle che esplodono (supernove), estinguendosi, con ricorso alle particelle che creano materia, come spiega l’astro-fisica, sorgono, come abbiamo visto,  problemi di carattere religioso e tutte queste nuove scoperte annullano  la creazione raccontata dalla Bibbia, salvo la funzione del Creatore che – come è stato detto – in una creazione dell’univarso (in via astrofisica), ha creato il bosone (la c.d. particella di Dio (*) ), mentre il resto sarebbe venuto da !

 

 

 

*) Google spiega che la funzione del bosone di Higgs è stata di aver conferito la massa alle altre particelle, contribuendo a rendere tutta la  materia così come la conosciamo e il bosone grazie a particolari proprietà fisiche, subito dopo (10 o 15 secondi dopo) il big-bang, ha evitato il collasso su se stesso dovuto all’alta gravità.

Lo studio è stato condotto da David Sloan e George Ellis, pubblicato su arXiv.A . 

  

 

 

FINE