Cividale - Museo Archeologico - Miniatura russa
sec. XI
Cristo incorona i
principi russi
CIRILLO - METODIO
E I POPOLI SLAVI
MICHELE
ENRICO PUGLIA
SOMMARIO. LA
POPOLAZIONE SLAVA E I PRIMI INSEDIAMENTI ETNICO-NAZIONALI; CIRILLO E METODIO: GLI SUDI; I PRIMI INCARICHI; LE TRE LINGUE SACRE;
IL PAPA ACCOGLIE IN PROCESSIONE I DUE FRATELLI; IL PRINCIPE DI PANNONIA CHIEDE AL PAPA DI MANDARGLI CIRILLO; IL VESCOVO WIKING E LA QUESTIONE DEL FILIOQUE; LA CONVERSIONE DEI BULGARI-L’ALFABETO CIRILLICO SOSTITUISCE IL GLACOLITICO.
LA POPOLAZIONE
SLAVA
E I PRIMI
INSEDIAMENTI ETNICO-NAZIONALI
I |
popoli che con le invasioni diedero un
nuovo assetto all’Europa nel IV e V sec.,
sovrapponendosi e integrandosi con le popolazioni autoctone, furono tre,
Germanici, Slavi e Asiatici.
Gli Slavi (*), quasi
certamente discendenti dagli Sciti (appartenenti alla popolazione indo-europea),
sin dall’antichità erano noti, per Tolomeo col nome di Vendi, per Plinio Venedi e per Tacito Veneti; Vendi o Vindi erano designati da tutte le
tribù germaniche e in epoca recente i tedeschi chiamavano Winden o Wenden gli Sloveni della
Carniolia, della Carinzia e della Stiria, come pure i
Serbi o Sorabi della Lusazia.
Essi occupavano
originariamente la parte centrale della Russia (per gli antichi, Scizia) che si estendeva da nord a sud dalla Lituania ai
Carpazi e al Mar Nero fino a quando
non furono sottomessi dai Goti capeggiati da Ermanrico
(350), il quale fu a sua volta sconfitto dagli Unni che tennero sottomesse parte
di quelle popolazioni.
Il successore di
Ermanrico, Vinitaro mosse
prima contro gli Slavi (383) e fatto prigioniero il loro capo Boz con i suoi figli e settanta maggiorenti, li trucidò
mettendoli tutti in croce. Vinitaro poi, l’anno
seguente si rivolse contro gli Unni capeggiati da Balamiro (Balamber), ma fu
trucidato.
Come il gruppo dei
Celti che si erano divisi in Germani, Teutoni Franchi, Goti, Longobardi ecc., in
quanto prendevano i nomi delle
località in cui si stanziavano, anche gli Slavi prendevano il nome dai luoghi in
sui si stanziavano e quindi, quelli
che si erano stanziati lungo la Morava presero il nome di Moravi, così i Polabi dell’Elba (in slavo Laba,
da cui presero il nome, all’epoca già estinti)
i Ljachi (Polacchi) e di questi, quelli che erano lungo il
Dnieper presero il nome di Poliani, e così i Dregovici lungo
la Dvina, e quindi i Czechi
(appartenenti al ramo dei Moravi e Slovaki), Serbi o
Sorabi, Croati (Serbi e Croati erano tribù affini),
Sloveni nome col quale gli Slavi chiamavano se stessi (tutti comunque, come
abbiamo detto, appartenenti alla stirpe indo-eruopea).
Gli unici di stirpe
turco-mongola erano gli Unni (v. in Schede di Storia: Attila e gli Unni*), che
integratisi con gli Slavi avevano dato origine ai Bulgari che nel IX sec. avevano fondato lo Stato Bulgaro (tra quella che
sarà la Serbia orientale oltre la Sava e si protendeva
nel Sirmio, e nell' Ungheria
meridionale).
L’altra popolazione
di origine asiatica,quella degli Avari, si diresse (560) nell’area germanica,
spingendo Longobardi e Gepidi verso l’Italia, e nel 568 occuparono tutta l’Ungheria.
Gli Slavi-Sloveni
incominciarono a trasferirsi (dal III al VI sec.) nella penisola balcanica e continuarono per
trecento anni, quando si mossero
nuovamente nel periodo delle grandi migrazioni (V-VI secolo), invadendo la
Dacia; di costoro, una parte, oltrepassò il Danubio e si stabili nelle provincie
che stanno al di sotto di questo fiume; una seconda parte rimase nella Valachia e nella Transilvania, il resto si diresse (nella
seconda metà del sesto secolo), verso ponente, e popolò quei paesi della Pannonia che si estendono a sud-ovest dell' Ungheria nonché
l'antica Carantania, la quale abbracciava l'odierna
Carinzia, la Gorizia, il Litorale, la Carniolia, la
Stiria e le parti dell'Ungheria e della Croazia adiacenti alla Stiria
(1).
Da qui si estesero
fino nell'Istria e quindi passarono nel Friuli (603), ma i fratelli duchi
longobardi Tasone e Caccone
(610) tolgono agli Slavi il territorio conquistato .
Successivamente (670)
gli Slavi ritornano in Friuli e mettono sotto assedio Cividale, senza riuscire a prenderla. Essi torneranno
nell’VIII sec., affronteranno l’esercito del duca
Ferdolfo e lo annienteranno con tutti i nobili che lo
avevano accompagnato occupando il Friuli orientale.
Gli Slavi si
stabilirono anche in Germania dividendosi in quattro principali rami: i Lutizii (Ljutiéi) o Veleti, gli Obodriti (Bodrici), i Serbi polabi e i
Pomerani (Pomorzi). Ognuno di questi rami era a sua
volta era suddiviso in tribù, ciascuna delle quali aveva il suo nome
particolare. Essi occupavano tutta la parte settentrionale della Germania, vale
a dire, la Prussia occidentale, la Pomerania, il Brandeburgo, la provincia di
Sassonia, il ducato di Anhalt, la parte orientale
dell’Hannover, i due granducati di Mecklenburg-Schwerin e Mecklenburg-Strelitz, le contrade a sud-est dello Schleswig-Holstein, le isole di Fehmarn, di Etigen, di Usedom, di Wollin erano fin dal
VI secolo terre slave, dalle quali i Tedeschi, nei
secoli posteriori, parte con le armi, parte con le proprie colonie e con una
forzata germanizzazione, fecero sparire l'elemento slavo.
Pur avendo fama di
essere sanguinari (e lo erano in guerra), era gente pacifica, industriosa,
dedita alla casa, alla coltivazione dei campi; dal corpo snello e slanciato, ma
robusto e resistente, resistevano per giorni accovacciati sotto un albero in
attesa della preda o, stavano per lunghe ore sott’acqua con una cannella per
respirare; essi avevano la passione del canto che
accompagnavano con la guzla-chitarra.
Si erano stanziati in
Ungheria, e quando gli Avari conquistarono la Pannonia, li sottomisero e la dominazione durò dal 568 al IX sec..
La Moravia era il
regno che aveva raggiunto le più estese dimensioni e comprendeva la Slesia, la
Boemia, la Moravia, parte dell’odierna Ungheria a sud-ovest del Danubio e si
protendeva sino alla Stiria orientale.
Nell’840 il duca dei
Moravi, Moimiro (Mojmar)
scacciando uno dei principi slovaki, il
principe Privina (Pribina),
costui si rivolse a Ludovico il Pio,che gli concesse (dopo averlo fatto
battezzare) in feudo il territorio che comprendeva la maggior parte della
odierna Ungheria a sud-ovest del Danubio e giungeva fino alla Stiria orientale e
attratte tribù di Slavi fondò (circa 840) una città, Mesemburg (Urbs paludarum), certamente sul Balaton, ponendo le basi della
futura Austria, che era ancora Pannonia.
Privina che da Ludovico il
Pio era stato riconosciuto come vassallo, dal figlio Ludovico il Germanico fu
riconosciuto (848) sovrano indipendente. Morì combattendo contro i Moravi (862?) e gli succedette il figlio Kozel (Kocel) che regno
probabilmente fino all’874.
Nell’883 la Pannonia è invasa da Svatopulk,
duca di Moravia ma dopo la sua
morte (894) la Pannonia passa ad Arnolfo di Carinzia (figlio bastardo di
Carlomanno: v. Articoli: I Carolingi e la dissoluzione dell’Impero) che cede la parte inferiore al principe
di Croazia, Brazslav.
La Pannonia non doveva aver pace perché arrivano i Magiari
ritenuti appartenenti al popolo misto turco-tartarico, i quali dopo due
tentativi falliti, al terzo la invadono definitivamente (riportando la vittoria
nella battaglia di Presburgo, 907). Poiché non sono
giunte notizie sugli Slavi pannonici di quel periodo, gli storici (G.Markovic) ritengono che i Magiari li abbiano tutti
annientati.
Gli Sloveni della
Carantania subirono invece l’invasione di Tassilone, duca di Baviera (595) che voleva allargare i
propri confini, ma essendo stato respinto ritorna l’anno successivo con duemila
Bavari, ma viene sconfitto e tutti i duemila Bavari sono fatti a pezzi.
All’inizio del VI sec. gli Slavi si erano stabiliti nella Dacia, ossia in
Moldavia e Valacchia, in Transilvania e nel banato di Temesvar: come aveva detto Costantino VII
Porfirogenito (905-959),”sotto il
regno di Costantino Copronimo (741-775) tutta la
Grecia divenendo slava, si era imbarbarita”.
Nel 578 masse di
Slavi penetrarono e si stabilirono nel Peloponneso, e successivamente invasero
altri territori della Grecia amalgamandosi con i greci, fino a diventare essi
stessi greci.
Per la Polonia, non
si sa bene in quale periodo gli Slavi-Veneti si fossero stanziati lungo la
Vistola e l’abbiano costituita unitariamente. Si sa che nel X sec. avevano
costruito la città polacca Gnjezno (Gnesen), sulla riva occidentale della Vistola, dove risiedettero i primi duchi, successivamente trasferiti nella
capitale Mosaburg (Zalavar).
Sui Polacchi,
cominciò regnare (circa 960) il duca Mieczislao, della
famiglia Piast, il quale regnò sino al 992 sopra i
paesi che costituivano la Polonia Grande (le Provincie polacche che nel XIX sec. appartenevano alla Prussia ed alla Russia); mentre
nella Polonia Piccola (la Galizia) dominavano parecchi principotti indipendenti,
fino a quando gli Czechi non si impadronirono del
paese.
Mieczislao dovette sostenere
più guerre coi Tedeschi, cioè coi primi tre Ottoni; ma non gli riuscì di
scuotere il loro giogo, né di rendere indipendente il suo paese.
Gli succedette Boleslao il Grande (967-1025), per
i Russi Hrobri-l'Intrepido, il quale diede lustro
al suo regno; il Papa Silvestro II gli concedette il
titolo di re, e Ottone III lo affrancò da ogni tributo
verso l’impero.
Quando alla morte di
Carlo il Grosso fu eletto re Arnolfo di Carinzia (887-896), a causa della politica autonomistica dei grandi
feudatari egli fu costretto ad appoggiarsi ai vescovi ai quali concesse feudi e
immunità, rendendoli potenti quanto i feudatari laici. Alla morte di Arnolfo gli
succede l’imbelle Ludovico il Fanciullo (896-911) che
non seppe affrontare gli assalti di Normanni, Moravi e Ungheri, e i feudatari dovettero difendersi da sé, col risultato dello sgretolamento di ciò che
rimaneva dell’impero Carolingio e la costituzione dei ducati di Sassonia, Franconia, Baviera, Svevia e Lorena il cui destino li
porterà a suo tempo a formare il Sacro Romano Impero Germanico (888-1024).
*) Si tenga presente
che in seguito ad analisi genetiche è risultato che Ebrei e Palestinesi (che si
combattono mortalmente), Siriani e Libanesi discendono tutti da un unico
progenitore.
**) Degli Unni si
raccontava che ai bambini per far perdere vigore alla barba e non farla
crescere, usassero praticare sulle due guance un taglio, ma era una leggenda
dovuta al fatto che essi avevano il volto attraversato da due profonde rughe, e
come asiatici erano glabri.
CIRILLO E METODIO:
GLI STUDI
I |
l vero nome di
Cirillo era Costantino (n. 826/27), lo cambiò come usavano quelli che prendevano
i voti (qualcuno dice quando era stato fatto diacono,altri prima di morire, ma
era conosciuto col nome di Costantino il Filosofo) noi lo chiameremo col nome di
Cirillo con cui è divenuto famoso.
Con il fratello Metodio (n. 815) erano nati nella città di Tessalonica (attuale Salonicco) a nord del Peloponneso che faceva parte
del Tema di Tessalonica (per i Temi v. Articoli: I
mille anni dell’impero bizantino, Cap.V), di nuova
istituzione, il cui territorio,
come abbiamo visto, era occupato da Slavi che avevano sottomesso le popolazioni
locali (anch’esse originarie slave, che avevano iniziato le loro trasmigrazioni
nel 550, e vi si stabilirono nel
589).
La popolazione
sottomessa era stata affrancate dalla servitù, dall’imperatore Basilio I,
il quale aveva rispettato le loro usanze, ma essi poco per volta si amalgamarono
nella multietnica popolazione bizantina, venendo addestrati alle armi e
utilizzati nell’esercito.
Gli Slavi, erano
ancora rozzi e incolti e incapaci di comunicare con chi parlava altre lingue, e,
sia per poter comunicare sia per l’esercizio del commercio, era necessario
imparare la loro lingua .
Il Tema di Tessalonica
era governato da uno “stratego” che
sotto di lui aveva un “drumgario” (un vice,
corrispondente al grado di colonnello) di nome Leone, padre dei due fratelli che
a contatto con quella gente, avevano imparato i rudimenti della loro
lingua.
Costantino, fu
mandato a Costantinopoli dove sarebbe stata fondata l’Università della Magnaura, ma già dal tempo di Bardas (855) vi insegnava il matematico Leone e il filosofo
Fozio, poi patriarca.
Cirillo, per
l’acutezza della sua mente riuscì ad imparare la grammatica greca, seguita dallo
studio di Omero, della geometria e delle scienze. Fozio lo introdusse alla dialettica e alle dottrine
filosofiche; seguirono lo studio della musica, l’aritmetica, l’astronomia e le
altre materie.
Per queste sue doti
intellettive era entrato in rapporti con il logoteta (ministro) Teoctisto che lo introdusse a Corte.
Terminati gli studi,
e acquisito il titolo di “filosofo”,
attraverso l’imperatrice Teodora (in Articoli: I mille anni... ecc. Cap. VI; La nuova Teodora) ebbe l’incarico di “cartulario” (vale a dire direttore della
segreteria imperiale che si occupava del ramo patriarcale) e per avere questo
incarico fu ordinato diacono (prendendo il nome di Cirillo).
Ma Cirillo non era
fatto per ricoprire una carica a corte e vivere e sempre in un posto, e presentò
le dimissioni, andandosene in un monastero del Bosforo. Ma non vi rimase molto
perché Teoctisto aveva intenzione di utilizzare il
giovane talento e lo richiamò a Costantinopoli assegnandogli l’incarico di
maestro con l’insegnamento della filosofia in una scuola privata (come
d’altronde facevano Leone e Fozio) in quanto la Magnaura non era stata ancora aperta.
Anche questo incarico
non doveva durare molto in quanto l’imperatore, che riteneva di regnare per
grazia di Dio e riteneva di rappresentare Dio sulla terra, era anche il custode
della ortodossia e si preoccupava della diffusione della fede cristiana, per cui nei suoi
programmi di diffusione della fede (strettamente collegata ai rapporti politici)
aveva previsto per lui l’incarico di missionario, inscindibile da quello
diplomatico.
I PRIMI INCARICHI
A |
l raggiungimento dei
ventiquattro anni gli fu affidato
il primo incarico e mandato in
delegazione presso il califfo al-Mutasim della
dinastia degli abbasidi, il quale aveva trasferito la
capitale da Bagdad a Somara, antica città assira sul corso superiore del Tigri,
che aveva arricchito di palazzi e moschee, il cui figlio, al-Mutawakkil (847-861) aveva
invaso il territorio bizantino.
Gli arabi in questo
periodo, oltre ad aver esteso le loro conquiste, avevano affinato la loro
cultura (v. Articoli: La scienza araba alle origini della cultura europea), e
alla delegazione bizantina furono riservati intrattenimenti con ricchi pranzi in
cui si svolgevano dispute, dalle quali emerse la vastità delle conoscenze di
Cirillo che affascinarono gli arabi i quali gli chiesero come facesse ad avere
tutte quelle conoscenze, Cirillo rispose con una massima bizantina (che ne
esprimeva tutto il loro orgoglio)
“tutte le arti provengono da
noi”.
Cirillo non era
portato per questo genere di vita in quanto amava la vita semplice e appena
rientrato era andato a vivere in povertà e privazioni in un
monastero.
Anche il fratello
Metodio, che nel frattempo aveva svolto l’incarico in
una regione abitata da slavi, era entrato in uno dei monasteri del monte Olimpo
di Bitinia (l’altro Olimpo più famoso dei greci era
quello di Macedonia).
La regione era adatta
alle necessità culturali di Metodio in quanto era
abitata dai discendenti degli slavi
trasferiti a decine di migliaia dall’imperatore Giustiniano II (tra il 688 e il 689) il quale aveva imitato Costanzo II (v. Pagina-indice dei Mille
anni dell’impero bizantino).
Nel frattempo il khan
della Cazaria, il cui territorio si trovava chiuso a
sud dai due laghi del mar Nero e
mar Caspio e a nord dal Don e dal Volga, e per l’impero bizantino costituiva uno
stato cuscinetto contro le invasioni di slavi orientali e magiari, aveva chiesto
all’imperatore Teofilo (v. Articoli, cit. Cap.VI) di
costruirgli una fortezza sul corso del Don e l’imperatore gli aveva mandato
Petronas Kamateros (che rivestiva la carica
di spatharocandidatus) per eseguire
i lavori, e la fortezza fu costruita nella città di Sarkel sulle rive del Don.
Nello stesso periodo
il khan dei cazari aveva scritto all’imperatore
Michele III (l’Ubriacone in cit. art. cap. VI) in cui riferiva che la sua popolazione adorava fin
dall’antichità il Sole nascente, seguendo gli antichi costumi: vi erano però gli
ebrei e gli arabi che proponevano di seguire la loro religione e gli arabi li
allettavano anche con doni. Il khan chiedeva il parere dell’imperatore e
chiedeva che gli fosse mandato un dotto in grado di confutare ebrei e
arabi.
L’imperatore inviò
Cirillo che portò con sé Metodio (860) e la loro funzione, come abbiamo detto,
non era solo religiosa ma anche diplomatica, per i risvolti politici che ne
derivavano (dietro l’imperatore vi era Fozio che lo
indirizzava).
In uno dei viaggi di
ritorno i due fratelli ebbero occasione di fermarsi sulla punta della Crimea
dove Cirillo ebbe modo di apprendere la lingua ebraica maneggiando una
grammatica che subito divise in otto parti e, incontrato un samaritano (di
lingua ebraica) che gli procurò una Bibbia ebraica, lo riempì di meraviglia con
la conoscenza della lingua che
Cirillo aveva mostrato di avere.
Nel ritorno con la
sua delegazione, Cirillo fu attaccato da un’orda di magiari e stava per essere
ucciso, ma costoro, avendolo visto pregare mitigarono la loro ferocia e Cirillo
riuscì a salvare la sua vita.
I due fratelli presso
i cazari fecero opera di conversione da cui emerse
l’acutezza dell’intelligenza di Cirillo, mentre Metodio gli organizzava il
lavoro predisponendo otto discorsi che Cirillo tradusse in slavo, per
consultazione, nelle dispute teologiche con gli ebrei.
I primi duecento
nobili cazari si convertirono e furono battezzati con
il compiacimento del khan che pur essendosi convertito all’ebraismo, scrisse
all’imperatore per ringraziarlo di avergli mandato un uomo che aveva ottenuto
quel risultato, al quale si augurava di giungere anche
lui.
I due fratelli,
attraversando la Tauride, si erano fermati nella città di Phul dove con rito pagano, sotto un albero, si compivano
sacrifici. Cirillo riuscì a convertirne gli abitanti facendo bruciare l’albero e
organizzando tutta la penisola in Archidiocesi che passò sotto il dominio
bizantino.
Partendo dalla Crimea
Cirillo aveva portato con sé le reliquie di san Clemente con l’intento (l’idea
era stata suggerita da Fozio), che potessero essere
utili per il futuro, per un dono alla Chiesa di Roma, come poi
avvenne.
Cirillo nel periodo
di permanenza in Crimea aveva preso
familiarità non solo con l’ebraico,
ma anche con il samaritano, e il siriaco che però già conosceva, e aveva appreso
anche le basi del russo.
Infatti in Crimea
Cirillo era entrato in contatto con un folto gruppo di slavi della Rus’ (il termine sta per navigatori-vogatori): in pratica si
trattava di una popolazione multietnica, fondamentalmente slava, con i quali
Cirillo parlando, riuscì a capire e farsi capire, e i due fratelli riuscirono
anche a convertire, ponendo le basi della futura conversione (867).
Tutta questa facilità di apprendimento
delle lingue era dovuta non solo alla predisposizione della sua mente (doveva
essere una specie di Pico della Mirandola che verrà
nei secoli successivi) ma perché aveva un suo metodo fondato sulla ricerca delle
radici delle parole che con la lingua usata dagli slavi, balcanici e slavi
orientali avevano una certa comunanza.
Nell’862 il principe
di Moravia Ratislav scrisse all’imperatore dicendogli
che il suo popolo si era convertito al cristianesimo ma non aveva un vescovo che
potesse rafforzarli nella loro lingua e nella fede e gli chiedeva quindi un
vescovo o ministro in quanto erano giunti dalla Germania dei cristiani che
insegnavano il cristianesimo in modo diverso e il popolo, nella sua semplicità
aveva bisogno di chi lo guidasse verso la verità e nella loro lingua e con un
testo scritto (i moravi all’epoca non avevano una loro
scrittura).
Relativamente ai
missionari cristiani che giungevano dalla Germania è da dire che ai tempi di
Carlo Magno san Bonifacio, monaco anglosassone, dopo che Carlo aveva conquistato
la Baviera, aveva fondato quattro diocesi in Baviera, a Salisburgo, a Ratisbona e Passau e i primi
missionari giunti in Moravia, provenivano dalla Baviera e seguivano il rito
latino.
Il problema
rappresentato dal clero germanico era determinato da motivazioni di carattere
espansionistico della popolazione germanica e Ratislav
voleva evitare un simile pericolo.
L’imperatore convocò
Cirillo che pose la condizione che sarebbe partito a “condizione che i moravi avessero un proprio
alfabeto”; e l’imperatore gli rispose che il nonno, il padre e molti altri “avendolo cercato, non lo avevano
trovato”; alla fine l’imperatore , mettendolo alle strette, gli suggerì di
rivolgersi a Dio “che dà a tutti quelli
che chiedono, senza dubitare” e così Cirillo, dopo aver pregato, chiamò
Metodio e insieme, con l’aiuto di collaboratori, prepararono l’alfabeto e dopo aver
composto un sermone, partirono.
L’agiografo, la
invenzione, la fa apparire come avvenuta per ispirazione divina che come tutte
le ispirazioni non viene dall’esterno ma è frutto della mente umana, e nel caso
di Cirillo e Metodio la invenzione
non era avvenuta da un giorno all’altro ma era stata frutto anche di studi con
un gruppo di lavoro formato da greci che parlavano slavo e slavi che parlavano
greco, iniziati già da prima della partenza di Cirillo per la Cazaria, dove Cirillo aveva portato con sé un primo abbozzo
di traduzione del Vangelo e del Salterio, e l’invenzione non si limitava all’alfabeto
ma coinvolgeva anche la lingua, per l’espressione del pensiero e di concetti
astratti, con vasto repertorio di sostantivi e aggettivi nello slavo, del tutto
inesistenti, e creati in slavo, per poter poi essere tradotti in greco, il che
aveva portato alla creazione di una
lingua ricca ed espressiva: con la conseguenza che l’invenzione della lingua fu
più importante di quella dell’alfabeto.
Il primo testo fu il
“Lezionario” che conteneva passi del
Vangelo per la lettura in chiesa con una Introduzione in cui si spiegava il
metodo.
La missione partiva
(863) per la Moravia (Grande Moravia), ricevuta da Ratislav e i due fratelli si misero subito al lavoro,
sostituendo con lingua e liturgia
slava, non solo tutto il latino della liturgia introdotto dai missionari
germanici, che si rifaceva alla liturgia ortodossa.
Ciò preparava il
terreno alla costituzione di una identità culturale e spirituale degli
slavi.
LE TRE LINGUE
SACRE
L |
a conseguenza
dell’interesse degli ortodossi per gli slavi, fu un risentimento del clero
germanico che fece perno su una teoria comparsa in Occidente nel VII sec. , in base alla quale vi erano solo tre lingue sacre in cui il nome di Dio
poteva essere pronunciato e queste erano l’ebraico, il latino e il greco; questa
tesi era scaturita dalla iscrizione che Ponzio Pilato (che in questo caso non
veniva esecrato!), aveva fatto apporre sulla croce di Cristo in queste tre
lingue.
Questa teoria era
stata condannata da vari Concili, che comunque avevano escluso l’uso dei
dialetti locali, ma in dottrina continuava ad essere
applicata.
Insomma il clero
germanico (con l’appoggio di Roma) si opponeva a cambiamenti che fossero
introdotti nell’uso della liturgia latina, escludendo lo slavo che non poteva
essere considerata una lingua sacra, scardinando così tutta l’opera di Cirillo e
Metodio che furono convocati dal papa.
I due fratelli
mettendosi in viaggio per recarsi a Venezia, attraversarono la Pannonia.
Questa aveva un
territorio molto più esteso dell’attuale Ungheria in quanto comprendeva
l’Austria orientale, la Slavonia e la Croazia.
Qui furono ricevuti
dal principe Kocel che rimase entusiasta sia
dell’alfabeto sia della liturgia in lingua slava e diede ai due fratelli una
cinquantina di discepoli da
istruire. In tal modo il principe, adottando la liturgia slava, si sarebbe
liberato dalla oppressione germanica e si sarebbe avvicinato agli slavi di
Moravia, accrescendo così il suo potere politico.
Compiuta quest’altra
opera, i due fratelli ripresero il viaggio e giunsero a Venezia, centro
importante non solo commerciale ma ecclesiastico in quanto sede del patriarcato
latino, da dove si sarebbero imbarcati per Costantinopoli.
Tutto il clero si
riunì in quanto non condivideva l’innovazione introdotta dai due fratelli ed era
fondamentalmente trilinguista.
Il problema
riguardava anche la questione della giurisdizione che il patriarca di Venezia,
Vitale, riteneva di avere sulla Pannonia, contestata
dal vescovo germanico di Salisburgo.
Insomma i due
fratelli furono messi sotto accusa. Cirillo si difese sostenendo: “Non scende la pioggia da Dio, uguale per
tutti? E il sole non brilla forse allo stesso modo per tutti? E non respiriamo
l’aria, tutti allo stesso modo?”Aggiungendo che molte popolazioni possiedono libri che
glorificano Dio, ciascuno nella propria lingua,con citazioni della Sacra
scrittura.
IL PAPA
ACCOGLIE IN
PROCESSIONE
I DUE FRATELLI
L |
a diatriba non tardò
a giungere alle orecchie del papa Nicolò I (858-867)
per il quale la questione della evangelizzazione dei territori abitati dagli
slavi assumeva grande importanza. Il papa, che aveva troncato i rapporti con
Fozio, e influenzato dai risentimenti che nella santa
sede molti nutrivano per i due fratelli, li invitò a Roma, ma nel frattempo
moriva (867) e veniva eletto Adriano II (867-872) che
si mostrò disponibile ad accogliere i due fratelli.
Essi, non sapendo a
cosa andassero incontro, e oramai
diplomatici navigati, per evitare sorprese, per rivolgere la situazione
in loro favore, fecero sapere che portavano le reliquie di san Clemente... e fu
un trionfo, con il papa che, si mosse in processione per andare ad
accoglierli alle porte della città.
Il papa, dopo essersi
fatto consegnare i libri slavi, li pose sull’altare e li consacrò annunciando
che erano accettati e approvati come sacri, non solo, ma partecipò a una messa
durante la quale furono usati i libri slavi.
Poi, dopo aver
personalmente ordinato sacerdote Metodio,aveva dato incarico ai vescovi Formoso
(futuro papa: v. Articoli, Storia sconosciuta dei primi re d’Italia e corruzione
del papato ecc.) e Gauderico, di ordinare sacerdoti
tre dei loro discepoli,e consacrare due lettori e nei giorni seguenti furono
celebrate messe in lingua slava nella basilica di san Pietro e nelle chiese di
santa Petronilla e san Paolo fuori le Mura.
Con questo
riconoscimento Roma ottenne un duplice risultato: quello di contendere a
Bisanzio il riconoscimento delle lingue locali nella vita ecclesiastica e quello
di contendere alle sedi vescovili germaniche di Salisburgo e della Baviera la
loro supremazia, a Roma non molto gradita.
Le grandi fatiche
sopportate da Cirillo lo esaurirono fino a condurlo in fin di vita. Egli
sentendo vicina la morte scrisse dei versi in cui diceva che “da questo momento non sono più servo né
dell’imperatore né di nessun altro sulla terra ma solo di Dio pantocratore, lo
sono stato e lo sarò in eterno, amen”.
Egli volle essere
anche tonsurato e volle indossare il saio; in questa occasione prese il nome di
Cirillo; il papa aveva disposto che il suo corpo fosse sepolto nel suo sepolcro personale in san Pietro
ma Cirillo chiese di essere sepolto nella chiesa di san Clemente di cui aveva
portato le reliquie.
Si spense all’età di
42 anni (869), ma in una vita così breve aveva compiuto realizzazioni che hanno
superato i secoli.
IL
PRINCIPE DI PANNONIA
CHIEDE AL PAPA
DI MANDARGLI
CIRILLO
I |
l principe Kocel di Pannonia aveva scritto al
papa chiedendogli di mandargli Cirillo che nel frattempo era morto, e il papa
scrive ai tre principi Kocel (o Kozel), Sventopulk di Nitra, e
Ratislav di Moravia, dichiarando di mantenere la sua
giurisdizione sui paesi slavi e preannunciando (869) l’arrivo di Metodio, mandato da Dio
e dall’apostolo Pietro, autorizzando Metodio a formare
altri giovani, e, per non inasprire
i rapporti col clero germanico, disponeva che i Vangeli e le Epistole degli
apostoli, fossero lette prima in latino e poi in lingua slava.
Dopo essersi
incontrato con Kocel, Metodio ritorna a Roma con venti
giovani che Kocel voleva che fossero
istruiti.
Metodio viene quindi
consacrato vescovo della sede arcivescovile dell’antica città di Sirmio nei
pressi Belgrado e nominato legato del papa per la Moravia e la Pannonia e questo per evitare complotti da parte del clero
germanico, in modo che la giurisdizione rimanesse nelle mani del papa. Con la
nomina di Metodio ad arcivescovo di ambedue i paesi,
si evitava la possibilità che la Chiesa slava potesse passare sotto la
giurisdizione di Bisanzio.
Il principe Sventopulk nel frattempo aveva esautorato lo zio Ratislav ed era divenuto vassallo di Ludovico II il
Germanico (v. Articoli: cit. I carolingi e la
dissoluzione dell’impero bizantino) al quale aveva consegnato lo zio che, condannato a morte, fu graziato, ma venne
accecato.
Questi cambiamenti
non erano ben accetti al clero germanico in quanto, mentre fino ad allora gli slavi avevano dovuto
studiare il tedesco per comprendere il proprio prete, ora dovevano essere i
preti tedeschi a studiare e imparare lo slavo con l’ulteriore umiliazione di
vedere le loro chiese dove si officiava in latino, abbandonate, in quanto il
popolo si sarebbe recato in quelle dove si officiava in
slavo.
Il vescovo
metropolita di Salisburgo, Adalvino, convocò quindi un
concilio al quale aveva invitato Metodio (870), avendo
accanto i vescovi bavaresi Ermanrico di Passau e Annone di Frisinga,
presente anche Ludovico il Germanico.
Per come si svolse in
effetti più che concilio fu un vero processo intentato contro Metodio, che non solo era pari grado di Adalvino ma capo della chiesa slava, attualmente (con i
riconoscimenti del papa) indipendente dalla chiesa tedesca, quindi la sua
convocazione non era legittima
Metodio aveva anche perso il
suo protettore Ratislav, che come abbiamo visto era
stato esautorato da Svatopulk (870) cristiano solo di
nome, al quale nulla interessava di Metodio, mentre
Kocel non aveva forza ed energia per
proteggerlo.
Tutto era stato
preordinato per la condanna del “filosofo” del “greco” considerato come semplice
sacerdote, trasgressore dei sacri canoni, che aveva osato predicare nei paesi
sotto la loro giurisdizione, senza avere ottenuto alcun
permesso
Metodio si rese conto che
l’ambiente gli era ostile e anche Ludovico ironizzava su di lui: egli si difese con coraggio
facendo notare che la giurisdizione apparteneva al papa; ma fu accusato di
usurpare la giurisdizione dell’arcivescovo bavarese e subissato da accuse e minacce; il vescovo
Ermanrico tentò anche di prenderlo a frustate con uno
staffile, ma fu fermato in tempo.
Prevalse il fanatismo
dei vescovi germanici che lo condannarono all’esilio per aver violato i sacri
canoni; la sentenza fu eseguita proprio da Ermanrico,
il vescovo che lo voleva frustare, il quale certamente lo fece torturare; fu
condotto in un monastero della Svevia, a Ellwangen in
una cella senza copertura, esposta alle intemperie dove Metodio rimase due anni e mezzo. Un suo tentativo di inviare
un messaggio al papa, non riuscì perché il messaggero fu preso e ucciso; i
discepoli che lo accompagnavano furono dispersi.
Il papa Adriano morì
(872) senza aver conoscenza di ciò che fosse successo. Il nuovo papa Giovanni
VIII (872-882) ne venne a
conoscenza in ritardo e subito interdisse i vescovi germanici fino a quando Metodio
non fosse stato liberato, scrivendo a Ludovico e chiedendo senza mezzi termini
la sua liberazione.
Il papa scrisse a Ermanrico
dicendogli che “torrenti di lacrime appena potrebbero
bastare per lavare la tua iniquità; vi fu al mondo, non dico un vescovo, ma un
uomo, un tiranno sì bestialmente crudele come fosti tu; hai gettato in carcere
il nostro fratello e collega nell’episcopato,esposto ai rigori di un duro
inverno e alle intemperie; lo hai tenuto lontano dalla sua sede affinché non
potesse governare la Chiesa a cui è stato preposto: e neppure ciò ti bastò e
imperversasti a tal segno contro di lui trascinandolo davanti al consiglio dei
vescovi; e se non ti avessero fermato, lo avresti flagellato con lo staffile: è
questo il fare conveniente di un vescovo? Ma che vescovo può essere chi ha
ardito maltrattare un collega consacrato direttamente dalla Santa Sede
e da lei costituito suo legato a latere”.
Il papa quindi lo convocava con Metodio a Roma per essere uditi da lui...”e se verrà provata la enorme temerità sopra
accennata, certo non mancherà la giusta condanna: no, non verrà meno il vigore
della sede apostolica se si proverà che veramente abbiano avuto luogo quei
mostruosi eccessi”.
Il papa scrisse anche
ad Annone dicendogli “La tua audacia e la
temerità oltrepassano le nuvole e arrivano al cielo; tu usurpasti diritti della
Sede apostolica e ti arrogasti il potere di giudicare un arcivescovo quasi fossi
il (suo) patriarca, e ciò che è peggio, sprezzando i canoni ti comportasti da
tiranno con un tuo confratello che fu creato legato dalla apostolica Sede.
Perfino tu lo credesti indegno di stare nel consesso dei tuoi preti: il che
ridonda a ingiuria della Santa Sede. E quando egli si appellò a questa Santa Sede, secondo i sacri canoni, gli negasti
codesto diritto; e ancora tu e quelli che sono tuoi pari lo condannaste e lo
gettaste in carcere, togliendogli la facoltà di celebrare i divini uffizi
....non basta, tu che ti vanti di essere devotissimo di s. Pietro...non solo
tralasciasti di informarci, come era tuo dovere della prigionia e dei patimenti
del nostro fratello ...ma quando fosti a Roma, interrogato ...mentendo, dicesti
di non conoscerlo, mentre tu pure fosti la causa diretta dei suoi mali; ... devi
pertanto portarti a Roma per rendere ragione di tutto ciò che è accaduto, salvo
che sia stata data completa soddisfazione allo stesso venerabile ed egli voglia
dimenticare ...tutti i torti ...in caso contrario, passato il mese di settembre
ti interdiciamo l’uso della santissima comunione fino a quando perseverai nella
disobbedienza alla Nostra persona”.
Metodio, dopo questi
avvenimenti si recò in Moravia dove trovò una situazione completamente cambiata
in quanto i moravi si erano ribellati a Ludovico (873) e avevano cacciato i
vescovi germanici, costringendo Ludovico il Germanico a firmare un trattato di
pace in base al quale i vescovi germanici dovettero far ritorno in patria e fu
ripristinato il rito slavo.
Il principe Sventopulk non ostacolò Metodio,
il quale intraprese una intensa attività pastorale ed educativa convertendo molti pagani e facendo
aumentare il numero di chierici in tutte le città.
Il principe intanto
diventava sempre più potente e allargava i confini della Grande Moravia
annettendo tutta la regione polacca. Quivi si era recato Metodio dove aveva
cercato di convincere, senza riuscirvi, il signore locale di convertirsi,
altrimenti avrebbe perso il territorio che sarebbe finito nello stato moravo e
si sarebbe visto imporre il cristianesimo germanico, come in effetti
avvenne.
Metodio ritornò in
Moravia e oltre alla attività pastorale, incominciò a scrivere.
E’ da dire che mentre
Cirillo conosceva lo slavo piuttosto in via teorica, Metodio lo conosceva molto
meglio nella pratica e nella forma parlata in quanto aveva vissuto per molti
anni fra gli slavi e si dedicò alle traduzioni, occupandosi di organizzazione e
amministrazione ecclesiastica.
Metodio aveva anche un’ottima preparazione giuridica e nelle
sue traduzioni mirava sempre a introdurre argomentazioni giuridiche con il fine
di indirizzare la legislazione del paese, verso quella bizantina.
In quest’ottica,
tradusse il Nomocanone (Synagogé:
insieme di norme giuridiche ecclesiastiche) di Giovanni Scolastico, una
esortazione, indirizzata probabilmente al principe della Grande Moravia, in cui
erano riportate argomentazioni giuridiche tratte da passi biblici; preparò un
codice traducendo le relative disposizioni dall’Ecloga bizantina degli imperatori isaurici, con l’aggiunta di sue annotazioni che gli furono
dettate dalle particolari condizioni socio-religiose della Moravia. Occorre dire
che tutto il lavoro di scrittura veniva svolto dai monaci del monte Olimpo dove
vi erano monaci o di origine slava o che conoscevano lo
slavo.
Poiché a Bisanzio
l’Ecloga isaurica era stata sostituita dal Nomos procheyron di
Basilio I (v. Articoli cit., Cap. VII e Corpus Juris), egli rivide tutto il testo precedentemente redatto
con queste nuove disposizioni (872), col risultato che la Moravia nella sua
organizzazione amministrativa
veniva ad essere inserita nell’alveo della legislazione
bizantina.
Il clero germanico
non finiva di tramare contro Metodio e uno di quei
sacerdoti di nome Wiking inviò a Roma un chierico di
nome Giovanni per fare intervenire il papa.
Il nuovo papa Giovanni VIII (872-882), aveva cambiato orientamento rispetto ai suoi
predecessori e aveva scritto a Metodio una lettera con
cui gli rimproverava di celebrare la liturgia nella “lingua barbarica slava”, piuttosto che
in latino o greco, sebbene gli consentisse solo di predicare in lingua slava.
Lo convocava,
comunque, a Roma, unitamente a
Wiking (ordinato vescovo di Nitra, che apparteneva
alla giurisdizione di Metodio), e Metodio dopo aver chiarito la sua posizione, rientrò (880)
in Moravia, portando una lettera del papa a Sventopulk.
Wiking con i suoi
sostenitori, ritenendo che la lettera del papa contenesse una condanna di Metodio, pretese che fosse aperta e letta in pubblico, e con
sorpresa si rese conto che non conteneva nessuna condanna, ma il papa ritornando sulle sue posizioni,
dichiarava che la lingua slava non fosse meno degna delle altre
due.
Wiking non si diede per
vinto e con le sue continue pressioni ottenne una nuova convocazione di Metodio a Roma; Metodio, invece di
recarsi a Roma, andò a Costantinopoli con numeroso seguito, ricevuto con onore
dall’imperatore e dal patriarca Fozio che furono
aggiornati su tutta la sua attività.
Al suo ritorno in
Moravia a Metodio non rimanevano che quattro anni di
vita che egli dedicò ancora a traduzioni delle Scritture e dei Libri dei Padri.
Alla sua morte Metodio lasciò al popolo slavo tutto questo patrimonio
letterario, giuridico e religioso, introducendo anche il culto di san Demetrio
protettore della sua Tessalonica.
Prima della morte di
Metodio, il vescovo Wiking
aveva iniziato a propagandare la dottrina del “filioque” riconosciuto nel rito latino ma
ritenuta eretica dagli orientali: contro di lui Metodio pronunciò l’anatema, e sentendo vicina la fine, si
affrettò a designare come suo successore il discepolo Gorazd, morendo tre giorni dopo, la domenica delle Palme
dell’885.
IL VESCOVO WIKING E LA
QUESTIONE DEL FILIOQUE
L |
a questione del “filioque” (
*) introdotta dal vescovo Wiking nell’area
germanica, qualche secolo più tardi
(1054) sarà la causa della separazione della Chiesa greca da quella di
Roma.
Egli, come abbiamo
visto, come germanico seguiva il rito latino, mentre Metodio seguiva quello bizantino.
Wiking con il rito latino
seguiva anche il “Credo latino”
modificato a Toledo (633, ma la questione era emersa nel 589), che aveva
introdotto la variante dello “Spirito
Santo” che procedeva dal Padre “e” dal
Figlio, modifica che il
clero ortodosso non aveva accettato in quanto il suo Credo era rimasto quello introdotto a
Nicea (325), con lo Spirito Santo che procedeva dal Padre
(e non anche dal Figlio).
La questione non era
al momento importante ma comportava delle involuzioni politiche (che saranno più
macroscopiche in seguito v. Schegge: Libri Carolini e
iconoclastia) in quanto stando con Wiking tutta la
Moravia che seguiva il rito latino si sarebbe spostata sulla sua posizione
allontanandosi dalla impostazione data da Cirillo e Metodio che era bizantina.
Il nuovo papa Stefano
VI (885-891) succeduto ad
Adriano III (884-885) era sulle posizioni
di Wiking anatemizzato da Metodio, il quale confermando la sua ortodossia, fu confermato capo della
Chiesa morava, con la conseguenza che così veniva smentita la liturgia slava che
si appoggiava a Bisanzio.
In questa diatriba
intervenne Sventopulk che senza la presenza della
personalità di Metodio (nonostante l’intervento dei
suoi discepoli Garazd e Clemente) aveva cambiato
posizione appoggiando Wiking e il clero germanico, non
solo , ma dopo aver convocato i circa duecento discepoli di Cirillo e Metodio li
consegnò ai germani, che ne vendettero
una parte al mercato di schiavi di Venezia, e altri li rinchiusero in carcere.
Quelli che erano
stati venduti a Venezia, vennero riscattati dall’imperatore Basilio, i
prigionieri invece furono mandati nella regione del Danubio dove molti morirono
di stenti, Gorazd si recò in Polonia e altri
sopravvissuti si dispersero in varie regioni.
Il sogno di fondare
una grande regione slava d’influenza bizantina veniva a cadere, con tutto il
lavoro di Cirillo e Metodio, ma il seme da essi sparso
si trasmetteva nella vicina Bulgaria in fase di
costituzione.
*) Il mistero della
Trinità introdotto dai cristiani
aveva già sollevato l’accusa (musulmani) di essere “politeisti”. In seno agli stessi
cristiani era sorta la questione
del ”filioque” (v. in Schede storiche:
La Chiesa ortodossa e in Schegge: Libri Carolini e
iconoclastia) fondata su una sottigliezza che introdotta autonomamente (per
affermare la consustanzialità tra il
Padre il Figlio e lo Spirito Santo, contestando così l’eresia ariana che
considerava lo Spirito Santo creatura del Figlio), non era stata accettata dai
bizantini che eccellevano sulle
distinzioni dogmatiche, e sebbene la questione fosse apparsa inizialmente trascurabile, si era andata
ingigantendo nel tempo, fino a
creare la secolare divisione tra cattolici e ortodossi, con la reciproca accusa
di eresia, divisione che appare
assolutamente insuperabile ai fini della riunificazione (sebbene nel 1965 tra il
papa Paolo VI e il patriarca ortodosso Atenagora vi sia stata una dichiarazione congiunta con cui
essi si assumevano le reciproche responsabilità dello scisma...dichiarazione che
evidentemente non porta alla soluzione del problema!) .
La questione era stata dibattuta, tra le tante, in una
conferenza del 1875 (ne parla Giovanni Markovic nelle
prefazioni del libro “Gli Slavi e i papi” che si trova nella grande biblioteca
multimediale creata da “Google”) tra cattolici e ortodossi (ricordiamo che anche
papa Wojtila si era attivato e vi erano stati incontri
per discutere sulla unificazione).
La decisione presa al
Concilio di Firenze (1438) sulla unione (tratteremo l’argomento in
apposito articolo), voluta e accettata dall’imperatore (Giovanni VIII Paleologo: 1425-1448) per essere salvato
dall’Occidente dalla stretta dei turchi, è da considerarsi una occasione unica e
irripetibile: a Costantinopoli popolo e clero non l’avevano accettata (per
averne un’idea si legga Ducas: Historia turco-bizantina v. in Recensioni).
Essa a parere di chi
scrive non potrà più aver luogo
perché il nocciolo del problema non è tanto la processione dello Spirito Santo dal Padre
“e” dal Figlio (che comunque gli ortodossi non accettano perché per loro lo
Spirito Santo è personalmente prodotto
dal Padre e procede per il Figlio e non dal Figlio!), come è sotto
specificato, ma è quella del Capo
della Chiesa, che hanno i cattolici, e gli ortodossi non hanno, per essere acefali; e non avendo nessun Capo
sarebbe arduo riuscire a convincerli ad accettarne uno...che alla fin fine non
potrebbe essere che il papa! Come sarebbe difficile convincere i cattolici a fare a meno del
papa!
Un esempio può essere
dato dal caso del cardinale Bessarione (ne parleremo in uno specifico articolo),
il quale aveva strenuamente
combattuto per la unione, ma
pur riconoscendogli questo merito, quando stava per essere eletto papa, anzi
lo era stato in pectore solo per una notte, i suoi colleghi
cardinali rinunciarono a eleggerlo. Infatti alla morte del papa Pio II (1464)
durante lo scrutinio per l’’elezione del nuovo papa, la sera precedente alla
elezione, i cardinali avevano deciso che la mattina seguente avrebbero eletto
Bessarione, ma poi si erano lasciati prendere dal
dubbio “sulla opportunità di eleggere un
eretico” e così la mattina
seguente uscì eletto papa Paolo
II (1464-1471).
E, valga come
curiosità (storica) al Concilio di Firenze era giunto il patriarca di
Costantinopoli Giuseppe, il quale per essere ricevuto dal papa Eugenio IV ufficialmente, doveva sottoporsi al bacio del piede...
impensabile per un bizantino e per giunta patriarca di Costantinopoli;
conclusione il papa lo accolse non
ufficialmente ma privatamente!
Nella detta conferenza del 1875 gli ortodossi
avevano precisato la problematica in sei punti con cui confermavano la loro
posizione, che come si vede, mantiene la questione allo stesso punto di
partenza: nel senso che il
riconoscimento della processione dello Spirito Santo dal Figlio come sostengono
i cattolici, non sarà mai accettato. Ed ecco i sei punti:
1. lo Spirito Santo
procede dal Padre, come dal principio, dalla causa, dalla fonte della divinità;
2. lo Spirito Santo
non procede dal Figlio, perché nella divinità non vi è che un principio, una
causa, per cui tutto ciò che è
nella divinità, è prodotto (nella
divinità);
3. lo Spirito Santo
procede dal Padre per il Figlio;
4. lo Spirito Santo è
l’immagine del Figlio, che è l' immagine del Padre, esso procede dal Padre e
riposa nel Figlio, come sua forza emanante;
5. lo Spirito Santo è
personalmente prodotto dal Padre, egli è del Figlio, ma non è dal Figlio,
essendo egli lo spirito della bocca divina la quale pronunzia il Verbo;
6. lo Spirito Santo
forma la mediazione tra il Padre e il Figlio, ed è mediante il Figlio congiunto
col Padre.
LA CONVERSIONE DEI
BULGARI
L’ALFABETO
CIRILLICO
SOSTITUISCE IL GLACOLITICO
I |
bulgari, diversamente dagli slavi, erano
di origine turcomanna, come gli Unni dai quali discendevano e si erano stabiliti
nella zona dell’estuario del Danubio, in Dobrugia; nel
corso delle loro migrazioni si erano rimescolati con gli slavi e avevano creato
(583) uno stato che sotto la guida di Kuvrat e con
l’aiuto dell’imperatore Tiberio, si estendeva dal Caucaso al fiume Dniepr, ma dopo la morte di Kuvrat
avevano ripreso e migrare.
Con il figlio di
Kuvrat, Asparuch (680-700) essi si spostarono verso il Danubio e ancora in
Dobrugia col permesso dell’imperatore, ma poi
combattendo contro gli stessi bizantini, cominciarono ad espandersi
appropriandosi dei loro territori.
La regione ora
occupata si estendeva dal Danubio ai Balcani e dal Mar Nero alla Serbia
designata come Bulgaria, essa era abitata da tribù slave che furono sottomesse.
La loro definitiva
affermazione si ebbe con il khan Krum (802-814) che catturò tremila bizantini trasferendoli in
Bulgaria. Tra costoro vi erano certamente religiosi che predicavano il
cristianesimo al quale Krum era contrario e suo figlio
Omurtag (814-831) li
perseguitò in maniera sistematica fino a giustiziarli in
massa(818).
Omurtag aveva tre figli,
Malamir che era succeduto al
padre (831-836) e Vojin, Zvaniz: uno di questi due (indicato da altri
storici col nome di Enrabot), era stato convertito da
un greco di nome Cinamus e Malamir li aveva fatti uccidere entrambi.
Come è sempre
successo nella storia, che i popoli conquistatori hanno assorbito usi e costumi
dei conquistati, anche i bulgari a contatto con i bizantini, come lingua usavano
il greco e quella scritta era un misto di lingua protobulgara e greca, il ceto dominante invece manteneva
usanze turche.
Nel campo della
religione, il re Boris (852-889) aveva capito che solo
con la religione il suo popolo sarebbe entrato a far parte tra quelli
civilizzati, e fu il primo a farsi battezzare (864) da un missionario mandato da
Fozio. I boiari però lo avversarono e organizzarono
una cospirazione che Boris riuscì a sventare in tempo.
Fozio aveva mandato dei
missionari per cristianizzare la popolazione, ma Boris aveva deciso di
subordinare la nuova chiesa bulgara alla autorità di Roma piuttosto che a
Bisanzio, e aspettava che il papa nominasse un vescovo per la Bulgaria, ma il papa
trascurò di prendere una decisione immediata e dopo alcuni anni Boris decise di
rivolgersi a
Costantinopoli.
Bisogna ricordare che
alcuni dei discepoli dispersi di Metodio, stavano
attraversando la Bulgaria (Clemente il Presbitero,Naum, Savva e Angelario) e si
erano fermati nella capitale, Preslav dal re Boris il
quale si rese conto della grande occasione che offriva la lingua slava con il
riconoscimento dato dal papa come lingua sacra e ciò avvicinava i bulgari ancor più a
Bisanzio.
Boris aveva
proseguito nella politica espansionistica di Krum, e
aveva annesso diversi territori da giungere fino all’Adriatico (con territori
presi all’Albania, Macedonia ed Epiro, parte orientale della Serbia, la Dardania, la Pelagonia).
Nel frattempo la
lingua slava aveva soppiantato il greco e con la liturgia slava introdotta da
Clemente (nel frattempo ordinato vescovo) il re Boris si rese conto della grande
occasione di consolidamento della influenza bulgara, appoggiata dalla politica
di Clemente che incrementava la
diffusione di traduzione di testi greci in lingua slava, ma ponendo le prime
basi della cultura proto-bulgara alla quale attese anche il successore di Boris,
il figlio Simeone (893-927).
Dopo la morte di Clemente (916), anche
l’impero bulgaro non doveva durare molto, destinato a entrare nell’orbita
dell’impero bizantino.
Con la vittoria
conseguita dall’imperatore Basilio II (Bulgaroctono-uccisore di bulgari, 957-1025) su Joann Vladislav (1018), l’amministrazione bulgara fu assorbita da
quella bizantina; anche quella religiosa fu posta sotto la diretta protezione
dell’imperatore il quale istituì l’arcidiocesi di Ocrida che comprendeva tutto
l’ex impero bulgaro e includeva le etnie greche. slave e valacche.
Basilio II aveva lasciato che l’istruzione e la vita spirituale
bulgara proseguissero, dando alla popolazione greca e slava le stesse
opportunità, in modo da mantenere l’equilibrio tra le varie
etnie.
L’arcidiocesi di
Ocrida era stata affidata a Clemente di Preslav il
quale era un ottimo scrittore e aveva posto le basi della protostoria bulgara
traducendo scritti esegetici delle Chiesa greca e trasmettendo così l’eredità di
Cirillo e Metodio.
Non solo, ma fu
probabilmente l’autore del secondo alfabeto cirillico (kirilica) in onore del maestro che sostituiva il “glacolitico” di
Cirillo .
Il cirillico era più
semplice del più complesso e difficile “glacolitico”, che andava a sostituire (ma alcuni
studiosi ritengono fosse precedente a Cirillo) ed era composto da trentotto
lettere di cui ventiquattro erano
riprese dal greco e le altre quattordici erano state create per riprodurre i
suoni peculiari della lingua slava: in particolare la sua forma si basava sulla
maiuscola greca, già in uso, che si era estesa alla Russia e alla Serbia con la
loro conversione al cristianesimo; con la conseguenza che l’alfabeto cirillico
segnava i confini culturali e religiosi delle diverse popolazioni che facevano
parte del mondo slavo.
Da quest’ordita si
esclusero la Moravia che dimenticò tutta l’opera di Metodio, non solo, ma adottò l’alfabeto latino seguita,
molto più tardi dalla Romania che aveva usato il cirillico fino al XIX sec..
Nel XIV sec. il “cirillico” fu drasticamente riformato
dal patriarca di Bulgaria, Eutimio con la eliminazione
di tutte le lettere corrispondenti ai suoni, cadute in disuso, adattando
l’ortografia alla necessità dei nuovi tempi.
Successivamente
furono apportate correzioni alla ortografia e all’alfabeto, in Russia da Pietro
il Grande (nel 1708/10), e dall’Assemblea dei Commissari del popolo (1918); in
Serbia dal filologo Karadžić
(1818) e in Bulgaria dal politico A. Stambolinski
(1821) e dal nuovo regime (1945).
In Unione Sovietica,
negli anni Venti del XX sec. stava per scomparire in
quanto molti gruppi etnici non slavi, tra i quali i turchi, lo avevano
sostituito con quello latino e si era fatta strada l’idea lungimirante di
estenderlo agli slavi, sostenuta da A.V. Lunačarskij
(che sosteneva che “l’alfabeto ci ha
tenuti lontani dall’Occidente, ma anche dall’Oriente”), ma l’idea fu
abbandonata dopo dieci anni, mentre l’alfabeto cirillico fu introdotto nella
parte sovietica della Moldavia.
FINE