Iskandar e i sette savi

 

LA SCIENZA ARABA

 ALLE ORIGINI DELLA

 CULTURA OCCIDENTALE

 

Michele E. Puglia

 

All’origine del mondo islamico era la tolleranza

che permetteva la convivenza tra le più svariate religioni e

l’utilizzazione della cultura

che i paesi conquistati avevano raggiunto.

 

SOMMARIO: PARTE I: PREMESSE; LE SCIENZE; LA MEDICINA; LA STORIA; LA GEOGRAFIA; LA POESIA. PARTE II: LA FILOSOFIA (premessa; traduttori e traduzioni; la scuola di Harran;  i filosofi);  IL DECLINO; MISTICI E MONACI.

 

PARTE I

 PREMESSE

 

(avvertiamo che in tutti i nomi arabi,  gli accenti convenzionali usati nella traslitterazione italiana sono stati omessi )

   

G

li arabi, all’inizio dell’espansione islamica (conquiste medinesi del 622), provenendo da una civiltà nomadica, erano culturalmente arretrati (se si esclude la “poesia”), ma mostrarono, nei confronti dell’umano sapere una tale sensibilità e un tale talento in tutte le discipline, da porsi all’avanguardia di altre, di ben più antica cultura.

 L’impulso allo sviluppo degli studi delle scienze, filosofia, storia, letteratura ed arte di cui s’impossessarono con grande versatilità, fu dato da principi che furono grandi mecenati: gli omayyadi prima (661-750), e abbasidi dopo (750-1058).

Nel periodo del califfato abbaside si ebbe un tal fiorire di studi filosofici da essere considerato uno dei periodi intellettuali più ricchi, non solo del mondo Orientale ma di quello Occidentale.

Il termine “arabo” all’inizio aveva avuto un significato ristretto all’ambito nazionale, ma, successivamente alle conquiste, esso accomunava tutte le popolazioni che abitavano nei vari paesi unificati  nell’Islam.

L’Islam, nel periodo di massima espansione (X sec.), si estese dall’India e Asia centrale alla Spagna, superando di gran lunga, in termini di territorio, l’impero romano.

Per la cultura e gli studi compiuti in tutti questi territori, si poteva fare una distinzione di massima, tra “cultura araba orientale” e “cultura araba occidentale”. La prima fu quella dominata dalla Persia, la seconda quella dominata dalla Spagna islamica.

Fu l’Islam a far da centro di raccolta e dare continuità alle scienze e alla filosofia che provenendo dall’India e da Babilonia erano passate alla Grecia e a Bisanzio e dalla sua   parte orientale  erano passate alla Spagna musulmana e da qui in Occidente. 

Quando infatti i musulmani  s’insediarono in Spagna, si buttarono a capofitto sui testi che vi erano conservati, come avevano fatto in Oriente, traducendoli e studiandoli. Quando furono cacciati, lasciarono una ricchezza di traduzioni di cui fecero tesoro i monaci cluniacensi mandati a Toledo appena liberata (1141), da Pietro il Venerabile, al quale interessava personalmente  una traduzione del Corano.

Era stato a Toledo che i monaci avevano trovato le traduzioni di Aristotele, che a loro volta tradussero, facendolo conoscere in Occidente e studiare nelle Università.

Il sistema delle traduzioni era, come vedremo più avanti (Parte II:par.: La filosofia: Traduttori) meticolosissimo, in quanto i traduttori orientali rivedevano sistematicamente le traduzioni dei loro predecessori col risultato che gli studiosi avevano a disposizione numerose traduzioni.

La cultura greca sopravviveva in Siria e, nelle scuole dei cristiani, dei persiani e dei sabei di Alessandria, Beirut, Antiochia, Harran, Nisibe e Jund-i-Shapur, dove si conservavano  i classici della scienza e della filosofia greca, con traduzioni in siriaco. Gli arabi non conoscendo il siriano (aramaico), fecero tradurre quei libri dai cristiani nestoriani e dagli ebrei, nella loro lingua. E non si limitarono a far tradurre le opere solo dal siriano, ma anche dal greco, dal pahlavi e dal sanscrito. 

I califfi della dinastia abbaside al-Ma’mun, al-Mutawakkil (847-61) e al-Mansur, mandarono incaricati a Costantinopoli, proprio presso quegli imperatori (bizantini) di cui erano nemici per aver loro sottratto territori dell’impero,  e in altre città, per acquistare libri, particolarmente di medicina e matematica.

Giunsero a questo modo nell’Islam, tra gli altri,  gli “Elementi” di Euclide e furono così salvati dalla distruzione numerosi testi dell’antichità.

Di questi califfi, Abd Allah al-Mamun (786-833) secondo figlio di Harun ar-Rashid e settimo califfo abbaside, fondò a Bagdad (830) la “Casa della Sapienza” (Bayt al-Hikmah) che costituiva un insieme di accademia, osservatorio e biblioteca pubblica, con un corpo di traduttori che lavorava esclusivamente alle traduzioni.

La “Casa della Sapienza” (come vedremo in Parte II, par. La Filosofia sez. Traduttori) fu inaugurata da un grande traduttore, Hunayn ibn Hishaq  capostipite di un’intera famiglia di tre generazioni di traduttori con il figlio Ishaq ibn Hunayn e il nipote Hubaish, che si erano formati alla filosofia aristotelica.

Il califfo Ibn Abu Amir Mohammed al-Mansur (1002) in Spagna, eseguì grandi opere pubbliche e, amante dello sfarzo, nella sua corte si circondò di artisti e letterati dei quali  fu protettore. I califfi Harun ar-Rashid (766-809), il califfo immortalato nei racconti delle “Mille e una notte”, al Ma’mun e al Mansur, si possono considerare i più grandi   mecenati della dinastia abbaside.

Nell’850 erano stati tradotti quasi tutti i testi classici greci di matematica, astronomia e medicina. Il titolo al testo di Tolomeo, “Almagesto”, era quello arabo. Il quinto e settimo libro delle “Coniche” di Apollonio di Perga  furono conservati nelle versioni arabe, come lo furono la “Meccanica” di Erone di Alessandria (I sec. a.C.) e la “Pneumatica” di Filone di Bisanzio (sec. III-II a.C.).

Questo fiorire di studi delle scienze, medicina, filosofia, storia e letteratura e lo sviluppo dell’arte fu tale da pareggiare quello che oltre cinque secoli dopo saranno l’Umanesimo e il Rinascimento italiano ed europeo. 

 

 LE SCIENZE

 

SOMMARIO: Muhammad ibn Ahmad; Muhammad ibn Musa: al-Khuwarizmi; Abu Yusuf Ya’qub ibn Ishaq al-Kindi; Thabit ibn Qurra;Abu Abdallah al-Battani; Abu Ishaq Nur ad-Din al-Bitrugi-Altepragio; Abu Alì al-Hasan ibn al-Hasan Ibn al-Haitham-Alhazem-Avenathan;  Ahmad ibn Muhammad  ibn Kathir al-Farghani-Alfraganus; Abu’l Wafa;  Abu l’Hasan Ali ibn Abd ar-Raman ibn Ahmad ibn Yunus;  Abu al-Rayhan Muhammad ibn Ahmad al-Biruni; Ibrahim al-Sadi Abu’l Fath al-Khuzini; Hasan al-Marraqushi; Nasirud-Din al-Tusi; Jibir abu Afflah; al-Idrisi; Abu’l Abbas: il Botanico (al-Nabati); Abu Muhammad ibn Baitar; Ibn al-Awan,

                                                                                                                                                    

N

el campo scientifico l’influenza dell’India sugli arabi fu seconda solo a quella greca.    Nel 773, per incarico di al-Mansur furono tradotti  i “Siddantas”, trattati astronomici che risalivano al 425 a. C..

Fu attraverso queste traduzioni che i numeri “arabi” furono acquisiti dall’Islam. Il primo a parlare dei “numeri indiani” era stato l’abate Severus Sebokht del monastero di Ken-nestre sull’alto Eufrate, il quale nel momento della conquista della Siria  da parte dei musulmani  (662) stava scrivendo trattati di astronomia.

Nell’813 al-Khuwarizmi (che troveremo più avanti), usò i “numeri indiani” nelle sue tavole astronomiche  e verso l’825 fu pubblicato un trattato conosciuto nella versione latina col nome di “Algoritmi de numero indorum”, col quale i termini “algoritmo” o “algorismo”  furono introdotti per indicare il sistema aritmetico basato sui decimali.

Nel 976 Muhammad ibn Ahmad nel libro “Chiavi delle scienze” suggerì che se in un calcolo non vi era nessuna cifra che indicasse le “decine”, si doveva usare  un piccolo cerchio “per mantenere la fila”. Questo segno fu chiamato “sifr” (vuoto) da cui il termine “cifra”. Gli studiosi latini trasformarono “sifr” in “zephyrum”, quindi nell’abbreviazione di “zero”.   

L’algebra (da “al-jabr”: ripristino-completamento) era stata introdotta dal greco Diòfanto di Alessandria (III sec. d.C.), ma furono gli arabi a svilupparla. Fu infatti Muhammad ibn Musa (780-850), detto al-Khuwarizmi (dal luogo di nascita)  il più grande matematico del Medioevo che si occupò anche di astronomia, geografia e cronografia. Visse a Bagdad sotto la protezione del califfo al-Ma’mun, e introdusse in Occidente, come abbiamo visto, l’algoritmo (il termine era una storpiatura latinizzata del nome al-Khuwarizmi).

Oltre ad aver scritto sui numeri indiani, compilò tavole astronomiche che, rielaborate nella Spagna musulmana, furono per secoli il modello di tutti gli astronomi dalla Spagna alla Cina.

Al Khuwarizmi formulò le tavole trigonometriche poi conosciute in Occidente, collaborò con altri sessantanove studiosi alla preparazione di una enciclopedia per il califfo al-Ma’mun e nel “Calcolo dell’integrazione e dell’equazione” diede soluzioni analitiche e geometriche di equazioni quadrate.

L’opera, che nella versione araba andò perduta, fu tradotta da Gerardo da Cremona (XII sec.) e usata in tutte le università dell’Occidente fino al XIV sec.. Solo con la traduzione di Gerardo da Cremona fu introdotto in Occidente  il termine “algebra” (da “al-gabr”, compensazione mediante addizione e sottrazione).

Abu Yusuf Ya’qub ibn Ishaq al-Kindi (800-73 c.a), conosciuto in Occidente come “Alkindi” o “Alcindus”, fu scienziato, oltre che filosofo (v. P.II, par. I filosofi), studiò le maree, ricercò la legge della velocità di caduta, investigò i fenomeni della luce in un libro sull’Ottica che influenzò Ruggero Bacone (1214-1294 c.a).

Thabit ibn Qurra (826-901), famoso per gli studi in astronomia e medicina, divenne il più grande esperto musulmano in geometria. Tra l’ottavo e il nono sec. troviamo  l’astronomo e astrologo Abu Ma’shar detto “Albumasar” le cui opere furono tradotte in latino e diffuse per tutto il medioevo, tra le quali “De magnis conjunctionibus”, “Introductionium in Astronomium” e “Flores astrologici”.

Il califfo al-Ma’mun diede incarico ai suoi astronomi di verificare le teorie di Tolomeo (138-178 c.a), e di studiare le macchie solari. Gli arabi erano convinti della sfericità della Terra, ne misurarono il diametro fissandolo in trentaduemila km. e, misurando la sua lontananza dal sole non si discostarono molto dalla distanza reale.

Abu Abdallah al-Battani (858-929) conosciuto in Occidente col nome di “Albatenius” o “Albatenio” andò oltre nei principi di trigonometria fissati da Ipparco di Nicea (II sec. a. C.) e Tolomeo, sostituendo alle soluzioni quadrilaterali di Tolomeo, quelle triangolari, e, il “seno” e la “corda” d’Ipparco, formulando i rapporti trigonometrici così come sono oggi conosciuti. Ma fu anche astronomo e, oltre a un testo di astronomia, pubblicò delle tavole astronomiche (az-zig) con testo esplicativo sui problemi dell’astronomia sferica.

Furono gli arabi a costruire  strumenti astronomici come astrolabi e sfere armillari già conosciute dai greci e quadranti con raggio di dieci metri e sestanti con venticinque mt. di raggio. L’astrolabio giunto in Europa nel X. sec. e usato fino al XIV sec., era stato disegnato e costruito dagli arabi, che dal punto di vista estetico lo avevano reso un’opera d’arte.

Abu Ishaq Nur ad-Din al-Bitruri, (1204) musulmano di Spagna, amico e discepolo del filosofo  ibn Tufail (v. P. II par. Filosofi), conosciuto in Occidente come Altepragio, Fu autore del libro di astronomia  “Kitab-al hai’ah” (Libro dell’astronomia), nel quale  tenta una nuova spiegazione dei moti solari e planetari, seguendo la corrente anti-tolemaica iniziata da ibn Bajja, ibn Tufail e Averroè (v. cit.par. Filosofi). Criticando e distruggendo la teoria degli epicicli e delle eccentriche con cui Tolomeo aveva cercato di spiegare il movimento delle stelle, aveva aperto la strada a Niccolò Copernico. Il suo libro fu tradotto da Michele Scoto a Toledo (1217), ma il testo fu introdotto in Occidente nella traduzione dall’ebraico in latino nel 1529 (pubblicato a Venezia nel 1531).

Sono da ricordare inoltre, Abu Alì al-Hasan ibn al-Hasan ibn al-Haitham (965-1039), “Alhazem” o “Avenathan” per gli occidentali, fisico celebre per l’ottica, autore di oltre centotrenta opere di matematica, astronomia e scienze fisiche.

Ahmad ibn Muhammad  ibn Kathir al-Farghani detto “Alfraganus” (820) astronomo e geografo, arabo di Persia, corresse le tavole astronomiche di Tolomeo e seppe determinare  molti coefficienti astronomici avvicinandosi di molto ai calcoli moderni. Compose un testo di astronomia, “Kitab fi giawami’ilm an nugium” (Il libro delle nozioni elementari intorno alla scienza degli astri) che rimase valido per l’Occidente e per l’Asia occidentale per settecento anni.

Abu’l Wafa 940-998), matematico e astronomo, tradusse e commentò i matematici greci, in particolare Diòfanto (seguace di Tolomeo, III sec.d.C) e scoprì la terza variazione lunare, seicento anni prima di Tycho Brahe.

Altri grandi studiosi arabi, furono: Abu l’Hasan Ali ibn Abd ar-Raman ibn Ahmad ibn Yunus (1009), uno dei maggiori astronomi musulmani. Per lungo periodo e con adeguati strumenti astronomici osservò le congiunzioni del sole e della luna, eclissi solari e lunari, posizioni di pianeti e di stelle, obliquità dell’eclittica ed altro. I suoi studi fecero progredire la trigonometria sferica. Su queste basi scrisse una grande opera di astronomia  dal titolo  “Le tavole astronomiche (az-zig) hakimite”, dal nome del sovrano  (al-Hakim), in parte andata perduta.

Considerato il più grande erudito musulmano, Abu al-Rayhan Muhammad ibn Ahmad al-Biruni (973-1048), originario dell’Iran, si occupò di astronomia, matematica, geografia e cosmografia, paragonato, per la sua versatilità, a Leonardo.

Scrisse in lingua araba da lui prediletta, un’opera di cronologia comparata sui calendari e feste religiose dei persiani, siriaci, greci, ebrei, cristiani, sabei, zoroastriani e arabi, “al Arthàr al-baqiya ani’l-qarùn al-khaliya  (Monumenti superstiti dei secoli andati), e “Tarikh al-Hind” (Descrizione dell’India). Ma aveva tradotto dal sanscrito gli “Elementi” di Euclide (IV-III sec. a. C.) e l’ “Almagesto” di Tolomeo.  

L’ascesa dello studio delle scienze, della matematica, della geografica continuò nei secoli successivi.

Nell’anno 1081 Ibrahim al-Sadi a Valencia, costruì il primo globo celeste, costituito da una sfera di ottone di diametro di 20.9 cm., sulla cui superficie erano state raccolte quarantasette costellazioni e incise millequindici stelle, nelle loro rispettive grandezze.

 Nel 1112 Abu’l Fath al-Khuzini pubblicò un libro di fisica, “Kitab mizan al-hikmah” (Libro della bilancia della saggezza). In questo libro, oltre alla storia della fisica è formulata la legge della leve; si dà il peso specifico di molti liquidi e solidi; si spiega la forza di gravità, come forza universale, che attira tutte le cose verso il centro della terra.

Hasan al-Marraqushi, pubblicò (1229) le “tavole di seni, di grado in grado e di segno opposto di archi, seno e archi contingenti”. Nella generazione successiva Nasir ud-Din al-Tusi, pubblicò il primo trattato di trigonometria.

Su questa materia in Occidente, bisognerà attendere il tedesco Regiomontano (Johannes Müller,1436-76), che con l’aiuto del cardinale Bessarione correggerà errori di traduzione dell’Almagesto di Tolomeo e pubblicherà il libro “De Triangulis” che costituì il primo  trattato europeo di trigonometria.

Le ruote azionate dall’acqua, già conosciute nel mondo greco e romano, furono migliorate dai musulmani. Costoro conoscevano bene l’alchimia presa anche con una dose di sarcasmo, se, proprio un arabo di nome al-Latif aveva detto che “gli alchimisti conoscevano trecento modi per turlupinare la gente”.

Jibir abu Afflah, scrisse (1240) “Islah al-majisti” (Le correzioni all’Almagesto), che incominciavano a minare le teorie di Tolomeo. Infatti queste teorie costituivano l’unico testo di astronomia (come anche in geografia), posto alla base degli studi nel medioevo, a causa del principio base di quel periodo, di far ricorso all’ “autorità” di colui che, sull’argomento trattato, aveva espresso determinate teorie ritenute “inattaccabili”(come avvenne per tutte le opere di Aristotele), e nessuno era ritenuto in grado di poterle confutare.

La botanica, dai tempi di Teofrasto (c.a 370-288 a. C.), non aveva avuto alcun altro studioso della materia. Il testo di scienze naturali di Teofrasto era l’unico testo in circolazione in tutto il Medioevo.

Dopo l’erbario scritto da al-Idrisi (v. Geografia), in cui erano descritte le qualità terapeutiche delle erbe, Abu’l Abbas, detto il Botanico (al-Nabati), scrisse (1216) un libro in cui descriveva la vita vegetale delle piante, dell’area che andava dall’Atlantico al mar Rosso. 

Non fu l’unico. Fu seguito da Abu Muhammad ibn Baitar (1190-1248), considerato il più gran botanico e farmacista del Medioevo. Egli raccolse tutto il sapere botanico in un lavoro di grande erudizione, il “Kitab al-Jami”che indicava millequattrocento piante, droghe, cibi, dei quali trecento nuovi. Analizzò la loro costituzione chimica e le possibilità curatrici con acute osservazioni sui loro effetti terapeutici. Il libro fu utilizzato in Europa fino al 1500.

Nel campo dell’agronomia, eccelse Ibn al-Awan, con il “Libro del contadino” (1190). Analizzando il terreno e i concimi, al-Awan descrisse la coltivazione di cinquecentottantacinque piante, di cinquanta alberi da frutto, spiegò i metodi d’innesto, indicando i sintomi delle malattie dei vegetali dando le relative cure.  Anche questo testo costituì il più completo trattato d’agronomia di tutto il Medioevo.

  

LA MEDICINA 

 

SOMMARIO:Abu-Bakr Muhammad al-Razi: Razes; Abulcasis o Albucasis: Abu’l-Qasim az Zahrawi-Kalaf ibn-‘Abbas at Tasrif Abu Alì al Husein ibn Sina:Avicenna; Abu Marwan ibn Zuhr: Avenzoar; Muwaffaq ad-Din Abu l’Abbas ibn al Qasim ibn Usaybi’ah; Khalifah ibn-abi l–Mahashin:

 

 

L

a medicina era materia interdisciplinare con altre scienze e con la filosofia, coltivata dagli studiosi arabi che primeggiavano nell’una e nelle altre materie, come l’astronomia, la matematica, la fisica,  la filosofia o la poesia.

Nel medioevo islamico essa ebbe in Abu-Bakr Muhammad al-Razi   (844-926), conosciuto in Occidente col nome di Razes, oltre che un  grande medico, il più grande clinico del medioevo.

Studiò chimica, alchimia e medicina e scrisse ben centotrenta libri, la maggior parte di medicina, andati perduti.

 La sua opera in venti volumi, “Qitab al Hawi” (Libro completo), era un compendio delle teorie e pratiche mediche dell’epoca. Tradotto in latino col nome di “Liber continens”, era uno dei principali volumi (in tutto nove!) che formavano la biblioteca della facoltà di medicina dell’Università di Parigi, nel 1395.

Il suo trattato sul vaiolo e la rosolia fu il primo studio sulle malattie infettive. Introdusse nuovi rimedi come l’unguento mercuriale e l’uso delle suture con intestini animali, criticò l’eccessiva fiducia nell’analisi dell’orina con cui i medici ritenevano di diagnosticare qualsiasi malattia, anche senza esaminare il malato.

Enciclopedista e chirurgo, conosciuto in Occidente col nome di Abulcasis o Albucasis il vero nome era Abu’l-Qasim az Zahrawi-Kalaf ibn-‘Abbas at Tasrif (vissuto tra 912/61-1009/10), aveva scritto una vasta enciclopedia medica in trenta volumi importante per osservazioni originali sulle malattie dell’orecchio e della gola e sulla relativa tecnica operatoria. Tradotta in latino da  Gerardo da Cremona, costituì per oltre un secolo il miglior testo di chirurgia e di tecnica operatoria.

Grande medico che affiancò Rhazes (che, come detto era grande clinico) fu Abu Alì al Husein ibn Sina (980-1037), per i latini Avicenna, medico e filosofo (che troveremo anche nel par. della Filosofia).

Avicenna scrisse due grandi opere “Qitab al Shifa” (Il libro della guarigione (dell’anima)), e il “Qanun fi-l Tibb” (Canone di medicina), consistente in una esposizione di fisiologia, igiene, terapia e farmacologia, con deviazioni in campo filosofico.

Diviso in cinque parti, il primo libro si occupava della generalità del corpo umano, della malattia, della salute, con il trattamento e la terapia. Il secondo comprendeva la materia medica e la farmacologia dei semplici. Il terzo trattava della patologia speciale studiata per sistemi. Il quarto iniziava col celebre “trattato delle febbri”, seguivano quello  sui segni, sintomi, diagnostica e prognosi; poi la piccola chirurgia: tumori, ferite, fratture morsicature, veleni ecc. Il quinto era dedicato alla farmacopea.

Il testo fu tradotto in latino nel XII sec., e adottato in tutte le università dell’Occidente.  Avicenna scrisse anche un poema, basato sul “Qanum”, “Urguza fi-t-tibb” che permetteva ai medici di ricordare a memoria  il contenuto essenziale dei principi, osservazioni, consigli di terapeutica., dietetica ed anche di tecniche chirurgiche.

Avicenna oltre ad aver tradotto Euclide, fece osservazioni astronomiche, scrisse un trattato sui minerali che servì come base per la geologia europea. In questo campo fu il primo a sostenere che le montagne si sono formate per sollevamento della crosta terrestre e ad individuare nel vento e nella pioggia le cause dell’erosione delle montagne.

Conosciuto in occidente col nome di “Abulcasis”, il medico arabo-spagnolo Abu l-Qasim az-Zarawi (936-1013) aveva scritto un trattato di medicina “at-Tasrif” in trenta parti, con descrizioni chiare e con illustrazione di strumenti. La parte della chirurgia fu tradotta da Gherardo da Cremona e fu utilizzata in Europa per cinquecento anni

Anche arabo-spagnolo di Siviglia, fu un altro grande medico conosciuto dai latini come “Avenzoar”, Abu Marwan ibn Zuhr (1091-1162), che scrisse il “Kitab al-Tasir” (Libro di semplificazione terapeutica e dietetica), su richiesta di Averroè che lo considerava il più grande medico dopo Galeno (129-211). Era il terzo di sei generazioni di medici, tutti famosi.

Un altro medico Muwaffaq ad-Din Abu l’Abbas ibn al Qasim ibn Usaybi’ah (1203-1270) aveva scritto un’originale opera biografica: “Uyun al-ambafi tabaqat al-atibba” (Principali notizie sulle classi dei medici), importante per la storia della scienza.

I medici musulmani erano i migliori, non solo dell’Occidente ma del mondo conosciuto, cioè dell’Asia e dell’Africa. Erano particolarmente famosi nell’oftalmologia e nelle operazioni della cateratta in cui eccelleva Khalifah ibn-abi l–Mahashin (1256), che era tanto sicuro di sé da aver operato un uomo che aveva un occhio solo.

Gli arabi furono all’avanguardia anche per gli ospedali. Nur ad-Din (1118-1174), (per  l’Occidente il “Norandino” della seconda crociata) nel 1160 fece costruire a Damasco un ospedale che per circa tre secoli (267 anni) offrì gratuitamente cure e medicine. A Bagdad, nello stesso periodo, sulle sponde del Tigri, vi era un ospedale imponente come un palazzo reale il “Bimaristan Adadi”, dove si distribuiva gratuitamente cibo e medicinali.

Il più grande ospedale del Medioevo fu costruito al Cairo (1285). Era formato da quattro edifici, con arcate costruite attorno a un cortile con fontane. Vi erano corsie per le diverse malattie, reparti per malati di mente e convalescenti, reparti per pazienti esterni, cucine per particolari diete, una cappella, una biblioteca, una sala di lettura.

Le cure erano gratuite per tutti e ad ogni convalescente che lasciava l’ospedale, veniva data una somma di danaro perché non fosse costretto a mettersi subito a lavorare. Mentre in Europa i malati di mente andavano in giro vagando, nell’Islam erano accolti in particolari asili.

 

LA STORIA

 

SOMMARIO: Abu Abdallah Muhammad ibn Ishaq; al-Bakka’i;  ‘Abd al-Malik ibn Hisham; Abu Mikhnaf; Abu Abdallah Muhammad ibn Umar al-Waqidi; Abu ‘Adallah Muhammad ibn Sa’d; Ibn al-Muqaffa; Mohammed al-Kalbi;  Hisam; Ahmad ibn Muhammad ibn Hànbal; Muslim ibn al Haggag abu l-Husayn; Suleiman ibnal-Ash’At al-Azdi al-Sigistani Abu Dawd; Hisham ibn al-Kalbi; Ahmad ibn Yahya al-Baladuri ;At-Tabari, Abu Ga’far Muhammad ibn Garir at-Tabari; Abu Ali Muhammad Bal-Ami; Ahmad ibn al-Yaqubi Wadhib; Abu Hanifah Ahmad ibn Dawud ad-Dinawari; Abu Abdallah Muhammad ibn Qutàybah; Abu Abdallah Muhammad ibn Sa’d; Ahmad ibn al Ya’qubi Wadhih; Abu Hasan Ali ibn al Husain al-Mas’udi; al-Kindi; Muhammad ibn Abi Ya’qub an Nadim (Abul-Farag Muhammad); Abu Muhammad Alì ibn Ahmad ibn Hazm; Abu alì Ahmad ibn Miskawàih; Ibn Asakir; ‘Izz ad-Din Abu’l-Hasan Alì ibn Muhmmad al-Athir; Giamal ad-din Abu ‘l-Hasan ‘Alì ibn Yusuf ibn Ibrahim ibn Abd al-Wabid ibn al-Qifti; Shams ad-Din Abu l’Abbas ibn Khallikan;  Abu l’Fida’: Abulfeda”; Shihab ad-Din an-Nuwayri; Lisan ad-Din ibn Khatib; Abd ar-Raman ibn Khaldun; Abul-Abbas ahmad ibn Arabshah; Abu l-Mahasin ibn Taghribirdi; Taqi ad-Din Abu l-’Abbas al-Maqrizi; Al-Maqrizi.

 

C

ome i Vangeli, scritti successivamente alla morte di Cristo ne narrano la vita, la storiografia  araba ha inizio in epoca posteriore alla morte di Maometto, circa un secolo dopo, con i c.d. “tradizionalisti” che miravano ad accertare i fatti e detti (“hadit”) del profeta, riferiti dai suoi compagni.

Il Corano trasmesso oralmente (come vedremo nell’articolo: Islam) era stato scritto successivamente alla morte del Profeta. Gli storici poi cercarono di chiarire i concetti della rivelazione che risultavano oscuri, o sui quali la rivelazione taceva. Il sistema seguito era quello della catena di coloro che avevano tramandato (“ismad”) il detto o il fatto, fino a risalire al testimone che lo aveva sentito di persona. Della catena se ne controllava ogni anello per accertare la veridicità del fatto o del detto.

Il metodo però non poteva garantire l’autenticità (come peraltro si era verificato per i Vangeli, tra i quali fu fatta una cernita e alcuni furono accettati, altri considerati “Apocrifi”), in quanto ciò che veniva raccolto non lo era in maniera critica e ciò  comportava la possibilità di influenze esterne, sulla base delle convinzioni religiose e politiche che inducevano ad accettare una fonte anziché un’altra.

La storia islamica ebbe inizio con la storia di Maometto. Successivamente ai ebbero opere

storiche che si possono classificare in monografiche, in base a particolari argomenti, biografiche e universali, anche di ampio respiro, che normalmente iniziavano con la creazione del mondo, ma giunte all’Islam si restringevano al solo mondo musulmano.

L’autore della più antica biografia del Profeta, è stato Abu Abdallah Muhammad ibn Ishaq (704-768).

Oltre a una storia perduta dei primi quattro califfi, compose una specie di storia sacra dei musulmani divisa in due parti. La prima riportava la storia del Vecchio e Nuovo Testamento dalla creazione a Gesù Cristo compreso, con aggiunta di fatti storici o leggendari preislamici, di cui si fa cenno nel Corano. L’opera è andata perduta ma sono pervenuti estratti di scrittori posteriori.

L’altra è costituita dalla preziosa “Sira Nabawiyya” (Vita del Profeta), pervenuta nella recensione fatta dal suo allievo al-Bakka’i e successivamente curata dall’egiziano ‘Abd al-Malik ibn Hisham ( 833). L’opera fu pubblicata in Germania a metà del “1800”, con una ristampa anastatica ai primi del “1900”.

Anche alcune opere di Abu Mikhnaf (747) tradizionalista, autore di oltre trenta monografie, tutte andate perdute, furono riprese da al-Baladhuri e at-Tabari, come si era verificato per quelle di Abu Abdallah Muhammad ibn Umar al-Waqidi (767-823), considerato il padre della storiografia musulmana, di cui è giunto solo il “Kitab al-maghazi” (Libro del combattimento), sulle campagne di Maometto e sulle conquiste musulmane, seguito da Abu ‘Adallah Muhammad ibn Sa’d (845) che aveva raccolto accuratamente nel “Kitab at-tabaqat” (Libro delle classi o generazioni), le biografie del Profeta, dei suoi compagni  e successori.

Ibn al-Muqaffa (635 c.a-775) letterato, un “Monsignor Della Casa” di ottocento anni prima, aveva scritto “al Adab al-kabir” una raccolta d’insegnamenti cortesi per l’uomo di mondo e per il sovrano. Tradusse dall’indiano il celebre “Pancatantra” raccolta di novelle a sfondo didattico, in cui si espongono precetti di politica, che, a seguito della traduzione, fu introdotto nel mondo occidentale.

Da ricordare Ahmad ibn Muhammad ibn Hànbal (780-865), raccoglitore di tradizioni del Profeta, col nome di “al Musnad”. In pratica era un teologo, sostenitore dell’ortodossia tradizionale contro i “mutaziliti” (indifferenti alle prime diatribe tra sunniti e sciiti, v. Parte II, Sette ecc.), che  cadde in disgrazia sotto vari califfi abbasidi e fu riabilitato solo con l’avvento di al-Mutawakkil. La sua corrente “hambalismo è stata accolta (ma è minoritaria) tra i quattro riti ortodossi musulmani.

Tra i tradizionisti (muhaddith) , troviamo ancora Muslim ibn al Haggag abu l-Husayn (817/21-875) il quale aveva viaggiato in  Iraq, Arabia, Siria, Egitto per raccogliere le tradizioni del Profeta, raccolte nell’opera  “as-Sadib”, una  fra le più autorevoli e numerose (pare che  fossero circa trecentomila!) del genere. Infine, Suleiman ibnal-Ash’At al-Azdi al-Sigistani Abu Dawd (817/18-889) compose parecchi libri, di cui il più famoso è costituito dalla collezione di hadith  intitolata “an-Sunan” (Le consuetudini del Profeta), considerata dai sanniti uno dei sei libri fondamentali per la conoscenza delle tradzioni canoniche su Maometto.

Come genealogisti arabi, sono da ricordare Mohammed al-Kalbi (763)  e il figlio Hisam (819) e Hisham ibn al-Kalbi ( 820 c.a), cultore di studi archeologici e genealogici, che aveva scritto un libro di genealogie degli arabi e una monografia sugli idoli, importante per i successivi studi della società preislamica.

Ahmad ibn Yahya al-Baladuri (892), fu tra i più famosi storici arabi. Visse alla corte di al-Mutawakkil e al Mustain, e aveva scritto l’ “Ansab al-ashraf” (Genealogia dei nobili), in cui aveva mostrato doti di osservazione e metodo, che si ritrovano in un’altra sua opera, “Kitab futuh al-buldan” (Libro delle conquiste di Paesi).

Dotato di spirito critico, assente nei suoi predecessori, la sua trattazione metodica ha inizio dalle conquiste medinesi dell’epoca di Maometto (622), fino alle vicende che portarono alla conquista dell’Iraq, della Persia, della Barberia, con particolari accenni alle questioni sociali, culturali e amministrative dei territori conquistati.

 Storico noto fino ai giorni nostri  at-Tabari: Abu Ga’far Muhammad ibn Garir at-Tabari (839-923), arabo-persiano aveva scritto il “Tafsir”, un’opera di commento al Corano e continuerà l’opera biografica di Maometto, raccogliendo in un testo, tutto il materiale storico, anno per anno, giunto fino al 915 (362 dell’égira), di cui indica l’autore o il trasmettitore.

Questa costituisce un’opera di grande respiro che va sotto il nome di  “Tar’ih akhbar ar-rusul wa’l-muluk” (Storia o notizie dei profeti e dei re), segue l’impostazione degli annali  e riguarda i primi tre secoli della civiltà musulmana che va dalla creazione del mondo e protostoria dell’umanità, alla tradizione talmudica e coranica, per passare al regno di Persia e quindi (più vicina alla tradizione islamica), a Maometto e all’epoca dei califfi.

L’opera è ricca di riferimenti, dettagli e notizie accuratamente scelte e prese da precedenti storici e andate disperse, che altrimenti non sarebbero giunte fino a noi.

La diffusione dell’opera di at-Tabari, fu favorita da Abu Ali Muhammad Bal-Ami (977) visir del principe Nuh di Bukkara, che compendiata e  rimaneggiata in lingua persiana, fu assunta a fondamento di varie  traduzioni di tutto l’Islam. Essa fu  integrata dal “Tabaraqat al Sahaba” (Il libro delle classi).

Dopo at-Thabari,  emergono:

Ahmad ibn al-Yaqubi Wadhib (897), geografo e storico, autore di una Storia universale che, nella prima parte  ha inizio dai patriarchi ebrei e giunge all’Arabia preislamica, nella seconda va da Maometto all’872. Quest’opera era servita come base per le successive compilazioni. Come geografo al-Yaqubi aveva riportato nel “Kitab al-huldan” (Libro dei paesi), le descrizioni dei viaggi compiuti in India, Egitto e Magreb con dati statistici e topografici dell’Iraq, Iran e Afganistan

Abu Hanifah Ahmad ibn Dawud ad-Dinawari (895), astronomo, giurista, matematico e storico. L’unica opera giunta fino a noi è stata la sua storia universale, “Kitab al-akhbar at-tiwal” (Il libro delle narrazioni lunghe), e frammenti di un libro sulle piante.

Con i caratteri del manuale di storia erano il “Kitab al ma’arif” e il “Kitab adab al-katib”, indirizzati a chi avesse voluto intraprendere l’attività di segretario.

Abu Abdallah Muhammad ibn Qutàybah (n. 828) fu famoso filologo e grammatico e aveva scritto un testo di frammenti poetici e notizie biografiche in “Kitab ash-shi’r wa’- shu’ara” e “Uyun al-akhbar” antologia di poeti preislamici e di fatti tratti dalla tradizione e dalla storia.

Abu Abdallah Muhammad ibn Sa’d (845) segretario di al-Waquidi, aveva scritto la voluminosa  storia “Kitab al-tabaqat” sulla vita del Profeta e dei suoi compagni.

Ahmad ibn al Ya’qubi Wadhih (897/905) geografo e storico (v. sotto Geografia), come storico scrisse una Storia universale  che, nella prima parte inizia dai patriarchi e giunge all’Arabia preislamica; nella seconda inizia con Maometto giungendo all’anno 872. Ya’qubi aveva utilizzato fonti precedenti sì che l’opera era servita da base per gli storici successivi. Allo stesso modo, storico e geografo era stato Abu Hasan Ali ibn al Husain al-Mas’udi (v. Geografia).

Una storia limitata all’Egitto era stata scritta da al-Kindi (961, da non confondere con al-Kindi che troveremo nel par. dei Filosofi), “Kitab al-wuàtt”, cronaca dei governatori  musulmani che si erano succeduti in Egitto dal 639 al 946, di estremo interesse per la conoscenza della vita politica, militare e amministrativa in questa provincia dell’Islam.

In tema di bibliografia, è importante il libro “Kitab al-Fihrist” (Il catalogo) scritto dal bibliografo e libraio (come il padre),  Muhammad ibn Abi Ya’qub an-Nadim (indicato anche come Abul-Farag Muhammad) (993 c.a),  in cui an-Nadim fa una relazione di tutte le opere arabe di cui aveva avuto conoscenza. L’opera, è di notevole importanza in quanto non consiste in un’arida elencazione di libri, ma ogni opera è accompagnata da introduzioni e notizie che rendono il libro un trattato di storia letteraria.

L’opera è divisa per materie, ripartite nelle dieci branche dello scibile musulmano: sei di scienze islamiche (Corano, grammatica, storia e belle lettere, poesia, dogmatica e diritto) e quattro straniere (filosofia e scienze antiche, leggende e magia, sette e credenze, e alchimia).

Abu Muhammad Alì ibn Ahmad ibn Hazm (994-1064), raggiunse la carica di ministro del Caiffo Abd’ar-Raman V (1023-24). Dopo la caduta del califfo si ritirò a vita privata dedicandosi agli studi teologici, scrivendo vari libri sull’argomento. Un libro invece è dedicato al Corano e alla tradizione islamica: “Kitab an-nasickh wa’l mansukh”, e un’opera letteraria originale “Tauq al-hamama” (Il collare della colomba), in cui parla delle diverse fasi dell’amore, con racconti biografici e aneddoti.

Abu alì Ahmad ibn Miskawàih (1030), medico, filosofo e storico, aveva scritto una storia universale “Tagjarib al-uman”,che giunge fino al 980, e aveva scritto anche una raccolta di sentenze morali “Tahdtib al-akhlaq wa ta’ thir al-à-raq”.

Ibn Asakir (1105-1176), apparteneva a una famiglia di studiosi. Scrisse la celebre “Tar’rikh madinat Dimasq” (Storia di Damasco), storia che non si limitava alla sola città di Damasco, ma si estendeva a tutta la Siria.

‘Izz ad-Din Abu’l-Hasan Alì ibn Muhmmad al-Athir (1160-1234), aveva scritto una storia universale dalla creazione al 1231, “Kamil fi’tta’rik” (Il libro perfetto sulla storia), con particolare riferimento alla vita di Maometto e al periodo della dominazione musulmana in Sicilia, e altre opere tra le quali un dizionario storico-biografico (Usa al- ghahabfi’ma ‘rifat as-Sahabah) su numerosi (7500) compagni del Profeta.

Anche a carattere biografico è il libro “Ta’rihk al-hukama” (Storia dei sapienti), contenente 414 biografie di medici, matematici, astronomi e filosofi dell’antichità fino ai tempi di Giamal ad-din Abu ‘l-Hasan ‘Alì ibn Yusuf ibn Ibrahim ibn Abd al-Wabid ibn al-Qifti (1172/3-1248), storico e biografo, autore di molte opere storiche di cui ci è giunta la sola  “Storia dei sapienti”, nel compendio di Muhammad ibn ‘Ali az-Zawani. Quest’opera costituisce una notevole fonte della scienza araba e fornisce notizie importanti anche sulla scienza greca.

Un dizionario biografico degli uomini illustri dell’Islam, importante per l’antica letteratura e storia arabo-islamica è il “Wafayat al-a’yan wa amba’ abnaaz-zaman” di  Shams ad-Din Abu l’Abbas ibn Khallikan (1211-1282).

Abu l’Fida’ (1273-1331), emiro e grande mecenate, conosciuto in Occidente come “Abulfeda” legò il suo nome a due opere, una di carattere storico “Mukhtasar ta’rikh al-bashar” (Compendio di storia del genere umano), del genere storia universale dall’epoca preislamica  fino al 1329, successivamente integrata da altri storici. Altra opera, di carattere geografico-descrittivo, completata da  elementi di fisica e matematica. è il “Taqwim al-buldan” (Determinazione dei paesi di longitudine e latitudine).

E’ da ricordare in questo periodo la redazione di una enciclopedia da parte dello storico e giurista Shihab ad-Din an-Nuwayri (1279-1332) favorito del sultano al-Malik an-Nasir, che va sotto il nome di “Nihayat al-arab fi-fumun al-adab”, dedicata al sultano e divisa in cinque parti: cosmografia, antropologia, zoologia, botanica e storia. L’opera fu scritta con meticolosità nell’arco di un ventennio; la parte storica è la più interessante perché riguarda il periodo contemporaneo dell’autore.

 Lisan ad-Din ibn Khatib (1313-1374), arabo di Spagna, aveva scritto opere mediche,  letterarie e filosofiche ma egli è rimasto celebre per la sua voluminosa storia di Granata: “al-Ihatah ft ta’rikh Granata”.

Abd ar-Raman ibn Khaldun (1332-1406), appartenente a una famiglia che risaliva al IX sec., è considerato il più grande storico musulmano. Aveva studiato con i migliori maestri dello scibile musulmano, ebbe profonda cultura e ingegno politico. Rivestì alte cariche nell’amministrazione islamica e fu mandato come ambasciatore presso il re di Castiglia.

La sua storia universale “Kitab al’ibar”, è importante in quanto nei “prolegomeni” (al-Muqaddinah) fissa dei canoni di critica storica, di cui non vi erano precedenti, se non qualche ristretto tentativo nella letteratura araba, e successivamente non ebbe continuatori.

Questi prolegomeni, è stato scritto, meritano un posto insigne nella letteratura universale. L’opera è completa dal punto di vista storico, geografico e cronachistico, e costituisce fonte preziosa per la storia dei Berberi e delle dinastie africane, oltre all’autobiografia dell’autore.

Dopo la conquista di Damasco, Tamerlano portò con se a Samarcanda lo storico Abul-Abbas ahmad ibn Arabshah (1392-1450), dove Arabshah imparò il persiano, il turco e il mongolo. Dopo aver fatto viaggi in Mongolia, Khwarizm e Tartaria, rientrato a Damasco, scrisse la storia di Tamerlano, delle sue conquiste e di quelle del suo successore, il figlio Shah Rokh, intitolata “Agia’ib al-maqdur fi nawa’ib Timur”.

Chiudiamo questo “excursus” (che non è da ritenere esaustivo), con gli storici del periodo che giunge alla fine del medioevo, indicando Abu l-Mahasin ibn Taghribirdi (1409-1479), autore di due importanti opere: “Kitab an-nugium az-zahira” (Libro delle stelle scintillanti), di storia dell’Egitto medievale, dal 641 al 1467 e continuazione dell’altra, ”al-Manhal as-safi” (La pura fonte) che riguarda il periodo 1248-1451, e Taqi ad-Din Abu l-’Abbas al Maqrizi (1364-1442) insegnante di storia delle tradizioni, che aveva superato per acume e spirito critico tutti i suoi predecessori.

Tra le sue opere troviamo: il “Khitat”  (al-Mwa’iz wa l’-i-tibar fi dhikr al-khitat wa l-athar), costituito da due volumi storico-geografici sull’Egitto musulmano, e il “Kitab as-suluk li ma’rifat ad-uwal wa l-muluk”, che riguarda la storia dell’Egitto ayyubita e mamelucco dal 1181 al 1436.

Al-Maqrizi  è stato autore di un dizionario biografico di tutti i principi e gli uomini illustri dell’Egitto, di un trattato di numismatica e di vari scritti di teologia, dogmatica, storia e geografia.

 

LA GEOGRAFIA

 

SOMMARIO: Abu Bakr Ahmad ibn Muhammad ibn Ishaq al-Hamadhani: Ibn al-Farid; Ahmad ibn al Ya’qubi Wadhih; Abu l’ Qasim Muhammad ibn Hawqal; Abu Ali Ahmad ibn Umar ibn Rustah; Abu Hasan Ali ibn al Husain al-Mas’udi; Abu Abdallah Muhammad al-Idrisi:  ash-Sharif al-Idrisi; al-Rumi ibn Abdallah Yaqut; Abu’l Hasan Muhammad ibn Giubair; Abu Hamid al Gharnati; Sharaf ad-din Abu’Abd Allah Muhammad ibn Ibrahim ibn Battutah;  Zakariyya’ ibn Muhammad al-Qazwini;  Shihad ad-Din Ahmad ibn Màgid,

 

 

G

li studi geografici nell’Islam furono inizialmente introdotti come opere di raccolta di  dati, rese necessarie da motivi di conoscenza per funzionari, miste a  racconti di marinai che dal Golfo arabico si recavano in Oriente, e ciò fino al IX secolo. A questo insieme di dati burocratici e racconti favolistici, si sostituì la geografia descrittiva con opere fondate sull’osservazione diretta. Tra i primi, troviamo testi di Ibn al Faqih (903) e as-Sarafi (fine sec. IX), Ibn Rusta (903), Qudana (932) e Ibn Hurdadbih (fine sec. X).

Tra i viaggiatori che avevano fatto relazioni di viaggio, con libri (scritti tra il IX e X sec.), che potevano uguagliare,  il “Milione” di Marco Polo, pubblicato un paio di secoli dopo, troviamo il geografo conosciuto come ibn al-Farid, il cui nome era Abu Bakr Ahmad ibn Muhammad ibn Ishaq al-Hamadhani che compose il “Kitab al Buldan” (Libro dei Paesi) e Ahmad ibn al Ya’qubi Wadhih (897/905) geografo e storico, che fece viaggi in India, Egitto, Magreb, scrivendo anche un “Kitab al-Buldan” (Libro dei Paesi), in cui dava notizie dirette sull’Armenia, Khorasan e altre contrade dell’India e dell’Occidente da lui visitate.

Abu l’ Qasim Muhammad ibn Hawqal, viaggiatore e mercante, viaggiò per tutto il mondo islamico, compresa la Spagna e Sicilia, e attraversando il Caspio e il Turkestan giunse in India, lasciando una descrizione dei luoghi visitati (943) nel “Kitab al-masalik wa’l-mamalik (Libro delle vie e dei regni), avvalendosi anche di opere di suoi predecessori. Dell’opera se ne servirono geografi posteriori.

Infine, in questo periodo (IX-X sec.), troviamo Abu Ali Ahmad ibn Umar ibn Rustah autore dell’opera “Kitab al-a’laq an-nafisah (Libro delle gemme preziose) di cui è pervenuta la sola settima parte di argomento geografico.

Abu Hasan Ali ibn al Husain al-Mas’udi (n. 965)  di vasta cultura, aveva visitato la Persia, l’ India, l’Armenia, la Palestina, il Madagascar, la Cina, Ceylon. La sua maggior opera storico-geografica “Kitab akbhar az-zaman” di trenta volumi era andata perduta, ad eccezione di uno di essi. Altra opera che costituiva in parte un compendio di quella perduta  e di un’altra, era il “Murag adh-dhohab” (Le praterie d’oro) che costituisce un’enciclopedia storico-geografica-letteraria.

La parte storica è del genere delle storie universali, che va  dalla creazione del mondo al califfato di al-Muti (947). La particolarità dell’opera è quella di aver dato alcune notizie dell’Asia fino allora ignorate e ragguagli sulla cultura storico-scientifica dell’Islam del periodo in cui era vissuto. Scrisse anche un’opera a carattere cosmografico, “Kitab al-tambih wa’l-ishraf”.

Nell’epoca d’oro degli studi arabi, vi furono geografi famosi come Abu Abdallah Muhammad al-Idrisi, conosciuto anche come ash-Sharif al-Idrisi (1099-1164), geografo e naturalista. A Palermo sotto la monarchia di Ruggero II, scrisse il primo trattato di climatologia, col nome di “Nuzhat al-mushtaq fi ikhtiraq al-afaq”  (Lo svago per chi brama percorrere le regioni), conosciuto sotto il nome di “Kitab Rugiar” (Libro di re Ruggero).

Al-Idrisi aveva diviso la terra in sette zone climatiche e ciascuna di queste in dieci regioni. Ognuna delle settanta parti era specificamente illustrata. Oltre al clima, le mappe rappresentavano, per la prima volta, la cartografia dell’epoca e non avevano precedenti per l’accuratezza e compiutezza del lavoro. Al-Idrisi, come tutti gli scienziati arabi davano per scontata la sfericità della Terra.

Ebbe un rivale che lo pareggiava in grandezza: al-Rumi ibn Abdallah Yaqut (1179-1219). Greco d’origine, fu venduto come schiavo al mercato di Bagdad. Lo acquistò un mercante che dopo averlo fatto studiare e viaggiare per suo conto,  gli concesse la libertà.

Yaqut, preso dalla curiosità della conoscenza, si mise a viaggiare dalla Persia, alla Siria, all’ Egitto, al Khorasan, centri di fiorenti studi.

Capitò a Merv dove trovò dieci biblioteche con diecimila volumi. Qui gli davano in prestito libri che poteva consultare nella sua camera, e lì finì di scrivere (1228) il “Mu-jan al-buldan”, la sua opera maggiore, un’enciclopedia che raccoglieva tutte le conoscenze medievali geografiche, astronomiche, fisiche, archeologiche, etnografiche. Yaqut scrisse anche un dizionario biografico di personaggi storici illustri (Irshad al-arib ila ma’rifah al-adib). 

Tra i viaggiatori e autori di libri di viaggi, sono da annoverare Abu’l Hasan Muhammad ibn Giubair (1145-1217), scrittore del genere “Ribla” (Viaggio-Itinerario) che contribuì alla conoscenza storica-geografica-etnografica del mondo islamico. La sua “Ribla” è una relazione sul suo viaggio alla Mecca, arricchita però dalla descrizione  delle avventure che gli erano capitate durante i suoi viaggi nella Valle del Nilo, nell’ Higiaz, Iraq, Siria e sulla costa siciliana.

Le pagine dedicate alla Sicilia hanno valore documentario, in quanto nel periodo in cui aveva visitato l’isola, regnava Guglielmo il Buono e con le sue descrizioni il lettore si trova immerso nella vita pulsante dell’epoca.

Abu Hamid al Gharnati (1170), arabo-andaluso,  viaggiò per tutto il Magreb, Egitto, Siria, Iraq, andando in Persia e proseguendo per l’Ungheria e il Khuwarizim, scrisse due opere: il “Kitab al-mu’rib” e la “Tuhfat al-albab” contenenti indicazioni e ragguagli sugli usi e costumi dei popoli dei paesi visitati.

Lo pareggiò Sharaf ad-din Abu’Abd Allah Muhammad ibn Ibrahim ibn Battutah (1304-1356) che aveva visitato l’Africa settentrionale, l’Arabia, la Mesopotamia, la Persia, la Turchia, la Russia meridionale, il Turkestan, l’Afganistan, l’India, la Cina, giungendo fino in Malesia.

Al ritorno dettò le esperienze dei viaggi, di grande interesse per  le informazioni storiche,  gli usi e costumi dei popoli dei paesi visitati, a Muhammad ibn Giuzayy al-Kalbi (che organizzò stilisticamente il testo, come Rustichello da Pisa aveva fatto con i racconti di Marco Polo). L’opera fu stampata in cinque volumi a metà del 1800 a Parigi, e una parte in Germania ai primi del 1900.

Un altro geografo, Zakariyya’ ibn Muhammad al-Qazwini (1203-1283) fu il famoso autore di due opere: un trattato di cosmografia “Agiaibn al-mukluqat wa ghra’ib al-maugiudat” che tradotto in turco e persiano ebbe vasta diffusione che si  componeva di due parti, una trattava della materia celeste, l’altra della terrestre; e “Athar al bilad wa akhbar al ‘ibad” opera geografica, con distinzione della terra secondo la divisione tolemaica  dei climi o zone, arricchita di notizie a carattere storico e biografico

Alla fine del medioevo troviamo infine il famoso navigatore  e scrittore di questioni nautiche Shihad ad-Din Ahmad ibn Màgid, imbarcato (1498) da Vasco de Gama come pilota della sua flotta. Aveva scritto trentadue trattati di nautica, il più importante era intitolato “Kitab al-faua’id ft usul ‘ilm al-bahr ua’l-qaua’id”, raccolta di nozioni teoriche e pratiche sulla navigazione.

 

 

LA POESIA

 

SOMMARIO: Hammad ar Rawiya; Ibn  Abì Sulma Zuhayr Ibn Rabica Abu ‘Aqli Labid; Ibn Shaddad Antar; Imru’l-Qays ibn Hugr; ‘Urwa ibn al-Ward; Tabit ibn Giabir-Ta’ab-bata sarram; as-Sanfara;Tumadir detta al-Hansa; Tarafah ibn Abd al-Bakri; Imru ‘l-Qais, fu Ziyad ibn Mu’awiya-ad-Dubyani; Maymun ibn Qays-al-As’sa; Adi ibn Zayd; an-Ni’man ibn al-Mundir; Muslim ibn al-Walid; Abu Nuwas al Hasan ibn Hani al-Hakami;  Umayya ibn Abi s’Salt; Sukayna; al-Akhtal; al-Farazdaq-Hamman ibn Ghalib; Giarir ibn Atiyya; Giamil al-‘Udhri; Qays ibn al-Mulawwak; Abu-Bakr al-Wali.; Nizami ud-Din Ilyas Abu Mohammed; Abd ur-Raman Giami; Hatifi; Muhammed ben Suleyman Fuzuli;  Al-Ansari al-Hahwas;  Hammad al-Rawiya ;Muffadal al-Dabbi; Ibn Qutayba; Ahmad ibn Muhammad Abu Umar ibn ‘Abd Rabbihi; Abu l’-Farag al Isfahani; Abu’t-Tayyib al-Mutanabb-Abu t-Tayyib Amud; Abu l’-Ala’ al Ma’arri; Omar Khayyam-Abu l’Fath Omar ibn Ibrahim al-Khayyami; Ibn Rashìq; ibn Sharaf al-Qayrawani; Alì ibn‘Gia’far ibn al-Qatta; Abd al-Giabbar ibn Abi Bakr ibn Hamdìs; Abu l-Walid Ahmad ibn Zaidun; Abd Al-Gabbar Abu l’Hasan ‘Alì ibn Bassam; Abu Bakr ibn Quzmàn; Abu Hafs’Umar ibn Abul-Hasan’Alial Miri ibn al.Farid; Farid  ad-Din ’Attar.

 

L

a prima espressione letteraria della civiltà araba fu la poesia. Le maggiori composizioni letterarie risalgono al periodo  preislamico, ed erano costituite da composizioni di poeti risalenti al V-VI sec., composizioni che avevano avuto un periodo evolutivo anteriore di circa un secolo. La trasmissione della produzione era stata orale, com’era avvenuto in altre civiltà, successivamente raccolta verso l’VIII sec., con sicuri rimaneggiamenti posteriori.

Relativamente al periodo preislamico, precedente alla “rivelazione”, che i musulmani hanno considerato di ignoranza o barbarie “Gahiliyya”, la più antica raccolta è da considerare quella delle “Mu’allaqat” (“le appese”, in quanto, secondo la tradizione  le composizioni sarebbero state appese alle pareti della Ka’aba alla Mecca) 

Questa produzione aveva condizionato tutta quella successiva, in quanto considerata pura espressione del genio della stirpe e considerata un modello ineguagliabile per purezza di lingua, ricchezza di immagini, eleganza di espressione.

La peculiarità della poesia araba si può riassumerla con parole di fonte araba: “un vezzo di perle infilate una dopo l’altra su di un tenue filo logico”, in cui ogni verso è autonomo poiché il concetto del verso precedente difficilmente si trasmette al verso seguente.

La poesia originaria era quella cantata dai beduini del deserto (“qasida” tendere a qualcosa-proporsi qualcosa), tendente a lodare una persona, una tribù o a biasimare i nemici, accompagnata da una varietà di strumenti musicali (liuto, lira, pandora, salterio, flauto, oltre a corni, cimbali, tamburelli). Essa era anche rimata e col tempo raggiunse metri complessi.

Fu la rima araba e il “codice d’amore” inventati dagli arabi che attraverso l’Egitto, l’Africa, la Spagna, raggiunse la Provenza e l’Europa  ed essere divulgata dai nostri “trovatori”.

Anche i poemi erano scritti per essere letti ad alta voce, cantati ed erano anche conosciuti a memoria. Il califfo Hisham non ricordava bene un poema e chiamò a corte il poeta Hammad ar Rawiya (695-772) che gli recitò tutto il poema ed ebbe come ricompensa due schiave e cinquantamila dinar.

La “qasida” aveva inizio con una parte descrittiva,  con un preludio amoroso (“nasib”) con particolareggiata descrizione del cavallo, cammello, più spesso cammella, che doveva condurlo dalla persona amata o dalla persona alla quale la poesia era dedicata. Seguiva la descrizione del viaggio, con tutte le vicissitudini che esso comportava: il deserto con gli animali incontrati, i giochi, le cacce, i festini che rendevano meno gravoso il viaggio.

A questa parte descrittiva  (“wasf”), seguivano il vanto (“fahr”) e l’encomio  (“madih”) dello stesso poeta, della tribù o personaggio al quale la poesia era dedicata o, nel caso di un avversario o di un nemico, la satira (“higa”).

I temi erano quelli cari al beduino, in cui emergevano il rimpianto per le cose godute con l’amata o le donne, ai quali faceva da sfondo l’amore per la donna amata, sulle tracce dell’accampamento in cui l’innamorato la incontrava e che non esisteva più a causa della vita nomade.

Tutto era descritto con abbondanza di particolari in cui il poeta faceva sfoggio delle sue capacità tecniche, come la sabbia che bruciava sotto il sole o il sereno della notte stellata, gli animali del deserto quali il cavallo, il cammello, lo struzzo, la gazzella o il “qata” (specie di pernice del deserto).

Le poesie raccolte nelle “mu’allaqat”,  si ritenevano composte da un gruppo di sette-otto o dieci poeti, tra i quali Ibn  Abì Sulma Zuhayr considerato tra i più grandi rimatori pagani (precedenti alla predicazione di Maometto). Faceva parte, con il padre e il figlio, di tre generazioni di poeti. I suoi versi sono cosparsi di motivi sentenziosi ed esortativi o ammonitori.

Ibn Rabica Abu ‘Aqli Labid (660 c.a), anch’egli poeta pagano molto apprezzato dai contemporanei ed epigoni, tanto che una sua “qasida” venne compresa nelle sette “mu’allaqat” in cui era raccolto il meglio della poesia araba. Alcune delle sue composizioni descrivono scene del mondo animale, altre sono di impronta mistica.

Ibn Shaddad Antar, oltre che guerriero era poeta e rapsodo della tribù degli ‘Abs. Cantò la battaglia di al-Faruq in cui l’eroismo degli abbasidi salvò le donne dalla schiavitù. Divenne popolare tra gli eroi beduini arabi e fu protagonista del “Romanzo di ‘Antar”, cantato dai cantori popolari. L’originalità della sua poesia è quella dell’esordio amoroso (“nasib”), elemento obbligatorio della “qasida”, ma intercalato da versi descrittivi;

‘Antar, come il principe e poeta Imru’l-Qays ibn Hugr (530/40) apparteneva in particolare al gruppo dei “poeti del deserto”.  Imru era figlio del re di Kinda ed era stato bandito dal padre per la sua vita sregolata. Andò vagabondando, dedicandosi ai piaceri, fino a quando gli giunse la notizia che il padre era stato assassinato. Decise di vendicarlo, ma un primo tentativo non gli riuscì. Si recò quindi a Bisanzio dall’imperatore Giustiniano (v. I mille anni dell’impero bizantino), che pur avendolo bene accolto e promettendogli aiuto, non glielo diede. Imru se ne partì da Bisanzio, ma durante il viaggio fu ucciso, pare da agenti di Giustiniano al quale Imru avrebbe sedotto l’unica figlia (!).  

Le sue poesie mostrano il suo amore per la caccia, il vino, i piaceri, con uno sfondo di malinconia e d’infelicità.

Tra questi “poeti del deserto” si distinguono alcuni “solitari” che, insofferenti dei rapporti sociali, si allontanavano dalla tribù e vivevano in solitudine di caccia e razzie.

Un ritratto di questi disperati (sa’alik) era stato fatto da ‘Urwa ibn al-Ward (morto agli inizi del VII sec.). La loro vita selvaggia era stata descritta da Tabit ibn Giabir noto col soprannome di Ta’ab-bata sarram (colui che porta il male sotto l’ascella) e da as-Sanfara (vissuti nel VI sec.), loro compagni di scorrerie.

As-Sanfara è considerato autore (con molti dubbi di falsificazione posteriore) della “Laniyyat al’arab” poesia in rima, considerata la parte migliore della poesia araba.

In ambiente nomade si trovano anche delle poetesse come la famosa Tumadir detta al-Hansa (n. 560 c.a), che nei suoi versi raccontava dei fratelli uccisi.

Dai “poeti del deserto” sono da distinguere  i “poeti cortigiani”. Tra questi Tarafah ibn Abd al-Bakri (VI sec.), compositore fin dall’adolescenza; più avanti negli anni si era appassionato al gioco, al vino, agli amori, e fu anche guerriero. Ancora giovane fu ucciso dal re di Hira, Amr ibn Hind, presso la cui corte Tarafah viveva. E’ rimasta celebre e insuperata la sua “mu’allaqat”, con la descrizione della sua cammella, con versi dedicati anche al vino e ai piaceri. 

Il più celebre dei poeti preislamici e rivale di Imru ‘l-Qais, fu Ziyad ibn Mu’awiya noto come ad-Dubyani (VI sec.),  vissuto alla corte di Hira  il quale a seguito di una lite andò presso i gassanidi, rivali del monarca di Hira, per i quali Ziyad compose numerosi poemi  traendone immensi guadagni. Per questa sua venalità, di lui si diceva che: “fa un “nasib” quando è innamorato, calunnia quando è adirato, loda quando vuole, si scusa quando teme”.

Ancora più venale fu Maymun ibn Qays, conosciuto col soprannome di al-As’sa (il debole di vista) il quale peregrinando, vendeva le sue poesie nelle corti, nelle tribù e nelle fiere.

Originali sono le sue descrizioni di luoghi famosi andati in rovina, con la lirica rievocazione di fatti ad essi collegati.

Questa peculiarità è condivisa da un altro poeta arabo-cristiano, Adi ibn Zayd che era stato prima presso la corte del sovrano sasanide, poi era passato presso il re di Hira an-Ni’man ibn al-Mundir (580-602), dal quale fu fatto imprigionare e uccidere. Oltre alle poesie in cui canta la caducità delle cose umane, delle quali erano testimonianza le rovine di luoghi celebri, Zayd scrisse composizioni di “poesia bacchica” (hamriyyat), in cui si distinse anche il califfo al-Ualid II.  

In questo genere troviamo tra i poeti del periodo  successivo alla morte di Maometto, Muslim ibn al-Walid (803) con il contemporaneo Abu Nuwas al Hasan ibn Hani al-Hakami (747-806/13), favorito dei califfi Harun ar-Rashid e al-Amin, mentre cadde in disgrazia con il califfo al-Ma’mun. Nella sventura si consolò col vino e gli amori omosessuali. In seguito si dette all’ascetismo, per cui oltre alle poesie erotiche e composizioni bacchiche, scrisse poemi ascetici (zuhdiyyat).

E’ da ricordare infine, il poeta  Umayya ibn Abi s’Salt (630 c.a), il quale, oltre a temi di esaltazione dinastica, nelle sue composizioni aveva precorso princìpi enunciati da Maometto, che rappresentano la struttura dottrinaria dell’Islam. La qual cosa aveva fatto avanzare, da parte di alcuni studiosi, l’ipotesi che nella materia coranica fossero scivolati elementi della  poesia dell’epoca.

Il periodo in cui era vissuto Maometto, che non amava né i poeti né i loro inni all’amore, ai piaceri e al vino (il vino sarà proibito nel Corano), fu un periodo di stasi. Il risveglio seguì nella generazione successiva alla morte del Profeta, preparato dalla vita peccaminosa che si conduceva nelle città sante della Mecca e della raffinata Medina, divenuta centro mondano, dove confluivano letterati e poeti.

In queste due città, in seguito alle conquiste arabe, confluivano le ricchezze dei bottini di guerra, alimentate dall’affluire dei pellegrini. Il benessere e l’ozio favorivano la rilassatezza dei costumi. I nuovi ricchi costruivano ville con piscine e impiantavano case da gioco e di piacere.

Nei locali dove si gustava il vino di Siria, giungevano frotte di cantanti, ballerine e intrattenitrici provenienti dalla Grecia e dalla Persia. Vi erano anche dei salotti in cui primeggiavano donne come  Sukayna (735) famosa per la sua bellezza, figlia del martire al-Husayn, nipote di Alì (genero di Maometto). Sukayna era anche famosa per il gusto nel vestire , oltre ad essere famosa per le  burle, per la vivacità delle battute e per il suo salotto, in cui coltivava l’amore per la musica e la poesia.

Ebbe numerosi amanti e mariti tra i quali il fratello del califfo Omar II, del quale si raccontava che non fosse stato in grado di consumare il matrimonio…perché intimidito dalla sua bellezza.

Sua rivale e altrettanto bella e più giovane, era  ‘A’isha la cui madre era figlia di Abu Bakr e sorella dell’omonima ‘A’isha moglie di Maometto, la quale ebbe tre mariti e uno di questi,  Ibn az-Zubayr, era stato marito anche di Sukayna. Ad ambedue Zubayr aveva assegnato come dono di nozze una somma favolosa, pari a un milione di diram. Egli un giorno osò rimproverare ‘A’isha perché andava in giro col viso scoperto: lei gli rispose che il dono della bellezza le era stato dato da Allah, e lei la mostrava perché gliene rendessero grazie.

In questo periodo si afferma il genere “gazal” il canto dell’amore per l’amore, galante e sensuale, alle volte immorale, in cui eccelse Omar ibn Abi Rai’a (643-718) che passava il tempo  a corteggiare le giovanette che partecipavano ai pellegrinaggi o anche la stessa Sukayna, alle quali dedicava i suoi versi libertini e appassionati, senza però trascendere nella volgarità.

Cultori della satira e rientranti nella tradizione beduina, furono  al-Akhtal (640-710) un cristiano miscredente e ubriacone, con il contemporaneo al-Farazdaq, soprannome di Hamman ibn Ghalib (641-732/3 c.a) anch’egli dissoluto, tenutario di una casa di piacere a Medina, che  fu poeta di corte di Abd’al-Malik e dei suoi quattro successori. Definito vizioso, lascivo, crudele e vigliacco, autore di rime cortigiane e prezzolate, ebbe una produzione di versi satirici in cui non concedeva limiti all’indecenza e all’eloquio scurrile. Egli però ebbe una tal ricchezza lessicale da suscitare l’ammirazione di filologi arabi posteriori. Diede all’altro suo contemporaneo Giarir ibn Atiyya (732) lo spunto per una numerosa messe di versi, raccolti nella “Naqa’id”.

Presso i poeti beduini si era affermato il genere “nasib” in cui il poeta cantava lo struggente amore per l’amata, crudelmente separata. In questo genere emerse Giamil al-‘Udhri (n.701/2), perdutamente innamorato della compagna di tribù, Buthaynah a cui dedicò la maggior parte dei suoi versi. Gareggiò in gare di rima, con altri artisti presso principi e califfi.

Qays ibn al-Mulawwak (VIII sec.) fu protagonista di una storia d’amore descritta come  “al-Magnum Layla” (Il pazzo per Layla), parallela a quella di Giulietta e Romeo, di sette secoli dopo. Magnum si era innamorato di una fanciulla di nome Layla. Questa lo ricambiava ma dal padre fu data in sposa a un potente capo arabo. Magnum pazzo di dolore muove guerra al marito di Layla, ma inorridito dalla guerra se ne andò vagando nel deserto, cantando il suo dolore per l’amore perduto. Qui incontra Layla, rimasta vedova. La gioia dell’incontro è così violenta che dopo le prime effusioni i due  innamorati muoiono.

A Muawwak è attribuito un canzoniere erotico raccolto e commentato da Abu-Bakr al-Wali. La storia fu resa famosa in poemi persiani “Layla o Magnum”di Nizami ud-Din Ilyas Abu Mohammed (1140/1-1203/5); di Abd ur-Raman Giami (1414-1492; di Hatifi  (†1520/1) e Mohammed ben Suleyman Fuzuli (1560/2 c.a).

Seguono composizioni di genere vario, di Al-Ansari al-Hahwas (728/9), incontrastato campione della poesia erotica il quale trascorse la sua vita tra avventure amorose e disavventure procurategli dalla ostilità suscitata dalla sua smania di celebrare nelle  poesie donne dell’aristocrazia del suo tempo. Di Hammad al-Rawiya (722), “il tramandatore”, autore del genere “mu’allaqat”, (Le odi d’oro). Dei “Mufaddaliyyat” di Muffadal al-Dabbi (786). Dell’ “Hamasah” (Valore guerriero) di Abu Tamman Abib ibn Aws (804/6-846), oppure raccolte poetiche  tratte da citazioni in testi di filologia, storia, prosa letteraria, come il “Kitab as-si’r wassu’ara (Libro della poesia e dei poeti) di Ibn Qutayba (889). L’opera di Ahmad ibn Muhammad Abu Umar ibn ‘Abd Rabbihi, arabo spagnolo (860-940), conosciuta come “al-‘Iqd al-farid (La collana unica), antologia divisa in venticinque capitoli, in cui ogni capitolo porta il nome di una pietra preziosa. Il “Kitab al- agani” (Il libro dei canti) di Abu l’-Farag al Isfahani (897-967), che raccolse in   venti volumi le poesie che era di moda cantare ai suoi tempi, e musicate per la maggior parte dal celebre Ibrahim al-Mawsili sotto Harun ar-Rashid.                                                                                                            

Vi erano anche raccolte dedicate a singoli poeti, come “Il canzoniere” (diwan)  di  Abu’t-Tayyib al-Mutanabb, pseudonimo di Abu t-Tayyib Amud (905-965), che fu poeta presso le corti di Siria, Egitto e Persia e le sue poesie rivolte ai sovrani, inneggiano alle idee dell’antica generosità, fierezza guerriera e vita avventurosa nei deserti.

Poeta del pessimismo contrario ai dogmi (al-Luzuniyyat), il filologo e letterato  Abu l’-Ala’ al Ma’arri (973-1058), considerato poeta universale del dolore umano e del pessimismo, autore di “Risalat al-ghufran (L’epistola del perdono), giocosa parodia in prosa rimata, delle credenze dell’al di là e gustosa satira di poeti e grammatici, di dotti e letterati, in si è voluto scoprire una delle fonti della “Divina Commedia”.

Tra i tanti poeti arabi il più conosciuto in tutto l’Occidente è stato (ed è ancora) Omar Khayyam, il cui nome completo era Abu l’Fath Omar ibn Ibrahim al-Khayyami  (1126/1131), fanoso per le “Ruba-iyyat” (Quartine), filosofo, metafisico, astrologo e matematico,  insegnava ed era stato autore di opere in queste materie andate perdute.

Le sue famose “quartine” sono liriche di contenuto vario che inneggiano all’amore, al vino e sono anche di contenuto mistico che celano significati profondi, venati di pessimismo. Esse sono composte da due versi, ciascuno di due emistichi, quindi sono di quattro emistichi: di questi rimano il primo, secondo e quarto, il terzo è a rima sciolta.

Altri poeti arabi si sono susseguiti fino all’XI sec., cioè fino a quando il mondo arabo incomincia a passare sotto la dominazione turca (iniziata nel 962 con la conquista del Korasan), periodo in cui si apre una nuova fase della storia (tenendo comunque presente che l’espansione della cultura araba era continuata e si era protratta più a lungo dell’espansione territoriale), poeti che ricordiamo in questo studio, pur consapevoli della sua incompletezza.

Tra i più famosi del Magreb troviamo Ibn Rashìq (1063), autore di un manuale sull’arte poetica intitolato “al-Unda”, in cui aveva trasfuso quanto era stato scritto in Oriente e nel Magreb in questa materia. Ibn Rashiq aveva predisposizione per gli ozi letterari e per la vita gaudente piuttosto che per l’amministrazione statale in cui prestava servizio. Fu amico del contemporaneo  ibn Sharaf al-Qayrawani (1068), autore  di “A’lam al kalam” (conversazioni letterarie), col quale si trasferì in Sicilia a Mazara.

Alì ibn‘Gia’far ibn al-Qatta (1041-1121), arabo di Sicilia, antologista oltre che storico e filosofo. La sua opera antologica comprendente centosettanta rimatori arabi di Sicilia non ci pervenuta: Essa era stata riassunta in due suoi brevi compendi, anch’essi perduti,  che davano un quadro della poesia siciliana del sec. X e metà XI, che sarebbe stato interessante avere.

Altro poeta siciliano dello stesso periodo, Abd al-Giabbar ibn Abi Bakr ibn Hamdìs (1053/56-1133) il quale abbandonò l’isola dopo la conquista dei normanni Si recò a Siviglia presso la corte di at-Mu’tamid, lasciando un “diwan” (Canzoniere) di migliaia di versi che sono l’espressione sincera della sua vita trascorsa presso le corti in cui era vissuto, particolarmente di a-Mu’tamid al quale era legato da affetto, con notizie storiche e biografiche rilevanti, velate di nostalgia per la lontana Sicilia che avrebbe voluto riscattare ai normanni.

Arabo-spagnolo di Cordoba era Abu l-Walid Ahmad ibn Zaidun (1003-71) i cui componimenti contengono delicati motivi sentimentali e ricche descrizioni della natura,  ispirati dall’amore contrastato  per la principessa e poetessa Wallada.

Arabo-andaluso era invece Abd Al-Gabbar Abu l’Hasan ‘Alì ibn Bassam (1147), antologista che nella preziosa opera “Dhakhira fimabasin ahl al-Gazira” di valore storico-letterario, aveva raccolto un’abbondante quantità di materiale poetico con lunghi frammenti di opere andate perdute. Bassam coglie anche l’occasione di esaltare l’emirato Andaluso a svantaggio del califfato di Bagdad già in stato di disgregazione.

Anche arabo-andaluso fu il poeta Abu Bakr ibn Quzmàn (1160) che visse nelle corti di Badajoz, Cordoba, Siviglia e Granata. Fu il più qualificato rappresentante della poesia strofica (detta muwashshasha) e il maggior cultore di “zagal” (anch’essa strofica ma in volgare andaluso), che elevò da improvvisazione a esercitazione letteraria, molto importante  nello sviluppo della letteratura arabo-spagnola.

In queste composizioni prevale l’elemento erotico molto spinto, che va oltre i limiti della decenza, quello encomiastico, il frizzo e la polemica che trascende fino a diventare accusa infamante.

Lo studio del “zagal” è risultato importante per la ricerca del nesso tra il mondo arabo e il romanzo medievale.

Infine troviamo il poeta mistico Abu Hafs’Umar ibn Abul-Hasan’Alial Miri ibn al-Farid (1182-1235). Dopo aver vissuto al Cairo e Medina, ritornò al Cairo prendendo dimora nella moschea, di al Azhar. Compose un “Canzoniere” (diwan) con “qaside” dalle quali se ne distingue una, detta “at-tā iyyab al-kubra” con rima in “tā” (lettera dell’alfabeto arabo) in cui è trasfusa la sua dottrina mistico-filosofica.

Nello stesso periodo di al-Farid, troviamo Farid ad-Din ‘Attar, anch’egli poeta mistico (1229/30)il quale aveva avuto una abbondante produzione poetica a sfondo mistico (v. nel par. “Sette, mistici e monaci”,  Parte II).

FINE

I PARTE

continua...(seconda parte)

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