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SOMMARIO: LA NINFA EUROPA; LA CRISTIANITA'; L'IDEA UNIFICATRICE E L'ORGANIZZAZIONE DELLO STATO; VASSI E MISSI DOMINICI; LA RINASCENZA: LA LINGUA; ISTRUZIONE E RELIGIONE; L'ARTE ARCHITETTONICA; I MEZZI DI COMUNICAZIONE; MONETE PESI E MISURE; SVILUPPO DELL'AGRICOLTURA E SISTEMAZIONE DELLA PROPRIETA' FONDIARIALA: IL CATASTO; LA RIFORMA LEGISLATIVA: I CAPITOLARI; E GIURISDIZIONALE: LE ASSISE; E I TRIBUNALI; LA RIFORMA MILITARE; EPILOGO.
Europa, secondo
la mitologia greca, era una ninfa, figlia, per alcuni, di Fenice
e Perimene, per altri di Agenore e Telefassa. Giove l'aveva vista
mentre coglieva fiori e, preso dalla bellezza della fanciulla,
com'era suo costume, volle possederla. Per riuscire nella impresa
si trasformò in un bel torello, e, stendendosi ai suoi
piedi, la invogliò a salire in groppa. La ninfa così
invogliata salì sul torello: questi si avviò rapidamente
verso il mare, che si aprì al suo passaggio. La coppia
giunse così a Creta, dove Giove riprese le sue sembianze
e si accoppiò con la ninfa. Da questa unione nacquero Minosse,
Radamanto e Sarpedone (o Sarpedonte). La fanciulla, dopo che Giove
se n'era tornato sull'Olimpo, divenne sposa di Asterione, che
adottò i tre fanciulli, i quali, in seguito, divennero
famosi nella mitologia .
Nei suoi termini geografici l'Europa era per gli antichi un non
ben definito territorio a nord dell'Egeo, in contrapposizione
al Peloponneso. Successivamente, man mano che aumentavano le conoscenze
territoriali, questi termini si estesero, fino a comprendere tutte
le coste territoriali dal Mar Nero a Gibilterra ( Colonne d'Ercole).
Bisogna fare
un salto di qualche millennio per trovare una entità spirituale
e politica, estranea al mondo greco e a quello romano, con una
propria fisionomia alla quale si era dato prevalentemente il nome
di Cristianità. Questa definizione farebbe escludere
che nel periodo dell'impero carolingio ci fosse stato un qualche
riferimento a un impero europeo.
E' pur vero che l'idea dell'Europa in senso politico, cioè
come coscienza europea è maturata più tardi, ma
non si può disconoscere che essa sia iniziata con Carlomagno
che, pur non avendo avuto la chiara consapevolezza della costituzione
di una unità europea (i grandi non hanno mai l'idea
della grandezza delle loro realizzazioni, che vengono valorizzate
dai posteri), di essa ne aveva posto le basi. Se infatti con la
costituzione dell'impero non si era mai pensato o parlato in termini
di Regno o Impero d'Europa, ciò nondimeno si venivano ad
affacciare i primi riferimenti a Carlo come rex pater Europae
o Europae venerandus apex, che non erano riferimenti di
carattere strettamente geografico, ma geo-politico, in quanto
risultava per la prima volta unificato il mondo latino (cristiano)
e quello germanico.
Con la costituzione dell'Impero Carolingio, il centro di gravità,
che con l'Impero romano si trovava attorno al Mediterraneo, si
era spostato a Nord, venendosi così a creare tre blocchi,
con quello dominato da Bisanzio, e, l'altro costituito dall'Islàm.
Quest'ultimo, piuttosto sottovalutato dagli occidentali, aveva
dato una spinta vitale all'Occidente, secondo la tesi dello storico
Pirenne (1), il quale riteneva che a seguito della espansione
dell'Islàm (che aveva chiuso per tre parti il Mediterraneo)
sarebbe stata tale chiusura a determinare lo spostamento a Nord
del centro di gravità. Questa circostanza aveva dato una
spinta allo sviluppo dell'Occidente.
Abbiamo visto come a tutto il territorio sottoposto a Roma e a
Carlomagno, veniva dato il nome di cristianità.
Per Carlo, infatti, non vi era una netta distinzione tra Stato
e Chiesa ed essi non costituivano due corpi separati o subordinati,
ma la religione era parte della vita dello Stato e si identificava
col diritto canonico considerato la suprema norma civilistica.
Con la conseguenza che per Carlo si trattava di rispettare una
legge. Per questo motivo la religione costituiva la base della
società e l'elemento unificatore basato sulla solidarietà
e sulla unità.
1) Secondo Pirenne, Storia dell'Europa dalle invasioni al XVI sec.: <sans Mahomet, Charlemagne est enconcevable>, senza Maometto, Carlomagno è inconcepibile, nel senso che la spinta al progresso dell'Europa era stata data dalla conquista del Mediterraneo da parte dell'Islam.
La grande
idea di Carlo era stata quella della unità del regno,
(poi impero), che certamente non poteva essere considerato puro
e semplice ingrandimento territoriale. L'impero aveva una impostazione
amministrativa, giuridica ed economica centralizzata, ma, per
quanto riguardava l'apparato legislativo, aveva una struttura
che potremmo definire quasi-federativa: questa struttura
era completamente diversa da quella dell'impero romano che lo
aveva preceduto.
Infatti, la lex romana sostituiva immediatamente le leggi
dei territori conquistati, con una sola legge, quella romana.
Nell'impero carolingio ciascuna popolazione continuava ad avere
le proprie leggi e istituzioni con l'auctoritas concentrata
nella persona dell'imperatore. Vale a dire che Carlo lasciava
che le genti sottomesse continuassero ad avere le proprie leggi
e consuetudini, salvo ad emanare delle leggi di carattere generale
valevoli per tutti, i capitolari.
Il cardine dell'ordinamento giuridico era costituito dalla personalità
del diritto, nel senso che ogni popolo conservava l'uso della
propria legge nazionale, ma nel contesto unitario delle disposizioni
normative generali.
Una delle sue idee riformatrici di portata storica fu quella della
impostazione della struttura statale, che era stata poi
seguita nei secoli successivi.
L'intera organizzazione statale era basata su due fondamentali
divisioni:
1. Una riguardava l'organizzazione e l'ordinamento del
palazzo inteso come sede dell'amministrazione del governo
centrale.2. L'altra riguardava l'organizzazione dell'intero regno
(poi impero).
1. Il palazzo era così governato: Il re e la regina e la
nobile prole (in ordine di importanza) erano assistiti negli affari
spirituali e secolari da:
l' Apocrisario, (cappellano o custode di palazzo, una specie di Segretario di Stato). Era una carica ricoperta da un vescovo, ma preferibilmente da presbiteri o diaconi, per non togliere tempo al vescovo (dice il cronista) che si doveva occupare di altre funzioni. Egli aveva alle sue dipendenze tutto il clero di palazzo e di questo era il custode. Si occupava, inoltre, di tutto ciò che riguardasse la religione e la gerarchia ecclesiastica, monaci e canonici, e faceva in modo che arrivassero al re solo le questioni che non potessero essere risolte senza il suo intervento. Oltre ad amministrare il rituale religioso ed il cerimoniale, erano di competenza dell' apocrisario anche le questioni di carattere spirituale riguardanti tutti quelli che risiedevano a palazzo, ecclesiastici e secolari;
il Conte palatino
(fungeva da Ministro degli interni), che aveva numerosi incarichi
tra i quali le contese di ordine civile di competenza del re.
Esse venivano decise con l' equità e sulla base dell'equità
venivano risolti i giudizi errati. Se invece le questioni sottoposte
non erano contemplate dalle leggi secolari, si sottoponevano al
re che le decideva, o conciliandole o, se ciò non era possibile,
decidendole con saggezza ed equilibrio. La legge umana passava
in secondo piano per il trionfo della giustizia divina;
il Camerario, il
quale con la regina e dopo di lei, aveva il compito di occuparsi
del decoro del palazzo, degli ornamenti della regalità
e dei doni (obbligatori) dei vassalli, ad eccezione del cibo,
bevande e cavalli. I doni delle ambascerie erano di competenza
del camerario, a meno che, per ordine del re, non dovesse conferirne
con la regina;
il Siniscalco, che
si occupava di tutti i rifornimenti alimentari del palazzo, escluso
il foraggio e l' acqua per i cavalli;
il Connestabile,
che aveva cura degli spostamenti del re e, in accordo con il Siniscalco,
il compito di avvertire gli agenti reali sui luoghi dove avrebbe
soggiornato e sulla durata del soggiorno;
il Maestro degli alloggi,
che si occupava degli alloggi reali e anche degli spostamenti
del re unitamente al Connestabile ed al Bottigliere;
Quattro Cacciatori principali,
che si occupavano della caccia e provvedevano alla selvaggina
per la tavola del re. Avevano anche il compito di stabilire il
numero dei cacciatori che si dovevano tenere a palazzo e quanti
dovevano uscire a caccia, di provvedere al loro mantenimento e
di fissare il periodo di tempo in cui si sarebbero fermati in
una qualsiasi località. Essi dovevano determinare anche
il numero delle persone, cani e uccelli per ogni partita di caccia.
Vi era poi un Falconiere,
oltre all' Usciere,
al Tesoriere, al
Dispensiere (addetto
agli utensili di uso domestico): essi avevano alle loro dipendenze
altri funzionari iuniores o decani, assistiti dagli
Addetti ai cani, Guardacaccia, Cacciatori di castori e altri.
I funzionari di palazzo erano distinti in due categorie,
quella di ordine superiore e quella di rango inferiore, e l'organizzazione
era tale che anche i secondi erano in grado di sostituire i primi,
per cui il palazzo non era mai sguarnito di personale idoneo
ad affrontare qualsiasi problema si potesse presentare. Anche
quello di accogliere ambascerie, da qualunque parte provenissero.
Tutto doveva funzionare alla perfezione e si dovevano prevedere
anche casi in cui, dice il cronista, <giungesse a palazzo
qualcuno oppresso dalla solitudine, soffocato dai debiti, perseguitato
da calunnie e altre sofferenze che sarebbe troppo lungo enumerare,
in particolare le vedove e gli orfani, siano stati essi grandi
personaggi o individui comuni, ognuno che secondo le proprie necessità
e la propria condizione potesse fare appello alla pietà
e misericordia dei grandi, e avesse la possibilità per
loro tramite di far giungere le sue lamentele alle pietose orecchie
del principe>.
2. La seconda partizione era quella che si occupava del
mantenimento dell'ordine del regno.
a. Si era affermata la consuetudine, di tenere due assemblee all'anno.
In una di esse si stabiliva il governo di tutto il regno per l'anno
in corso. Questa assemblea risaliva all'epoca dei Merovingi ed
era quella dei martis campus, campi di marzo; da Pipino
(775) era stata spostata a maggio per praticità in quanto
in quel mese i campi erano pieni di erba e intorno agli accampamenti
i partecipanti avevano foraggio per i cavalli, e anche perché
la stagione era più propizia e non si andava incontro a
piogge; per ciò fu chiamata dei campi di maggio.
A queste assemblee partecipavano tutti i grandi personaggi, ecclesiastici
e laici, i più importanti per prendere le decisioni, i
meno importanti per ascoltare le decisioni prese e talvolta per
discuterle in modo da non aderire per costrizione, ma di propria
volontà e con intelligenza. In questa occasione si offrivano
i doni all'imperatore.
b. L'altra, quella dei placiti generali era tenuta tra
i signori e i più importanti consiglieri. In essa si discutevano
programmi per l'anno successivo, se la situazione era tale da
non dover prendere una decisione immediata e anticipata. (Queste
due assemblee sono approfondite nel paragrafo della riforma legislativa).
IL CONSIGLIO. L'imperatore, aveva un gruppo di consiglieri,
che venivano scelti tra chierici e laici; dovevano essere fidatissimi,
moralmente ineccepibili e <non fossero sensibili ai rapporti
di amicizia, a sentimenti di odio, alla parentela, ai doni, alle
adulazioni o ai risentimenti che li distogliessero dal loro dovere>.
Essi inoltre <non dovevano essere sofisti o astuti, né
sapienti, di quella sapienza per così dire mondana, ma
dovevano essere dotati di quella sapienza e intelligenza che fosse
in grado di tenere a freno o annullare chi potesse far ricorso
alla astuzia per raggiungere i suoi fini>. Questi consiglieri
(che formavano una specie di Consiglio dei ministri) discutevano
con l'imperatore gli affari (sui quali si doveva mantenere il
segreto), che poi sarebbero stati sottoposti al consenso generale.
A questo punto viene spontaneo chiedersi come avvenissero le assunzioni.
E' il cronista Incmaro a rispondere a questa legittima curiosità.
Per quanto riguardava l'assunzione dei funzionari, venivano scelti
tra funzionari di nobile animo. Vale a dire a tutta prova
di fedeltà che doveva essere cieca ed assoluta. Essi dovevano
essere intelligenti, discreti e sobri. Venivano reclutati da tutte
le parti del regno, su indicazione di quelli che a palazzo potessero
garantire per loro, con cui erano legati da vincoli di parentela
o da comuni origini etniche.
Poiché ogni funzionario gestiva se stesso, in quanto dipendeva
esclusivamente dal re, o alcune volte dalla regina o dalla prole
reale, poteva, nei limiti della sua competenza, e quando ve ne
fosse stato bisogno, richiedere l'aiuto di altri.
I futuri funzionari, invece, erano reclutati tra i paggi che dall'età
di quindici anni, o anche prima, venivano presi a Corte, e lì
allevati ed educati. A Corte essi trovavano l'ambiente che li
preparava a una mentalità che, al di là dei limiti
provinciali, li abituava a spaziare verso quella più ampia,
necessaria per l' amministrazione del multiforme impero.
Con questo spirito era stata realizzata l'Accademia (il nome era stato dato dai posteri, il termine più adatto sarebbe stato cenacolo), che raccoglieva uomini di cultura, dotti, ecclesiastici provenienti da tutta l'Europa e, nell'idea di una futura identità europea, era stata fondata la Schola Palatina (2) dove troviamo uomini prestigiosi come Teodulfo, d'Orleans, teologo e poeta (proveniente dalla Spagna), Paolino d'Aquileia, il poeta sassone Dungal il Sapiente, il grammatico Pietro da Pisa, lo storico longobardo Paolo Diacono, il filosofo e scienziato Alcuino, uno dei maggiori eruditi del tempo, che proveniva dalla scuola di York, il quale insegnava al suo re e imperatore, grammatica, retorica e astronomia e soprintendeva alla pubblica istruzione e infine Eginardo, suo segretario, autore della sua biografia.
2) In uno dei capitolari emanati da Carlo si legge: <Con vigile cura ci siamo adoperati per ricostruire l'Officina della scienza che la trascuratezza dei nostri predecessori aveva lasciato quasi deserta e noi invitiamo col nostro esempio, nel limite delle possibilità, a coltivare le libere arti>. Esse erano le arti del trivio che comprendeva grammatica, retorica, e dialettica e del quadrivio che comprendeva aritmetica, geometria, musica, e astronomia, vale a dire lettere e scienze.
Tutti questi
personaggi seguivano la Schola Palatina, alla quale veniva
preparata la classe dei funzionari imperiali, che allevati a corte
(nutritus), avrebbero percorso la carriera civile e militare.
I primi avrebbero raggiunto la carica di conti o marchesi (questi
titoli esclusivamente amministrativi, sarebbero successivamente
diventati nobiliari (per approfondire v. Blasoni, corone e nobiltà).
Tra costoro venivano scelti i missi dominici che in coppia (un
conte e un vescovo), viaggiavano per tutto l'impero, per sezioni
di territorio, ascoltavano le lagnanze, curavano l'immediata esecuzione
degli ordini del re, controllavano la applicazione delle leggi
e, terminato il loro compito, rientravano redigendo le loro relazioni.
Essi quindi, facendo da tramite tra il governo centrale e quello
locale, erano portatori di notizie e di nuove idee, dispensando
ovunque la saggezza dell'imperatore.
Per assicurare la loro indipendenza e impedire che ponessero radici
nel distretto da ispezionare (motivo di trasparenza!),
venivano scelti da altre parti e ogni volta veniva loro assegnato
un distretto differente. Non solo, ma essi non dovevano chiedere
(pretendere) alloggio né per sé né per i
propri cani sia presso altri dipendenti che presso estranei, e
non dovevano accettare doni, ma era consentito accettare solo
qualche bottiglia di vino, ortaggi, frutta, polli e uova.
Vi erano poi i vassi dominici, che erano i vassalli, alti
ufficiali sempre a disposizione del sovrano, in base a necessità
di ordine militare.
Il regno, che dopo il famoso Natale dell'800, diventerà
impero, era diviso in distretti che univano più
contee, oppure in marchesati, territori di confine, che Carlo
assegnava ai più fidati tra i nobili (e non solo a questi),
i quali poi sovrintendevano alla loro amministrazione.
Le assegnazioni di Carlo riguardanti vasti territori erano di
due specie, con due diverse funzioni. Vi erano le elargizioni
fatte alla Chiesa e quindi ai vescovi, a titolo perpetuo. Le assegnazioni
laiche, fatte a conti e marchesi, invece, erano a titolo di semplice
detenzione e amministrazione per conto del sovrano, quindi temporanee,
con possibilità di restituzione al sovrano in qualsiasi
momento.
E' questo l'elemento distintivo del periodo carolingio dal
feudalesimo (3) che si svilupperà dopo la morte di
Carlo con la spartizione dell'impero tra i suoi discendenti. Mentre
il primo era caratterizzato dalla detenzione del feudo
a titolo personale e vitalizio, durante il feudalesimo il feudo
diventò perpetuo e trasmissibile in via ereditaria.
3) Il feudalesimo. Fu quel fenomeno di carattere economico, politico e militare che ebbe inizio con il capitolare di Kiersy (877) in base al quale Carlo il Calvo concesse ai vassalli l'immunità con cui i feudi maggiori divennero ereditari. Esso andò sviluppandosi con il disfacimento dell'Impero che si frantumò completamente con la deposizione alla dieta di Tribur (887) di Carlo il Grosso (l'ultimo dei re carolingi). Da questo disfacimento nacquero i nuovi Stati indipendenti (Germania, Francia, Provenza e Borgogna, Italia, Spagna ). Carlomagno morì nell'814 e l'impero si frantumò settant'anni dopo!.
Il periodo
del regno di Carlo è stato considerato di vera e propria
rinascenza, in quanto si era data una forte spinta agli
studi della lingua, alla riforma religiosa, all'arte architettonica,
e non solo. Essa progredirà nei secoli successivi. Furono
resi più spediti i mezzi di comunicazione e fu data una
spinta allo sviluppo dell'agricoltura, del commercio e dei traffici,
con riforme per le monete, pesi e misure, e nel campo legislativo,
giudiziario e militare. Insomma, secondo Eginardo, Carlo si era
preoccupato non solo di ingrandire, ma di rendere più splendido
l'impero.
P er quanto
riguarda gli studi, tra le grandi idee unificatrici di Carlo,
nel periodo del basso impero, si era prestata una particolare
attenzione al latino. Questo si era andato volgarizzando,
soppiantato dalla vulgaris lingua, cioè dalla lingua
parlata dal popolo, quella che poi sarebbe sfociata nelle lingue
nazionali (si parlava il germanico nelle province di frontiera,
altrove il latino nella forma delle lingue romanze:
francese, provenzale, romancio, spagnolo, portoghese, italiano).
Carlo aveva pensato di rivalutarlo come lingua internazionale
(egli stesso lo parlava correntemente) e quindi come mezzo di
comunicazione, per tutta l'amministrazione dell'impero. Tutte
le sue disposizioni erano in latino ed erano richieste risposte
in latino. Egli aveva a tale scopo incrementato non solo la diffusione
delle scuole, ma anche la produzione libraria da parte degli amanuensi.
La parola scritta sarà uno degli strumenti della politica
di Carlo. Essendosi reso conto che i manoscritti erano scritti
male ed erano diventati pressoché indecifrabili, e occorreva
pertanto una scrittura più leggibile, egli promuoveva ancora
un'altra riforma, quella della scrittura, che verrà indicata
come <minuscola carolina> : è una scrittura
più chiara di quella precedentemente adottata e nel XV
secolo darà origine al nostro alfabeto stampato.
Questa innovazione porta al rinnovamento della produzione libraria.
Gli amanuensi ricopiano e correggono in quel periodo così
tanti manoscritti che alla sua morte Carlo lascia un patrimonio
di ottomila testi del sapere umano, in particolare di autori latini
che, studiati in tutto il medioevo, si sono salvati e sono quindi
giunti fino a noi.
4) La vulgaris lingua era in contrapposizione alla barbara lingua che era quella parlata dalle popolazioni germaniche e che genericamente venne indicata come theutisca-todesca. Su questo termine vi sono parecchie incertezze in riferimento alla specifica lingua alla quale essa si riferiva. Sta di fatto che il termine venne usato per la prima volta dall'annalista Flodoardo, il quale scriveva che al concilio di Ingheleim (948) una lettera dell'arcivescovo di Reims per il papa venne tradotta nella theotisca lingua. Non tutte le popolazioni germaniche parlavano la stessa lingua: il sassone, poi anglo sassone, era diverso dal francone o da quella dei goti ecc.
Carlo intendeva
liberare la religione dalla superstizione, disciplinarla e definire
dogmi e riti che avevano conosciuto le più assurde aberrazioni,
sottomettendola a regole prestabilite. In ciò Carlo non
ottenne risultati, nel senso che la riforma della Chiesa e del
clero, che egli aveva operato, aveva avuto carattere effimero.
Dopo la sua morte, nel secolo successivo tutto tornò come
prima.
Ma un principio era stato affermato, quello che la religione e
la Chiesa erano sotto la sua protezione, per cui il Papa era a
lui sottoposto nel caso della difesa della religione.
Egli aveva inoltre riformato la liturgia. Reintroducendo il sacramentario
romano (790) e proibendo gli usi del rito anglicano, sostituiva
il canto gregoriano al canto ambrosiano. Il fatto che dal Nord
della Gallia fino al sud dell'Italia si cantassero gli stessi
salmi, anche se poteva essere considerato prova della genuinità
della fede, era senz'altro un elemento unificante:
<si formino scuole di ragazzi istruiti...si sottopongano
ad accurati emendamenti i salmi, le note, il canto, i calcoli
matematici, la grammatica e i libri cattolici... spesso alcuni
pregano male perché i libri non sono corretti. E non permettete
che i vostri allievi, leggendo o scrivendo, alterino il testo;
se fosse necessario scrivere un vangelo, un salterio, un messale,
il compito sia affidato ad uomini di età matura che vi
si dedichino con ogni diligenza> (Admonitio generalis, 789).
Perché studiare i salmi e il canto? Il fine non era esclusivamente
religioso. Studiare i salmi significava imparare a leggere. Studiare
il canto significava apprendere le note musicali che corrispondevano
alle c. d. note tironiane, che costituivano la stenografia
dell'alto medioevo (5) e significava preparare gli studenti alla
professione di notaio nell'amministrazione statale.
Vi era quindi una simbiosi tra religione e istruzione che era
affidata alle gerarchie ecclesiastiche e che a partire dal 787
era stata resa obbligatoria per le Scuole episcopali e monastiche,
statuendosi che i capi delle diocesi e delle abbazie dovevano
vegliare oltre che sulla formazione religiosa e morale degli alunni
anche sulla loro formazione letteraria. Un altro capitolare
fa riferimento a coloro che servono lo Stato, non in battaglia,
ma con la cultura e con l'insegnamento delle lettere e delle arti.
I missi dominici avevano anche in questo caso il compito
di vigilare sulla condizione delle scuole nelle diocesi che andavano
a ispezionare. Rinnovando le prescrizioni (789) sull'apertura
obbligatoria di una scuola, Carlo raccomanda di non limitare l'istruzione
alle basse classi sociali, ma di estenderla ai figli delle famiglie
agiate.
Questa disposizione fa meravigliare, ma in quell'epoca i
ricchi erano i più refrattari allo studio al punto che
il clero delle campagne si reclutava quasi esclusivamente tra
i figli dei servi. E siccome non vi è scuola o insegnamento
senza esami, nell'800 (De examinandis ecclesiastici) istituisce
gli esami per gli ecclesiastici, con la conseguenza che l'ordinazione
e l'avanzamento dei chierici si verificava sulla base del loro
sapere. Se l'esito dell'esame non era positivo, l'esaminando rimaneva
bloccato nella carriera fino a quando non superava l'esame. In
questo esame ovviamente l'istruzione religiosa era fondamentale,
ma questa era completata da quella di cultura generale. Questo
perché l'allievo oltre che essere prete (con o senza voto)
diventava anche maestro.
E' in questo periodo che nasce la polifonia, che da una iniziale
rozzezza andò man mano perfezionandosi fino a raggiungere
il periodo di splendore nel XV e XVI secolo.
Vi era un aneddoto che circolava sull'atteggiamento di Carlo con
gli studenti, riportato nel racconto di Notcaro di s. Gallo (detto
il balbulo per distinguerlo dal suo omonimo detto il labbrone).
Due Scoti (scozzesi) incomparabilmente eruditi nelle lettere,
giunti sulle coste della Gallia, raccontavano in giro che mettevano
a disposizione la loro sapienza e lo ripetevano di luogo
in luogo. La notizia giunse a Carlo, il quale li convocò
per sapere come mai offrivano la sapienza. Noi, risposero i due,
la possediamo e siamo disposti a cederla. Carlo li prese a palazzo.
Dovendo poi partire affidò a uno di essi, di nome Clemente,
dei ragazzi sia di nobile che di media e povera stirpe. Dopo molto
tempo Carlo rientrando volle che gli presentassero i fanciulli
per rendersi conto dei loro progressi. I ragazzi di bassa estrazione
dimostrano, al di là di ogni aspettativa, di aver fatto
tesoro degli insegnamenti. Quelli di nobile nascita, avevano dato
risposte poco interessanti e piene di futilità.
Carlo elogiò i primi dicendo loro di continuare e lui gli
avrebbe dato <vescovadi e monasteri magnifici e sempre sarete
meritevoli d'onori ai miei occhi>. Rivolgendosi agli altri
li redarguì: <voi nobili figli di grandi del regno
delicati e bellini, confidando nella vostra nascita e nella vostra
ricchezza avete trascurato lo studio delle lettere, avete preferito
indulgere alla lussuria, al gioco, all'ozio e alle occupazioni
futili
non m'importa della vostra nobiltà e della
vostra bellezza anche se altri vi ammirano, siate consapevoli
di questo, se non porrete riparo alla vostra negligenza non vi
conquisterete mai il favore di Carlo>.
L'aneddoto, ripetutamente riferito, gonfiato dai canoni retorici
del tempo, nella sua essenza potrebbe risultare veritiero.
5) Consistevano nel mettere sulla parola degli inni o dei salmi dei piccoli riquadri di note, le cui code si stendevano in alto e in basso. I ragazzi, cantando, scolpivano le sillabe e i chierici facevano il basso. L'armonia era perfetta e l'imperatore andava in estasi, anche perché questi cori erano per la prima volta accompagnati dall'organo, che, sconosciuto ai Franchi, era stato regalato a Carlo dall'imperatore di Bisanzio. Altra novità giunta dall'Oriente era l'orologio meccanico, che il califfo di Bagdad aveva mandato all'imperatore. Altro regalo era stato il famoso elefante che Carlo portava sempre con sé durante le guerre.