PARTE PRIMA
Il concetto di anarchia è molto vago e contiene diverse
sfumature alle quali bisogna collegarsi per analizzarlo nel suo
complesso. I molti filoni in cui essa si divide, possono darci
un quadro abbastanza fedele della <vera anarchia>, ovvero
<dell'assoluta assenza di leggi e di forme di governo>.
C'è tuttavia un nucleo fondamentale comune a tutte le correnti
in base al quale si può definire l'anarchia <come un
programma politico il cui scopo è quello di eliminare il
controllo sugli uomini in modo tale da mettere in evidenza la
piena libertà dell'individuo sotto l'aspetto giuridico,
economico e sociale>.
La società anarchica vuole basare la propria esistenza
politica e sociale su aspetti e convenzioni spontanee tra uomini
liberi aventi gli stessi diritti. La premessa necessaria per la
realizzazione di una siffatta condizione è l'abolizione
dello Stato e di ogni forma di governo.
Abbiamo così isolato uno dei più piccoli scopi dell'anarchia.
Dobbiamo ora chiederci come ha fatto un programma politico a trasformarsi
in ideologia e a risultare accettabile da tutti gli strati della
popolazione, visto che risulta essere diametralmente opposto al
concetto tradizionale che gli uomini hanno della loro vita comunitaria.
Nessuna teoria politica o sociale nasce così, dal nulla.
Essa presuppone dei nessi con il mondo nel quale si sviluppa,
si può affermare che è proprio nella società
capitalistica che l'anarchia nasce, si sviluppa e prospera. Ciò
la lega al socialismo; ma qui terminano le cose in comune. Perché,
contrariamente a quello che comunemente si pensa, socialismo e
anarchia sono diversi come il giorno dalla notte e si contrappongono
come l'acqua al fuoco.
Bisogna innanzitutto analizzare in quali termini la nascita e
la diffusione dell'anarchia hanno a che fare con il capitalismo
che oggi costituisce il fondamento del nostro modo di vivere economico,
politico e sociale.
Il sistema economico e giuridico liberale-capitalistico, produce
da una parte un accumulo di poteri e di capitali e quindi una
totale indipendenza; dall'altra, sempre più spesso, disoccupazione,
povertà, mancanza del minimo necessario e totale dipendenza.
E' pertanto evidente che l'offerta eccessiva di beni di consumo
di tutti i tipi, di capitali, di mezzi di produzione e di capacità
di produzione, non hanno fatto che provocare un profondo stato
di povertà di massa proprio nella fiorente epoca del capitalismo.
E' stata quindi la miseria a spingere alla lotta sociale e alla
violenza di massa, soluzioni sconosciute alle società pre-capitalistiche.
Naturalmente anche nelle società pre-capitalistiche dominava
una profonda miseria. Evidentemente, non sono da prendere in considerazione
i regolari e ciclici periodi seguenti una guerra, una catastrofe
naturale o un'epidemia, ma quei periodi per così dire di
<naturale> crisi economica.
Tutti gli strati della popolazione ne risultavano colpiti, o quasi
tutti. Dispense vuote, magazzini vuoti, granai vuoti e portafogli
vuoti, eccone le caratteristiche.
La miseria pre-capitalistica era la conseguenza dell'impossibilità
di risolvere il problema della produzione dei beni alimentari
e di quelli di consumo. Era quindi un problema di produzione.
Si trattava o di migliorare gli attrezzi da lavoro con i quali
soddisfare la continua richiesta di beni alimentari o di altri
importanti prodotti indispensabili per il fabbisogno giornaliero.
Bisognava scoprire nuovi metodi per coltivare la terra per ottenere
un raccolto più abbondante. In altre parole, la miseria
delle società pre-capitalistiche era dovuto all'insolubile
problema costituito dal divario tra il fabbisogno giornaliero
e la capacità di produzione dell'epoca.
La situazione è ancora così in quelle parti del
mondo non contaminate dalla rivoluzione industriale e dall'imperante
capitalismo. Per queste zone si parla quindi di mancanza di mezzi
produttivi, di affamati, di infreddoliti, per le zone in cui vige
il capitalismo, si parla di super-produzione in grado di soddisfare
tutte le esigenze materiali, ma di insufficiente distribuzione
dei mezzi finanziari indispensabili all'acquisto dei beni.
Gli anarchici sono convinti che nel mondo capitalista i ricchi
diventano sempre più ricchi e i poveri si impoveriscono
sempre più. Questi ultimi sarebbero inevitabilmente condannati
a un futuro di perenne imperialismo (schiavitù sociale).
Essi si accingono quindi a rovesciare questa odiata condizione
finanziaria e chi l'ha prodotta: il sistema statale. Sono anche
disposti a fare a meno della funzione di tutela esercitata da
ogni singolo governo. Proprio come i socialisti, ma con un diverso
scopo finale, con una visione completamente diversa per quel che
riguarda la posizione dell'individuo nella nuova società
troppo produttiva.
Al centro della filosofia sociale anarchica c'è l'individuo.
Al centro di quello socialista, invece, la massa dei lavoratori,
la società. I socialisti lottano contro lo Stato borghese
e capitalista per imporne un altro, socialista. Gli anarchici
lottano contro lo Stato in generale. L'anarchia pretende la libertà
personale a qualsiasi prezzo. I socialisti antepongono, in linea
di massima, l'interesse generale a quello del singolo individuo.
ENRICO MALATESTA:
<Siamo contro ogni forma di governo
se aspettate che un
governo vi dia la vostra libertà, la perderete per sempre>
Uno dei primi anarchici della nostra epoca, l'italiano Enrico
Malatesta, nell'ultimo grande congresso anarchico di Londra (1897)
si è così espresso: <Siamo contro ogni forma
di governo, anche contro quello socialista. I gendarmi di Bebel
(August-Friederich), Liebknecht (Wilhelm) e Jaurès (Jean,
esponenti socialisti di orientamento marxista ndr), rimangono
pur sempre dei gendarmi. Chi li comanda sarà sempre in
grado di reprimere e massacrare il proletariato. Pertanto non
vogliamo dare a nessuno quel potere, né a i socialisti,
né a noi stessi. Perché nessuno in quella posizione
riesce a non trasformarsi in una canaglia
Liberatevi da soli
organizzando le vostre forze e sarete liberi! Ma se aspettate
che un governo vi dia la vostra libertà - siate voi dei
cittadini qualunque o dei socialisti - allora la perderete per
sempre!>.
Ma come funzionerebbe il mondo anarchico? Per funzionare funzionerebbe,
seguendo il volere di chi lo ha progettato, e, forse, sarebbe
anche migliore di quello che abbiamo noi oggi. Come è stato
progettato? Da chi? Chi renderà felice?
Occorre innanzitutto abbandonare il pregiudizio politico che vuole
che il programma dell'anarchia si esaurisca solo in attentati
dinamitardi e in omicidi. I padri delle teorie anarchiche erano,
in realtà, dei pacifici pensatori sociali e dei rappresentanti
di una radicale riforma sociale graduale e pacifica. Solo molto
tempo dopo arrivò la propaganda dell'azione. Da quel momento
in poi alcune correnti dell'anarchia hanno percorso solo la strada
della violenza e degli assassinii.
WILLIAM GODWIN:
<Governare significa controllo e violazione dei diritti del
singolo, gestione delle sue attività e dei suoi pensieri>
Nato nel 1756, era figlio di un pastore anglicano anch'egli
pastore come il padre. Era fermamente convinto che gli uomini
avessero una predisposizione naturale ad essere buoni. Diventavano
però asociali, immorali, cattivi e meschini quando venivano
a contatto con le istituzioni politiche e sociali. Egli diventò
il primo teorico dell'anarchia, influenzato da Jean Jaques Rousseau.
La sua idea di base dell'<uomo buono> che veniva depravato
da un sistema esterno, falso e artificiale, diventò il
punto di partenza di quasi tutti i futuri filoni di pensiero anarchici.
Nel suo libro <Indagini sui principi della giustizia politica
e sua influenza sulla virtù e felicità generali>
pubblicato nel 1793, Godwin non fa altro che auspicare l'abolizione
di tutte le leggi e di tutte le forme di governo. Per lui, come
cento anni dopo per Malatesta, anche il miglior governo è
collegato con la tirannia. <Governare significa controllo e
violazione dei diritti del singolo, gestione delle sue attività
e dei pensieri, azioni che sono contrarie alla predisposizione
di base tipica degli uomini nel loro stato primordiale>.
Al posto di una forma di governo, Godwin pensa a una sorta di
<cooperativa sociale>. La sua funzione fondamentale dovrebbe
essere la coordinazione e la tutela nel caso in cui dovesse essere
minacciata dall'esterno. L'altro suo compito dovrebbe essere la
vigilanza sull'intera comunità in modo tale da evitare
che un suo componente possa essere trattato male o possa venire
oppresso. Infine, dovrebbe decidere riguardo a controversie e
a delitti, attraverso la nomina di una giuria popolare. La cooperativa
non deve essere investita di nessun potere coercitivo. Tutto si
deve basare sul libero accordo.
Le decisioni della giuria non si basano su delle leggi, le leggi
non servono. Chi ha commesso un delitto non verrà punito,
ma ammonito pubblicamente e gli sarà intimato di tornare
sulla strada della virtù. Godwin è infatti convinto
che un tale ammonimento porterebbe grandi risultati. Il colpevole
non vorrebbe più essere esposto al disprezzo pubblico e
si pentirebbe esattamente come se fosse stato punito nelle società
tradizionali.
Nell'anarchia altamente morale di Godwin non c'è controllo
sulla proprietà, eccezion fatta per il diritto di successione.
Come figlio delle correnti liberistiche, egli credeva che l'indipendenza
economica fosse garanzia di libertà e di moralità
per il singolo e per la società. La proprietà è
uno dei presupposti per la realizzazione delle sue idee. Godwin
affermava che in un mondo senza obblighi e senza vizi, le forti
differenze economiche si sarebbero eliminate da sole e ne sarebbe
risultata una equa divisione di beni.
Per concludere, per Godwin l'anarchia non era caos, ma ordine.
Ordine basato sulla reciproca condiscendenza e sulle comuni convinzioni.
Egli aveva precorso i tempi con le sue teorie. Fu dimenticato
e l'anarchia divenne cinquant'anni dopo, nell'impetuosa epoca
della industrializzazione, un movimento politico.
PIERRE JOSEPH PROUDOHON:
<La proprietà è un furto
proprietari si
diventa lavorando
chi non lavora non ha bisogno di mangiare>
Elaborò l'ideologia anarchica più nuova ed
entusiasmante. Nato nel 1809 a Besançon, figlio di un manovale,
anch'egli manovale e autore, era autodidatta che in breve lasso
di tempo riuscì a farsi un quadro esauriente delle complicate
correnti di pensiero della sua epoca e una conoscenza di alcune
lingue viventi e morte.
Nel 1840, dopo tre anni, perse il posto all'Accademia di Besançon,
quando presentò uno scritto polemico <Che cos'è
la proprietà?> formulando così la domanda di
una frase molto in voga durante la rivoluzione francese, ovvero
<La proprietà è un furto!>. Il testo venne
requisito dalle autorità e fu causa di lunghe seccature
per gli organi di vigilanza. Tuttavia permise al suo autore di
diventare famoso, non solo nella sua città natale, ma anche
in tutta la Francia. Prudhon non era favorevole all'abolizione
della proprietà privata, come invece potrebbe far supporre
il titolo dell'opera. Anzi. La sua anarchia voleva rendere tutti
gli uomini proprietari. Proprietari si diventa lavorando.
Quello che lui definiva furto era la grande proprietà e
la ricchezza proveniente dal capitale, dalle tasse, dal profitto
commerciale e dalle eredità.
La sua concezione di una politica economica veramente sociale
culminava nello scambio, senza uso del denaro, di tutti i prodotti
dei generi alimentari e dei beni di consumo.
Per quel che riguarda il concetto di organizzazione della società,
Proudhon difende l'opinione in base alla quale l'umanità
nelle sue prime epoche culturali avrebbe commesso un fatale errore
ogniqualvolta aveva fatto ricorso alla <costituzione politica>
per risolvere i problemi sociali, vale a dire ogniqualvolta era
ricorsa a quella che viene definita <autorità statale>.
Se invece si fosse indirizzata alle cosiddette <costituzioni
sociali>, si sarebbe usciti dalla crisi senza il pericoloso
principio dell'autorità statale, senza i suoi rappresentanti
e senza leggi. Ciò avrebbe risparmiato e risparmierebbe
in futuro all'umanità quegli spargimenti di sangue provocati
dalla lotta fra poteri religiosi e poteri statali, di cui è
piena la nostra storia millenaria.
La <costituzione sociale> è l'unico sistema adatto
al naturale modo di essere uomini. E' differente dallo Stato costituito,
che non riuscirebbe ad esistere senza leggi, obblighi, forza e
oppressione. Se permettessimo che questa economia politica si
espandesse liberamente, noteremmo che essa progredirebbe in perfetto
accordo con gli interessi umani. Nessuno potrebbe nuocerle o favorire
una forma di organizzazione illegale. Libero da ogni tensione
economica e sociale, maturerebbe un mondo pacifico e organico,
nel quale sarebbero impensabili i contrasti e nel quale la libertà
del singolo raggiungerebbe una dimensione mai vista prima.
Proudhon vuole arrivare all'anarchia senza ricorrere alla rivoluzione,
ma attraverso la graduale trasformazione delle condizioni economiche
in base alla idea dello scambio di beni senza l'uso del denaro.
I soldi e le tasse sono infatti la causa di tutti i mali dell'umanità.
Grazie ai soldi e alle tasse, la massa dei poveri, la maggior
parte della popolazione del mondo, viene oppressa e ridotta schiava
del capitale. Il capitale aumenta, compra lo Stato, oppure nasce
lo Stato capitalista e il circolo vizioso è chiuso.
Al capitale Prudhon contrappone il lavoro, filo conduttore della
sua politica sociale ed economica. E' il necessario presupposto
dell'esistenza dei singoli e della società libera. Il significato
morale e pratico, che Proudhon attribuisce al lavoro, costituirà
uno dei pilastri dei successivi filoni di pensiero anarchici.
<Chi non lavora non ha bisogno di mangiare!>. Il pensiero
del filosofo francese deriva direttamente dalla sua concezione
puritana riguardo al lavoro.
In base alla concezione di Prudhon, il valore di un prodotto è
direttamente proporzionale al lavoro impiegato per la fabbricazione
dell'oggetto in questione. Sarebbe stato quindi calcolato in base
ad accordi liberi. Per la vendita, la merce viene valutata in
base al valore del lavoro che contiene. Le materie prime non hanno
alcuna importanza, perché nella società anarchica
appartengono a tutti o a nessuno. Con questa rivoluzionaria riorganizzazione
della vita economica, Proudhon intravede la garanzia fondamentale:
non sarà mai possibile che il patrimonio di tutte le persone
si accumuli nelle mani di pochi. E' con l'introduzione del valore
del lavoro che si riesce ad abolire <l'anomalia dei prezzi>
registrata ripetutamente nelle epoche passate. Inoltre la proprietà
non sarà più un furto. Nessuno, compratore o venditore,
potrà imbrogliare l'altro con questo sistema di scambio
di beni.
L' idea di società anarchica, senza la tutela dei doveri
delle leggi statali, si concretizza con l'istituto pubblico della
<banca di scambio>.
Questa banca che esercita le sue funzioni senza alcun tornaconto
e che ha filiali in tutte le città e in tutti i comuni,
deve essere intesa come un grande deposito di merci, dove i produttori
di generi alimentari, di beni di consumo, di attrezzi, di macchine
e di oggetti d'arte, fanno confluire i loro prodotti che vengono
acquistati da chi è interessato. Tutte le merci che si
trovano nella banca, in base ai principi di Proudhon, hanno un
prezzo fissato in base al lavoro impiegato per costruirle. Invece
del denaro il produttore riceve un buono. Con esso può
acquistare, entro un certo periodo di tempo, ciò che gli
serve o ciò che desidera avere: l'acquisto può avvenire
presso la banca che ha emesso il buono o presso una qualsiasi
altra filiale. Attraverso il sistema dei buoni la banca è
in grado di garantire a tutti i lavoratori un rapido smercio dei
loro prodotti. Ogni sistema di credito basato sugli interessi
viene contemporaneamente eliminato.
Prudhon non si era limitato ad esprimere questa teoria, ma l'aveva
messa in pratica fondando una banca di scambio a Parigi. Egli,
nel clima di cambiamento verificatosi dopo il 1848, riuscì
a raccogliere in pochissimo tempo più di dodicimila partecipanti
al suo progetto. Ma, prima che la sua idea potesse diventare attiva,
venne condannato a diversi anni di carcere per diffamazione nei
confronti della Repubblica e l'impresa fallì.