L'anarchia è come il cristianesimo.
Più si perseguita, più anarchici ci saranno*

 

ANARCHIA*

a cura di Michele Puglia

PARTE PRIMA

 

Il concetto di anarchia è molto vago e contiene diverse sfumature alle quali bisogna collegarsi per analizzarlo nel suo complesso. I molti filoni in cui essa si divide, possono darci un quadro abbastanza fedele della <vera anarchia>, ovvero <dell'assoluta assenza di leggi e di forme di governo>.
C'è tuttavia un nucleo fondamentale comune a tutte le correnti in base al quale si può definire l'anarchia <come un programma politico il cui scopo è quello di eliminare il controllo sugli uomini in modo tale da mettere in evidenza la piena libertà dell'individuo sotto l'aspetto giuridico, economico e sociale>.
La società anarchica vuole basare la propria esistenza politica e sociale su aspetti e convenzioni spontanee tra uomini liberi aventi gli stessi diritti. La premessa necessaria per la realizzazione di una siffatta condizione è l'abolizione dello Stato e di ogni forma di governo.
Abbiamo così isolato uno dei più piccoli scopi dell'anarchia.
Dobbiamo ora chiederci come ha fatto un programma politico a trasformarsi in ideologia e a risultare accettabile da tutti gli strati della popolazione, visto che risulta essere diametralmente opposto al concetto tradizionale che gli uomini hanno della loro vita comunitaria.
Nessuna teoria politica o sociale nasce così, dal nulla. Essa presuppone dei nessi con il mondo nel quale si sviluppa, si può affermare che è proprio nella società capitalistica che l'anarchia nasce, si sviluppa e prospera. Ciò la lega al socialismo; ma qui terminano le cose in comune. Perché, contrariamente a quello che comunemente si pensa, socialismo e anarchia sono diversi come il giorno dalla notte e si contrappongono come l'acqua al fuoco.
Bisogna innanzitutto analizzare in quali termini la nascita e la diffusione dell'anarchia hanno a che fare con il capitalismo che oggi costituisce il fondamento del nostro modo di vivere economico, politico e sociale.
Il sistema economico e giuridico liberale-capitalistico, produce da una parte un accumulo di poteri e di capitali e quindi una totale indipendenza; dall'altra, sempre più spesso, disoccupazione, povertà, mancanza del minimo necessario e totale dipendenza.
E' pertanto evidente che l'offerta eccessiva di beni di consumo di tutti i tipi, di capitali, di mezzi di produzione e di capacità di produzione, non hanno fatto che provocare un profondo stato di povertà di massa proprio nella fiorente epoca del capitalismo.
E' stata quindi la miseria a spingere alla lotta sociale e alla violenza di massa, soluzioni sconosciute alle società pre-capitalistiche.
Naturalmente anche nelle società pre-capitalistiche dominava una profonda miseria. Evidentemente, non sono da prendere in considerazione i regolari e ciclici periodi seguenti una guerra, una catastrofe naturale o un'epidemia, ma quei periodi per così dire di <naturale> crisi economica.
Tutti gli strati della popolazione ne risultavano colpiti, o quasi tutti. Dispense vuote, magazzini vuoti, granai vuoti e portafogli vuoti, eccone le caratteristiche.
La miseria pre-capitalistica era la conseguenza dell'impossibilità di risolvere il problema della produzione dei beni alimentari e di quelli di consumo. Era quindi un problema di produzione. Si trattava o di migliorare gli attrezzi da lavoro con i quali soddisfare la continua richiesta di beni alimentari o di altri importanti prodotti indispensabili per il fabbisogno giornaliero.
Bisognava scoprire nuovi metodi per coltivare la terra per ottenere un raccolto più abbondante. In altre parole, la miseria delle società pre-capitalistiche era dovuto all'insolubile problema costituito dal divario tra il fabbisogno giornaliero e la capacità di produzione dell'epoca.
La situazione è ancora così in quelle parti del mondo non contaminate dalla rivoluzione industriale e dall'imperante capitalismo. Per queste zone si parla quindi di mancanza di mezzi produttivi, di affamati, di infreddoliti, per le zone in cui vige il capitalismo, si parla di super-produzione in grado di soddisfare tutte le esigenze materiali, ma di insufficiente distribuzione dei mezzi finanziari indispensabili all'acquisto dei beni.
Gli anarchici sono convinti che nel mondo capitalista i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri si impoveriscono sempre più. Questi ultimi sarebbero inevitabilmente condannati a un futuro di perenne imperialismo (schiavitù sociale). Essi si accingono quindi a rovesciare questa odiata condizione finanziaria e chi l'ha prodotta: il sistema statale. Sono anche disposti a fare a meno della funzione di tutela esercitata da ogni singolo governo. Proprio come i socialisti, ma con un diverso scopo finale, con una visione completamente diversa per quel che riguarda la posizione dell'individuo nella nuova società troppo produttiva.
Al centro della filosofia sociale anarchica c'è l'individuo. Al centro di quello socialista, invece, la massa dei lavoratori, la società. I socialisti lottano contro lo Stato borghese e capitalista per imporne un altro, socialista. Gli anarchici lottano contro lo Stato in generale. L'anarchia pretende la libertà personale a qualsiasi prezzo. I socialisti antepongono, in linea di massima, l'interesse generale a quello del singolo individuo.

ENRICO MALATESTA:
<Siamo contro ogni forma di governo…se aspettate che un governo vi dia la vostra libertà, la perderete per sempre>

Uno dei primi anarchici della nostra epoca, l'italiano Enrico Malatesta, nell'ultimo grande congresso anarchico di Londra (1897) si è così espresso: <Siamo contro ogni forma di governo, anche contro quello socialista. I gendarmi di Bebel (August-Friederich), Liebknecht (Wilhelm) e Jaurès (Jean, esponenti socialisti di orientamento marxista ndr), rimangono pur sempre dei gendarmi. Chi li comanda sarà sempre in grado di reprimere e massacrare il proletariato. Pertanto non vogliamo dare a nessuno quel potere, né a i socialisti, né a noi stessi. Perché nessuno in quella posizione riesce a non trasformarsi in una canaglia…Liberatevi da soli organizzando le vostre forze e sarete liberi! Ma se aspettate che un governo vi dia la vostra libertà - siate voi dei cittadini qualunque o dei socialisti - allora la perderete per sempre!>.
Ma come funzionerebbe il mondo anarchico? Per funzionare funzionerebbe, seguendo il volere di chi lo ha progettato, e, forse, sarebbe anche migliore di quello che abbiamo noi oggi. Come è stato progettato? Da chi? Chi renderà felice?
Occorre innanzitutto abbandonare il pregiudizio politico che vuole che il programma dell'anarchia si esaurisca solo in attentati dinamitardi e in omicidi. I padri delle teorie anarchiche erano, in realtà, dei pacifici pensatori sociali e dei rappresentanti di una radicale riforma sociale graduale e pacifica. Solo molto tempo dopo arrivò la propaganda dell'azione. Da quel momento in poi alcune correnti dell'anarchia hanno percorso solo la strada della violenza e degli assassinii.

WILLIAM GODWIN:
<Governare significa controllo e violazione dei diritti del singolo, gestione delle sue attività e dei suoi pensieri>

Nato nel 1756, era figlio di un pastore anglicano anch'egli pastore come il padre. Era fermamente convinto che gli uomini avessero una predisposizione naturale ad essere buoni. Diventavano però asociali, immorali, cattivi e meschini quando venivano a contatto con le istituzioni politiche e sociali. Egli diventò il primo teorico dell'anarchia, influenzato da Jean Jaques Rousseau.
La sua idea di base dell'<uomo buono> che veniva depravato da un sistema esterno, falso e artificiale, diventò il punto di partenza di quasi tutti i futuri filoni di pensiero anarchici.
Nel suo libro <Indagini sui principi della giustizia politica e sua influenza sulla virtù e felicità generali> pubblicato nel 1793, Godwin non fa altro che auspicare l'abolizione di tutte le leggi e di tutte le forme di governo. Per lui, come cento anni dopo per Malatesta, anche il miglior governo è collegato con la tirannia. <Governare significa controllo e violazione dei diritti del singolo, gestione delle sue attività e dei pensieri, azioni che sono contrarie alla predisposizione di base tipica degli uomini nel loro stato primordiale>.
Al posto di una forma di governo, Godwin pensa a una sorta di <cooperativa sociale>. La sua funzione fondamentale dovrebbe essere la coordinazione e la tutela nel caso in cui dovesse essere minacciata dall'esterno. L'altro suo compito dovrebbe essere la vigilanza sull'intera comunità in modo tale da evitare che un suo componente possa essere trattato male o possa venire oppresso. Infine, dovrebbe decidere riguardo a controversie e a delitti, attraverso la nomina di una giuria popolare. La cooperativa non deve essere investita di nessun potere coercitivo. Tutto si deve basare sul libero accordo.
Le decisioni della giuria non si basano su delle leggi, le leggi non servono. Chi ha commesso un delitto non verrà punito, ma ammonito pubblicamente e gli sarà intimato di tornare sulla strada della virtù. Godwin è infatti convinto che un tale ammonimento porterebbe grandi risultati. Il colpevole non vorrebbe più essere esposto al disprezzo pubblico e si pentirebbe esattamente come se fosse stato punito nelle società tradizionali.
Nell'anarchia altamente morale di Godwin non c'è controllo sulla proprietà, eccezion fatta per il diritto di successione.
Come figlio delle correnti liberistiche, egli credeva che l'indipendenza economica fosse garanzia di libertà e di moralità per il singolo e per la società. La proprietà è uno dei presupposti per la realizzazione delle sue idee. Godwin affermava che in un mondo senza obblighi e senza vizi, le forti differenze economiche si sarebbero eliminate da sole e ne sarebbe risultata una equa divisione di beni.
Per concludere, per Godwin l'anarchia non era caos, ma ordine. Ordine basato sulla reciproca condiscendenza e sulle comuni convinzioni. Egli aveva precorso i tempi con le sue teorie. Fu dimenticato e l'anarchia divenne cinquant'anni dopo, nell'impetuosa epoca della industrializzazione, un movimento politico.

PIERRE JOSEPH PROUDOHON:
<La proprietà è un furto…proprietari si diventa lavorando…chi non lavora non ha bisogno di mangiare>

Elaborò l'ideologia anarchica più nuova ed entusiasmante. Nato nel 1809 a Besançon, figlio di un manovale, anch'egli manovale e autore, era autodidatta che in breve lasso di tempo riuscì a farsi un quadro esauriente delle complicate correnti di pensiero della sua epoca e una conoscenza di alcune lingue viventi e morte.
Nel 1840, dopo tre anni, perse il posto all'Accademia di Besançon, quando presentò uno scritto polemico <Che cos'è la proprietà?> formulando così la domanda di una frase molto in voga durante la rivoluzione francese, ovvero <La proprietà è un furto!>. Il testo venne requisito dalle autorità e fu causa di lunghe seccature per gli organi di vigilanza. Tuttavia permise al suo autore di diventare famoso, non solo nella sua città natale, ma anche in tutta la Francia. Prudhon non era favorevole all'abolizione della proprietà privata, come invece potrebbe far supporre il titolo dell'opera. Anzi. La sua anarchia voleva rendere tutti gli uomini proprietari. Proprietari si diventa lavorando.
Quello che lui definiva furto era la grande proprietà e la ricchezza proveniente dal capitale, dalle tasse, dal profitto commerciale e dalle eredità.
La sua concezione di una politica economica veramente sociale culminava nello scambio, senza uso del denaro, di tutti i prodotti dei generi alimentari e dei beni di consumo.
Per quel che riguarda il concetto di organizzazione della società, Proudhon difende l'opinione in base alla quale l'umanità nelle sue prime epoche culturali avrebbe commesso un fatale errore ogniqualvolta aveva fatto ricorso alla <costituzione politica> per risolvere i problemi sociali, vale a dire ogniqualvolta era ricorsa a quella che viene definita <autorità statale>.
Se invece si fosse indirizzata alle cosiddette <costituzioni sociali>, si sarebbe usciti dalla crisi senza il pericoloso principio dell'autorità statale, senza i suoi rappresentanti e senza leggi. Ciò avrebbe risparmiato e risparmierebbe in futuro all'umanità quegli spargimenti di sangue provocati dalla lotta fra poteri religiosi e poteri statali, di cui è piena la nostra storia millenaria.
La <costituzione sociale> è l'unico sistema adatto al naturale modo di essere uomini. E' differente dallo Stato costituito, che non riuscirebbe ad esistere senza leggi, obblighi, forza e oppressione. Se permettessimo che questa economia politica si espandesse liberamente, noteremmo che essa progredirebbe in perfetto accordo con gli interessi umani. Nessuno potrebbe nuocerle o favorire una forma di organizzazione illegale. Libero da ogni tensione economica e sociale, maturerebbe un mondo pacifico e organico, nel quale sarebbero impensabili i contrasti e nel quale la libertà del singolo raggiungerebbe una dimensione mai vista prima.
Proudhon vuole arrivare all'anarchia senza ricorrere alla rivoluzione, ma attraverso la graduale trasformazione delle condizioni economiche in base alla idea dello scambio di beni senza l'uso del denaro. I soldi e le tasse sono infatti la causa di tutti i mali dell'umanità. Grazie ai soldi e alle tasse, la massa dei poveri, la maggior parte della popolazione del mondo, viene oppressa e ridotta schiava del capitale. Il capitale aumenta, compra lo Stato, oppure nasce lo Stato capitalista e il circolo vizioso è chiuso.
Al capitale Prudhon contrappone il lavoro, filo conduttore della sua politica sociale ed economica. E' il necessario presupposto dell'esistenza dei singoli e della società libera. Il significato morale e pratico, che Proudhon attribuisce al lavoro, costituirà uno dei pilastri dei successivi filoni di pensiero anarchici. <Chi non lavora non ha bisogno di mangiare!>. Il pensiero del filosofo francese deriva direttamente dalla sua concezione puritana riguardo al lavoro.
In base alla concezione di Prudhon, il valore di un prodotto è direttamente proporzionale al lavoro impiegato per la fabbricazione dell'oggetto in questione. Sarebbe stato quindi calcolato in base ad accordi liberi. Per la vendita, la merce viene valutata in base al valore del lavoro che contiene. Le materie prime non hanno alcuna importanza, perché nella società anarchica appartengono a tutti o a nessuno. Con questa rivoluzionaria riorganizzazione della vita economica, Proudhon intravede la garanzia fondamentale: non sarà mai possibile che il patrimonio di tutte le persone si accumuli nelle mani di pochi. E' con l'introduzione del valore del lavoro che si riesce ad abolire <l'anomalia dei prezzi> registrata ripetutamente nelle epoche passate. Inoltre la proprietà non sarà più un furto. Nessuno, compratore o venditore, potrà imbrogliare l'altro con questo sistema di scambio di beni.
L' idea di società anarchica, senza la tutela dei doveri delle leggi statali, si concretizza con l'istituto pubblico della <banca di scambio>.
Questa banca che esercita le sue funzioni senza alcun tornaconto e che ha filiali in tutte le città e in tutti i comuni, deve essere intesa come un grande deposito di merci, dove i produttori di generi alimentari, di beni di consumo, di attrezzi, di macchine e di oggetti d'arte, fanno confluire i loro prodotti che vengono acquistati da chi è interessato. Tutte le merci che si trovano nella banca, in base ai principi di Proudhon, hanno un prezzo fissato in base al lavoro impiegato per costruirle. Invece del denaro il produttore riceve un buono. Con esso può acquistare, entro un certo periodo di tempo, ciò che gli serve o ciò che desidera avere: l'acquisto può avvenire presso la banca che ha emesso il buono o presso una qualsiasi altra filiale. Attraverso il sistema dei buoni la banca è in grado di garantire a tutti i lavoratori un rapido smercio dei loro prodotti. Ogni sistema di credito basato sugli interessi viene contemporaneamente eliminato.
Prudhon non si era limitato ad esprimere questa teoria, ma l'aveva messa in pratica fondando una banca di scambio a Parigi. Egli, nel clima di cambiamento verificatosi dopo il 1848, riuscì a raccogliere in pochissimo tempo più di dodicimila partecipanti al suo progetto. Ma, prima che la sua idea potesse diventare attiva, venne condannato a diversi anni di carcere per diffamazione nei confronti della Repubblica e l'impresa fallì.

 

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